editoriale giorgio mondadori

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editoriale giorgio mondadori
€ 30,00
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
1909 - 2009
Mostra del Centenario
ALDO TAVELLA
(1909 – 2004)
“IL RESPIRO DI UNA VITA”
a cura di
Paolo Levi e Mario Guderzo
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
L’opera è inserita nella collana
Cataloghi d’ Arte della
Con il Patrocinio
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
In copertina
“Giardini”, 1947
olio su cartone, cm 50x70
Si ringraziano
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Distributore esclusivo alle librerie
Messaggerie libri S.p.A.
Via Verdi, 8 - 20090 Assago (Milano)
Copiright©2009
Itaca Investimenti d’ Arte s.r.l.
Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati
dalla legge sui diritti d’autore
SPECIALI NELL’ASSICURARE
ALDO TAVELLA
“IL RESPIRO DI UNA VITA”
1909 - 2009
Mostra del Centenario
a cura di
Paolo Levi e Mario Guderzo
14 novembre – 13 dicembre 2009
Palazzo della Ragione
Piazza dei Signori, Verona
Testi di:
Paolo Levi, Ennio Pouchard, Mario Guderzo
Federica Luser, Marco Maria Polloniato
Organizzazione:
Alessandro Schirato
Musiche:
Maestro Nicola Guerini
Allestimenti:
Arredamenti Dueffe, San Zeno di Cassola (VI)
Assicurazioni:
Satec e Venice Broker
Apparati Fotografici:
Davide Martinazzo, Pino Tavella, Alessandro Schirato
Comunicazione e Ufficio Stampa
Mara Bisinella, Quinto Potere, Bassano del Grappa (VI)
Organizzazione Generale e Progetto Grafico
Itaca Investimenti d’Arte
Castelcies di Cavaso del Tomba (TV)
www.itacagallery.com
e-mail: [email protected]
Con la mostra sul pittore Aldo Tavella salutiamo un nuovo ed importante appuntamento con l’arte, un’ulteriore tappa
nella strategia di sviluppo culturale della nostra città, la naturale prosecuzione della linea di sostegno ai fenomeni di
eccellenza della cultura veronese. L’intento dell’Amministrazione comunale, infatti, è quello di tributare un omaggio ad un
uomo che, nel tempo, con passione e professionalità, ha collaborato alla crescita culturale della Città che ha amato e che
ha saputo lasciare un segno nella sua arte. E’ un importante avvenimento culturale, che si realizza a più di 20 anni di distanza
dall’omaggio che il Comune di Verona volle rendergli, ospitando nel Palazzo della Gran Guardia un’antologica che riscosse
un notevole successo di pubblico e di critica, cui fece seguito una seconda mostra nel 2004. Un filo riannodato, quindi,
grazie al quale Verona riscopre se stessa, per ritrovare il proprio futuro e riallacciare il rapporto con la propria storia. La
mostra contribuirà ad approfondire la conoscenza di questo pittore, che seppe affrontare in modo autonomo ed originale
il dibattito sull’arte italiana di quegli anni: seguire il percorso di questo artista, quindi, consentirà di entrare anche nello
spirito migliore del Secolo che abbiamo alle spalle. Siamo certi che la figura di Tavella emergerà in tutta la forza della sua
creatività e nell’autenticità della sua complessa ricerca culturale, che ha offerto un importante contributo allo sviluppo del
panorama culturale ed artistico del nostro territorio e non solo. Quest’esposizione dunque, ed il catalogo-monografia che
la correda, consentiranno finalmente di valutare nel suo insieme tanti anni di lavoro, segnato dalla fedeltà alla tradizione e
all’arte, come è sempre stato ribadito dalla critica.
Un appuntamento da non perdere, per i veronesi e per il pubblico interessato, una grande occasione per cercare di
penetrare nella vicenda artistica ed umana di questo pittore. La mostra, infatti, oltre che un progetto per la città, rappresenta
anche un modello di collaborazione e di interazione tra diverse istituzioni pubbliche e private, tra istituzioni e cittadini e
tra diverse competenze e professionalità. Il nostro ringraziamento va alla famiglia Tavella, per l’opportunità che ha voluto
offrire alla città, all’organizzazione di Itaca Investimenti d’Arte e a tutti coloro che hanno lavorato, prodotto, studiato per la
realizzazione di questa iniziativa.
Erminia Perbellini
Assessore alla Cultura
Flavio Tosi
Sindaco di Verona
Un momento di memoria e di cultura un’impronta originale ed autonoma nella pittura veneta del XX secolo: così dicono
gli esperti d’arte di mio padre. Un uomo che ha sempre fatto quello che ha voluto e contato solo su se stesso. Una vita, la
sua, iniziata nel 1909 e terminata nel 2004. Ricordo di lui benissimo quei suoi occhi belli e vispi, quella sua voce simpatica
mentre ci diceva cose di cui era convinto sempre fino in fondo e per le quali mal volentieri accettava suggerimenti o
consigli. Solo la mamma sapeva davvero come prenderlo e “dominarlo”.
Compiuti gli studi presso l’Accademia G.B. Cignaroli di Verona, ne divenne prima docente e poi Direttore. Ed è sotto la
direzione di Aldo Tavella che l’Accademia ottenne nel 1985 il riconoscimento dello Stato Italiano.
Con una produzione amplissima ed eclettica colorata di ottimismo e naturalezza, mio padre, fino all’ultimo, “questo
bambino di 95 anni”, ci ha offerto un’immagine di pittore che travalica il tempo con un entusiasmo ed uno spirito polemico,
estroso ed accattivante: bastava entrare nella sua casa, i quadri erano dappertutto, negli armadi, in cucina, in ogni dove,
in un perfetto disordine d’autore.
Consentitemi di ricordare qualche breve passo di alcuni dei critici d’arte che hanno apprezzato e valorizzato l’opera di
mio padre: Ugo Ronfani, in occasione di una mostra dedicata al papà alla Gran Guardia, presentava l’iniziativa come «un
evento che celebra e premia la longevità operosa e l’onestà intellettuale di un pittore che ha attraversato il secolo senza
oziose o vanitose distrazioni, tenendo gli occhi bene aperti su quanto di nuovo offriva il panorama italiano ed europeo
delle arti figurative, ma badando soprattutto ad essere se stesso, ad ascoltare le voci di dentro di una vocazione di nativa
naturalezza, restando prodigiosamente giovane nell’incalzare dell’età, dunque un evento che esce decisamente dalla
cerchia locale».
Jean Piot, nella sua pubblicazione “Aldo Tavella - tra mito e realtà” evidenzia come «Tavella ha sempre saputo che la
fedeltà al vero non è un limite culturale, un pericolo di restare arretrati, di avvilupparsi ancora alle nostalgie naturalistiche
e post impressionistiche, ma il più delle volte, lo specchio di una profonda verità interiore. Senza ciò - dice spesso Vasari
- l’arte sarebbe caduta come un corpo umano». Remo Brindisi, in un breve commento di alcune opere di Aldo Tavella,
scriveva: «Sono dell’ opinione che, grazie ad un tessuto plastico del colore, il suo quadro riesce ad essere suggestivo
per una particolare luce, che dall’impasto pittorico, scaturisce in una analisi segreta sugli oggetti, più che sui paesaggi
e le figure. D’impostazione tradizionale, il suo quadro avverte, delle volte, angolazioni culturali più aggiornate». Infine
Licisco Magagnato: «Tavella resta fedele al fondo vero della sua cultura: 1’esperienza artigianale, la spontanea sapienza del
mestiere del decoratore che ha un tempo esercitato l’intonazione delle sue opere è costantemente in chiave giusta, proprio
il suo innato senso di un rapporto cromatico unitario che deve legare la parte al tutto, in un equilibrio che costituisce
l’amalgama meditato dei vari elementi. [ ... ] Da un punto di vista compositivo, i dipinti di Tavella sono gremiti e densi,
quasi li ispirasse un “horror vacui” di ascendenza popolare; mazzi di fiori compatti, come ghirlande di fiori secchi, tessiture
strettamente intrecciate come i ricami dei cuscini della nonna, tinte spente e corpose segnate da velature e graffiti che
sembrano esaltarne la matericità. Questo tormentato lavorio sul tessuto pittorico, si accompagna talora ad un altrettanto
arrovellato sovrapporsi a strati ed incastri di immagini, in una ricerca di sintesi narrative e simboliche condotte sul filo
della memoria, in una chiave che risale a modi del liberty, ma anche a murales ed illustrazioni popolari sudamericane e
specialmente messicane».
I critici d’arte e gli esperti, quindi, già molto hanno detto e scritto. Oggi con questa mia presentazione, che credo
faccia piacere alla Verona che lui tanto ha amato come ultimo testimone di un secolo di grandi nomi veronesi, ed anche a
questa prestigiosa Accademia di cui, in memoria proprio di Aldo Tavella, mi è stata offerta la carica da me accettata di Vice
Presidente, voglio invece, solo rendergli omaggio ed un grato ricordo.
Diceva Blaise Pascal nei suoi Pensieri: «Quando un discorso dipinge con naturalezza una passione o un effetto, ritroviamo
in noi stessi la verità di ciò che esso intende dire, la quale verità non sapevamo che già fosse in noi; di modo che siamo
portati ad amare chi ce lo fa sentire; poiché costui non ha fatto mostra di un bene suo, ma del nostro; e così questo
beneficio ce lo rende caro, oltre al fatto che questa comunione d’intelligenza che abbiamo con lui inclina necessariamente
il cuore ad amarlo».
Ecco, questo pensiero di Pascal mi sembra possa ben rappresentare tutto ciò che la pittura di papà ha significato e
trasmette a tutti noi e a tutti coloro che apprezzano la qualità dell’arte nella semplicità. In particolare, voglio dirgli che lo
amiamo ancora tanto e che siamo stati fieri ed orgogliosi di aver fatto parte della sua vita.
Romano Tavella
Vice Presidente dell’Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona
Questa mostra è un’occasione per celebrare il centenario della nascita di Aldo Tavella e nello stesso tempo
un’importante tappa nella riflessione scientifica legata all’arte. Affrontare tutte le problematiche connesse con la riscoperta
di un artista, è una delle prerogative fondamentali di Itaca Investimenti d’Arte. L’attenzione è rivolta proprio a coloro che
hanno creato percorsi originali e fondamentali in campo artistico e che si sono cimentati nell’espressività, anche se quel
processo di valorizzazione del proprio lavoro, ha incontrato difficoltà e alle volte incomprensioni. Attraverso un’approfondita
metodologia di ricerca e di confronti e con l’organizzazione di iniziative correlate, Itaca si propone, come “una nuova visione
nella promozione dell’arte”. La realtà di Aldo Tavella, del resto, è una situazione che abbiamo già incontrato presso molti
altri protagonisti dell’arte italiana e della pittura veneta contemporanea. Non ci ha mai spaventato affrontare un archivio
pittorico come quello che la famiglia Tavella ci ha presentato. La complessità del lavoro di archiviazione iconografica, di
catalogazione, di analisi critica, di censimento bibliografico è stato così affrontato in modo capillare ed affidato ad esperti,
critici e storici dell’arte che da anni collaborano con noi ed ai quali rivolgiamo il nostro grato riconoscimento. Approfondendo
la collezione d’arte di Tavella ne è emerso un artista veneto eccezionale che ha attraversato con integerrima determinazione
tutto il Novecento, Secolo ricco di innovazioni in campo artistico ed anche di contraddizioni, ma che sono state con molta
“sincerità” e convinzione da lui assimilate e “tradotte” nella sua arte.
Abbiamo sempre concentrato la nostra attenzione nei confronti di quella tradizione che costituisce il più ricco
patrimonio italiano: l’arte e i beni culturali tout-court. E’ una caratteristica significativa di questa organizzazione, che non
vuole, assolutamente, interferire con il mercato. Valorizzato nella sua Città fin dagli anni Cinquanta del Secolo scorso, è
stato da noi studiato per il significato che rappresentava, proprio come un grande protagonista. Dell’artista sono stati
studiati tutti i dipinti e i disegni che saranno ulteriormente valorizzati dopo la pubblicazione del catalogo generale. Il mio
particolare ringraziamento va così all’Amministrazione comunale di Verona che ha creduto nel nostro impegno, alla famiglia
Tavella che abbiamo conosciuto per mezzo del critico d’arte Paolo Levi che con Mario Guderzo ha realizzato il catalogo
e curato l’esposizione. Pensiamo così di aver fornito un importante contributo alla diffusione e alla conoscenza di questo
protagonista veronese che ha saputo dimostrare una passione profonda ed un’infinta dedizione verso la pittura e che ha
utilizzato queste forme espressive per “narrare” piccoli eventi della sua quotidianità e che nello stesso tempo è riuscito ad
inserirsi nei grandi dibattiti sul senso dell’arte del suo Secolo.
Alessandro Schirato
Presidente Itaca Investimenti d’Arte
SOMMARIO
13
ALDO TAVELLA: UNA RICERCA FIGURATIVA
Paolo Levi
15
TAVELLA E LA PITTURA VENETA DEL NOVECENTO
Ennio Pouchard
19
ALDO TAVELLA (1909 – 2009) “IL RESPIRO DI UNA VITA”
Mario Guderzo
27
UN MAESTRO ALLA BIENNALE DI VENEZIA
Federica Luser
31
NOTE SULLA PITTURA DI GENERE VENETA NEL NOVECENTO
Marco Maria Polloniato
35
OPERE
136
NOTE BIOGRAFICHE
137
ESPOSIZIONI
139
BIBLIOGRAFIA
Aldo Tavella nel suo studio, 1994
ALDO TAVELLA: UNA RICERCA FIGURATIVA
egli ha messo in scena una figuratività, dove si dipana un
dialogo continuo fra la materialità della forma riconoscibile
e l’improbabilità di una sua definitiva certezza. Aldo Tavella
è stato pittore di forte temperamento, il quale coniugando
varie tematiche ha visualizzato una serie di immagini del
silenzio, ma non quello inquietante della metafisica, bensì
quello pregnante e soggettivo della solitudine o, quanto
meno del distacco da una quotidianità sfuggente e, in
definitiva, insignificante. Ma al di là del senso specifico di
ogni sua narrazione, ci si avvede della pensierosa acutezza
delle sue rappresentazioni, dove l’artista sembra voler
trattenere l’immagine in uno spazio sospeso al di sopra
della contingenza, per restituirla allo sguardo con l’idea
stessa di un’immobile eternità.
Paolo Levi
Aldo Tavella ha fatto parte della generazione successiva
alle sperimentazioni del Futurismo e Cubismo, che erano
non solo movimenti artistici, ma veri e propri amplificatori
di messaggi utopici. Nato nel 1909 - nello stesso anno in
cui veniva pubblicato il Manifesto di Filippo Tommaso
Marinetti – nel suo apprendistato non si è lasciato attrarre
né dalle suggestioni del post-Futurismo e neppure, più
tardi, dal Ritorno all’Ordine proclamato dal gruppo romano
di Valori Plastici, guardando piuttosto al paesaggio come
entità freddamente oggettiva, e alla figura come garbato
riferimento ai Primitivi.
Di questo Maestro veronese si può quindi scrivere come
egli abbia percorso parte del secolo scorso interpretando
il paesaggio, la natura morta e la figura con la freddezza
di chi controlla le proprie emozioni, per privilegiare
esclusivamente il colore nella sua qualità ritmica e di
mistero. Ha vissuto il dramma di due Guerre, e ha visto
l’inizio del XXI secolo, sempre interrogandosi sulla
realtà della forma, sul segno come drammatica scrittura
della percezione visiva, e sullo spazio come condizione
estetica. Un esponente quindi del Novecento europeo
che ha optato per una ricerca figurativa che si può ben
definire come anti-romantica, per approdare infine a una
sperimentazione inquieta, da collocare nell’ambito di
un’epoca di totali mutamenti storici e culturali.
La perdita delle illusioni sul destino dell’umanità, che
è culminata nel bagno di sangue della Prima Guerra
Mondiale, ha coinciso emblematicamente con la rivoluzione
tecnica, formale e contenutistica degli artisti che avevano
maturato la lezione di Cézanne, tracciando un percorso di
cui Aldo Tavella è stato nobile continuatore. Così, anche
per lui, l’unica certezza a cui poggiarsi era la coscienza
vigile del suo lavoro, mentre la sua mano ricercava sulla
tela nuove forme allusive del vero, definendole negli
spessori aggressivi della materia, nei dialoghi tonali, e
nella forza espressiva che richiamava a volte la pittura
del Nord-Europa, sposandosi nel contempo con il gusto
tipicamente veneto delle velature.
Da severo artefice, quale egli era, elaborava originali variabili
di forme certamente riconoscibili ma espressivamente
ardite e dense di sensazioni tattili e visive. La sua ricerca
figurale rivelava una lucida consapevolezza, che lo spingeva
a elaborare gli elementi compositivi dei suoi lavori con
un’efficacia eloquente, che non offriva mai all’osservatore
soluzioni ingannevoli o anche solo sbrigative. Al contrario,
egli enunciava la sua verità richiamando l’attenzione
su ogni particolare del racconto tramite le stesure o le
improvvise e geniali macchie cromatiche, risolvendo
sempre nel modo giusto l’equilibrio dialettico delle forme
esaltate da un segno palpitante.
Cantore dunque di un reale che si coniuga all’allusione,
Adige a San Giorgio, 1993
13
Il cantiere, 1949
14
TAVELLA E LA PITTURA VENETA DEL NOVECENTO
rappresentativa di un “momento di memoria e di cultura”
veramente autoctono e di una “impronta originale ed
autonoma”, da considerare quale solida base per tutto il
XX secolo.
