Biologia 1

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Biologia 1
BIOLOGIA
INTRODUZIONE
La teoria cellulare, secondo la quale ogni organismo è composto da cellule, venne proposta
intorno al 1820. I vari tipi di cellule sono molto diversi per dimensioni, comportamento ecc.
Le cellule batteriche sono più piccole e più semplici delle cellule umane. Gli archeobatteri sono le
più antiche forme di vita. Alcuni batteri sono patogeni.
La vita è iniziata circa 5 miliardi di anni fa. Ai primordi l’ossigeno era una sostanza tossica:
l’emoglobina deriva da pigmenti che originariamente avevano la funzione di fissare l’ossigeno e
neutralizzarlo. L’emoglobina attuale contiene una parte proteica e un pigmento Eme che contiene ferro,
che fissa l’ossigeno; ha funzione di trasporto dell’ossigeno stesso. E’ contenuta nei globuli rossi, che nel
sangue umano sono 5-7 milioni/mm3.
La natura attua spesso un «bricolage molecolare»: partendo da un elemento più semplice lo
modifica per adattarlo ad un’altra funzione.
Una parte dei globuli bianchi (che sono 5-10.000/mm3) ha capacità di ingerire materiale estraneo:
lo racchiude in un vacuolo e poi lo distrugge. Difetti della capacità fagocitaria dei leucociti causano
malattie potenzialmente letali che colpiscono bambini nei primi anni di vita.
Anche le amebe hanno capacità fagocitaria: fagocitano materiale estraneo per alimentarsi. Alcune
amebe sono patogene (amebiasi).
Gli organismi unicellulari possono organizzarsi in colonie, come l’alga coloniale Volvox.
Tutti gli esseri viventi ricavano energia da molecole ad alto contenuto energetico come il
glucosio. Il glucosio viene prodotto dalle piante a partire da H2O e CO2 utilizzando l’energia solare e la
clorofilla. Le cellule vegetali sono avvolte da un involucro rigido, composto da cellulosa.
CELLULA BATTERICA
CELLULA EUCARIOTICA
Ha 2 membrane plasmatiche, ciascuna Il materiale genetico (DNA, RNA,
con un doppio foglietto, e una parete proteine) è contenuto nel nucleo,
rigida.
circondato dall’involucro nucleare. IL
citoplasma è più complesso di quello
della cellula batterica.
Il plasmodio della malaria ha bisogno di due ospiti per svolgere il suo ciclo vitale: la specie
animale in cui si forma lo zigote (zanzara) è detto ospite definitivo, l’altra è detta ospite intermedio.
I virus sono al limite tra il vivente e il non vivente: sono parassiti metabolici. Sono cellule molto
piccole che si moltiplicano iniettando il materiale genetico in un’altra cellula.
SELEZIONE CUMULATIVA
Le cellule batteriche hanno riproduzione asessuata, anche se esistono delle forme parasessuali.
Nella replicazione del materiale genetico possono avvenire degli errori che provocano l’insorgere di
mutazioni vantaggiose o svantaggiose. Esponendo 109 batteri ad una serie di agenti selettivi (es.
antibiotici) si ottiene una selezione cumulativa:
N° batteri: 109
Frequenza degli errori: 1/107
Batteri resistenti al primo antibiotico: 102 = 100
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Se si lascia a questi batteri il tempo necessario, si ottiene una nuova colonia di 109 batteri
resistenti al primo antibiotico. Esponendoli poi ad un secondo antibiotico, si ottengono altri 100 batteri
resistenti al primo e al secondo, che possono proliferare ed essere utilizzati per una procedura analoga
per produrre batteri resistenti a tre antibiotici e così via.
Per questo motivo nelle terapie antibiotiche si tende ad usare più antibiotici
contemporaneamente: usando N antibiotici, la frequenza degli errori utili diventa 10-7xN. Ad esempio,
usando 3 antibiotici, la frequenza di errori utili è 10-7x3 = 10-21. In una colonia di 109 batteri, quindi, il
numero di batteri non è sufficiente per ottenere batteri resistenti a 3 agenti selettivi.
IL DNA COME MOLECOLA DEPOSITARIA DELL’INFORMAZIONE GENETICA
·
·
·
Esperimento di Griffith (1928)
Esperimento di Avery, Mc Leod, Mc Carty (1944)
Esperimento di Hershey e Chase (1952)
Esperimento di Griffith (1928)
Negli anni ’20 venivano studiati i microrganismi, specialmente l’agente batterico responsabile
della polmonite (Diplococcus pneumoniae). I diplococchi erano prelevabili da paziente che avevano avuto
o avevano la polmonite, e potevano essere usati per esperimenti sui topi, che sviluppavano la polmonite
fulminante. Nel 1928 Frederick Griffith pubblicò l’articolo «Il significato dei tipi di pneumococchi» su J.
Hygiene (27:13-59).
Parte 1 – controllo
Le prove di controllo sono volte a dimostrare che:
· i batteri del ceppo R non danno mortalità;
· i batteri del ceppo S determinano polmonite e morte rapida.
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Domanda: in cosa consiste la differenza tra i due ceppi?
I batteri del ceppo S hanno una consistente capsula polisaccaridica, di cui invece sono privi i
ceppi R. La capsula polisaccaridica impedisce ai fagociti di neutralizzare i batteri S, mentre i batteri R
vengono efficacemente catturati dai fagociti.
Domanda: perché i batteri S producono la capsula polisaccaridica e i batteri R no?
La capacità di produrre la capsula è una caratteristica genetica.
Parte 2 – esperimento
Conclusioni
· I batteri del ceppo S uccisi al calore non determinano di per sé insorgenza di polmonite negli animali.
· Trattando batteri vivi del ceppo R con batteri S uccisi al calore, una parte dei batteri R viene
“trasformata” in batteri S, che determinano morte in alcuni animali.
· Dagli animali morti è possibile recuperare batteri vivi di ceppo S, segno che la trasformazione è un
fenomeno stabile e che la capacità di dare polmonite è ereditata.
· Questo esperimento non identifica la natura chimica della molecola depositaria dell’informazione
genetica; la struttura delle macromolecole era nota, e anche la struttura chimica del DNA.
Quest’ultimo era ritenuto una molecola troppo semplice: si pensava che fossero le proteine, che sono
polimeri, a essere depositarie dell’informazione genetica.
Esperimento di Avery, Mc Leod, Mc Carty (1944)
L’esperimento di Griffith fu completato dagli «Studi sulla natura chimica della sostanza che
induce la trasformazione dei tipi di pneumococchi», pubblicato da Avery, Mc Leod e Mc Carty nel
1944.
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Conclusioni
· Un estratto di batteri di ceppo S non contiene più batteri vivi e pertanto non dà origine a colonie.
· I batteri di ceppo R non trattati danno sempre origine a colonie piccole e di tipo R.
· Un estratto di batteri S aggiunto a batteri R vivi può dare origine a colonie di tipo S.
· Un estratto di batteri S nel quale il DNA sia stato eliminato per digestione enzimatica perde la
capacità di dare origine a colonie di tipo S.
· Trattamenti dell’estratto di batteri S con enzimi che degradano altre macromolecole non
determinano perdita dell’attività trasformante.
Pertanto, la molecola depositaria dell’informazione genetica è il DNA.
Avery fece anche esperimenti in positivo: isolò il DNA nell’omogenato di batteri S, verificando
che non ci fossero proteine, e verificò che il DNA era capace di trasformare batteri R in batteri S.
Ciclo litico di un batteriofago
Batteriofago:
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acido nucleico
Il batteriofago infetta un ceppo batterico specifico. Nel batterio viene riprodotta la struttura del
virus, che si riproduce e fa scoppiare la cellula batterica. Il tutto dura 20 minuti.
Adesione del batteriofago
Preparazione all’iniezione
del materiale genetico
Il materiale genetico del batteriofago
entra nel citoplasma del batterio
Duplicazione del materiale
genetico del batteriofago
Produzione di proteine
tipiche del batteriofago
Assemblaggio del strutture del fago e
inclusione del materiale genetico
nella testa in formazione
Morte per lisi della cellula batterica infettata.
Assemblaggio delle nuove
Le particelle fagiche prodotte vanno ad infettare
particelle fagiche
altre cellule batteriche.
Esperimento di Hershey e Chase (1952)
Preparazione
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Esecuzione
Conclusioni
Il materiale genetico che porta l’informazione per la produzione di nuove particelle fagiche che si
recuperano dal sedimento viene marcato dal fosforo e non dallo zolfo. Pertanto, l’informazione
genetica risiede nel DNA del batteriofago.
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IL DNA
Il DNA è una catena di desossiribosi legati da ponti fosfodiesterici.
La molecola di DNA è altamente asimmetrica.
