“Ossido di rame Cu2O elettrodepositato su vetri ITO”

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“Ossido di rame Cu2O elettrodepositato su vetri ITO”
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria Industriale
Relazione del corso di
Laboratorio di Scienza e Tecnologia dei
Materiali:
“Ossido di rame Cu2O
elettrodepositato su vetri ITO”
Di:
Alessandro Ligabò
Bolognino Tommaso
Tessarollo Riccardo
Prof.
Lutterotti Luca
Ossido di rame
Il materiale oggetto del nostro è l’ossido di rame Cu2O o anche detto
ossido rameoso perché è la forma più ridotta dell’ossido di rame
tradizionale ovvero il CuO. La struttura degli atomi di ossigeno è cubica
BCC, gli atomi di rame si collocano nei siti liberi del reticolo,
equidistanziati dai due atomi di ossigeno a cui si lega.
Esistono vari tipi di ossidi del rame e ogni tipo ha la sua stechiometria e
il suo colore. Infatti uno dei motivi per cui, se prendiamo un campione di
rame metallico esposto all’aria questo si ossiderà creando vari tipi di
ossidi dando luogo a fenomeni di iridescenza. L'evoluzione durante
ossidazione dei vari tipi di ossido dà luogo ad un fenomeno di
evoluzione del colore che negli anni 60 attirò l'attenzione di vari
studiosi che scoprirono per primi le proprietà semiconduttive
dell'ossido Cu2O. L’ossido più ridotto che si può formare è proprio
il Cu2O, mentre la forma stabile in condizioni ambiente è il CuO,
che è anche la forma più ossidata.
Ad oggi non è ancora stato stabilito quale sia il meccanismo
semiconduttivo intrinseco di questo materiale, ma si sa solo che in
condizioni normali si tratta di un semiconduttore di tipo p, ovvero
con un trasporto di corrente per eccesso di lacune(2).
Molti materiali a base di ossido di rame sono oggi molto studiati per le loro capacità
superconduttive ad alte temperature.
Ossido di rame e applicazioni fotovoltaiche
Questo tipo di ossido è stato utilizzato nelle prime celle fotovoltaiche ma fu abbandonato dopo
l'ascesa del silicio perché non garantiva sufficiente efficienza. Infatti le prime celle fatte con questo
materiale era di tipo Shotky. Queste celle non garantiscono grandi efficienze perchè si basano sulla
giunzione Semiconduttore-Metallo, e ,data l'assenza di campo elettrico, c'è una forte
ricombinazione di elettroni e lacune. Per questo motivo l'efficienza massima teorica delle celle di
tipo Shotky non può superare il 2%, anche con un semiconduttore “perfetto”. Al contrario le celle in
silicio sono realizzate mediante una Giunzione p-n, ovvero due layer di semiconduttore drogati in
modo diverso che creano un campo elettrico tra le due regioni che impedisce parzialmente la
ricombinazione dei difetti creati per effetto fotovoltaico. Questo tipo di celle sono ad oggi le più
comuni e garantiscono un buona efficienza.
Purtroppo, produrre celle fotovoltaiche in silicio è difficile e costoso; negli ultimi anni varie
ricerche stanno cercando di trovare nuove soluzioni per rendere più efficienti ed economiche le
celle solari con nuovi materiali e nuove tecnologie. Proprio per questo motivo è tornato di moda
l'ossido di rame. L'ossido di rame ha alcune proprietà che, sulla carta lo rendono un ottimo
candidato per costituire una valida alternativa al silicio. Il problema è che sino ad oggi non si è
ancora riusciti a realizzare un esemplare di cella fotovoltaica che riesca a sfruttare le potenzialità di
questo materiale. L'ossido di rame è intrinsecamente un semiconduttore di tipo p. Il problema è che
non si conoscono dopanti che permettano di realizzare uno strato di tipo n, e quindi non è ancora
stato possibile creare un dispositivo simile alle celle al silicio.
Le migliori efficienze sono stati ottenute con dispositivi ad eterogiunzione, dove si realizza un
diodo p-n accostando ad uno strato di Cu2O, un altro strato di un altro ossido di tipo n. Ad oggi la
migliore efficienza che si è riusciti ad ottenere in laboratorio è di circa il 2% con un dispositivo ad
eterogiunzione Cu2O-ZnO presso i laboratori Enea (1).
