Cosa chiedereste al vostro idolo defunto?

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Cosa chiedereste al vostro idolo defunto? Le interviste di
tredici scrittori in un libro
Pubblicato: 30/10/2015 11:53 CET Aggiornato: 30/10/2015 11:53 CET
Tutti parliamo con i morti e nei modi più diversi, ad esempio quando sogniamo ad occhi aperti
delle conversazioni impossibili oppure quando ci rivolgiamo ai cari defunti semplicemente per
chiedere conforto e consiglio. "Vogliamo che i morti ci diano informazioni, che ci facciano
rivelazioni, che ci dicano qualcosa che non sapevano quando erano vivi", spiega il giornalista e
scrittore Dan Crowe nel suo nuovo libro, Interviste con il morto: scrittori famosi
incontrano grandi icone del passato, appena pubblicato in Italia dall'editore romano
66thand2nd nella traduzione di Stella Sacchini.
"Vogliamo convincerci che loro sappiano più di quanto sappiamo noi, che possano aiutarci e
consigliarci, aggiunge Crowe, cofondatore e coeditore della rivista "Port". "Vogliamo credere
che dopo la morte sia ancora possibile parlare, lo vogliamo più di ogni altra cosa, più dell'amore e del calore umano". I morti ­ ne è
convinto, e non solo lui ­ non muoiono mai davvero perché questo può accadere solo quando tutti noi non ci saremo più: sono
semplicemente fuori dal tempo, "il tempo che abitiamo noi".
Dato il presupposto che da sempre l'uomo vuole conoscere quello che non può, Crowe ha raccolto nel suo libro ben tredici interviste
impossibili, tredici conversazioni semiserie tra scrittori contemporanei di varia provenienza (troverete, non proprio in quest'ordine, sei
americani, un canadese, tre inglesi, due scozzesi e un olandese cresciuto in Australia) con altrettanti personaggi del passato. Il risultato è
stupefacente. Ognuno di loro, più libero che mai, si lascia andare a dichiarazioni di ogni tipo, senza alcuna censura, perché oramai, nel
"posto" dove sono (nessuno di loro parla di Paradiso, di Inferno o di una via di mezzo), non devono rendere conto a nessuno e guardano gli
uomini sulla terra dall'alto, "ma non sono affatto su una nuvola galleggiante", come precisa Jimi Hendrix allo scrittore americano Rick
Moody.
Il più grande chitarrista di tutti i tempi gli confida che "lassù", ha tutto il tempo del mondo, perché nessuno è soggetto a vincoli di tempo. Ci
tiene a ricordare che la sua musica "è espressione di tutti i colori" mentre quella di oggi "ha troppe Britney" e che lì si sta bene, ma "non c'è
nessun signore vestito di bianco con la barba". È critico in tal senso anche il Marchese de Sade che alla regista, sceneggiatrice e scrittrice
americana Rebecca Miller dirà che "l'invenzione di Dio è l'unica cosa che proprio non si può perdonare agli uomini". In quel posto, lui che
è il simbolo di libertà personale per alcuni, come di mostruosi eccessi per altri, sta complessivamente bene, anche se ha problemi con le
emorroidi. Pensa a sua moglie, Renée­Pélagie, con cui ha condiviso la vita: "era l'assistente delle mie fantasie, il mio angelo ­ confida alla
Miller ­ "L'ho elevata al di sopra delle altre donne, al di sopra della legge. Per un periodo siamo stati due semidei. La nostra intimità, però,
non è materia di discussione". Dalla moglie a un discorso sulle donne il passo è breve: "sono dotate di una predilezione per i piacere carnali
molto più violenta della nostra, voglio leggi che permettano loro di concedersi a quanti uomini ritengono opportuno". De Sade non nasconde
di provare piacere "nel frustare e nell'essere frustato", "un'umiliazione che diventa una squisita lusinga per l'orgoglio", ma nell'aldilà, la cosa
che brama di più è un pollo arrosto (sì, avete letto bene).
In quel mondo dell'aldilà c'è anche Andy Warhol, intervistato dallo scrittore canadese Douglas Coupland, ma l'artista simbolo della pop
art non lo ama perché "non è un posto molto esclusivo". Tutti possono avervi accesso, non come a Bloomingdale's, "ma l'unica cosa certa è
che lì hanno un correttore capace di esaltare la tonalità della pelle". "Nessuno vuole sembrare morto, si ha bisogno di tutto l'aiuto possibile,
anche quassù", gli spiega. Parlano poi dei prezzi stellari che hanno oggi le sue opere: "il mio cervello non riesce a gestire numeri così alti, è
una cosa troppo astratta, parliamo d'altro". Di cosa, dunque? Di cinema, di Leonardo Di Caprio, ("dovrebbe cambiarsi nome"), dei maschi
che si rifanno gli occhi ("il risultato non è mai buono"), di David Bowie e di Mickey Rourke, di Google, di You Tube e di E­bay, dove si può
acquistare di tutto ("che invidia"!) e dell'ultimo arrivato nell'aldilà, Calvin Klein, un altro di cui (s)parlare. O forse no?
Si discute di arte, ma non solo, anche nell'intervista fatta dallo scrittore Michel Faber a Marcel Duchamp, che gli spiega subito di non
essere mai stato il padre di nulla, perché "l'arte non è questione di eredità, ma di intuizioni improvvise". Se potesse collezionare le opere di
un artista moderno, quale sceglierebbe? Sicuramente quelle Jack Vettriano, senza alcun dubbio, gli risponde l'artista. "La sua tecnica non mi
interessa. Il bello del suo lavoro è che i personaggi dei suoi quadri sanno come vestirsi, le donne indossano calze di seta come dio comanda,
gli uomini indossano pantaloni eleganti, camicie inamidate, abiti decenti, perfino cappelli".
Una trovata originale, quella di Crowe che in queste interviste impossibili, in questi testi corali in cui ha una doppia voce ­ quella
dell'intervistatore e quella dell'intervistato ­ non potrà che stupirvi. Ironiche e profonde, delle volte hanno domande più lunghe delle risposte
­ come nel caso Geoof Dyer con Nietzsche, che parlano di filosofia sotto l'effetto di sostanze stupefacenti ­ mentre altre volte ­ ad esempio
quando Cynthia Ozick incontra Henry James e lui difende la sua lingua, l'inglese, "sempre più rovinato dall'americano, che è volgare" ­
la risata avrà il sopravvento e sarà per voi impossibile trattenervi. In ogni caso, sono fatte così bene da sembrare vere. Almeno una, ma anche
di più, avremmo voluta farla anche noi. Questo è sicuro.
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