“Ossido di rame Cu2O elettrodepositato su vetri ITO”
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“Ossido di rame Cu2O elettrodepositato su vetri ITO”
Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Industriale Relazione del corso di Laboratorio di Scienza e Tecnologia dei Materiali: “Ossido di rame Cu2O elettrodepositato su vetri ITO” Di: Alessandro Ligabò Bolognino Tommaso Tessarollo Riccardo Prof. Lutterotti Luca Ossido di rame Il materiale oggetto del nostro è l’ossido di rame Cu2O o anche detto ossido rameoso perché è la forma più ridotta dell’ossido di rame tradizionale ovvero il CuO. La struttura degli atomi di ossigeno è cubica BCC, gli atomi di rame si collocano nei siti liberi del reticolo, equidistanziati dai due atomi di ossigeno a cui si lega. Esistono vari tipi di ossidi del rame e ogni tipo ha la sua stechiometria e il suo colore. Infatti uno dei motivi per cui, se prendiamo un campione di rame metallico esposto all’aria questo si ossiderà creando vari tipi di ossidi dando luogo a fenomeni di iridescenza. L'evoluzione durante ossidazione dei vari tipi di ossido dà luogo ad un fenomeno di evoluzione del colore che negli anni 60 attirò l'attenzione di vari studiosi che scoprirono per primi le proprietà semiconduttive dell'ossido Cu2O. L’ossido più ridotto che si può formare è proprio il Cu2O, mentre la forma stabile in condizioni ambiente è il CuO, che è anche la forma più ossidata. Ad oggi non è ancora stato stabilito quale sia il meccanismo semiconduttivo intrinseco di questo materiale, ma si sa solo che in condizioni normali si tratta di un semiconduttore di tipo p, ovvero con un trasporto di corrente per eccesso di lacune(2). Molti materiali a base di ossido di rame sono oggi molto studiati per le loro capacità superconduttive ad alte temperature. Ossido di rame e applicazioni fotovoltaiche Questo tipo di ossido è stato utilizzato nelle prime celle fotovoltaiche ma fu abbandonato dopo l'ascesa del silicio perché non garantiva sufficiente efficienza. Infatti le prime celle fatte con questo materiale era di tipo Shotky. Queste celle non garantiscono grandi efficienze perchè si basano sulla giunzione Semiconduttore-Metallo, e ,data l'assenza di campo elettrico, c'è una forte ricombinazione di elettroni e lacune. Per questo motivo l'efficienza massima teorica delle celle di tipo Shotky non può superare il 2%, anche con un semiconduttore “perfetto”. Al contrario le celle in silicio sono realizzate mediante una Giunzione p-n, ovvero due layer di semiconduttore drogati in modo diverso che creano un campo elettrico tra le due regioni che impedisce parzialmente la ricombinazione dei difetti creati per effetto fotovoltaico. Questo tipo di celle sono ad oggi le più comuni e garantiscono un buona efficienza. Purtroppo, produrre celle fotovoltaiche in silicio è difficile e costoso; negli ultimi anni varie ricerche stanno cercando di trovare nuove soluzioni per rendere più efficienti ed economiche le celle solari con nuovi materiali e nuove tecnologie. Proprio per questo motivo è tornato di moda l'ossido di rame. L'ossido di rame ha alcune proprietà che, sulla carta lo rendono un ottimo candidato per costituire una valida alternativa al silicio. Il problema è che sino ad oggi non si è ancora riusciti a realizzare un esemplare di cella fotovoltaica che riesca a sfruttare le potenzialità di questo materiale. L'ossido di rame è intrinsecamente un semiconduttore di tipo p. Il problema è che non si conoscono dopanti che permettano di realizzare uno strato di tipo n, e quindi non è ancora stato possibile creare un dispositivo simile alle celle al silicio. Le migliori efficienze sono stati ottenute con dispositivi ad eterogiunzione, dove si realizza un diodo p-n accostando ad uno strato di Cu2O, un altro strato di un altro ossido di tipo n. Ad oggi la migliore efficienza che si è riusciti ad ottenere in laboratorio è di circa il 2% con un dispositivo ad eterogiunzione Cu2O-ZnO presso i laboratori Enea (1). 