MUSEO CRIMINOLOGICO

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MUSEO CRIMINOLOGICO
MUSEO CRIMINOLOGICO
INDICE
STRUMENTI DI TORTURA
Cantini e Ragazzo
Presentazione
Agresta
Ceppo della pubblica gogna
Avenati
Gabbia di Milazzo
Bernasconi
Ascia/Coltello del carnefice
Cantini
Mastro Titta
De Tomasi Piro
Asse di sospensione
Falgone
Sedia chiodata
Salardi
Vergine di Norimberga
Silvestri
Campana delle Mantellate
Tevere
La ruota
Urlo
Cintura di
castità/Squartamento coi
cavalli
PRESENTAZIONE
Il Museo Criminologico nasce nel 1930 con lo scopo di dare supporto per lo
studio del sistema penale e penitenziario, oltre che strumento scientifico per
la formazione di funzionari e magistrati e di divulgazione al tempo stesso.
Il Museo Criminologico è ospitato nel Palazzo del Gonfalone, edificio risalente
al 1827, fatto costruire da Papa Leone XII per destinarlo a casa di correzione
dei giovani minorenni.La casa di correzione accoglieva i minori accusati di
delitti e i discoli, ragazzi, cioè, particolarmente vivaci, spediti in quel
luogo da genitori o tutori per fini “educativi”, che ottenevano il permesso dal
papa in cambio del pagamento degli alimenti.
L’edificio del Gonfalone, innalzato su tre piani, disponeva di quaranta celle.
Al piano terra erano situati il refettorio, la cappella, un deposito per la
lana, le vasche, un passaggio coperto e un cortile dove, a gruppi di otto, agli
ospiti era concesso di trascorrere pochi minuti all’aperto, gli unici momenti a
cui ai cui i giovani prigionieri era consentito parlare tra loro.
Al primo piano, un salone che riceveva luce da due grandi finestroni posti sui
due lati, veniva utilizzato per la filatura della lana e due stanze occupate
dal personale di servizio. Il cappellano, svolgeva la carica di direttore.
La limitata capienza delle quaranta celle, costrinse le autorità della prigione
a cercare un nuovo edificio per trasferirvi la prigione minorile, cosicché il
carcere leonino fu abbandonato e nel 1854 i prigionieri trasferiti a S.
Balbina, capace di centocinquanta posti.
Rimasta inutilizzato per alcuni anni, la prigione leonina fu quindi destinata a
sede dell’Archivio centrale di Stato per essere, infine, acquisito
dall’Amministrazione penitenziaria nel 1966. I lavori per adattare l’edificio a
sede del Museo iniziarono nel 1973 e furono completati nel 1975.
CEPPO DELLA PUBBLICA GOGNA
Trave di legno a due fori, nei quali
erano serrate le caviglie dei
condannati.
I ceppi, solitamente, venivano
collocati all'ingresso delle città o
lungo vie di intenso traffico.
Oltre che come strumento punitivo, il
ceppo era adoperato anche per impedire
la fuga dei ladri appena catturati per
le strade.
GABBIA DI MILAZZO...
La gabbia di ferro, contenente uno scheletro umano fu rinvenuta casualmente il 17
febbraio 1928 da una squadra di detenuti che eseguiva lavori di scavo nel terreno
compreso nella cinta esterna del carcere di Milazzo, in Sicilia. La gabbia era a
circa venticinque centimetri di profondità. Tra le ossa dello scheletro,
ricoperti dalla terra, emersero cinque bottoni, di cui tre, a superficie piatta,
portano, in basso, la scritta Enniskilling 27, al centro la sagoma di tre torri,
di cui quella centrale è sormontata da una bandiera. Sul retro di uno di uno dei
tre bottoni si legge la scritta Covent Garden. Gli altri due bottoni, a forma
convessa, riportano rispettivamente un’ancora e il rilievo di tre cannoncini. Le
scritte e le caratteristiche dei bottoni furono oggetto di studio di alcuni
studiosi inglesi, i quali stabilirono che i bottoni appartenevano alla divisa dei
soldati del 27° reggimento Enniskilling. Agli ordini di S.M. Britannica il
reggimento aveva partecipato agli scontri con le truppe napoleoniche in Italia
meridionale, in particolare in Calabria e in Sicilia. Nel luglio 1806 il
reggimento, che occupava il castello di Milazzo, era stato sconfitto presso
Maida, in Calabria. Per quanto riguarda l’identità dell’uomo rinchiuso nella
gabbia, dalla consultazione dei registri matricola del reggimento emerse che il
soldato Andrew Leonard, di 25 anni, era stato dichiarato disertore. L’ipotesi,
abbastanza attendibile, che il soldato Leonard fosse stato condannato alla pena
di morte per diserzione, ed esposto in gabbia sulle mura del castello, fu
accreditata dalle indagini medico legali svolte dal prof. Giuseppe De Crecchio.
