Vertebrati fossili del FVG_estratto

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Vertebrati fossili del FVG_estratto
Unità litostratigrafiche del Carnico lungo il Rio Pontuz (Dogna)
Fig. 76 - Suddivisione cronostratigrafica e Sottozone
ad Ammonoidi del Carnico, con la posizione dei principali siti friulani a vertebrati.
Anche se il riferimento alle Alpi Carniche
era sbagliato, la vicina Carnia è realmente
ricca di rocce d’età “carnica” e merita dunque l’onore del nome.
La geologia del Carnico friulano è piuttosto complessa e variabile da zona a zona. I
problemi di correlazione stratigrafica tra
affioramenti che si trovano anche solo 15
km uno dall’altro sono tutt’altro che risolti,
come evidenziano le diverse denominazioni
di unità litostratigrafiche probabilmente
coeve ed originate in ambienti soltanto in
parte diversi tra loro. Tuttavia, è proprio
questa variabilità geologica ed ambientale
che rende il Carnico così interessante.
Il passaggio dal Ladinico al Carnico (che
formalmente non è stato ancora definito a
livello globale, quindi non è chiaro dove si
debba porlo) corrisponde nelle zone di piattaforma ad una emersione. Nella parte sommitale della Dolomia dello Sciliar/Schlern si
hanno infatti brecce di emersione e livelli
pedogenizzati (Carnia) e bauxiti (Pontebbano-Tarvisiano). Al di sopra di tali evidenze di
emersione le condizioni di sedimentazione
cambiano e le successioni che troviamo in
Carnia e nel Pontebbano-Tarvisiano sono
nettamente diverse, indice di una marcata
differenziazione ambientale. In Carnia si ha
una potente successione di calcari neri e marne scure (“formazione della Val Degano”) di
ambiente lagunare o marino costiero che
localmente diventa più profondo. Nella Carnia occidentale secondo C. VENTURINI (2006)
nel Carnico inferiore (Iulico) perdurava invece un ambiente di piattaforma carbonatica
con un mare di bassissima profondità (Dolomia Cassiana) e forse talvolta emerso.
Seguono areniti, peliti, marne e calcari di
mare basso e ambiente costiero (Formazione
di Dürrenstein) ed infine peliti rosse continentali seguite da gessi e dolomie formatesi
in una laguna a forte evaporazione (Formazione di Raibl, Tuvalico). La pianura alluvionale che alla fine del Carnico progradava
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VERTEBRATI FOSSILI DEL FRIULI
CARNICO
L’intervallo del tempo geologico denominato “Carnico” merita un’attenzione particolare, non solo perché porta il nome di una
zona del Friuli, la Carnia, ma soprattutto
perché presenta nella regione località fossilifere di grande interesse scientifico.
Il Carnico, come successione di rocce e
intervallo del tempo geologico a sé stante, è
stato istituito dal geologo austriaco Edmund
M. MOJSISOVICS von Mojsvàr nel 1869 sulla
base di affioramenti situati nei pressi del paese di Raibl, allora amministrativamente
incluso nella regione austriaca della Carinzia,
oggi in Friuli come vedremo meglio in seguito. Il nome deriva da un evidente misunderstanding: Mojsisovics aveva considerato
quegli affioramenti (Karnische Stufe) come
parte delle Alpi Carniche, mentre in realtà
appartengono alle Alpi Giulie. Comunque,
continua ad essere in buona compagnia. I
geologi italiani ancor’oggi perseverano nel
ritenere quella zona come parte della Carnia.
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verso il Friuli settentrionale era l’estensione
di una terra emersa posta a meridione in corrispondenza dell’attuale mare Adriatico. La
direzione di scorrimento dei corsi d’acqua
era dunque opposta a quella attuale come
pure a quella che abbiamo visto essere presente nel Tarvisiano alla fine dell’Anisico.
