strutture onorevole Di Pietro e del Min - La Camera dei Deputati

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che si ritiene suscettibile di cambiare visti
i diversi avvisi del Ministro delle infrastrutture onorevole Di Pietro e del Ministro dei trasporti onorevole Bianchi sull’opportunità o meno di procedere alla
realizzazione del progetto del ponte sullo
stretto e conseguentemente il diverso avviso di detti ministri riguardo le opere da
approntare a livello locale per le comunicazioni dell’area;
recenti sono le vicende parlamentari
in cui una parte sostanziale della maggioranza (IDV) si è espressa per il mantenimento della società « ponte sullo stretto »
malgrado il diverso avviso del Governo in
carica;
recenti sono le dichiarazioni del Ministro Di Pietro riguardo non meglio precisati investimenti – non rinvenibili in
alcun documento di programmazione governativa – per la mobilità in Sicilia a
valere sui fondi già stanziati per il Ponte
sullo Stretto;
va ritenuto pertanto, in base a
quanto esposto, che non esista una politica
– o che essa al momento attuale non sia
comunque intelligibile – dell’attuale Governo in merito all’area in questione ed ai
connessi collegamenti con la Regione Siciliana –:
se il Ministro delle Infrastrutture e il
Presidente del Consiglio intendano chiarire
– stante la completa difformità di vedute
in merito dei ministri competenti – in via
definitiva l’orientamento ed i progetti del
Governo per quanto riguarda il complesso
nodo dei collegamenti Sicilia – continente
per quanto attiene ai lavori della Salerno
– Reggio Calabria e viabilità connessa
nell’area di Reggio.
(4-05499)
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AFFARI ESTERI
Interpellanza urgente
(ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro degli affari esteri, il Ministro
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dell’interno, il Ministro della giustizia, per
sapere – premesso che:
il 15 giugno 2007 a Tuzla, una delle
maggiori città della Bosnia-Erzegovina è
circolata la notizia, poi confermata dalla
stampa locale, che un Tribunale serbo
aveva emesso un mandato di cattura e
d’estradizione internazionale, via Interpol,
per tre cittadini di Tuzla;
alcuni giorni prima era stato arrestato a Belgrado, durante uno scalo all’aeroporto, Ilija Jurišic, ex presidente del
Consiglio comunale della città, che a tutt’oggi non risulta essere stato ancora rilasciato;
insieme a Enver Delibegovic e Budimir Nikolic il mandato di cattura ha
riguardato anche l’ex sindaco di Tuzla,
Sélim Bešlagic, oggi parlamentare della
Federazione della Bosnia-Erzegovina, accusato di « crimini di guerra » per un fatto
collegato all’inizio del conflitto, quando, il
15 maggio 1992, una colonna della JNA
(l’allora esercito jugoslavo), che fino a quel
momento aveva occupato la maggior parte
della Bosnia-Erzegovina, era stata invitata
a lasciare la città che aveva deciso di
opporsi alla guerra di conquista da parte
delle milizie serbe, sostenuta da Slobodan
Miloševic;
nell’accusa si sostiene che la colonna
disarmata era stata attaccata e che furono
uccisi circa 200 soldati. Già nel 1993 la
magistratura di Miloševic aveva avviato
questa iniziativa. L’accusa promossa dalla
polizia di guerra di Karadzic, era stata
fatta propria dalla polizia di tutti i presidenti della Republika Srpska, fino a
Dodik;
« Le accuse e gli arresti sono senza
senso – ha dichiarato Zdravko Djuranovic
a Oslobodenje del 16 giugno (articolo tradotto da: www.osservatoriobalcani.org) –:
il Governo di guerra di Tuzla si occupò dei
feriti della colonna e li lasciò andare a
casa. Difesero i diritti umani di tutti i
cittadini. Difesero la multiculturalità e
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l’immagine della Bosnia. Difesero le fondamenta della civiltà e adesso non sono
inclini alla schematizzazione nazionale dei
Balcani. Solo a Tuzla si dice che i crimini
di guerra furono commessi da bosgnacchi,
serbi e croati e altri. Nell’ex Jugoslavia i
crimini furono commessi da gruppi mononazionali contro altri gruppi nazionali.