A simili principi avevano aderito gli artisti suoi concittadini
più anziani Giuseppe Flangini, Orazio Pigato, Guido
Farina, Angelo Zamboni (che gli fu maestro nell’arte
dell’affresco), Alessandro Zenatello e altri, fino al soave
Pio Semeghini (classe 1878, che con Tavella coltivò
rapporti di stretta amicizia); e così continuarono a fare i
quasi coetanei, come Vittorino Bagattini (1908) e Silvio
Oliboni (1912): in sostanza, niente cambiamenti radicali
rispetto alla pittura maturata nel corso della seconda metà
dell’Ottocento in tutte le Venezie, e quindi, prima del 1918,
anche oltre il confine di allora con l’Austria, fino a Trieste
e all’Istria. Un insieme del quale si sta ancora riscoprendo
la complessità, nel cui ambito primeggiavano Ippolito
Caffi, Guglielmo Ciardi e figli, Alessandro Milesi, Ettore
Tito, accanto ai triestini Umberto Veruda, Guido Grimani,
Giovanni Zangrando e all’istriano Pietro Fragiacomo,
protagonista a Venezia — accanto a Ciardi padre — del
rinnovamento in senso realistico del paesaggio; e in tempi
più vicini, Franco Batacchi senior, Lino Bianchi Barriviera,
Gino Borsato, Nando Coletti, Fioravante Seibezzi, Adriano
Spilimbergo,…
Lì e così Tavella ha sviluppato le qualità che nell’ambiente
veronese hanno fatto di lui l’artista di successo: “uno dei
massimi esponenti — leggo in una cronaca locale datata
— se non il primo in assoluto”.
Ennio Pouchard
I cento (o poco più) chilometri che corrono tra Verona
e Venezia sono stati sufficienti, specialmente negli
anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra
Mondiale, per determinare lo sviluppo di due mondi
diversi nell’arte.
Aldo Tavella, veronese, classe 1909, era coetaneo del
goriziano Zoran Music e vicino in età ai friulani Armando
Pizzinato (1910) e Afro Basaldella (1912), al veneziano
Giuseppe Santomaso (1907) e al mantovano Giulio Turcato
(1912), presenti e attivi — seppure non continuativamente
— anche a Venezia. E fino a un certo punto della loro vita,
impegnati in qualche sorta di personale pittura figurativa
(di paesaggio, di nature morte, d’interni, di figure singole
o di gruppo). Poi, verso la metà del secolo, intervennero
fattori trascinanti — dei quali egli non poté fruire, vivendo
per così dire, “lontano” — catalizzati dal pensiero di critici
illustri come Giuseppe Marchiori e Lionello Venturi, che
portarono al nascere e allo sviluppo di raggruppamenti,
quali il Fronte Nuovo delle Arti e il Gruppo degli Otto,
le cui poetiche si espansero rapidamente a livello
nazionale. In loro, quindi, ma non in lui, poterono radicarsi
fermenti generati dal fervido clima intellettuale della
città lagunare; un clima influenzato principalmente da un
sentire politico diffuso tra gli artisti, nonché da presenze
nuove (la collezionista americana Peggy Guggenheim),
da una gestione innovativa nei programmi della Biennale
coordinata da Rodolfo Pallucchini, dal 1948 al ’56, dall’azione
promotrice di un gallerista veneziano eccezionale — uno
solo, ma capace di pensare in grande, che si chiamava
Carlo Cardazzo — e dallo stimolo di maestri del calibro di
Virgilio Guidi e Mario Deluigi.
Altre erano rimaste le mire, invece, dei migliori pittori
di Verona. Di loro, solo Renato Birolli (1905) manifestò
il bisogno di una presa di posizione nei confronti dei
maestri del Novecento, con la chiara volontà di adeguarsi
ai modelli europei più avanzati; e nel ’46 — il 1° ottobre,
nello studio di Giuseppe Marchiori a Venezia, assieme
a Cassinari, Guttuso, Morlotti, Pizzinato, Santomaso e
Vedova — firmò il manifesto della Nuova Secessione
Italiana. Poi, con il medesimo gruppo, aderì al Fronte
Nuovo delle Arti; e infine, all’età di 23 anni, divenne
milanese entrando (assieme a Renato Guttuso, Giacomo
Manzù, Edoardo Persico e Aligi Sassu) nel gruppo di
Corrente. Gli artisti suoi concittadini seguitarono a credere
piuttosto nella realtà di una crescita continua dalle radici
di una tradizione nobile e autonoma rispetto al dilagare
di tendenze progressiste, pur rifuggendo, e spesso con
ironia (in particolare l’elegante e contenuto Aldo Tavella),
da atteggiamenti aprioristicamente conservatori, inclini a
confondere la ripetitività con la coerenza stilistica.
Per il “nostro” continuò a valere il principio di promuovere
un’arte definita nelle critiche del tempo “pittura autentica”,
Case abbandonate, 1967
I suoi inizi sono precoci: egli stesso li faceva risalire
all’avvio del suo apprendistato da Angelo Zamboni,
affreschista, che era ammalato di asma e quindi, in breve,
aveva delegato lui, ragazzo, a montare sulle impalcature e
lavorare sui soffitti delle chiese da affrescare. A convincerci
della perizia in tal modo acquisita, qui in questa mostra
del centenario, c’è l’olio su compensato Mio fratello Pino
del 1926, cioè dipinto da un diciassettenne già maturo nel
15
ritagliarsi le quadrature, nella scelta della scala dei colori,
nell’atteggiare con un aspetto per niente fiero e baldanzoso
il giovane ripreso in divisa, camicia sbottonata.
Quando partecipa alla Biennale del 1950 — che rimarrà
l’unica — dei colleghi citati sono presenti Bagattini, Bianchi
Barriviera, Birolli, Coletti, Farina, Music, Pigato, Pizzinato,
Santomaso, Seibezzi, Semeghini, Turcato.
Per il resto della lunga vita — passata dipingendo
fino all’ultimo paesaggi, figure, nature morte, racconti
fantastici, ritratti, opere d’arte sacra e soggetti inventati
— alla mostre e ai premi cui sarà partecipe se ne troverà
accanto varie volte più d’uno. Hanno giocato a suo
svantaggio, per la conquista di una fama più diffusa, vari
fattori. Anzitutto, l’essersi donato anima e corpo all’arte
concependola come atto creativo autonomo e solitario,
quasi una missione personale non assoggettatile a
programmi di gruppo. Poi, l’aver considerato sempre con
rigore il suo rapporto con la scuola, insegnando prima
all’Istituto d’Arte applicata di Bovolone, poi al Liceo
artistico di Verona e successivamente, quale titolare di
cattedra (prima affresco e poi di pittura) all’Accademia
di Belle Arti Gian Bettino Cignaroli e Scuola di Pittura e
Scultura Brenzoni1, dove aveva ricevuto la formazione e di
cui assunse la direzione dall’82 all’85. E ancora, l’essersi
tenuto in disparte, conseguentemente e coerentemente,
rispetto alla strabiliante quantità di proposte valide sul
piano internazionale, che nei suoi anni continuarono a
sgorgare da Venezia e Milano. Così, non sorprende il fatto
che nel 2004 la città natia gli abbia dedicato (dopo due
edizioni minori, nel ’92 e nel ’96) una grande antologica
nei saloni del Palazzo della Gran Guardia, con opere dal
1930 al 2004, inaugurata il 10 aprile e intitolata “I colori di
un mondo”.
Oggi in città si parla di Tavella con fierezza come di “un
grande veronese”. E mi spiace sentirlo dire: Aldo, infatti,
preferirei fosse studiato e compreso come esponente di
primo rango di un filone della pittura che le tendenze
dominanti del secolo scorso, derivate dai vari canali delle
avanguardie storiche, hanno messo in ombra.
Apro una parentesi. Nel fare questa dichiarazione, sento
la necessità di affermare la mia estraneità, come critico,
alla difesa dei realismi tout-court, e nello stesso tempo
il mio costante interesse per le ricerche su quanto il
passato ha trascurato per cause varie: penalizzando, ad
esempio, per motivi politici assai sentiti nel dopoguerra,
la figura e l’opera di Mario Sironi, artista tra i più grandi del
secolo, ma celebrato in periodo fascista; e trascurando,
altresì, il lavoro di Armando Pizzinato, fatto quando, per
fede nell’ideale comunista, continuava solo contro tutti
a dipingerne l’epopea. Né ho voluto (o voglio) prendere
partito in favore di poetiche nate via via, dalle diverse
forme di astrazione agli specifici condizionamenti di
Dada e derivati, dall’arte Pop, Programmata (o cinetica
e Op) all’Iperrealismo, la Land-art, la Transavanguardia,
l’Arte povera, il Minimalismo2; ovvero appoggiare un’arte
— rifacendomi a un tema sostenuto dallo storico Hans
Belting3 — che “…si costituisce come una forma di […]
discorso sull’arte per proprio conto”: mirante, cioè, a
svuotare l’opera del contenuto descrittivo e dell’apporto
lirico. Un’arte, insomma, determinatamente mirata a
quell’annientamento dell’aura di cui parlava in un saggio
del 1955 il filosofo tedesco Walter Benjamin.
Quell’aura era il segno di una partecipazione e
immedesimazione nelle cose basilari della vita fatte
proprie da una certa arte legata al rito magico o religioso.
Attributo percepibile ma non visibile dell’opera, ne
testimoniava le doti di autorità e verità. Poi, quando
le funzioni rituali e cultuali vennero meno, si trasmise
alle forme profane del culto della bellezza, nato nel
Rinascimento e passato ai posteri per via di bottega
e di tradizione; il concetto su cui si reggeva ancora nel
Novecento avanzato veniva commentato da Benjamin, nel
medesimo testo, con queste parole: “Cade qui opportuno
illustrare il concetto, sopra proposto, di aura a proposito
degli oggetti storici mediante quello applicabile agli
oggetti naturali. Noi definiamo questi ultimi ‘apparizioni
uniche di una lontananza’, per quanto questa possa essere
vicina. Seguire, in un pomeriggio d’estate, una catena di
Pagliaccio, 1964
monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra
sopra colui che si riposa, ciò significa respirare l’aura di
quelle montagne, di quel ramo. ‘Fine dell’aura’ significa
fine di quell’intreccio tra lontananza, irripetibilità e durata
che caratterizzava il nostro rapporto con le opere d’arte
tradizionali, e avvento di una fruizione dell’arte basata
sull’osservazione fugace e ripetibile di riproduzioni”4.
L’opera di Tavella possiede per intero quell’aura, che da
lui nasceva spontanea e che tuttora si rivela con evidenza.
Ne fu testimone Remo Brindisi, con l’attribuirle il merito
di avere portato ai più alti gradi la sensorialità. “Una
pittura — affermava il pittore — dove la luce non viene
realisticamente affidata ad un preciso punto d’incidenza,
ma nasce dallo stesso impasto pittorico, in un’analisi
16
segreta degli oggetti, finendo poi con il collocarli in
una sorta di sospensione senza tempo, talora venata di
malinconia”.
Obsoleta, quindi, perché la düreriana melancholia sa
troppo di epoche trapassate?
Neghiamolo, con certezza. Il cospicuo insieme di opere
riunite per l’esposizione cui questo catalogo è dedicato,
basta per descrivere quali altri “dove”, raggiunti in silenzio,
rimangono da rivalutare in modo adeguato. I dipinti riuniti
(la cui catalogazione è arrivata a uno stadio avanzato,
prossimo al completamento) forniscono una panoramica
sufficientemente esplicita dell’opera omnia di Tavella.
Quanto si è dedicato all’affresco, e quanto l’affresco ha
dato alla sua pittura, lo si avverte nei dipinti, osservando
la materia e vedendola ammorbidirsi, con il simultaneo
placarsi dei colori (Ricostruzione del ponte, 1953,
L’alluvione, 1957, Sagrato di una chiesa, non datato,…). In
più, la sua maestria, approfondita anche con il lavoro di
decoratore — esercitato con orgoglio — gli ha consentito
di dominare ogni tecnica, e quindi di avventurarsi in
tematiche le più diverse e con effetti i più inattesi,
“vivendo” la sua pittura fino in fondo. Vivendola insieme
ai pittori di qualsiasi epoca che in qualche momento
sentiva vicini: non ho dubbi che ci sia del Magnasco nelle
figurine e nelle nervature architettoniche di una certa
Piazza e di alcuni Ruderi; è Munch che ritrovo nel Vecchio
che apriva la mostra alla Gran Guardia nella personale del
’92, un desolato Dix nella Tedesca di Custoza del ’34, Ensor
nella Morte delle maschere presente alla XXV Biennale,
Cézanne nella natura morta Fiori, anguria e picchio del
’56, e un pizzico di Marc in un Inverno del ’37. Poi, c’è del
sironiano nei Ruderi del ’68, con quella “a” minuscola in
grafia che funge, licinianamente, da luna; è la vicinanza
con Fiorenzo Tomea — cadorino classe 1910, pure lui
allievo dell’Accademia Cignaroli — che mi ammicca tra
le candele della Processione di Quaresima dei tardi anni
’50; e potrebbe essere un incontro (che non so se c’è mai
stato, anche se hanno esposto almeno una volta insieme)
con Armando Pizzinato — pur tanto diversamente
motivato — che ritrovo nello sbattere d’ali dei Gabbiani
sull’Adige (1984). Ma si badi bene: per nessuno di questi
pittori rintraccio possibili debiti in Aldo Tavella, perché in
quei dipinti tutto arriva rielaborato nel linguaggio della
sua potente personalità; mi pare invece di vederci le orme
di un vivere la pittura con i “compagni” di secoli prima, o
con quelli accanto ai quali si è cresciuti. Un viverla e farla
vivere in noi, liberamente, poeticamente. Inventando temi
e stili. Con un guardare tutto fino a penetrare a fondo il
senso dell’esistenza, come in Sua Maestà la miseria del ’93.
Passando dalla festa della natura al dolore dell’uomo e del
Dio fatto uomo (nelle tante versioni disseminate tra le chiese
del Veronese; qui basti la Crocefissione – Pasqua 1987),
alla tenerezza di una giovane madre e a soggetti quasi
astratti. Cambiando con lo scorrere degli anni, periodo
dopo periodo (per Tavella i biografi ne hanno fissati tre),
dalle pennellate decise con colori grassi alla pittura più
distesa, pacata, con una maggiore ricchezza di particolari,
e finalmente al favolistico, al simbolico, all’allegorico e alla
freschezza di quella che per altri potrebbe essere stata una
vecchiaia già “addentrata” (occhio a La sposa ha 16 anni,
1993, a Il compito, 1989; e per un diverso tipo di lievità,
scherzosamente consapevole, a Il vecchio pittore sogna,
1994, vestito di bianco a righine celesti, barba candida, la
tela sul cavalletto accanto che mostra un pagliaccetto con
lo sguardo curioso fisso su di lui e, appesa al muro di fondo,
una maschera nera ghignante, più che ridente), che per lui
fu invece un’altra stagione produttivamente felice, conclusa
il 28 novembre del 2004. Infatti, se nel 1956, recensendo
la mostra alla Galleria della Scala a Verona, il giornalista
Silvio Bertoldi aveva scritto che già allora “…l’artista ha
raggiunto, nella vita, la stagione della piena estate”, quasi
mezzo secolo dopo il medesimo artista, superato il suo
lussureggiante autunno, percorreva i sentieri di un inverno
per niente desolato. Anzi, ricco di luci misteriose e persino
di splendori. Fino all’ultimo respiro.
(1) Così chiamata dai nomi del pittore G.B. Cignaroli (Verona,
1706-1770), che promosse la costruzione dell’Accademia
veronese d’Arte, di cui fu il primo direttore (fondata nel 1764 con
la trasformazione in pubblica istituzione dell’antica Accademia del
Disegno) e del conte Paolo Brenzoni, Socio accademico, morto
nel 1871, che lasciò per testamento cospicui beni al Municipio
di Verona “…affinché venisse aperta a Verona una pubblica
scuola gratuita di pittura e scultura, condotta e diretta da uno
dei più distinti pittori e figurinisti italiani, col titolo di professore e
direttore, a scelta dei tre presidenti”
(2) Termine nato e sviluppatosi negli Stati Uniti d’America nei
primi anni ‘60, usato per la prima volta dal filosofo dell’arte inglese
Richard Wollheim nel saggio intitolato appunto Minimal Art.
(3) H. Belting, La fine della storia dell’arte, o La libertà dell’arte,
Torino 1990 (Das Ende der Kunsgeschichte?, München 1983)
(4) W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità,
Torino 1966 (Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen
Reproduziertbarkeit, da W. Benjamin, Schriften, Frankfurt am
Mein 1955)
17
Ruderi, 1960
ALDO TAVELLA (1909-2004)
“IL RESPIRO DI UNA VITA”
dalla grande impresa della chiesa di Marano di Valpolicella,
dove ha realizzato l’intero apparato freschivo sulle lunette
delle quattro volte e sui pennacchi della volta con i quattro
evangelisti, sulla cupola e su tutti gli arconi, otto alberi
simbolici con le figure della Madonna e sei santi protettori:
San Giorgio, San Zeno, San Vincenzo Ferreri, San Rocco,
San Carlo Borromeo, Sant’Eustachio, a significare le
contrade di Marano2.
Da questo momento, la sua attività in campo pittorico
non ha tregua: partecipa a diversi concorsi nazionali, vince
premi prestigiosi, espone alle mostre organizzate dalla città
veneta e dall’Associazione sindacale a Padova; a Milano,
nel 1949, figura tra gli artisti all’Angelicum nella Mostra
d’Arte Sacra3.
