Yalla Italia

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Yalla Italia
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La redazione di «Yalla Italia» ritratta da Gisella Tess. Da sinistra a destra, dall’alto in basso: Akram Idries, Ali Hassoun Hassan Bruneo, Ouissal Mejiri, Rassmea Salah, Layla Joudè, Lubna Ammoune,
Meriem Faten Dhouib, Nadra Ben Fadhel, Imane Barmaki, Karim Bruneo, Sumaya Abdel Qader, Raissa Kourouma, Rufaida Hamid, Ouejdane Mejri.
HAPPY BIRTHDAY
Yalla Italia compie un anno. Un piccolo traguardo che però smentisce tutti gli scettici. Non solo la famiglia si è allargata. Ma, contro tutti
gli schematismi, è una famiglia in stragrande maggioranza femminile.
Le seconde generazioni hanno scoperto che il racconto di se stessi è un
formidabile strumento di integrazione. Ecco come Yalla ha cambiato
la vita di questi ragazzi...
IL MENSILE
DELLE SECONDE
GENERAZIONI
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UNA SCOMMESSA VINTA.
DA LORO E DA NOI TUTTI
DI PAOLO BRANCA
EDITORIALE
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iamo in buona compagnia.
Dire che “sembra ieri” sarebbe retorico ma, soprattutto,
completamente inappropriato. Sì, perché a ogni riunione di
redazione - e ogni volta di più - quel che mi accade
di pensare è piuttosto “sembra domani”. Quando
Martino Pillitteri mi ha suggerito il titolo e la
sostanza di questa iniziativa ho aderito di slancio, ma
devo confessare che qualche timore di fare
l’ennesimo buco nell’acqua non era del tutto assente
in me. Non che dubitassi della presenza di giovani,
disponibili e desiderosi di farsi sentire. Ero tuttavia
consapevole che ci vuole sempre un grande sforzo
per fare il primo passo. Un vecchio amico prete mi ha fatto notare un
giorno che c’è molta più distanza tra 0 e 1 che tra 1 e qualsiasi altro
numero ad esso superiore. Una banalità, se vogliamo, ma anche una di
quelle tante evidenze a cui non facciamo caso e che sono invece alla base
della nostra esperienza quotidiana.
Per una volta, mi pare di poterlo dire senza peccare d’orgoglio, non ci
siamo sbagliati. I tempi erano ormai maturi e attorno al tavolo si sono
affollati sempre più volti, si sono levate sempre più voci di ragazze e ragazzi
diversi per provenienza, per storia, per sensibilità… com’è inevitabile e
giusto che sia, ma tutti sulla stessa lunghezza d’onda, fatta di ascolto non
meno che di voglia di esprimersi. Sì, di ascolto, di scoperta innanzitutto di
quanto li fa simili, non solo tra di loro ma anche rispetto a noi.
Sono italiani, checché ne dicano i documenti, forse in forma più
problematica e ricca ma non meno vera, poiché più sofferta e consapevole.
Ma sono anche arabi, africani, asiatici. Se due o tre di loro vengono dallo
stesso Paese, lo rappresentano ciascuno a suo modo. Non posseggono
verità e certezze, non hanno risposte preconfezionate per ogni domanda,
non corrispondono a un modello predefinito. Mettono in crisi le nostre
categorie dicotomiche di laico e religioso, moderato e radicale,
CHI SIAMO
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Il coordinamento di Yalla Italia è curato da Martino
Pillitteri.
Hanno collaborato a questo numero:
Lubna Ammoune: 20 anni, milanese di origine
siriana. Studia farmacia.
Imane Barmaki: marocchina, 25 anni. Frequenta il
terzo anno di economia.
Randa Ghazy: 21, di origine egiziana. Studia
relazioni Internazionali ed ha già pubblicato 3 libri
di successo. Settimana secorsa, il sindaco Moratti le
ha consegnato il premio il PREMIO MILANO DONNA
2008, premio dedicato alle grandi donne cha a
Milano hanno lasciato un segno.
Meriem-Faten Dhouib: 28 anni, tunisina.
È ricercatrice, insegnate e filologa
Ouejdane Mejri: 30, tunisina. Insegna al Politecnico.
Hassan Bruno: 26, italo-marocchino. Ingegnere
Layla Joudè: 22 anni, di origine siriana. Frequenta
specialistica in lingue e comunicazione per i media e
il turismo.
