Intervista a Napoleone

Transcript

Intervista a Napoleone
Intervista a Napoleone
I: Quest’oggi vi proporremo un’intervista alquanto speciale con ospite niente
meno che l’ Imperatore dei Francesi, Napoleone Bonaparte.
Prima di tutto vorremmo ringraziarla per essere venuto fin qui, davvero grazie
per aver accettato la nostra umile richiesta.
N: Oh beh non c’è bisogno di ringraziarmi, non è che avessi chissà quali grandi
alternative a quest’ intervista. Ormai non si sa più come passare il tempo,
anche perché devo dire che non mi trovo granché bene nell’aldilà. In fondo lì
oltre ad adeguarmi alle leggi preesistenti, ho dovuto anche assoggettarmi ad
un’autorità diversa dalla mia, che alcuni dicono essere addirittura superiore.
I: Allora approfitterò subito della sua disponibilità. Prima di tutto vorrei farle
una domanda sulla sua infanzia. Entrambi i suoi genitori erano italiani (essendo
la Corsica a quel tempo ancora nei confini del regno italiano); ha avuto
problemi da piccolo ad inserirsi nella società francese?
N: Da piccolo ho sempre odiato la Francia; fu solo per volontà di mio padre se
entrai alla scuola di Brienne-le-Château nel 1779, subito dopo che i genovesi
cedettero la Corsica ai francesi. Era un ambiente totalmente diverso rispetto a
quello a cui ero abituato. Quasi tutti i ragazzi mi deridevano per il fatto di
essere straniero, oltre che per il mio aspetto fisico alquanto gracile. L’unica
cosa che facevo era studiare e andavo anche piuttosto bene in matematica. Mi
ricordo però che un giorno, dopo alcuni scherzi da parte dei miei compagni di
classe, mi alzai e urlai contro di loro "Aspettate che sia grande: voglio far tanto
male a voi francesi!". Adesso, ripensandoci, mi viene da ridere, però devo dire
che sono arrivato piuttosto in alto per un povero straniero di piccola borghesia.
I: A quel tempo i suoi compagni si saranno mangiati le mani vedendo cosa è
diventato. Invece per quanto riguarda la Rivoluzione Francese, cosa ne pensa?
N: A dir la verità durante la Rivoluzione mi rifugiai in Corsica, evitando così di
ritrovarmi nel fuoco della battaglia in Francia. Anche perché sarei potuto
morire prematuramente e non sarei riuscito a portare a compimento i piani che
già da allora aleggiavano nella mia mente. Una volta terminata la Rivoluzione,
venni richiamato in Francia, ma non risposi al richiamo e per questo fui
considerato un disertore della Patria. Però i miei parenti mi convinsero a
tornare a Parigi. Lì riuscii ad ottenere un colloquio col Ministro della Guerra e,
grazie alla mia abilità di persuasione, questi, oltre a reintegrarmi nell’esercito,
mi offrì anche una prestigiosa promozione.
I:Potremmo dire che ha sempre avuto la stoffa da diplomatico. Dal punto di
vista militare, invece, qual è stata la sua prima vittoria memorabile?
N: Da un certo punto di vista sarebbe la battaglia avvenuta a Tolone. Io e la
mia famiglia ci eravamo rifugiati lì dopo che i miei genitori avevano infine
deciso di appoggiare la causa francese nella Rivoluzione della Corsica ed erano
quindi stati accusati di tradimento dai Corsi. In quel periodo la città era
oppressa da alcuni monarchici e soprattutto dagli inglesi; però io, insieme alle
mie truppe ovviamente, riuscii a liberare la città e il suo porto. Dopo
quest’avvenimento fu tutto un susseguirsi di vittorie. Ma in realtà le mie
vittorie più memorabili furono quelle avvenute in Italia, quando, con solo
38.000 uomini al seguito, sconfissi le truppe austriache.
I: Oltre ad essere un ottimo condottiero e diplomatico, fu anche scrittore,
giusto? Qual è l’opera, della sua collezione, che ritiene più importante?
N: Ovviamente il “Codice di Napoleone”. Ho sempre pensato che la classe
sociale che dovesse essere al potere fosse quella borghese, anche perché
ormai i nobili erano solo dei pover’uomini che si atteggiavano ad esseri
superiori per via del loro fantomatico passato. Libertè, Egalitè e Fraternitè
(Libertà, Uguaglianza e Fratellanza) questi sono i tre diritti alla base della
Rivoluzione e anche della mia idea di un nuovo Stato. Invece, per quanto
riguarda l’ambito della famiglia, naturalmente a governare doveva essere il
padre, che aveva completo potere sia sui figli che sulla moglie.
Se non sbaglio ancora oggi il vostro codice civile è basato su questo, anche se
con alcune differenze, ma che tra qualche anno saranno cancellate, visto come
sta arretrando la società del vostro tempo.
I: Il problema è che ci ritroviamo con una classe politica alquanto inetta al
governo.
