passo dopo passo

Transcript

passo dopo passo
MAURO VENDRAME
… PASSO DOPO PASSO
Monte ANTELAO m. 3264
7 settembre 2003
******
E’ dunque, se ogni mia scrittura – e soprattutto il canto, evento per natura
partecipe e amoroso: ogni canto, quale voce dell’anima che si espande nel
creato -; se, ripeto, ogni mio libro è stato per me rinnovata occasione di
discorrere con voi, amici, ora a maggior ragione è per voi questo racconto della
mia avventura: altra gioiosa fatica che precisamente nell’amicizia affonda il suo
narrarsi.
Dico per voi, i primi amici de “L’Uomo”, ancora rimasti a riempire i deserti;
rimasti, dico, e non sopravvissuti, poiché pure i morti sono vivi: più vivi e
prossimi, poiché senza più separazioni. E gli altri; e voi, lettori, amici della
diaspora, forse fedeli di una chiesa sommersa; oppure gente di nessuna chiesa:
amici che sempre mi avete aiutato a credere; che mi avete salvato dal rifiutarmi
a una fedeltà puntualmente pagata: innumeri amici che mi avete restituito alla
salute e a una gioia nuova di donarmi ancora.
Padre David Maria Turoldo
(La mia vita per gli amici)
PREFAZIONE
*********
Questo manoscritto nasce sulla base di una similare iniziativa dell’altro anno
con la quale relazionavo gli amici sull’escursione che annualmente e, a questo
punto tradizionalmente, facciamo assieme in montagna. Nella precedente
occasione, narrando l’ascensione al monte Pelmo, avevo anche profittato
dell’occasione per parlare alle persone cui voglio bene ma anche, in qualche
maniera, per parlarmi.
Oltretutto nell’occasione, stante la mia disastrosa giornata dal punto di vista
fisico, nel racconto che ne seguì c’era del pathos che non troviamo nel presente
resoconto. Ciò nonostante, sia per mio piacere personale, che per segnali in tal
senso recepiti, ritengo il mio racconto essere, oramai a pieno titolo, una delle
componenti della tradizione in premessa citata, e quindi ben volentieri proseguo
questa usanza.
Si consideri la cosa oltremodo sentita e dovuta, essendo come per l’altra
occasione anche per questa, mia la proposta iniziale, e altrettanto personale la
scelta del monte da salire.
Lo scritto, proprio per la valenza che anche ricopre come relazione tecnica,
ricalca la già collaudata impostazione del crono-racconto, senza che per questo
venga impedito
L’inquinamento della narrazione con considerazioni che nulla rilevano con la
montagna, ma che probabilmente proprio per la frequentazione della stessa, ed
in questo modo, possono emergere addirittura come elemento centrale sul
resto. Anche in questo caso, e non per difetto di fiducia nel lettore, mi sento
dover precisare l’assoluta assenza di ogni qualsivoglia retorica linguistica nella
descrizione degli avvenimenti che seguono, ma altresì la totale impulsività
razionale che mi contraddistingue, con la quale ho elaborato il racconto e con la
quale purtroppo/per fortuna convivo da oltre quarant’anni.
La montagna era fantastica... il gruppo di persone altrettanto... solamente
mi auguro nulla aver tolto alla bellezza della cosa.
Buona lettura
Mauro Vendrame
Pordenone, settembre 2003
I
*******
Il capo gita si guarda attorno, scruta il cielo e respira il vento carico di
nevischio che ci turbina addosso. Fa freddo, la visibilità non è delle migliori.
Dopo aver soppesato la cosa e gettato un ultimo sguardo alla direzione verso la
quale si trova la vetta, oramai non più visibile, si gira verso il gruppo del quale è
responsabile e decide di ritornare giù.
E’ il 28 luglio 1991, cinque minuti di cammino sopra il bivacco Cosi a 3111
metri.
Sto salendo l’Antelao aggregato ad un gruppo del CAI di Spilimbergo ma,
dopo aver dormito al rifugio Galassi (m. 2018), siamo partiti troppo tardi, alle
08.30. Complice anche la neve trovata sulle laste, siamo in ritardo sulla tabella
di marcia e causa il maltempo stiamo per abbandonare la salita.
Questa è la mia prima escursione di un certo livello, il primo tentativo ad un
tremila e quindi, nonostante la grande amarezza, la grande vicinanza alla cima e
un timido accenno alla possibilità di tentare comunque, non mi sogno nemmeno
di discutere la decisione del capo gita e, seppur a malincuore, ridiscendo con
attenzione la cresta innevata della montagna e ritorno a valle.
Questa prima, ed in seguito avrò modo di sperimentare non ultima,
delusione, proprio perché tale rimase da allora perfettamente fotografata nella
mia mente - tanto che considerate tutte le Dolomiti, cadorine e non, l’Antelao
(assieme per altri motivi al Pelmo) - rimase quella a cui tenevo maggiormente.
Oltretutto l’ascensione allo stesso, a volte sottovalutata, sicuramente è una di
quelle che pretendono la giusta attenzione ed un allenamento ottimali.
Il primo tremila arriverà poco dopo: il 20 agosto dello stesso 1991. In quella
data infatti salirò la bellissima Tofana di Rozes (m. 3225) per la Ferrata Lipella,
ma ciò non farà che aumentare l’amaro in bocca, ed il grande rispetto per quel
colosso che pochi giorni prima aveva vinto la sfida (così almeno ragionava allora
il giovane Mauro).
II
*******
Per il mio modo di interpretare la vita, per la filosofia che accompagna comunque
ogni mio pensare oltre che per l’evolversi del mio modo di essere nel corso e per il
corso degli anni, sta sempre più assumendo significato non tanto il ...“COSA”...
quanto il ...“COME”.
Ritengo infatti che nulla abbia valore, se non contestualizzato, ed in tale ottica
penso completamente fuori luogo qualsiasi discussione, incontro, scambio di vedute,
confronto più o meno aspro, ecc..., che non abbia a premessa questa cosa.
Il fatto cioè che non esista alcunché con una sola spiegazione o una sola visione
prospettica, ma che il tutto possa/debba essere recepito come un qualcosa di
mutevole ed, a pieno titolo, interpretato da ognuno in maniera soggettiva.
L’oggettivo non esiste, fa parte delle convenzioni. E’ un modo di difendersi
delegando ad altri le nostre impressioni, considerazioni e valutazioni.
Per sufficienza, comodo, viltà, paura... o per l’incapacità caratteriale di supportare
il nostro pensare.
Queste considerazioni sono alla base del modo di pormi e di vivere interpretando
la realtà e sono il motivo per cui cerchi sempre più ed in maniera quasi parossistica,
a far bene delle cose, più che a farne molte.
Ecco perché tra le tante passioni che mi appartengono, anche la Montagna non
sfugge a queste regole.
Quindi, sempre più spesso quando cammino in montagna, cerco di farlo con delle
persone che sposano, anche inconsciamente, le considerazioni in premessa oppure,
in maniera diametralmente opposta, cammino in completa solitudine, per altre
motivazioni che non trattiamo qui... non ora!
Sono all’inizio di questo lavoro e, d’un tratto, emerge chiaramente come a
volte diamo un senso comune alle cose e alle parole, senza averle mai
approfondite come meritano; nello specifico mi chiedo cosa preveda la
semantica per una definizione tra le più abusate della nostra lingua.
Quindi, come spesso faccio, prendo il vocabolario dalla libreria lo apro e
leggo:
AMICO: a) aggettivo: benevolo, favorevole. ... non mi piace, ne basta, passo
alla... b) sostantivo maschile: chi è legato da sentimenti di amicizia; contrario:
nemico; …devo proseguire l’analisi, quindi: AMICIZIA: sostantivo femminile:
affetto vivo e reciproco tra due o più persone... già meglio,... ma non ancora
sufficiente ad esprimere compiutamente quello che penso.
Mi guardo in giro, noto tra i libri il mio primo dizionario di italiano con cui
Marco, mio figlio, ha cominciato a studiare alle elementari.
Curioso lo prendo... apro... e ... AMICIZIA: AFFETTO E STIMA TRA DUE O
PIU’ PERSONE. Perfetto. “Affetto e stima tra due o più persone”.
Sorrido e penso a quante volte andiamo a cercare le cose nei posti più
impervi, difficili, costosi, complicati come se solo il fatto di avere speso tempo o
danaro, o l’aver fatto molta fatica di per se dia valore alle stesse mentre, come
in questo caso, semplicemente non siamo più capaci di leggere e di apprezzare il
semplice.
Mi chiedo anche perché in un dizionario delle elementari ci sia nella
definizione di amicizia una parola come stima, dalla quale non si può transigere,
mentre in uno più evoluto tale sostantivo sia sottaciuto.
Mah!... un’altra delle domande a cui non avrò risposta.
Dunque, come dicevo, questa escursione appartiene ad una tradizione che
mi ha visto tra i fautori e più accaniti sostenitori, che vuole dedicata al nostro
gruppo di amici almeno un’escursione all’anno. Preferibilmente su una montagna
od un percorso particolarmente bello e suggestivo o di particolare significato per
qualcuno.
Come per l’altro anno anche in questa occasione ho avuto l’onore di veder
approvata la mia proposta di salire l’Antelao e quindi, come si conviene, mi
ritengo responsabile in primis del buon esito della cosa. Il tutto, pur essendo
stato abbozzato appena dopo il “Pelmo 2002”, ha avuto la consacrazione
definitiva un paio di mesi fa, a metà estate.