1
Tuttavia studi recenti (4)(5) hanno reso possibile la realizzazione di strati di ossido di tipo n per
elettrodeposizione in condizioni controllate, aprendo così la strada per dispositivi ad omogiunzione.
Sebbene tali dispositivi abbiano proprietà di diodo, non è ancora stata osservata fotocorrente indotta
dall'esposizione alla luce di dispositivi di questo tipo.
Ossido di rame: Proprietà
L'ossido di rame è completamente atossico ed ecocompatibile, ma i principali motivi per cui è
oggetto di tanta attenzione sono due:
– È economico. Il rame è un elemento comune ed abbondante; inoltre la produzione di un ossido
di un metallo è molto più semplice che la sinterizzazione di silicio per elettronica.
– Energy gap di 2,0-2,2 eV. La struttura del Cu2O è tale che
esiste un gap energetico circa pari a 2,0 eV tra la banda di
valenza e la banda di conduzione. Gli elettroni quindi, per
passare dalla banda di valenza alla banda di conduzione,
hanno bisogno di un’energia di almeno 2,0eV. I fotoni che
hanno un'energia superiore a questo valore vengono
catturati e con loro la loro energia permettono agli elettroni
di passare in banda di conduzione. Mentre i fotoni con
energia minore passano indisturbati e non vengono
catturati.
Fortunatamente, come si può vedere dall'immagine qui
riportata, l'ossido di rame è in grado di catturare e tutti i fotoni
dello spettro visibile al di sopra del rosso, ovvero con
lunghezza d'onda inferiore ai 630nm, che corrispondono ad un'
energia di circa 2eV. Quindi guardando lo spettro della
radiazione solare si può dedurre che l'ossido di rame è in grado di catturare circa il 50% dello
spettro. Le radiazioni ultraviolette, però, quando vengono catturate, fanno saltare gli elettroni in
banda di conduzione ma non creano più energia di quanta ne creerebbe una radiazione meno
energetica superiore a 2.0eV. Per questo motivo l'efficienza di conversione teorica della luce
solare non è il 50%, ma, considerando anche le limitazioni dovute alla resistività, si stima che sia
superiore al 20% (3). Già il 10% di efficienza di conversione sarebbe un'efficienza che, unita al
basso costo del materiale, renderebbe questi dispositivi commercialmente molto competitivi.
ITO
Nel corso di questa relazione tratteremo la realizzazione di un dispositivo realizzato per
elettrodeposizione su vetri ricoperti di un sottile strato di ITO. L'ITO(Indium Tin Oxide) è un
semiconduttore di tipo n che ha la caratteristica di avere una resistività molto bassa e un band gap
elevato. A causa del band gap elevato (3.0–3.7 eV) è completamente trasparente alla radiazione
visibile e questa caratteristica lo rende un candidato ideale per l'utilizzo in una cella solare come
contro elettrodo. Essendo trasparente alla luce, nonostante sia un semiconduttore di tipo n, non è un
elemento fotoattivo della cella. Esso svolge la funzione di un contatto trasparente che chiude il
circuito della cella, ma non disturba i raggi solari ne fa ombra alla cella, come avviene con i fili di
alluminio sulle celle al silicio tradizionali.
2
Introduzione elettrodeposizione
La tecnica di elettrodeposizione è una tecnica molto semplice da realizzare che richiede un apparato
sperimentale piuttosto rudimentale. L'apparato strumentale consiste un un potenziostato, un
elettrodo riferimento, un controelettrodo in platino e le soluzioni di deposizione. Ho deciso di
intraprendere l'utilizzo di questa tecnica alla luce di pubblicazioni (4) che descrivevano la
possibilità di realizzare strati di ossido p, e variando il pH delle soluzioni di deposizioni, si possono
realizzare strati di ossido n. Molto evidentemente il motivo è che in ambiente più acido c'è meno
disponibilità di atomi di ossigeno e quindi l'ossido formatosi in queste condizioni avrà un leggero
difetto di ioni O-.
Impostazioni sperimentali
Le soluzioni utilizzate sono le stesse descritte nelle pubblicazioni (4)(7)(8), ovvero si tratta di una
soluzione di acqua distillata, 3M di acido lattico, 0.4M di CuSO4, e l'aggiunta di una notevole
quantità di NaOH per aggiustare il pH alla quantità desiderata. I pH per soluzioni che diano ossido p
variano tra 9 e 12. Mentre il pH per ossido n è compreso tra 7 e 8. Le prove realizzate con pH
inferiori a 7 hanno depositato solo rame metallico quindi si sconsiglia di andare sotto tale pH.