Akram Idries: 25 anni. Madre egizia, padre
sudanese. Iscritto all’ultimo anno di specialistica in
Gestione del Costruito.
Ouissal Mejri: 28 anni, di origine tunisina.
Dottoranda in Studi Teatrali e Cinematografici
Rufaida Sufi Hamid: 18, nata in Kashmir.
Sumaya Abdel Qader: 30 anni, italo-giordana.
Studia lingue.
Nadra Ben Fadhel: 32 anni, padre tunisino, madre
statunitense, cresciuta in Italia. Lavora come
danzatrice e interprete.
Rassmea Salah: 24 anni, di origine egiziane.
Mediatrice culturale e insegnate di arabo.
comunitarista e integrato semplicemente perché se le sono lasciate alle
spalle, sono più e meglio di quanto l’uno o l’altro di questi binomi
racchiudono di positivo, semplicemente estranei a quanto invece vi è di
negativo. Non si lasciano ingabbiare da sbrigative definizioni perché sono
liberi e reali, semplici e complessi, sanamente contraddittori come tutte le
cose di questa terra, dove troppi e troppo spesso dimenticano ancora che
le diversità (quelle vere: come maschile e femminile, giovinezza e maturità,
arte e tecnica…) sono fatte non per opporsi ma per completarsi a vicenda.
Per questo dico che “sembra domani”, con la speranza - oggi più forte che possa essere il primo di molti passi, una delle tante esperienze che
possono e debbono accadere, farsi conoscere, offrire il proprio contributo
affinché i problemi tornino ad essere questioni da risolvere insieme e a
vantaggio di tutti e non l’alibi per le nostre inadempienze o, peggio,
l’occasione perché qualcuno la vinca o s’imponga su qualcun altro;
affinché le parole tornino ad esprimere la vita e non ne siano invece una
rappresentazione parziale o ingannevole a servizio di chi ha interesse di
raccontarla in un certo modo; affinché la passione, l’energia, il calore,
l’intelligenza tornino ad essere più contagiosi dell’indifferenza, della
pigrizia, della paura e del pregiudizio…
Yalla, dunque, Italia: c’è tanta strada da fare ma in buona compagnia.
LA MATITA DI GISELLA
Sono italianissimi i disegni che costellano
questo numero di Yalla Italia. I ritratti della
redazione sono di Gisella Tess, milanese, 25
anni, che si definisce «educatrice con una
forte passione per disegno, arte e poesia».
Ha conosciuto alcune ragazze di Yalla, ne è
diventata amica. E oggi è della famiglia...
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UN ANNO DI YALLA. ALL’INIZIO UN PO’ DI SCETTICISMO. POI ABBIAMO VINTO...
LA NOSTRA ALLEGRA SFIDA
A PRECONCETTI E RIGIDITÀ
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isate, riflessioni, litigate, idee originali, silenzi.
Un anno di storia italiana, un anno di storie di
uomini e donne (non solo della De Filippi), un
anno di “noi”. In questo contesto cresce e si sviluppa Yalla Italia.
Poi il dubbio. Ma i nostri lettori come ci hanno percepito? Bene, lo scopriamo subito intervistando a campione
alcuni fedeli di Vita.
ANNA, DIANA E LA “SCIURA” MARIA
Anna è la prima intervistata. 27 anni. Laureata in Economia e commercio. Le faccio due domande:
Hai letto Yalla Italia? Cosa ne pensi?
«Mi ha incuriosita da subito, non avevo mai conosciuto
giovani figli di immigrati, in particolare musulmani, e
ho letto cose che non mi aspettavo e ho trovato molta
apertura, ironia e senso critico».
Pensi che i figli degli immigrati possano diventare dei veri italiani?
«Beh dovremmo discutere su cosa voglia dire il vero italiano, forse. Ma in generale credo che chiunque si senta
cittadino di un Paese, pur portando valori extra, può certamente esserlo. Chi vuol essere italiano lo è rispettando
le leggi del Paese e le sue tradizioni. Chi vuol essere un
nuovo italiano deve essere rispettato per gli elementi
nuovi che introduce».