E da allora pur avendo tutti camminato su varie montagne, a volte già
parzialmente assieme nel corso dei mesi, sapevamo che solo qui, - l’ 8
settembre data originaria - ci saremmo rivisti tutti per la nostra escursione.
Il gruppo protagonista di questa storia è esattamente quello dello scorso
anno sul Pelmo e questo non solo perché sia stato possibile ma… perché sarebbe
stato impossibile così non fosse. Già altre volte infatti nel corso dell’anno era
accaduto che alcune escursioni già programmate vedessero poi la defezione di
qualcuno, ma la cosa era intrinseca agli impegni ed imprevisti che ad ognuno
possono accadere.
Questa volta è diverso. Per questa escursione, concordata nella data, non
c’era possibilità alcuna, salvo i gravi imprevisti della vita, che la squadra non
fosse completa.
Tutti sappiamo che nell’occasione gli amici non sono i protagonisti di una
storia di montagna ma... SONO la storia.
La squadra come dicevo è speculare a quella del Pelmo e, dopo il
sottoscritto, che nell’occasione viene nominato “sherpa” (a dire il vero un’autonomina vergognosamente fatta transitare per una presunta maggiore capacità
nell’organizzare e studiare i percorsi), è composta da Renato (il Renè di mille
battaglie), Franco (il Gig robot d’acciao per tutti), Massimo (il bocia), Nino (il
vecchiaccio super-Nino), Claudio (l’amico che originariamente con me ha dato il
via alla creazione di questo gruppo) e Valter (che si è accaparrato probabilmente
l’ultimo posto utile nel gruppo dei “magnifici 7”).
Siamo quindi in sette. Un numero sufficientemente ampio per far fronte ad
ogni
avversità,
emergenza,
per
camminare
in
sicurezza,
ma
contemporaneamente in velocità e con un allenamento che, sia pur con le
differenze del caso, risulta abbastanza omogeneo. Cosicché nessuno abbia mai a
soffrire per il ritmo troppo o troppo poco impostato.
Un numero maggiore potrebbe creare problemi di organizzazione, di
affiatamento, o anche solo di velocità in caso d’emergenza. Uno più piccolo
sarebbe meno facilmente gestibile nel caso, e una volta che qualcuno avesse dei
problemi di qualsiasi tipo, dovessimo dividerci per qualsiasi necessità.
Soprattutto siamo consci che, presi singolarmente, ognuno ha i propri limiti,
mentre in gruppo pur non scomparendo, questi vengono indubbiamente
ridimensionati.
III
*******
1 settembre 2003, lunedì, esco alle 06.45 come al solito per recarmi al
lavoro e sento subito il brusco abbassamento della temperatura, susseguente tra
l’altro ad un fronte temporalesco appena abbattutosi nel triveneto e soprattutto,
con anche due morti, nell’alto Friuli.
Salgo in macchina, accendo il motore e do subito un’occhiata alla
temperatura esterna segnata dal display e con disappunto leggo : 14,5 gradi
centigradi (due giorni fa erano 23). Faccio un rapido calcolo e per i 3264 metri
che mi separano dalla vetta dell’Antelao calcolo, con buona approssimazione, un
differenza in meno di circa 21 gradi centigradi. Infatti in montagna abbiamo
circa 6/7 gradi di differenza in meno ogni mille metri di altitudine; quindi lassù
adesso ci sono circa –7 gradi centigradi.
Affan... sta gelando e molto probabilmente ha già nevicato. Comincio a
maledire il fatto di non aver programmato prima questa escursione con gli amici,
visto che durante tutta l’estate torrida di quest’anno la montagna è rimasta
completamente pulita. Il problema é che la via comune di salita al monte è
rivolta a nord, e una volta che si sporca trattiene molto facilmente sia la neve
che il vetrato. Oltretutto per la settimana è previsto tempo incerto, in special
modo proprio verso la fine.
La cosa quindi si complica leggermente ma, prima di fasciarmi la testa,
decido di aspettare qualche giorno. In precedenza con un giro di telefonate
abbiamo deciso di spostare la data dall’8 di settembre originario, alla domenica
7 precedente, per avere un giorno di riserva. Per cui è questo il giorno sul quale
ipotizzo le varie previsioni del tempo cui mi collego tramite internet.
La settimana scorre veloce con giornate inizialmente bellissime, ma con
previsioni sempre più certe di un aumento della nuvolosità per il week-end.
Arrivo così al venerdì e ritornando dal lavoro la sera, guardando le prealpi
friulane ancora pulite e con il pensiero per i giorni a venire, penso con
soddisfazione a quanto oramai si sia affiatati, tanto che non ho ancora sentito
personalmente nessuno della compagnia, salvo per un paio di e-mail per
avvisare dell’utilità dei ramponi e del set da ferrata in caso di escursione
alternativa.
La sera dello stesso venerdì 5 settembre mi sento con Claudio e
concordiamo sul fatto che come giornata rimaniamo su domenica 7, che sembra
dia qualche garanzia in più, ma che il giorno dopo ci risentiremo per la
conferma definitiva.
Degli altri nessuna notizia. Bello. Li immagino ognuno preoccupato il giusto
per la salita che stiamo per effettuare, ognuno che di suo si premura di
interpretare il tempo, ma contemporaneamente tutti che si fidano di quello che
sto decidendo e che aspettano solamente istruzioni sulla partenza.
Come da accordi sabato pomeriggio io e Claudio ci risentiamo e nulla
variando rispetto al giorno prima, decidiamo solamente l’ora ed il luogo di
partenza: da Gig a Pordenone alle 04.20 e da Nino a Maniago alle 04.45 !!
Alla sera avverto chi di mia competenza, e mi preoccupo comunque di
sentire gli altri per gli ultimi promemoria.
Monte ANTELAO m. 3264
Cima principale delle Dolomiti Orientali dopo la Marmolada, la seconda in altezza in tutto
l’ambiente dolomitico. Per la sua posizione come punto culminante al centro del
maestoso massiccio e per l’affascinante profilo, specialmente visto da ovest ma anche
dagli altri versanti, l’Antelao, che secondo una vecchia tradizione viene denominato “Re
delle Dolomiti”, può essere considerato la più bella montagna delle Dolomiti Cadorine.
La prima ascensione fu compiuta nel 1860 dal cacciatore di camosci Matteo Ossi, ancor
prima dell’ascensione da parte di Paul Grohmann che raggiunse la cima nel 1863 per
l’itinerario oggi percorso come via comune.
Difficoltà: Itinerario lungo e faticoso, talvolta sottovalutato. Le placche inclinate del
costone nord offrono scarse possibilità di sicurezza, conviene procedere senza corda,
però sono necessari passo sicuro e massima attenzione per la roccia coperta da ghiaino.
Nel tratto finale passaggi di II grado. Con innevamento, ghiaccio e roccia vetrata la via si
fa esposta e impegnativa. In questo caso sono necessarie buona preparazione e
attrezzatura per ghiaccio.
Fatiche: Accesso a Forcella Piccola 540 md. (ore 1.45), salita alla cima 1.250 md (ore
4.30)
Pericoli: Itinerario consigliato solamente con bel tempo sicuro e con la roccia del
versante nord libera da neve e ghiaccio. La zona superiore delle laste rimane innevata
fino in piena estate, inoltre dopo temporali o maltempo può essere vetrata o coperta da
neve fresca. Un particolare fattore di sicurezza viene offerto dal bivacco Cosi (m.3.111)
sotto l’appicco, a 150 md dalla cima.
Soddisfazioni: Escursione in grandioso ambiente alpino.
Così la guida “I 3.000 delle Dolomiti” di Goedeke / Kammerer.
Appare ora, spero, più comprensibile l’attenzione con cui sto programmando
l’escursione, anche in considerazione del fatto che qualcuno di noi non è proprio
espertissimo, mentre diversamente altri due (Gig e Max) sono già saliti sulla
montagna.
Comunque ....siamo in ballo e, dopo le oramai solite gocce per dormire, alle
23.00 sono a letto.
IV
*******
07 settembre 2003 - è il giorno zero.
Ore 03.00
Guardo l’orologio e mi accorgo che anche quest’oggi la sveglia non mi serve.
Nonostante ciò attendo ancora un po’ a letto, ascoltando l’eventuale rumore di
pioggia all’esterno, e così arrivano le 03.30 e con loro il suono sia della sveglia,
che del cellulare, e le maledizioni della Sonia che per la verità subito dopo si
corregge e mi augura buona fortuna.
Mi ritrovo così in cucina bello sveglio e già nervoso. Accendo il gas e
preparandomi un caffè, riempio anche il termos di altri 12 caffè in previsione,
vista l’ora, della difficoltà di trovare già qualche bar aperto per strada. Faccio un
po’ di colazione ed esco per prendere l’auto (già carica dalla sera di tutto) ed
andare a recuperare Max a Porcia. Fatto questo, convergo da Gig dove subito
dopo arrivano Claudio e Renè. Siamo al completo, saluti frettolosi con tutti,
strette di mano e pacche sulle spalle, solito trasbordo nell’auto di Franco/Gig (lui
sa che a me piace guidare in queste occasioni) e partenza verso Maniago per
recuperare gli ultimi due.
Ore 04.45
Maniago. Salutiamo Valter e Nino e dopo un abbraccio alla moglie di
quest’ultimo (Oliva, ma per me Olivona!), che con il suo tono di voce similburbero mi dice “potevo fare a meno di salutarvi?”, partiamo verso il Cadore.