1 Tuttavia studi recenti (4)(5) hanno reso possibile la realizzazione di strati di ossido di tipo n per elettrodeposizione in condizioni controllate, aprendo così la strada per dispositivi ad omogiunzione. Sebbene tali dispositivi abbiano proprietà di diodo, non è ancora stata osservata fotocorrente indotta dall'esposizione alla luce di dispositivi di questo tipo. Ossido di rame: Proprietà L'ossido di rame è completamente atossico ed ecocompatibile, ma i principali motivi per cui è oggetto di tanta attenzione sono due: – È economico. Il rame è un elemento comune ed abbondante; inoltre la produzione di un ossido di un metallo è molto più semplice che la sinterizzazione di silicio per elettronica. – Energy gap di 2,0-2,2 eV. La struttura del Cu2O è tale che esiste un gap energetico circa pari a 2,0 eV tra la banda di valenza e la banda di conduzione. Gli elettroni quindi, per passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione, hanno bisogno di un’energia di almeno 2,0eV. I fotoni che hanno un'energia superiore a questo valore vengono catturati e con loro la loro energia permettono agli elettroni di passare in banda di conduzione. Mentre i fotoni con energia minore passano indisturbati e non vengono catturati. Fortunatamente, come si può vedere dall'immagine qui riportata, l'ossido di rame è in grado di catturare e tutti i fotoni dello spettro visibile al di sopra del rosso, ovvero con lunghezza d'onda inferiore ai 630nm, che corrispondono ad un' energia di circa 2eV. Quindi guardando lo spettro della radiazione solare si può dedurre che l'ossido di rame è in grado di catturare circa il 50% dello spettro. Le radiazioni ultraviolette, però, quando vengono catturate, fanno saltare gli elettroni in banda di conduzione ma non creano più energia di quanta ne creerebbe una radiazione meno energetica superiore a 2.0eV. Per questo motivo l'efficienza di conversione teorica della luce solare non è il 50%, ma, considerando anche le limitazioni dovute alla resistività, si stima che sia superiore al 20% (3). Già il 10% di efficienza di conversione sarebbe un'efficienza che, unita al basso costo del materiale, renderebbe questi dispositivi commercialmente molto competitivi. ITO Nel corso di questa relazione tratteremo la realizzazione di un dispositivo realizzato per elettrodeposizione su vetri ricoperti di un sottile strato di ITO. L'ITO(Indium Tin Oxide) è un semiconduttore di tipo n che ha la caratteristica di avere una resistività molto bassa e un band gap elevato. A causa del band gap elevato (3.0–3.7 eV) è completamente trasparente alla radiazione visibile e questa caratteristica lo rende un candidato ideale per l'utilizzo in una cella solare come contro elettrodo. Essendo trasparente alla luce, nonostante sia un semiconduttore di tipo n, non è un elemento fotoattivo della cella. Esso svolge la funzione di un contatto trasparente che chiude il circuito della cella, ma non disturba i raggi solari ne fa ombra alla cella, come avviene con i fili di alluminio sulle celle al silicio tradizionali. 2 Introduzione elettrodeposizione La tecnica di elettrodeposizione è una tecnica molto semplice da realizzare che richiede un apparato sperimentale piuttosto rudimentale. L'apparato strumentale consiste un un potenziostato, un elettrodo riferimento, un controelettrodo in platino e le soluzioni di deposizione. Ho deciso di intraprendere l'utilizzo di questa tecnica alla luce di pubblicazioni (4) che descrivevano la possibilità di realizzare strati di ossido p, e variando il pH delle soluzioni di deposizioni, si possono realizzare strati di ossido n. Molto evidentemente il motivo è che in ambiente più acido c'è meno disponibilità di atomi di ossigeno e quindi l'ossido formatosi in queste condizioni avrà un leggero difetto di ioni O-. Impostazioni sperimentali Le soluzioni utilizzate sono le stesse descritte nelle pubblicazioni (4)(7)(8), ovvero si tratta di una soluzione di acqua distillata, 3M di acido lattico, 0.4M di CuSO4, e l'aggiunta di una notevole quantità di NaOH per aggiustare il pH alla quantità desiderata. I pH per soluzioni che diano ossido p variano tra 9 e 12. Mentre il pH per ossido n è compreso tra 7 e 8. Le