Iniziando così questa avventura artistica, Aldo Tavella non
smentisce la scelta fatta, anzi manifesta segni di vivacità
e suscita interessamento da parte del pubblico e della
critica che vi ravvisa indubbi influssi della tradizione veneta,
un certo gusto nella scelta dei motivi, in una parola egli
viene definito come un artista “che possiede già un suo
linguaggio, un suo stile”. Si sottolinea fin da ora come i
suoi dipinti generino in chi li osserva sensazioni di armonia
e di serenità, la sua ricerca appare già tesa a cogliere la
trasparenza della materia, mentre il segno profondo e forte
sulla tela crea insolite alchimie d’equilibri cromatici.
Per un artista nato all’inizio del Novecento, gli anni del
“nuovo”, che si possono cogliere soprattutto nell’ambito
della pittura lagunare, cioè quelle espressioni nate dagli
insegnamenti di Favretto, di Ettore Tito e, in un certo
senso, della scuola veneziana, non potevano che essere
guardati con un occhio attento, così come alcuni apporti
di artisti internazionali. Non va dimenticato che a Venezia,
nel 1928, fu realizzata una delle prime mostre dedicate a
Henri Matisse e, due anni dopo, un’esposizione di opere
di Amedeo Modigliani4.
Ma Tavella sa anche individuare e ricordare le tracce lasciate
dai protagonisti dell’arte italiana, come sa riconosce le
innovazioni portate a Venezia da Virgilio Guidi. Gradisce
il giudizio della critica che si esprime attraverso Gino
Damerini e Nino Barbantini i quali non esitano a plaudire
a questo nuovo corso dell’arte veneta. La storia dell’arte
lo accompagna come un “sussidiario” nell’apprendimento
della sua maestria5.
Di questi tempi Tavella si rivolge a due “grandi interpreti
della luce e del colore” nell’ambito della pittura antica:
Tiziano lo “illumina” e Rembrandt lo “folgora”. Così non
esita a confrontarsi con la produzione di “genere” che
da secoli ormai ha caratterizzato tutta la pittura italiana.
Neanche il confronto con i suoi contemporanei è facile,
egli si trova a lavorare accanto a Nino Springolo, Leone
Minassian, Mario Tozzi, Carlo Carrà, Pio Semeghini,
Fiorenzo Tomea, Carlo Dalla Zorza, Bruno Saetti, Domenico
Cantatore, Renzo Biasion, grandi artisti di cui si sentirà
parlare. Tavella, però, attraverserà il panorama variegato
dell’arte del XX secolo con occhio critico mantenendo
la propria autonomia creativa; egli stesso dichiara, ad un
certo punto, di avere scelto l’insegnamento per essere
Mario Guderzo
1. L’inizio accademico e gli esempi contemporanei
La sua è stata una formazione accademica, come sovente
accade a chi appare particolarmente dotato dal punto
di vista artistico nonché determinato nelle sue scelte
professionali. Confidando nei futuri risvolti che tale
decisione poteva apportare, Aldo Tavella si avvia, negli
anni dell’immediato dopoguerra, lungo un percorso che
lo conduce ad “imparare a fare arte”, che non è soltanto la
manifestazione di innate attitudini, ma si può maggiormente
esprimere acquisendo dai maestri le tecniche ed i segreti
della pittura. Egli porta alle estreme conseguenze il
contrasto fra una prepotente vocazione alla “pittura”,
frutto di genialità naturale, e la precisione del disegno,
interpretata come l’Accademia gli aveva insegnato.
Alla fine degli anni Venti, anni a cui risalgono le sue prime
opere, Tavella è alle prese con la figura, in modo particolare,
la sua attenzione è rivolta al ritratto. Nella Donna che cuce
e nel Ritratto, dipinti che possono collocarsi in questo
inizio della sua attività, Tavella rivela l’intenzione di rendere
il colore trasparente attraverso stesure molto diluite, che
permettono di individuare il supporto pittorico; nello
stesso tempo, si intravvede una tecnica rapida e pulita che
diventerà una caratteristica di questa sua stagione pittorica,
le cui opere evidenziano già ascendenze rintracciabili
in alcuni artisti di area veneta e nei grandi protagonisti
dell’arte europea. Così ne La signora Elda del 1932, e nel
medesimo ritratto dell’anno successivo, si preannunciano i
modi di un’inquietudine artistica che lo accompagneranno
per tutta la sua produzione1.
Tavella espone pubblicamente per la prima volta nel
1946. Nella cronaca del quotidiano veronese “L’Arena”,
compare accanto a Gaetano Bighignoli, Ebe Poli, Mario
Paolo Payetta, Fermo Ferrarese e Mario Manzini, Pio
Semeghini, Aldo Franzoni, Nurdio Trentini, Antonio Nardi,
Guido Farina, Paolo Richelli e Angelo dall’Oca Bianca, e
gli scultori Mario Salazzari, Maria Trevisani Montini e Nereo
Costantini. Alcuni partecipano al concorso, che ha come
tema la rappresentazione di Piazza delle Erbe, altri si
affiancano e saranno compagni di strada importanti.
La sede della mostra è la Casa di Giulietta e l’iniziativa
è stata organizzata dal giornale “Tempo Nuovo” in
collaborazione col Circolo degli Artisti. Del Tavella, sul
quotidiano, si ricorda il buon temperamento di pittore
sensibile, gli bastava: “Cinquanta centimetri di legno e tre
tubetti di colore”, sottolinea il cronista, per immortalare
quella piazza, Piazza delle Erbe, appunto, che nei soggetti
di Tavella ritornerà con frequenza come nelle opere degli
altri artisti, perché immagine capace di suscitare ispirazioni
grazie alla scansione dei piani ed alla composizione
cromatica. In questo frangente il Nostro è appena reduce
19
un artista libero. L’impegno scolastico resterà una delle
prerogative più vitali, anche se gravose: nato nell’ambito
dell’Accademia veronese, vi rimarrà come docente di
discipline pittoriche dal 1963, ricoprendo a partire dal 1982
la carica di direttore. “Mi sono adoperato sempre con zelo,
confortato anche dalla mia lunga esperienza di insegnante”
– sottolinea il direttore Tavella al corpo docente che lo aveva
riconfermato nell’incarico l’11 dicembre 1984. E continua
“devo riconoscere, però, che l’impegno prodigato nel
dedicarmi assiduamente agli innumerevoli problemi della
Scuola, mi è costato, per quanto riguarda la mia professione
di pittore, notevoli sacrifici e rinunce”6.
Tra i suoi obiettivi più impegnativi e complessi sarà la
conquista del riconoscimento dell’Accademia Cignaroli a
scuola dello Stato Italiano: “E’ stato il più bel quadro che
ho dipinto”.
La sua convinzione è che l’arte non debba legarsi “alle
mode”, accedere ai “liberi manifesti” o trovare ispirazioni
ed insegnamenti nel guardare gli altri. “Essere me stesso”
è stato il suo motto, la sua calibrata valutazione. “Tavella
manifesta un temperamento deciso e quasi aspro nella
scelta dei suoi temi; egli li corrobora con la pienezza sonora
dei cupi impasti, ma un oro rosso si insinua tra i neri e i bruni
a ricordare la natura veneta del pittore, a sottolineare la sua
indole romantica, riaffiorante pur dalle severe fabbriche,
dai nudi senza indulgenze di edonistici compiacimenti”7.
Passando con disinvoltura dalla natura morta al paesaggio,
al ritratto, Tavella spolvera il secolo dalle “fanghiglie” di
avanguardie e quant’altro.
Ama lavorare da solo, appartato, nel segreto dello studio,
lo disturbano, probabilmente, l’essere osservato, il mutare
della luce, le ombre che perdono forma, o ne assumono
un’altra col passare delle ore. Non diventerà mai un
paesaggista o un ritrattista, utilizzerà queste espressioni
liberamente ubbidendo ad un’esigenza del momento e,
soprattutto, al bisogno di raccontare la sua vita.
bilanciare per creare atmosfere ricche di simbologie, in
perfetta sintonia con quanto la pittura veronese di quegli
anni Cinquanta stava dimostrando per mezzo di artisti
come: Vittorino Bagattini, Antonio Nardi, Orazio Pigato,
Renzo Biasion, Luciano Albertini, Moreno Zoppi, Gastone
Celada, Fausto Tommasoli, Mario Salazzari, Franco Girelli,
Ebe Poli e Maria Trevisani Montini, solo per citarne alcuni.
Ma rimane sempre quel fermo intento a volere dire
qualcosa di personale e non sentirsi soggiogato dagli
influssi degli altri suoi contemporanei. “In altre parole
l’arguzia penetrante di questo pittore ha contribuito a
svelargli i pericoli del conservatorismo filisteo insieme a
quelli dell’avanguardismo più presuntuoso o demenziale. E
gli ha consentito a tener fede a se stesso senza incorrere di
2. I caratteri della sua pittura
E’ un universo intimo di immagini, figure, gesti, colloqui, lo
spazio racchiuso nei dipinti di Tavella, un corpus di opere
ingente e di complessa e variegata narratività, frutto di
più di mezzo secolo di attività pittorica. Una produzione
che rileva la sua consolidata pratica artistica, capace di
avvalersi di linguaggi diversi, di rielaborarli e di sottoporli
ai più inattesi innesti. Magagnato, da una parte, afferma
come Aldo Tavella sacrifichi“a questa armonia prestabilita
le vibrazioni impetuose, le rotture vitali, le trasparenze, il
colore puro”, dall’altra ne riconosce il grande valore per
l’uso del colore e la grande sapienza con cui sa accostare
i toni medi, smorzati, così pregni nei suoi soggetti come
in Fiori, anguria e picchio (1956); La piazza alberata (1950),
Corso Porta Nuova (1951), Autunno (1951), L’alluvione (1957)
e San Giorgio (1960)8. Una maestria che appare evidente
soprattutto quando il monocromo si trasforma pian piano
in una superficie ricca di materia che egli sa controllare e
La tedesca di Custoza, 1934
continuo nel pericolo di una pittura ricalcata e languida”9.
Senza tralasciare la ricerca e concedendo un certo
spazio alle novità, l’arte di Tavella viene a colmare quella
distanza dalle esperienze estreme, creando un canale di
comunicazione, un dialogo tra la tradizione e l’innovazione,
un’armonia capace di plasmare in un solo corpo le virtù
dell’arte e la somma dialettica espressa da un pittore che
sente e vive da vicino la passione, le emozioni, le forti
vibrazioni, che la realtà gli svela quotidianamente. La sua
20
è stata perennemente una ricerca iconografica in grado di
evidenziare attitudini e sensibilità, soprattutto per quanto
riguarda il genere della ritrattistica, un mezzo per esprimere
il vissuto interiore del soggetto, la possibilità di conoscere il
carattere ed indagare la psiche del personaggio attraverso
lo studio del corpo, appagando quasi la sua necessità di
ricondurre una realtà non visibile a schemi noti e, perciò,
rassicuranti.
Nelle sue opere gli elementi, colti nella loro singolarità,
tessono una coesione funzionale all’equilibrio narrativo, in
esse si intuisce un insieme di dati emozionali che si riallaccia
ora alla contemporaneità, ora alla memoria, attraverso
diverse esperienze espressive. Con gli anni si accentuerà
l’attenzione per la descrizione dell’ambiente e per la natura
morta; migliorerà la compattezza della pennellata e l’abilità
nel predisporre nette zone tonali. Quello che emerge è
che Tavella non deve mai fare i conti con le esigenze della
committenza, ma rimane essenzialmente uno spirito libero
che può dare sfogo alla sua arte.
Quando si ritrova di fronte ad un soggetto che gli è più
vicino per confidenza o per semplice consonanza di gusto,
Tavella è capace di trasformare le inflessioni del momento
in veri e propri elementi di stile: Il cantiere, dipinto nel 1949,
infatti, manifesta queste caratteristiche. Nel momento
in cui si impegna nella produzione delle nature morte,
invece, come Sul tavolo della cucina, del 1957, la pratica
che permane più insistente è un agire forte sulla policromia
degli oggetti.
Qui l’atmosfera si fa davvero “Nabis”: pentole, vasi e frutta
si avvicendano per offrire i primi scintillii riflessi, piccole
macchie di colore saranno, nella loro precisione, uno dei
motivi più accattivanti delle nature morte. Il tono generale
dei dipinti si “illumina”: l’artista è preso con entusiasmo
dalle letture dei suoi colleghi d’Oltralpe, prima i Nabis, poi
i Fauves e, in seguito, con una di quelle brusche impennate
che lo hanno sempre contraddistinto, si converte a Cézanne
e a Medardo Rosso. Esaminando la produzione che va
dalla fine degli anni Quaranta e si spinge alla fine degli
anni Sessanta del Novecento si può verificare come questi
accenti aumentino e si dilatino. I due cartoni: Frutta del
1958 e Composizione con macinino, del 1960, rivelano una
notevole concentrazione di rossi brillanti e la attenzione
ai dettagli associati alla morbidezza di una pennellata
unita e corposa che sa donare il senso del rilievo a tutte le
forme, anche se riduce al minimo i contrasti chiaroscurali.
Prevalgono tonalità e gradazioni scure che indicano quasi
un certo espressionismo inteso come riflesso di un disagio
esistenziale. Singolare si manifesta, soprattutto nelle nature
morte, la pennellata tirata e liscia; e la ricerca dei diversi
piani in cui persiste un notevole rispetto per le forme e per
i cromatismi nonché per le fughe prospettiche. L’atmosfera
appare immobile, quasi irreale, gli oggetti ed i fiori sono
resi nelle loro trasparenze e nel brillare delle superfici e dei
riflessi.
Tavella ha percepito come la pittura risponda alla ricerca
del tono giusto di un colore e nel “costringerlo” in un
determinato spazio. Così l’emozione, che fa scaturire
l’“idea” nella mente del pittore è data soltanto dalle
estensioni dei colori e dalle irradiazioni che la luce emana.
Questo vuol dire considerare la pittura come: “un sol piano
su cui debbano disporsi dati rapporti di colore, spazi da
campire, pezzi tutti importantissimi di un mosaico. Brevi
pennellate, violente e parallele, accendono toni infiammati
di arancio e d’oro ricavato da colpi obliqui di pennello in
una conturbante atmosfera fosforescente” 10.
Accensioni cromatiche che richiamano il Gauguin del
periodo bretone e la pittura “Fauves” e aprono quella
fase della pittura di Tavella che preannuncia riferimenti
al tardo Cézanne e alla nuova rivelazione di Van Gogh,
pittori sulle cui opere Tavella riflette e dimostra di saper
poi reinterpretare in modo originale e pertinente.
Anche le frequentazioni e l’appassionata partecipazione
a mostre ed incontri d’arte gli permettono di rimanere in
contatto con le nuove tendenze artistiche, di confrontarsi
con pittori italiani e stranieri nonché di ammirare collezioni
d’arte legate a questi momenti d’inizio Secolo, un
periodo ricco di stimoli e di novità, basti pensare a quanto
avviene, proprio in questi anni, nelle vicine città venete
dove si propongono biennali ed esposizioni dedicate
ai protagonisti dell’arte europea; nello stesso tempo, la
conoscenza di questi artisti per lui è facilitata attraverso
rilevanti riproduzioni in volumi monografici e cataloghi di
mostre.
3. La partecipazione alle grandi esposizioni
Nel 1950 Tavella è presente alla XXV Biennale Internazionale
d’Arte di Venezia. La presidenza della manifestazione,
affidata a Carlo Carrà, esamina i 3685 lavori presentati
dai 1693 artisti partecipanti e sceglie 250 opere, tra cui il
dipinto Morte delle maschere di Tavella, del 1948, che viene
esposto nella sezione di pittura. E’ una tappa importante
nella sua carriera, ha raggiunto un traguardo notevole
tanto che l’anno successivo sarà a Burano per il “Premio
Burano 1951” e, anche questa volta, la prestigiosa giuria,
composta da Umbro Apollonio, Nino Barbantini, Pio
Semeghini, Armando Pizzinato, Rino Villa e Felice Carena,
lo apprezzerà, accanto ad altri nomi di artisti veronesi11. E
poi sarà un susseguirsi di appuntamenti ai quali l’artista non
mancherà, innanzitutto, alle rassegne della Gran Guardia
di Verona, dove la Società Belle Arti realizzerà le celebri
Biennali. Gian Luigi Vercellesi sottolineerà ripetutamente
come, nell’ambito dell’arte veneta, gli appuntamenti
veronesi costituiscano un punto storico importante e questo
a dire come si continui lungo la strada della “tradizione”.
Ma Vercellesi ribadisce anche come sia necessario “non
andar oltre” perché la scelta dell’avanguardia potrebbe
essere pericolosa ed ingannare giovani e vecchi artisti “che
giurano sul progresso lineare e continuativo delle arti nel
tempo”12.
Alla Biennale veronese del 1951 Tavella propone tre
dipinti: Composizione, Bambina e Giardino. I due paesaggi
in cui appare “la sottile polvere che avvolge le sagome
21
tormentate degli alberi, e logora le tinte, riducendo i
risalti cromatici a tenui passaggi sulla stessa gamma del
verde”, sottolineano come Tavella abbia subito il fascino
delle cose che stanno per scomparire e resistono quali
segni apparenti, in cui il rapporto tra arte ed oggetto
non è un rapporto scientifico ed obiettivo ma soggettivo,
sostanziale e creativo. Ben avevano compreso la portata
di questi dipinti Francesco Messina, Pio Semeghini,
Guido Trentini, Berto Zampieri e Aldo Franzoni chiamati a
scegliere le opere da esporre. “Il fine dell’arte altro non è
che una sorta di messaggio – capace di scavalcare i secolilasciato all’intiera umanità” sottolinea Piero Gazzola,
presidente della Società Belle Arti e conclude: “L’artista
sospinto dal desiderio di superare i propri limiti, tende a
cercare una forma di linguaggio individuale, atto a creare
un contatto, oltre che fra sé e il mistero, fra l’umanità e il
mistero. Egli è colui che sa socchiudere una porta” oltre la
quale l’osservatore deve cercare di entrare”13.