Si vuole accusare per crimini gli abitanti
di Tuzla perché non sono scivolati nell’abisso della politica nazionalista »;
« Non desidero entrare nei dettagli
dell’accusa – ha dichiarato allo stesso
giornale Sinan Alic, direttore della Fondazione “Verità, giustizia e riconciliazione”
di Tuzla – ma desidero dire che tutto ciò
è basato su note falsità. Noi sulla base di
documenti, ricerche e contatti con le fonti
serbe abbiamo confermato che nella battaglia per la “Brcanska malta” furono
uccisi 49 soldati della JNA e quattro
difensori della città. C’erano circa 70 feriti.
Quello che vi sto dicendo lo ha detto anche
Miloševic all’Aja. Tuttavia all’attuale governo serbo serve un’esibizione e non la
verità. La Serbia pare che desideri creare
in modo artificiale l’impressione di un
equilibrio tra i crimini commessi, ma
questo non è possibile »;
portato in Tribunale a Sarajevo dalla
polizia, l’ex-sindaco di Tuzla Sélim Bešlagic
– che aveva rinunciato alla sua immunità
parlamentare – e gli altri suoi concittadini
erano stati subito rilasciati per « inconsistenza delle accuse » ma non potranno lasciare la Federazione senza rischiare di essere arrestati perché il cosiddetto « Accordo
di Roma », che garantiva la libertà di movimento dei cittadini dei diversi paesi dell’exJugoslavia, è scaduto nel 2004 ed è stato
inspiegabilmente rinnovato solo dalla Serbia e dalla Croazia;
Sélim Bešlagic è stato un amico dell’allora euro-parlamentare Alexander Langer che lo aveva accompagnato in Italia e al
Parlamento europeo ed aveva un po’ adottato la sua Tuzla « interetnica », dove si era
svolto nel novembre dei 1994, nonostante
l’assedio, uno dei più importanti incontri
del « Verona Forum per la pace e la ricon-
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ciliazione nei territori dell’ex Jugoslavia ».
Dopo l’attentato del 25 maggio 1995 che
aveva ucciso 71 giovani della città di Tuzla,
Alexander Langer, anche sotto l’impulso di
Bešlagic, fu spinto a presentare alla riunione dei Capi di Stato e di Governo del 26
giugno 1995 a Cannes il drammatico appello « l’Europa nasce o muore a Sarajevo »
(pubblicato in: www.alexanderlanger.org).
In occasione del conferimento del Premio
Alexander Langer a Irfanka Pašagic, Sélim
Bešlagic era tornato in Italia nel maggio
2005 ed aveva riannodato i rapporti di gemellaggio con la città di Bologna, stabiliti
durante e dopo la guerra, contribuendo a
far apprezzare Tuzla come uno dei pochi
luoghi di resistenza ad un feroce progetto di
spartizione della Bosnia Erzegovina secondo linee etniche;
il 16 luglio 2007 Sélim Bešlagic ha
diffuso dalla sua casa di Tuzla una lettera
appello, fatta pervenire alla Fondazione
Alexander Langer di Bolzano, qui di seguito riprodotta:
« Cari amici, vorrei sottolineare fin
dal principio che non Vi scrivo questa
lettera per problemi personali avuti in
passato. Come persona responsabile sono
a conoscenza del fatto che devo essere a
disposizione delle istituzioni giuridiche
della Bosnia ed Erzegovina dato che sono
sospettato di aver commesso crimini di
guerra. Allo stesso tempo riesco difficilmente ad accettare il fatto che, assieme ad
altri cittadini, sono soggetto a un mandato
internazionale per motivi politici, come
anche il fatto che allo stesso tempo si
stanno svolgendo indagini in ben due
paesi. Ciò comporta il pericolo d’estinzione dei diritti umani. Ho la coscienza a
posto e per questo motivo non ho usato
l’immunità che mi spetta essendo un
membro del Parlamento quando sono
stato arrestato dalla polizia e trasferito
alla Corte Statale della Bosnia-Erzegovina.
In tempi molto difficili per noi mi sono
opposto con i cittadini di Tuzla al male e
all’odio che ci ha rivestito nella primavera
del 1992. Abbiamo difeso la nostra città
con l’unico mezzo a nostra disposizione
allora, che era la polizia locale. C’erano
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innumerevoli rappresentanti di organizzazioni internazionali e NGO a quel tempo
che possono rendere testimonianza del
modo in cui le autorità di Tuzla hanno
svolto i loro compiti durante la guerra. Per
dimostrare tutto ciò possiamo citare diversi premi internazionali che sono stati
assegnati alla città di Tuzla e a me stesso.