prove realizzate con pH inferiori a 7 hanno depositato solo rame metallico quindi si sconsiglia di andare sotto tale pH. Potenziostato del potenziale Il setup dell'apparato strumentale (mostrato nella figura grande) è costituito da un controelettrodo in platino ad immersione, un elettrodo di riferimento Ag/AgCl, e target della deposizione che nel nostro caso si è trattato di vetro ITO. I tre elementi sono stati tenuti equidistanti ad una distanza di circa 2-3 cm. Bisogna ricordare che è molto importante che il sostegno del campione non entri in contatto con la soluzione. Il bagno è stato tenuto ad una temperatura costante a 70°C come consigliato nelle pubblicazioni . Data l'elevata velocità di evaporazione durante le deposizioni la soluzione è stata più volte rabboccata con acqua distillata per mantenere il livello costante. I campioni in rame hanno subito lavaggio in ultrasuoni con acetone, alcol e acqua distillata, . Lo 3 stesso trattamento non permetteva adesione dello strato di ossido sui vetri ITO (si veda la foto sotto, dove le regioni trasparenti sono dovute al distaccamento dell'ossido). Quindi si è preferito lavarli con semplice sapone sgrassante industriale e risciacquati in acqua distillata. Questo tipo di pulizia garantito una buona adesione dello strato depositato all'ITO. Condizioni di deposizione La deposizione è stata realizzata in condizioni potenziostatiche. Questo significa che si è impostato un potenziale tra controelettrodo e elettrodo e si va a misurare la corrente di circuito. La scelta del giusto potenziale di deposizione non è affatto semplice e prevede la conoscenza di fenomeni elettrochimici. Infatti se si volesse depositare ossido di rame su ferro, le impostazioni usate per depositare su rame non andrebbero più bene ma andrebbe cercato un altro setup. I potenziali utilizzati non hanno mai superato i -300mV perché nella pubblicazione (9) viene mostrato che all'aumentare del potenziale applicato aumenta la quota di rame metallico all'interno dell'ossido depositato: anche a pH alti una corrente di -900mV, con queste soluzioni, deposita rame metallico. Alla luce di queste considerazioni si è usata una tensione di -300mV per le deposizioni di ossidi p e -250mV per le deposizioni di ossidi n. Con queste impostazioni, tutte le analisi XRD hanno mostrato un successo del trattamento, ovvero non sembrano esserci tracce di impurezze e di rame metallico depositato . Tempi, pH e spessori Il tempo di trattamento è quel tempo necessario che permetta la realizzazione di uno strato di ossido dello spessore desiderato. Il tempo di trattamento è subordinato alla velocità di deposizione, e quest'ultima varia molto con i parametri di impostazione dell'esperimento. L'influenza più grande sulla velocità di deposizione è data dal pH della soluzione, le soluzioni a pH 11 (ossido p) mostrano, a parità di potenziale applicato correnti 3 volte superiori in tutte le fasi di depisizione, sia all'inizio che alla fine del trattamento. Se si tengono costanti geometria degli elettrodi e temperatura del bagno si posso notare due importanti evidenze sperimentali, dal confronto tra ITO e rame come substrati di depisizione. Il rame essendo un conduttore perfetto presenta velocità di deposizione più elevate rispetto all'ITO. L'ITO non è un conduttore perfetto e per questo motivo anche lo spessore dello strato depositato non è omogenea. Questo fenomeno è dovuto alla fisica della deposizione: La corrente è trasportata dagli ioni che a loro volta si depositano e formano l'ossido. Gli ioni scelgono sempre la strada più comoda ovvero meno resistiva. Quindi si vanno a depositare preferibilmente nella zona più vicina al pelo dell'acqua (come si può vedere nella foto in basso), perché quel cammino è quello meno resistivo. 