Una soluzione di acido desossiribonucleico è
molto viscosa. Le basi azotate sono idrofobiche, mentre
l’altra parte della molecola è idrofila.
Riscaldando progressivamente una soluzione di
DNA purificato si giunge ad una transizione
improvvisa che porta ad una consistente riduzione
della viscosità: la molecola perde la sua asimmetria.
Insieme alla perdita di viscosità c’è un aumento
dell’assorbanza o densità ottica, cioè della capacità di
reagire con una radiazione.
Il DNA, ad una temperatura tra i 30° e 55° C ha
un’assorbanza
media,
che
aumenta
poi
in
corrispondenza della riduzione della viscosità.
Cristallografia a raggi X
Nei cristalli le molecole sono ordinate in un reticolo. Quando un raggio X incontra un particolare
atomo in un cristallo, viene deviato di un angolo caratteristico (deflessione). Un fascio di raggi X diretto
su un cristallo viene suddiviso in fasci più piccoli, che lasciano il cristallo con angolazioni diverse e
interferiscono gli uni con gli altri, rafforzandosi o annullandosi (interferenza). L’azione del raggio è
proporzionale a:
· distanza tra gli atomi;
· lunghezza d’onda della radiazione.
La diffrazione (somma di deflessione e interferenza) genera sulla lastra fotografica un
diffrattogramma, cioè un insieme di macchie, il cui numero dipende dalla complessità della molecola
cristallizzata.
Ogni macchia indica l’esistenza di moduli (gruppi di atomi) ripetitivi. La distanza del centro di
una macchia è inversamente proporzionale alla spaziatura tra moduli ripetitivi:
· macchie centrali: spaziature più ampie;
· macchie periferiche: spaziature più piccole.
Una fibra di DNA, costituita da fasci di molecole parallele, equivale ad una struttura cristallina.
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Analisi del DNA mediante diffrazione dei raggi X (Astbury, Wilkins, Franklin)
·
·
Macchie meridiane: moduli che si ripetono lungo l’asse.
Macchie equatoriali: moduli che si ripetono perpendicolarmente all’asse.
La molecola del DNA è quindi una fibra
cilindrica (diametro 2 nm); le basi (strutture
planari) sono impaccate come una pila di
monete con i piani centrali distanziati di 0,34
nm (periodo minore).
La fibra non è retta, ma spirale, avvolta
ad elica attorno a un asse centrale. Un giro
dell’elica misura 3,4 nm (periodo maggiore), un
multiplo di 10 della distanza tra basi contigue.
Comparando la densità misurata del
DNA (circa 1,75 g/cm3) e quella calcolata sulla
base della spaziatura atomica, si deduceva che il
DNA doveva essere composto da più di una
catena polinucleotidica (forse 2 o 3 catene).
Rapporti quantitativi tra le basi azotate (Edwin Chargaff)
1. Qualunque sia la fonte del DNA:
Pu (purine) = Py (pirimidine) à (A+G=T+C)
A=T
C=G
2. La composizione in basi del DNA, espressa
come la percentuale G+C% è costante per
ciascuna specie, ma varia moltissimo da una
specie all’altra.
La composizione in basi del DNA è
molto variabile, ma invariabilmente [A]=[T] e
[Pu]=[Py] (Edwin Chargaff, 1953).
Nella struttura del DNA sono coinvolti legami-idrogeno. La viscosità del DNA diminuisce
drasticamente a temperature tra 70° e 80° C, indicando che legami chimici termosensibili, quali i legamiidrogeno, sono importanti per la struttura.
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Watson e Crick
Watson e Crick (1953), senza fare alcun esperimento, ma costruendo modelli (in cartone e filo di
ferro), combinarono i dati disponibili in un modello di struttura del DNA compatibile con tutti i fatti
noti, comprendente tutte le proprietà attese per il materiale genetico.
Ipotizzarono che la fibra fosse costituita da una doppia elica, cioè da due catene
polinucleotidiche spiralizzate con avvolgimento destrorso attorno a un unico asse, connesse tra di loro
da legami-idrogeno.
Proposero che i legami-idrogeno connettessero tra loro le coppie di basi note per essere presenti
in quantità uguali, cioè A con T e C con G.
Le risultanti strutture sono planari, perpendicolari all’asse e di dimensioni identiche (garantendo
quindi un diametro costante per la doppia elica, indipendente dalla sequenza delle basi).
Coppie di basi normali presenti nel DNA
Coppie di basi “proibite” e mutagene
Le coppie di basi C=G (in azzurro) e A=T (in giallo) hanno dimensioni esattamente sovrapponibili.
Le coppie di basi sono complanari; i desossiribosi giacciono su piani
perpendicolari a quelli delle basi.
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Le catene pentoso-fosfato-pentoso-fosfato… sono
fortemente anioniche e si devono trovare all’esterno della
molecola a contatto con l’acqua, mentre le coppie di basi,
idrofobiche, si impaccano le une sulle altre al centro della
molecola, escludendo l’acqua.
Avvicinando due filamenti di DNA c’è repulsione
causata dalle cariche negative. Tra le basi che si
fronteggiano si formano dei legami idrogeno:
· 2 tra A e T;
· 3 tra C e G.
Se prevalgono le citosine e le guanine, il numero
di legami idrogeno è molto maggiore che se prevalgono
adenine e timine. Quando prevalgono C e G il DNA si
denatura ad una temperatura maggiore.
Tra le basi si instaurano interazioni idrofobiche che stabilizzano ulteriormente la molecola.
Ciascuna catena ha un’estremità 3’ e un’estremità 5’. Le due catene della doppia elica
sono disposte in modo antiparallelo in quanto i legami fosfodiesterici che uniscono i pentosi
contigui hanno polarità opposte. In altre parole, in corrispondenza di ciascuna delle due
estremità della doppia elica, il terminale 5’ di una catena si confronta con il terminale 3’
dell’altra catena.
Le due eliche differiscono quindi per polarità, per sequenza e per composizione in
basi, ma sono perfettamente complementari, cioè la sequenza di una catena è completamente
determinata da quella della catena opposta. Le due eliche parentali si srotolano e ciascuna fa
da stampo per la sintesi di un’elica-figlia secondo le regole dell’appaiamento delle basi (A=T;
C=G).
L’elevata capacità informativa del DNA si spiega con la sequenza dei nucleotidi. Quando la
cellula va incontro a divisione, la doppia elica si apre grazie all’azione di enzimi specifici. Ciascuna elica
funge da stampo per una nuova catena di DNA, secondo le regole dell’appaiamento delle basi.
Il DNA è chimicamente molto stabile, mentre l’RNA è molto suscettibile di degradazione.
Durante ogni ciclo di divisione possono introdursi errori (tautomerie). Una timina tautomerica può
legarsi ad un nucleotide che non sia l’adenina. La probabilità è di 1/1000. Il DNA umano è formato da 3
miliardi di nucleotidi.
Il modello di Watson e Crick prevede:
· che le due eliche siano antiparallele;
· che la replicazione sia semi-conservativa (un filamento vecchio e uno nuovo).
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Nearest neighbor analysis (Josse, Kaiser & Kornberg, 1961)
Josse, Kaiser e Kornberg inventarono un metodo che permetteva di misurare, nel DNA neosintetizzato, le frequenze dei 16 possibili dinucleotidi.
Studiando DNA con C+G% molto diverso da 50, si poteva valutare se le frequenze erano uguali
all’atteso (cioè al prodotto delle frequenze dei singoli nucleotidi), oppure no.
Esempi di dinucleotidi
Esempio di “uso” dei dinucleotidi
(nel DNA del Mycobacterium phlei)
ApA e TpT, come pure CpC e GpG hanno frequenze uguali. Questo indica che entrambe le
eliche vengono copiate. Ogni DNA ha un suo particolare “uso” delle sequenze dinucleotidiche.
Le frequenze relative di alcuni dei restanti 12 dinucleotidi sono significativamente diverse dai
prodotti delle frequenze dei singoli nucleotidi. Quindi, per esempio, ApT e TpA hanno frequenze
diverse. Questo permette di distinguere tra i modelli di struttura del DNA con eliche “parallele” o
“antiparallele”.
Modello “parallelo”
Modello “antiparallelo”
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I due modelli prevedono che siano presenti con la
stessa frequenza differenti “coppie” di dinucleotidi.
I dati sperimentali falsificano il modello “parallelo” e
confermano il modello “antiparallelo”.
Esperimento di Meselson e Stahl (1958)
C’erano tre possibilità teoriche della modalità di replicazione del DNA:
Le molecole di DNA, poste in un gradiente di
densità, che si ottiene centrifugando molto a lungo una
soluzione CsCl (ρ = 1,7 g/cm3), galleggiano al punto del
gradiente che corrisponde alla loro densità
(centrifugazione isopicnica).