Abbiamo circa due ore di strada, o poco meno, e durante tutto il tragitto
Max (in auto con me, Gig e Renè), si diverte a farci preoccupare dicendo di
vedere nuvoloni e lampi dappertutto. Ad un certo punto lo mando a quel paese e
contemporaneamente sento lui e Gig che, dietro, ridono come disgraziati. Ci
sono caduto ancora. Dopo un po’ però, decido di approfittare dell’occasione e
prendendo spunto da ciò e rivolto a Renè faccio: “porca miseria, ..adesso l’ho
visto anch’io un lampo....”.
Renè salta sul sedile gridando: “dove.. dove?”.
E noi giù a ridere come dei bambini.
Questo è il clima che si crea ogni volta ci troviamo, di grande complicità e
allegria.... semplicemente.....
...mi piace partire a quest’ora. E’ bello muoversi quando il mondo è ancora
addormentato; correre per strade deserte al ritmo che vuoi tu... solo con gli amici,...
e nessuno che può turbare l’intima armonia che puntualmente si ricrea.
Viaggiare nella notte e con lei guardare l’alba che sorge all’orizzonte aspettando
che il primo raggio di sole sufficientemente basso illumini uno dei picchi verso cui stai
andando. Veder emergere dalle ombre notturne prima le nuvole, poi i monti e tutto il
resto subito dopo. E’ una delle cose più importanti e che più apprezzo di questa
compagnia: saper partire prestissimo per diminuire il rischio di mal tempo... ma
anche per godere di queste cose.....
...stiamo salendo la valle del Piave verso Pieve di Cadore, quando la
macchina di fronte, con a bordo Nino, Valter e Claudio, si ferma a destra
all’improvviso.
Immagino debbano dirci qualche cosa, ed invece vedo Claudio che si fionda
sulla scarpata al margine della strada e comincia a rigettare. Questo non ci
voleva. Dopo un po’ mi avvicino gli passo una salvietta di carta e una pacca sulla
spalla. Per fortuna sembra riprendersi ed allora gli verso un goccio di caffè nero
per sistemare lo stomaco.
Per fortuna Claudio recupera e, salendo alla guida dell’auto di Nino, riprende
a fare strada. Speriamo non abbia problemi durante la marcia.
Ore 06.20
Siamo a San Vito di Cadore (m. 1010) e giriamo su per la strada che porta al
rifugio Scotter-Palatini (m. 1580) nostro punto di partenza. C’è una strada che
viene chiusa dopo le 7.00, ma siamo in abbondante anticipo e in poco tempo
raggiungiamo il rifugio mentre una lepre ci taglia la strada.
La luce sta aumentando e con soddisfazione vedo che il tempo butta al bello
o comunque sembra sufficientemente stabile.
Appena arrivati ognuno si dedica alle proprie funzioni corporali (il rifugio è
ancora chiuso e ci si arrangia); anch’io faccio la mia parte ma, mentre sto
finendo l’operazione, mi accorgo di Nino che alla mia destra sta scattando una
foto.
Per fortuna mi guarda e dice ”niente da fare Mauro ...troppo buio…” ...e ci
mancherebbe !.
Nino è incredibile, non riesce ad andare avanti se non fa foto a raffica. Il
problema è che usa una macchina di quelle digitali e quindi ....sapete quante
foto tiene una digitale?....cento! ...Cristo... e non ne lascia nemmeno una.
Tu puoi fare un’escursione di nove ore o una di tre, lui comunque fa cento
foto!
Il bello è che durante tutta l’escursione io e Claudio, per scherzare e
prenderlo in giro, ad ogni occasione possibile gli facciamo... ”Nino… però qua
potresti farci una foto”.
E lui?... indovinate...? si incazza?... macché... la sua risposta è... ”Pronti…”.
E così dobbiamo anche metterci in posa... pazzesco!.
Ore 06.45
Si parte! Renato e Gig mi dicono “Mauro vai avanti tu che hai il passo
giusto…”.
Con piacere! Cominciamo a salire per il ghiaione, senza seguire il sentiero
usuale, ma procedendo un po’ a vista; d’altra parte cambia poco, il terreno e
ugualmente transitabile senza fastidi. Inizio a camminare ad un passo molto
tranquillo, anche perché la pendenza è niente male; ascolto gli amici dietro di
me e sento che a turno ridono e scherzano, sintomo che il passo che sto
tenendo è quello giusto.
Solo Franco-Gig è un po’ taciturno. Per la verità anche in macchina non era
molto loquace. Lo conosco, segno che è un po’ preoccupato probabilmente per
un allenamento approssimativo soprattutto per questo dislivello.
Claudio lo vedo e sento bene e questo mi rincuora, stiamo andando bene.
Dopo circa venti minuti di salita, mi fermo. Tutti mi guardano e io faccio
notare, dall’altra parte della valle del Boite, il monte Pelmo illuminato dal sole
nell’aria offuscata ancora dalla penombra, ma già con la classica colorazione
rosa.
L’altro anno in questo periodo ed a quest’ora eravamo là a salirlo, con
successo.
Speriamo vada anche oggi altrettanto bene. Poco più su incontriamo anche
un branco di sei, sette camosci che dall’alto, e con la caratteristica noncuranza,
ci osservano procedere.
Ore 07.55
Siamo a forcella Piccola (m. 2120). Poco più di un ora per fare 540 metri,
non male. Siamo a circa 1/3 del dislivello e facciamo la prima sosta per bere e
sgranocchiare qualcosa. Vedo tutti tranquilli e senza alcun problema.
Comunico al gruppo che appunto un terzo del dislivello se ne è andato, ma
so benissimo che questo era il tratto più facile ed abbiamo ancora 1160 metri
davanti e soprattutto con tutte le difficoltà tecniche.
Nino… indovinate cosa fa?? ...esatto... delle foto ricordo!!
Ci dice ...”dai ragazzi, tutti assieme per una foto... veloci”.
E noi di rimando.....”dai Nino... più tardi... più su... abbiamo tempo…”.
”Dai solo una...stiamo un attimo”.
E allora cosa fai? Questo qui e come un pitbull, non ti molla neanche a
morire.
Quindi... rassegnazione, testa bassa, e... tutti in posa a forcella piccola.
Click!
Girando lo sguardo attorno si nota il sentiero che inoltrandosi a nord, nel
ventre della montagna, imboccheremo tra poco e dietro di noi le grandi pareti
verticali di cima Bel Pra (m. 2917) e cima Scotter (m. 2800).
Il tempo continua a tenere anche se ad est, dalla Val D’Oten alla testa della
quale si trova il rifugio Galassi, si cominciano a vedere alcune formazioni
nuvolose che, dopo il riposo notturno, cominciano a salire verso il posto che
compete loro.
Dopo la sosta ed esserci rifocillati, imbocchiamo il sentiero che si inoltra nel
gruppo, dirigendosi prima verso i Becet e poi piegando a destra sul ghiaione
d’accesso giunge sotto la Bala.
Riparto in testa e iniziando a salire noto altra gente che sta procedendo
davanti a noi.
Buon segno, sia per la sicurezza che semplicemente per l’aspetto
psicologico. Un gruppo, saranno cinque-sette è avanti di circa 30/40 minuti,
mentre altre quattro-cinque persone ci precedono di poco.
Stiamo salendo da circa dieci minuti e noto che dietro nessuno apre bocca.
Considero il passo che sto tenendo... no... non c’entra. Tutto ok allora. Sto a mia
volta in totale silenzio con il solo esile rumore dei bastoncini da cammino ad
intervallare questo momento.
Sto pensando come possa succedere. Che contemporaneamente tutti
sentano il bisogno di interrompere momentaneamente gli scherzi e le prese in
giro per ascoltare se stessi e la montagna?.
Sento dietro di me Claudio che nemmeno mi avesse letto nel pensiero
sottovoce fa ”però Mauro... bello!!”.
“Bello cosa...” rispondo.
”Che tutti stiano zitti ad ascoltare...”. Incredibile??? No... Claudio!
Continuiamo a salire ed incrociamo due del secondo gruppo che si fermano,
ci fanno passare e, su nostra sollecitazione, comunicano che lasciano perdere.
Evidentemente erano venuti a fare solo una sgambata.
Adesso siamo avvolti da una nebbiolina che sale dalle valle ma questa non
preoccupa, anzi, rende più suggestivo questo tratto altrimenti un po’ noioso.
Dopo un po’ ne usciamo e guardando alla testa del ghiaione vedo l’altro gruppo
già sotto la muraglia della Bala. Fra una ventina di minuti ci saremo anche noi.
Certo che visto da qua il salto di roccia che saliremo per delle strette ed esposte
cenge fa impressione.
Ore 08.55
Alla fine del ghiaione (m. 2490). Sosta! Due ore e dieci minuti di salita, 910
metri percorsi, 690 ancora da percorrere, perfetto. Nessuno da grandi segni di
fatica. Ci sediamo a riposare una decina di minuti.
Abbiamo raggiunto gli altri due del primo gruppo. Scambiamo qualche parola
ma non mi sembrano particolarmente convinti di proseguire (meno male, non li
vedo gran che bene… uno zaino in due (?!?), già affaticati,… difatti in seguito
non li vedremo più).