...GABBIA DI MILAZZO
I risultati dell’esame dello scheletro ne accertarono l’età (circa 30 anni) e
la statura (circa 165 centimetri), dati che corrispondevano alle
caratteristiche riportate nei registri del reggimento. Poiché allo scheletro
mancavano le parti inferiori delle gambe, la mano sinistra, l’avambraccio e la
mano destra, fu ipotizzato che l’uomo era stato sottoposto a mutilazione ed
esposto nella gabbia a scopo intimidatori.
ASCIA
Per decapitazione o decollazione si intende tagliare la testa a qualcuno
provocandone così la morte, o anche a qualcuno già morto.
Numerosi studiosi si sono dedicati a questo tema, giungendo a classificare i
casi di decapitazione in tre sottocategorie: decapitazione sacra, decapitazione
profana e decapitazione magica.
La sottocategoria più antica, la decapitazione sacra, è stata sovente applicata
sia come metodo di esecuzione capitale sia come pratica a scopo propiziatorio
in tempi antichissimi. Un esempio calzante a tal proposito è il mito di
Ifigenia condannata a subire la decapitazione per volere di Artemide ma poi
salvata dalla dea stessa. Tracce dell'analogo significato della decapitazione
sono state rinvenute tra le fonti celtiche e in tempi più recenti tra i Bagobo
presso i quali la decapitazione del nemico e la danza attorno alla sua testa
esposta al pubblico costituivano un rito propiziatorio per il raccolto. Invece
per decapitazione profana si intende il trattamento riservato presso molti
popoli al nemico ucciso. Infine con decapitazione magica si fa riferimento
sempre alla decapitazione del nemico sconfitto ma in questo caso il trofeo
viene conservato per servirsene a scopo d'oracolo o premonizioni.
COLTELLO DEL CARNEFICE
Coltello del carnefice di Roma, il
manico è di bronzo, a tortiglione, con
sovrapposta una testa di leone. Il
fodero del coltello è di cuoio con
guarnizioni in ottone. Arma con la
quale il carnefice eseguiva la
condanna alla mutilazione, riservata
solitamente agli indigenti che non
avevano i mezzi per pagare forti
multe. Secondo la condanna, il
carnefice cavava gli occhi, tagliava
orecchie e nasi. Ai ladri colti in
fragranza era tagliata la mano
sinistra la prima volta e, in caso di
recidiva, la mano destra.
Mastro Titta
Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta (Senigallia, 6 marzo 1779 – Roma,
18 giugno 1869) è noto anche come "er Boja de Roma", fu un celebre esecutore
di sentenze capitali dello Stato Pontificio.
La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte iniziò il
22 marzo 1796: fino al 1864 raggiunse la quota di 514 esecuzioni.
Mastro Titta eseguiva sentenze in tutto il territorio pontificio. .
Egli era naturalmente mal visto dai suoi concittadini, tanto che gli era
vietato, per prudenza, recarsi nel centro della città, dall'altro lato del
Tevere. Ma siccome a Roma le esecuzioni capitali pubbliche decretate dal papa,
soprattutto quelle "esemplari" per il popolo, non avvenivano nel borgo
papalino, ma sull'altra sponda del Tevere a Piazza del Popolo o a Campo de'
Fiori in eccezione al divieto, il Bugatti doveva attraversare il Ponte
Sant'Angelo per andare a prestare i suoi servigi.