Le molecole del sale sedimentano e formano un
gradiente di concentrazione sul fondo. Le molecole centrifugate raggiungono un punto in cui la densità
del sale è maggiore di quella della molecola stessa: si raggiunge un equilibrio e il DNA si concentra in
una zona corrispondente alla sua densità intrinseca.
Alcuni dei batteri usati erano cresciuti in un
terreno con sali minerali contenenti 14N (azoto
normale), altri in un terreno con 15N (isotopo più
denso). L’azoto è contenuto nelle basi azotate del
DNA. Il DNA dei batteri cresciuti nel 15N hanno
densità maggiore. Durante la replicazione del DNA,
l’elica “vecchia” può essere distinta dalla “nuova”
con una marcatura di densità (15N la vecchia e 14N la
nuova). Facendo sedimentare le due molecole di
DNA, che hanno densità diversa, si ottengono due
bande.
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Il
DNA
assorbe
radiazioni a 260 nm, tramite le
quali si ottengono due bande
che corrispondono alle densità
dei due DNA.
La
prima
banda
rappresenta la densità dei
batteri 15N, che vengono poi
trasferiti nel terreno 14N,
generando batteri con DNA
che dà prima una banda
intermedia,
che
falsifica
l’ipotesi conservativa, e poi, a
partire
dalla
seconda
generazione,
due
bande,
falsificando
l’ipotesi
“dispersiva”.
Quindi il DNA si
duplica in modo semiconservativo.
Nel DNA si trova una piccola frazione di DNA-Z, a forma di
doppia elica sinistrorsa. Normalmente il DNA è DNA-B, a forma di
doppia elica destrorsa, in cui si formano un solco minore e un solco
maggiore.
Vedi BREAKING CELLS AND TISSUES.
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METODI DI SEPARAZIONE DELLE MACROMOLECOLE – Applicazioni diagnostiche e di ricerca
Le macromolecole contenute in un campione biologico (estratto di cellule batteriche, siero
umano, estratto di cellule eucariote, fluidi biologici vari) possono essere individuate e separate mediante
metodi analitici e preparativi:
· metodi analitici: permettono di ottenere informazioni su piccole quantità di materiale relativamente
a proprietà come il peso molecolare, la carica elettrica, la composizione in subunità, la reattività
immunologica, la quantità, ecc., senza necessariamente mantenere l’attività biologica delle molecole;
· metodi preparativi: permettono di ottenere preparazioni via via più pure di proteine, enzimi, DNA
ed RNA sfruttando criteri fisico-chimici come il peso molecolare, la carica elettrica, il grado di
idrofobicità, la reattività immunologica, mantenendo per lo più l’attività biologica delle molecole.
METODI ANALITICI
Elettroforesi in presenza di Sodio Dodecil-Solfato (SDS)
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La riduzione dei ponti disolfuro che uniscono
le subunità della proteina multicatenaria determina la
separazione delle singole subunità.
Per effettuare l’elettroforesi si utilizza il gel di poliacrilammide:
Le proteine entrano nel gel trascinate dalla corrente elettrica. Le molecole di dimensioni minori
incontrano poca resistenza, quelle più grosse faticano a viaggiare in profondità nel gel:
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Al termine della corsa (che viene interrotta quando il marcatore a basso peso molecolare
raggiunge il fondo del gel) le diverse specie molecolari presenti nei campioni si saranno disposte ad
altezze diverse, a seconda del loro peso molecolare.
Se nella stessa corsa elettroforetica è stata inserita una
miscela di proteine a peso molecolare noto, è possibile risalire al
peso molecolare delle proteine contenute nei campioni ignoti.
A questo scopo, si misura la lunghezza totale del gel e si
determinano le distanze di migrazione delle singole bande. Ciascuno
di questi valori va diviso per la lunghezza totale del gel, ottenendo
un valore detto Rf, che è caratteristico di ciascuna banda. Rf è una
grandezza che varia tra 0 (nessuna migrazione) e 1 (massima
migrazione).
L’Rf è inversamente proporzionale al logaritmo del peso
molecolare delle proteine. Si può quindi costruire una curva che
serve come riferimento interno dell’esperimento, in quanto permette
di stabilire una corrispondenza tra Rf e peso molecolare, utile nel
caso in cui si debba risalire al PM di una proteina ignota.
Std:
C1:
C2:
Supponiamo che l’Rf di una proteina ignota sia
0,63. Si ricava, per interpolazione con la curva di
riferimento, quale peso molecolare corrisponde ad un
Rf di 0,63.
Si procede così per tutte le proteine ignote dei
diversi campioni.
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standard
campione ignoto 1
campione ignoto 2
METODI PREPARATIVI
Cromatografia per esclusione molecolare (o filtrazione su gel)
Le proteine di grandi dimensioni compiono un
percorso esterno rispetto alle sferette di resina in quanto non
entrano nei pori, e raggiungono quindi velocemente il fondo
della colonna.
Le proteine che hanno dimensioni compatibili con i
pori delle sferette vengono rallentate, in quanto la loro
probabilità di entrare nel “labirinto” dei pori è tanto maggiore
quanto più sono piccole. Queste proteine verranno quindi
sensibilmente ritardate nella loro migrazione verso il fondo
della colonna.
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Cromatografia in scambio anionico
In questo caso le proteine che,
nelle condizioni di pH dell’esperimento,
hanno carica netta positiva non vengono
trattenute dalla colonna, mentre quelle a
carica netta negativa lo saranno in misura
tanto maggiore quanto è maggiore la loro
carica negativa.
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Per poter indurre il distacco delle
proteine
adese
alla
colonna
per
complementarietà di carica, occorre
alterare la composizione ionica del
tampone che viene immesso nella colonna.
Se viene immesso un tampone nel
quale viene incrementata la concentrazione
di ioni Na+ e Cl-, queste cariche saranno in
grado di competere con quelle delle
proteine per il legame alle sferette di
resina.
Di conseguenza, si staccheranno dalla colonna via via le proteine dotate di carica negativa
crescente.
Cromatografia di affinità
In questo caso, le proteine che
non hanno affinità per il ligando non
vengono trattenute dalla colonna,
mentre quelle che interagiscono con il
ligando verranno invece trattenute e
potranno
essere
recuperate
applicando condizioni sperimentali
che interferiscono con il legame
(estremi di pH, elevata forza ionica).
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SAGGI IMMUNOLOGICI – Metodo Western Blot
In queste procedure, le molecole vengono identificate in base alla loro capacità di interagire con
anticorpi prodotti in animali oppure presenti nel siero umano.
La miscela che si pensa contenga la molecola può essere legata ad una fase solida di polistirene
utilizzando tamponi a pH alcalino (pH 8,6 - 9,0).
Saggio immuno-enzimatico
Esempio di rivelazione di una proteina specifica nelle
frazioni di una colonna a scambio anionico.
Un’aliquota di ciascuna delle frazioni della colonna viene
depositata sul fondo di ciascun pozzetto della piastra Microtiter qui a
lato. La presenza della proteina viene rivelata mediante l’uso di un
anticorpo specifico, che è coniugato a un enzima (la perossidasi). I
pozzetti colorati indicano la presenza di un’avvenuta reazione,
quindi della proteina che si sta cercando.
Determinazione della presenza di FH nelle urine mediante cromatografia di affinità
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Evidentemente, la banda a circa 42 KD che si vedeva nel gel in SDS non viene riconosciuta dal
secondo anticorpo in western blot. Quindi, nelle nostre condizioni, siamo in grado di determinare
esclusivamente il FH, abolendo così la possibilità di false positività in caso di patologie diverse da quelle
tumorali.
Allestimento di un sistema di dosaggio immuno-enzimatico del FH
da urine di pazienti affetti da tumori della vescica e da soggetti sani
I campioni di urine sono stati fatti passare
su una colonna di affinità contenente un anticorpo
monoclonale che riconosce il FH. Il materiale
trattenuto è stato fluito e saggiato in ELISA in
diluizioni scalari 1:2 a partire dalla diluizione 1:10
(che corrisponde a circa 2 microlitri di urina tal
quale).
Fila A: controllo positivo (siero umano normale)
Fila B: urine di soggetto affetto da tumore alla vescica
Fila C: paziente con tumore in fase iniziale
Fila D: urine di soggetto affetto da altra patologia delle vie urinarie
File E-G: urine di soggetti sani
Ci si appresta ad allestire un sistema di dosaggio diretto su piastra Microtiter utilizzando un
monoclonale in fase solida ed un secondo monoclonale diverso dal primo, marcato con biotina e rivelato
con Avidina-perossidasi.
STRUTTURA MOLECOLARE DELLE PROTEINE
1. Primaria (sequenza);
2. secondaria (strutture locali);
3. terziaria (strutture a lungo raggio);
4. quaternaria (organizzazione multimerica);
5. sovramolecolare (assemblaggi su larga scala).