Nel 1952 Tavella sperimenta la sua prima personale, ha
appena varcato la soglia dei quarant’anni, e decide di
esporre la sua produzione degli ultimi decenni.
L’artista stesso parlando di sé e del suo lavoro, individua
nella pittura la possibilità di “vedere” e “capire” se stessi
ed il mondo che è intorno, cioè di aprire il proprio confronto
col mondo attraverso la realtà esterna, semplicemente
“guardando” e osservandosi per conoscersi. Il valore
dell’arte non è nel suo distaccarsi dal mondo delle cose per
entrare nell’astratto mondo dei segni, ma nell’esprimere il
rapporto tra pensiero e realtà, anche grazie a stimoli visivi
e sensoriali diversi e così l’odore del colore, e delle terre
mescolate con la colla, la calce, l’olio gli permettono di
osservare spazi ed elementi che poi diventeranno dipinti,
come Campanile azzurro, Fruttiera, Interno rosso, Figure
nel parco oppure le diverse varianti delle Composizione.
Particolarmente interessante tra le opere Il Vecchio (Il Signor
Beniamino) del 1950, il ritratto di un vecchio stempiato e
allampanato che poggia il mento sul suo bastone, il cui
volto è l’unica nota di colore chiaro in tutto il dipinto che
appare “riempito” dai suoi vestiti, dove le forme, descritte
a larghe pennellate, denotano un approccio a novità
“stilistiche costiere” ed a sottolineature ritrattistiche ed
introspettive non usuali.
Questa esposizione personale del 1952 rimarrà un altro
punto fermo nel suo percorso personale, ma soprattutto un
punto di riferimento importante anche per gli artisti veronesi
e per la Città stessa perché propone con naturalezza e
spontaneità immagini e racconti che seguono lo scorrere
del tempo della sua Verona che diventa la protagonista:
Piazza delle Erbe, San Giorgio; la periferia di Lugagnano,
Parona, Minerbe, la Valpolicella, il Lago di Garda.
Per Segala, Tavella: “parte da una impostazione formalista
dove il colore liberato dai confini ponderosi dell’oggetto
“canta” in libertà la storia d’una impressione più che
immediata impressione stessa”14. Ancora una volta la
sua pittura è quasi un mezzo per studiare, approfondire,
riproporre la sua quotidianità.
Tavella realizzerà altre personali, fra cui quella della
Galleria Cappello e la successiva del 1969 alla Galleria
della Scala, entrambe rappresentative del suo percorso
artistico e della sua evoluzione formale, grazie alla quale
il suo lirismo raggiungerà un livello importante in grado
di cogliere raffinati e singolari momenti ricchi di creatività
e di sensibilità. Del resto egli sapeva rappresentare
quell’atmosfera “triste e malinconicamente lirica” come
il Mutinelli evidenzia nell’introduzione del catalogo, edito
per l’occasione. Il Segala non esita a collocarlo all’interno
di classificazioni “espressionistico-astrattista” che lo hanno
affrancato dalle forme chiuse, sottolineando che: “ci
sembra che Tavella sia riuscito a compiere quell’evoluzione
formale che senza dubbio lo porterà ad inserirsi tra le più
moderne correnti artistiche nazionali”15.
Il Nostro sarà l’anno successivo un protagonista alla mostra
per il Centenario della Società Belle Arti, al Palazzo della
Gran Guardia, dove sono esposte ben 400 opere che
offrono una vasta panoramica dell’evoluzione artistica
italiana. Tavella sarà premiato per il dipinto La fabbrica.
Una bella soddisfazione per l’artista che vede riconosciuto
così un lavoro ormai trentennale. Il premio ( centomila lire)
verrà condiviso con il torinese Nino Ajmone. Da allora le
Biennali saranno per lui un approdo obbligato: quella del
56 (52 edizione) dove esporrà San Giorgio e Campagnola,
quella del 1959 (54 edizione), a cui prenderà parte con
due paesaggi titolati Zona industriale e La vecchia torre;
contemporaneamente, parteciperà a Milano al Baguttino
e a Padova alla Mostra Sindacale, dove le Piante fossili
susciteranno un interesse particolare, tanto che di lui
si evidenzierà la “pienezza sonora dei suoi impasti” e
lo scurirsi dei toni “quasi fiamminghi”, ricchi, materici,
pastosi.
Le Biennali veronesi lo vedranno sempre presente: nel
1961 (55 edizione) proporrà L’abside e L’eremita; nel 1963
(56 edizione) Pittura N. 1 e Pittura N. 2; gli stessi saranno
riproposti alla successiva edizione nel 1965 (57 edizione) e
nel 1967 (58 edizione) sarà la volta di un Omaggio a Vivaldi
e Omaggio ad Aristofane.
Propositivo ed entusiasta lo ritroveremo nel 1975 alla
Galleria Novelli. In questa storica galleria privata, la
prima e più antica sede espositiva per gli artisti, realizzata
dalla famiglia Novelli nel cuore della città di Verona, in
anni importanti per la pittura veronese ed italiana, che
diventerà ben presto un luogo di incontro per giovani
artisti ed intellettuali. Qui proporrà una mostra antologica
con le opere prodotte dal dopoguerra fino alle più recenti
produzioni offrendo, così, una disamina delle sue fonti
ispiratorie e dello svilupparsi del suo gusto compositivo e
cromatico che si accompagna ad un’invenzione strutturale
assai evidente in cui il supporto disegnativo è spesso
collocato in evidenza con sensibilità quasi grafica e le
accese cromie, pressoché incontenibili, sono giocate con
sapiente ripresa di moduli liberty.
Tavella, comunque, non esita ad ampliare le sue
partecipazioni a mostre e concorsi: nel 1977 si sposta a
Villa Contarini Simens a Piazzola sul Brenta, in provincia di
Padova, dove espone ben dieci dipinti alla Triveneta delle
22
Arti, giunta in questi anni alla Terza edizione; nel 1981 sarà
la volta del Concorso Nazionale di Pittura Città di Thiene,
nel vicentino, giunto alla 17° edizione, in quest’occasione
Salvatore Maugeri avrà parole di notevole apprezzamento
nei confronti dei suoi dipinti, sottolineando come “i modi
di proporre un nuovo rapporto con le realtà di natura”
rappresentino un taglio nuovo per l’immagine non
scena, quando il 28 ottobre 1984, alla Galleria Artestudio
di Verona, inaugura una personale ed affronta nuovamente
il pubblico con “solidità costruttiva di un segno che
non rinuncia né alla sua incisività né alla sua capacità di
definizione”. Così succederà, ininterrottamente, quasi ogni
biennio, fino al 1988.
Nel 1991 la stampa locale non esita a definire il nuovo
appuntamento come un traguardo determinante che rivela
quanto la pittura sia linfa vitale per questo artista, che opera
all’insegna della purezza e dell’integrità professionale. In
questo momento anche Tavella si esprimerà per riaffermare
con forza e con determinazione i pensieri ed i propositi che
lo hanno accompagnato per tutta la vita: “Volevo essere
libero, lontano dalle mode e dai condizionamenti, anche a
scapito del successo”17.
Tutte queste rassegne potrebbero essere intese come
una sorta di autobiografia, una pratica comunicativa, un
metodo ricognitivo che pone la sua ricerca artistica non solo
di fronte al legittimo autore, ricostruendo e rimembrando
la sua memoria personale, ma rispondono, nello stesso
tempo, al desiderio di auto-rappresentazione che genera
uno specchio di situazioni e di momenti condivisi da altri.
Esistono, dunque, oggettivi elementi per indagare questo
racconto biografico, le sue mostre, contenenti ciascuna
un pezzo della sua vita, ne seguono le evoluzioni, le
involuzioni, i moti del profondo: lo conducono dal disastro
all’esaltazione, dalle gioie ai dolori, insomma nello sviluppo
del suo percorso pittorico risultato dalle lotte e dalle
vibrazioni spese per la ricerca estetica.
“Questa autobiografia” non rappresenta solo un’occasione
di ritorno a ciò che si è stati e si è realizzato in passato, ma
anche il desiderio di nuove esplorazioni, un’aspirazione che
porterà avanti fino all’ultimo appuntamento, alla mostra
organizzata nel 2004, al Palazzo della Gran Guardia, dove
ancora una volta si rivelerà prodigiosamente “giovane”
perché sempre propositivo ed innovativo nelle sue scelte
stilistiche e, comunque, un illustre rappresentante della
pittura veneta di un intero Secolo. Dipingere sulle “ali
della memoria” sarà ancora la caratteristica, capace di
contraddistinguerlo, proprio perché sapeva guardare con
“gli occhi del fanciullino” tutto ciò che lo circondava. Un
frammento d’immagine gli era sufficiente per fantasticare
e trasformare la realtà in una sorta di apparenza onirica, un
mondo velato di una sottile melanconia che trapela, per
esempio, dalle numerose nature morte, dove conta di più
il colore del segno, dove si manifesta altresì una grande
maestria ed una profonda capacità nel rappresentare
sentimenti ed emozioni immortali18.
Olga, [1926]
condizionata dalla forte incidenza impressa dalla materia.
Del resto la Giuria, composta da esperti personaggi, tra
i quali Andrea Zanzotto, Silvio Ceccato, Gian Antonio
Cibotto, Salvatore Maugeri, Piero Pignatta e Franco
Passoni, aveva ben donde a destreggiarsi tra 117 artisti, i
più autorevoli della produzione italiana16.
“Un ripasso su 80 anni d’arte di casa nostra” è il titolo della
rassegna che nel 1982 viene presentata alla Gran Guardia:
108 opere di pittura, scultura e grafica di 54 autori veronesi,
trionfano nelle sale del palazzo e rappresentano il meglio
dell’arte veronese, in uno spazio che è diventato un punto di
riferimento importante, d’incontro e di confronto tra la Città
ed i suoi artisti. Come evidenzia anche la cronaca locale,
l’esposizione appare come un avvenimento singolare e di
notevole importanza per la storia dell’arte stessa.
Non passa molto tempo che Tavella ritorna “solitario” sulla
4. Lasciare una testimonianza
Aldo Tavella è ormai definitivamente entrato nel novero
dei protagonisti dell’arte del Secolo appena passato, è
riconosciuto come un grande interprete del suo periodo e
della Città dove ha operato. Non è più un artista dimenticato
e tanto meno incompreso. In questi ultimi anni la lettura
23
della sua opera è diventata sempre più rigorosa e precisa:
il contributo interpretativo di critici e storici dell’arte lo ha
collocato definitivamente tra i protagonisti della pittura
italiana del Novecento.
Un’attenta lettura delle sue opere, infatti, ci conduce per
mano a comprendere la sua straordinaria attività, anche
se molti restano ancora i nodi da sciogliere nello studio
di questa personalità complessa, a volte, per sua natura,
quasi restia ed elusiva.
Quella sottoscrittura indelebile e distinguibile, presente
spesso nelle sue tele e tavole, sta quasi a sottolineare
come l’ultimo atto del suo dipingere fosse in qualche
modo il voler ad ogni costo concludere quel momento,
quel pensiero, marchiandolo non solo con la sua firma, ma
anche con titoli che, a volte, rimangono ancora difficili da
capire.
L’uomo Tavella è già stato svelato: un grande personaggio
di una profonda umanità, capace di superare il dislivello
culturale esistente fra un giovane artista veronese, senza
retroterra culturale, con il vivace ambiente letterario ed
artistico della Città veneta nel Novecento.
La sua pittura può essere considerata la professione di un
vegliardo, inteso come colui che diventa il testimone del
suo tempo, in grado di compiere il passaggio da una pratica
dilettantesca alla realizzazione, nell’arco di quasi un Secolo,
di una sagace interpretazione dell’arte e rappresenta, con
la sua formazione morale e culturale, una figura di alti ideali
umanitari, sociali, culturali e, nello stesso tempo, ricchi di
valori e dediti alla bellezza tout-court.
La sicurezza del segno, la precisione e la capacità di creare
profonde spazialità vanno molto al di là della pittura
tecnicamente valida, così la maestria del tratto, raggiunta
grazie alla scioltezza della pennellata, racchiusa da precisi
contorni, è sostenuta da un impegno e da una ricerca
costante, tesa a raggiungere una determinata compiutezza
formale. Un processo questo che in Tavella si attiva con una
sempre più rapida accelerazione, a partire dalla seconda
metà degli anni Cinquanta del Secolo scorso. Il fatto che la
sua non sia mai stata una pittura collegata ad un qualche
manifesto programmatico, determinato spesso dagli
“ismi” del primo Novecento, così ridondanti di ideologia,
non vuol dire che egli non abbia manifestato una propria
personale scelta di vita. Sembra quasi che abbia adottato
il messaggio picassiano: “Ce n’est pas ce que l’artiste fait
qui compte, mais ce qu’il est. Cézanne ne m’aurait jamais
interessé s’il avait veçue et pensé comme Jacques-Emile
Blanche, même si la pomme qu’il avait peinte eut été dix
fois plus belle. Ce qui nous intéresse, c’est l’inquiétude
de Cézanne, c’est l’einseignement de Cézanne, ce sont le
tourments de Van Gogh, c’est à dire le drame de l’homme.
Le reste est faux”19.
In conclusione Tavella è essenziale nella forma, ricercato
nella giustapposizione degli elementi figurativi, basta
guardare l’abilità con cui organizza le superfici e con
cui crea effetti di profondità inattesi, spesso ricorrendo
unicamente alla saturazione del colore, manifestando
aperture trasparenti e sensazioni di continuità proprio
come aveva appreso dalla lunga esperienza. Con i suoi
quadri, cattura lo sguardo dello spettatore per originalità,
per intensità e, insieme, per una forte carica comunicativa.
Spesso, è vero, essi sono l’espressione di un linguaggio
colto, elevato, ma non sono mai irraggiungibili. I suoi
lavori, insomma, pur iscrivendosi nel solco di una tradizione
artistica legata al figurativo, conservano un’immediatezza
percepibile e coinvolgente, in quanto l’artista riesce a non
creare distanze formali tra l’opera e il suo fruitore.
D’altra parte, sebbene il rapporto con l’arte sia sempre
molto soggettivo, le opere di Tavella hanno in loro un
elemento importante, che stabilisce una sua peculiare ed
originale connotazione, senza, però, risultare ingabbiato in
definizioni rigide e in categorie fisse, una sorta, potremmo
dire, di universalità.
La pittura di Tavella, che restituisce la materia con la forza
della trasparenza, è anche una pittura in movimento, un
La massaia, 1954
movimento ben disegnato, che egli sa esprimere con
precisione e che sussiste nello sguardo e nella mente dello
spettatore. La scelta e la combinazione dei colori e della
loro maturazione, la collocazione delle forme nello spazio
definito, rispondono a una precisa esigenza: quella che
punta a comunicare attraverso la luce, senza mediazioni.
A volte, si ha l’impressione che le forme siano sospese
sulla tela con leggerezza, quasi a indicare qualcosa di più
effimero, come le tracce del tempo che passa. Insomma,
nei suoi dipinti c’è uno spazio per la natura, viva e autentica:
i suoi paesaggi, pur filtrati dagli occhi dell’autore, vengono
24
spogliati per poi essere rivestiti attraverso una ricerca
di luce e di colori. Anche in questo caso in Aldo Tavella
vediamo emergere quella capacità di creare un mondo
tridimensionale semplicemente attraverso la saturazione
dei colori.
Questo autentico veronese è un pittore che si muove
con convincimento nello spazio del quadro, sicuro delle
proprie risorse formali, soprattutto quando racconta, con
naturalezza, storie di spazi che producono, su chi le osserva,
prolungate sensazioni di armonia e di serenità. E l’arte - se
ricordiamo bene lo diceva Paul Klee - ha, tra l’altro, proprio
lo scopo di trasmettere felicità, coniugando intelligenza ed
emotività.
Novelli nel 1971 così riportava tra l’altro: “alle clamorose soluzioni
di continuità che ricorrono negli itinerari dei professionisti
dell’avanguardia più svagata, Tavella ha seguitato a contrapporre
un rifiuto fermo, non meno risoluto e pungente della sua ironia
per i conservatori troppo accidiosi, capaci di continuare a ripetersi
scambiando la coerenza dello stile, che implica continue varianti
con una sorta di canonicato, fatto di abitudinarie esercitazioni
sempre più macchinali”.
(10) U. Ronfani, cit., p. 24.
(11) Si veda N. Stringa, La Biennale di Venezia, tracce per un
secolo di storia, in La Pittura nel Veneto. Il Novecento, a cura di G.
Pavanello, N. Stringa, II, Milano 2008, pp. 655-670, con Bibliografia.
Inoltre sarà opportuno approfondire il tema con l’analisi degli
studi contenuti in Il 1950. Premi ed esposizioni nell’Italia del
dopoguerra, catalogo della mostra a cura di A. Zanella Manara,
Gallarate 2000. Più specificatamente si veda: M. De Sabbata, Tra
diplomazia e arte. Le Biennali di Maraini (1928-1942), Udine 2006
e S. Salvagnini, Il sistema delle arti in Italia 1919-1943, Bologna
2000. Sulla Biennale del 1950 si rimanda a S. Collicelli Cagol, Le
grandi esposizioni a Venezia tra il 1950 e il 2000 da Palazzo Grassi
alla Biennale di Venezia, in La Pittura nel Veneto. Il Novecento, a
cura di G. Pavanello, N. Stringa, II, Milano 2008, pp. 699-717.