Continuo a guardarmi intorno, con la paura di notare dei segnali di
peggioramento del tempo, ma anche sotto questo aspetto quello che vedo mi
tranquillizza. Guardo tutti i compagni per scorgere eventuali segni di
preoccupazione, ma non vedendone mi tranquillizzo a mia volta. D’altra parte
adesso comincia il bello. Ad essere sinceri solo Gig e Renè non li vedo proprio al
massimo. Sicuramente perché anche loro non hanno fatto gran che ultimamente
ma, conoscendone la grinta, non mi preoccupo più di tanto! Un momento...
dov’è Nino?... click! No, no... tutto a posto!
Ore 09.05
Ripartiamo e cominciamo a scalare in senso stretto l’Antelao. Ci inerpichiamo
per le cenge della Bala grazie alle quali monteremo sulla cresta nord del monte.
I passaggi non sono assolutamente difficili, ma la prudenza ed alcuni tratti
esposti ci obbligano a mettere le mani sulla roccia...
…bellissimo… quando comincio a toccare la montagna con le mani cambia tutto.
Prima, camminando ero un ospite, magari gradito, ma sempre estraneo. Quando
invece la tocco, ne divento l’amante!. La tranquillizzo sulle mie buone intenzioni e
apprezzo la sua disponibilità. Il tocco è una cosa fondamentale per trasmettere delle
vibrazioni; ci credo in maniera assoluta. Non esistono persone cui voglio bene che io
non tocchi per questo motivo. Anche questa è una delle cose che stiamo perdendo.
Io abito in un condominio di 32 appartamenti e, specie d’estate, mi capita spesso
di veder rincasare i genitori cui i figli vanno incontro per salutarli. Ebbene il più delle
volte è un saluto verbale seguito da una fugace carezza. Perché nessuno o quasi
sente il bisogno di abbracciare suo figlio o di camminarci assieme per un po’ di strada
stringendolo sotto braccio? E’ li, in quel momento, che uno sente se e quanto gli vuoi
bene. E’ li che ci si trasmettono dei messaggi corporali che non hanno bisogno di
traduzioni… è li che ci si “sente” veramente.....
...dopo un po’ arriviamo in cresta e da qui in poi sarà solo roccia.
La prima cosa che faccio appena uscito dall’imbuto del ghiaione che ci ha
impegnato per più di un’ora è quella di verificare tutto attorno come si sta
muovendo il tempo (sarà la mia ossessione per tutta la giornata).
Vedo tutte le cime che conosco avvolte nelle nuvole, Pelmo compreso, ma il
rimanente cielo è sgombro da corpi nuvolosi per cui, a questo punto, comincio
ad avere più fiducia di portare a termine la salita. Mi chiedo se per caso sia io ad
essere troppo apprensivo o prudente ma poi, dando un’occhiata alla laste, a
quanto siano ripide, alla necessaria prudenza con la quale vanno percorse e,
soprattutto immaginando come potrebbero essere da bagnate, mi rispondo che
sono solamente attento ai reali pericoli della montagna. Guardando in su vedo
che anche l’Antelao è incappucciato e mi rendo subito conto che il panorama
dalla cima oggi ce lo sogniamo. Non importa. Basta arrivarci. Soprattutto,
almeno da qua, non c’è traccia di neve… molto bene!
Saliamo lungamente per la cresta e per la prima delle due laste, la meno
ripida ma egualmente bellissima. La roccia e abbastanza pulita, ha parecchio
grip e quindi, grazie anche ai bastoncini saliamo sicuri. Seguiamo gli ometti che
fanno da traccia, ma potremmo anche andare a vista. In alto scorgiamo il primo
gruppo che già ci precede sulla seconda lasta. Adesso cominciamo anche a
sentire la fatica e la levataccia. Siamo in piedi da sette ore oramai e dopo due
ore di macchina abbiamo fatto più di mille metri di dislivello.
Mi sembra normale.
Dopo un po’ arriviamo al crepaccio di roccia che immette sulla parte
superiore delle laste. Lo superiamo arrampicando agevolmente prima in discesa
e poi in salita, e continuiamo a salire a testa bassa. Adesso ognuno cerca di
risparmiare fiato ed energie e i dialoghi sono ridotti all’osso......
...salendo in silenzio e con la fatica che fa da ammorbidente, come al solito mi si
presentano una serie di considerazioni che non riesco ad evitare.
Emerge chiaro, per esempio, che a differenza dei giorni precedenti oggi non ho
ancora avuto un solo accenno di ansia, che invece mi perseguita normalmente.
Penso spontaneamente che il merito di tutto sia della montagna e delle sensazioni
che mi trasmette. La contrappongo in questo senso alla pianura con i connotati
negativi che invece addebito a quest’ultima, ma non in quanto tale. Solo come
emblema della società e della cultura che racchiude.
Mi sembra infatti che, tanto più salgo in quota, tanto più mi allontani dai miasmi
della nostra società e dal nostro approccio consumistico alle cose; rivedo tutti gli
aspetti negativi del mondo moderno che mi ha in ostaggio e le stesse caratteristiche
delle persone, che nulla fanno per tentare quanto meno di contrapporsi a questo
meccanismo perverso.
Mi pongo delle domande a cui non avrò mai risposta e, per esempio, penso
perché laggiù si spendano con la stessa facilità i denari ed i sentimenti. Come mai la
gente pensi solo ad arricchirsi nel portafogli piuttosto che nell’anima perché oramai
nessuno sia più capace di ascoltarti, o di farsi ascoltare...
Chi ha ancora il coraggio di parlare e di dire veramente quello che pensa?. E chi
ha l’intelligenza per pensare a quello che dice?. Sono/siamo tutti schiavi delle
convenzioni che danno risposte a tutte le nostre domande cosicché non abbiamo
nemmeno bisogno di pensare. Siamo relegati in un lager tecnologico in cui siamo noi
oramai ad essere utilizzati dalla tecnologia e non viceversa come dovrebbe essere.
Nessuno ha più il coraggio di dire qualcosa per paura di essere frainteso o di
uscire dagli schemi, per evitare di sentirsi diverso. Viviamo perennemente una
condizione di anoressia relazionale... parliamo con tutti... tutti parlano con noi, e
nessuno trasmette veramente qualcosa. Quando parli tutti ti sentono ma nessuno ti
ascolta, c’è una bella differenza. Poi, alla sera, siamo contenti di non aver offeso
nessuno, di non essere stati impulsivi, di aver fatto la nostra parte al lavoro, di non
essere stati intransigenti o scontrosi, di aver mediato dove potevamo, ecc..; e così
nessuno si rende conto che grazie a questa necrosi intellettuale ha perso l’unica cosa
che contava: la sua unicità!
Abbiamo perso il senso del soggettivo. Non siamo più capaci di vivere emozioni
nostre, che non siano a loro volta riconducibili alle convenzioni (matrimonio, laurea,
fidanzamento…). In tutti i settori ci rapportiamo con il falso storico dell’oggettivo;
...l’oggettivo non esiste; è una situazione di comodo che le convenzioni ci
permettono di utilizzare. Se solo contestualizziamo, per esempio, l’oggettivo del
medio evo e lo trasliamo ai nostri giorni... scompare come neve al sole... la stessa
fine che farà l’oggettivo odierno tra cinquant’anni!.
Possiamo pensare di vivere i nostri giorni e le nostre emozioni rapportandoci a
delle valutazioni oggettive...a per piacere! Chi lo fa è solo per l’incapacità morale di
mettersi a nudo delegando alle consuetudini e al comun pensare, il suo modus
vivendi. Viviamo in un mondo opulento, ma nessuno si preoccupa della miseria
dell’anima... certo per farlo bisognerebbe vederla... e nessuno ci riesce con le
premesse di cui sopra.
Quindi… forse, qui in montagna... più che cercare qualcosa, mi aiuta anche quello
che non trovo.
Ecco perché a volte cammino da solo.. .non è il massimo della sicurezza... lo
so... ma mi serve. Devo vedere se ho ancora il coraggio di parlarmi senza ipocrisie e
di confrontarmi con l’ideale di vita che avevo vent’anni fa. E non come più spesso
accade, crearmene uno nuovo sulla base di quello che sto facendo.
Devo sentire se nonostante tutti i sensi di colpa e i dubbi subiti a mia volta per la
cultura che anche mi appartiene, mi piaccio ancora… e per far questo devo essere da
solo.
...siamo alla seconda delle laste e qui il pendio si fa più ripido ed esposto;
procediamo ad attrito sulla roccia ruvida. Ogni tanto mi giro e controllo la
situazione. Vedo che tutti procedono abbastanza compatti anche se si notano i
segni della fatica. Gig e Renato sono tra i più provati ma tengono bene.
Nino e Valter chiudono la fila ed allora ogni tanto, girandomi verso Claudio
che mi segue come un ombra, comunico che non è il caso di lasciare Nino e
Valter per ultimi, cosicché o Claudio stesso o Gig o Max provvedono a rimettere
al centro i nostri due amici un po’ meno esperti.
Ore 10.40
Alla fine della seconda lasta ed un indicazione segnala che, a sinistra rispetto
alla direzione di marcia, ci troviamo in prossimità del bivacco Piero Cosi (m.
3111). Quattro ore circa di cammino, 1530 metri già fatti, 170 circa da fare.
Caspita, siamo proprio a buon punto. Sono contento perché oramai non
dovremmo avere più problemi a raggiungere la vetta, ed il tempo continua a
tenere.
Anche io sto ancora molto bene fisicamente, sento le gambe un po’ dure.