Il mantello scarlatto che Mastro Titta indossava durante le esecuzioni è
conservato nel Museo Criminologico di Roma.
ANSE DI SOSPENSIONE
Alla confraternita di San Giovanni
Decollato di Alessandria era affidato
il pietoso compito di assistere i
condannati a morte in confortatorio
durante le 12 ore che precedevano
l’esecuzione, per prepararli a “ben
morire”, accompagnarli al luogo del
patibolo, assistere all’esecuzione di
morte e trasportare i cadaveri per
seppellirli nella chiesa della
confraternita. Le asse di sospensione
o residui di lacci furono utilizzati
per eseguire le condanne a morte.
SEDIA CHIODATA
Sedia di tortura puntuta, usata fino
al 1809 a Norimberga e a Regensburg.
La sedia era utilizzata durante gli
interrogatori, in particolare nei
processi per stregoneria. Per ottenere
la confessione dalla presunta strega
il torturatore accendeva un fuoco
sotto la sedia, in modo da rendere
incandescenti le punte di ferro che
ricoprivano la struttura della
seggiola.
VERGINE DI NORIMBERGA...
Le fonti storiche riferiscono che questo strumento era utilizzato
prevalentemente in Germania, ma anche in altre nazioni europee, nel Medio Evo.
Il prototipo della terribile macchina fu rinvenuto a Norimberga, nei
sotterranei di un edificio dove, in passato, era stato il Tribunale Segreto
della città, si dice che coloro che erano parte di questo tribunale erano in
realtà dei membri di una setta che faceva un giuramento solenne di fedeltà.
Il reato più comune che poi prevedeva questa pena era quello di eresia, ma
anche omicidio, vilipendio della religione e molti altri. Il condannato era
condotto sul luogo del supplizio passando attraverso sette porte. Alla fine di
un lungo corridoio si trovava al cospetto della macchina di morte, una sorta di
armadio di ferro che riproduceva vagamente le sembianze di una figura
femminile, con due ante sul davanti che, aprendosi, mostravano affilatissime
punte di ferro, e che aveva alla base una doppia fila di lame rotanti sopra una
botola che si apriva quando il condannato veniva introdotto per subire il
fatale “abbraccio” della “Vergine”. Lo sventurato veniva rinchiuso nella
macchina andando incontro a una morte atroce.
…Vergine di Norimberga
I resti della vittima erano gettati,
attraverso un canale sotterraneo, nel
fiume che scorreva sotto la sede del
Tribunale Segreto. A Monaco, secondo
alcune testimonianze, durante il
governo del principe Carlo Teodoro,
era utilizzata un simile strumento di
supplizio, situato nella cosiddetta
via della Donzella.
LA RUOTA
Il condannato era legato per i polsi e
le caviglie ad una grande ruota e con
una mazza gli venivano rotte le ossa
di braccia e gambe. Talvolta veniva
dato un colpo di grazia sullo sterno,
provocandone la morte. In altri casi
invece veniva lasciato vivo per ore
esposto al pubblico prima di essere
ucciso.
In altre circostanze la persona che
aveva commesso il crimine era legata
sulla ruota che veniva fatta girare
per indurre nausea e vomito. Se la
rotazione era veloce e prolungata il
suppliziato poteva soffrire di
disturbi circolatori. Questa forma di
tortura raramente si rivelava mortale.
In alcuni casi sotto la ruota del
supplizio venivano messe delle punte
su cui gli arti del condannato,
durante la rotazione, venivano
lacerati, inducendo così la morte per
dissanguamento.
La cintura di castità
La cintura di castità è un mezzo di
contenzione fisica, mediante il quale
è possibile impedire a un soggetto,
consenziente o meno, di avere rapporti
sessuali mediante la penetrazione. La
cintura di castità può essere
applicata
SQUARTAMENTO COI CAVALLI
L'esecuzione più in voga nel medioevo
consisteva però nel seguente
procedimento: il prigioniero veniva
legato con una grossa fune, sia
all'altezza delle braccia che delle
gambe; le funi erano poi assicurate a
una grossa sbarra di legno o di
metallo che a sua volta veniva legata
a dei cavalli, uno per ogni estremità
della vittima.