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Legame peptidico
Le proteine sono polimeri di aminoacidi che
differiscono per la catena laterale (R), legati da legami
peptidici.
Strutture secondarie ordinate
α elica
β foglietto
Comportamento dei gruppi carbossilici e amminici delle proteine in ambiente acido e basico
R-COO- + H+ à R-COOH
(a bassi valori di pH)
R-COOH + OH- à RCOO- + H2O (a valori di pH elevati)
RNH2 + H+ à RNH3+
RNH3+ + OH- à R-NH2 + H2O
(a bassi valori di pH)
(a valori di pH elevati)
Pertanto, la carica netta di una proteina corrisponde alla somma delle cariche positive e negative
su tutti i residui amminoacidici, nonché su altri gruppi carichi, quali ad esempio carboidrati, fosfati e
solfati.
Ad un determinato valore di pH, detto punto isoelettrico, le cariche negative e quelle positive di
una proteina si equivalgono e la proteina presenta una mobilità elettroforetica nulla.
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E’ possibile separare le proteine in base alla loro
carica elettrica intrinseca tramite l’elettroforesi
bidimensionale, che valuta la carica elettrica e il peso
molecolare.
Marchiatura delle proteine
à
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à
USO DI TRACCIANTI RADIOMARCATI
PER LA DETERMINAZIONE DELLA SEDE DELLA SINTESI PROTEICA
Principio del metodo
La sintesi di una proteina è continuamente in corso all’interno di una cellula. Se in una fase
qualsiasi del processo vengono aggiunti alle cellule precursori radiomarcati (in questo caso,
amminoacidi radioattivi) per un periodo limitato di tempo, questi precursori verranno incorporati nelle
proteine che la cellula sta sintetizzando. Gli esperimenti sono stati condotti da Palade negli anni ’50.
Proteina la cui sintesi inizia al momento dell’aggiunta dei precursori.
Proteina la cui sintesi è iniziata da poco al momento dell’aggiunta dei
precursori.
Proteina in fase avanzata di sintesi al momento dell’aggiunta dei
precursori.
Proteina quasi terminata al momento dell’aggiunta dei precursori.
Proteina terminata al momento dell’aggiunta dei precursori.
In rosso è rappresentata la regione della proteina sintetizzata a partire da precursori
radiomarcati. Tutte le proteine che al momento dell’aggiunta degli amminoacidi marcati sono in via di
sintesi verranno marcate.
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Se, dopo la marcatura per tempi brevi, le cellule vengono trasferite in un terreno contenente
amminoacidi non radioattivi, la sintesi continuerà utilizzando questi amminoacidi, ma la proteina sarà
comunque già stata marcata nella prima fase e sarà quindi possibile seguirne il destino il destino,
intracellulare, con tecniche adeguate, come ad esempio l’autoradiografia.
La proteina inizialmente marcata continua ad essere sintetizzata, ma
con l’utilizzazione di amminoacidi non marcati, e si trova ancora nella
sede di sintesi.
La proteina finita seguirà un percorso intracellulare che è possibile
seguire mediante autoradiografia.
La proteina
à
emette radiazioni
Il preparato viene
Lo sviluppo dell’emulsione fotografica
à
identifica la localizzazione
esposto ad una
della proteina nel preparato
emulsione fotografica
SECREZIONE
25
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Poco dopo l’aggiunta degli amminoacidi
marcati, la maggior parte della radioattività è associata
a ribosomi adesi al RER, una parte a ribosomi liberi
nel citosol.
In tempi successivi, le proteine che erano state
marcate nel periodo di esposizione degli amminoacidi
si ritrovano via via in sedi diverse, come vescicole di
transizione che le portano in cisterne più avanzate del
RER.
In seguito a marcatura con leucina marcata con
Trizio (3H) per 5 minuti, le proteine di nuova sintesi si
trovano associate al RER.
Con il passar del tempo, la
marcatura permette di identificare
il percorso compiuto dalle proteine
nella via di secrezione. Qui si ha il
passaggio nel Golgi cis.
Successivamente
nel
Golgi trans.
Infine le proteine arrivano nelle vescicole
secretorie che transitano in direzione della
membrana plasmatica. Parte della radioattività
viene riversata nel liquido di coltura, parte
resta associata alla membrana plasmatica.
Lisosoma
7 minuti in leucina non marcata
à
35 minuti in leucina non marcata à
135 minuti in leucina non marcata à
Golgi
vescicole di secrezione immature
granuli di zimogeno maturi
26
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Conclusioni
·
·
·
·
·
Nelle cellule secretorie, la sintesi delle proteine ha luogo principalmente su ribosomi adesi alle
membrane del RER
Una parte delle proteine cellulari viene sintetizzata su ribosomi liberi nel citoplasma.
Le proteine sintetizzate nel RER seguono un percorso intracellulare che le porta verso l’apparato di
Golgi all’interno di vescicole.
Le proteine che escono dal Golgi sono contenute all’interno di vescicole che si dirigono verso la
membrana plasmatica e verso i lisosomi.
Quando queste vescicole si fondono con la membrana plasmatica, parte del loro contenuto viene
riversato all’esterno, parte (proteine marcate che fanno parte della membrana vescicolare) vengono
inserite nella membrana plasmatica della cellula.
FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENETICA
DNA à RNA à PROTEINE
Analizzando i meccanismi attraverso cui l’informazione genetica si riflette nell’eterogeneità
fenotipica, bisogna considerare seguenti fatti:
· in un individuo, le cellule somatiche derivano dallo sviluppo a partire da una singola cellula uovo
fecondata che si divide per mitosi: tutte le cellule dell’organismo hanno la stessa quantità e qualità
d’informazione genetica;
· nonostante questa omogeneità genetica, le cellule di un organismo presentano differenze
morfologiche, biochimiche e funzionali anche molto marcate;
· le macromolecole responsabili delle caratteristiche morfologiche, biochimiche e funzionali delle
cellule sono principalmente proteine;
· la sintesi delle proteine ha luogo nel citoplasma delle cellule, in corrispondenza di ribosomi liberi o
associati alle membrane del reticolo endoplasmatico ruvido;
· negli eucarioti, il DNA, che porta l’informazione per la sequenza amminoacidica delle proteine, è
racchiuso nel nucleo cellulare.
Date queste premesse, occorre dare risposta alle seguenti domande:
· In che modo l’informazione che risiede nel nucleo cellulare viene trasferita nella sede di sintesi delle
proteine?
· Qual è la natura del codice genetico, che permette la sintesi fedele di proteine?
· In che modo, nei diversi tessuti, viene utilizzata l’informazione genetica contenuta nel nucleo, che è
uguale per tutte le cellule somatiche?
· In che modo la cellula smista le proprie proteine in localizzazioni precise?
L’eterogeneità delle proteine è maggiore di quella del DNA. Le proteine si dividono in:
1. housekeeping: proteine base della struttura delle cellule;
2. proteine specifiche di ogni cellula.
Il passaggio dell’informazione genetica dal nucleo al citoplasma
Osservazioni preliminari hanno rilevato la presenza di un acido nucleico diverso dal DNA sia nel
nucleo, sia nel citoplasma delle cellule eucariote. Questo acido nucleico è l’RNA. Si è quindi pensato che
l’RNA potesse trasferire nel citoplasma l’informazione genetica presente nel nucleo.
Si sono quindi progettati esperimenti di incorporazione di precursori radiomarcati
dell’RNA per dimostrarne il passaggio nel citoplasma.
Cellule in coltura vengono esposte a Uridina marcata, per un tempo sufficiente a
rendere radioattiva una quantità rilevabile di RNA. Le cellule vengono in seguito trasferite in
terreno contenente Uridina non marcata, allo scopo di tracciare il percorso dell’RNA nelle fasi
successive alla sua sintesi.
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Autoradiografia
Inizialmente, l’Uridina
identifica materiale ad
alto peso molecolare a
livello del nucleo.
Successivamente, le molecole di RNA
marcate vanno a localizzarsi nel
citoplasma, soprattutto in
corrispondenza dei ribosomi, liberi o
associati al RER.
In tempi più lunghi, si evidenzia che
buona parte dell’RNA resta
stabilmente associata ai ribosomi, ma
che esiste una frazione labile che viene
rapidamente degradata.
Conclusioni
La maggior parte dell’RNA sintetizzato nel nucleo va a far parte della struttura dei
ribosomi(confermato anche dall’analisi chimica del contenuto dei ribosomi stessi). Questo RNA ha
dimensioni omogenee in elettroforesi e non è dotato di una sufficiente eterogeneità per contenere il
messaggio genetico che permette la sintesi di un vasto repertorio di proteine (vedi figura successiva).