In quel tempo di guerra Tuzla era l’unica
città che non era vittima di forze paramilitari. Durante questo periodo più terribile nella storia di Tuzla siamo riusciti a
preservare lo spirito multietnico della nostra città.
Un accordo come questo andrebbe ad
eliminare tutte le incomprensioni che esistono tuttora e soprattutto anche la mancanza di leggi e di conseguenza con indagini
parallele ma non coordinate per gli stessi
casi in paesi diversi. Si aggiunge anche il
fatto che il tribunale dell’Aja ha passato i
dati su questo caso solo ad uno di questi
paesi. Per citare un caso concreto, ci sarebbe la questione della “Brcanska malta” il
cui mandato è stato trasferito dalla corte
dell’Aja esclusivamente alla giurisdizione
della Bosnia-Erzegovina. A causa di duplici
investigazioni siamo di fronte a un caso di
“caccia umana”, dove persone vengono catturate per il solo motivo di essere cittadini
di un certo paese e in questo caso della
Bosnia-Erzegovina. Sono state arrestate
anche persone non soggette a mandato
di cattura.
Questa procedura potrebbe essere semplificata se l’Interpol nazionale, avendo
avuto notizia del mandato internazionale,
a sua volta identificasse la nazionalità
delle persone ricercate e informasse poi il
paese che ha chiesto il mandato.
Sono sicuro che capirete la complessità
della situazione e le mie buone intenzioni.
Io vi chiedo gentilmente di partecipare
nella risoluzione di questo problema che
in futuro potrebbe influenzare la costruzione o implementazione della fiducia internazionale e della libertà di movimento
in questa regione » –:
se il Governo sia a conoscenza di
questo grave fatto di limitazione della
libertà personale che colpisce alcuni stimati esponenti della Bosnia-Erzegovina;
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se il Governo ritenga di potere e
volere intervenire – nei limiti delle sue
competenze – per dichiarare non applicabile nel territorio italiano ed in quello
europeo un provvedimento cosı̀ arbitrario
dando opportune disposizioni all’Interpol.
(2-00813) « Boato, Bonelli, Balducci, Cassola, De Zulueta, Francescato, Fundarò, Lion, Pellegrino, Camillo Piazza, Trepiccione, Zanella ».
Interrogazioni a risposta scritta:
CAPEZZONE. — Al Ministro degli affari
esteri. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto riportato dall’agenzia
di stampa Reuters, nella giornata di venerdı̀ 26 ottobre, la polizia birmana sarebbe tornata a pattugliare alcuni siti
religiosi a Rangoon (Myanmar) a un mese
dalle proteste dei monaci buddisti, con
l’obiettivo di soffocare eventuali nuovi dissensi, proprio alla fine del periodo della
Quaresima buddista;
un giornalista della citata agenzia di
stampa ha potuto testimoniare la presenza
di poliziotti armati nelle zone d’accesso
alle pagode di Sule e Shwedagon, due dei
luoghi da cui iniziarono le imponenti manifestazioni antigovernative;
paradossalmente, quest’inasprimento
delle misure di sicurezza arriva immediatamente dopo l’incontro tra la leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace,
Aung San Suu Kyi, e il ministro del lavoro,
il generale Aung Kyi;
il quotidiano Nuova Luce di Myanmar, organo del regime militare birmano,
informava giovedı̀ 25 ottobre che le autorità cercano « falsi » monaci buddisti implicati nell’organizzazione delle manifestazioni avvenute alla fine di settembre;
secondo quanto riferito dall’agenzia
di Delhi Mizzima (creata nel 1998 da un
gruppo di giornalisti del Myanmar in esilio), i servizi di intelligence tailandesi
avrebbero l’intenzione di perquisire gli
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uffici in Thailandia dei gruppi dell’opposizione filo-democratica birmana, nell’ambito di « un’operazione nazionale di sicurezza » contro i gruppi birmani « illegali »;
tale operazione, prevista per l’inizio
di novembre, sarebbe stata decisa a seguito alle accuse della giunta militare del
Myanmar contro le organizzazioni con
sede in Thailandia, « istigatrici o sostenitrici » della protesta dei monaci;
il capo redattore dell’agenzia di
stampa Mizzima a Chiang Mai, in una
dichiarazione all’ADNKronos International, ha affermato che la giunta birmana
avrebbe consegnato alle autorità tailandesi
una lista di persone in contatto con i
gruppi democratici all’interno della Birmania;
parallelamente aumenta il numero di
profughi nei campi allestiti in territorio