(12) G.L. Vercellesi, Cinquantesima nazionale d’arte, in “Corriere
del Mattino”, (9 Giu. 1951).
(13) Società Belle Arti di Verona, Cinquantesima Mostra Biennale
Nazionale d’Arte, Verona 1951.
(14) C. Segala, Pittori cittadini. Aldo Tavella, in “Il Gardello”, 19
Dic. 1952.
(15) Idem, Personale di Aldo Tavella alla Galleria della Scala, in
“L’Arena”, 1956.
(16) S. Maugeri, Premio di pittura “Città di Thiene” dominato alla
ricerca della figura, in “Il Giornale di Vicenza” 2 luglio 1981.
(17) M. Ferrari, Aldo Tavella, sessant’anni di pittura fuori dalle
mode, in “L’Arena”, 26 Feb. 1991)
(18) M. Pedrini, Tavella, sulle ali della memoria, in “L’Arena”, 8 Apr.
2004; I colori di un mondo. Novantacinque anni di Aldo Tavella,
Verona 2004.
(19) Conversations avec Picasso, in Cahiers d’art, Parigi 1935, p.
176-177.
(1) Le monografie dedicate all’artista veronese sono A-Tavella,
catalogo della mostra di Verona, Verona 1975, e Antologica del
pittore Aldo Tavella, catalogo della mostra di Verona Palazzo
della Gran Guardia, Verona 1992; Aldo Tavella, gli anni della
ricerca e dell’approdo, a cura di M. Brognara, A. Conforti e C.
Turco, Verona 1991 e Aldo Tavella “Tra estetica e magia”, a cura
di U. Ronfani, Verona 1996. Le mostre più recenti hanno visto la
pubblicazione di I colori della vita , percorsi artistici di Aldo Tavella,
Verona 1998 e I colori di un mondo. Novantacinque anni di Aldo
Tavella, Verona 2004. Per un generale inquadramento sulla storia
della pittura in Italia e nel Veneto e per collocarvi la figura di Aldo
Tavella sarà opportuno considerare la recente pubblicazione: La
Pittura nel Veneto. Il Novecento, a cura di G. Pavanello, N. Stringa,
I-II, Milano2006-2008. Per quanto riguarda più specificatamente
la pittura veneziana sarà opportuno guardare il catalogo della
mostra di Treviso: Venezia ‘900: da Boccioni a Vedova, a cura
di N. Stringa, Venezia 2007. Più specificatamente sulla pittura a
Verona nel corso del secolo XIX si veda: L. Lorenzoni, Verona, in
La Pittura nel Veneto. Il Novecento, a cura di G. Pavanello, N.
Stringa, I, Milano 2006, pp.285-326. Inoltre l’argomento potrà
essere approfondito consultando la monografia 1950-59. Il
rinnovamento della pittura in Italia, Ferrara 1999.
(2) Chiesa decorata grazie alle bombe, in “L’Arena”, (13.Ott.
2004).
(3) G. Marussi, Le mostre d’arte all’Angelicum di Milano, in “La
Fiera Letteraria”, 22 Mag. 1949.
(4) G. Bianchi, Presenze internazionali, in Venezia ‘900’’: da Boccioni
a Vedova, a cura di N. Stringa, Venezia 2007, pp. 154-169. A tale
proposito sarà opportuno approfondire l’attività delle Biennali
veneziani considerando: M.C. Bandera, Il carteggio LonghiPallucchini. Le prime Biennali del dopoguerra 1948-1956, Milano
1999 e A. Castellani, Venezia 1948-1968, politiche espositive tra
pubblico e privato, Padova 2006..
(5) G. Dal Canton, Pittori Veneti alla Biennale, in Venezia e la
Biennale, i percorsi del gusto, Venezia 1995; si veda anche S.
Salvagnini, L’Accademia di Venezia da Tito a Vedova, in La pittura
nel Veneto. Il Novecento, a cura di G. Pavanello e N. Stringa, II,
Milano 2008, pp. 627-654.
(6) A. Tavella, Dattiloscritto, Archivio Tavella alla data 11 Dic.
1984.
(7) Corsivo mostra Baguttino, (1958); Aldo Tavella. “Tra estetica e
magia”, a cura di U. Ronfani, Verona 1996, p. 7.
(8) L. Magagnato, Introduzione, in A-Tavella, Verona 1975.
(9) A-Tavella, Verona 1975. Si veda anche G.L. Verzellesi nel
giornale “L’Arena” in occasione di una personale alla Galleria
25
Meditazione, 1949
UN MAESTRO ALLA BIENNALE DI VENEZIA:
ALDO TAVELLA
essere soltanto una mostra di confronto e di comparazione
e non un campionario di quanto oggi si fa in Italia nel
campo artistico”3. La pressione da parte degli operatori
del settore durante l’anno di preparazione all’Esposizione,
fu così forte che l’ordinatore si vide costretto a farne
cenno nell’introduzione al catalogo, consigliando a tutti
moderazione e soprattutto auspicando una ripresa delle
mostre nazionali nelle grandi città per “un controllo
immediato delle forze artistiche italiane e un censimento
puntuale di esse”4, lasciando alla Quadriennale di Roma
il compito di offrire al pubblico il miglior panorama
dell’ambiente artistico italiano. “Solo se nell’animo degli
artisti si farà strada la necessità di dare alla Biennale il
carattere che le spetta di unica competizione artistica
mondiale, verrà meno quella pressione continua che i
membri della Commissione sentono attorno ai loro lavori”,
concludeva amaramente5.
La consapevolezza di essere l’unica “esposizione mondiale”
era suffragata dalla presenza di ben 22 nazioni contro le
Federica Luser
Il 1950 è un anno di fondamentale importanza per Aldo
Tavella che vede coronata di successo la propria attività
non solo con la Tavolozza d’argento al Premio Michetti,
ma anche e soprattutto con la partecipazione alla Biennale
veneziana dopo aver superato la severa selezione della
Giuria nominata dagli artisti stessi, secondo modalità che
esamineremo in seguito.
La XXV Biennale si aprì l’8 giugno del 1950 e fu un’edizione
straordinaria.
Ordinata da Rodolfo Pallucchini - che organizzerà
l’Esposizione veneziana per cinque volte dal 1948 al 1956
- presentò alcune novità d’impostazione nonchè alcune
mostre personali e retrospettive notevoli per il peso
che avranno nella storia dell’arte mondiale. La gestione
Pallucchini nell’immediato Dopo Guerra segnò in modo
particolarmente forte la storia della Biennale1. Suo merito fu
di dare all’Esposizione un nuovo volto rispetto alle edizioni
precedenti, ritornando allo spirito iniziale, quello del 1895.
Tre furono i punti fondamentali intorno cui crebbero e si
perfezionarono le mostre veneziane, presupposti che lo
stesso Pallucchini elencò nella prefazione al catalogo del
1950: “rigorosa selezione dell’arte italiana, pur tenendo
conto di tutte le tendenze; continuazione del compito
culturale della Biennale mediante retrospettive, mostre
ai movimenti artistici, inviti ad artisti stranieri, allo scopo
d’informare, sia pur succintamente, il pubblico italiano
degli sviluppi dell’arte contemporanea; uniformità dei
metodi di presentazione mediante accordi coi paesi
stranieri, persuadendoli dell’utilità d’inviare mostre limitate
a pochi artisti, scelti tra i più rappresentativi” 2.
Già nell’edizione precedente l’intuizione di creare una
Commissione per l’Arte Figurativa di altissimo livello,
composta da note figure provenienti dal mondo dell’arte,
tra cui i migliori storici di allora Nino Barbantini, Roberto
Longhi, Carlo Ludovico Ragghianti, Lionello Venturi e
alcuni artisti scelti tra quelli di maggior prestigio come
Carlo Carrà, Felice Casorati, Marino Marini, Giorgio
Morandi e Pio Semeghini, che organizzasse il piano
dell’Esposizione, era risultata estremamente efficace.
Così nel 1950 tale Commissione venne riconfermata con
l’aggiunta di due nuovi elementi, scelti tra i rappresentanti
sindacali: Leoncillo e Giacomo Manzù e la sostituzione
di Pio Semeghini, per motivi di salute, con lo storico
Giuseppe Fiocco.
Compito della Commissione era di inviare un numero
circoscritto di inviti a quegli artisti che ritenevano
rappresentativi delle linee guida dettate da Pallucchini.
Nel 1948 ne partirono 407, mentre nell’edizione del 1950
furono ridotti a 297, seguendo un criterio di maggiore
severità per mantenere fede all’aspirazione principale della
Biennale che, secondo quanto scritto da Pallucchini“ deve
La conchiglia allo specchio, 1931
14 dell’edizione precedente (nel 1952 saranno 26): Austria,
Belgio, Brasile, Cecoslovacchia, Colombia, Danimarca,
Egitto, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda,
Israele, Jugoslavia, Messico, Olanda, Portogallo, Spagna,
Stati Uniti d’America, Sud Africa, Svizzera, chiamate tutte
a esporre delle mostre personali dedicate ai propri grandi
maestri, per evitare di scadere in una sorta di “mostra
campionaria” solo per il desiderio di mostrare tutto quanto
vien prodotto in campo artistico nella propria terra6. Così
la Francia allestì la retrospettiva di Bonnard, le personali
di Utrillo e Matisse, proponendo tre diverse tendenze
sviluppatesi tra la fine del ‘800 e i primi due decenni del
‘900, accostando loro opere di Marcel Gromaire, Christian
Caillard, Bernard Lorjou e Alfred Manessier, artisti della
generazione successiva rappresentanti tendenze e gruppi
che con un occhio guardavano alle esperienze fauviste
e cubiste e con l’altro si aprivano la strada verso nuove
esigenze compositive, dettate dal nuovo corso dell’arte
contemporanea. Il Belgio espose 25 capolavori di James
27
Ensor accanto a dipinti di Constant Permeke, Gustave
de Smet e Frits Van den Berghe della Scuola di Latthem
Saint-Martin, e opere di Edgrad Tytgat, Jean Brusselmans
e Paul Delvaux considerato da Emile Langui, ordinatore
del padiglione “l’unico grande avvenimento della vita
artistica belga del dopoguerra”7, mentre la Gran Bretagna
propose un’importante retrospettiva di John Constable,
scatenando una tale rivoluzione da modificare anche
quello mondiale. Wassily Kandinsky, Paul Klee, Alfred
Kubin, Alexej Von Jawlensky, Auguste Macke, Franz Marc,
Gabriele Munter lavoravano per creare un’arte nuova che
guardasse all’essenza interiore delle cose, prescindendo
dall’immagine esterna, dove l’ espressione assumesse
valore di forma assoluta prodotta in nuove composizioni
Oggetti da cucina, 1947
astratte e musicali-drammatiche8.
Accanto ad essi le intense figure intagliate nel legno di
Ernst Barlach, quindi i dipinti di Max Beckmann, esponente
della Nuova Oggettività tedesca, di Gerhard Fietz, Werner
Gilles, Carl Hofer, Georg Meistermann, Ernst Wilhelm Nay,
Emil Nolde, Karl Schmidt-Rottluff, Max Peiffer Watenphul
e Fritz Winter. Singolare apparve poi il padiglione del Messico che presentò al pubblico i suoi tre pittori muralisti Josè
Clemente Orozco, Diego Rivera e David Alfaro Siquieros
rappresentanti del movimento pittorico rinascimentale
che seguiva quella su Turner ordinata nell’edizione
precedente, accompagnata da mostre personali di
Mattew Smith con il suo inno al colore impetuoso e la
sua passionalità e della scultrice Barbara Hepworth con
le sue sperimentazioni in relazione allo spazio e alla luce.
Di notevole interesse anche il padiglione della Germania
che ritornò ad esporre alla Biennale allestendo la mostra
dedicata a il “Cavaliere Azzurro”, uno dei più innovativi
gruppi di quell’avanguardia storica che rivoluzionò nel
primo decennio del 1900 il panorama artistico europeo,
28
messicano, che con forza ed impeto espressivi sottolineava
l’esaltazione della nazionalità riconquistata.
La volontà di guardare anche alle grandi personalità
storiche e ai più rilevanti movimenti storici del 1900,
approfondendone lo studio, fu sottolineata da Pallucchini
con l’allestimento delle mostre retrospettive dedicate
a Seurat, al Doganiere Rousseau, a Wassily Kandinsky e
ai movimenti Fauves, Cubismo, Futurismo e Cavaliere
Azzurro che come abbiamo già visto fu ordinata nel
padiglione tedesco. Una vera e propria comparazione di
stili e di idee per una maggiore conoscenza dei movimenti
d’avanguardia che hanno saputo rivoluzionare il volto alla
produzione artistica europea.
La ricerca dell’eccellenza anche nel panorama artistico
italiano indusse i commissari a volgere lo sguardo
verso il passato con la creazione di due retrospettive di
artisti dell’800 Giacomo Favretto e Medardo Rosso e
l’allestimento di quella dedicata al Futurismo, equiparando
a ragione gli sviluppi dell’arte italiana d’inizio Secolo a
quella, forse più conosciuta, francese e tedesca. A queste
si aggiungono le esposizione retrospettive dello scultore
Ernesto De Fiori e dei pittori Lorenzo Viani, Cino Bozzetti
e di Mario Broglio, mentre le mostre personali furono
dedicate a Carlo Carrà, Alberto Magnelli, Pio Semeghini
e Gino Severini: “Quattro temperamenti diversi, quattro
personalità spiccate, quattro maestri la cui particolare
storia è legata alla cultura di questo primo cinquantennio
del Novecento”9. Maestri che, aggiungiamo noi, ebbero
il merito di saper far crescere ed evolvere il proprio
linguaggio creando i presupposti per lo sviluppo di un’arte
contemporanea italiana di assoluta eccellenza. Basti
pensare a Carrà e Severini e il loro passaggio dalle prime
esperienze futuriste all’adesione a un realismo plastico e
poetico che rimase tale per il primo e che si dissolse in
pura ricerca teorica nel secondo.
Accanto a essi furono invitati tra gli altri Roberto Melli,
Filippo De Pisis, Osvaldo Licini, Luigi Spazzapan, Arturo
Tosi, Renzo Vespignani con una decina di opere, quindi
Giovanni Barbisan, Renato Birolli, Felice Carena, Virgilio
Guidi, Mario Mafai, Fausto Pirandello, Ottone Rosai,
Toti Scialoja, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso,
Giulio Turcato, Armando Pizzinato, Renato Guttuso
con cinque e tre opere. Pittori che rappresentavano la
complessità di aspetti di cui era formata l’arte italiana del
momento, tendenze che andavano dall’espressionismo
al neocubismo passando per un neorealismo che faceva
riflettere l’ordinatore, rivolgendosi con ogni probabilità
alle scelte di Guttuso, Pizzinato e Turcato.
La complessità del nostro panorama pittorico e la pressione
per la scelta anche di artisti meno noti, ma comunque di
notevole spessore, o di quelli della più giovane generazione,
spinse la Commissione per l’Arte Figurativa a “demandare
ad una Giuria eletta interamente dagli artisti il compito
della scelta di un gruppo di 250 opere... L’elezione della
Giuria alla quale hanno partecipato 1608 artisti ha dato
un risultato interessante sotto vari punti di vista: a grande
maggioranza di voti si sono classificati proprio quegli
artisti che facevano parte della Commissione per le Arti
Figurative, dimostrando implicitamente di riconoscere in
tali maestri l’autorità dei giudici”10.
Della Giuria dunque fecero parte Felice Carena, Carlo
Carrà, Felice Casorati, Giorgio Morandi e Giacomo Manzù
che seppero destreggiarsi egregiamente operando la
propria scelta basandosi su un criterio “obiettivo di
valutazione qualitativa”11.
Tra gli artisti selezionati come abbiamo già visto, anche
Aldo Tavella che espose nella sala XXXI il dipinto a olio
Morte delle maschere, opera risalente al 1948 la cui
composizione appare gremita di oggetti appoggiati su
un tavolo, mentre sullo sfondo un cielo grigio accoglie
uno stormo di gabbiani in volo. Fatto singolare fu la
presenza nella sala XXII di Fiorenzo Tomea con due opere
che presentavano il medesimo soggetto delle maschere,
dipinte una decina di anni prima. Ma mentre il maestro di
Zoppè delineava alla perfezione la distanza tra i vari piani
e ammantava le composizioni di un’atmosfera sospesa
di estatica contemplazione, Tavella strutturava l’opera
dipingendo gli oggetti in modo sovrapposto, senza lasciare
spazi, ma giocando con i diversi piani e abbandonando
volutamente il senso prospettico.
A parte questi primi facili confronti sembra chiaro che la
partecipazione alla Biennale veneziana per Tavella, come
per ogni artista impegnato a dar prova di sè nell’ambito di
esposizioni internazionali, sia non solo una tappa ambita
e fondamentale, ma rappresenti contemporaneamente
un punto d’arrivo e uno di partenza. L’invito a partecipare
infatti, sottolinea il raggiungimento di una tappa
sostanziale della propria carriera e la conferma della bontà
del proprio operare, mentre la possibilità di confronto con
altre realtà apre la via, a chi le sappia cogliere, a nuove
sfide e ulteriori approfondimenti.
(1) E. Di Martino, Storia della Biennale di Venezia 1895-2003. Arti
Visive-Architettura-Cinema-Danza-Musica-Teatro, Papiro Arte,
Venezia 2003, pp. 53-59.
(2) R. Pallucchini, Introduzione, in Catalogo della XXV Biennale
di Venezia, Venezia 1950, pp. X-XI
(3) Idem, p. XI
(4) Idem, p. XI
(5) Idem, p. XI
(6) Idem, p. XVIII
(7) Emile Langui, in Catologo della XXV Biennale di Venezia,
Venezia 1950, p. 272.