Nel Tarvisiano, al di sopra delle dolomie
chiare di piattaforma del Ladinico (Dolomia
dello Sciliar/Schlern), si ha localmente la
presenza di rocce originate in un bacino
marino relativamente profondo e a circolazione ristretta in cui si depositavano fanghi
carbonatici scuri (Calcare del Predil; Fig.
77). Seguono alternanze di strati calcarei e
marnosi (Formazione di Rio del Lago) e
dolomie (Formazione di Conzen) originate
in ambienti marini di bassa profondità. Tutte
queste unità sono riferibili allo Julico.
B
Fig. 77 - Colonne stratigrafiche del Carnico nelle principali località del Friuli che hanno fornito resti di vertebrati. 1 = Fusea; 2 = Raibl; 3 = Dogna e dintorni; 4 =
Val Dogna (orme); B = bauxiti.
Nei dintorni di Dogna la base della successione carnica è costituita da 30 m di
dolomie scure peri- e subtidali (“dolomie
del Rio di Terra rossa”) che giacciono sulle
dolomie chiare di piattaforma carbonatica e
localmente ricoprono le tasche di bauxite
presenti al tetto dei carbonati di piattaforma
(Fig. 77). Al di sopra si ha, come nel vicino
Tarvisiano, una alternanza di strati calcarei e
marnosi originati in ambiente marino di
moderata profondità (Formazione di Rio del
Lago), cui seguono depositi misti terrigenocarbonatici sempre di mare relativamente
basso (“formazione Dogna”, Formazione di
Tor). Un sottile corpo di piattaforma carbonatica (25 m) separa questi ultimi da un’altra sequenza mista terrigeno-carbonatica di
mare basso o persino di piana tidale talvolta
emersa (Formazione del Monticello; Tuvalico). La piattaforma carbonatica rioccupò la
zona alla fine del Carnico e ci rimase per tutto il resto del Triassico (Dolomia Principale). La parte orientale del Tarvisiano e della
Val Dogna era transizionale agli ambienti di
mare aperto e profondo del vicino Bacino
Sloveno.
Il sito di Fusea (Tolmezzo)
Spostandosi in Carnia da Tolmezzo a Villa
Santina, si nota una parete rocciosa verticale
che sovrasta sulla destra la statale 52 e rappresenta il margine meridionale delle Alpi
Tolmezzine. Le massicce rocce grigie che
formano la parete appartengono alla Dolomia dello Sciliar (o Schlern, dal nome, rispettivamente ladino e germanico di un gruppo di
cime delle Dolomiti), un potente corpo di
piattaforma carbonatica - spesso alcune centinaia di metri - originato da sedimenti deposti in un mare basso e tropicale per lo più
durante il Ladinico. Questa formazione è
costituita da calcari dolomitici e dolomie grigio chiaro, massicce nella parte inferiore,
stratificate nella parte superiore dove al tetto
si osservano pure evidenze geologiche di
Storia della scoperta
Il sito fossilifero fu scoperto da Mario
Cuder di Tolmezzo nel 1974 durante i lavori
per la realizzazione della sua tesina di laurea
presso l’Università di Trieste. Cuder raccolse
Fig. 78 - L’affioramento fossilifero di Fusea.
anche alcuni reperti e li portò alla relatrice, la
professoressa ZUCCHI STOLFA che comprese
l’importanza della scoperta e pubblicò nel
1975 una nota sul reperto più significativo un cranio di placodonte. Nel breve resoconto
scriveva “…quanto è stato finora possibile
recuperare fa supporre che nel posto vi siano
ulteriori reperti per cui la località assume
una importanza paleontologica notevole…”.