Si costringeva poi i cavalli a dare
dei
INDICE CASI
De Tomasi Piro
Gaetano Bresci
Falgone
Graziosi
Ferrera
Bellentani
Freddo
Sorelle Cataldi/Paternò
Mazziotti
Cianciulli
Piacentini
Cuocolo
Pizzale
Antonietta Longo
Salardi
Cesare Lombroso
Sherif
Vizzardelli
Stazi
Sabatini
Sun
Tittone
Tevere
Pasolini
GAETANO BRESCI: ATTENTATORE
DI UMBERTO I
La sera del 29 luglio 1900, a Monza il re d’Italia Umberto I si allontanava, a
bordo di una carrozza scoperta, dalla palestra della società ginnica “Forti e
Liberi”, dove aveva premiato alcuni atleti. Ad un tratto, gli si avvicinò un
giovane il quale, armato di una rivoltella, colpì a morte il sovrano.
Il giovane attentatore fu subito arrestato e identificato. Il suo nome era
Gaetano Bresci, 31 anni, anarchico toscano, di professione tessitore. Bresci
viveva negli Stati Uniti, nel New Jersey, ed era tornato in Italia il 17 maggio
con l’obiettivo preciso di uccidere il re. La motivazione del gesto la fornì lo
stesso Bresci, egli voleva vendicare gli operai uccisi 2 anni prima a Milano,
dorante una manifestazione contro il caro vita. L’ordine di far partire le
cannonate era partito dal generale Bava Beccaris, ma la responsabilità politica
dell’aggressione agli operai era, secondo molti, del re in persona.
Gaetano Bresci fu rinviato a giudizio dalla Corte d’Assise di Milano e il
processo si svolse con una rapidità insolita per quei tempi.
Giudicato colpevole del delitto di regicidio, Bresci, con sentenza del 29 agosto
1900 fu condannato alla pena dell’ergastolo.
Egli sostenne che il progetto di uccidere Umberto I era stato una sua iniziativa,
pertanto nessun altro anarchico fu chiamato in causa.
Trasferito nel penitenziario di Santo Stefano a Ventotene, la mattina de 22
maggio 1901, dopo 10 mesi di reclusione, Gaetano Bresci si suicidò.
GRAZIOSI
Arnaldo Graziosi, 32 anni, fu condannato per l’omicidio della moglie Maria Cappa,
24 anni. L’omicidio fu commesso in un albergo di Fiuggi il 21 ottobre del 1945. Con
la coppia era presente anche la figlia di tre anni che dormiva nel letto dei
genitori.
Graziosi si dichiarò innocente e sostenne che la moglie si era suicidata perché
lacerata dai sensi di colpa per aver contratto una malattia venerea durante una
relazione prematrimoniale. Accanto al cadavere della donna fu ritrovata una lettera
d’addio della vittima con il seguente messaggio. Gli inquirenti non credettero alla
versione del suicidio e Graziosi frinviato a giudizio per omicidio. Il processo
ebbe inizio il 2 giugno 1947 presso la Corte d’Assise di Frosinone. A carico
dell’imputato prevalse la tesi che il maestro aveva un valido movente per
commettere l’omicidio: la relazione sentimentale con una giovane pianista sua
allieva. La perizia calligrafica, inoltre, aveva accertato che il biglietto non era
stato scritto dalla vittima.
Graziosi fu condannato a 24 anni, 9 mesi, 20 giorni di reclusione. L’anno dopo la
Cassazione confermò la condanna. Graziosi, detenuto nel carcere di Frosinone, evase
venti giorni dopo la sentenza della Cassazione, ma fu catturato dopo alcuni giorni
sui monti della Ciociaria.
In carcere si dedicò alla composizione di colonne sonore per documentari.