Potenziostato
del potenziale
Il setup dell'apparato strumentale (mostrato nella figura grande) è costituito da un controelettrodo
in platino ad immersione, un elettrodo di riferimento Ag/AgCl, e target della deposizione che nel
nostro caso si è trattato di vetro ITO. I tre elementi sono stati tenuti equidistanti ad una distanza di
circa 2-3 cm. Bisogna ricordare che è molto importante che il sostegno del campione non entri in
contatto con la soluzione. Il bagno è stato tenuto ad una temperatura costante a 70°C come
consigliato nelle pubblicazioni . Data l'elevata velocità di evaporazione durante le deposizioni la
soluzione è stata più volte rabboccata con acqua distillata per mantenere il livello costante. I
campioni in rame hanno subito lavaggio in ultrasuoni con acetone, alcol e acqua distillata, . Lo
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stesso trattamento non permetteva adesione dello strato di ossido sui vetri ITO (si veda la foto sotto,
dove le regioni trasparenti sono dovute al distaccamento dell'ossido).
Quindi si è preferito lavarli con semplice sapone sgrassante industriale e risciacquati in acqua
distillata. Questo tipo di pulizia garantito una buona adesione dello strato depositato all'ITO.
Condizioni di deposizione
La deposizione è stata realizzata in condizioni potenziostatiche. Questo significa che si è impostato
un potenziale tra controelettrodo e elettrodo e si va a misurare la corrente di circuito. La scelta del
giusto potenziale di deposizione non è affatto semplice e prevede la conoscenza di fenomeni
elettrochimici. Infatti se si volesse depositare ossido di rame su ferro, le impostazioni usate per
depositare su rame non andrebbero più bene ma andrebbe cercato un altro setup. I potenziali
utilizzati non hanno mai superato i -300mV perché nella pubblicazione (9) viene mostrato che
all'aumentare del potenziale applicato aumenta la quota di rame metallico all'interno dell'ossido
depositato: anche a pH alti una corrente di -900mV, con queste soluzioni, deposita rame metallico.
Alla luce di queste considerazioni si è usata una tensione di -300mV per le deposizioni di ossidi p e
-250mV per le deposizioni di ossidi n. Con queste impostazioni, tutte le analisi XRD hanno
mostrato un successo del trattamento, ovvero non sembrano esserci tracce di impurezze e di rame
metallico depositato .
Tempi, pH e spessori
Il tempo di trattamento è quel tempo necessario che permetta la realizzazione di uno strato di ossido
dello spessore desiderato.
Il tempo di trattamento è subordinato alla velocità di deposizione, e quest'ultima varia molto con i
parametri di impostazione dell'esperimento. L'influenza più grande sulla velocità di deposizione è
data dal pH della soluzione, le soluzioni a pH 11 (ossido p) mostrano, a parità di potenziale
applicato correnti 3 volte superiori in tutte le fasi di depisizione, sia all'inizio che alla fine del
trattamento. Se si tengono costanti geometria degli elettrodi e temperatura del bagno si posso notare
due importanti evidenze sperimentali, dal confronto tra ITO e rame come substrati di depisizione. Il
rame essendo un conduttore perfetto presenta velocità di deposizione più elevate rispetto all'ITO.
L'ITO non è un conduttore perfetto e per questo motivo anche lo spessore dello strato depositato
non è omogenea. Questo fenomeno è dovuto alla fisica della deposizione: La corrente è trasportata
dagli ioni che a loro volta si depositano e formano l'ossido. Gli ioni scelgono sempre la strada più
comoda ovvero meno resistiva. Quindi si vanno a depositare preferibilmente nella zona più vicina al
pelo dell'acqua (come si può vedere nella foto in basso), perché quel cammino è quello meno
resistivo.
4
Regione più spessa,
vicino al pelo libero
dell'acqua
Oltre a questo aspetto bisogna considerare che, man mano che lo strato di ossido aumenta il suo
spessore, la resistenza del sistema aumenta all'aumentare dello spessore e quindi con il passare del
tempo. La corrente che si avrà ad istanti successivi ai primi, sarà sensibilmente più bassa. La misura
della corrente di circuito permette di avere un controllo diretto della quantità totale di ossido
depositato e nei provini di rame, conoscendo l'area del provino, si può stimare lo spessore medio.