Nadiainvece ci racconta di aver conosciuto Yallatramite amici. Si è appassionata molto e ha continuato a
leggerci: «Vorrei poter conoscere la redazione e mi chiedo se potesse in futuro esserci la possibilità di interagire
È
venerdì. È il giorno delle nostre riunioni di redazione con il gruppo di
Yalla Italia. Come sempre mi piace arrivare in redazione un paio di ore prima per
non perdermi la consueta esperienza: sentirsi in due mondi diversi stando nello
stesso posto. Giungo dalla zona Corvetto
dove avevo preso il bus 95. Le lingue straniere, la fisionomia mediterranea che caratterizza i volti della persone e le poche
signore milanesi vecchio stampo che si lamentano di tanto multiculturalismo, sono l’antipasto del menù che mi aspetta a
breve. Dopo cinque fermate il bus
arriva a destinazione e mi lascia proprio davanti all’entrata del centro islamico che ospita la
moschea di via
Quaranta. Dall’altra parte della strada, proprio davanti all’entrata della moschea, c’è la redazione di
Vita. Se al Corvetto avevo la sensazione di
trovarmi all’aeroporto, davanti al centro
islamico di via Quaranta ho quasi la certezza di trovarmi nella periferia popolare
di qualche capitale araba, che ne so, la
Quarto Oggiaro del Cairo.
Devo attraversare la strada ed entrare
negli uffici di Vita. Distanza fisica oggettiva: 15 metri. Distanza culturale soggettiva: 50 anni. Non riesco a proseguire.
Mentre sono ancora nel mezzo della strada tra la moschea e la sede di Vita, scorgo
le prime ragazze di Yalla entrare in redazione. Erano venute dalla parte opposta.
Furbe loro, conoscono i loro polli. Il solo
Ho intervistato qualche lettore
intercettato all’edicola. Ho avuto
risposte oneste, anche nel dire le
perplessità. Poi ho ascoltato le voci di
chi ha la mia stessa fede. All’inizio mi
sono scontrata con un po’ di resistenze
impreviste. Che il cammino
ha poco alla volta dissolto....
di Sumaya Abdel Qader
con i ragazzi che scrivono e far scrivere su Yalla anche noi
giovani coetanei dei “Yallisti”.
(Un’idea interessante, la passeremo al nostro coordinatore).
L’intervista si fa più difficile cercando di parlare con
una “sciura Maria” che casualmente incontro in un’edicola e trovo a comprare Vita. Le chiedo se ha letto Yalla e
cosa pensi dei giovani che vi scrivono. Dopo un iniziale
momento di perplessità della sciura che non capiva di cosa parlassi, si accende la lampadina ed esordisce con un:
«Ah la roba che scrivono gli islamici?».
Beh, sì all’incirca, le rispondo io. E lei farfugliando dice
che inizialmente era rimasta delusa che Vita desse spazio
a degli islamici ma che poi ha capito che eravamo brava
gente.
CHIARIMENTI SUL RIDERE
Già. Nella mia ricerca di opinioni dei lettori ho più volte percepito che i molti fossero convinti che Yalla fosse
lo spazio dei giovani musulmani, quando non è esattamente così. C’è una buona parte di questi ma non esclusiva. Infatti Yalla nasce per dare voce ai giovani delle cosìddette seconde generazioni ovvero i figli degli immigrati.
Or bene. Anche molti musulmani hanno avuto
l’impressione di cui sopra. In particolare perché il primo
numero di Yalla era intitolato «Ridere da musulmani»
per cui un po’ depistante poteva essere.
E intervistando alcuni miei correligionari mi è stato
comunicato un certo disagio per quel primo numero che
ironizzava sì sul mondo arabo ma in alcuni flash anche
sulla religione. Per questo da alcuni è stato letto male,
ma civilmente, non come da altre parti; la reazione più
semplice è stata al massimo di non leggere più la rivista o
continuare a leggerla per “controllare” che non si dicesse
altro.
Infatti i numeri successivi sono poi piaciuti e sono
stati stimolo a dibattere in tanti gruppi giovanili.
Tutto di grande stimolo a continuare a scrivere.
Insomma, come disse qualcuno, male o bene l’importante che si parli di noi e ci leggiate!
Buona lettura a tutti! E buon compleanno Yalla!
QUESTA NON È FICTION. QUESTA È UNA
LEGA ARABA
È UN PROMO
INNOVATIVA
DELL’ITALIA CHE VERRÀ «S
Jeans a vita bassa, iPod alle orecchie, rossetto sulle labbra.