tailandese, lungo il confine con l’ex Birmania (Mae Lae, Mae La Mo ed Eh Thoo),
anche se dopo la repressione di fine settembre la giunta ha bloccato le vie d’uscita
dal Paese;
nel recente rapporto di Human Right
Watch del 31 ottobre, la giunta militare del
Myanmar viene nuovamente accusata di
arruolare nel suo esercito bambini, anche
di 10 anni, nel suo esercito al fine di
contrastare, tra l’altro, l’alto tasso di diserzione e la mancanza di volontari;
sempre nel citato rapporto si legge
che i reclutatori percepirebbero premi in
denaro ed altri incentivi per ogni minore
reclutato (http://www.hrw.org/ – Burma:
Children Bought and Sold by Army Recruiters) e che i bambini soldato verrebbero costretti a partecipare ad abusi, ad
appiccare fuoco a villaggi e costringere i
civili a lavorare per l’esercito, « quelli che
cercano di fuggire e vengono catturati,
vengono malmenati, imprigionati o obbligati a tornare a combattere »;
secondo esponenti dell’opposizione
birmana, la politica del Constructive Engagement portata avanti dall’Asean (Asso-
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ciazione dei Paesi del Sudest asiatico, ndr)
non ha avuto alcun effetto se non quello
di arricchire i generali birmani;
durante la visita a Singapore del 29
ottobre, il Ministro degli Esteri francese,
Bernard Kouchner, ha proposto la creazione di un fondo in favore dell’ex Birmania, che potrebbe essere finanziato
dalla Banca Mondiale, in grado di offrire
fondi, sul modello di quello costituito per
contribuire alla ricostruzione del Kosovo,
per sviluppare il Paese;
nella giornata del 31 ottobre, notizie
d’agenzia riprese dal sito Internet dell’opposizione birmana « Mizzima news »
hanno informato che i monaci buddisti del
monastero Sasana Wilhmula hanno nuovamente manifestato in modo pacifico per
le strade di Pakokku, città nel centro del
paese;
nella giornata del 31 ottobre, notizie
d’agenzia riprese del sito internet dell’opposizione birmana Mizzima news hanno
informato che i monaci buddisti nel monastero di Sasana Wilhmula hanno nuovamente manifestato in modo pacifico per
le strade di Pakkoku, città nel centro del
paese;
le autorità militari starebbero però
già indagando quali monasteri hanno aderito alla Marcia –:
come valuti questi nuovi accadimenti
e le notizie relative alla « cooperazione
anticrimine » con il governo tailandese
citate nelle premesse, che lasciano temere
nuovi inquietanti, se non addirittura
drammatici, sviluppi;
come valuti le proposte del Ministro
degli esteri francese e se tali proposte sono
condivise dagli altri paesi dell’Unione europea;
quali iniziative abbia intrapreso o
intenda intraprendere al fine di richiamare le autorità del Myanmar, anche in
collaborazione con le organizzazioni internazionali, al rispetto dei diritti umani e
civili, con particolare riferimento ai bambini-soldato;
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quali iniziative abbia intrapreso o
intenda intraprendere al fine di scongiurare che il Governo militare intervenga
nuovamente con la forza nei confronti di
pacifiche manifestazioni.
(4-05489)
ZACCHERA. — Al Ministro degli affari
esteri, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale. — Per sapere – premesso
che:
gli istituti di Patronato ricevono annualmente diversi milioni di euro, in Italia
e all’estero, sotto forma di contributi legati
alla loro organizzazione ed al numero e
difficoltà delle pratiche (di pensione, previdenza, invalidità, assistenza eccetera) da
essi curati nei confronti del pubblico;
molto spesso i cittadini potrebbero
ottenere analoga assistenza rivolgendosi
direttamente agli istituti di Previdenza in
Italia ed agli uffici assistenza dei nostri
consolati all’estero;
vi è un indubbio valore sociale in
queste attività ma anche un formidabile e
grave impegno finanziario da parte delle
finanze pubbliche –:
quale sia il giudizio dei Ministri interessati sulla funzionalità degli Enti di
Patronato in Italia ed all’estero;
se non si ritenga che una parte dei
fondi ad essi destinati (eventualmente utilizzando anche parte del personale da essi
dipendenti) non potrebbero essere investiti
direttamente sulle strutture pubbliche
(come i consolati) potenziandone gli uffici
assistenza ed incrementandone la disponibilità economica;
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PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri.