Successivamente (1979) la professoressa
diede alle stampe con Giovanni PINNA una
seconda e più accurata descrizione del cranio. La ricerca nel sito e lo studio del materiale però non proseguì, anche perché la professoressa perì tragicamente insieme al marito nel 1986 a causa delle esalazioni di una
stufa a gas. Nel 1990 iniziavo il periodo di
leva obbligatorio come obiettore di coscienza presso il Collegio Salesiano di Tolmezzo,
dove il mio incarico principale era quello di
allestire una piccola esposizione paleontologica permanente. L’interesse del collegio
salesiano per i fossili era dovuto al fatto che
un padre salesiano da poco deceduto, Don
Grigoletto, aveva lasciato alla Casa una note-
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VERTEBRATI FOSSILI DEL FRIULI
emersione. È ricoperta dalla “formazione
della Val Degano” (si veda Fig. 77), un’unità
ancora informale costituita principalmente da
calcari neri ben stratificati con sottili intercalazioni marnose, che rappresenta un relativo
innalzamento del livello marino ed è generalmente datata al Carnico inferiore. Nei pressi
dei paesi di Cludinico, Lauco e Fusea alla
base della “formazione della Val Degano” si
trovano lenti di carbone (antracite) in passato
oggetto di estrazione a scopi industriali. Nella zona tra le basse Val Degano e Valle del
Bût al limite tra le due formazioni si osservano talvolta lenti di di brecce. E’proprio in
corrispondenza di tale limite che si colloca il
sito fossilifero di Fusea, una frazione di Tolmezzo che dalle pendici del M. Diverdalce
sovrasta la confluenza del Torrente Bût nel
Fiume Tagliamento.
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2
G
3
4
F
E
D
C
B
10 cm
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A
*
Fig. 79 - La sezione stratigrafica del sito di Fusea: 1 =
calcare nero; 2 = calcare conchigliare; 3 = conglomerato con clasti carbonatici; 4 = calcare dolomitico chiaro
con lenti di breccia. L’asterisco indica gli strati fossiliferi. Da DALLA VECCHIA (2000c), modificato.
vole collezione di reperti. Mario Cuder era
allora docente di Scienze e Chimica presso il
Collegio e mi condusse nell’ottobre 1990 al
sito di Fusea. Qui recuperammo d’urgenza
una corazza di un placodonte che l’infiltrazione delle radici e gli agenti atmosferici stavano distruggendo ed alcuni reperti ossei già
esposti in superficie. Informato il Museo
Friulano di Storia Naturale della ricchezza
del sito, negli anni successivi le ricerche
sono state portate avanti da questa istituzione in accordo con la Soprintendenza regionale ai Beni Archeologici, Artistici, Architettonici e Storici.
In realtà, alcuni reperti custoditi presso il
Museo Cappellini dell’Università di Bolo-
gna dimostrano che il sito di Fusea era noto
a Michele Gortani già nel 1924, ma l’illustre
geologo e uomo politico carnico si era
accorto solo della presenza di resti vegetali
mal conservati, non delle ossa.
Note geologiche
La sezione stratigrafica della zona presenta alla base i calcari dolomitici e le dolomie
grigio chiaro stratificate della parte più alta
della Dolomia dello Sciliar/Schlern. Ci sono
pure sottili intercalazioni argillose e livelli
di brecce prodotti dall’emersione della piattaforma. Questa parte sommitale del corpo
di piattaforma è ben esposta in periferia al
paese, lungo la sinuosa strada che porta a
Buttea, come pure all’interno di una galleria
scavata per la ricerca del carbone proprio in
corrispondenza del limitato affioramento in
cui sono stati trovati i resti di vertebrati. La
sezione stratigrafica del sito è costituita, dalla base al tetto (Fig. 79), da:
Strato A - calcare dolomitico biancastro,
massiccio e con lenti di breccia. Rappresenta la parte terminale (il tetto) della Dolomia
dello Sciliar/Schlern. Qui si trovano resti
ossei disarticolati di “rettili”, sparsi e molto
rovinati dalla permanenza in un ambiente di
alta energia (agitazione delle acque) e dal
trasporto.
Seguono, dopo una limitata copertura:
Strato B - corpo conglomeratico, spesso 50
centimetri, senza resti macroscopici di vertebrati.