Cellule di Tetrahymena sono state incubate per 15 minuti in presenza di un precursore
radioattivo dell’RNA per marcare le molecole di RNA di nuova sintesi.
Le cellule sono quindi state coperte con uno strato sottile di emulsione
fotografica, che dà origine alla formazione di grandi d’argento in
corrispondenza dei punti in cui è presente RNA radioattivo. (A sinistra)
Dopo 15 minuti di marcatura, i grani d’argento che rivelano la presenza
di RNA di nuova sintesi sono localizzati
prevalentemente in
corrispondenza del nucleo. (A destra) Dopo altri 88 minuti di
incubazione in un terreno non radioattivo, l’RNA radioattivo si è spostato nel citoplasma.
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Analisi elettroforetica degli RNA dei eucarioti
In elettroforesi è possibile evidenziare che, mentre
l’RNA ribosomico presenta dimensioni molto omogenee, la
frazione
corrispondente
all’RNA
labile
ha
una
considerevole eterogeneità.
Tale eterogeneità è compatibile con la funzione di
trasferimento dell’informazione dal nucleo al citoplasma
cellulare.
kb: 1000 nucleotidi.
Le diverse classi di RNA cellulare
·
·
·
rRNA (RNA ribosomico). Come dimostrano gli esperimenti di elettroforesi, le cellule eucariote
contengono 4 tipi di rRNA di diverse dimensioni:
· 4.800 basi, definito con tecniche centrifugative RNA 28S
· 1.900 basi, definito con tecniche centrifugative RNA 18S
· 160 basi, definito con tecniche centrifugative RNA 5,8S
· 120 basi, definito con tecniche centrifugative RNA 5S
Questi rRNA presentano una sequenza nucleotidica omogenea all’interno di ciascuna banda ed
entrano a far parte della struttura del ribosoma.
tRNA (RNA di trasferimento). Questi RNA sono di piccole dimensioni e contengono dalle 75 alle 90
basi. Si ritrovano nel citosol e sono associati a singoli amminoacidi.
mRNA (RNA messaggeri). Questi RNA sono a vita breve ma presentano una ampia eterogeneità di
dimensioni. E’ stato possibile dimostrare che ciascun mRNA presenta una sequenza nucleotidica
particolare. Ciò è stato dimostrato in tutti gli organismi finora analizzati.
Struttura dei ribosomi eucarioti
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Il ribosoma associato ha forma diversa da quella delle singole unità: per questo è 80 S anche se le
sue subunità sono 40 S e 60 S.
Chelante: sostanza che rimuove un elemento, legandosi ad esso.
Analisi elettroforetica degli RNA dei procarioti
In elettroforesi è possibile evidenziare che, mentre l’RNA
ribosomico presenta dimensioni molto omogenee, la frazione
corrispondente all’RNA labile ha una considerevole eterogeneità.
Tale eterogeneità è compatibile con la funzione di trasferimento
dell’informazione dal DNA batterico al citoplasma cellulare.
Il coefficiente di sedimentazione dell’RNA batterico è di 70 S,
simile a quello dell’RNA dei mitocondri.
Struttura dei ribosomi procarioti
Conclusioni
·
·
·
Gli rRNA hanno quindi un ruolo importante nella struttura (ma, come vedremo, anche nella
funzione)dei ribosomi procariotici ed eucariotici.
I tRNA trasportano amminoacidi sia nel caso dei procarioti, sia nel caso degli eucarioti
Gli mRNA trasportano l’informazione dal DNA alle sedi della sintesi proteica (dal nucleo al
citoplasma negli eucarioti, dal DNA libero ai ribosomi liberi nei batteri).
Il flusso dell’informazione che dal DNA permette di giungere alle proteine prevede quindi, sia nei
procarioti, sia negli eucarioti, almeno due fasi:
· una prima fase nella quale vengono sintetizzati gli mRNA, definita trascrizione.
· una seconda fase, nella quale gli mRNA guidano la sintesi di proteine, definita traduzione.
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DUPLICAZIONE DEL DNA
Esperimento di Kornberg
Desossinucleotidi:
Estratto di E. Coli
· dATP
DNA di
HCl
(fonte di enzimi che
+
+
+ · dTTP
batteriofago
(pH = 2)
polimerizzano il DNA)
· dCTP
· dGTP
RISULTATO ATTESO
RISULTATO OTTENUTO
Disintegrazioni
per minuto
Disintegrazioni
per minuto
t
t
Il DNA venne poi isolato in condizioni più drastiche, nelle quali era parzialmente frammentato:
Disintegrazioni
per minuto
t
Un enzima ha chiuso i buchi presenti nel DNA. Frazionando l’estratto si scopre qual è l’enzima
responsabile della polimerizzazione.
Inizialmente si credeva che questo enzima fosse la DNA polimerasi I, che
però è molto lenta (20 nucleotidi al secondo). Esiste invece un altro enzima molto
più veloce, la DNA polimerasi III: 750 nucleotidi al secondo.
La DNA polimerasi I si occupa di chiudere le discontinuità presenti nel DNA.
LE POLIMERASI FUNZIONANO IN DIREZIONE 5’ à 3’
Primer
5’
3’
DNA a singola elica
+
Enzima
Nucleotidi
+
purificato
purificati
à NESSUN RISULTATO
E’ necessario un oligonucleotide che funga da innesco (primer): 3’OH.
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LA DUPLICAZIONE DEL DNA
Evidenze sperimentali della replicazione del DNA: visualizzazione in microscopia elettronica
Autoradiografia dell’intero cromosoma di una cellula di E. coli. Il DNA è
stato marcato somministrando alle cellule 3H-timidina per due generazioni.
Il DNA estratto è stato quindi messo in contatto con una speciale pellicola
che è stata impressionata dalle radiazioni emesse dal tritio. La forma della
molecola si spiega con il fatto che è stata colta nel momento in cui era
duplicata per circa due terzi della sua lunghezza. Le due forche sono
indicate con le lettere A e B.
Fotografia al microscopio elettronico di una molecola di DNA del fago
lambda replicatasi per due terzi.
Autoradiografia di tratti di DNA di
cellule di criceto in replicazione. Il DNA
è stato marcato con un pulse di 3Htimidina seguito da un chase.
Conclusioni
La duplicazione del DNA procede in maniera bidirezionale
a partire da un punto preciso dei cromosomi virali, batterici e
cellulari, denominato origine della duplicazione. Per ciascuna
molecola di DNA si osservano quindi due forcelle replicative che
avanzano in opposte direzioni. Negli eucarioti, che hanno quantità
molto elevate di DNA rispetto ai virus e alle cellule batteriche, il
DNA viene duplicato a partire da molte origini della duplicazione.
Ciò garantisce una velocità complessiva di sintesi compatibile con i
tempi osservati. Dal momento che i due filamenti di DNA sono
antiparalleli e che gli enzimi responsabili della sintesi del DNA
hanno una precisa direzionalità d’azione, occorre chiarire bene la
dinamica dell’intero processo.
La duplicazione del DNA è un meccanismo che richiede energia. La reazione di polimerizzazione
dei nucleotidi trifosfati ha luogo con una precisa polarità ed è catalizzata da enzimi detti DNA
polimerasi. Nell’intero processo di duplicazione sono coinvolte almeno 10 attività enzimatiche
differenti.
Processo di duplicazione del DNA
1. DNA lineare a doppio filamento, nel quale i filamenti sono correttamente orientati in senso
antiparallelo.
32
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2. L’apertura della doppia elica è catalizzata da un enzima, la
DNA elicasi, che si ancora in corrispondenza di un punto
preciso del cromosoma circolare di E. coli, detto origine della
duplicazione. L’apertura della doppia elica richiede energia che
proviene dall’idrolisi dell’ATP.
3. Intervento di proteine che legano il DNA a singola elica
(SSBP, Single Strand-Binding Proteins) in modo
stechiometrico e mantengono distesi i singoli filamenti di
DNA.
4. Intervento di una primasi che sintetizza inneschi
costituiti da RNA (circa 10 nucleotidi) in direzione 5’ à3’,
utilizzando come stampo la catena complementare.
La sintesi dei due filamenti avviene in direzioni opposte.
5. Intervento della DNA polimerasi
III che si aggancia all’estremità
3’-OH dell’innesco (primer) di
RNA e sintetizza DNA in
direzione
5’à3’,
utilizzando
come
stampo
la
catena
complementare.