— Per sapere – premesso che:
l’articolo 19 della legge 21 novembre
1967 n. 1185 recita « nessuna tassa è dovuta per il rilascio o il rinnovo del passaporto ordinario, in Italia o all’estero: a)
da coloro che sono da considerare emigranti ai sensi delle norme sull’emigrazione; b) dagli italiani all’estero che fruiscono di rimpatrio consolare o rientrino
per prestare servizio militare; c) dai ministri del culto e religiosi che siano missionari; d) dagli indigenti »;
numerosi connazionali che versano
in condizioni economiche difficili rinunciano a richiedere il passaporto a causa
dell’elevato costo;
le direttive del Ministero degli affari
esteri non sono esaustive e chiare ai fini
dell’interpretazione della norma e per
questo i consolati e le rappresentanze
diplomatiche la applicano in maniera discrezionale e non uniforme con evidenti
disparità di trattamento da consolato a
consolato;
attualmente il connazionale che richiedesse l’esenzione del pagamento lo
può fare dietro presentazione di una autocertificazione su modulo prestampato
distribuito dalle rappresentanze consolari;
nel modulo prestampato è prevista la
facoltà per l’autodichiarante di autorizzare o meno le rappresentanze consolari a
verificare quanto da lui dichiarato senza
peraltro sospendere l’emissione stessa del
passaporto in attesa della verifica; inoltre
le verifiche richieste sono difficilmente
praticabili e comportano dispendio di risorse e tempi spesso non a disposizione
dell’amministrazione consolare –:
quali e quante siano state le operazioni di verifica in Italia ed all’Estero sulle
effettive attività svolte dagli Enti di Patronato e quali sono state le risultanze delle
predette verifiche;
quali direttive tempestive saranno
emanate per chiarire l’ambito di applicazione della normativa ed evitare disparità
di trattamento per i connazionali;
quali, quante e dove siano dislocate le
sedi esteri dei suddetti patronati. (4-05492)
se non sia il caso di subordinare la
gratuità del passaporto per coloro che ne
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abbiano i requisiti ai soli casi in cui venga
concessa l’autorizzazione alla verifica dei
requisiti stessi;
se non sia il caso di rivedere complessivamente la normativa in materia di
gratuità del passaporto e gli altri pagamenti dovuti dai connazionali per ottenere
documenti nelle rappresentanze consolari.
(4-05493)
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quali ulteriori chiusure siano previste
in Europa e quali i tempi delle stesse;
come intenda intervenire per garantire un adeguato livello si servizi alla
comunità in Scozia;
se non ritenga opportuno mantenere
almeno la presenza di una agenzia consolare per servire le esigenze di un territorio cosı̀ vasto come quello scozzese e
garantire i livelli occupazionali. (4-05498)
PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri.
— Per sapere – premesso che:
secondo quanto riferito al sindacato
del personale a contratto del ministero
degli affari esteri dalla Direzione Generale
per il Personale del MAE è appena avvenuta la chiusura del Consolato Generale
d’Italia in Edimburgo, competente per la
Scozia;
la chiusura del consolato provocherebbe gravi danni alla comunità italiana in
Scozia che vanta una importante tradizione storica e una rilevante consistenza
numerica, in quanto essa è disseminata su
un vasto territorio e il consolato più vicino
è quello di Manchester;
nell’audizione al Comitato permanente per gli italiani all’estero il Viceministro Danieli aveva assicurato che nessun
consolato sarebbe stato chiuso;
anche in questo caso le decisioni
sulle chiusure delle rappresentanze consolari vengono messe in atto senza il
minimo coinvolgimento delle forze politico-sociali, dei rappresentanti dei residenti
all’estero, dei parlamentari eletti all’estero
e dei sindacati del MAE;
nel consolato di Edimburgo sono in
servizio tre impiegati a contratto per i
quali sulla base dei contratti attualmente
in vigore l’Amministrazione degli esteri si
impegnerà unicamente – non sussiste infatti alcun obbligo di legge – a trovare
adeguate soluzioni di ricollocamento –:
se corrisponda a verità la chiusura
del Consolato e quali le motivazioni che
l’hanno determinata;
CAPEZZONE. — Al Ministro degli affari
esteri. — Per sapere – premesso che:
il primo novembre, il primo ministro
della Bosnia-Erzegovina, il serbo-bosniaco
Nikola Spiric, ha rassegnato le proprie
dimissioni, quale segno di protesta contro