Sorvoliamo però sui problemi attuali, in fondo questa è un’intervista sul
passato. Abbiamo parlato anche troppo delle vostre vittorie, adesso sarebbe
interessante sentire qualche vostra sconfitta come…mhh…ecco sì! La campagna
in Russia! Perché ha continuato a combattere ed andare avanti, anche se stava
già perdendo? Magari avrebbe potuto ottenere perdite minori con una ritirata
immediata.
N: Quella è stata una delle sconfitte (che sono pochissime) più pesanti della
mia vita. Effettivamente avrei potuto fare dietrofront e tornare in patria,
cercando poi di escogitare un nuovo piano; purtroppo però il mio orgoglio non
me l’avrebbe mai permesso, anche perché ormai ero accecato dalle mie
continue vittorie. Era impensabile per me poter perdere e proprio per questo
non sono riuscito a comprendere subito la strategia degli avversari russi;
quando la capii, era ormai troppo tardi. Durante la ritirata l’esercito venne
distrutto, oltre che dai soldati avversari, anche dal freddo; infatti quando
ordinai la ritirata era già l’inizio dell’inverno e l’inverno russo è completamente
diverso da quello dell’Europa Occidentale. Riuscii comunque a tornare in patria
con circa 18.000 dei miei (eravamo partiti in 700.000). Qui però venni a
sapere che il generale Malet aveva messo in giro una voce sulla mia presunta
morte e tentato anche un colpo di Stato. Conscio quindi del suo tradimento,
cercai di reclutare quanti più uomini possibili (arrivammo a 400.000), ma i vari
Stati nemici, essendo venuti a conoscenza della mia terribile sconfitta in
Russia, si allearono tra di loro e riuscirono a sconfiggermi. Questo era l’unico
modo con cui potevano battermi. Infatti se avessero continuato a combattere
singolarmente contro di me, avrei potuto facilmente liberarmi di loro uno ad
uno, ma una volta uniti fu impossibile per me riuscire a sopravvivere.
I: E quindi venne esiliato. Deve ammettere che sono stati piuttosto clementi
con lei, in fondo visto il periodo in cui si trovava avrebbero potuto
semplicemente decidere di giustiziarla, però l’hanno mandata sull’isola d’Elba..
N: Clementi??? L’esilio per me è stata un pena da sopportare ben più grande
della morte. Prima di tutto rifiutarono la mia abdicazione in favore di mio figlio,
il futuro Imperatore della Francia, che divenne quindi un ragazzo come tutti gli
altri. Cercai anche di uccidermi con il veleno, ma sfortunatamente il mio corpo,
ormai temprato dalle battaglie, non mi permise di morire in questo modo.
Clementemente, come dice lei, mi lasciarono il titolo di Imperatore…così passai
dall’essere Imperatore di quasi tutta l’Europa, ad Imperatore dell’Isola d’Elba,
un bel passo avanti. Ovviamente non potevo rimanere su quell’isoletta da due
soldi, dovevo concludere il mio piano di conquista, anche se in questo caso
bisognerebbe dire ricominciare, visto che avevo perso quasi tutto. Grazie alle
mie doti di stratega riuscii a riprendere il potere e a riportare la mia autorità
sulla Francia e sui francesi, che ovviamente mi accolsero a braccia aperte.
Chiesi soltanto una cosa ai miei nemici, ovvero di poter mantenere il trono di
Francia, ma loro non mi ascoltarono, così ricominciò la guerra. Per cento giorni
riuscii a mantenere il potere, alla fine però dovetti arrendermi alle forze
nemiche ormai superiori alle mie. L’unica condizione che avevo chiesto era
quella di poter essere esiliato o in Inghilterra o in America ma, dopo aver finto
di aver accettato la mia richiesta, il comandante della nave su cui mi trovavo
mi abbandonò su un’altra isola, quella di Sant’Elena. Questa volta l’esilio fu
anche peggio, infatti mi trovavo su un’isoletta sperduta nell’Oceano Atlantico,
lontano da tutto e da tutti, a dover subire le angherie del mio presunto
carceriere (Hudson Lowe) e di quelle bestie dei suoi compatrioti che vengono
definiti inglesi. Qui finì la mia vita, alcuni dicono per tumore allo stomaco, altri
per avvelenamento, ma non è importante la causa della mia morte, quanto più
il fatto che non sono mai riuscito a portare a compimento il mio obiettivo, tutto
per colpa degli Inglesi e dei loro alleati…
I: Chissà magari adesso, se non avesse perso a Waterloo, ci ritroveremmo tutti
uniti sotto un’unica bandiera. Purtroppo il nostro tempo a disposizione è finito.
Grazie ancora per essere venuto qui a parlare con noi a ricordare il suo passato
e speriamo che quest’intervista sia letta e compresa. È stato un piacere parlare
con lei. Grazie e arrivederci.
N: Lo stesso vale per me. A presto.
Francesca Palermo
IV C
Liceo Scientifico “Enrico Fermi”