Strato C - strato di calcare nero (spesso in
media 20 cm) con all’interno lenti di breccia, anch’esso povero di resti fossili.
Strato D - livello di conglomerato di spessore variabile da 0 a 5 centimetri, con ciottoli
calcarei che possono raggiungere un diametro equivalente allo spessore dello strato. Al
suo interno si trovano resti di vertebrati, che
sono spesso deformati dalla compressione
operata dai ciottoli durante la litificazione.
Strato E - strato di calcare nero spesso una
Età
Il sito è stato attribuito in un primo tempo
al Carnico medio sulla base delle Note illu-
strative della Carta geologica d’Italia (BRAGA et al., 1971) e del confronto con la stratigrafia delle vicine Dolomiti, considerando
che si trova sopra l’ultima piattaforma carbonatica triassica prima dell’instaurazione di
quella della Dolomia Principale, identificata
erroneamente come la Dolomia Cassiana
(DALLA VECCHIA, 2000c). La ricerca di palinomorfi a fini biostratigrafici ha dato esito
negativo e l’unico foraminifero significativo
rinvenuto - Trocholina cfr. cordevolica - ha
una distribuzione stratigrafica Ladinico
superiore-Carnico inferiore, quindi relativamente ampia. In realtà, i recenti studi sulla
geologia della Val Dogna (situata in linea
d’aria solo 25 chilometri ad oriente di Fusea)
hanno dimostrato che l’ultima spessa piattaforma carbonatica triassica prima dell’instaurazione di quella della Dolomia Principale arriva solo alla parte sommitale del
Ladinico ed è costituita dalla Dolomia dello
Sciliar/Schlern (JADOUL & NICORA, 2000) (si
veda figura 77).
La base della “formazione della Val Degano” nella valle omonima in corrispondenza
del paese di Muina ha fornito il conodonte
Pseudofurnishius murcianus murcianus
(Maria Cristina Perri, com. pers.) che ha una
distribuzione stratigrafica Ladinico sommitale - Carnico inferiore (è presente nella Sottozona ad Aon di figura 76) ed è stato trovato pure in Val Dogna nelle dolomie scure
(“dolomie del Rio di Terrarossa”) depositate
immediatamente sopra la Dolomia dello
Sciliar/Schlern.
Tutto questo suggerisce che l’età del sito
di Fusea sia leggermente più antica di quanto ipotizzato all’inizio e probabilmente l’intervallo fossilifero è posto approssimativamente in corrispondenza del passaggio
Ladinico-Carnico. Considerazioni basate
sulla distribuzione stratigrafica dei “rettili”
costieri e sui confronti con altre associazioni, che tratterò nel proseguio del capitolo,
sono in accordo con questa datazione.
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decina di centimetri, ricco di sostanza organica e con rari clasti millimetrici di calcare
chiaro; è laminato alla base e al tetto, ha
resti di piante nelle lamine superiori. Il tetto
è ricco di resti sparsi di vertebrati, comunque presenti in varie posizioni all’interno di
tutto lo strato insieme a bivalvi “pettinidi”.
Strato F - strato di spessore e caratteristiche
variabili. Si tratta per lo più di un tritume
conchigliare giallastro, costituito soprattutto da grossi frammenti di gasteropodi, con
resti sparsi di vertebrati e clasti arrotondati
millimetrici, ma lateralmente può diventare
una calcarenite più o meno grossolana con
denti di pesce. Nella sua parte superiore può
essere ricco di sostanza organica e assumere un colore grigiastro, con frammenti di
carbone e piccoli gasteropodi interi. È friabile e spesso completamente disfatto dalle
infiltrazioni di acqua e dalle radici delle
piante e dell’erba. Campionando, setacciando e vagliando il suolo originato dal suo
disfacimento e dissoluzione a causa delle
acque debolmente acide, si possono raccogliere denti e altri piccoli frammenti ossei
che, essendo fosfatici, non sono stati dissolti dall’acido.