(8) L.v.W, pag. 303
(9) R. Pallucchini, cit., pp. XII-XII
(10) Idem, p. XIII
(11) Idem, p. 26
29
Zona archeologica, 1964
NOTE SULLA PITTURA DI GENERE VENETA
NEL NOVECENTO
confrontano con un genere che trascende le connotazioni
politiche che avevano caratterizzato, invece, tutto il periodo
risorgimentale, caricandosi piuttosto di significati simbolici
e di chiavi di lettura più complesse.
La pittura, nel panorama veneto novecentesco, è materia
estremamente variegata. Pur essendovi dei caratteri che
vanno a riecheggiare solo in parte le lezioni date dai grandi
maestri dell’ormai lontano periodo rinascimentale, sono
senz’altro le occasioni pubbliche di esposizione e confronto
che danno il là per una maggiore coscienza del proprio
operato. In questo senso le piccole e grandi esposizioni (su
tutte l’istituzione a Venezia nel 1895 della Internazionale
Marco Maria Polloniato
Nel novero delle tipologie pittoriche la cosiddetta pittura di
genere ha da sempre avuto un posto particolare: inizialmente
marginale, ma via via parte sempre più integrante della
consuetudine e dell’interesse degli artisti. Essa affonda le
radici in secoli di graduale trasformazione, secoli di lenti
cambiamenti durante i quali la dicotomia esistente tra
grandi committenti e la gran parte della popolazione, si
è ridotta in forza di una crescita delle categorie dedite ad
attività economiche sempre più incidenti nella vita sociale.
Provengono, infatti, dalle aree di commercio più intenso
dell’Europa quattro-cinquecentesca i primi maestri di
questo genere, in particolare dall’area fiamminga, basti
pensare al più famoso Pieter Bruegel il vecchio. Nei
secoli successivi le reti di scambio createsi portano ad
una diffusione priva di confini delimitati proprio perchè
ricca di peculiarità espressive. Queste contraddistinsero
aree geografiche-nazionali. L’indole sempre più attenta al
proprio sentire rovescia così un rapporto di sudditanza con
il mecenate che perdurerà fino ad oggi. Cosa spinse gli
artisti ad avvicinarsi alle scene tratte dalla vita d’ogni giorno?
Ad accostarsi a quegli elementi che nella pittura religiosa,
storico-politica o nella ritrattistica non trovavano spazio
se non come contorno, come elemento decorativo? Cosa
spinse un autore come Jacopo Da Ponte, detto il Bassano,
ad inserire una moltitudine di popolani accompagnati dai
propri animali nei quadri che andavano a rappresentare di
volta in volta scene tratte dai Vangeli o che illustravano la
vita di Santi protettori? Se l’attenzione veniva, comunque,
canalizzata a concentrarsi sull’elemento centrale, sul
messaggio evangelico o comunque prettamente religioso,
non v’è dubbio che contemporaneamente andava creandosi
un avvicinamento nella complicità silenziosa instauratasi tra
spettatore e personaggi del quadro. Sta in questo la forza
evocativa del quotidiano: una condivisione di momenti
e situazioni che di fatto rappresentano gli aspetti più
elementari ed immediati del vissuto contemporaneo.
Nei secoli successivi la pittura di genere (che, non va
dimenticato, è una mera categorizzazione ottocentesca
atta a rendere più semplice l’individuazione dei soggetti), si
avvia a diventare sempre più protagonista. In Italia si assiste
quasi a una rincorsa che trova nei pittori caravaggeschi e,
successivamente in quelli dediti ai temi dei bamboccianti
e nei pitocchi, i principali esponenti. Ceruti, Crespi, ma
anche i campioni del vedutismo veneziano come Canaletto
e Guardi si dedicano, ognuno a proprio modo, alla lettura
più o meno filtrata della realtà. Procedendo ancora nella
linea temporale, il genere assume via via connotazioni per
certi aspetti manieristiche, riflesse su se stesse ed è solo
con il verismo ottocentesco che viene dato nuovo vigore
alla scelta di soggetti destinati a suscitare tensioni nel
pubblico.
A ridosso del Novecento sono quindi molti gli autori che si
Incendio nel cantiere, 1978
d’Arte, meglio conosciuta come Biennale) che si diffondono
su tutto il territorio fanno da collante tra gli artisti che hanno
così modo di riscontrare direttamente il gradimento del
pubblico.
Venezia rappresenta in tal senso un punto di riferimento
indispensabile per tutti, in primis per la sua vocazione
di città sospesa nel tempo, ma anche per la presenza di
istituzioni riconosciute come l’Accademia di Belle Arti e le
prime fondazioni artistiche. Più che ai grandi nomi di fine
Ottocento che avevano rinnovato l’ambiente veneziano
quali Guglielmo Ciardi, Luigi Nono, Ettore Tito, Alessandro
Milesi, è piuttosto un personaggio come Pietro Fragiacomo
a mettere in evidenza nei paesaggi lagunari barche o nella
rappresentazione di tutti quegli strumenti di lavoro che
sono, molto spesso, l’unico indizio della presenza umana
appena percepibile. È indubbio che la matrice simbolista di
inizio Secolo è più evidente in altri autori come in Ettore Tito
o in Mariano Fortuny, ben distanti dai richiami al passato
di Cesare Laurenti, ma dovendo qui ricercare esempi di
pittura di genere, il pensiero non può che andare verso
un altro grande autore del primo Novecento veneziano:
Marius Pictor. Il bolognese si inserisce a pieno titolo nel
panorama lagunare prediligendone gli aspetti decadenti
31
ed evidenziandone i meno appariscenti. Una pittura giocata
sui toni della luce notturna e sulle scene che la variegata
Città lagunare propone e che troverà una costante fortuna
anche successivamente. Spostando poi l’attenzione anche
ai luoghi che circondano il centro storico lagunare vale
la pena ricordare che istanze e suggestioni spesso sono
giunte qui da autori stranieri che a Venezia si sono stabiliti
e che hanno dato prova del loro valore. A Burano, oltre ad
Umberto Veruda, v’è il polacco Jehudo Epstein a mettere
in luce i caratteri più istintivi del microcosmo isolano. Gli
altri grandi nomi contemporanei, quelli facenti capo alla
Fondazione Bevilacqua e quindi alla famosa sede di Ca’
Pesaro, sono in realtà estranei alla contaminazione con il
quotidiano. I vari Boccioni, Casorati, Marussig, sia prima
che dopo la Grande Guerra, non pongono la propria
attenzione alla rappresentazione di frammenti del vissuto,
prediligendo piuttosto il simbolismo dei particolari o la
rievocazione mitologica. La stessa Secessione Viennese
influenza con straordinari esiti alcuni autori di ampio respiro
come Teodoro Wolf-Ferrari e Vittorio Zecchin. Un segno di
svolta ed un nuovo interesse per il genere arriva con Gino
Rossi che, reduce da viaggi importanti in Europa, porta
una ventata di novità pur rappresentando soprattutto
personaggi e figure popolari. Alla tendenza post-bellica del
realismo magico aderisce Bortolo Sacchi, nelle cui opere
è possibile vedere una genìa di personaggi che risultano
sospesi tra laguna e cielo come la città che li ospita. Ma è
nelle opere degli anni Venti di Cagnaccio da San Pietro che
la pittura di genere trova nuova linfa diventando specchio
della realtà e voce di denuncia. I suoi sono intenti polemici
evidenti che si rifanno alla pittura tedesca contemporanea,
riscrivendo in parte i canoni della pittura di genere.
Prima di arrivare alla grande temperie culturale che sin
dagli anni Quaranta porterà alla ricerca in chiave astratta
e di più consone forme e tecniche, vi sono ancora alcuni
nomi che è necessario ricordare. In primis quello di Guido
Cadorin, anche lui in parte esponente del realismo magico,
senza dimenticare altri artisti significativi tra i quali Virgilio
Guidi: pittore atonale apparentemente neutro ai luoghi ed
alle figure descritti.
Le altre province venete sono sempre state foriere di autori
che si sono dovuti confrontare con la temperie culturale di
Venezia, richiamo e termine di confronto indispensabile
per aprirsi al dialogo internazionale. La vicina Padova
ad esempio, Città che non ha mai sentito troppo forte il
confronto-scontro con Venezia, si manifesta come un luogo
dove le istanze pittoriche hanno un percorso leggermente
più lento. Giovanni Vianello e Domenico Bonatti possono
ben rappresentare il clima cittadino all’alba del nuovo
Secolo: tendenze realiste ancora vive, non prive di intenti
simbolisti ormai acclarati. Per trovare veri esponenti della
pittura di genere è necessario fare riferimento ad un
pittore eclettico quale fu quel Mario Cavaglieri che fonde
nelle proprie opere suggestioni europee con una resa
cromatico di forte impatto. Gli altri rappresentanti della
pittura padovana del primo Novecento, però, si discostano
dalla rappresentazione del reale per dedicarsi piuttosto a
forme più moderne e che vedono forse solo in Giovanni
Dandolo un richiamo alla realtà. Giuliano Tommasi e Mario
Rigoni dei Graber, ad esempio, improntano la propria
poetica in direzione del simbolismo. Dopo la parentesi del
futurismo padovano, bisogna attendere Tono Zancanaro
per tornare a vedere richiami al reale letto in una chiave
antieroica. Distante, anche se affine alla poetica di forme
pittoriche primitive come quelle di Fulvio Pendini e Antonio
Fasan. Successivamente, dagli anni Cinquanta in poi, con
la grande esplosione economica che accompagna il clima
post-bellico, i soggetti di riferimento diventano sempre
più connessi con le nuove realtà industriali. Molti sono i
nomi che recepiscono e si confrontano con la nuova realtà
emergente, ma non è raro cha da una prima forma di
denuncia sociale taluni artisti spostino il loro interesse verso
una rappresentazione introspettiva legata alla memoria di
quanto era e non è più. Gianni Longinotti muove da queste
istanze e traccia una strada in parte seguita ad esempio da
Riccardo Galuppo. Sono quindi altri i nomi di autori dediti
al realismo quali Piero Mancini ed Enrico Schiavinato; il
secondo in particolare presenta nelle proprie opere, dai
colori e dal taglio estremamente incisivi, una territorialità
scavata nelle rughe dei contadini e degli altri elementi
tipici della campagna veneta. Sono queste delle “derive”
espressioniste, ma rappresentano una concreta visione del
popolo e del medesimo paesaggio che è possibile ritrovare
in Vittore Bonsembiante.
A differenza del capoluogo patavino, Treviso si presenta al
nuovo secolo con un panorama di pittori strettamente legati
all’ambito veneziano, la cui Accademia di Belle Arti vide il
passaggio di quasi tutti gli artisti più significativi del nuovo
Secolo. Contemporaneamente è l’organizzazione della
Mostra d’Arte Trevigiana a diventare punto di riferimento
per le nuove generazioni che trovano l’occasione ideale
per confrontarsi con i maestri di fine Ottocento. Luigi
Serena in tal senso è il capostipite ed il più rappresentativo
decano della pittura di genere oltrepiave, ed è difficile
riscontrare allievi degni del maestro o comunque pittori che
interpretino con la stessa efficacia l’ambiente circostante.
I Ciardi, ad esempio, pur risiedendo spesso in provincia,
non lasciano mai il tenue languore delle rappresentazioni
lagunari. Altri autori contemporanei o di poco successivi
non hanno la stessa incisività ad esclusione, in parte, di
quel Giovanni Apollonio che stempera e fissa momenti
“leggeri” di vita borghese. Se la genesi pittorica di Alberto
Martini è saldamente legata a Treviso, con l’enfasi sugli
aspetti della campagna, successivamente volge il proprio
modus nella direzione del surrealismo, merita invece una
citazione quell’Aldo Voltolin, la cui breve carriera, consegna
nei modi del decorativismo e divisionismo autentiche
perle cromatiche. A Ca’ Pesaro, intanto, sono Gino Rossi
e Arturo Martini a contribuire in maniera sostanziale,
ognuno con forte personalità, al rinnovo dei temi correnti.
A loro va aggiunta la figura di Nino Springolo, che segna
la pittura di genere con equilibrata obbiettività, estranea
a provincialismi, a sovrascritture o abbellimenti e che
troverà eccellenti riscontri anche fuori i confini nazionali.
32
In questo frangente si erge a coordinatore instancabile e
propugnatore di una identità comune Giuseppe Mazzotti, il
cui nome si lega all’organizzazione e promozione di mostre.
I suoi contemporanei, però, tra i quali Giacomo Caramel,
Lino Bianchi, e Rachele Tognana sembrano disinteressarsi a
lungo dei soggetti di genere, focalizzandosi più sulle novità
tecnico-pittoriche che su una ricerca di soggetti di rottura.
commissione della Biennale del 1903. Maggior fortuna
sembra avere Guglielmo Talamini attento osservatore
di “facce” e volti della sua terra. Altri come Pio Solero si
distaccano gradualmente dalla realtà abitata e conosciuta
per un’immersione sempre più decisiva nell’ambiente
montano, scelta influenzata dalle letture e dalle conoscenze
dirette con gli ambienti artistici di Monaco. Una sua indiretta
erede potrebbe essere individuata in Romana D’Ambros,
pur se influenzata da altre sollecitazioni significative nel
campo della pittura di genere che sono da ricercare al di
fuori della tematica sacra, invero tra le più frequentate e
dove gli autori bellunesi hanno rinnovato parte del loro
linguaggio decorativo. E bisogna attendere almeno
fino al primo scontro bellico per trovare in un Edgardo
Rossaro i primi tentativi di fissare la realtà di guerra. Ma per
tornare alla pittura di genere, carica di un simbolismo che
trascende il tempo, il nome di punta è quello di Fiorenzo
Tomea, ben conosciuto anche al di fuori del contesto locale
grazie alle sue pitture fatte di oggetti, spesso moltiplicati e
protagonisti assoluti del quadro. Altri come Bruno Milano
o Romano Ocri tentano, invece, altre vie ed anche altre
tecniche, rinnovando il repertorio e l’uso di una pittura
ancora legate alle pratiche post-impressioniste. Grande
esponente di una lettura cromatica irreale del quotidiano
è invece Celso Valmassoi, cadorino come Aldo De Vidal,
la cui vicenda personale lo porta ad essere espressione di
una realtà sociale in evoluzione fino alla realizzazione dei
“murales” di Cibiana.
Su tutt’altre latitudini e richiami va invece inquadrata la
terra di Palladio. Quella Vicenza a lungo rimasta chiusa in
un contesto di “piccola” provincia e che solo in seconda
battuta ha aperto e rinnovato il repertorio artistico grazie
soprattutto all’impegno ed alla lungimiranza di alcune
scelte istituzioni e di circoli la cui urgenza espositiva trovò
sbocchi e riscontri meritati, prima fra tutte l’Accademia
Olimpica. Ubaldo Oppi e Carlo Potente sono i primi nomi
di rilievo che vanno ad incidere sul normale andamento
della cultura ottocentesca in Città, come un altro dei pittori
viaggiatori d’inizio secolo Wladimiro Gasparello. Ma i loro
interessi vengono presto inquadrati in una ritrattistica o
comunque, in opere canoniche, veicolate da forme e dalla
studiata stesura del colore a discapito di soggetti presi dal
quotidiano. Emerge, comunque, la voglia di dare spazio ad
un’urgenza espressiva. Nelle esposizioni degli anni Venti
passano quasi tutti i nomi più significativi, tra i quali anche
il giovane Mario Venzo, poi conosciuto come Fratel Venzo.
Altri nomi significativi sono quello di Pier Angelo Stefani, i
cui allievi avranno un posto di rilievo dagli anni Quaranta.
Nomi ben conosciuti quali il giovane Neri Pozza, Otello De
Maria, Nerina Noro, Bruno Canfori e Antonio Marcon. Come
anche l’aristocratico Bortolo Sacchi, Marcon è uno dei tanti
maestri eclettici dell’ambiente bassanese, essendo anche
xilografo e ceramista, a cui seguiranno in tempi successivi
personaggi quali Miranda Visonà, Giovanni Petucco, Carlo
Contin, Pompeo Pianezzola, tutti attenti a cogliere nel
linguaggio di casa, negli affetti e nell’immediatezza il calore
umano. Anche le donne hanno spazio in questo ambito con
La turista inglese, 1990
Va sottolineato, inoltre, il valore della coscienza del proprio
operare, svolto da Mazzotti, allorquando si confronta con gli
indirizzi dati all’arte dal Regime. Nelle successive esposizioni
continuano a formarsi generazioni di artisti, gli interessi dei
quali vagano indagando la città. Basti pensare ai temi cari
ad Arturo Malossi, al giovane Giovanni Barbisan, alle sorelle
Maria e Tina Tommasini, ma soprattutto a Sante Cancian. È
lui a “rappresentare” Treviso nei suoi aspetti più immediati
utilizzando tecniche diversificate e ponendosi quasi come
un cronista-sceneggiatore del tempo.
