Compagni di sventura - Festival Letteratura Milano

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Compagni di sventura - Festival Letteratura Milano
Compagni di sventura, di Silvia Cristini
per Il Pubblico Narratore
Compagni di sventura di Silvia Cristini “Possibile che tutte le sere mi devi dare il tormento? Io e te, qui dentro, ci dobbiamo passare i prossimi dodici anni, non dimenticarlo.” “Sì, se non crepi prima. Dài, in fondo che ti ho chiesto. Tu sei bravo a raccontare storie, raccontamene una.” “La tua mammina non ti raccontava le fiabe prima della nanna?” “No, la mia cara mammina, di solito, prima di addormentarmi, mi spegneva un mozzicone di sigaretta sul braccio, tanto per stabilire chi comandava in casa... Beccato!” L'uomo ha spiaccicato sul pavimento un grosso scarafaggio marrone, quelli che qui chiamano cucaracha. Ora sta esaminando la suola della sua scarpa, imbrattata di resti appiccicosi. “Ti ho mai raccontato di quando lavoravo in quell'hotel di Caracas, tanti anni fa?” domanda il primo, ispirato dal gesto del compagno. Lui non risponde ma si sdraia sulla branda, in posizione di ascolto: capisce che il suo desiderio sta per essere esaudito. “Avevo 16 anni, non ne potevo più di quella cazzo di vita a casa. Mia madre faceva la cameriera di notte, diciamo così, e di giorno dormiva. Mio padre vomitava tutto il giorno a letto, per colpa di un cancro allo stomaco. Così decisi di accettare un posto di lavoro in quel maledetto albergo di lusso, dove i fottuti miliardari sfoggiano tutte le loro ricchezze. Le donne vestite come galline, ingioiellate fino al buco del culo. Gli uomini, parlano dei loro affari del cazzo e decidono le sorti del mondo di noi poveri stronzi. Dapprima mi presero come tuttofare-­‐ultimo-­‐arrivato, due coglioni così a fare i lavori peggiori, quelli che non voleva fare nessuno. Facendo attenzione a non disturbare le signore che, sorseggiando esotici cocktail ghiacciati, chiacchieravano dell'ultimo viaggio a Parigi, di quella che è diventata l'amante del marito di sua sorella, della cameriera licenziata perché si era dimenticata di pulire la cacca del suo cane rognoso. Passarono così otto mesi, finché un giorno mi giunse notizia che avevano bisogno di un aiuto in cucina. Subito mi offrii, pensando di migliorare la mia situazione. Fanculo. Era ancora più faticoso che lavare i cessi. Certi pentoloni enormi, che per pulirli mi ci dovevo calare dentro e raschiare tutta la brodaglia appiccicosa che si erano mangiati i merdoni altezzosi, col cucchiaio in mano come se tenessero uno stronzo e col mignolo alzato. Lavoravo insieme a un ragazzo della mia età, un tipo taciturno che, al contrario di me, non si lamentava mai e si faceva gli affari suoi. Veniva da un paesino non so dove sul Lago Maracaibo, era nato tra pescherecci e pozzi di petrolio, ma si era stufato di quella vita ingrata. Voleva conoscere il mondo, incontrare gente importante. Bello il mondo che si incontra in un albergo di lusso, se ci lavori dentro. Mezza giornata di permesso, gli unici posti che ho visto sono le bettole sul Rio Guaire, dove andavo a ubriacarmi con gli altri schiavi dell'hotel. Una sera quel pezzo di cretino si dimenticò di lavare uno di quei pentoloni enormi. Il cuoco aveva cucinato 'sup dognen-­‐dognuan' insomma una brodaglia con dentro pezzetti di cipolla, ma che detto alla francese per quei riccastri diventava una prelibatezza. Mia madre me la cucinava tutte le sere, perché non avevamo i soldi per comprare altro, e solo a sentirne l'odore mi veniva voglia di spaccare tutto. Mi alzai il mattino dopo e andai nelle cucine per preparare le colazioni. Dentro c'era un'aria irrespirabile, un nauseante fetore di cipolla che alle cinque del mattino mi fece annodare lo stomaco. Mi avvicinai al pentolone: già da lontano si sentiva uno strano brusio, un brontolare sommesso provenire proprio da lì. Il rumore aumentava inesorabile, il mio nodo allo stomaco si faceva sempre più serrato finché arrivai al bordo del pentolone: dentro un mare nero si muoveva come un'onda lenta di buon mattino. Non sapevo se gridare o fuggire, l'unica cosa sensata che mi www.festivaletteraturamilano.it
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venne di fare fu mettere un coperchio sopra il pentolone e poi scappare via. Ero solo, a quell'ora. Gli aiutanti cuochi sarebbero arrivati di lì a poco e quel coglione dell'altro sguattero non si vedeva. Tornai in cucina, il cuore mi batteva a mille, non riuscivo a ragionare. Dovevo sbrigarmela da solo, sicuramente avrebbero punito anche me per quella cazzata, così presi una decisione: accesi uno dei fornelli grandi e misi il pentolone sul fuoco. Stavo lì in silenzio ad aspettare. Non c'era altro rumore che quello del mio cuore impazzito, il brontolio degli scarafaggi, il pulsare della fiamma. Ad un tratto sentii uno scoppiettio, poi un altro. Quelle bestie schifose stavano esplodendo come dei pop-­‐corn. Mi sentivo eccitato e divertito all'idea, chissà che spettacolo quando avrei aperto il coperchio. Brandelli neri e giallastri sparsi per tutto il pentolone, chissà la faccia di quell'idiota quando avrebbe dovuto pulire tutto, dopo. Ma il sorriso durò poco, dentro la pentola il calore si stava facendo davvero insopportabile e quegli esseri schifosi cercavano di uscirne. Lentamente il coperchio cominciò a muoversi, spinto dalla forza di migliaia di zampette che premevano tutte insieme. Preso dal panico mi tuffai sul coperchio per cercare di trattenerli ma una ustione alle mani e ai polsi mi fece indietreggiare. Proprio in quel momento il pentolone si scoperchiò e un fiume nero in piena si riversò per la cucina. La puzza di cipolle e scarafaggi bruciati era insopportabile. Scappai fuori mentre quelle bestiacce si spandevano dappertutto, sugli scaffali, nella dispensa, sul pane a fette, nelle ciotole di burro e marmellata pronte per la colazione.” “Cristo! E poi cosa hai fatto?” “Niente, che cazzo dovevo fare? Dopo un po', attirati da quell'odore infame, sono arrivati gli altri della cucina e ho dovuto raccontare tutto. Dieci minuti dopo mi hanno sbattuto fuori a calci. L'unica cosa che mi consola è che quei bastardi con la puzza sotto il naso, quella mattina hanno fatto una colazione più ricca del solito...” “Cazzo, che storia. Ma è vera?” “Sì coglione, è vera. Adesso dormi. Sogni d'oro.” www.festivaletteraturamilano.it
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