Ma per avere una stima più precisa dello spessore si è preferito guardare direttamente i campioni al
microscopio elettronico.
Analisi XRD
L'analisi XRD è stata condotta su un campione depositato a pH 11 per 30 minuti nelle condizioni
standard sopra descritte.
Lo spettro di diffrazione sopra mostrato mostra numerosi picchi e per risalire alle possibili sostanze
presenti abbiamo preso in esame tutte le possibili sostanze presenti nel dispositivo, ovvero Cu2O,
CuO, vetro soda-lime, Ossido ITO (Indium doped Tin Oxide), Rame metallico.
Dall'analisi search-match siamo giunti alla conclusione che non vi è traccia di rame metallico ne di
ossidi CuO. Le uniche sostanze presenti, come è giusto che sia, sono ossido Cu2O (picchi più alti),
5
vetro soda lime(di cui si può notare l'amorfo all'inizio dello spettro), e ITO. Per quanto riguarda le
composizione, alla luce dell'analisi XRD possiamo affermare che il trattamento di
elettrodeposizione ha dato i risultati sperati.
Analisi ESEM
Le analisi sono state condotte utilizzando un apparato TMP ESEM (Environmental Scanning
Electron Microscope) Philips XL30.
Sono state condotte analisi sulla sezione, per la verifica degli spessori che sulla superficie.
I risultati sono stati i seguenti:
Cu2 O
ITO
Vetro
Figura 1
Figura 2
Le due immagini mostrano rispettivamente la superficie e la sezione dei campioni analizzati.
La figura 1 mostra la buona cristallinità e compattezza dello stato di ossido. Mentre da figura 2 si
può vedere che gli spessori realizzati sono all'incirca di 1 μm per un trattamento di 30 minuti a pH
11. Inoltre è possibile vedere che non vi è perfetta adesione tra gli strati di ITO e Cu2O.
Analisi elettriche
Le analisi elettriche a cui sono stati sottoposti i provini sono state di due tipi. Una per misurare le
proprietà di raddrizzamento della corrente (effetto diodo), l'altra per vedere le proprietà
fotovoltaiche del materiale. Per i risultati mostrati sono stati quelli ottenuti utilizzando il campione
ottenuto con un trattamento di deposizione a pH 11 per 100 minuti (ragionevolmente più spesso
degli altri).
La prima prova è stata condotta cercando di misurare se, al passaggio della corrente, cambiava la
resistenza del dispositivo al variare del verso di passaggio della corrente. Sperimentalmente
abbiamo forzato i campioni su una lamina di alluminio, poi abbiamo misurato la resistenza con un
tester collegando un capo alla lamina di alluminio e l'altro allo strato di ITO.
Da questa analisi è risultato che la resistenza misurata variava, invertendo i capi del tester, di circa il
doppio. Questo risultato ci ha lasciato molto dubbi perché, pur essendo un comportamento elettrico
anisotropico come ogni diodo, la capacità di raddrizzare la corrente è molto limitata rispetto ad altri
tipi di diodo.
Per vedere se quello che avevamo realizzato era effettivamente un diodo abbiamo effettuato un test
di resistenza del circuito. Al variare del potenziale applicato andiamo a misurare la corrente
passante nel circuito.
6
100
90
80
70
mA
60
50
mA
40
30
20
10
0
0
2
4
6
8
10
12
V
Come si può vedere dal grafico il dispositivo presenta caratteristiche di resistenza fortementi
dipendenti dal potenziale applicato, del tutto assimilabili ad un dispositivo tipo diodo. Nel caso di
resistenza lineare si avrebbe una resistenza di tipo ohmico.
Per le misure delle proprietà fotovoltaiche è stato effettuato il seguente esperimento. Un recipiente
di vetro pyrex (da preferirsi al soda lime perché è trasparente all'ultravioletto) è stato riempito di
soluzione elettrolitica 3M di Kcl. In essa si realizza una cella elettrolitica usando come anodo il
campione che si vole misurare e come catodo un riferimento, che nel nostro caso è stato un
lamierino di rame metallico. Con un tester si va a misurare la corrente di corto circuito Isc e la
tensione di circuito aperto Voc. Per avere una stima e un parametro di paragone dei vari campioni
analizzati si è deciso di confrontare la potenza data dal prodotto di questi due parametri. Questa
misura di potenza non è corretta, ma serve da stima per la potenza teorica erogabile da una cella
solare, infatti bisognerebbe tenere conto di almeno un altro parametro quale il fill factor.