Le ragazze di «Yalla» vivono un islam allegro, aperto, vitale.
Il “coordintaore” le racconta... di Martino Pillitteri
vederle mi rincuora. Sì, sono in Italia. Per
qualche attimo infatti, tutti quei veli neri,
quelle barbe lunghe e quei sandali mi avevano fatto sentire straniero in casa.
A riportarmi nella realtà sono i jeans a
vita bassa, i rossetti, gli iPod alle orecchie,
le battute sui loro fidanzati, i pettegolezzi
sulle forme rifatte delle cantanti libanesi,
e i baci che le ragazze di Yalla danno a me
e ai loro colleghi maschi che a loro volta
sopraggiungono con il fare e il look un po’
da Mtv e un po’ da cumenda.
NON MURI MA PONTI
Il contrasto tra i due ambienti, tra i loro
linguaggi, tra le visioni della vita e la propensione all’integrazione non lascia dubbi: una strada larga 15 metri separa due
mondi che in comune hanno solo una fede e l’esotismo dei nomi. 15 metri separano due mondi e valori che all’apparenza
non si incontreranno mai: quello che vive
in Italia con il corpo ma che mentalmen-
te è ancorato in qualche oasi sperduta del
Sahara e quello delle nuove cittadinanze e
delle brillanti immigrate che con lavoro e
volontà sono diventate un modello di integrazione di successo; quello dei muri e
quello dei ponti; quello del ghetto e quello della società multiculturale libera e dinamica.
Le battute, le proposte, le idee, le esperienze, le risate che accompagnano le ore
delle nostre riunioni esaltano me e gli altri
dello staff di Vita. Non parliamo poi dei
giornalisti, degli accademici, dei laureandi in mediazione culturale che ogni mese
vengono ad ascoltarci; alla fine delle riunioni mi prendono sottobraccio e mi sussurrano in modo compiaciuto: «ma dove
li hai trovati questi collaboratori?». Queste ragazze sono all’avanguardia, sembrano uscite da un casting di un film di Bollywood. No, Yalla Italia non è fiction
multietnica. È un promo dell’Italia del futuro.
econdo te gli arabi andranno mai
d’accordo tra di loro?»
«Bah... l’unica cosa sulla quale andranno
sempre d’accordo è quella di non trovarsi
mai d’accordo».
Una banale conversazione tra due arabi
che è possibile udire in qualsiasi strada di
Casablanca, Il Cairo, Tunisi o altra città.
Eppure io ho sognato. Ho sognato una
generazione che riesce a parlare, che
riesce a fare delle differenze una virtù, che
dibatte, discute ma alla fine riesce a trovare
un solco in cui le idee si possano incanalare
tutte insieme. E questa generazione, forse,
è necessaria per una nuova Lega araba
(non intesa come partito politico….) che
possa spingere il mondo arabo verso un
nuovo rinascimento. Non era in realtà un
sogno perché questa generazione esiste.
Timidamente si manifesta e Yalla Italia ne è
un esempio. In questo anno alcune persone
se ne sono andate (forse perché non si
aspettavano una Lega Araba un po’
innovativa…) molte se ne sono aggiunte e
molte altre ancora si uniranno a noi. La mia
sensazione è come se stessimo creando
pian piano un corteo silenzioso. Siamo la
dimostrazione di come, a volte, sia
semplice uscire da schemi prefissati per
poter raggiungere gli obiettivi.
Hassan Bruneo
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UNA REDAZIONE IN ROSA. QUANDO LA REALTÀ SMONTA GLI STEREOTIPI
ECCOCI, SIAMO LE YALLA GIRLS
C
ara Yalla Italia, la tua redazione è
tinta di rosa. Questa dato è una
delle certezze di questo tuo primo anno di vita. Quando sei nata potevi
contare su otto fratelli e sorelle; le quote
rose erano pari al 75% e quelle azzurre al
25%. Non è che la situazione oggi sia
cambiata. Anzi, strada facendo, il numero delle rappresentanti del genere femminile che compongono il tuo “Harem” è
aumentato del 400% e le quote azzurre
solo del 100%. Ci vogliono più maschi
nella redazione. Yalla maschi, non nascondetevi.
