Prima di morire: una riflessione critica sulle
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Prima di morire: una riflessione critica sulle
Prima di morire: una riflessione critica sulle cosiddette “Near-Death Experiences” Before dying: critical considerations about s.c. “Near-Death Experiences” PRIMO LORENZI, PAOLA BENVENUTI Psicologia Clinica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze RIASSUNTO. Alcune persone che arrivano ad essere a stretto contatto con la morte hanno una serie di esperienze comunemente indicate come Near-Death Exeperiences (NDE), abbastanza stereotipate nei contenuti, cui viene attribuito, dal soggetto che le ha vissute, un grande significato esistenziale. È obiettivo di questo articolo passare in rassegna gli studi più significativi sul tema con lo scopo di definire le caratteristiche qualitative, i dati epidemiologici e le ipotesi patogenetiche delle cosiddette NDE. La ricerca è stata condotta esaminando la letteratura scientifica degli ultimi 40 anni quale compare alla voce “Near-Death Exeperiences” e “Out-of-Body Experiences” sul Medline. È stata poi condotta anche una ricerca bibliografica (extra Medline) alla ricerca di articoli sul tema non redatti in lingua inglese, in particolare sulla letteratura scientifica italiana e francese. Viene fornita una sintesi sul tema, con una specifica attenzione alle caratteristiche psicopatologiche del fenomeno e aperta anche alle più comuni ipotesi interpretative. PAROLE CHIAVE: morte e morire, fenomeni parapsicologici, dissociazione, esperienza di separazione dal corpo. SUMMARY. Some people who come closet of death report having a plot of experiences commonly indicated as “Near-Death Experiences” (NDE), with stereotypical contents to whom, the subject, refers a very important existential meaning. The Authors want to review critically the scientific literature about the s.c. “Near-Death Experiences (NDE)” with the aim to delineate the psychopathological profile, the clinical and epidemiological relevance of this special experience which is reported by persons coming from period of conscience loss with closeness with death. A synthesis of findings is given with special attention to psychopathological features and to the more common opinions about the condition genesis and psychopathological pathway. KEY WORDS: death and dying, parapsychological phenomena, dissociation, out-of-body experience. Formula Orfica … È una tomba il corpo, ma la vera vita richiede di uscire fuori e morire può pertanto essere un tornar vivi uscire fuori dopo la prigionia… (da La Religione dei misteri, Scarpi P (ed), Mondadori, Milano, 2002) INTRODUZIONE Un contatto ravvicinato con la morte può essere una di quelle esperienze catastrofiche capaci di cambiare la vita di una persona (1). Secondo una linea di pensiero, peraltro ben presente nell’immaginario collettivo, potrebbe anche permettere di dare un’occhiata a quello che avviene nell’aldilà (o, in termini più laici, all’esperienza psicologica del morire). Il fascino esercitato va cercato nella suggestione di rompere uno dei si- E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2006, 41, 6 371 Lorenzi P, Benvenuti P gilli che testimoniano i limiti della nostra conoscenza così ben esemplificati dal detto epicureo: “quando c’è la morte non ci siamo noi, quando noi ci siamo non c’è la morte” (2). Dal punto di vista scientifico, poi, l’occuparsi di questo tema sottende l’affascinante progetto di dare un contributo empirico alla discussione su uno dei grandi temi dell’umanità. Il contatto ravvicinato con la morte individua dunque un’area multidisciplinare di ricerca in cui confluiscono contributi dalla psicologia, neurologia, medicina, psichiatria, ma anche dall’antropologia, teologia, parapsicologia, filosofia (3,4). Negli ultimi 30-40 anni, nella letteratura scientifica internazionale, è comparso un numero sempre più numeroso di articoli che hanno messo in luce (in termini psicopatologici, clinici, epidemiologici, ecc.) una serie di