4 Regione più spessa, vicino al pelo libero dell'acqua Oltre a questo aspetto bisogna considerare che, man mano che lo strato di ossido aumenta il suo spessore, la resistenza del sistema aumenta all'aumentare dello spessore e quindi con il passare del tempo. La corrente che si avrà ad istanti successivi ai primi, sarà sensibilmente più bassa. La misura della corrente di circuito permette di avere un controllo diretto della quantità totale di ossido depositato e nei provini di rame, conoscendo l'area del provino, si può stimare lo spessore medio. Ma per avere una stima più precisa dello spessore si è preferito guardare direttamente i campioni al microscopio elettronico. Analisi XRD L'analisi XRD è stata condotta su un campione depositato a pH 11 per 30 minuti nelle condizioni standard sopra descritte. Lo spettro di diffrazione sopra mostrato mostra numerosi picchi e per risalire alle possibili sostanze presenti abbiamo preso in esame tutte le possibili sostanze presenti nel dispositivo, ovvero Cu2O, CuO, vetro soda-lime, Ossido ITO (Indium doped Tin Oxide), Rame metallico. Dall'analisi search-match siamo giunti alla conclusione che non vi è traccia di rame metallico ne di ossidi CuO. Le uniche sostanze presenti, come è giusto che sia, sono ossido Cu2O (picchi più alti), 5 vetro soda lime(di cui si può notare l'amorfo all'inizio dello spettro), e ITO. Per quanto riguarda le composizione, alla luce dell'analisi XRD possiamo affermare che il trattamento di elettrodeposizione ha dato i risultati sperati. Analisi ESEM Le analisi sono state condotte utilizzando un apparato TMP ESEM (Environmental Scanning Electron Microscope) Philips XL30. Sono state condotte analisi sulla sezione, per la verifica degli spessori che sulla superficie. I risultati sono stati i seguenti: Cu2 O ITO Vetro Figura 1 Figura 2 Le due immagini mostrano rispettivamente la superficie e la sezione dei campioni analizzati. La figura 1 mostra la buona cristallinità e compattezza dello stato di ossido. Mentre da figura 2 si può vedere che gli spessori realizzati sono all'incirca di 1 μm per un trattamento di 30 minuti a pH 11. Inoltre è possibile vedere che non vi è perfetta adesione tra gli strati di ITO e Cu2O. Analisi elettriche Le analisi elettriche a cui sono stati sottoposti i provini sono state di due tipi. Una per misurare le proprietà di raddrizzamento della corrente (effetto diodo), l'altra per vedere le proprietà fotovoltaiche del materiale. Per i risultati mostrati sono stati quelli ottenuti utilizzando il campione ottenuto con un trattamento di deposizione a pH 11 per 100 minuti (ragionevolmente più spesso degli altri). La prima prova è stata condotta cercando di misurare se, al passaggio della corrente, cambiava la resistenza del dispositivo al variare del verso di passaggio della corrente. Sperimentalmente abbiamo forzato i campioni su una lamina di alluminio, poi abbiamo misurato la resistenza con un tester collegando un capo alla lamina di alluminio e l'altro allo strato di ITO. Da questa analisi è risultato che la resistenza misurata variava, invertendo i capi del tester, di circa il doppio. Questo risultato ci ha lasciato molto dubbi perché, pur essendo un comportamento elettrico anisotropico come ogni diodo, la capacità di raddrizzare la corrente è molto limitata rispetto ad altri tipi di diodo. Per vedere se quello che avevamo realizzato era effettivamente un diodo abbiamo effettuato un test di resistenza del circuito. Al variare del potenziale applicato andiamo a misurare la corrente passante nel circuito. 6 100 90 80 70 mA 60 50 mA 40 30 20 10 0 0 2 4 6 8 10 12 V Come si può vedere dal grafico il dispositivo presenta caratteristiche di resistenza fortementi dipendenti dal potenziale applicato, del tutto assimilabili ad un dispositivo tipo diodo. Nel caso di resistenza lineare si avrebbe una resistenza di tipo ohmico. Per le misure delle proprietà fotovoltaiche è stato effettuato il seguente esperimento. Un recipiente di vetro pyrex (da preferirsi al soda lime perché è trasparente all'ultravioletto) è stato riempito di soluzione elettrolitica 3M di Kcl. In essa si realizza una cella elettrolitica usando come anodo il campione che si vole misurare e come catodo un riferimento, che nel nostro caso è stato un lamierino di rame metallico. Con un tester si va a misurare la corrente di corto circuito Isc e la tensione di circuito aperto Voc. Per