Legata a Treviso per ragioni geografiche e solo relativamente
aperta ad influenze nordiche, è Belluno con l’insieme
delle valli cadorine e ampezzane. Il primo ventennio del
Novecento non vede sostanziali rinnovamenti rispetto al
Secolo, complice una committenza locale poco incline alle
novità lagunari. Non è un caso che uno dei più rappresentativi
artisti d’inizio secolo, Luigi Cima, non venga accettato dalla
33
Ina Barbieri e Mina Anselmi, la prima con richiami al modo di
Gino Rossi, la seconda concedendosi libertà ed originalità
rispetto alla formazione ricevuta a Venezia con Virgilio
Guidi. Il terzo personaggio femminile che è indispensabile
ricordare è Nerina Noro, la cui formazione con Guidi e Saetti
si scorge talvolta nei suoi ritratti, ma che difficilmente vanno
a toccare temi sociali per rimanere nell’intimo di evocazioni
e paesaggi informali. Altri spunti significativi sono quelli
che si raccolgono attorno ad altri centri nevralgici, come
il Calibano del mecenate Angelo Carlo Festa o al Premio
e la vena burlesca che caratterizza i “convivi” degli artisti,
trova risvolti espositivi anche nelle mostre di caricatura. Il
futurismo invece trova pochi echi significativi, nonostante
la presenza di Boccioni fino alla morte. Guido Trentini
rappresenta un caso significativo di accrescimento culturale
all’interno di tutto quello Stile Novecento che si concretizza
nella rappresentazione di piani in cui l’assenza del colore
ed il plasticismo seriale sono il leit-motiv. Altro grande
nome residente a lungo a Verona è quel Pio Semeghini
che non apre alle tinte tenui e rarefatte molto diverse
rispetto all’estetica fascista e ben distinto anche dall’altro
esponente della pittura di genere quale fu Aldo Tavella. Il
periodo successivo, però, non risulta all’altezza di quanto
visto ad inizio Secolo e fino alla fine del Secondo Conflitto:
gli anni Cinquanta fanno da incubatrice a quanto esploderà
poi negli anni Sessanta e Settanta con l’arrivo dell’astratto,
dell’espressionismo, dell’informale e del razionalismo.
In questo breve excursus sulla pittura di genere nel Veneto, v’è
una schematizzazione che riprende in buona sostanza quanto
declinato con dovizia di particolari dagli autori dei volumi La
pittura nel Veneto. Il Novecento, I-II, Milano 1999-2006.
A San Giorgio - Cinema all’aperto, 1953
Marzotto istituito dall’omonima azienda.
La figura di Licisco Magagnato fa da ponte con la realtà
veronese le cui ambizioni si sono esplicate, nel corso del XX
secolo, ricercando un saldo legame con Venezia e con le
istanze artistiche delle più importanti città mitteleuropee. In
questo la dominazione asburgica ebbe un ruolo di rilievo
inducendo alcuni autori a perfezionarsi a Vienna o a Monaco.
Non è un caso che le prime istanze moderniste trovino in
Verona un terreno fertile nel quale attecchire e che lascerà
il segno in diversi pittori a cominciare da Vincenzo De
Stefani, per passare a Francesco Danieli, Carlo Francesco
Piccoli, Carlo Donati. A costoro si contrapponeva lo stile
popolare, ma efficace di un Angelo Dall’Oca Bianca che
grande successo riscuoteva in città, come il conterraneo
Giovanni Bevilacqua. Alfredo Savini, bolognese, portò con
sè qualche germe di novità che l’ambiente scaligero recepì
e fece proprio, così come l’arrivo di Baldassare Longoni
ebbe echi per molti anni, soprattutto per l’utilizzo del
divisionismo. Nell’ambito della pittura di genere è un allievo
di Savini, Benvenuto Ronca, a confrontarsi con le figure dei
derelitti, così come Ettore Beraldini, quest’ultimo con un
rapporto più sensibile con i soggetti rappresentati. Anche
se lontano da queste tematiche val la pena di sottolineare
il legame instauratosi tra la Città e la figura di Felice
Casorati, e di alcuni colleghi: su tutti Guido Trentini. V’è
da aggiungere che in questo primo Novecento la gaia vita
34
OPERE
35
Mio fratello Pino, 1926
36
• Olio su compensato, cm 60x70
RITRATTO, [1927]
• Olio su cartoncino, cm 35x24
37
E’ solo un ricordo, 1928
PAESAGGIO, 1930
• Olio su compensato, cm 39x50
• Olio su cartone, cm 34x43
38
la signora elda, 1932
39
• Olio su cartone, cm 48X35
la signora elda, 1933
L’ATTESA, 1933
• Olio su tavola, cm 50x33
40
• Olio su compensato, cm 50x39
41
DONNA CHE CUCE, [1934]
42
• Olio su carta, cm 50X35
tempo di carnevale, 1934
43
• Olio su cartone, cm 40x50
nello studio, 1936
maternità, 1935
• Olio su cartone, cm 48x35
44
• Olio su cartone, cm 49x36
45
canale a venezia, 1936
46
• Olio su tela, cm 18x24
frutta e vino, 1937
• Olio su cartone, cm 50x35
47
DAllo studio del pittore aldo franzoni, 1938
48
• Olio su cartone, cm 35x24
paesaggio, [1939]
• Olio su compensato, cm 50X60
49
Piccolo Paese, 1939
• Olio su cartone, cm 24x30
50
battelli a peschiera, 1940
Il pittore, 1941
• Olio su cartone, cm 13x20
• Olio su cartone, cm 24x35
51
Costruzioni medievali, 1943
52
• Olio su cartone, cm 60x50
la ragaZza, 1946
• Olio su cartone, cm 50x36
53
54
il porto, 1946
55
• Olio su compensato, cm 80x100
CAMPAGNA A MINERBE, 1946
56
• Olio su compensato, cm 28X38
composizione, 1946
57
• Olio su cartone, cm 59x40
Giardini, 1947
• Olio su cartone, cm 50x60
58
MIA MOGLIE E MIA FIGLIA SOFIA, 1947
59
• Olio su cartone, cm 35x46
NELLA VALPOLICELLA, 1948
• Olio su compensato, cm 35X42
paesagggio invernale presso mantova, 1948
60
• Olio su cartoncino, cm 24x30
Morte delle maschere, 1948
61
• Olio su cartone, cm 50x60
Il cantiere, 1949
FIORAIA, 1948
• Olio su cartone, cm 50x60
62
• Olio su cartone, cm 60x50
63
Orate, 1949
• Olio su faesite, cm 50x60
64
Maschere, 1949
• Olio su cartone, cm 50x60
65
Piazza delle erbe, 1949
66
• Olio su cartone, cm 50x60
Meditazione, 1949
• Olio su cartone, cm 50x60
67
nd, 1949
• Olio su cartone, cm 60X50
68
MASCHERA, [1950]
• Olio su cartoncino, cm 35x24
69
Il vecchio “IL SIGNOR BENIAMINO”, 1950
70
• Olio su cartone, cm 60X50
La Piazza alberata, 1950
71
• Olio su cartone, cm 50x60
72
il muro “ la macchia rossa”, 1950
• tecnica mista collage, cm 100x70
san giorgio - veronA, 1950
73
• Olio su cartone, cm 50X60
Inverno sul lago di Mantova, 1951
74
• Olio su faesite, cm 50x60
Autunno, 1951
• Olio su cartone, cm 50x60
75
neve in periferia, 1951
• Olio su compensato, cm 59X69
76
corso porta nuova di sera, 1951
77
• Olio su compensato, cm 50x60
78
La signora Madinelli, 1952
• Olio su cartone, cm 60X50
Cortile rustico presSo Lugagnano, 1952
79
• Olio su cartone, cm 50x60
venezia, 1952
• Olio su cartone, cm 50x60
80
Ricostruzione del Ponte, 1953
81
• Olio su cartone, cm 50x60
ragazza con mazzo di fiori, 1953
82
• Olio su cartone, cm 60X50
Composizione, 1954
• Olio su compensato, cm 50x60
83
Triglie e zucche, 1954
84
• Olio su cartone, cm 50x60
lo studente, 1954
• Olio su cartone, cm 48x34
85
86
Omaggio floreale, 1955
• Olio su compensato, cm 60X50
fiori, angurIa e picchio, 1956
87
• Olio su cartone, cm 50x60
Sul tavolo della cucina, 1957
88
• Olio su cartone, cm 50x60
Frutta, 1958
• Olio su cartone, cm 50x60
89
La passeggiata, 1959
90
• Olio su cartone, cm 50x60
VASO DI FIORI, 1959
91
• Olio su tela, cm 50X40
Disperazione, 1959
• Olio su cartone, cm 50x60
93
Composizione con Macinino, 1960
94
• Olio su cartone, cm 50x60
San Giorgio, 1960
• Olio su cartone, cm 50X60
95
Ruderi, 1960
• Olio su cartone, cm 50x60
96
Composizione, 1961
97
• Olio su tela, cm 48x63
Bambina con Bambola, 1961
Al Bar, 1961
• Olio su cartone, cm 60x50
98
• Olio su cartone, cm 60x50
99
il vaso di fiori, 1961
• Olio su compensato, cm 60x50
100
la lettera, 1962
• Olio su compensato, cm 60x50
101
Composizione, 1963
• Olio su compensato, cm 50x60
102
ANNA FRANK, 1963
• Olio su compensato, cm 50x60
103
Composizione, 1964
• Olio su cartone, cm 50x60
104
zona archeologica, 1964
105
• Olio su cartone, cm 90x70
LA SIGNORA PINA, 1964
106
• Olio su faesite, cm 60x50
il lago a mantova IN inverno, 1964
107
• Olio su tela, cm 24x30
108
RAGAZZA DAL GIUBBETTO ROSSO, 1965
• Olio su cartone, cm 60X50
Il circo “Inverno”, 1966
109
• Olio su cartone, cm 50x60
cantiere, [1966]
• Olio su compensato, cm 50x60
110
Invidia, 1967
• Olio su cartone, cm 60X50
111
un ricordo, 1967
• Olio su compensato, cm 100x70
112
Giardini, 1968
• Olio su tela di lino, cm 50x60
113
COMPOSIZIONE CON CIPOLLE, 1968
114
• Olio su cartone, cm 50x60
Fiori e zucche, 1970
• Olio su cartone, cm 50x60
115
periferia, 1971
• Olio su compensato, cm 70x80
116
Composizione, 1972
• Olio su cartone, cm 50x60
117
neve a malcesine, 1972
• Olio su compensato, cm 70x100
118
Il cantiere, 1975
• Olio su compensato, cm 50x60
119
imbarcazioni prima del temporale, 1976
120
• Olio su compensato, cm 60x80
Prima neve “dal mio studio”, 1978
121
• Olio su compensato, cm 70x80
mia moglie, 1980
• Olio su compensato, cm 100x70
122
campagna presso calmasino, 1980
123
• Olio su compensato, cm 60x80
124
composizione, 1981
• Pastello su carta, cm 100x70
GABBIANI AL TRAMONTO, 1985
125
• Olio su compensato, cm 100x70
omaggio alla mamma, 1985
126
• Olio su compensato, cm 100x70
Presso il Ponte di Veja, 1986
127
• Olio su compensato, cm 50x60
Composizione, 1988
• Olio su faesite, cm 70x100
128
Il compito, 1989
• Olio su compensato, cm 80x60
129
Il gatto veneziano, 1990
130
• Olio su tela, cm 70x70
La piazza, 1991
• Olio su tavola, cm 50x60
131
il vaso di ceramica, 1991
132
• Olio su compensato, cm 100x70
LA SPOSA HA 16 ANNI, 1993
133
• Olio su compensato, cm 60X50
134
ZONA INDUSTRIALE , 1994
Olio su compensato, cm 50x60
135
NOTE BIOGRAFICHE
Ha compiuto i suoi studi presso l’Accademia Cignaroli di
Verona, dove è poi ritornato quale titolare della Cattedra di
affresco; è stato inoltre insegnante di figura presso il Liceo
Artistico Statale dal 1967 al 1979.
Dal 1963 è titolare della Cattedra di pittura presso l’Accademia Cignaroli, della quale è stato anche Direttore dal 1982
al 1985.
Sempre presente alle più importanti manifestazioni d’arte nazionali ed internazionali, la sua attività artistica punteggiata di
successi e sue opere figurano in varie collezioni pubbliche e
private, italiane e straniere.
Di anno in anno, le partecipazioni sono sempre più numerose e i riconoscimenti frequenti.
E’ alla Biennale di Venezia nel 1950, anno in cui viene premiato con tavolozza d’argento al “Nazionale di Pittura F. Michetti” a Francavilla al Mare (CH).
Sempre nel ’50 è presente alla Mostra dei due secoli dell’Accademia Cignaroli di Verona, al premio Suzzara, all’Angelicum di Milano. L’anno seguente partecipa alla Quadriennale
d’Arte di Roma e Torino, al Premio Roma per la Figura, alla
1a Biennale internazionale d’arte Marinara di Genova. Espone alle Mostre nazionali di Messina, Monza e Gallarate e al
premio di Pittura di Clusone.
Non manca alla 1° Biennale Nazionale di Verona, alla quale
ritorna nel ’53 e nel ’55; né alla Biennale Triveneta di Padova,
dove si ripresenta negli stessi anni ’53 e ’55.
Nel ’53 ritorna al Premio Burano dove già si era presentato
nel ’51 e partecipa al Premio Brescia.
Anche negli anni seguenti è presente a tutte le Biennali Nazionali di Verona e alle Biennali Trivenete di Padova, nonché
ad altre numerose manifestazioni artistiche, conseguendo
significativi riconoscimenti e premi.
La stagione del 1956 ha visto quello che la stampa ha definito “un approdo” per Aldo Tavella, nella Mostra alla Galleria della Scala di Verona. Silvio Bertoldi ha scritto a questo
proposito: “E’ arrivato per Tavella il momento dei bilanci, dei
consuntivi, forse della scelta; ossia il momento di porre in discussione l’intera validità di una produzione pluriennale, perseguita con ammirevole serietà, punteggiata di successi e di
soddisfazioni”. “L’artista ha raggiunto, nella vita, la stagione
della piena estate. E’ naturale ed umano, è necessario che
egli abbia considerato dentro di sé il cammino percorso … E
questo è stato un approdo sicuro”.
Il bilancio di questo periodo di fatiche e di studio, il consuntivo di ricerca e di approfondimento tematico, formale ed
inventivo, è stato positivo.
Non saremo noi a voler scoprire, oggi, le qualità di pittore
di Tavella: che sono sempre state la serietà dell’impianto costruttivo del quadro, secondo una lezione non immemore
di Cézanne; l’intelligente novità della figurazione, pur nel rispetto di una atmosfera sottilmente romantica che rivela agli
attenti le segrete inclinazioni dell’anima; il colore scrupolosamente costruito sulla tavolozza, come accade a chi deve
ricavare i toni dallo studio, piuttosto che dalla fantasia.
Ebbene, tutte queste doti ci paiono oggi consolidate e raf-
forzate. Ci sembra anzi che altre se ne siano aggiunte come
– per esempio – l’allargamento degli interessi prettamente
pittorici (tocco, impasti, gradazioni cromatiche, tono, taglio
dell’immagine) e il successo conseguito nel rendere sicura la
propria “sigla creativa”, cioè quel dono di personalizzare la
creazione fino a farla distinguere d’acchito e con certezza”.
I giudizi della critica testimoniano della vitalità di questo pittore e delle sue doti e della sua anima. Il Verzellesi nel giornale “L’Arena” in occasione di una personale alla Galleria
Novelli, nel 1971, così riportava tra l’altro: “alle clamorose
soluzioni di continuità che ricorrono negli itinerari dei professionisti dell’avanguardia più svagata, Tavella ha seguitato a
contrapporre un rifiuto fermo, non meno risoluto e pungente
della sua ironia per i conservatori troppo accidiosi, capaci di
continuare a ripetersi scambiando la coerenza dello stile, che
implica continue varianti con una sorta di canonicato, fatto di
abitudinarie esercitazioni sempre più macchinali”.
Per quanto riguarda forma e stile, è interessante rileggere
un altro giudizio scritto nell’opuscolo di presentazione di
una recentissima mostra curata dall’Associazione Artestudio
e dedicata al Tavella nel periodo denominato “dell’approdo” sopra accennato: “fatto è che nei quadri di Tavella non
solo le forme si situano sui piani limite che invariabilmente
definiscono e chiudono lo sfondo, ma anche le suggestioni
di uno spazio aperto, pur rese con istintiva immediatezza, si
risolvono in una pittura di paesaggio che nulla perde della
consueta solidità di impianto. Al punto che perfino il piano
dell’orizzonte o addirittura la porzione del cielo non diventano varco allo spazio e dalla luce, ma si propongono, senza
deroga, come altrettanti ed essenziali elementi dell’incastro
compositivo. Pittura densa e materica quindi e composizioni serrate: anche quando la pennellata porta con sé impasti
cromatici di più pregnante sensorialità. Una pittura dove la
luce non viene realisticamente affidata ad un preciso punto d’incidenza, ma ‘nasce dallo stesso impasto pittorico, in
un’analisi segreta degli oggetti’ (Brindisi), finendo poi con il
collocarli in una sorta di sospensione senza tempo, talora venata di malinconia.”
Per Aldo Tavella pittore il viaggio continua ancora fervido e
vitale, nella fedeltà ad una vocazione, nella ricerca e nella serenità, diventando sempre più eloquente.
Negli ultimi venti anni l’artista veneto ha continuato a proporre ed esporre i suoi dipinti. Sue mostre sono state realizzate a Verona, Milano, Roma e nelle più importanti capitali
europee.
Nel 1992 il Comune di Verona ha voluto tributare un omaggio a questo suo grande figlio ospitandolo nel Palazzo della
Gran Guardia con un’antologica che ha riscosso un notevole
successo di pubblico e di critica.
(Ugo Ronfani, Note biografiche, in Tra estetica e magia. Aldo
Tavella, Verona 1996, pp. 11-13).
La stessa celebrazione gli è stata tributata nel 2004.