esperienze descritte da persone che “ritornavano” da stati comatosi o comunque da condizioni che li avevano portati a stretta vicinanza con la morte (5-9). In verità, le esperienze in questione erano già note e descritte, ma per lo più in ambito non propriamente scientifico. Famoso è il caso, riportato nella Repubblica di Platone ove viene narrato l’episodio di un soldato, ferito a morte sul campo di battaglia, che si alza dalla pira e racconta una serie di esperienze compiute nell’aldilà (esperienze di gioia e di luce, ma anche di incontro con guide e giudici, accompagnato dalla necessità di percorrere vie, di scegliere strade) (10). Le esperienze del soldato rimandano a molti degli insegnamenti che sembrano essere stati trasmessi nel corso dell’iniziazione ai misteri eleusini (11), cose certamente conosciute dallo stesso Platone in quanto iniziato. E ancora: in molta letteratura demonologico-religiosa dell’età moderna e medioevale si fa riferimento a esperienze di tal genere e, anche se il riferimento va più a una morte dell’anima che non alla morte biologica tout court, anche la Commedia di Dante si può leggere come il resoconto di un viaggio nell’aldilà. In particolare nel “Paradiso” c’è tutta una tensione volta a descrivere (e/o a dire l’impossibilità a farlo!) una serie di esperienze ultramondane che vanno oltre la capacità umana (12). L’interesse scientifico al fenomeno nacque, però, solo sul finire degli anni ’60, dal non trascurabile rilievo clinico ed epidemiologico che il problema finiva per acquisire man mano che cresceva il numero dei reparti di rianimazione e di terapia intensiva post-operatoria. Qui, esperienze di tal genere venivano spesso riferite da pazienti che uscivano da prolungati stati comatosi o che erano stati sottoposti a gravi interventi chirurgici o che erano reduci da incidenti stradali (9). Spesso l’aura misterica che circondava il fenomeno rischiava di non portare a una sua corretta valutazione, sia sul piano della frequenza sia su quello delle effettive caratteristiche cliniche. Veniva, poi, sempre più spesso segnalato che pazienti che uscivano da esperienze di tal genere, proprio su queste, impostassero cambiamenti di vita, anche di non trascurabile effetto. Da qui la necessità di studi non più solo fondati su rilievi aneddotici, ma epidemiologicamente più approfonditi e condotti con un metodo clinico più obiettivo e riproducibile (3,13). In breve, le esperienze di contatto ravvicinato con la morte hanno finito per essere indicate con l’espressione inglese di Near-Death Experiences (NDE), usata per la prima volta da Moody nel 1975 (5), al punto che così vengono ormai indicate anche nella nostra lingua. Comunque, nonostante l’ampiezza del rilievo, nei manuali diagnostici più in voga, al fenomeno non viene attribuita dignità nosografica sua propria. Per esempio, nel DSM-IV, può essere solo inserito fra le “altre categorie degne di attenzione clinica” (14,15). È obiettivo di questo articolo passare in rassegna gli studi più significati sul tema con lo scopo di definire le caratteristiche qualitative, i dati epidemiologici e le ipotesi patogenetiche più accreditate delle NDE. La ricerca è stata condotta esaminando la letteratura scientifica degli ultimi 40 anni quale compare alla voce “Near-Death Exeperiences” e “Out-of Body-Experiences” su Medline. È stata, poi, condotta una ricerca bibliografica (extra Medline) di articoli sul tema non redatti in lingua inglese, in particolare sulla letteratura scientifica italiana e francese. Nell’articolo verranno prima presi in considerazione i più comuni contenuti clinici e psicopatologici dell’esperienza. A questi dati verranno fatti seguire quelli di tipo epidemiologico, per dare una dimensione quantitativa al fenomeno. Infine, verranno passate criticamente in rassegna le più comuni teorie psicogenetiche riportate nella letteratura scientifica. PSICOPATOLOGIA E CLINICA In un lavoro ormai divenuto storico, Robert definisce le NDE come “un complesso fenomeno allucinatorio, che