Immagino che alla fine sfioreranno i crampi ma non potevo pretendere di meglio
considerato che negli ultimi trenta giorni ho fatto solo un escursione da mille
metri di dislivello. Oltretutto sono partito con un dubbio riguardo al polpaccio
destro, leggermente infortunato la settimana prima, ebbene....nessun problema.
Il bivacco si trova dietro uno spigolo di roccia, abbarbicato alla montagna
come un nido d’aquila. Vorrei ripartire subito dopo aver bevuto qualcosa, ma ...
indovinate... esatto!... si può passare di qua senza fare una foto di gruppo
davanti al bivacco?... a dire il vero si potrebbe... se non ci fosse Nino!!...
quindi... amici all’ingresso del bivacco... click!.
Stiamo per ripartire, guardo Renè, ci scambiamo una strizzata d’occhio e un
cenno d’assenso con la testa. Di sorridere non se ne parla più... non adesso...
troppa la fatica!
Decido che non possiamo perdere tempo oltre, e con un ”signori...
andiamo!” ci rimettiamo in marcia. Sono sempre alla testa del gruppo ed
alzando lo sguardo vedo che a circa cinquanta metri da noi cominciano le nuvole
che avvolgono da stamani la vetta; stiamo per entrarci e...
.....il capo gita si guarda attorno, scruta il cielo e respira il vento carico di
nevischio che ci turbina addosso; fa freddo e la visibilità non è delle migliori.
Dopo aver soppesato la cosa e gettato un ultimo sguardo alla direzione verso la
quale si trova la vetta, oramai non più visibile, si gira verso il gruppo del quale è
responsabile e decide di ritornare giù.
E’ il 28 luglio 1991, sono cinque minuti di cammino sopra il bivacco Cosi (m.
3111), sto salendo l’Antelao aggregato ad un gruppo del CAI di Spilimbergo ma,
dopo aver dormito al Rif. Galassi (m. 2018), siamo partiti troppo tardi, alle 08.30.
Complice anche la neve trovata sulle laste siamo in ritardo sulla tabella di marcia e
causa il maltempo stiamo per abbandonare la salita. Questa è la mia prima
escursione di un certo livello, il primo tentativo ad un tremila e quindi, nonostante la
grande amarezza, la grande vicinanza alla cima e un timido accenno alla possibilità di
tentare comunque, non mi sogno nemmeno di discutere la decisione del capo gita e,
seppur a malincuore, ridiscendo con attenzione la cresta innevata della montagna e
ritorno a valle…
...memore di quella prima esperienza ora sono soddisfatto e sicuro che a
questo punto nessuno potrà togliermi questa soddisfazione. Oltretutto
ingigantita dal tempo trascorso, dall’essere con gli amici e dall’aver proposto e
guidato questa escursione. Aver guidato ovviamente non è esatto. Nessuno
aveva bisogno di essere aiutato a salire fin qui ma a me piace pensare che
invece tutti si siano sentiti un po’ più sicuri, sapendo con quanta cura e
meticolosità programmi le escursioni.
Devo dire che lasciarmi condurre la salita è un gesto che ho molto
apprezzato proprio perché nato, non solo e comunque in parte, per l’aver
studiato la cosa, ma soprattutto per il sapere quanto tenessi a questa cima.
Vedo Nino pronto per ripartire e gli faccio i complimenti per come sta
andando; lui si schernisce ma… Cristo… non e che ne capisca ancora molto di
montagna… e non si rende conto di che progressi abbia fatto dall’altro anno sul
Pelmo, lui e Valter. Bravi davvero.
Ricominciamo a salire ed incontriamo dei salti di roccia che ci costringono ad
arrampicare. Alcuni raggiungono sicuramente il II grado e obbligano alcuni di noi
ad impegnarsi al limite. Gig ha sempre più problemi di crampi alle gambe ma
non molla. Non lo farebbe mai... non qui a 100 metri dalla cima!
Renè anche soffre la stanchezza e l’altitudine ma mi sembra abbia ancora
qualche goccia di benzina
Nino alla grande atleticamente (60 anni e probabilmente è il meno stanco di
tutti), qualche problemino a livello tecnico, ma comunque sopra le aspettative.
Così anche Valter, l’unico che è venuto su - anziché coi gli utilissimi
bastoncini - con un bastone di legno che forse era meglio tenere per i funghi…
comunque… contento lui… oltretutto messo così mi sembra Mosè!.
Claudio… niente da dire... tranquillo, allenato, tecnicamente adeguato
all’impegno... di lui ho potuto scordarmi durante l’escursione sapendolo senza
alcun problema ma, anzi, potendoci contare in caso di necessità.
Massimo infine... come per Claudio non da alcun segno di cedimento, anzi ti
sorride aperto quando lo guardi.
Andiamo quindi verso il nostro obiettivo, in mezzo ad una nebbia sempre più
fitta. Il percorso comunque è abbastanza ben segnalato anche se verso la cima
le nuvole si infittiscono ancora di più creando qualche problema.
Ore 11.20
IN VETTA. Siamo quasi arrivati, a questo punto è fatta. Nessuno può più
sbagliare strada. Mi isolo aumentando appena il passo e giungo in vista della
cima dove intravedo tra la nebbia il gruppo che ci precedeva.
...come immaginavo sono al limite dei crampi in entrambe le gambe, ma
oramai... avanzo nel silenzio e dopo un ultimo salto di roccia, faccio il passo che mi
permette di raggiungere la vetta dell’Antelao.
Saluto appena con un gesto del capo le persone in cima e rimango in piedi, in
silenzio nelle nuvole, a godermi il momento. Un attimo, da solo. Mi ascolto e sento
una strana sensazione, sicuramente non di trionfo. Anche qui, per l’ennesima volta,
mi accorgo di non aver conquistato niente.
Non nel senso che si intende solitamente. Ancora una volta, ma questa in
maniera cristallina, mi accorgo che quella volta non aveva vinto Lui, come ora non ho
vinto io… solamente non era ancora il tempo di conoscerci...
...dopo poco mi volto e, con ancora lo zaino addosso, vedo arrivare Claudio
che mi porge la mano e con il quale ci abbracciamo ancor prima di congratularci.
Da adesso e per dieci minuti si susseguono gli arrivi degli altri con i quali
aumentano i complimenti e le manifestazioni di gioia in maniera proporzionale al
numero dei componenti. Adesso possiamo rilassarci. Ci sediamo sulla piccola
cima e cominciamo ad offrirci reciprocamente qualche cosa da mangiare mentre
continuiamo, stante la grande gioia, a sparare cazzate e battute a raffica.
Pensandoci adesso, posso immaginare cosa devono aver pensato quelli
dell’altro gruppo, con tutto il casino che abbiamo fatto. Siamo tutti veramente
molto felici ed anche stanchi. Ma la soddisfazione e veramente grande, anche se
il panorama è nullo. Signori: …1700 metri di dislivello! …Complimenti a tutti!
Come diceva la guida?: ...soddisfazioni: escursione in grandioso ambiente
alpino... appunto!
Alcuni estraggono dallo zaino il cellulare, sino ad ora rigorosamente spento,
ed approfittando del fatto che c’è segnale, chiamano casa per avvisare della
riuscita. Guardo l’orologio. Quasi mezzogiorno, sarebbe l’ora giusta... ma non
chiamo a mia volta. Di solito lo faccio quando sono completamente fuori dal
difficile, ed in questo caso quando saremo fuori dalla cresta, di nuovo sul
ghiaione di stamani.
Dopo esserci rifocillati, io comincio a sentire un po’ l’altitudine che, abbinata
allo sforzo e probabilmente ad un po’ di disidratazione (ho bevuto solo un litro in
quasi cinque ore), mi fa girare la testa. Anche Renè mi confida avere gli stessi
problemi. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che siamo a 3264 metri sul
livello del mare, che tale dislivello e stato compiuto in sole otto ore totali
(viaggio in auto compreso) e che a quest’altezza abbiamo una pressione dell’aria
ridotta, rispetto alla pianura, di circa il 25%. Il che vuol dire che seppur la
percentuale di ossigeno nell’aria e sempre del 20%, essendo questa più rarefatta
(per la minor pressione), alla fine ad ogni inspirazione, comunque inaliamo il
25% di ossigeno in meno di quanto eravamo abituati a fare stamattina e senza
gli sforzi della salita.....
...la vetta è sempre un’emozione particolare. Quando raggiungi una cima,
comunque provi delle sensazioni difficili da spiegare. Sei in cima al mondo, non puoi
più salire, hai fatto il massimo che potevi (vedi la competitività nascosta?). Guardi
giù e magari vedi il posto da cui sei partito e ti sembra impossibile aver fatto tutta
quella strada.
Respiri l’aria rarefatta, guardi le altre vette e magari il mare di nuvole sotto di
te.
Apprezzi i caldi raggi del sole, magari ti siedi o stendi ad occhi chiusi e…
fantastico… riesci a non pensare a niente. Senti solo il tuo cuore che batte in
sincronia col respiro.
Sei il più grande di tutti e contemporaneamente ti accorgi di non essere
nessuno. Quella montagna e lì da milioni di anni e fra milioni di anni lo sarà ancora e
tu? ...come fai a non considerarti una parte infinitesimale di questo universo,....
come puoi pensare di essere migliore solo perché hai appena ottenuto un aumento o
una promozione? ...non ci sono però solo le cime.