Proprietà delle DNA polimerasi dei procarioti
FUNZIONI
pol I pol II
pol III
Polimerizzazione 5’à3’
·
·
·
Esonucleasi 3’à5’
·
·
·
Esonucleasi 5’à3’
/
/
·
Dimensioni (kDa)
103
90
130
Molecola/cellula
400
10-20
4
Gene strutturale
pol A pol B
pol C
Velocità
45.000 nt/minuto
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Proprietà delle DNA polimerasi degli eucarioti
pol α
Localizzazione Nucleo
· Inizio replicazione
Funzione
· Priming
Nucleasi
NO
pol δ
Nucleo
pol ε
Nucleo
pol β
Nucleo
Riparazione
Riparazione
Riparazione
3’à5’ eso
3’à5’ eso
NO, 5’
fosfatasi
pol γ
Mitocondri
Replicazione DNA
mitocondriale
3’à5’ eso
ESPERIMENTO DI OKAZAKI
Allo scopo di indagare sul meccanismo di duplicazione del DNA e su alcuni degli enzimi
coinvolti nella sua sintesi, Okazaki fece uso di un mutante condizionale difettivo per l’enzima ligasi. Un
mutante condizionale è un organismo portatore di una mutazione che si esprime solo in determinate
condizioni.
Ad esempio, il ceppo batterico usato da Okazaki era un Escherichia coli incapace di crescere a 42°C
a causa di una mutazione a carico dell’enzima ligasi che non è più attiva a questa temperatura. A 32°C,
invece, i batteri crescono regolarmente in quanto l’enzima ligasi, anche se è mutato, funziona
regolarmente a 32°C.
Degradazione dei primers e riempimento
degli spazi con nuovo DNA ad opera
della DNA polimerasi I.
à
Chiusura dei “gap”
ad opera della
DNA ligasi.
34
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à
Al termine del processo,
sono state prodotte due
molecole di DNA.
Conclusioni
Nei pochi minuti di esposizione alla timidina marcata, questa viene incorporata nel DNA, sia nel
filamento anticipato, sia in quello ritardato. Se in seguito i batteri vengono ricoltivati in terreno non
radioattivo, e ad una temperatura permissiva per l’attività della ligasi, (32°C), la radioattività
precedentemente associata ai frammenti viene a far parte di un DNA a peso molecolare sempre più
elevato (gel superiore, la banda si sposta gradualmente verso l’alto).
Se viceversa la ricoltivazione viene effettuata ad una temperatura di 42°C, quindi non permissiva
per l’attività della ligasi di questo ceppo particolare, la radioattività associata ai frammenti di Okazaki
non potrà entrare a far parte del DNA ad alto peso molecolare, quindi in autoradiografia si vedrà
sempre la radioattività associata a questi frammenti.
Ciò dimostra che la ligasi è indispensabile nel processo di duplicazione del DNA e che nel corso
di questo processo si passa attraverso uno stadio nel quale esistono frammenti di DNA a basso peso
molecolare.
Come fare per selezionare ceppi di batteri termosensibili?
Volendo isolare mutanti termosensibili per enzimi coinvolti nella sintesi del DNA, bisogna usare
analoghi dei nucleosidi che, se si inseriscono nel DNA, provocando la morte delle cellule batteriche. I
batteri crescono bene sia a 32°C, sia a 42°C. Se tuttavia si usa un analogo dei nucleosidi (ad esempio, 6tioguanina) come unica fonte di guanina, e teniamo le cellule a 42°C, questo nucleoside verrà
incorporato solo nel DNA delle cellule capaci di crescere a 42°C, cioè quelle normali.
Le cellule che sono incapaci di crescere a 42°C (perché portano per caso una mutazione nei geni
che codificano gli enzimi responsabili della duplicazione) non incorporano l'analogo tossico e quindi
sopravvivono. Se si riporta la coltura a 32°, le cellule termosensibili cresceranno, dando origine ad una
popolazione di cellule batteriche capaci di crescere a 32°C ma non a 42°C, mentre quelle che sono morte
non potranno crescere.
Quadro sintetico del processo di replicazione
Origine della
replicazione
1. Apertura della doppia elica da
parte dell’enzima elicasi.
2. Sintesi degli inneschi di DNA
(primers) ad opera dell’enzima
à
à
primasi (in direzione 5’à3’).
4. Le molecole di DNA polimerasi orientate nella
direzione di apertura delle forcelle replicative
continuano la sintesi di DNA.
Quelle che procedono in senso opposto
necessitano di nuovi inneschi che forniscono
estremità 3’OH disponibili.
3. Intervento
della
DNA
polimerasi che riconosce
l’estremità
3’OH
degli
inneschi e sintetizza DNA in
direzione 5’à3’ subentrando
alla primasi.
5. Di conseguenza, in corrispondenza di
ciascuna forcella replicativa, uno dei due
filamenti del DNA viene sintetizzato sotto
forma di una filamento continuo, mentre
l’altro a frammenti (detti di Okazaki) che
verranno in seguito legati tra loro
à
dall’enzima ligasi, dopo che gli inneschi di
RNA sono stati rimossi e sostituiti da DNA.
35
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I filamenti su cui avviene la sintesi continua sono detti anticipati o leading, gli altri ritardati.
Avvenimenti a livello dell’origine di replicazione
1. Formazione del complesso ORC in corrispondenza
delle origini di replicazione.
2. Caricamento dei fattori di replicazione (DNA-binding
factor replication protein A, RP-A).
3. Destabilizzazione della doppia elica.
4. Apertura della
topoisomerasi I.
doppia
elica
e
reclutamento
della
5. Inizio della sintesi del filamento anticipato per reclutamento
di Pol α-primasi.
Elicasi
6. Sintesi del filamento anticipato e del filamento
ritardato per reclutamento di pol δ e pol ε.
7. Commutazione delle polimerasi α sul filamento ritardato
con l’apertura ulteriore delle forcelle replicative.
8. Sintesi di nuovi primers da parte della pol α e reclutamento di altre molecole di pol δ e pol ε per la
sintesi di frammenti di Okazaki, che in
seguito verranno saldati tra loro dalla
ligasi dopo la degradazione dei primers
ad RNA. Negli eucarioti i frammenti di
Okazaki sono formati da 200 nucleotidi,
che è il numero di nucleotidi avvolti
intorno al nucleosoma.
La polimerasi I degrada il primer di RNA e lo sostituisce con DNA. La polimerasi III opera la
sintesi duplicativa; i frammenti sono poi uniti dalla ligasi. I tempi della duplicazione sono:
· batteri
à
30 min (hanno 3 x 106 nucleotidi)
· eucarioti à
1-2 ore (hanno 3 x 109 nucleotidi)
36
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ORGANIZZAZIONE DELLA CROMATINA
Attorno ad ogni nucleosoma si
arrotola una molecola di DNA,
costituendo un ottamero di istone.
37
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L’istone H1 favorisce l’aggregazione di due nucleosomi adiacenti quando è fosforilato. Nelle
cellule eucariote il DNA è lineare; il DNA umano contiene circa 35.000 geni e 23 coppie di cromosomi.
La proteasi fa apparire delle bande caratteristiche sui cromosomi.
LA TRASCRIZIONE
L’inizio della trascrizione nei procarioti
La trascrizione è il processo di sintesi di RNA a partire da uno stampo di DNA ad opera delle
RNA polimerasi, enzimi che polimerizzano ribonucleotidi in direzione 5’à3’ utilizzando uno dei due
filamenti di DNA come stampo.
Interazione della RNA polimerasi con il sito
promotore.
Scorrimento in direzione della sequenza codificante.
Inizio della trascrizione in direzione
utilizzando il filamento C come stampo.
5’à3’
Fine della trascrizione,
polimerasi dal DNA.
RNA
distacco
della
Eventuale nuova interazione della RNA polimerasi
con il sito promotore.
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Le interazioni tra proteine e acidi nucleici sono dovute alla possibilità di formazione di legami
idrogeno tra basi azotate e residui amminoacidici.
“FOOTPRINTING” DEL DNA
Questa tecnica è stata utilizzata per identificare le regioni del DNA che sono in grado di
interagire con le numerose “DNA-binding proteins”.
39
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Il DNA si srotola e si riavvolge a livello del sito di
trascrizione. Il trascritto forma una doppia elica ibrida
DNA-RNA, con l’elica stampo, durante il meccanismo di
trascrizione.
Nell’RNA polimerasi esistono due cammini per i
due filamenti. L’RNA polimerasi sceglie un filamento di
DNA per sintetizzare RNA in base a:
· struttura tridimensionale;
· direzione (5’à3’).
La regione di DNA che scorre nell’RNA polimerasi
è di circa 60 nucleotidi.
Struttura del promotore dei procarioti
Il promotore è la regione del DNA
capace di legare le proteine coinvolte nella
trascrizione.
E’ possibile identificare (e recuperare) i
frammenti di DNA che contengono le
sequenze responsabili dell’interazione con le
proteine, sottoponendoli alla procedura di
sequenziazione.
In questo modo è possibile confrontare
le sequenze delle regioni genomiche che
interagiscono con proteine differenti, ma anche le diverse regioni di un genoma che interagiscono con
una stessa proteina.