avviene in persone che avvertono la morte come imminente” (13), definizione che implica già una scelta di campo (siamo nell’ambito della patologia) e un giudizio (si tratta di allucinazioni complesse). Già questo punto potrebbe muovere il rilievo che in realtà molte delle esperienze tipiche delle NDE hanno le caratteristiche, dal punto di vista della valutazione critica del soggetto, del “come se”. In altre parole, il soggetto ha dubbi circa la realtà dell’esperienza che le farebbe ascrivere più all’ambito delle pseudo-allucinazioni che Rivista di psichiatria, 2006, 41, 6 372 Prima di morire: una riflessione critica sulle cosiddette “Near-Death Experiences” a quello delle allucinazioni franche (16,17). Inoltre, nella definizione si parla di fenomeni che avvengono generalmente “in persone che avvertono la morte come imminente”. Anche questa delimitazione del campione si espone alla critica di un’eccessiva ampiezza al punto che vi vengano comprese anche le esperienze riferite da persone che non sono in alcun modo entrate in vicinanza con la morte, ma che soltanto hanno avuto un’esperienza soggettiva (talvolta assolutamente senza riscontro) di un grave pericolo di morte (6,18). Una tale definizione e delimitazione di campo non appare pertanto soddisfacente. Conviene dunque cercarne un’altra partendo da altri punti di vista. Un primo punto da mettere in chiaro è quale sia il confine del fenomeno, che cosa precisamente si vuole indicare, nel linguaggio scientifico, quando si parla di NDE. Intanto, è ormai comunemente accettata la distinzione fra pazienti con NDE e pazienti che hanno solo memorie relative al periodo di perdita di coscienza (19). Secondo Greyson, ma il dato è anche riconosciuto dalla letteratura internazionale, per poter parlare di vere NDE bisogna raggiungere il valore di 7 della scala di valutazione che porta il suo nome (7,20,21). La Scala di Greyson è ormai riconosciuta come uno degli strumenti più utili e maneggevoli per gli studi clinici ed epidemiologici sulle NDE. Il secondo punto da chiarire riguarda i più comuni contenuti delle NDE. Questi possono essere raggruppati, a seconda dell’aspetto mentale dominante (7,20), in: esperienze a massima espressività cognitiva, esperienze a massima espressività affettiva, esperienze con marcata caratterizzazione trascendentale. Esperienze a massima espressività cognitiva Fra queste vanno annoverate: – le esperienze di maggiore consapevolezza e chiarezza sensoriale, sia di sé che del mondo esterno. Il paziente ricorda di aver avuto la sensazione di una più completa esperienza di sé e del mondo, espressa come aumentata qualità e/o quantità dei cinque sensi con in più una percezione della propria esistenza e del proprio corpo “allargata” al passato e alle cose più vicine e familiari. Da un punto di vista psicopatologico è questa una delle tipiche alterazioni in senso quantitativo del campo coscienziale: un po’ l’antitesi degli stati crepuscolari; – trovarsi in un tunnel (è la cosiddetta tunnel experience della letteratura anglosassone). In questo ambito va segnalato, per precisione e chiarezza, lo studio di Drub (22) che riporta il caso di ben 71 pa- zienti con questo vissuto, in sé uno dei più tipici delle NDE (23). Per questa particolare esperienza la definizione di “allucinazione complessa” di G. Robert appare francamente calzante (13). Esperienze a massima espressività affettiva Fra queste vengono comprese: – sentimenti di pace e piacere. Anche questa è una delle esperienze più tipiche che si embrica con quella di maggiore chiarezza e consapevolezza sensoriale sopra riferita, di cui rappresenta in qualche modo l’estensione affettiva, connotata in senso positivo. Nel senso che la chiarezza interiore e l’accessibilità del mondo acquistano una risonanza emotiva estremamente piacevole, con la consapevolezza gioiosa di essere parte del mondo tutto. Le descrizioni fanno accostare questa esperienza a quella di beatitudine degli stati di estasi e di iniziazione mistica (24,25); – accelerazione