fine primo tempo - Edizioni Helicon
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Nicola Emser FINE PRIMO TEMPO Edizioni Helicon Introduzione Ci siamo! Sono anni che dico che mi piacerebbe scrivere un qualcosa tipo “I miei primi 40 anni” e ormai, visto che non manca più tanto, voglio proprio provare. Al massimo lo farò leggere a due o tre persone o poco più. Non sono mai stato un grande appassionato di letture. Fatta eccezione per quei tre o quattro fumetti che compro tutti i mesi, i libri che ho letto nella mia vita, esclusi naturalmente quelli obbligatori che ti costringevano a leggere quando andavi a scuola, si contano sulle dita di una… diciamo due mani, vai! Sono un fan di Radio 105 e due Dj, per la precisione Marco Galli e Marco Mazzoli, hanno scritto un libro ciascuno. Li ho letti entrambi e devo dire che, anche se avevo avuto qualche dubbio sul fatto di scrivere o meno questo mio famoso “racconto”, loro lo hanno definitivamente fugato. Hanno raccontato la loro vita con semplicità e con il cuore in mano ed è quello che spero di riuscire a fare anche io. Il problema rimane sempre da dove e come cominciare per non risultare monotono, noioso o, peggio ancora, scontato. In questo mio “libro”, se così poi lo potrò chiamare, vorrei raccontare un po’ quella che è stata la mia vita fino ad oggi, con particolare attenzione a quello che l’ha segnata sia positivamente che negativamente, non mancando comunque di descrivere anche aneddoti che, spero, daranno un po’ di “colore”. 7 CAPITOLO 1 Presentazione Sono nato il 21/12/1973 ad Umbertide, un paesino dell’Umbria in provincia di Perugia. Sono vissuto fino all’età di due anni a Sansepolcro, fino a 27 anni ad Arezzo, dal 2001 al 2004 a Siena e dal 2005 fino ad oggi ad Asciano, in provincia di Siena. Questo è un rapido excursus dei miei spostamenti. A questo punto è doverosa una descrizione della mia famiglia: mio padre è un “crucco” termine dispregiativo con il quale vengono appellati i Tedeschi, mentre mia madre è italiana, originaria di Sansepolcro. Lì si sono conosciuti nell’estate del 1972 quando lui, per lavoro, è capitato in quel paese; mio padre si è innamorato subito di questa “tipica donna italiana”, così la definiva lui, con i capelli lunghi e neri; naturalmente non parlava una parola di tedesco e, visto che lui all’inizio non parlava una parola di italiano, vi lascio immaginare che dialoghi. Mio padre mi racconta sempre del primo incontro avuto con suo suocero, il nonno Beppe: un pezzo d’uomo di un metro e sessanta forse, 50 chili di peso, vestiti compresi, che in tempo di guerra era stato prigioniero indovinate di chi?, ma dei tedeschi naturalmente e che, proprio in virtù di questo, aveva sempre detto a mia madre: “Portami chiunque in casa, ma non un tedesco!” 9 Un pomeriggio di settembre, nonostante tutto, mio padre entra in casa e si trova questo “gigante” seduto ad un capo del tavolo con la sua inseparabile sigaretta in una mano ed un bicchiere di vino mezzo pieno nell’altra, che gli dice: “Siediti!...chiariamo subito una cosa, sei entrato dalla porta ma se non ti comporti bene è da questa finestra (indica quella che si trovava alle sue spalle) che uscirai!” L’importante è capirsi subito, dico io… era un po’ di scena che doveva giustamente fare; non dimentichiamoci che erano gli inizi degli anni ’70 ed uno straniero, un tedesco poi, poteva giustamente non essere ben visto. Sta di fatto comunque che quel primo incontro fu l’inizio di un ottimo rapporto di amicizia che durò purtroppo, a causa del vizio di mio nonno per la sua inseparabile “amica bionda”, solo tre anni, perché sfortunatamente morì nel settembre del 1975 in seguito ad un male incurabile. Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla coppia babbo / mamma. Non si capiscono bene visto l’evidente problema della lingua, quindi di rapporto serio e matrimonio non se ne parla per un bel po’! Ed invece il giorno di San Silvestro di quello stesso anno, il 1972, si sposarono a Sansepolcro, dopo nemmeno sei mesi di fidanzamento. Dal nord vennero gli “Unni” per partecipare al matrimonio del primogenito. Se mio nonno Beppe non sopportava i Tedeschi posso affermare con altrettanta certezza che, inizialmente, nemmeno nonno Karl faceva i salti mortali all’idea che suo figlio si sposasse con un’Italiana. Ma quando si è giovani, quello che pensano i genitori passa sempre, o quasi, in secondo piano ed i miei genitori si sposarono in barba a tutto e tutti. Devo dire che hanno fatto bene visto che sono passati quaranta anni e sono ancora insieme, con alti e bassi naturalmente, ma sono ancora insieme. Dopo il matrimonio partirono per la Germania, per ben sei mesi. Periodo che da mia mamma viene ricordato come fonte di un grande trauma; dice sempre che se ne stava in camera tutto il giorno ed usciva soltanto quando mio nonno pronunciava l’unica parola di italiano che aveva imparato “manciare!”, che stava naturalmente a 10 significare “è pronto da mangiare”. Nel giugno del 1973 tornarono in Italia e da allora la Germania è diventato solo un luogo sempre agognato da mio padre dove però andavamo solo ogni tanto a trovare i parenti. Lo dico sempre a mio babbo: in quegli anni in cui tutti gli Italiani emigravano per trovare fortuna in Europa perché in Italia, forse, non si stava poi così tanto bene, lui fu l’unico a lasciare il suo paese per trasferirsi al lavoro qui da noi…mah! Comunque, visto che ormai sono più di quaranta anni che abita ad Arezzo, tanto male non si deve esser trovato. Questo fatto di essere sangue misto è una cosa che mi ha sempre fatto piacere. Mi sentivo un po’ diverso dagli altri, con questo cognome che quasi nessuno riusciva a pronunciare, figuriamoci poi a scriverlo. Oggi non è assolutamente un problema, è diventata quasi la normalità, ormai si sentono più nomi e cognomi stranieri che italiani. 11 CAPITOLO 2 L’infanzia Dopo i miei primi due anni di vita passati in casa con i nonni a Sansepolcro, all’inizio del ’76 ci trasferimmo ad Arezzo. Lì venne fatto il tentativo “Asilo”. È durato, credo, più o meno una settimana e poi c’è stata messa una pietra sopra in maniera definitiva. Non ricordo di averne sentito particolarmente la mancanza e credo di essere cresciuto senza particolari problemi di adattamento anche successivamente, quando è iniziata la scuola. La scuola… già, argomento fondamentale nella vita di un individuo, che deve essere vissuto in ogni sua sfaccettatura. Settembre 1979, primo giorno di scuola: ricordo una bella giornata dal punto di vista meteorologico, per il resto ho un totale buco nero… ah le elementari, anni di spensieratezza con, allora, un’unica maestra che ti seguiva per sole quattro ore al giorno, per sei giorni alla settimana e ti accompagnava per tutta la durata dei cinque anni. Oggi credo che le elementari siano diventate solo un mezzo per dare lavoro a più insegnanti possibile, qualificati fino ad un certo punto. Non ti insegnano quello che serve veramente sapere! Io credo fermamente che ci sia un momento per tutto nella vita e che 12 precorrere i tempi non sia sempre una cosa positiva. Il “maestro/a”, come lo intendo io, è sempre stato una figura di riferimento per un bambino: quando eravamo piccoli era la persona, dopo i genitori, in alcuni casi, con la quale trascorrevamo la maggior parte del tempo. Conosceva i tuoi genitori e ti dava consigli. Ti rivolgevi a lui se avevi dei problemi e cercava di capire che tipo di bambino aveva di fronte, non eri solo il Pinco Pallino di turno al quale dare un giudizio scolastico sulla base della preparazione nella sua materia senza entrare nel merito della situazione personale e cercare di conoscere il bambino e capire, magari, perché era in un determinato modo. Lo so che sembra stia parlando per esperienza personale, che abbia sofferto della situazione che sto descrivendo, ma non è così. Alle elementari ero uno di quei bambini anonimi che per fortuna apprendeva abbastanza velocemente senza aver bisogno di studiare troppo…ero bravino insomma, solo un po’ troppo “agitato” se così mi posso definire. La maestra diceva sempre: “Questo bambino non sta fermo un attimo, sembra abbia l’argento vivo addosso!”