Nell’agosto del 1959, dopo 14 anni di detenzione, Graziosi ottenne la grazia,
chiesta dalla figlia, ormai diciassettenne, al Presidente della Repubblica.
Il 6 marzo 1997, sulle pagine di un quotidiano romano, un trafiletto annunciava che
Arnaldo Graziosi si era suicidato lanciandosi dal balcone della sua casa di
Grottaferrata.
BELLENTANI
Questo caso ha come protagonista la contessa Pia Bellentani,
moglie del conte Bellentani,industriale milanese, madre di due bambine.
La sera del 15 settembre 1948, durante una serata mondana,uccise l'amante Carlo
Sacchi. Anch'esso sposato e padre di due bambine,col quale da 8 anni intratteneva
una complicata relazione. Nel corso della serata Sacchi,aveva tenuto nei
confronti della donna un comportamento arrogante e non esitava a
deriderla,incurante della donna che lo supplicava di essere gentile. Così ferita
dal suo comportamento ,prese la pistola del marito e colpì l'amante a bruciapelo.
La contessa fu riconosciuta inferma mentalmente dal giudice, che la condannò a 10
anni di manicomio giudiziario,ma le furono ridotti a 7.
Il suo psichiatra stabilì che la donna tra vittima di un male
ereditario,manifestatosi già in giovane età.
All'interno del manicomio la contessa non aveva rapporti con le altre detenute ma
solamente con il direttore e la madre superiora.
Scontata la condanna,la donna uscì dal manicomio scortata dal suo avvocato, e si
limitò a salutare con un braccio alzato la folla di fotografi e giornalisti che
la attendevano all'esterno.
SORELLE CATALDI
Le sorelle Lidia e Franca Cataldi, il 20 ottobre 1945 uccisero Angela Barruca e
il figlio di 3 anni. Il fatto avvenne a Roma, nell'appartamento della vittima.
Sposata e con un figlio, Angela Barruca più volte aveva prestato dei soldi alle
sorelle in cerca di lavoro. La mattina del 20 ottobre le sorelle Cataldi si
recarono nell'abitazione della vittima per chiedere ancora del denaro, ma la
Barruca si rifiutò. Scoppiò una violenta lite e la donna fu immobilizzata sul
divano e il figlio chiuso nel bagno. Una volta riempita una valigia intera di
oggetti, temendo di essere denunciate, le sorelle colpirono la donna con un
coltello e fecero uguale con il bambino.
Le sorelle scapparono precipitosamente dall'appartamento e abbandonarono il
coltello su un muretto.
Grazie al portiere dello stabile, cui non era sfuggita la fuga delle ragazze,
le sorelle furono arrestate e processate per il duplice omicidio.
TRIGONA E PATERNò
Nel 2 Marzo 1911, la contessa Giulia Trigona, moglie infelice del conte
Romualdo Trigona, morì per mano del suo amante, il barone Vincenzo Paternò. La
relazione dei due era iniziata nel 1909 ma, dopo circa 2 anni, Giulia Trigona
decise di tr5oncare la relazione contro il volere di Paternò. Paternò chiese un
ultimo appuntamento alla donna e lei acconsentì.
Nella mente di Paternò, però, era già progettato il tragico epilogo che si
sarebbe compiuto.
Dopo circa un quarto d’ora dal loro incontro una cameriera che passava nel
corridoio spiò dal buco della serratura e vide l’uomo che brandiva un coltello
e ripetutamente colpiva la donna, poi afferrò una pistola e fece partire un
colpo. Vincenzo Paternò, soccorso immediatamente, si salvò e fu accusato di
omicidio premeditato. Il difensore di Paternò invocò la semi-infermità mentale
per il suo assistito e chiese di sottoporlo a perizia mentale. Riconosciuto
però sano di mente, l’imputato fu trasferito nel carcere di Roma di Regina
Coeli e fu condannato alla pena dell’ergastolo. Nel 1942 Paternò ricevette la
grazia e morì nel 1949.