del tempo. L’esperienza del tempo prende le caratteristiche degli stati affettivi espansi, con la percezione soggettiva che il suo normale fluire acquisisca una accelerazione e il paziente si trovi a vivere vorticosamente esperienze di vita che solitamente richiedono tempi anche molto lunghi. Per esempio fare l’esperienza del proprio invecchiamento o dell’incanutimento dei capelli, dell’alternarsi veloce di notte e giorno, di passare velocemente in luoghi diversi, ecc. (26); – memoria panoramica della vita precedentemente vissuta. Molti pazienti riferiscono questa particolare esperienza psicopatologica (peraltro riferita anche in condizioni in cui la minaccia di morte è solo soggettiva) caratterizzata da una specie di riassunto della propria vita passata (ricordi, emozioni, immagini). Il tutto in un lasso di tempo estremamente ridotto, spesso infinitesimale. Nell’ambito delle NDE va segnalato lo studio di Noyes, et al. che riferiscono ben 60 resoconti di memoria panoramica (6); – preveggenza ovvero la capacità di conoscere anticipatamente il futuro. Alcuni pazienti riferiscono che nel loro avvicinamento alla morte hanno avuto la possibilità di conoscere cose attinenti il loro futuro o quello di altre persone a loro vicine (27,28), riproponendo una tematica cara a molta mitologia e letteratura: la discesa agli inferi e il ritorno con il dono della preveggenza. Il riferimento va a Odisseo nel IX libro dell’Odissea, a Enea, a Dante nella Commedia. Più in generale, a tutto l’accostamento fra morte e capacità mantiche così caro alle mitologie di tutti i tempi. Ricordiamo come nel mondo classi- Rivista di psichiatria, 2006, 41, 6 373 Lorenzi P, Benvenuti P co i supposti accessi all’aldilà fossero sede di importanti luoghi oracolari, dove, spesso tramite il rito dell’incubazione, i morti suggerivano nel sogno risposte sul futuro ai vivi (necromanzia). Forse una funzione analoga dovevano avere le cosiddette “tombe dei giganti” del mondo nuragico, dove, tramite un sonno rituale, i “grandi” morti della comunità dovevano rispondere ai quesiti dei vivi. Esperienze con marcata caratterizzazione trascendentale Già con l’ultima esperienza del precedente gruppo ci si avvicina a questo particolare ambito, cui vengono collocate esperienze come: – superare i confini del proprio Io, sia nel senso dello spazio e del tempo, sia come uscita dal proprio corpo, a costituire le cosiddette out-of-body experiences, esperienze di separazione dal corpo. Sono esperienze a grande impatto soggettivo, tipiche degli stati estatici e delle trance dei medium e degli sciamani (16,25). Rappresentano i vissuti delle NDE che appaiono più vicini a veri e propri sintomi dissociativi. In molti studi queste vengono esplorate con la Dissociative Experience Scale che serve a dare una caratterizzazione quantitativa (con un suo specifico cutoff) della tendenza dissociativa presente nella popolazione generale (29-31). Fin dai tempi dei primi pionieristici studi di Green, queste esperienze sono state raffrontate ai cosiddetti “sogni lucidi”, già ben noti in psichiatria, in cui l’esperienza onirica sembra essere fatta nello stato di veglia (32); – vedere una luce brillante. È questa una delle esperienze più comunemente riferite fra quelle raggruppate nelle NDE (26), per lo più nei termini di sentirsi pervasi, immersi, avvicinati a una luce intensa e avvolgente che ingenera sentimenti di pace e benessere; – incontro con entità mistica e/o con parenti defunti. È una delle esperienze più inquietanti e capaci di avere un impatto permanente sul paziente, al punto da determinare cambiamenti di vita anche significativi (25,27,28). Anche questa esperienza si riallaccia a luoghi del comune sentire così ben esemplificati in letteratura nell’incontro di Ulisse con la madre Euriclea, di Orfeo con Euridice e naturalmente con tutte le anime dell’aldilà dantesco. Il significato trascendentale è ben espresso dall’idea che l’esperienza possa costituire l’occasione per una vera e propria “occhiata” nell’aldilà. Statisticamente parlando, non sembra un’esperienza comune, ma quando viene riferita si determina un’aura di significatività sia per il paziente sia per chi lo ascolta e gli vive vicino, compreso il personale delle rianimazioni (4,33); – superare una barriera, un punto di non ritorno. Fra le esperienze di tipo trascendentale è questa una di quelle più spesso riferite. Il paziente racconta di essersi trovato di fronte a una barriera, a un muro, a una porta chiusa che poi si apre (4). C’è una grande similarità fra quanto riferito in queste condizioni e quanto viene riportato da pazienti che hanno vissuto le fasi estreme della disgregazione psicotica (la fase di “apocalisse”, secondo Conrad) (34). A quelle condizioni cioè in cui le psicosi cossiddette “funzionali” si avvicinano di più alle psicosi “organiche”; – entrata in un altro mondo. È, in pratica, la prosecuzione e la complessivizzazione dell’esperienza precedente. Resoconti di tal genere sono abbastanza rari in letteratura scientifica, più frequenti in resoconti letterari e di fantasia. Molto suggestiva l’immagine del protagonista di fronte alla porta dell’Ade riportata nel film Il Gladiatore di R. Scott. Sembra essere un’esperienza tipica di pazienti eideticamente dotati, con un alto punteggio alla Dissociative Experience Scale (3,35,36). Da un punto di vista psicopatologico è assai importante prendere in considerazione anche la “posizione” del paziente riguardo alle sue NDE. Se questa, cioè, viene avvertita come piacevole o meno, se è desiderata, cercata o se, invece, è avvertita come inquietante e paurosa. In linea generale, le NDE vengono descritte come piacevoli (33), così da mettere in moto cambiamenti personali che portano a un migliore apprezzamento della vita, a una diminuita paura della morte, a una ridefinizione, in senso più partecipe, del proprio modo di porsi di fronte agli altri (9,21). Il fenomeno può arrivare ad avere una risonanza soggettiva così importante da provocare tristezza e rimpianto. In altre situazioni, però, le NDE mettono in moto sentimenti di allarme e ansia per le esperienze provate, con la necessità di rivedere la propria visione del mondo, e anche le proprie convinzioni religiose, alla luce delle esperienze vissute. Viene anche descritta una percezione interiore di cambiamento, fino all’esperienza di una franca diversità nei confronti degli altri che non hanno vissuto l’esperienza. Il vissuto che se ne ricava è quello di “diversità”, una diversità che “significa” la portata dell’esperienza provata. Questa diversità può convogliare sia il senso del ridicolo sia quello dell’eccezionalità, sempre comunque un qualcosa che qualifica e distingue dagli altri, ad assumere un vero e proprio valore iniziatico, un po’ come avveniva nei riti di iniziazione misterici dell’antichità (11). Rivista di psichiatria, 2006, 41, 6 374 Prima di morire: una riflessione critica sulle cosiddette “Near-Death Experiences” Ci sono evidenze che in taluni pazienti le NDE possono portare a stati depressivi anche di lunga durata, cambiamento di stili di vita, rottura della consuetudine relazionale, dei progetti esistenziali. E, infine, anche a sentimenti pervasivi di essere anormali o francamente folli, con timore della possibilità di riproporsi dell’esperienza, lotta senza quartiere con un, sempre minaccioso, senso di precarietà dell’esperienza del reale (1,3,19). Quindi, una reazione di difesa, adattiva e reattiva a un pericolo di vita. DIAGNOSI DIFFERENZIALE Le NDE pongono una serie di problemi, spesso di non facile soluzione, di diagnosi differenziale da esperienze simili, che con esse si embricano. Una prima distinzione va posta fra NDE ed esperienze confusionali che spesso accompagnano gli stati comatosi e/o le condizioni cliniche che precedono la morte, da cui si possono differenziare per: – la loro struttura narrativa ben organizzata; – il fatto di essere spesso altamente strutturate; – la possibilità di essere facilmente richiamate alla memoria; – essere ripetitive