Per poter misurare l'efficienza della cella solare si è resa necessaria una misura delle potenza di
irraggiamento nelle condizioni di esposizione alla luce. I provini sono stati misurati in una giornata
abbastanza nuvolosa e con inclinazione non perpendicolare ai raggi, quindi abbiamo usato una cella
di riferimento (pannello fotovoltaico in silicio policristallino) con la stesso angolo di incidenza dei
raggi solari. La potenza irradiata dal sole per unità di area è quindi data dalla potenza elettrica
prodotta dal pannello solare di riferimento divisa per l'efficienza del pannello e dall'area del
pannello.
I dati ottenuti da questo tipo di misure sono stati falsati da alcuni errori di misura causati dalle
ridotte dimensioni dei dispositivi. La misura più significativa è dunque questa:
Isc(mA)
Voc(mV)
Potenza nom (μW/cm2)
Efficienza (%)
0.045
80,3
1,64
0,00263
In un altro caso abbiamo misurato correnti e potenziali molto più alti tanto da migliorare l'efficienza
complessiva di più di un ordine di grandezza (efficienza 0,0616%). Riteniamo però che tali misure
siano state falsate dall'effetto pila tra i contatti metallici utilizzati e quindi non utilizzabili.
L'effetto pila non va trascurato neanche nel caso standard. Per questo motivo abbiamo analizzato le
correnti e i potenziali di buio. Confrontati con i valori misurati durante l'esposizione alla luce, si è
visto che nella maggior parte dei casi sia corrente che potenziale vengono dimezzati. Quindi la
potenza che è realmente trasformata a partire dalla luce solare è circa i ¾ di quella misurata.
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Conclusioni
L'elettrodeposizione è una tecnica molto versatile ed è stata scelta per questo preciso motivo.
L'intenzione iniziale era quella di costruire una cella solare per eterogiunzione tra Cu2O e ITO, dato
che le celle realizzate da Mittiga utilizzando un eterogiunzione(Cu2O e ZnO) raggiungevano
un'efficienza del 2% (1). La elettrodeposizione, sulla carta, ci permette di depositare a piacere strati
di ossido p oppure n. Ma, aspetto più interessante, ci permette di depositare uno strato sopra l'altro.
Sebbene questo sia possibile nella deposizione su substrati di rame metallico, non siamo riusciti a
far aderire l'ossido di tipo n sul substrato di ITO. Non siamo nemmeno riusciti a trovare una
soluzione a questo problema. Abbiamo anche tentato di pulire il campione con un trattamento di
ossidazione al plasma, ma, anche in questo caso l'ossido depositato si distaccava dal substrato. La
deposizione su ITO è stata eseguita con successo, ovvero siamo riusciti a produrre quello che ci
eravamo prefissati.
Purtroppo questo dispositivo non ha dato le risposte elettriche desiderate. Sebbene abbia mostrato
non eccellenti proprietà da diodo non ha dato nessuna fotocorrente all'esposizione dei raggi solari
allo stato solido(senza elettrolita liquido). Per quanto riguarda le misure in cella elettrolitica ha dato
risultati molto più scadenti che gli ossidi termici e depositati su rame. Sebbene dagli altri ossidi era
giusto aspettarsi efficienze basse (abbiamo creato una cella di tipo Shotky, con elevata
ricombinazione di elettroni lacune) riponevamo speranze che i dispositivi ITO potessero rendere
molto di più e senza elettrolita liquido, beneficiando dell'interfaccia con un altro semiconduttore di
tipo n. Le cause di questo mancato funzionamento possono essere molteplici. Per esempio può
essere colpa dell'interfaccia molto discontinua tra i due ossidi (si veda analisi ESEM). Oppure
potrebbe verificarsi un incompatibilità intrinseca dovuta alla forte differenza di ground energy level
(fisica dello stato solido) e quindi all'assenza di un strato di buffer all'interfaccia dei due ossidi che
faciliti la creazione di un campo elettrico tra i due strati e eviti il corto circuito tra lo strato n e lo
strato p. Ovviamente queste ipotesi vanno oltre la nostra capacità di comprensione di tali fenomeni,
a causa di limitate conoscenze in tale campo.