Io sono dell’idea che anche in montagna, come nella vita, bisogna comunque
saper godere di tutte le esperienze possibili, e quindi anche qui non si possa ricadere
nell’errore che commettiamo sempre di cercare a tutti i costi il meglio o il più difficile
o il più raro. Anche questa è una distorsione della nostra società industriale moderna
che, pur con tutti gli aspetti positivi che ci ha regalato, ha creato l’anomalia del
consumismo esasperato oltre che, ed è quello che ci interessa adesso, un agonismo
esasperato.
Ci insegnano infatti, apertamente od in maniera subliminale, a dover produrre
dei risultati sempre più importanti, a ricercare il successo spasmodicamente, ad
essere i migliori, a guadagnare il più possibile per poter essere considerati il meglio
possibile.
Ad essere quello che compriamo, ad avere il cellulare all’avanguardia, a fare
ogni anno almeno una vacanza all’estero ma per raccontarla più che per viverla.
Quando ci incontriamo è spesso solo per discutere di queste cose o per
mostrarci la nuova macchina o l’ultimo palmare ecc.; così facendo abbiamo perso la
capacità di dare il valore alle cose o meglio, lo facciamo ancora rapportandolo però al
costo.
Tutto questo non mi appartiene minimamente, lo detesto!.
Non voglio sembrare un illuso o meglio un utopista ma faccio veramente mia la
frase del “Piccolo Principe” di Antoine De Saint-Exupéry, uno dei libri che ognuno
dovrebbe aver letto almeno una volta nella vita: “...non si vede bene che con il
cuore… l’essenziale è invisibile agli occhi...”. Non è vero? Qualcuno ha il coraggio di
venirmi a dire che le cose che più ha nel cuore, che gli sono più care, alle quali si
aggrappa quando non gli bastano più le ugie quotidiane”, non sono quelle che non
puoi comperare?. E allora cosa ce ne facciamo di tutte le cose materiali possibili, di
tutto il denaro che potremmo mai guadagnare.
Con i soldi puoi comperare un letto ma... non il sonno. Puoi acquistare dei libri
ma… non la cultura. Puoi compensare un dottor ma… non acquistare la salute. Puoi
pagare il sesso ma… non l’amore.
Ed ecco anche perché amo questi amici. Perché inconsciamente a loro volta
disattendono molte di queste incongruenze moderne, perché anch’essi sanno vedere
ancora oltre che guardare.
Quando penso a quello che ho appena scritto mi rendo conto che il tutto a
saperlo interpretare è racchiuso nella frase che ogni tanto il buon Gig tira fuori,
senza nemmeno rendersi conto di che spessore abbia nel contenuto. Con riferimento
al nostro modo di essere: “pochi schei… ma tanta rider”, ...“pochi soldi… ma tanta
allegria”.
Lo capisci Franco cosa stai dicendo? E’ tutto lì… non c’è altro. Ma non è semplice
come sembra. Bisogna avere il coraggio di avere pochi soldi e soprattutto la capacità
di rider tant lo stesso… e farlo con le persone giuste. Molto più difficile che andare
sull’Antelao!
Ho un po’ divagato, come sempre mi capita quando vado a ruota libera ma solo
per trasmettere l’idea che nessuno deve, pur sapendo salire l’Antelao, perdere la
capacità e la voglia di percorrere un semplice sentiero a fondo valle e goderne le
bellezze. In quel sentiero potresti trovare una salamandra con le sue macchie gialle
sgargianti che ti attraversa la strada, oppure sentire il vento insinuarsi tra gli alberi
chiedendo strada, o magari incontrarti a quattr’occhi con un capriolo, o bere un sorso
d’acqua da un ruscello che scende ridendo verso valle. Tutte cose che sull’Antelao
non esistono!
Ecco perché non dobbiamo rassegnarci ad impoverirci nell’anima.
Anche perché tutte le cose di cui ho parlato ed in maniera negativa, riguardanti
il nostro modo di vivere moderno, io le vedo anche in montagna! Anche qui trovo
qualcuno che valuta quello che sta facendo dall’altitudine che raggiunge o dal grado
di difficoltà tecnica che sta scalando. Anche qui sento gente che minimizza tutto
quello che stai per fare tu se è già stato fatto da lui. Anche qui vedo gente schiava di
quel consumismo e quella competizione di cui parlavo prima. Così ogni vetta è un
aggiungerne un’altra alla collezione, ogni salita va raccontata più che vissuta e così
possiamo fare le graduatorie anche qui. Alla base gli escursionisti che camminano nei
fondovalle, poi quelli che riescono a fare maggiori dislivelli, poi chi riesce a passare
alle ferrate, poi chi arrampica, poi chi fa sci-escursionismo, cascate di ghiaccio ecc…
in una gara con nessun vincitore, ma soli vinti!
Ecco perché cammino bene con questi quattro deficienti. Deficienti però nel
senso di essere carenti di qualcosa… dell’egoismo, della cattiveria, della superficialità,
dell’invidia. Eh sì… sono proprio deficienti!
...siamo quindi in vetta! Sono molto soddisfatto, ma stranamente un po’ più
taciturno del solito.
Qualcuno se ne accorge e mi fa: ”Mauro… sei silenzioso…”.
”No, sono contento… tutto bene…” rispondo semplicemente, gli basta!
Probabilmente sto scontando tutte le preoccupazione ed i timori (adesso posso
dire immotivati) per questa escursione. Anche solo ieri sera, a Pordenone,
mentre prendevo un aperitivo con la Sonia, non c’ero con la testa (scusa Sonia),
ma ero preso da tutte le possibili variabili di quest’escursione.
Ramponi sì, ramponi no. Ghiaccio sì, ghiaccio no. Tempo stabile o incerto.
Escursione alternativa da studiare… e così oltre a rovinarci l’aperitivo ho anche
trasmesso alla Sonia le mie titubanze, preoccupandola oltre il dovuto.
Comunque dopo un po’ di tempo e le solite foto di vetta, a proposito… anche
Nino ne approfitta per farne almeno una decina… non si sa mai (e non c’è un
briciolo di panorama!).
Decidiamo che è ora di muoverci sia perché qui stiamo cominciando a
prendere freddo, sia per i nostri 1700 metri di discesa che ci aspettano e per i
quali calcolo con approssimazione tre ore e mezza di tempo.
V
*******
Ore 12.00
Incominciamo la discesa. Dopo esserci riposati e parzialmente rilassati,
cominciamo, sempre tra le nuvole, a scendere.
I passaggi che prima, in salita, si erano rivelati parzialmente ostici per
qualcuno, in discesa, come logico, accrescono la loro difficoltà. Su suggerimento
di Max e utilizzando uno spezzone di corda che Claudio ha nello zaino,
attrezziamo qualche passaggio per facilitare la progressione.
Questa cosa, assieme alla fatica, ed al continuare a procedere nella nebbia,
ci rallenta notevolmente, tanto che dopo un ora di discesa, guardando
l’altimetro, mi accorgo che abbiamo percorso solamente 100 metri! Poco
importa, stiamo andando secondo le nostre capacità, abbiamo già fatto il più e la
prudenza che appartiene a chiunque sappia andare in montagna ci impedisce di
compiere delle leggerezze.
Dopo queste difficoltà ed una volta usciti dalla nebbia, continuiamo a
scendere dalla lasta superiore verso valle. Ad una svolta io e Max, che stiamo
procedendo per ultimi, sentiamo dei grugniti di dolore. Preoccupati ci facciamo
avanti e incontriamo Claudio che ci mette al corrente che Gig ha un attacco di
crampi e deve soffrire parecchio. I crampi sono una brutta cosa; di solito ti
assalgono in salita ma anche la discesa soprattutto quando sei particolarmente
provato, non ne è esente. Mi avvicino al vecchio Franco e mentre gli altri
proseguono chiedo a Max se ha dell’acqua. Trovata, ne versiamo un quarto di
litro circa in una bottiglietta di plastica vuota e ci verso dentro una delle pastiglie
di magnesio e potassio che porto sempre con me per emergenze di questo tipo.
In effetti è un po’ tardi per intervenire ma il liquido, più circa 300 mg di
potassio e 150 mg di magnesio, sicuramente qualche cosa faranno. Franco beve
avidamente la pozione e rinfrancato un po’ anche nello spirito (dove li trovi
Franco degli amici che si preoccupano così per un vecchio brontolone come te?),
ricomincia piano a scendere.
Come dicevo sto scendendo per ultimo e dall’alto oltre che il panorama
(oramai siamo completamente fuori dalle nuvole) vedo anche tutti gli altri che
mi precedono alla spicciolata, ognuno col suo passo, ma tutti con grande
attenzione e prudenza. Bravi!… non è questione di eccessivo timore, solo che…
mille stupende escursioni… non valgono una sola disgrazia!
Li vedo tutti e tra gli altri emerge la figura di Renato, il grande Renè. Ci sono
poche persone che mi trasmettono positività come lui. La prima escursione
assieme l’abbiamo fatta solo nel 1998 facendo il giro del Popera assieme a
Claudio, suo fratello, ma da allora i ricordi positivi si sono accumulati negli anni…
…Mauroooo! …l’aria rarefatta dei 4000 metri non trattiene il suono che mi giunge
in maniera nitidissima e nonostante la fatica appena compiuta. Sono in vetta
all’Ortles, 3905 metri, è il 25 luglio 1999. E’ la mia prima escursione dell’anno (!) ed
il giorno precedente da Pordenone, siamo arrivati, con il Cai di San Vito al
Tagliamento (prima escursione con loro) ai 3029 metri del rifugio Payer dove
dobbiamo pernottare. Oltre che con Renato e Claudio è la prima volta che cammino
con Franco, anzi è proprio vedendolo scendere qui, dalla scala del rifugio con dei
sotto-scarponi grigio metallizzato, che gli appioppo il soprannome Gig (robot
d’acciaio).