le misure volute dall’Alto rappresentante
della Comunità internazionale, Miroslav
Lajkak, per facilitare il funzionamento del
governo centrale;
le dimissioni arrivano all’indomani
della dichiarazione di sostegno all’Alto
rappresentante e alle riforme istituzionali
da lui proposte da parte della comunità
internazionale e del Consiglio d’implementazione della pace (PIC), riunito a Sarajevo;
tra i paesi del PIC solo la Russia si
è dichiarata contraria alle linea di Lajcak,
« preoccupata per le conseguenze delle
misure che cambiano i meccanismi decisionali nel consiglio dei ministri e nel
parlamento
della
Bosnia-Erzegovina »
(come si legge nel documento conclusivo
dei lavori);
le modifiche proposte Lajkak permetterebbero ai membri musulmani e croati
del governo centrale di adottare alcune
decisioni, soprattutto progetti di legge,
senza il consenso dei ministri serbi;
secondo le autorità serbo-bosniache
queste misure rappresenterebbero una
violazione dell’accordo di Dayton che mise
fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina
1992-1995;
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ad aumentare la tensione sono, inoltre, giunte le dichiarazioni del premier
serbo Vojislav Kostunica che, commentando le dimissioni del premier bosniaco,
ha affermato che al suo posto avrebbe
dovuto rassegnare le dimissioni l’Alto rappresentante della Comunità internazionale, responsabile – secondo Kostunica –
della crisi in Bosnia;
il primo ministro serbo ha chiesto
alla Comunità internazionale di far rispettare l’accordo di Dayton e « di rettificare
gli errori che hanno portato alla grave
crisi in Bosnia »;
forti dell’appoggio di Belgrado e Mosca, i serbo bosniaci hanno iniziato il ritiro
dei propri rappresentanti dalle istituzioni
comuni previste dalla complessa struttura
costituzionale bosniaca;
nonostante segnali confortanti giungano sul versante della ripresa economica,
la Bosnia-Erzegovina, ma in generale tutta
la regione dei Balcani, rischia ancora di
sprofondare in una nuova crisi, a causa
della debolezza delle istituzioni politiche,
del nazionalismo, del dilagare della corruzione e della criminalità, dei sempre
delicatissimi rapporti interetnici;
il prossimo anno sarà cruciale per
consolidare il processo di transizione nei
Balcani occidentali, in particolare per il
rafforzamento delle istituzioni e dei processi democratici in gran parte dei Paesi
dell’area;
ancora molto da fare rimane per
quanto attiene la concreta difesa dei diritti
umani, il rimpatrio degli sfollati a causa
delle guerre dei decenni scorsi e la tutela
delle minoranze –:
quali siano le sue valutazioni in merito a questi accadimenti, che da molti
osservatori sono visti come un il primo
passo verso il tentativo di secessione della
Srpska Republika, magari da proclamare
immediatamente a seguito dell’eventuale
dichiarazione unilaterale di indipendenza
del Kossovo;
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se e come il Governo stia intervenendo o intenda intervenire, di concerto
con gli altri Paesi della UE e delle organizzazioni internazionali al fine di scongiurare che questi fatti, rinvigorendo odi e
rancori interetnici mai sopiti, possano portare la Bosnia-Erzegovina nuovamente sull’orlo di una guerra civile.
(4-05501)
GALLETTI. — Al Ministro degli affari
esteri, al Ministro dell’economia e delle
finanze. — Per sapere – premesso che:
il 27 ottobre sul Resto del Carlino QN
è stato pubblicato un reportage sul « casinò » di Rovereta, Repubblica di San
Marino;
il « casinò fantasma » si trova fra
Rimini e San Marino ed è a poche centinaia di metri dal confine con l’Italia;
dietro l’ufficialità di una sala bingo,
si trovano all’interno dello stesso edificio
due sale Keno con 150 macchinette computer (tipo slot machine) per un giro
d’affari che, a quanto consta all’interrogante, si aggira a 500mila euro al giorno;
l’accordo italo-sammarinese del 1953
impegna la Repubblica di San Marino « a
non permettere nel proprio territorio
l’impianto o l’esercizio di case da gioco
o di altri centri del genere comunque
denominati, nei quali si svolgono giochi
d’azzardo »;
la legge sammarinese del 2000 non
disciplina il gioco d’azzardo che rimane
vietato in qualunque forma esercitato –:
se questo « casinò » rispecchi o meno
la convenzione Italia-San Marino del 1953
e in caso negativo quali provvedimenti il
Governo intenda adottare al fine del rispetto della convenzione citata. (4-05503)
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