136
ESPOSIZIONI
1946
Verona, Casa di Giulietta
Clusone (BG), Premio di Pittura
1949
Ravenna, Quinta Esposizione Nazionale
Messina, 1a Mostra Nazionale di pittura “Città di
Messina”, Padiglione “Fiore”
Verona, Palazzo della Gran Guardia
1952
Verona, Galleria Cappello
Venezia, Premio di pittura Giacomo Favretto, Opera
Bevilacqua La Masa
Badia Polesine (RO), Abbazia di Vangadizza
Soave (VR), Comune
Verona, San Nicolò
Verona, 49a Esposizione Nazionale d’Arte
Roma, VI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma,
Milano, Mostra d’Arte Sacra Angelicum
1953
Manerbio, Premio Marzotto. Prima Mostra Nazionale di
Pittura Contemporanea Premio Manerbio.
1950
Suzzara (MN), Premio Suzzara
Monza, 2a Mostra Nazionale di Pittura “Premio Città di
Monza”, Villa Reale
Cremona, Mostra d’arte sacra contemporanea, Palazzo
dell’Arte
Roma, Mostra delle Arti figurative, Esposizione
dell’Agricoltura
Venezia, XXV Biennale d’arte
Verona, Accademia Cignarli
Francavilla al Mare (CH), VII Premio Nazionale di pittura
“F.P.Michetti”
Verona, Galleria del Cappello
Verona, Galleria Cappello
Badia Polesine (RO), Arte triveneta contemporanea,
Abbazia della Vangadizza
Verona, 51a Biennale Nazionale, Palazzo della Gran
Guardia
Gallarate (VA), Premio Nazionale di pittura città di
Gallarate
Burano, Mostra Premio Burano
Francavilla al Mare (CH), Premio di pittura Francesco
Michetti
Brescia, Premio Brescia, Palazzo della Loggia. Nel 1953
Padova, 10 Biennale d’arte triveneta, Palazzo della
Ragione
1951
Verona, 50a Mostra Biennale Nazionale d‘arte, Palazzo
della Gran Guardia
Messina, Prima Mostra internazionale di pittura “Città di
Messina”
Venezia, Mostra del Premio Burano
1955
Padova, 11a Mostra Biennale d’Arte Triveneta, Sala della
Ragione
Roma, Premio Roma per la pittura
Verona, Galleria d’Arte di Via Oberdan
Milano, Seconda Mostra Biennale Italiana di Arte Sacra per
la casa, Angelicum dei Frati Minori
Roma, Sesta Quadriennale Nazionale d’Arte, Palazzo delle
Esposizioni.
Monza, Mostra Nazionale di pittura premio “Città di
Monza”, Villa Reale
Verona, 52a Biennale Nazionale, Palazzo della Gran
Guardia
1956
Verona, Galleria della Scala
Genova, 1a Biennale Internazionale d’arte marinara,
Palazzo dell’Accademia
Verona, Cinquantaduesima Biennale Nazionale d’Arte,
Palazzo della Gran Guardia
Torino, Sesta Quadriennale Nazionale d’Arte
137
1981
Thiene (VI), XVII Edizione Premio Nazionale di Pittura Città
di Thiene
Verona, Galleria del Cappello
1957
Verona, Mostra del Centenario. 53° Biennale Nazionale,
Palazzo della Gran Guardia
Orzinuovi (BS), 3° Premio di Pittura “Orzinuovi” di pittura.
1958
Orzinuovi (BS), 4° premio “Orzinuovi” di pittura.
Pescantina (VR), 10° Concorso Nazionale di Pittura
1982
Verona, Palazzo della Gran Guardia
1959
Verona, 54a Biennale Nazionale, Palazzo della Gran
Guardia
Pescantina (VR), Decennale di Pittura 1972-1982
1984
Pescantina (VR), 12° Concorso Nazionale di Pittura
Milano, Baguttino
1961
Verona, 55a Biennale Nazionale, Palazzo della Gran
Guardia
1990
Sona (VR), Pittura a Verona 1950-1975
1963
Cremona, Mostra d’ Arte Sacra, Palazzo dell’Arte
1991
Verona, Galleria Arte Studio
Verona, 56a Biennale Nazionale, Palazzo della Gran
Guardia
1991
Verona, Palazzo della Gran Guardia
Padova, XV Biennale d’Arte Triveneta, Sala della Ragione
1992
Verona, Palazzo della Gran Guardia
1965
Padova, XVI Biennale d’Arte Triveneta, sala della Ragione
1996
Rubiera (RE), Biblioteca Comunale
Verona, 57a Biennale Nazionale d’arte, Palazzo della Gran
Guardia
1998
Verona, Accademia Officina d’Arte
1967
Padova, XVII Biennale d’Arte Triveneta, Sala della Ragione
1999
Verona, A-Tavella. Incontri con la natura. Schizzi, Verona
1999
Verona, 58a Biennale Nazionale d’Arte, Palazzo della Gran
Guardia
2004
Verona, Palazzo della Gran Guardia
1970
Peschiera (VR), Collettiva di Peschiera
2006
Venezia, Galleria Santo Stefano
1971
Verona, Galleria Novelli
Verona, Fondazione Aldo Tavella
1975
Verona, Galleria Novelli
2007
Verona, Fondazione Aldo Tavella
Villafranca (VR), Concorso Mostra Nazionale di Pittura
Padova, Arte Fiera
1977
Piazzola del Brenta (PD), Triveneta delle arti
2009
Verona, Loggia Barbaro Torre del Capitano
1979
Pescantina (VR), 8° Concorso Nazionale di Pittura
1980
Pescantina (VR), 9° Concorso Nazionale di Pittura
138
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Dic. 1946).
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1950).
1947
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(24 Lugl. 1949).
Cinquantesima Mostra Biennale Nazionale d’Arte, Verona
1951, p. 23.
I vincitori del Concorso dell’Ente per il Turismo, in “Il
Gazzettino”, (24 Lugl. 1949).
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1951, nn.231-232.
La Mostra Nazionale d’arte inaugurata ieri alla Gran Guardia,
in “Il Gazzettino”, (27 Giu. 1949).
Mostra del Premio Burano 1951, Burano 1951, n. 28.
Artisti veronesi alla mostra di Burano, in “L’Arena”, (28 Ago.
1951).
Ancora oggi per visitare la Mostra alla Gran Guardia, in “Il
Gazzettino”, (24 Lugl. 1949).
Silvio Bertoldi, Nella Trattoria di Romano l’autentica pittura
buranella, in “L’Arena”, (15 Sett. 1951).
Renzo Biasion, Valore e significato della Mostra di Soave, in
“Il Gazzettino”, (30 Sett. 1949).
Renzo Biasion, Sei pittori con sei opere alla Bottega di Via
Oberdan, in “Il Gazzettino”, (17 Mar. 1951).
La mostra della Società di Belle Arti inaugurata al Palazzo
della Gran Guardia, in “Il Nuovo Adige”, (27 Giu. 1949).
Gian Luigi Verzellesi, Cinquantesima Nazionale d’Arte:
Montini Celada Tavella, in “Corriere del Mattino”, (9 Giu.
1951).
Ancora oggi per visitare la Mostra alla Gran Guardia.
Consuntivo dell’avvenimento artistico, in “Il Gazzettino”, (24
Lugl. 1949).
1952
4a Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, Roma 1952, p. 3,
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F.C., La 49a Esposizione Nazionale d’Arte, in “Il Gazzettino di
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Gian Luigi Verzellesi, Aldo Tavella pittore, in “Corriere di
Verona”, (1 Nov. 1952).
1950
Mostra d’arte sacra. Elenco delle opere esposte, Cremona
1950, p.19.
Silvio Bertoldi, L’unitario rigore della mostra sindacale, in
“L’Arena”, (5 Dic. 1952).
Arte Triveneta contemporanea. Catalogo delle opere esposte,
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Aeffe, Espone Aldo Tavella alla Galleria Cappello, in “Il
Gazzettino”, (30 Ott. 1952).
Premio Nazionale di pittura città di Gallarate, Varese 1950,
n. 243.
Aeffe, Passiamo in Rassegna la Mostra degli artisti a San
Nicolò. Opere di cinque pittori oggi alla ribalta. Sono quadri
di Pigato, Nardi, Bagattini, Tavella e Zoppi, in “Il Gazzettino”,
(6 Dic. 1952).
Veronesi alla Biennale, in “L’Arena”, (8 Ago. 1950).
139
1956
Società Belle Arti di Verona, Cinquantaduesima Biennale
Nazionale d’Arte, Verona 1956, p. 23, nn. 5, 6.
Silvio Bertoldi, Mostre D’arte. Aldo Tavella, in “L’Arena”, (28
Ott. 1952).
I premi della Biennale che si inaugura oggi, in “L’Arena”, (1
Nov. 1952).
Carlo Segala, “Personale” di Aldo Tavella alla “Galleria della
Scala”, in “L’Arena”, (17 Febbr. 1956).
Sesta Quadriennale Nazionale d’Arte, Roma, novembre
1951-aprile 1952, Roma 1952.
1957
La mostra del Centenario allestita alla Gran Guardia, in “Il
Gazzettino”, (8 Giu. 1957).
Carlo Segala, Pittori cittadini: Aldo Tavella, in “Il Gardello”,
(19 Dic. 1952).
Società Belle Arti di Verona, Mostra del Centenario. 53°
Biennale Nazionale, Verona 1957, p. 32, nn. 14-15.
Mostre d’arte. Espone Aldo Tavella alla Galleria Cappello, in
“Il Gazzettino”, (30 Ott. 1952).
Assegnati i premi alla Mostra del Centenario, “L’Arena”,
1957.
Aeffe, La seconda rassegna d’Arte Triveneta. Un concittadino
tra i premiati alla Mostra di Badia Polesine, in “Il Gazzettino”,
(22 Ago. 1952).
1959
Società Belle Arti di Verona, 54a Biennale Nazionale, Verona
1959, p. 28, nn. 25, 26.
Aeffe, Opere di cinque pittori oggi alla ribalta, in “Il
Gazzettino”, (6 Dic. 1952).
Assegnati i premi della 54a Biennale, in “L’Arena”, (24 magg.
1959)
Piero Franceschetti, La 2° Mostra d’Arte Triveneta a Badia
Polesine, in “L’Avvenire letterario”, (4-5 Sett. 1952).
Quattro pittori veronesi, in “Corriere Lombardo”, (1959).
1953
Aeffe, Aldo Tavella alla Galleria del Cappello, in “Il Gazzettino”,
(27 Gen. 1953).
Quattro pittori veronesi, in “L’Italia”, (1959).
1961
Società Belle Arti, 55a Biennale Nazionale Verona Palazzo
della Gran Guardia, Verona 1961, p. 33, nn. 34, 35.
2° Mostra Nazionale di pittura “Premio Città di Monza”,
Mostra postuma del pittore Eugenio Spreafico, Monza 1953,
p. 59, n. 40.
Tavella Aldo, in Annuario degli artisti 1961, Roma 1961, p.
133.
Società Belle Arti, 51° Biennale Nazionale Società Belle Arti.
Palazzo della Gran Guardia, Verona 1953, p. 32, nn. 29, 30,
31.
1963
Società Belle Arti, 56a Biennale Nazionale Verona Palazzo
della Gran Guardia, Verona 1963, p. 28, nn. 55, 56.
Mostra Premio Burano 1953, Burano 1953, p. 44, n. 15.
Mostra delle Arti figurative. Catalogo generale. Esposizione
dell’Agricoltura, Roma 1953, p. 70, n. 439.
IIIa Internazionale d’Arte Cremona 1963, Cremona 1963.
XV Biennale d’Arte Triveneta. Padova Sala della Ragione,
Padova 1963, p. 39, n. 226.
VII Premio Naz. Di Pittura “F.P. Michetti”, Francavilla al Mare
1953, p. 46.
1964
Sabato s’inaugura la chiesa di Fosse, in “L’Arena”, (12 Gen.
1964).
Premio Brescia 1953, Brescia 1953, p. 11, nn. 39, 40.
10 Biennale d’Arte Triveneta, Padova 1953, p. 49, nn. 1, 2, 3,
4, 5
1965
Società delle Belle Arti, 57a Biennale Nazionale Verona Palazzo
della Gran Guardia, Verona 1965, p. 32, nn. 32, 33.
Vivo interesse per la Biennale, in “L’Arena”, (13 Mag. 1965).
Prima mostra internazionale di pittura “Città di Messina”,
Messina 1953, p. 31, n. 130.
1955
Biennale d’Arte Triveneta. 11° Mostra, Padova 1955, p. 64, nn.
1, 2, 3.
Società delle Belle Arti, 58a Biennale Nazionale d’arte di
Verona, Verona 1965, p. 25.
XVI Biennale d’Arte Triveneta, Padova 1965, p. 43, n. 203.
Seconda Mostra Biennale Italiana di Arte Sacra per la casa,
Milano 1955, p. 27.
140
1967
XVII Biennale d’Arte Triveneta, Padova 1967.
La mostra “Arte Verona ‘82”, in “Il mattino di Verona”, (10
Mag. 1982).
1969
Aldo Tavella, in Pittura e scultura dell’Italia contemporanea,
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Alessandro Mozzambani, Stili e poetiche di casa nostra. Pittura,
scultura, grafica, in “Il Mattino di Verona”, (14 Mag. 1982).
1984
Giunto il decreto di legalizzazione per la “Cignaroli, in
“L’Arena”, (2 Lugl. 1984).
Aldo Tavella, in Pittura e scultura dell’Italia contemporanea,
VI, Roma-Milano 1969, p. 205.
1975
A-Tavella, Catalogo della Mostra, Verona 1975.
1985
Ha dato tanto alla “Cignaroli” Ricordiamolo!, in “L’Arena”,
(11 Ott. 1985).
Pittura a Verona 1950-1975, a cura di Alessandro Mozzambani
e Galleria Cinquetti, Verona 1975, pp. 54-55.
Licisco Magagnato, Introduzione, in A-Tavella, Verona 1975.
1988
Ecco i divi di oggi con la faccia di ieri, in “Il nuovo veronese”,
(10 Lugl. 1988).
Carlo Segala, Tavella alla “Novelli”, in “Il Gazzettino del
lunedì”, (2 Giu. 1975).
Antologica di Aldo Tavella all’Officina dell’Arte, in “Il
veronese”, (30 Gen. 1988).
Nereo Tedeschi, Aldo Tavella, in “La Vernice”, A. XXV, nn. 5-6
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La pagina degli artisti. Appuntamenti, in “Veronacultura”, (30
Gen. 1988).
1980
Antonio Antolini, 10° Concorso Nazionale di Pittura, in
“L’Arena”, (1980).
1991
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Giorgio Trevisan, La materia imprigionata, in “L’Arena”, (4
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1981
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Salvatore Maugeri, Aldo Tavella, uomo e pittore, in “Il
Giornale di Vicenza”, (2 Lugl. 1981).
Mostre. Il 4 gennaio alla Gran Guardia. Il fascino dell’affresco
e la moderna ricerca. Sessant’anni d’arte ritratti in 150 opere,
in “Il Nuovo veronese”, (28 Dic. 1991)
Città di Thiene, XVII Premio Nazionale di Pittura “Città di
Thiene”, Thiene 1981.
Mariateresa Ferrari, Aldo Tavella, sessant’anni di pittura fuori
delle mode, in “L’Arena”, (26 Febbr. 1991).
1982
Una rassegna dedicata agli artisti veronesi, in “L’Arena”, (1
Mag. 1982).
Un abbraccio al maestro, in “Verona Magazine”, (17 Genn. 1992).
Il 4 gennaio alla Gran Guardia. Il fascino dell’affresco e la
moderna ricerca. Sessant’anni d’arte trascritti in 150 opere, in
“il Nuovo Veronese”, (28 Gen. 1991).
La rassegna Arte Verona ’82, in “L’Avvenire”, (1 Mag. 1982).
La Cignaroli tra le polemiche, in “Il Gazzettino”, (1 marzo
1982).
Un ripasso su 80 anni d’arte di casa nostra, in “Il nuovo
veronese”, (1 Mag. 1982).
1992
Vera Meneguzzo, Viaggio nel mondo di Tavella, “L’Arena”, (4
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oggi, in “L’Arena”, (8 mag. 1982).
Vera Meneguzzo, La sintesi pittorica di Tavella, in “Verona
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Ottanta anni di arte veronese alla Gran Guardia, in “Il
Gazzettino”, (10 Lug. 1982).
Antologica del pittore Aldo Tavella, in “Verona sette”, (17
Gen. 1992).
141
Dal 4 gennaio alla Gran Guardia. Mostra di Tavella, in
“L’Arena”, (2 Gen. 1992).
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Franca Barbuggiani, Uomini e cose nella pittura di Aldo
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1998
Silvio Gonzato, Tavella, un giovane di novant’anni, in
“L’Arena”, (19 Ott. 1998) .
Paola Azzolini, Tavella, insegno ai giovani ma per imparare, in
“L’Arena”, (13 Gen. 1992).
Un abbraccio al Maestro, in “Verona Magazine”, (17 Gen.
1992).
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Tavella protagonista all’Arte Fiera, in “L’Arena”, (7 Nov.
2007).
I colori di un mondo. Novantacinque anni di Aldo Tavella,
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2009
Aldo Tavella, a cura di Gianni Lollis, Verona 2006
2005
Maurizio Pedrini, Fondazione Tavella. Valorizzerà i giovani
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2006
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D.O., I paesaggi di Tavella “Dipinti con la mente”, in “Corriere
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Vera Meneguzzo, Tavella pittore del sacro, in “L’Arena”, (30
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Società Belle Arti, I quadri di Aldo Tavella. Mostra a sostegno
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Maurizio Pedrini, Fondazione Tavella in attività, in “L’Arena”,
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Vera Meneguzzo, Tavella pittore del sacro, in “L’Arena”, (31
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