Intervallo G - 45 centimetri di calcari neri in
strati dai giunti ondulati. Si tratta della base
della potente successione di calcari neri della “formazione della Val Degano”.
Lungo il Rio Luchiat, solo un centinaio di
metri più a nord-est dell’affioramento fossilifero, i calcari neri poggiano direttamente
sulle dolomie chiare e proprio sopra il passaggio si trovano uno o più livelli di carbone, oggetto in passato di sfruttamento minerario (l’entrata delle gallerie è stata ricoperta, ma la rampa di accesso costruita con i
residui di scavo, ricchi di pezzi di carbone, è
ancora individuabile nel bosco).
A
C
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E
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I
L
I vertebrati
I resti ossei si ritrovano, disarticolati e
sparsi, soprattutto negli strati E ed F.
L’ambiente di deposizione presentava probabilmente un’energia troppo elevata perché
gli scheletri si conservassero in articolazione
anatomica: correnti o il moto ondoso li disarticolavano spargendo le ossa. È anche possibile che fossero proprio le correnti a trasportare fino al luogo di deposizione le ossa dopo
che la disarticolazione era avvenuta altrove.
I pesci Condritti sono rappresentati a Fusea
soprattutto da denti isolati dello squalo ibodontiforme Paleobates angustissimus, relativamente frequenti negli strati E ed F. Paleobates si nutriva di molluschi e di altri organismi dal guscio, teca o carapace duro (echinidi, crostacei), che frantumava con denti bassi
e robusti. Questi formavano vere e proprie
batterie dentarie: la mandibola, corta ed alta,
aveva cinque o sei file di denti dalla forma
Fig. 80 - Denti del condritto ibodontiforme Paleobates angustissimus, dallo
strato F del sito di Fusea:
A-D) denti mesiali (anteriori o sinfisiali); E-F) denti distali; G-H) denti laterali. Sotto: I) dentatura dell’ibodontiforme Asteracanthus cfr. reticulatus (da
RIEPPEL, 1981); L) dentatura dell’ibodontiforme
Asteracanthus (Giurassico,
Inghilterra), presa come
riferimento per l’identificazione della posizione
originaria dei denti di
Fusea.
Scala di riferimento in AG (fotografati al microscopio elettronico) = 1 mm.
Per una ricostruzione dell’animale si veda la figura
111.
assai variabile a seconda della posizione
all’interno della batteria: da arcuati con un
rigonfiamento al centro (Fig. 80A-D), a rettangolari (Fig. 80G-H più o meno allungati fino a 1 centimetro), ad ovali (Fig. 80E-F).
Se ci basiamo sulla disposizione osservata in
squali ibodontiformi più recenti come quello
della figura 80L, i primi si trovavano al centro e davanti nella batteria dentaria (per
esempio, nella zona di sinfisi della mandibola), quelli lunghi erano posti lateralmente,
mentre gli ovali si trovavano alla terminazione posteriore. La superficie dei denti presenta una caratteristica ornamentazione reticolata che ricorda quella di una pallina da golf.
Nello strato F, costituito in gran parte da tritume di conchiglie di gasteropodi, i denti di
Paleobates sono piuttosto comuni. È possibile che il tritume sia costituito dagli avanzi del
“pasto” di questo squalo atipico, come pure
di quello dei “rettili” placodonti. I resti della
A1
A2
A3
C
B1
B2
C1
B3
robusta spina che reggeva il margine anteriore delle pinne dosali degli ibodontiformi
sono stati identificati nel lavato ottenuto dal
suolo derivato dal disfacimento e dissoluzione dello strato F. Nel sito di Dogna, come
vedremo, queste spine si trovano intere.