Cianciulli
Leonarda Cianciulli nacque a Montella di Avellino nel 1893, da Emilia Di Nolfi
e da Mariano Cianciulli, ebbe un infanzia infelice e solo nella sua
adolescenza, scopre nei uomini la consolazione alla vita grigia e triste. Con
Raffaele Pansardi si sposerà poco prima della prima guerra mondiale E andarono
a vivere a Correggio nel 1930. Leonarda non aveva dimenticato che da piccola
due zingare le aveva predetto un amaro destino. Leonarda ebbe diciassette
gravidanze ma solo quattro figli. Il ricordo della maledizione accompagnava la
donna ogni giorno della sua vita. Con l’avvicinarsi della guerra Leonarda era
angosciata perché non voleva mandare il figlio maggiore Giuseppe al fronte,
così decise di fare dei sacrifici umani per salvare il figlio. La Cianciulli
frequentava tre donne anziane e sole ognuna con il desiderio di andarsene da
Correggio. La prima a cadere nella sua rete fu Faustina Setti che cercava
l’amore e Leonarda la convinse a partire per Pola senza dire nulla a nessuno e
il giorno della partenza la convinse a scrivere delle lettere per spiegare la
partenza e dopo di che la Ciaciulli la ammazzo a colpi di scure facendo poi con
il corpo del sapone e con il sangue dei dolci. La seconda vittima fu Francesca
Soavi. La terza e ultima vittima fu Virginia Caccioppo. Fu proprio la cognata
dell’ultima vittima a insospettirsi per la sparizione improvvisa della donna,
che aveva visto entrare in casa della Cianciulli prima di sparire per sempre.
Nel 1946 la corte dopo aver scartato l’ipotesi che qualcuno potesse aver
aiutato la Cianciulli, stabilì che lei fosse l’unica responsabile dei turpi
omicidi e la condannò a trent’anni di carcere e tre anni di manicomio
giudiziario. Morì nel manicomio giudiziario per donne di Pozzuoli, il 15
ottobre 1970.
PROCESSO CUOCOLO
La vicenda inizia la mattina del 6 giugno 1906 quando venne scoperto il
cadavere del basista della camorra ed esperto in furti, Gennaro Cuocolo. Lo
stesso giorno venne trovato anche il cadavere di sua moglie Maria Cutinelli,
complice del marito ed ex prostituta.
Su questo duplice delitto indaga dapprima la Polizia ma il caso resta
inizialmente irrisolto. Successivamente, l’indagine viene ripresa dai
Carabinieri Reali che ripresero l’inchiesta e istituirono una squadra speciale,
“i Cosacchi”.
Fu sostituito anche il PM che veniva considerato troppo rispettoso delle
garanzie procedurali ed anche un magistrato inquirente fu costretto a farsi da
parte poiché aveva espresso dubbi sull’indagine.
La base principale dell’indagine furono le rivelazioni di Gennaro Abbatemaggio,
detto “o’ Cucchierello”, pregiudicato di 23 anni a cui si accodarono altri
pentiti. Infine, furono rinviati a giudizio altri 30 imputati, tra cui un
sacerdote.
Il processo iniziò a Viterbo solo nel 1911. Si trattò di un maxiprocesso e
diventò anche un grande evento mediatico. La sentenza fu emessa il 12 luglio
1912 e condannò quasi tutti gli imputati, uno dei quali (Gennaro de Marinis) si
suicidò in aula. I due principali imputati, Enrico Alfano e Giovanni Rapi
furono condannati a 30 anni.
Enrico Alfano, “Erricone”, scontò quasi per intero la sua condanna, dato che fu
messa in libertà dal Penitenziario di Volterra solo nel 1934, dopo 27 anni di
carcere a seguito di un’amnistia.