fino al limite della stereotipia, rimandano cioè a pochi nuclei tematici (vedi sopra) che si ripetono con costanza. Da un punto di vista strutturale, le NDE possono essere accostate agli stati dissociativi di cui condividono molte caratteristiche. Al punto che, per alcuni Autori, esse stesse altro non sarebbero che stati dissociativi reattivi a un evento particolarmente stressante (18,35). A conforto di questa tesi, viene portato anche il dato che le scale di valutazione di una tendenza dissociativa in persone con NDE segnalerebbero un più alto punteggio fra questo tipo di pazienti (19,30). Testimoniano la sovrapponibilità fra i due fenomeni: – la similarità dei contenuti esperenziali (dalle out-ofbody experiences, alle esperienze dispercettive, alle distorsioni della memoria); – l’essere entrambe reattive a condizioni di stress particolarmente intenso, o comunque soggettivamente percepito come tale, per cui si possono avere anche quando oggettivamente non si rilevi la presenza delle condizione di “entrata nella morte” (36). Chi sostiene un’originalità delle NDE, rispetto agli stati dissociativi, ne pone in risalto però alcune caratteristiche semeiologiche, in sé molto particolari: – non ci sono quelle differenze di età e di sesso che vengono rilevate nella popolazione generale (37), ove le esperienze dissociative sembrano avere una netta predilezione per il sesso femminile e per le età giovanili, rilievo questo che non collima con i dati epidemiologici delle NDE (35-38); – nelle comuni out-of-body experiences non è frequente la separazione fra Sé osservante e Sé funzionante, cosa che invece viene normalmente riferita nelle NDE (19,35,39). Le NDE sono avvicinate, e pongono problemi di diagnosi differenziale, anche ai disturbi post-traumatici da stress (PTSD) (40) cui sono accomunate da: – l’essere conseguenza di esposizione a gravi eventi stressanti con minaccia per la vita, effettiva o soggettivamente avvertita come tale; – l’essere caratterizzate da improvvise e importanti riproposizioni di spezzoni, chiaramente disattualizzati, dell’esperienza traumatica. Il rilievo che permette la differenziazione è dato dal fatto che, nelle NDE, le reminiscenze sono per lo più egosintoniche e non c’è la volontà di eliminazione, di allontanamento da parte del paziente come nel PTSD. Anzi, tendenzialmente l’esperienza viene sentita come eccezionale e capace di dare addirittura un senso alla vita. Una diagnosi differenziale va, infine, posta con i fenomeni di autoscopia (41). Ma questo è solo un aspetto possibile (e nemmeno tanto frequente!) delle NDE che sono, peraltro, caratterizzate non dall’incontro con un proprio doppio (come propriamente avviene nell’autoscopia), ma dall’esperienza di osservazione del proprio corpo dall’esterno (out-of-body experience) (29,42). Infine, una differenziazione va fatta anche con le allucinazioni indotte da sostanze psicoattive. In questo caso, si hanno allucinazioni assai più complesse e variegate nei contenuti, senza i contenuti stereotipati delle NDE. Inoltre, nelle esperienze psichedeliche i contenuti delle allucinazioni appaiono molto legati alle esperienze di vita vissuta (spesso anche professionale) dei pazienti. EPIDEMIOLOGIA I primi studi epidemiologici sull’incidenza delle NDE non si possono dire metodologicamente impeccabili, non riposando su criteri definitori certi, né su strumenti di indagine standardizzati. Diciamo che si limitano a evidenziare il fenomeno come “reminiscenze relative a un periodo di coma”. I risultati, in quanto a frequenza del rilievo appaiono drammaticamente alti. Ricordiamo fra i più importanti gli studi di Sabom e Ring da cui si evincerebbe che, circa un terzo delle persone che si sono trovate in una condizione di vicinanza alla morte, avrebbero avuto delle chiare NDE Rivista di psichiatria, 2006, 41, 6 375 Lorenzi P, Benvenuti P (9,43). Per l’esattezza, nello studio di Sabom (43) il fenomeno arriverebbe a interessare il 42% dei pazienti; secondo lo studio di Ring (9) si arriverebbe