I pesci Osteitti Attinotterigi sono quasi
esclusivamente testimoniati da microreperti
(vale a dire, denti isolati, scaglie, segmenti
dei raggi delle pinne, tutti di ridotte dimensioni) provenienti soprattutto dal detrito originato dal disfacimento dello strato F e del
tetto dello strato E. Estremamente comuni
sono i minuscoli denti a forma di bottone
con un diametro di 0,5- 1 millimetri, riferibili forse in parte al genere Sphaerodus
(Fig. 81B) ed appartenuti a piccoli attinotterigi durofagi, così come almeno altre due
forme differenti di denti minuti (Fig. 81C). I
predatori sono rappresentati da denti conici
e striati (Fig. 81A) che ricordano quelli di
C2
Saurichthys, un pesce comune nel Triassico
e che conosceremo in maggiore dettaglio
nelle prossime pagine. Infine, vi sono almeno tre tipi diversi di scaglie.
Quattro singole ossa craniche isolate e con
una morfologia caratteristica, rinvenute
negli strati D e E, testimoniano la presenza
di pesci polmonati, i Dipnoi (Fig. 82). I
reperti di Fusea sono sottili elementi dal
contorno subcircolare, percorsi da fini strie
radiali e, soprattutto, attraversati dagli stretti
solchi che ospitavano in origine i tipici
canali sensoriali presenti nel cranio di questi
pesci. Le loro dimensioni (hanno diametri di
alcuni centimetri) indicano l’appartenenza
ad individui relativamente grandi. Curiosamente, non sono state ancora trovate le assai
più robuste piastre trituranti che i dipnoi
avevano (ed hanno) nelle fauci e che costituiscono la testimonianza fossile più frequente di questi affascinanti animali.
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Fig. 81 - Denti di attinotterigi, fotografati al microscopio elettronico, dallo
strato F del sito di Fusea:
A1-3) Saurichthys; B1-3)
?Sphaerodus; C1-2) forma
durofaga indeterminata.
Scala = 1 mm.
A1
B1
C
1 cm
1 cm
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98
A2
B2
D
Fig. 82 - Ossa craniche di dipnoi, Fusea: A1) MFSN 19187; A2) disegno con indicati i canali sensoriali; B1)
MFSN 19188; B2) disegno con indicati i canali sensoriali; C) MFSN 15699. Cranio di dipnoo: D) in vista dorsale con le varie componenti ossee (Microceratodus angolensis; da LEHMAN, 1966). Sotto: disegno di un dipnoo
attuale (Neoceratodus).
I resti di tetrapodi appartengono soprattutto
a “rettili” saurotterigi, i tipici abitatori delle
basse acque costiere dei mari tropicali triassici.
I placodonti ciamodontoidei sono forse i
tetrapodi più comuni nel sito. I resti del
carapace che ricopriva il loro corpo sono
relativamente abbondanti, ma sono stati rinvenuti pure un cranio, alcune parti vertebrali e ossa dei cinti. Frammenti di denti sono
stati individuati nel detrito originato dal
disfacimento dello strato F e del tetto dello
strato E. I resti più completi di corazza,
come pure il cranio e gli altri elementi dello
scheletro sono stati trovati nello strato E, ma
curiosamente nel campione non figura nemmeno un esemplare isolato dei grandi denti
che caratterizzano questi animali (si vedano
le figure 116-117) e che spesso costituiscono le loro uniche testimonianze fossili.