avere una stima e un parametro di paragone dei vari campioni analizzati si è deciso di confrontare la potenza data dal prodotto di questi due parametri. Questa misura di potenza non è corretta, ma serve da stima per la potenza teorica erogabile da una cella solare, infatti bisognerebbe tenere conto di almeno un altro parametro quale il fill factor. Per poter misurare l'efficienza della cella solare si è resa necessaria una misura delle potenza di irraggiamento nelle condizioni di esposizione alla luce. I provini sono stati misurati in una giornata abbastanza nuvolosa e con inclinazione non perpendicolare ai raggi, quindi abbiamo usato una cella di riferimento (pannello fotovoltaico in silicio policristallino) con la stesso angolo di incidenza dei raggi solari. La potenza irradiata dal sole per unità di area è quindi data dalla potenza elettrica prodotta dal pannello solare di riferimento divisa per l'efficienza del pannello e dall'area del pannello. I dati ottenuti da questo tipo di misure sono stati falsati da alcuni errori di misura causati dalle ridotte dimensioni dei dispositivi. La misura più significativa è dunque questa: Isc(mA) Voc(mV) Potenza nom (μW/cm2) Efficienza (%) 0.045 80,3 1,64 0,00263 In un altro caso abbiamo misurato correnti e potenziali molto più alti tanto da migliorare l'efficienza complessiva di più di un ordine di grandezza (efficienza 0,0616%). Riteniamo però che tali misure siano state falsate dall'effetto pila tra i contatti metallici utilizzati e quindi non utilizzabili. L'effetto pila non va trascurato neanche nel caso standard. Per questo motivo abbiamo analizzato le correnti e i potenziali di buio. Confrontati con i valori misurati durante l'esposizione alla luce, si è visto che nella maggior parte dei casi sia corrente che potenziale vengono dimezzati. Quindi la potenza che è realmente trasformata a partire dalla luce solare è circa i ¾ di quella misurata. 7 Conclusioni L'elettrodeposizione è una tecnica molto versatile ed è stata scelta per questo preciso motivo. L'intenzione iniziale era quella di costruire una cella solare per eterogiunzione tra Cu2O e ITO, dato che le celle realizzate da Mittiga utilizzando un eterogiunzione(Cu2O e ZnO) raggiungevano un'efficienza del 2% (1). La elettrodeposizione, sulla carta, ci permette di depositare a piacere strati di ossido p oppure n. Ma, aspetto più interessante, ci permette di depositare uno strato sopra l'altro. Sebbene questo sia possibile nella deposizione su substrati di rame metallico, non siamo riusciti a far aderire l'ossido di tipo n sul substrato di ITO. Non siamo nemmeno riusciti a trovare una soluzione a questo problema. Abbiamo anche tentato di pulire il campione con un trattamento di ossidazione al plasma, ma, anche in questo caso l'ossido depositato si distaccava dal substrato. La deposizione su ITO è stata eseguita con successo, ovvero siamo riusciti a produrre quello che ci eravamo prefissati. Purtroppo questo dispositivo non ha dato le risposte elettriche desiderate. Sebbene abbia mostrato non eccellenti proprietà da diodo non ha dato nessuna fotocorrente all'esposizione dei raggi solari allo stato solido(senza elettrolita liquido). Per quanto riguarda le misure in cella elettrolitica ha dato risultati molto più scadenti che gli ossidi termici e depositati su rame. Sebbene dagli altri ossidi era giusto aspettarsi efficienze basse (abbiamo creato una cella di tipo Shotky, con elevata ricombinazione di elettroni lacune) riponevamo speranze che i dispositivi ITO potessero rendere molto di più e senza elettrolita liquido, beneficiando dell'interfaccia con un altro semiconduttore di tipo n. Le cause di questo mancato funzionamento possono essere molteplici. Per esempio può essere colpa dell'interfaccia molto discontinua tra i due ossidi (si veda analisi ESEM). Oppure potrebbe verificarsi un incompatibilità intrinseca dovuta alla forte differenza di ground energy level (fisica dello stato solido) e quindi all'assenza di un strato di buffer all'interfaccia dei due ossidi che faciliti la creazione di un campo elettrico tra