La notte a questa altitudine e senza alcun allenamento precedente sarà tragica. A
metà della stessa infatti sarò costretto a scendere dalla branda in preda ad una crisi
di panico dovuta a fame d’aria per la scarsa attitudine a queste altezze e con la
convinzione di dare forfait la mattina seguente.
Il giorno dopo invece, pur con mille dubbi e dopo una colazione a base di caffè
nero, decido di partire; solo che mi assegnano ad un’altra cordata con due persone
per me nuove, e quindi vivo con ancora maggior apprensione la salita. Dall’altra
parte in cordata ci sono Claudio, Gig e Renato come capo-cordata.
L’Ortles è una grande montagna, che richiede oltre che l’allenamento consono per
escursioni d’alta montagna, la capacità di affrontare il misto roccia-ghiaccio. Quindi
ramponi, piccozza, ma in questo caso anche dei bei passaggi su roccia niente male.
Cosicché, quando arrivo alla cima, sono particolarmente contento e soddisfatto
anche per una giornata meteorologica da incorniciare. Quando però sono in cima da
qualche minuto e continuano a susseguirsi gli arrivi delle altre cordate (alla fine
saranno 10, con 31 persone in vetta!), mi rendo conto che sono con dei compagni
che non sento più di tanto e mentre penso a ciò… Mauroooooo! …il grido del grande
Renatone che da capo-cordata appena arrivato per primo in vetta e vistomi oramai
slegato dagli altri mi chiama a se e mi abbraccia assieme agli altri due per
condividere questo momento!
E’ uno dei ricordi più belli che ho della montagna, caro Renato. Sapessi quante
volte mi è servito per superare qualche passaggio difficile della vita quotidiana. Ma
questo e solo uno dei modi di essere di Renato… che dire di quella volta che, dopo
aver fatto un paio d’ore di palestra di roccia con Gig e mio figlio, mentre riponiamo
l’attrezzatura e notando le tue tre o quattro imbracature, ti chiesi se, nel caso mi
fosse servito, me ne avresti prestata una per portare su da qualche parte mio figlio o
chi altri… e tu?… non solo mi dicesti di si… ma addirittura… “prendila adesso Mauro
…tienila te … fino a che ti serve”… ma con una semplicità, generosità e signorilità che
non hanno riscontri da nessuna parte. Oppure quella volta che nel corso dell’unica
“Pordenone pedala” a cui ho mai partecipato, sapendomi in gara con la mia famiglia
mi hai aspettato per non so quanto tempo sotto l’entrata del rifornimento per
salutarmi e bere una cosa assieme, fermo li sotto il sole… solo per salutare Mauro!
Vedi Renè… queste cose a te vengono spontanee ma il loro valore è immenso, per
chi sa, come me, leggere tra le righe. E quindi che dire… Renato… grazie!
…a dire il vero l’Ortles mi ricorda un altro episodio che ho impresso in maniera
indelebile nella mente. Una volta giunti in cima infatti e vissuto l’episodio appena
descritto, dopo esserci alimentati e una volta legati nuovamente in cordata,
cominciammo la discesa. Ognuno con la cordata della salita e quindi nuovamente
separandomi dagli amici. Come già detto la notte era stata molto dura e altrettanto
la salita che ero riuscito a portare a termine grazie anche alle maltodestrine che
usavo forse per la prima volta. La discesa si rivelò altrettanto massacrante sia per la
calda giornata, che per lo scarso allenamento e per la notte insonne.
Alla fine della giornata il dislivello complessivo percorso in discesa sarà di 1600
metri ma l’episodio che narro si svolge al rifugio Payer (m. 3029) dopo circa 900
metri di discesa.
Dunque, già a questo punto sono praticamente distrutto e camminando in
cordata, o comunque in gruppo con altri, non puoi decidere da solo l’andatura da
tenere. Sto quindi per arrivare al Payer, stanchissimo, assetato e veramente provato
come poche volte. Gig, Renè e Claudio con la loro cordata mi hanno già preceduto e
si stanno rifocillando davanti al rifugio. Mi vedono arrivare con una smorfia di dolore
e molto affaticato. Appoggio lo zaino, mi siedo su una pila di rocce, e comincio a
rilassarmi. Non faccio a tempo a recuperare nemmeno parzialmente lo sforzo che,
come per incanto e grazie agli amici, mi ritrovo in mano un pezzo di grana, uno di
speck, un cracker ed un bicchiere di vino bianco. …ma proprio così eh! ...in venti
secondi… a gara a chi mi passava per primo qualcosa… occorre aggiungere altro?
…no!
…stiamo scendendo da quasi due ore, con il rispetto che merita questa
grande montagna. Siamo già alla fine delle due laste e stiamo per ripercorrere in
discesa le cenge della Bala. Dopo circa un quarto d’ora siamo fuori anche da
queste, di nuovo sul ghiaione di stamani, fuori dal difficile. A questo punto la
sosta diventa l’occasione per complimentarci reciprocamente con altro spirito.
Adesso sì che possiamo dire che il nostro gruppo ha conquistato l’Antelao!
Sono circondato da volti sorridenti…erfetto! Ognuno si rende conto che la parte
tecnica è finita e quindi la gioia che avvolge tutto il gruppo è tanto scontata
quanto corretta. A questo punto posso anche avvisare la Sonia.
Chiamo e appena mi risponde sento che qualche cosa non va…. Chiedo
spiegazioni, tranquillizzo sulla riuscita dell’escursione, ma chiudo la telefonata
non convinto della cosa. Ricominciamo a scendere per il ghiaione ma in testa
continua a passarmi quella sensazione spiacevole provata durante la telefonata
a casa. Mi convinco che possa essere successo qualcosa che mi è stato nascosto
e, seppur in cammino da soli cinque minuti, metto a terra lo zaino, estraggo il
cellulare e richiamo casa. Mentre passa Claudio mi vede e chiede ”cosa succede
Mauro…?”,”non so… non ho sentito bene la Sonia”.
Quando la risento, mi tranquillizzo al sapere che non c’è niente di grave, solo
che questa volta ha vissuto male la cosa, con troppa apprensione, pur
sapendomi con gli amici. Evidentemente la sera prima avevo trasmesso in
maniera troppo evidente le mie preoccupazioni.
Ripreso lo zaino continuo assieme agli altri la discesa che, come sempre,
comincia a dare fastidio ed a fare male. Non c’è niente da fare, è sempre così in
montagna. Tu sali, cammini per ore, vedi panorami stupendi, respiri l’aria
leggera come il tuo animo, ma una volta esaurita l’andata dell’escursione,
quando con già le gambe sature delle tossine della fatica cominci a ridiscendere
e lo fai per ore ed ore, ti chiedi inevitabilmente chi te lo fa fare.
Perché deve farti così male la gamba o il piede. Quando mai potrai dare
tregua ai quadricipiti delle cosce in perenne tensione e avanti così sino al
parcheggio dove, per incanto, il solo levare gli scarponi ed il bere una birra,
faranno svanire tutte queste considerazioni.
Io poi personalmente sono uno di quelli che soffrono di più la discesa; per
me a volte è veramente una sofferenza. Altri invece, come Claudio, la patiscono
meno e così ogni volta seminano il gruppo giungendo per primi alla fine.
Ovviamente questo avviene sempre e solo in prossimità della fine
dell’escursione, quando oramai mancano poche centinaia di metri di dislivello
per chiudere la gita.
Ore 14.45
Siamo di nuovo quasi a forcella Piccola (m. 2120). Stiamo scendendo da
quasi tre ore e mancano circa 500 metri di discesa da compiere. Sono di nuovo
in testa al gruppo e sento che dietro si discute su che montagna sia una di
quelle che si vede all’orizzonte; guardo di quale si parla e faccio un po’ di mente
locale. Mi oriento e capisco che sicuramente non può essere la Marmolada come
Renato ipotizza, non si vedrebbe mai da qua.
Allora faccio ”ragazzi,... quella lì non è la Marmolada… è l’Averau…”. Allora
Renè “cosa?… no lè la Marmolada?….te son tut sbachetà”, …sei tutto fuori…
Sorrido all’espressione così spontanea e simpatica dell’amico e comincio a
ridiscendere senza nemmeno provare a discutere ma non perché sia impossibile
con Renato, solo perché non c’entra niente a questo punto. Sono troppo
contento della giornata per discutere su una cosa senza importanza come questa
anzi, rimettendomi a camminare e con Claudio dietro ripetiamo assieme
sorridendo l’espressione rivoltami da Renato “…te son tut sbachetà…“.
Grande Renatone. Adesso che siamo alla fine sta acquisendo nuovamente la
sua verve e si sta tranquillizzando, cominciando a scherzare e prendere in giro
un po’ tutti come sempre. Tra l’altro sono assolutamente certo che si tratti
dell’Averau. Siamo nella valle del Boite e ci sono poche zone in montagna che
conosco come questa ma, come dicevo, sono stupidate.
Passando incontriamo un escursionista seduto in prossimità del sentiero e,
per chiarire la cosa, sento che dietro qualcuno chiede lumi. Dopo due minuti
sento il Nino che avvicinandosi camminando dietro a me e Claudio fa: ”…sai
Mauro… avevi ragione… è l’ Averau...”.