Il carapace è formato da osteodermi circolari in vista ventrale che, fusi tra loro, formano sul lato dorsale del carapace una orna-
nome popolare di “pesci polmonati” - che permettono loro di respirare l’aria e superare i periodi di
siccità vivendo in pozze stagnanti con acque povere di ossigeno, oppure di spostarsi, in caso di prosciugamento, da una pozza all’altra, muovendosi
goffamente sulla terraferma. Presentano numerose
caratteristiche scheletriche che non si riscontrano
negli altri vertebrati. Le ossa del loro cranio non
hanno corrispondenze con quelle degli altri pesci e
nemmeno dei tetrapodi, tanto che per identificarle
si utilizzano denominazioni create appositamente;
per esempio, taluni autori le indicano con le lettere
dell’alfabeto. La bocca è munita soltanto di quattro piastre trituranti, grandi e robuste, due situate
nel mezzo del palato e due sulla mandibola. Questi
denti aberranti erano evidentemente utilizzati per
schiacciare gli organismi muniti di conchiglia o di
esoscheletro resistente (per esempio, crostacei) dei
quali si nutrivano. Queste preferenze alimentari
appaiono simili a quelle dei “rettili” placodonti e
degli squali ibodontiformi. Quindi, per non entrare
in competizionetutti questi animali, che ritroviamo
insieme nel sito di Fusea, dovevano essere specializzati ciascuno nella cattura di gruppi diversi di
invertebrati. Quelli di Fusea sono i primi resti certi di pesci polmonati rinvenuti in Italia.
mentazione “a scaglie di pesce”, con alcune
file longitudinali di bassi tubercoli conici,
dalla base ampia e di forma elaborata (Fig.
83). I singoli osteodermi si possono trovare
pure isolati, a causa della disgregazione del
carapace, soprattutto negli strati conglomeratici formati in ambienti ad alta energia. La
regione nucale, dove spuntava il collo, era
piuttosto spessa e tubercolata; anche la porzione marginale laterale era ispessita, mentre la parte centrale della corazza era estremamente sottile (pochi millimetri).
Nel complesso, il carapace aveva una forma rettangolare, più larga che lunga, ed era
piatto con i margini laterali piegati verso il
basso quasi ad angolo retto. Questo suggerisce che l’animale avesse un corpo molto
basso ed appiattito. Le vertebre sono caratterizzate da processi trasversi estremamente
sviluppati ed arcuati su cui si appoggiava il
carapace (Fig. 84).
Il cranio, di forma triangolare, mostra gli
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Gli Ibodontiformi furono un gruppo di squali
primitivi muniti di robuste spine nelle due pinne
dorsali. Vissero nel Mesozoico, dal Triassico inferiore al Maastrichtiano quando si estinsero come
molti altri organismi, inclusi i dinosauri non-aviani.
Erano praticamente cosmopoliti e i loro resti sono
stati rinvenuti in Europa, Groenlandia, America settentrionale e meridionale, Africa settentrionale e
occidentale, Sud Africa, Madagascar e Asia. Paleobates angustissimus, che appartiene - seppur con
qualche dubbio - alla longeva famiglia Polyacrodontidae, è segnalato nel Triassico medio di Germania, Lussemburgo, Svizzera e Italia settentrionale.
I Dipnoi appartengono al gruppo dei Sarcotterigi, i pesci ossei che nel Devoniano hanno dato origine ai Tetrapodi. Molto diffusi e differenziati nel
Paleozoico, soprattutto durante il Devoniano e il
Carbonifero, i dipnoi sono oggi rappresentati da
tre soli generi che vivono in Africa, America meridionale ed Australia. Come tutti i Sarcotterigi,
hanno ed avevano pinne con un lobo carnoso centrale, che nelle pinne pari presenta un asse scheletrico mediano all’origine dell’arto dei tetrapodi
(quindi, in questo momento sto battendo sui tasti
del mio computer con una pinna pettorale destra
modificata). Sono muniti di polmoni - da cui il
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100
2 cm
2 cm
Fig. 83 - Corazze di placodonti ciamodontoidei, Fusea,
strato E: in alto a sinistra, MFSN 15700; in alto a
destra, particolare degli osteodermi centrali; in basso a
destra, MFSN 22759; in basso a sinistra, particolare
della fila marginale di grandi tubercoli e degli osteodermi centrali a forma di losanga.
Fig. 84 - Resti di placodonti ciamodontoidei, Fusea,
strato E: arco neurale di una vertebra dorsale (MFSN
15698), con i caratteristici processi trasversi allungati.
1 cm