La tua realtà cara Yalla, presenta un
paradosso: le donne arabe in Medio
Oriente fanno battaglie e/o mozioni a favore delle quote rose e noi Yalla girls ci vediamo costrette a fare battaglie per le quote azzurre in Europa. Per una femminista
Eravamo tante all’inizio. Col passare dei mesi noi siamo
diventate sempre di più, mentre i maschi sono
rimasti al palo. E oggi abbiamo un problema di quote.
Ma azzurre... di Imane Barmaki
araba e musulmana come me questo è un
po’ un paradosso.
Tu, mia cara Yalla Italia, presenti una
situazione opposta a tutti i canoni convenzionali. Le donne arabe sono in maggioranza e quando siamo in riunione le
nostre voci coprono quelle degli uomini.
Non so spiegare se il motivo riguarda il
fatto che le donne non perdano occasione di farsi ascoltare, o forse... La carenza
delle quote azzurre nella tua redazione,
cara Yalla Italia, mi ricorda il film What
Women Want in cui Nick Marshall, interpretato da Mel Gibson,è un maschilista
convinto fino al giorno in cui viene colpito da un fulmine e inizia a “sentire” i pensieri più profondi di tutte le donne che gli
sono intorno fino a capire e a conoscere
veramente l’altro sesso.
Capendo finalmente «quello che le
donne vogliono», Nick diventa più sensibile verso le donne della sua vita le quali,
a loro volta, incominciano ad apprezzare
la sua sensibilità, intelligenza e gentilezza.
Questo film riflette una necessità di
conoscerci reciprocamente, di sbirciare
ognuno nella testa dell’altro attraverso
magari le tue otto pagine mensili anche
se nella realtà sono pochi gli uomini con
cui viaggiamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Comunque, cara Yalla Italia, non
vorrei che tu pensassi che non apprezzi le
quote azzurre che abbiamo in redazione.
Sono bravissimi ragazzi e c’è grande affetto tra di noi. Non voglio neppure che tu
pensi che alla prossima riunione di redazione, mi aspetti che quello che bussa alla
porta sia uno tipo George Clooney o Mel
Gibson con una bottiglia di Martini in
mano, preferibilmente analcolica. Aspetto ragazzi normali, con la testa sulle spalle, e non quelli che si presentano dicendo: no men, no party.
CONFESSIONI SBARAZZINE RACCOLTE IN REDAZIONE. NOI SIAMO...
...QUELLE CHE OSANO SOGNARE
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n occasione di una cena di laurea,
dov’ero l’unica straniera, una ragazza
si avvicina e mi dice: «ma non bevi?»,
«come mai?». La mia amica si gira e le risponde:«Beh, è astemia perché è musulmana, loro non devono!». «Ah davvero!
ma da dove esattamente?», incalza la ragazza. Io rispondo entusiasta: «Tunisia!»
Lei allora ribatte: «Povera, mamma mia,
siete tutte trattate male, non avete diritti
e poi un’amica mi ha detto che vendono
le donne in cambio di cammelli!». In quel
momento il mondo mi era caduto addosso e poi la rabbia dentro di me a sentire
ancora queste stupidaggini malgrado
l’informazione globalizzata.
Lasciatemi allora rispondere: prima
di tutto la Tunisia ha il primato arabo in
DI RASSMEA SALAH
D
C’è chi sogna una “imam femmina”. Chi di vedere donne
musulmane nello spazio. O donne giudici che... di Meriem Dhouib
materia di diritti per le donne e poi si tratta di un vecchio trucco che dicono alle turiste per farle dei complimenti! E poi ci
sono anche i dromedari con una sola
gobba!
Solitamente ho la possibilità di raccontare le stranezze che accadono nella
mia quotidianità su Yalla Italia e di riderci sopra nelle riunioni di redazione. Con
Yalla Italia è cambiato qualcosa nella mia
vita: oltre a poter scrivere e dare sollievo
alle contrarietà di tutti i giorni, riesco a
confrontarmi con un gruppo di ragazze
ma anche di ragazzi che molte volte, du-
rante le tanto attese riunioni che facciamo ogni mese, rispondono a dei quesiti
che in passato avevano suscitato delle
perplessità sulla mia identità! A volte mi
sento meno sola a lottare per certe cose,
altre volte mi spronano in alcune scelte.