In genere, i promotori procariotici che
contengono le sequenze -10 (TATAAT) e -35
(TTGACA) nella sequenza di consenso
originale sono promotori FORTI, la cui attività
viene regolata dai repressori. Vi sono però
numerosi promotori nei quali queste sequenze
sono modificate, e legano la RNA polimerasi
con minore affinità.
L’enzima “core” è potenzialmente in
grado di trascrivere qualsiasi segmento di
DNA. Tuttavia, per iniziare la trascrizione dei
promotori batterici con buona efficienza, esso deve legarsi a un fattore, chiamato fattore sigma (σ).
Assenza di sigma: interazione a scarsa
affinità con il DNA.
Presenza di sigma: affinità con il DNA in corrispondenza
del promotore aumentata fino a 106 volte.
40
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Fattori sigma e sequenze di consenso nei promotori procariotici
σ70
σ54
σ32
σ28
σ23
TTGACA------------------------TATAAT
-35
-10
GTGGC----------------------TTGCA
-26
-14
CCCCC---------------------TATAAATA
-39
-16
TAAA-------------------------GCCGATAA
-35
-10
TATAATA
-15
Trascrizione
1. Inizio della trascrizione.
2.
Dopo aver interagito con la
subunità σ, l’RNA polimerasi
interagisce ad alta affinità con il
promotore.
3. L’RNA
polimerasi
inizia
a
trascrivere le sequenze codificanti.
4.
Dopo l’incorporazione di una
decina di nucleotidi, la subunità σ si
distacca dall’enzima “core”.
5.
L’RNA polimerasi procede in
direzione dell’estremità terminale
del gene.
6.
In
corrispondenza
della
terminazione, molti geni procariotici
contengono due sequenze ripetute
invertite,
dotate
di
autocomplementarietà e seguite da
un breve tratto di adenine
(terminatori di tipo I o rhoindipendenti).
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7. Le sequenze ripetute invertite
formano un’ansa nell’mRNA.
Questo risulta essere legato al
DNA soltanto attraverso una breve
regione di appaiamento A-U, poco
stabile. Si ha quindi il distacco
dell’mRNA e dell’enzima RNA
polimerasi.
L’INIZIO DELLA TRASCRIZIONE NEGLI EUCARIOTI
Prima della trascrizione, il DNA deve essere disteso. L’eterocromatina si divide in:
· costitutiva: sempre condensata;
· facoltativa: viene trascritta in tempi diversi.
E’ stato dimostrato che, negli eucarioti, le RNA polimerasi non si legano direttamente al DNA,
ma interagiscono con proteine che si legano alle sequenze presenti nella regione del promotore dei geni.
RNA polimerasi I
RNA polimerasi II
Nucleolo
Cromatina
Condizioni
ioniche ottimali
Mg 2+, bassa F.I.
Mn 2+, alta F.I.
RNA polimerasi III
Cromatina
Mn 2+, alta F.I.
Enzima
Localizzazione
Sensibilità
α-amanitina
Insensibile
Molto sensibile
Mediamente
sensibile
Prodotti
rRNA 28S, 18S, 5.8S
mRNA
tRNA, snRNA, rRNA 5S
La RNA polimerasi II si associa solo a monte dei geni strutturali, che sintetizzano le proteine.
La rifanticina inibisce le RNA polimerasi dei procarioti, ma non quelle degli eucarioti.
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Struttura del promotore degli eucarioti
Fasi della formazione del complesso di preinizio
Interazione del “Transcription factor II D”
con la TATA box.
Il fattore TF IIB interagisce con TF IID.
Intervento del TF IIF.
Reclutamento della RNA polimerasi.
Formazione del “Pre-initiation complex” (PIC).
43
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Fosforilazione della RNA polimerasi.
Inizio della trascrizione.
Questo meccanismo garantisce un livello basale di attività trascrizionale. L’efficienza del
processo di trascrizione può venire incrementata o rallentata attraverso l’interazione dei fattori
trascrizionali con altre sequenze a monte del promotore.
Il modello ad ansa spiega l’effetto
delle sequenze distali e dei fattori che vi si
legano sulla formazione del complesso di
preinizio.
REGOLAZIONE DELLA TRASCRIZIONE
Operoni catabolici nei procarioti
In una cellula procariote, non tutti i geni sono attivi in ogni momento della vita cellulare. Un
esempio pratico e semplice è l’utilizzazione dello zucchero lattosio da parte di una coltura di batteri
Escherichia coli (esperimento di F. Jacob e J. Monod). I batteri traggono l’energia per la produzione di
ATP dalla glicolisi del glucosio. Se il glucosio non è disponibile, ma lo è il lattosio (disaccaride costituito
da una molecola di glucosio ed una di galattosio, unite da un legame β-D-glicosidico) le cellule possono
scinderlo grazie all’azione dell’enzima β-galattosidasi. Questa reazione può essere monitorata se, invece
del lattosio, in vitro, si utilizza un suo analogo che sviluppa una reazione cromogena in seguito alla
scissione da parte della β-galattosidasi.
Cinetiche di crescita di E. coli in presenza di
glucosio e di lattosio. Si può osservare un
lieve ritardo di crescita quando le cellule
Attività dell’enzima β-galattosidasi in estratti
batterici preparati a tempi diversi in colture
esposte a glucosio e lattosio: l’enzima è attivo solo
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crescono in solo lattosio.
nelle colture cresciute in presenza di lattosio.
Questo risultato si può spiegare con due ipotesi:
1. l’enzima è già presente in entrambi i tipi di coltura, ma risulta essere attivo solo nei batteri coltivati
in presenza di lattosio;
2. la sintesi dell’enzima viene indotta dalla presenza del lattosio nel terreno di coltura.
La difficoltà nel dare una risposta è legata al fatto che identifichiamo la β-galattosidasi sulla base
della sua attività enzimatica, e non come proteina in quanto tale. Se iniettiamo la β-galattosidasi
purificata in un animale da esperimento, possiamo ottenere anticorpi specifici che riconoscono l’enzima
in quanto proteina.
La molecola della β-galattosidasi compare come tale, e non solo come attività enzimatica, quando
le cellule vengono fatte crescere in presenza di lattosio, mentre non è praticamente presente in cellule
che siano state fatte crescere in presenza di solo glucosio.
Si deve quindi dedurre che il lattosio induce la neosintesi dell’enzima che è responsabile della
sua degradazione.
Lo studio di E. coli alterati nell’utilizzazione del glucosio ha portato Jacob e Monod a proporre un
modello di regolazione genica nei procarioti.
1. Isolamento di diverse classi di mutanti di E. coli incapaci di crescere in presenza di lattosio (Lac-)
2. Isolamento di diverse classi di mutanti di E. coli Lac+ con sintesi costitutiva di β-galattosidasi.
Mutanti Lac· Alcuni di questi mutanti producono una
β-galattosidasi alterata, visibile come molecola ma non
come attività enzimatica (mutanti strutturali).
· Altri sono totalmente incapaci di produrre
β-galattosidasi, pur non avendo mutazioni nel
gene(mutanti di regolazione).
· Altri ancora non hanno mutazioni a carico del gene
β-galattosidasi, ma in altri geni strutturali vicini.
Mutanti Lac+
E’ stato osservato che questi mutanti
sintetizzano sempre β-galattosidasi, anche
in presenza di solo glucosio (mutanti
costitutivi).
Il modello di regolazione negativa di Jacob e Monod
Sulla base dei dati sui mutanti strutturali, Jacob e Monod ipotizzano che l’utilizzazione del
lattosio da parte delle cellule batteriche dipenda dall’attività di 3 geni strutturali fisicamente adiacenti
sul cromosoma circolare di E. coli. Questi geni codificano:
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1. gene Z
2. gene Y
3. gene A
à
à
à
la β-galattosidasi
la permeasi del lattosio
la tiogalattoside transacetilasi
Inoltre, per poter spiegare le proprietà dei mutanti di regolazione, Jacob e Monod ipotizzano la
presenza, a monte della regione strutturale, di una regione di controllo, che non codifica polipeptidi ma
interagisce con proteine (geni P ed O). Infine, ipotizzano la presenza, lontano da questa regione, di un
gene I che codifica un polipeptide coinvolto nella regolazione dei geni che provvedono all’utilizzazione
del lattosio.
In assenza di lattosio, il repressore
interagisce con la regione O dell’operone lac.
L’RNA polimerasi si lega al
promotore, ma non può procedere in
direzione dei geni strutturali in quanto
trova ostacolo all’avanzamento.
Il repressore è una proteina
allosterica, che possiede anche un sito
capace di legare il lattosio (o meglio,
l’allolattosio).
Quando
l’allolattosio
interagisce con il repressore, quest’ultimo
perde la propria affinità per il DNA.