Antonietta Longo
Il cadavere di Antonietta Longo venne ritrovato casualmente il 10 luglio 1955
da Antonio Solazzi e Luigi Barboni sul
Lago Albano. I due, inizialmente
spaventati dal ritrovamento, avvisarono le forze dell'ordine solo il giorno 12
luglio. I carabinieri accertarono che la donna, era stata accoltellata più
volte all'addome e alla schiena e infine decapitata. I carabinieri accertarono
che Antonietta Longo fu decapitata nello stesso punto in cui fu trovato il suo
corpo, perché il terreno sottostante era impregnato di sangue. La testa non
venne mai ritrovata. Secondo il medico legale che effettuò l'autopsia sul corpo
della giovane, suppose che l'assassino fosse un medico.
L'autopsia inoltre
rilevò un aborto recente. Un elemento fondamentale per l'inchiesta fu
l'orologio trovato al polso della donna. Una ricerca svolta presso gli orafi
di
Roma identificò il cadavere come appartenente ad Antonietta Longo. I
carabinieri tentarono di ricostruire le vicende relative agli ultimi giorni di
vita della donna. Scoprirono così che pochi mesi prima aveva ritirato tutti i
suoi risparmi, aveva chiesto un mese di permesso ai suoi datori di lavoro.
Dagli ultimi movimenti accertati, risultò che Antonietta Longo era uscita dalla
sua abitazione il mattino del 1º luglio. La sua ultima traccia è una lettera ai
suoi familiari, spedita la mattina del 5 luglio. Questo particolare, unito alla
data del quotidiano usato per coprire il cadavere, fece concludere agli
investigatori che la donna era stata uccisa quel giorno stesso. Furono eseguite
ulteriori indagini sulla vita della donna. Furono inoltre ritrovate presso il
deposito della stazione Termini le valigie preparate dalla donna. Il caso fu
presto archiviato senza processo e non si riuscì a stabilire mai né il movente
né l'assassino.
Cesare Lombroso
Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835, al termine dei suoi studi egli
sviluppò una teoria secondo la quale i criminali nascono tali. Ovvero che il
problema sta nel cervello, nel cranio e che si può notare anche da alcune
caratteristiche del viso. Difatti esso aprì quanti più crani possibili per
dimostrare la sua teoria. Però, l’idea che la criminalità sia connessa a
particolari caratteristiche fisiche, è molto antica: la troviamo già, ad
esempio, nell’Iliade di Omero.
Quindi, non solo, il criminale, che è criminale, ce lo ha scritto in faccia:
secondo Lombroso, infatti, alcune caratteristiche erano alla base del
comportamento del deviante, del delinquente. Lombroso studiò soprattutto i
volti. Secondo lui grandi mandibole, canini forti, incisivi mediani molto
sviluppati, zigomi sporgenti, arcate sopraccigliari prominenti, naso
schiacciato e prognatismo erano sintomo di una qualche devianza.
In sostanza il delinquente portava i segni della sua “malattia” scritti in
faccia, visibili a tutti. Al di là del volto, studiò, come detto, il cranio e
fu un florilegio di misurazioni. Nacque quindi la craniometria. Le ossa vennero
misurate e Lombroso stabilì ciò che era normale e ciò che invece non lo era.
Vizzardelli
William Vizzardelli, aveva 14 anni quando commise il primo omicidio. Il 4
gennaio 1937 uccise a colpi di scure Don Belardinelli, direttore del collegio
“Casa delle missioni”, dove il ragazzo frequentava la scuola di avviamento. La
seconda vittima fu il portinaio del collegio, Don Andrea Bruno, testimone
involontario. La terza e quarta vittima furono il baribere Livio Delfini e
l’autista Bruno Veneziani, i cui corpi furono rinvenuti in campagna la mattina
del 20 agosto 1938. I due erano stati uccisi con due pistole diverse. La quinta
vittima fu il guardiano dell’ufficio del registro, Giuseppe Bernardini. Il
manico della scure era imbrattato da una sostanza zuccherina. Dalla cassaforte
dell’ufficio, mancava la somma di 12 949 lire. Gli inquirenti convocarono il
direttore dell’ufficio del registro, Dottor Guido Vizzaredelli, padre di
William, che la sera prima aveva denunciato ai carabinieri la scomparsa del
figlio sedicenne, poi ritirata dopo che il ragazzo aveva fatto rientro a casa.