. È stato durante le scuole elementari che ho fatto le prime amicizie, ed ho conosciuto il mio più vecchio amico, l’omonimo Nicola, il Gerva. Sono passati quasi 34 anni ed ancora oggi, anche se per vari motivi, dovuti a scelte diverse di vita, sia familiari che geografiche, non ci vediamo praticamente mai, ogni 21 dicembre, giorno del Mio compleanno, ricevo la sua telefonata per gli auguri, così come ogni 21 giugno, giorno del Suo compleanno, sono io a chiamarlo per gli auguri. Con questo amico abbiamo condiviso anche i successivi tre anni di medie inferiori, scuola ben diversa da quella che avevo fino ad allora frequentato; una scuola che cominciava a prendere una piega più formale: tante materie diverse, un sacco di libri e professori e soprattutto mattinate più lunghe che a volte duravano anche cinque interminabili ore. Esperienza comunque tutto sommato positiva e forse anche costruttiva, arricchita, durante l’ultimo anno, il 1986, da 13 un viaggio di una quindicina di giorni oltr’Alpe, e per la precisione a Saint Priest, paesino nel sud della Francia, vicino a Lione. Eh sì, la mia classe, la sezione D della scuola media IV novembre, che aveva come lingua straniera il Francese, aveva deciso di fare un gemellaggio con un istituto scolastico di questo caratteristico paesino. Furono quindici divertenti giorni; per la prima volta lontano da casa e dalla famiglia per un periodo così lungo, una bella esperienza che ho condiviso con alcuni dei miei compagni di scuola. A pensarci bene, da padre che sono oggi, non so se ce la manderei mia figlia a 13 anni a fare il gemellaggio…meglio non pensarci ora, non ha nemmeno sei anni! Quando partii per quel viaggio avevo anche un’amichetta, se così si può chiamare, una ragazzina mia coetanea della quale peraltro non ricordo nemmeno il nome, che mi piaceva e alla quale piacevo. Tengo a precisare che a quei tempi io ero molto “dormiente” e il rapporto con l’altro sesso si limitava per me a tenersi per mano, abbracciarsi un pochino e magari qualche bacetto sulle labbra, ma niente di più, tanto che preferivo fare casino con gli amici e fumare di nascosto le prime “cicche” della mia vita. Anche quel viaggio è stato condiviso con il mio amico Nicola, che però mi pare non abbia un così bel ricordo di quell’esperienza. Il suo “gemellato”, che si chiamava Cedric ed era uno sfigato, con un nome del genere non poteva essere altrimenti, aveva addirittura una sorella zoppa che, a detta del mio amico, era anche un po’ inquietante. Verso la fine della terza media facemmo anche la prima gita scolastica, della durata di due giorni, nella città di Torino, città nella quale sono ritornato altre due volte nei successivi anni di scuola con altre due diverse classi. Per noi veterani che avevamo fatto il gemellaggio, la notte passata in albergo era uno scherzo da ragazzi, ma fu comunque una cosa divertente: tutti insieme a fare casino, a giocare a cuscinate, qualcuno, abbastanza precoce per l’epoca, forse faceva anche altre “cose”, non so se mi spiego. 14 Finalmente nel 1987 avevo finito le scuole dell’obbligo, con un unico rammarico: ero passato agli esami di terza media con “Distinto”, voto che non aveva né capo né coda. Dopo tre anni durante i quali avevo collezionato “Ottimo”, al momento della promozione mi ero fatto fregare sul filo di lana… prima e forse ultima volta che mi sono fatto le seghe mentali su un voto preso sui banchi di scuola. 15