i due strati e eviti il corto circuito tra lo strato n e lo strato p. Ovviamente queste ipotesi vanno oltre la nostra capacità di comprensione di tali fenomeni, a causa di limitate conoscenze in tale campo. Elettrodeposizione o ossido termico Per fare un paragone tra le due tecniche di produzione, bisogna ricordare che l'elettrodeposizione permette teoricamente di realizzare strati di ossido (p oppure n) su superfici conduttive. Al contrario l'ossidazione termica può solamente realizzare uno strato di ossido p su un substrato di rame. Al di là di queste considerazioni, ci si chiede quale dei due ossidi sia effettivamente il più adatto per le applicazioni fotovoltaiche. Paragonando i risultati delle osservazioni in cella elettrolitica con quelle degli altri gruppi siamo giunti alla conclusione che l'ossido termico ha proprietà elettriche migliori, ovvero le correnti e le differenze di potenziale osservate nella celle elettrolitica erano sensibilmente inferiori. Tutto ciò è in linea con l'ultima pubblicazione di Mittiga (10), nella quale costruendo uno stresso dispositivo a eterogiunzione Cu2O-ZnO per via termica raggiunge un'efficienza di circa il 2%, mentre nel dispositivo elettrodepositato non supera il 0,41%. Diodo pn = cella solare? Nonostante fosse quello che pensavo all'inizio, la risposta a questa domanda è no. Per analogia con le celle solari policristalline in silicio pensavamo che bastasse realizzare un'omogiunzione tra due layer di semiconduttori con meccanismi conduttivi opposti. La realtà è che i dispositivi allo stato solido da noi realizzati non hanno mai funzionato, ovvero non risultava nessuna corrente ne differenza di potenziale nella misura a corto circuito. Paragonando il dispositivo creato con quelli commerciali al silicio vi è una grossa differenza, ovvero nei dispositivi al silicio il tipo di conduttività è dovuto alla diversa tipologia di dopanti, mentre qui il tipo di conduttività è 8 determinato dal metodo di produzione del materiale. Inoltre nei dispositivi fotovoltaici di tipo tradizionale vi è una regione intermedia alle due regioni chiamata “depletation layer”.Come si può intuire dalla traduzione in italiano del termine si tratta di una zona a campo nullo di “sviluppo” del campo elettrico tra le regioni p ed n. Ovviamente questa regione non è presente nei dispositivi da noi realizzati. La presenza di tale regione è alla base dell'efficienza dei dispositivi per costruiti per eterogiunzione dove tale strato viene chiamato “buffer layer”. Per esempio, i dispositivi Cu2O-ZnO, realizzati da Mittiga, nonostante abbiano un'efficienza molto bassa potrebbero raggiungere efficienze superiori al 10% se si riuscisse a trovare un giusto buffer layer. L'esempio più clamoroso di tale introduzione è dato dalle celle CIGS (Cu(In-Ga)Se2) dove l'introduzione di uno strato di CdS ha fatto balzare le efficienze di trasformazione dal 2% a oltre il 10%. L'importanza del buffer layer non è tale da giustificare la totale assenza di risposta elettrica nei nostri dispositivi. 9 Riferimenti e testi consultati: (1) A. Mittiga, E. Salza, F. Sarto, M. Tucci, R. Vasanthi; App. Phys. Lett. 88 163502 (2006) (2) Porat and I. Riess, Solid State Ionics 81, 29 (1995) (3) S.S. Jeong, A. Mittiga, E. Salza, A. Masci, S. Passerini ;Electrochimica Acta 53 (2008) 2226–2231 (4) L. Wang, M.Tao ; Electochemical and Solid State Letters 10 (9) H248-H250 (2007) (5) C.A.N. Fernando, P.H.C. De Silva, I.M. Wethasinha, I.M. Dhamadasa, T. Desol, M.C. Simmonds; Renewable Energy 26 521-529 (2002) (6) G .Zhou, J. C. Yang ; Applied Surface Science 210 (2003) 165–170 (7) K. Mizuno,M. Izaki, K. Murase, T. Shinagawa, M. Chigane, M. Inaba, A. Tasaka, Y Awakurac; Journal of The Electrochemical Society 152 (4) C179-C182 (2005) (8) T. Mahalingama, J.S.P. Chitra, J.P. Chub, P.J. Sebastianc; Materials Letters 58 (2004) 1802– 1807 (9) T. Mahalingam, J. S. P. Chitra, S. Rajendran, P. J. Sebastian; Semicond. Sci. Technol. 17 No 6 (June 2002) 565-569 (10)S.S. Jeong, A. Mittiga, E. Salza, A. Masci, S. Passerini; Electrochimica Acta 53 (2008) 2226–2231 10