Ai carabinieri spiegò che il figlio era appassionato di chimica e spesso
passava il tempo a distillare alcolici gli inquirenti si insospettirono e
iniziarono ad indagare su William. Prova schiacciante furono le chiavi
insanguinate della cassaforte nelle sue tasche. Il giovane confessò, con
impressionante freddezza, tutti i suoi delitti. Il furto dalla cassaforte
sarebbe dovuto servire per espatriare in America. Il processo si aprì a Genova
il 19 settembre 1940. Giudicato colpevole dei cinque delitti e capace di
intendere e di volere, a salvarlo dalla pena di morte fu la sua giovane età. Il
23 settembre successivo fu condannato all’ergastolo, condanna confermata in
appello con sentenza del gennaio 1941.
Sabatini
Alle ore 8:30 del 7 maggio 1955 il commerciante Eraldo Sabatini fu ucciso nel
suo negozio di calzature sulla circonvallazione Casilina, a Roma. Ad ucciderlo,
con alcuni colpi di pistola, fu la figlia Adriana Sabatini di 26 anni, commessa
in una drogheria, dopo una breve e accesa discussione. Unica testimone la
compagna dell’uomo, Agnese D.
Il movente lo svelerà la stessa Adriana, arrestata subito dopo il parricidio:
l’odio che provava per il padre che aveva smesso di occuparsi della famiglia
per amore dell’altra donna.
La Corte d’Assise di Roma riconobbe Adriana Sabatini colpevole di omicidio
volontario aggravato e la condannò a 21 anni di reclusione, pena ridotta a 14
anni per infermità psichica.
Dichiarata persona socialmente pericolosa, la Corte ne dispose il ricovero in
casa di cura e custodia per un periodo di tre anni.
Tittone
Il diciottenne P.Tittone uccise i propri nonni, per motivi di interesse,
colpendoli a morte con una roncola. Il duplice omicidio si verificò a
Sassoferrato il 19 aprile 1947.
Pasolini
Pier Paolo Pasolini è stato un poeta, scrittore, regista, sceneggiatore,
drammaturgo, giornalista ed editorialista italiano.
Nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975 Pasolini fu ucciso in maniera
brutale: percosso e travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia
dell'Idroscalo di Ostia. Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna
alle 6 e 30 circa. L'omicidio fu commesso da Pino Pelosi di Guidonia, fermato
la notte stessa alla guida dell'auto del Pasolini. Pelosi affermò di essere
stato avvicinato da Pasolini nelle vicinanze della Stazione Termini e da questi
invitato sulla sua vettura, dietro la promessa di un compenso in denaro. Dopo
una cena offerta dallo scrittore, i due si diressero alla periferia di Ostia.
La tragedia, secondo la sentenza, scaturì a seguito di una lite per pretese
sessuali di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante. Il giovane venne
minacciato con un bastone del quale si impadronì per percuotere Pasolini fino a
farlo stramazzare al suolo. Quindi Pelosi salì a bordo dell'auto dello
scrittore e travolse più volte con le ruote il corpo. Pelosi venne condannato
in primo grado per omicidio volontario in concorso con ignoti e il 4 dicembre
del 1976 con la sentenza della Corte d'Appello, riformava parzialmente la
sentenza di primo grado. Il 4 maggio 2010 il p.m. Diana de Martino deciderà,
sull’accoglimento dell’istanza, di riaprire il caso della morte di Pierpaolo
Pasolini. Di recente l’uomo, che ha già scontato una pena definitiva per
l’omicidio, ha cambiato nuovamente versione, dichiarando di non essere stato
lui ad uccidere Pasolini.
La classe 3B ringrazia :
Il Dirigente Scolastico, Prof.
Claudio Dore, per
l’opportunità e la fiducia che ci ha concesso.
Il Museo Criminologico, per averci accolto con
simpatia e disponibilità e per l’estrema cura del
luogo e dei dettagli.
La Prof.ssa
Maria Cosentino, p e r a v e r c i
accompagnato e preparato per questa esperienza,
per la bella giornata passata insieme e per i mille
sorrisi.