PROGRAMMA CONCERTO STEFANO GUERESI

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PROGRAMMA CONCERTO STEFANO GUERESI
IN LIMINE
Corpo Spirituale e Terra Celeste: un dittico ossimorico che efficacemente
enuclea l’essenza a cui è approdata la recente produzione di Enzo Rizzo, l’”ultimo
dei classici”.
In queste opere, infatti, giunge a compimento quella perfetta sintesi tra istanza etica
ed espressione estetica che incarna lo spirito più autentico del kalòs kaì agathòs di
antica ascendenza fidiana, trasfondendone miracolosamente il cuore nella bufera del
nichilismo contemporaneo, con una potenza e un coraggio che lasciano sgomenti.
Nel panorama di una cultura dominante in cui la Bellezza non è certo più à la
page, le tavole di Rizzo si impongono con una presenza materica che ha il colore
dell’Assoluto.
Dalla sofferta e faticosa stratificazione dei pigmenti, che si contorcono
estroflettendosi dalla superficie, in un titanico abbraccio col substrato di bitume,
scaturisce infatti, all’improvviso, una sorta di inaspettata epiphany montaliana, che
fa vibrare l’animo e trasalire l’astante: non è lo sconcerto di fronte all’”anello che non
tiene”, ma il palpito del cuore che, immediatamente dopo, percepisce la possibilità di
una Rivelazione.
Qui sta la “soglia” nella pittura di Rizzo: un diaframma vertiginoso che ha
rischiato forse un tempo il precipizio nel Nulla, ma che ora sta saldamente ancorato al
Tutto.
C’è chi giustamente ha osservato che in queste opere “manca l’aria”: certo,
esse appaiono a una prima lettura quasi respingenti, non permettono di entrare e
passeggiare tra le pieghe e i grumi del colore; questa sorta di saturazione atmosferica
non è però il calco di un’assenza, ma al contrario l’esito della conquista di uno spazio
che si pone “al di là” dello spazio fisico, così come la luce che promana dalla
giustapposizione dei toni campeggia trionfante “al di là” di ogni tempo storico.
L’hic et nunc nelle tele di Rizzo infatti non c’è più: ne è rimasta la memoria
indelebile, ma trascesa dalla scoperta di un possibile Infinito che si fa carne nei media
stessi (colore e luce) di una pittura che privilegia la bidimensionalità e, perciò, non
ha bisogno di altre coordinate, perché spazio e tempo non sono altro che le
dimensioni date all’uomo per esperire il suo viaggio su questa terra.
Ma quella di Rizzo è una Terra già Celeste, come testimonia l’esplosione della
sua “metafisica del colore”, che ha superato anche il lirismo della concentrazione
emozionale e che, paradossalmente, manifesta l’accordo raggiunto da tutte le note
nell’ esito di un silenzio cosmico: chi guarda non può che contemplare, travolto da un
equilibrio perfino sinestetico.
Questo vertice di Assoluto-colore, Assoluto-spazio, Assoluta-luce è il risultato
di un inesausto processo di scarnificazione dell’anima. Un percorso di travagliata
ascesi in cui la meditazione filosofica, che sostanzia da sempre la ricerca spirituale di
Rizzo, diviene cifra ineludibile dell’artista: ogni pennellata ha un valore testimoniale,
è scavata dentro l’”Io” e si offre sulla superficie delle opere con tutto lo spessore
della sua persona. Lo spessore di un uomo che ha avuto sempre la temerarietà di ricercare, novello Ulisse politropico, lasciando sorprendentemente aperta la categoria
della possibilità.
E del de-siderio, cioè della distanza che ci separa dalle stelle.
Per questo ogni pezzo è una “soglia”: il punto topico di passaggio, il luogo
della scelta di ciascuno fra il Nulla e il Tutto, la forbice aperta della libertà umana
che, nei lavori di Rizzo, si fa Odigitria, come nel percorso sacrale di un pittore di
icone, attraverso il raggiungimento di una Bellezza assoluta, riverbero di una
sperimentata certezza.
Come? Nella perfezione di un colore supremo che com-muove e che riflette
misteriosamente una luce ineffabilmente universale: così il Corpo si fa Spirituale e la
Terra Celeste…non c’è più opposizione, ma, dopo un lungo interrogarsi sul
principio, finalmente, l’Unità nella percezione dell’esistenza di una meta e nella
certezza di una strada che vi tenda.
Da qui scaturisce anche il valore fortemente pregnante dei titoli: la premessa
ontologica si intravede in “In principio era l’uno”, “Genesi”, “Fetus”, “Ex voto”, che
marcano l’incipit del viaggio…poi, in itinere, l’intuizione: “Trono”, una sorta di
“sgabello degli dei”, vuoto perché, essendo l’ottica prospettica straniata, la divinità
non appare dove dovrebbe stare naturaliter, ma si manifesta nell’euritmia perfetta
della composizione complessiva, fino a giungere alla sintesi finale di Terra e Cielo,
Spirito e Materia, di Corpo Spirituale e Terra Celeste appunto, frutto anche di un
mestiere umile e nel contempo rigoroso e sicuro, che ha consentito a Rizzo di
pervenire al possesso di una perizia tecnica davvero non comune.
Del resto nella tradizione artistica sia occidentale che orientale l’autentica ars è
sempre stata indivisibile connubio di arte e artigianato: Rizzo prepara le sue tavole ma anche le sue tele e le sue carte - come un pittore del XV secolo, con un lavoro
lungo e sapiente, nutrito dalla pazienza di chi attende che l’immagine affiori alla
coscienza e incida l’animo, prima di potersi dare in superficie. Insomma la sua forza
trae baldanzosa fierezza da una dignità radicata nella fedeltà dell’artista a un
Umanesimo integrale che è nel contempo ricerca intellettuale, maestria esecutiva e
testimonianza etico-esistenziale.
E’ così che, nell’ultimamente indefinibile poetica del magnogreco Rizzo, si è
chiuso il cerchio: nelle sue opere la millenaria e tragica dialettica di apollineo e
dionisiaco si è finalmente composta e, dopo una lunga e sofferta battaglia personale,
il Trascendente si è donato al fruitore nell’immanenza di quei Corpi Spirituali e di
quelle Terre Celesti, divenute ipostasi, in limine, di un’ Armonia pura in cui
troneggia vittoriosa l’evidenza finale: nomina sunt consequentia rerum…
Aut lux hic nata est aut capta, hic libera regnat
(Iscrizione anonima, Cappella di Sant’Andrea, Ravenna)
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Silvia Rossi