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In
queste
condizioni,
l’RNA
polimerasi non trova più ostacoli e può
trascrivere i geni strutturali.
Spiegazione dei mutanti di regolazione
1. Mutazioni a carico del gene I possono produrre un repressore che non ha affinità per il DNA della
regione O. In questo caso, i geni strutturali risultano essere sempre “accesi”, quindi la β-galattosidasi
viene prodotta anche se non c’è lattosio nel terreno di coltura delle cellule (mutanti lac+ costitutivi)
2. Mutazioni a carico del gene I possono produrre un repressore che ha affinità per il DNA ma non per
l’allolattosio. In queste condizioni, il repressore non potrà staccarsi dal DNA, i geni saranno sempre
“spenti”e la β-galattosidasi non verrà quindi prodotta (mutanti lac- di regolazione).
3. Mutazioni a carico della regione O alterano il sito responsabile dell’interazione con il repressore, che
non può legarsi al DNA, indipendentemente dall’allolattosio.
La regione lac funziona come un’unica unità
trascrizionale. Viene prodotto un unico mRNA che
comprende i 3 geni strutturali, che prende il nome di RNA
messaggero poligenico o policistronico.
IL CONCETTO DI OPERONE
Operone: regione regolatrice che regola più geni strutturali che controllano una via metabolica.
La regione che provvede al controllo dell’utilizzazione del lattosio viene quindi chiamata
Operone lac. Il controllo dell’espressione genica dell’ operone lac è di tipo negativo, in quanto affidato
ad una proteina, il repressore, che quando si lega al DNA inibisce la trascrizione dei geni strutturali
sotto il suo controllo.
CONTROLLO POSITIVO DELLA TRASCRIZIONE
Facendo crescere le cellule in un terreno contenente sia glucosio, sia lattosio, sulla base del
modello di Jacob e Monod, dovremmo aspettarci che la presenza del lattosio induca i geni strutturali
dell’operone lac, con produzione di β-galattosidasi e scissione del lattosio. Invece, le cellule utilizzano il
glucosio disponibile nel terreno e viene “spento” l’operone lac. In particolare, se le cellule sono state fatte
crescere in presenza di lattosio e si aggiunge glucosio,
viene inibita la sintesi di β-galattosidasi.
La sintesi di β-galattosidasi viene inibita
dall’aggiunta di glucosio, nonostante la presenza nel
terreno del lattosio.
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In seguito all’aggiunta di glucosio, si osserva anche un drastico calo dei livelli di cAMP
intracellulari. Si è ipotizzato che l’effetto inibitorio da parte del glucosio sull’espressione dell’operone lac
sia mediato dall’AMP ciclico.
Via metabolica di
sintesi dell’AMP ciclico.
Effetto del glucosio: inibizione
dell’adenil ciclasi, stimolazione
della fosfodiesterasi.
Quindi, la concentrazione intracellulare del cAMP è dipendente in misura inversamente
proporzionale dalla concentrazione intracellulare del glucosio. E’ stata fatta l’ipotesi che l’AMP ciclico
fosse coinvolto nella regolazione degli operoni la cui attivazione determina un aumento del glucosio
intracellulare, quindi tutti gli operoni responsabili della degradazione di disaccaridi contenenti glucosio.
Si è cercata una proteina capace di legare l’AMP ciclico e anche il DNA.
Le proteine capaci di legare cAMP possono essere ulteriormente analizzate per quanto riguarda
la loro capacità di legare il DNA, usando un’apposita colonna cromatografica.
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Quindi, una delle proteine che legano l’AMP ciclico si lega al DNA quando l’AMP ciclico è
presente, non quando questo è assente. Nella cellula, i livelli di cAMP dipendono da quelli del glucosio,
come abbiamo visto. Quindi, il livello di glucosio intracellulare controlla l’accesso di questa proteina
(CAP protein) al DNA:
1. quando c’è glucosio disponibile (quindi non c’è cAMP), la proteina non si lega al DNA;
2. quando il glucosio non è disponibile (e c’è molto cAMP), la proteina si lega al DNA.
Esperimenti ulteriori hanno permesso di dimostrare che la proteina CAP si lega ad una regione
del promotore dell’operone lac e anche a promotori di altri operoni la cui attivazione determina
produzione intracellulare di glucosio.
Se il lattosio è presente, il repressore è staccato dal sito O; in geni strutturali sono in teoria
accessibili alla RNA polimerasi.
Se è assente il glucosio, la cellula ha livelli elevati di cAMP, che si lega alla proteina CAP e
favorisce l’aggancio della RNA polimerasi.
In queste condizioni si ha trascrizione dei geni strutturali.
Se il lattosio è presente, il repressore è
staccato dal sito O; i geni strutturali sono in teoria
accessibili alla RNA polimerasi.
Se è presente il glucosio, la cellula ha bassi
livelli di cAMP, la proteina CAP non lega il DNA e la
RNA polimerasi non si aggancia al sito promotore.
In queste condizioni, anche se nel terreno c’è
il lattosio, non si ha trascrizione dei geni strutturali.
Conclusioni
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La proteina CAP esercita quindi un controllo positivo sulla trascrizione: infatti, legandosi al
DNA, essa favorisce la trascrizione dei geni strutturali.
OPERONI ANABOLICI
Mentre gli operoni catabolici controllano la sintesi di enzimi responsabili dell’utilizzazione dei
disaccaridi, gli operoni anabolici controllano la sintesi degli enzimi responsabili delle vie metaboliche
che portano alla produzione degli amminoacidi.
Le cellule batteriche possono sintetizzare tutti gli amminoacidi necessari per la sintesi delle
proteine a partire da componenti semplici presenti nel terreno di coltura (zuccheri come fonte di
carbonio, sali minerali come fonte di azoto, zolfo e fosforo).
Esempio di via anabolica che porta alla sintesi di un amminoacido
Ciascun gene codifica un enzima che catalizza una singola reazione della via anabolica nella
quale, a partire da un precursore semplice, si arriva attraverso una serie di reazioni al prodotto finale,
l’amminoacido. In queste condizioni, occorre che i geni codificanti gli enzimi che garantiscono il
funzionamento della via metabolica siano inizialmente attivi. Questi geni sono anch’essi raggruppati in
operoni, e dipendono quindi da un’unica regione di controllo.
Il repressore è inattivo: la RNA polimerasi non
incontra ostacoli e può trascrivere i geni strutturali.
Attivazione del repressore
L’amminoacido, che è il prodotto finale della
via metabolica, si lega al repressore facendogli
cambiare conformazione e rendendolo attivo,
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quindi capace di legare il DNA in
corrispondenza della regione O.
Questo accade quando la quantità di
amminoacido è sufficiente a garantire un
normale tasso di sintesi proteica.
REGOLAZIONE A “FEEDBACK” DELLE VIE METABOLICHE
Negli operoni anabolici, occorre che gli enzimi già sintetizzati nella fase di produzione degli
amminoacidi vengano disattivati funzionalmente.
Il controllo trascrizionale operato dal prodotto finale mediante interazione con il repressore
provvede infatti ad interrompere la trascrizione di nuove molecole di enzima, ma quelle già presenti
nella cellula continuerebbero a funzionare.
Via metabolica ancora attiva, consumo di energia
Inibizione allosterica del primo enzima della via biosintetica da parte del prodotto finale.
Diversi livelli di regolazione da prodotto finale
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Conclusioni
Il prodotto finale di una via anabolica (ad esempio, un amminoacido) deve essere sintetizzato
quando la cellula lo richiede, in quantità sufficienti a garantire la sintesi proteica. Quando i livelli
disponibili di prodotto finale superano la necessità, viene inibita la trascrizione dei geni che codificano
tutti gli enzimi della via metabolica interessata, attraverso l’interazione del prodotto finale con il
repressore, il quale viene così reso attivo tramite transizione conformazionale.
Gli mRNA prodotti in precedenza hanno emivita breve, quindi non sono più disponibili per la
trascrizione nel volgere di pochi minuti.
Tuttavia, gli enzimi già sintetizzati in precedenza hanno emivita più lunga e continuerebbero a
funzionare anche quando non è necessario. La proprietà del primo enzima della via metabolica di
interagire con il prodotto finale quando questo raggiunge una concentrazione sufficiente e di subire una
transizione conformazionale che lo rende inattivo permette di regolare in modo fine la via metabolica.
In natura non esiste un effetto “tutto o nulla”. Nel caso del lattosio, se non ci fosse una minima
produzione di permeasi, il lattosio non potrebbe entrare nella cellula.
ß LATTOSIO ß
DNA (O) + Repressore D DNA (O)-Repressore
à NO LATTOSIO à
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Modello della chiave e serratura
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Modello dell’adattamento indotto
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