Le Yalla girls lavorano, studiano, si
documentano e lottano nel loro piccolo
per imporsi in questa giungla fatta molto
spesso di preconcetti e stereotipi, per
smussare gli angoli di quest’immagine
che ci portiamo e che siamo molte volte
obbligate - e dico obbligate - a giustificarsi perché siamo musulmane oppure di
NOI, PIZZA E COUS-COUS
(MA, PER FAVORE, NON
CHIAMATECI MODERATE)
opo l’11 settembre la
percezione distorta dell’Islam
ha portato noi fedeli a renderci conto
che le classiche definizioni che ci
descrivevano - musulmani o di fede
islamica, fino al grottesco
maomettani- portano oggi
intrinsecamente dentro di sé
un’accezione negativa legata al
terrorismo internazionale. Essere musulmani non vuol più dire appartenere all’Islam,
ma essere potenzialmente terroristi.
Ecco allora che noi giovani di seconda generazione italo-araba siamo chiamati in
causa, trascinati in una situazione più grande di noi. Ci sentiamo moralmente in
dovere di fare qualcosa, di rispondere a delle domande a cui i nostri genitori e la
nostra comunità musulmana non rispondono. In una parola: di trasformarci da
oggetto del discorso islamico a soggetto attivo. Questo mio bisogno trova una
piattaforma adatta in Yalla Italia. Qui mi impegno a dimostrare che siamo persone
“normali”: studiamo, lavoriamo, usciamo con gli amici, facciamo volontariato,
condanniamo il terrorismo e preghiamo per le sue vittime. E siamo anche ben
cultura diversa.
Abbiamo imparato a conoscere noi
stesse, ci siamo raccontate il nostro passato e dividiamo insieme molto tempo
del nostro presente; ma alla fine, che cosa
sogniamo? Tutto traspare dai nostri articoli. Imane: «Sogno di vedere donne musulmane astronaute, donne vigili fare le
multe agli uomini che non volevano farle guidare, donne giudici per condannare gli stupratori, donne pilota e hostess
maschi». Rassmea sogna «una imam
femmina». Nadra pensa che «la religione
non si passa per osmosi: o ti insegnano o
sei libero di pensare seguendo le direzioni della tua vita». Ouejdane spera: «Anche se è quello che vogliono farci credere,
l’Italia non sarà mai un Paese triste».
integrati nella società e siamo sempre
attenti alle questioni sociali e
politiche del nostro Paese di
adozione o di nascita. Siamo la voce
di una nuova cittadinanza italiana
che ha le sue radici al di là del
Mediterraneo. Siamo italiani di
religione musulmana. Siamo italiani
anche arabofoni. Siamo italiani che
mangiano pizza e cous-cous. A
qualcuno piace definirci «musulmani moderati», categoria del tutto assente prima
dell’11/9 e che si presta ad essere ambigua e offensiva poiché sottende che l’aggettivo
musulmano da solo voglia dire implicitamente «fondamentalista» o «estremista».
Quando invece la moderazione è proprio uno dei principi dell’Islam e ne è un valore
intrinseco. «Dio non ama gli eccessivi» è scritto nel Corano. Chiamarci musulmani
moderati sarebbe come specificare che una palla è rotonda, od ovale, a seconda degli
sport! Chissà quanto tempo ci vorrà, e quale contributo potrò offrire con Yalla Italia
per far comprendere all’opinione pubblica che siamo semplicemente dei musulmani
e che non c’è bisogno di definirci moderati per distinguerci dagli estremisti o peggio
ancora dai terroristi.
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UNA REDAZIONE IN ROSA. QUAL È IL SEGRETO DELLA FORMULA DI «YALLA»
QUELLA VOGLIA PAZZESCA
DI APRIRCI
E DI RACCONTARCI
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iuscire a parlare liberamente della propria fede e
di come si vive la propria religiosità non viene
sempre spontaneo. Per me è così intima l’esperienza del sentire l’Islam che non è automatico espormi e
condividere l’argomento con chiunque mi capiti di parlare. Da piccola mi ricordo che a scuola, prima di mangiare, recitavo con gli altri bambini «Gesù Bambino, grazie per il cibo che ci hai dato, dallo anche ai bambini che
non ne hanno. Amen». A casa invece il pasto era preceduto da questa formula: «Nel nome di Dio il misericordioso, il compassionevole».