Rispondo appena riprendendo a sorridere ”...te son tut sbachetà...” …grande
Renè, oltretutto mi sa che ci hai preso!
Ore 15.15
Ghiaione finale: adesso sta minacciando di piovere. I nuvoloni avvolgono
ancor di più la vetta che da stamani non abbiamo più visto. Guardo all’insù e
capisco che bella e severa montagna siamo riusciti a salire. Veramente una prua
di roccia che sfida il tempo e gli uomini, ma che a volte, come oggi, se affrontata
con umiltà e attenzione si lascia sfiorare sino alla cima.
Come al solito mi hanno passato quasi tutti, non solo per la mia andatura
che potrebbe essere anche maggiore, ma perché voglio dedicarmi questi ultimi
momenti dell’escursione. Voglio imprimere nel ricordo le emozioni che mi sono
giunte, assaporare il senso di soddisfazione che sento crescere in me.
Distante e davanti a tutti vedo Claudio che è quasi al parcheggio e lo invidio
ascoltandomi i piedi ma comunque manca poco anche a me.
Ore 15.30
E’ finita! ...siamo tutti al parcheggio! Tre ore e mezza di discesa ma…
soprattutto 8 ore e 45 minuti di escursion! Veramente una grande salita… ancor
di più in giornata e senza pernottare al rifugio Galassi. E’ il più grande dislivello
che abbia mai fatto (1700 metri) e penso anche che, considerato come io sia
(Max a parte) il più giovane del gruppo, gli amici sono stati veramente in gamba
a salire così.
Ci cambiamo ridendo e scherzando e pregustando la birra che ci attende a
breve. Nino giustamente fa qualche foto (vuoi mettere vedere uno che si leva gli
scarponi?). Carichiamo le auto di tutto il materiale ed entriamo allo ScotterPalatini.
Come per dare risalto alla nostra felicita ci accoglie un complessino che sta
suonando degli allegri pezzi di musica popolare. Ci accomodiamo e dopo aver
ordinato le bibite cominciamo, come sempre avviene, a ridiscutere
dell’escursione. E che grande montagna… e che bei panorami… e che fatica la
salita… e che dura la discesa… e quel passaggio non era uno scherzo… e hai
visto dove hanno fatto un bivacco? …e…
...e niente! …qualunque sia stata l’escursione, indipendentemente dalla vetta
raggiunta, al di là della difficoltà tecnica della salita o della fatica compiuta… siamo
sempre lì a magnificare l’ultima impresa. Tutti assieme… a trarre energia dal nostro
comun pensare… a mettere via questi attimi di serenità per i momenti difficili… a
scrutare nei volti degli altri la tua stessa gioia… a scambiarci sorrisi immotivati e
proprio per questo sinceri… così senza altro fine che quello di condividere assieme
agli altri, e così facendo ampliarla, la tua grande soddisfazione.
Con lo stesso spirito con il quale durante tutta l’escursione hai diviso la tua
cioccolata o le noci o i biscotti oppure una bevanda o anche solo la preoccupazione
ed i timori nel procedere… senza la paura di mostrarti… senza il dubbio di essere
frainteso… sicuro di essere capito… apprezzato… aiutato.
Comunque certo di non essere, come sempre avviene, giudicato!…
…arrivano le ordinazioni e nel mentre Nino mi fa vedere il microchip (o come
altro si chiama) che contiene le 100 fotografie della macchina fotografica
digitale, visto che per completarlo mancano poche foto… cosa può venire in
mente per finirle?? No... Nino… Sì!… Mauro che beve la birra… click! …Renato
che beve la birra… click! …Gig che beve la birra …click! …Claudio che beve il
caffè… click! …ecc… allucinante!
Lo facciamo perché oramai siamo troppo stanchi per ribattere o solo cercare
di contrastarlo, ma anche perché sono le ultime e poi, Dio volendo, saremo a
posto fino alla prossima escursione. Ma l’Antelao rimarrà alla storia anche per
un’altra cosa, oltre che per la bellezza dell’escursione. Infatti appena raggiunta
quota 100 fotografie e nemmeno lasciandoci il tempo di godere di quest’altra
impresa il vecchio Nino cosa ti tira fuori?… non ci crederete!… ebbene sì …un
altro microchip da 100 foto! (facce esterrefatte del gruppo e sorrisi tra lo stupito
ed il rassegnato a contrastare quello del Nino invece assolutamente convinto).
Alla fine della giornata le foto saranno circa 140! …roba da spedizione in
Karakorum altro cheAntelao! Se facciamo un po’ i conti: 140 foto in dieci ore,
fanno 14 foto all’ora;, quindi una foto ogni quattro minuti per tutta la giornata,
vi rendete conto? …con questa media il Nino è a serio pericolo di allontanamento
dal gruppo!
Ore 16.15
Partiamo in auto verso l’ultima sorpresa della giornata: arrivati alla sbarra
che chiude la strada e che questa mattina era alzata, la troviamo chiusa assieme
ad un cartello che indica le 19.00 come orario di apertura.
Non può essere, mancano quasi tre ore e poi altre due d’auto.
Febbrili tentativi di parlare con l’addetto alla seggiovia che non sa niente,
con qualcuno del posto che indica le 18.30 come orario di apertura solito, ed
imprecazioni da parte di tutti fuorché del Nino che ne approfitta per… (lo so…
sembra un film di fantascienza) …alcune foto! Alla fine e dopo ripetute
sollecitazioni, appare, intorno alle 17.00 la chiave e con essa la fine dell’incubo
(e delle foto di Nino).
Ore 19.15
Siamo a Montereale Valcellina, parcheggiamo sulla destra dopo la discesa
successiva all’ultima galleria, per dar modo a Claudio di trasferirsi nella nostra
auto e per scambiarci gli ultimi saluti e ringraziamenti.
Adesso Nino e Valter proseguiranno per Maniago, noi per Pordenone.
Stanchi, la fatica si fa sentire, le gambe sono dure, ma il morale è alle stelle.
Ci salutiamo abbracciandoci per l’ennesima volta e ripromettendoci di
passare una sera in un agriturismo tutti assieme per ricordare la cosa. Abbraccio
il Nino, scambio un cinque con Valter e risalgo in auto.
Dal parabrezza vedo l’auto che ci precede partire… freccia a sinistra… e via…
…chiuso… e anche questa avventura è giunta alla fine.
Guardo l’auto di Nino che si allontana e svoltando a destra mi dirigo verso
Pordenone. Sento in sottofondo le voci degli altri che parlano di tutto e di niente ma
non li sento; …sto pensando che anche oggi, e grazie a tutti, abbiamo raggiunto un
grande obiettivo… cosa? …no!... l’Antelao non centra niente… non era questo
l’obiettivo.
Oggi come le altre volte siamo riusciti a penetrare per ancora qualche centimetro
più in profondità l’uno nell’anima dell’altro!… grazie ragazzi!.
ANTELAO (mt. 3.264)
Scheda tecnica dell’escursione
Data
07 Settembre 2003
Percorso
Dal rifugio Scotter-Palatini (m. 1580) a forcella Piccola (m. 2120), quindi al
bivacco Cosi (m. 3111) ed alla vetta dell’ ANTELAO (m. 3264).
Ritorno per la stessa via.
Note
Grande montagna, grande dislivello, grande soddisfazione.
Escursione che richiede grande allenamento, tempo sicuro e capacità di salire su
roccia (II grado) anche esposta.
Molto ripide le laste, da percorrersi senza possibilità di assicurazione.
Esposte le cenge della Bala con le quali si sale sulla cresta del monte.
Da considerare che essendo la via comune rivolta a Nord, trattiene molto
facilmente la neve o il vetrato fino a tarda estate, e comunque con facilità
risulta altrettanto insidiosa dopo i temporali.
Grandioso il panorama e l’escursione che per almeno 5 ore si svolge su roccia!!
Dislivello
complessivamente 1700 metri
Tempi
Fino a forcella Piccola (m. 2120) ore 1.10’
Al bivacco Cosi (m. 3111) ore 4.00’
Alla vetta dell’ANTELAO (m. 3264) ore 4.30’
Discesa ore 3.30’
Giro completo ore 8.45’ minuti
Escursione con
“I MAGNIFICI 7”: Mauro (Sherpa), Claudio (Sherpa2), Franco (Gig), Renato
(Renè), Nino (SuperNino), Valter (Mosè), Massimo (Max-Bocia).
ELEVAZIONE
Librandoti su in alto, sopra stagni e vallate,
e montagne, e marine, e nuvole, e foreste,
oltre il sole, oltre i campi dell’etere celeste,
oltre il confine ultimo delle sfere stellate,
tu ti muovi, o mio spirito, con piena agilità
e, come un nuotatore che s’abbandona all’onda,
allegramente fendi l’immensità profonda,
in preda a un’indicibile e maschia voluttà.
Oh, via da questi miasmi, da questi immondi climi,
sali a cercar riscatto in un cielo diverso;
e come a un puro nettare apri le labbra al terso
fuoco disseminato negli spazi sublimi!
Scosso il vasto fardello di triboli e di pene
che incombe sulla vita e la colma di brume,
oh, felice chi può con vigorose piume
balzar verso le lande luminose e serene;
e sente come allodole, nei cieli alti perdute,
i suoi pensieri all’alba liberamente ascendere,
e plana sulla vita e senza pena intende
il linguaggio dei fiori e delle cose mute!
Charles Baudelaire
(I fiori del male)