addirittura al 48%. Sempre sulla stessa linea (e con gli stessi limiti metodologici!) va menzionato lo studio di Gallup da cui emergerebbe che ben 8 milioni di statunitensi nel corso della vita avrebbero avuto esperienze riconducibili alle NDE (4). L’arrivo di criteri definitori più ristretti, insieme con la costruzione di scale dedicate all’evidenziazione del fenomeno, ne ha decisamente ridimensionato la diffusione. Per esempio, secondo Greyson (ma il dato è anche riconosciuto dalla letteratura internazionale) bisogna raggiungere il valore di 7 alla Scala di Greyson per poter parlare di NDE. Prendendo a riferimento questo criterio, che ben individua i confini del campione, le caratteristiche epidemiologiche si riducono in modo importante. Per esempio, nello studio di Parnia, et al. (44) effettuato su pazienti con arresto cardiaco, il fenomeno dei ricordi relativi al periodo di coma si verifica nell’11,1 % dei casi, ma di questi solo la metà riferisce memorie tali da poter essere inquadrate come NDE. Altri studi, condotti con criteri restrittivi e scrupolosi, confermano i dati sopra riferiti. Se ci limitiamo a prendere in considerazione solo gli studi condotti in modo scientificamente accettabile, la ricerca epidemiologica sulle NDE ha messo in evidenza: – che non sembrano esserci differenze di sesso (ricordiamo che le esperienze dissociative hanno una marcata prevalenza nel sesso femminile), anche se i maschi hanno più difficoltà a parlarne (45); – che sul piano culturale non si sono evidenziate particolari differenze “a monte”, ma piuttosto “a valle” delle NDE, soprattutto per quanto riguarda visioni del mondo e affiliazioni politiche e religiose (7,28); – che sembrano assai più rappresentate in personalità con maggiore tendenza all’introversione (30) e, dato particolarmente significativo per quello che riguarda l’interpretazione clinica, in strutturazioni di personalità con una marcata tendenza alla dissociazione (37); – che il rilievo anamnestico di precedenti esperienze paranormali o mistiche sembra essere un forte fattore predittivo della possibilità del verificarsi di NDE (3,28). CONCLUSIONI Tutti questi rilievi che si evincono dai dati della letteratura, pur nella loro difformità, fanno della NDE una condizione di notevole interesse clinico e psicopa- tologico, da conoscere e valutare per chiunque si voglia occupare di riabilitazione, recupero, psicoterapia di pazienti che escono da stati comatosi, e più in generale nell’addestramento del personale delle rianimazioni. Circa la loro natura, origine, significato, sembra esserci ancora molto da dire, insieme con la necessità di portare avanti il lavoro di ricerca. Lavoro che dovrà sempre avere un solido ancoraggio empirico, tanto più da enfatizzare in un’area come questa che si presenta così esposta a derive spiritualistiche. Il tutto senza escludere letture interpretative e momenti speculativi senza i quali la ricerca empirica sarebbe una mera elencazione di dati. E, naturalmente, con un occhio continuamente posto alle possibili ricadute operative nella gestione dei servizi di rianimazione e nella cura di pazienti che escono dallo stato di coma. Tra le molte ipotesi la più suggestiva sembra essere quella che le affianca ad altre reazioni mentali che si possono avere di fronte a una minaccia alla propria vita. L’esperienza si colora di componenti che vengono dal motivo dello stress intercorrente, collegabili a previe esperienze simili e lette attraverso la griglia della cultura corrente. È particolarmente interessante la ripetitività (se non la vera e propria stereotipia!) dei contenuti dell’esperienza che da un lato la ricollegano ai grandi viaggi mitici nell’aldilà e dall’altro ad alcune esperienze che si danno in fasi estreme della disgregazione psicotica, in quelle condizioni cioè che K. Conrad indicava come “apocalissi psicotiche”. BIBLIOGRAFIA 1. Kellehear A: Culture, biology, and the near death experience. A reappraisal. 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