Elettrodeposizione o ossido termico
Per fare un paragone tra le due tecniche di produzione, bisogna ricordare che l'elettrodeposizione
permette teoricamente di realizzare strati di ossido (p oppure n) su superfici conduttive. Al contrario
l'ossidazione termica può solamente realizzare uno strato di ossido p su un substrato di rame. Al di
là di queste considerazioni, ci si chiede quale dei due ossidi sia effettivamente il più adatto per le
applicazioni fotovoltaiche. Paragonando i risultati delle osservazioni in cella elettrolitica con quelle
degli altri gruppi siamo giunti alla conclusione che l'ossido termico ha proprietà elettriche migliori,
ovvero le correnti e le differenze di potenziale osservate nella celle elettrolitica erano sensibilmente
inferiori. Tutto ciò è in linea con l'ultima pubblicazione di Mittiga (10), nella quale costruendo uno
stresso dispositivo a eterogiunzione Cu2O-ZnO per via termica raggiunge un'efficienza di circa il
2%, mentre nel dispositivo elettrodepositato non supera il 0,41%.
Diodo pn = cella solare?
Nonostante fosse quello che pensavo all'inizio, la risposta a questa domanda è no. Per analogia con
le celle solari policristalline in silicio pensavamo che bastasse realizzare un'omogiunzione tra due
layer di semiconduttori con meccanismi conduttivi opposti. La realtà è che i dispositivi allo stato
solido da noi realizzati non hanno mai funzionato, ovvero non risultava nessuna corrente ne
differenza di potenziale nella misura a corto circuito. Paragonando il dispositivo creato con quelli
commerciali al silicio vi è una grossa differenza, ovvero nei dispositivi al silicio il tipo di
conduttività è dovuto alla diversa tipologia di dopanti, mentre qui il tipo di conduttività è
8
determinato dal metodo di produzione del materiale. Inoltre nei dispositivi fotovoltaici di tipo
tradizionale vi è una regione intermedia alle due regioni chiamata “depletation layer”.Come si può
intuire dalla traduzione in italiano del termine si tratta di una zona a campo nullo di “sviluppo” del
campo elettrico tra le regioni p ed n. Ovviamente questa regione non è presente nei dispositivi da
noi realizzati. La presenza di tale regione è alla base dell'efficienza dei dispositivi per costruiti per
eterogiunzione dove tale strato viene chiamato “buffer layer”. Per esempio, i dispositivi Cu2O-ZnO,
realizzati da Mittiga, nonostante abbiano un'efficienza molto bassa potrebbero raggiungere
efficienze superiori al 10% se si riuscisse a trovare un giusto buffer layer. L'esempio più clamoroso
di tale introduzione è dato dalle celle CIGS (Cu(In-Ga)Se2) dove l'introduzione di uno strato di CdS
ha fatto balzare le efficienze di trasformazione dal 2% a oltre il 10%. L'importanza del buffer layer
non è tale da giustificare la totale assenza di risposta elettrica nei nostri dispositivi.
9
Riferimenti e testi consultati:
(1) A. Mittiga, E. Salza, F. Sarto, M. Tucci, R. Vasanthi; App. Phys. Lett. 88 163502 (2006)
(2) Porat and I. Riess, Solid State Ionics 81, 29 (1995)
(3) S.S. Jeong, A. Mittiga, E. Salza, A. Masci, S. Passerini ;Electrochimica Acta 53 (2008)
2226–2231
(4) L. Wang, M.Tao ; Electochemical and Solid State Letters 10 (9) H248-H250 (2007)
(5) C.A.N. Fernando, P.H.C. De Silva, I.M. Wethasinha, I.M. Dhamadasa, T. Desol, M.C.
Simmonds; Renewable Energy 26 521-529 (2002)
(6) G .Zhou, J. C. Yang ; Applied Surface Science 210 (2003) 165–170
(7) K. Mizuno,M. Izaki, K. Murase, T. Shinagawa, M. Chigane, M. Inaba, A. Tasaka, Y
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(8) T. Mahalingama, J.S.P. Chitra, J.P. Chub, P.J. Sebastianc; Materials Letters 58 (2004)
1802– 1807
(9) T. Mahalingam, J. S. P. Chitra, S. Rajendran, P. J. Sebastian; Semicond. Sci. Technol. 17
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(10)S.S. Jeong, A. Mittiga, E. Salza, A. Masci, S. Passerini; Electrochimica Acta 53 (2008)
2226–2231
10