Poi crescendo le preghiere sono diventate sempre più
esperienze interiori e momenti di condivisione con la famiglia, non solo recitazioni per seguire le consuetudini.
Spesso, purtroppo, il giudizio degli altri dipende da quanto uno è praticante o da quanto uno non lo è, a volte in
modo positivo, a volte negativo, a seconda dei contesti.
Per esempio, per alcuni atei io posso sembrare troppo
conservatrice, mentre per alcuni musulmani troppo moderna e progressista, anche se credo che l’armonia sia interiore ed emerga solo quando la si sente veramente e
quando chi ti guarda vuole sinceramente cogliere un po’
chi sei, andando oltre il velo dell’apparenza.
Nella nostra redazione abbiamo diversi modi di vivere e interpretare il Credo. C’è chi si definisce laico, chi ha
riscoperto l’Islam, chi è sunnita, chi sciita, chi praticante,
chi non vuole definirsi, chi riconduce la fede alla sfera privata, chi scettico, chi insiste sulla distinzione tra tradizione e religione e chi su una lettura storico-critica delle Sacre Scritture. In questo panorama variegato, però, la cosa
che accomuna tutti è la voglia di interrogarsi, accompagnata dalla consapevolezza di non avere nessuna verità in
mano.
Tra di noi c’è una spinta
continua e stimolante a parlare
di tutto, in modo nuovo e originale,
critico e autocritico, dinamico e
vivace, che ci ha incoraggiato
ad esporci in prima persona
e a porci tante domande che prima
cercavamo di rimandare
di Lubna Ammoune
I confronti avuti in questi mesi sono stati i primi che
ho avuto con ragazzi di seconda generazione, avendo intorno fino a un anno fa solo amici puramente italiani.
Uniti nella nostra diversità, ci siamo presentati e conosciuti per aspetti delle nostre personalità che ci caratterizzano, ma che non ci determinano o ci inchiodano per renderci riconducibili a una sola categoria. Il seguire o meno
certi precetti non è stato un elemento di distinzione all’interno del gruppo. Gli scambi avuti in materia hanno
permesso di far emergere il rispetto che ognuno di noi
prova nei confronti dell’altro, per le scelte liberamente
prese.
Questa voglia continua e stimolante di parlare di tutto, in modo nuovo e originale, critico e autocritico, dina-
mico e vivace, ha incoraggiato ad esporsi in prima persona e a porci tante domande che prima cercavamo di rimandare. Anche questo mi ha permesso di mettermi in
gioco, misurandomi con me stessa e con gli altri. Così mi
è capitato di condividere con i miei amici di Yallauna parte dell’intimità della mia fede. Oltre che un’esperienza
umana meravigliosa, quella di Yalla, infatti, è stata ed è
un’occasione per trovare persone che mi incoraggiano e
mi apprezzano anche per il mio desiderio e il mio impegno a costruire ponti con le altre fedi monoteiste, uscendo un po’ allo scoperto e non tenendo velate alcune esperienze di condivisione e di reciprocità.
Tra queste esperienze, ho raccontato che nel mio cammino ho trovato una persona cara con cui condivido l’esperienza del pregare insieme ed è capitato di stare accanto anche in chiesa. Nella gioia della recitazione interreligiosa, abbiamo messo a disposizione il tesoro delle nostre
tradizioni e pronunciato insieme versetti e sure. Non vorrei che questo a esperienza destasse stupore, vorrei che diventasse la normalità. Un po’ come nel linguaggio della
mistica Rumi e San Francesco si sono in un certo senso
incontrati, così io cerco di apprendere un linguaggio comune agli altri, andando oltre le distinzioni che creano
solo muri.
Indubbiamente c’è la consapevolezza della diversità,
che però dal mio punto di vista può solo arricchire e si può
anche essere prossimi nella spiritualità e fedeli alla propria
unicità. Nel mio piccolo mi chiedo se un giorno anche in
tutto il Medio Oriente ci sarà un spirito alla “Yalla” in cui
saranno allineati tappeti comuni, in una chiesa o in una
sinagoga o in una moschea, e verrà lasciato alle spalle il
conformismo religioso. E troveremo l’umiltà di parlare,
insieme, il linguaggio del cuore e dell’umanità.
LE CONFESSIONI DI DUE GIOVANI REDATTRICI. COMUNICARE È VIVERE...
NON CHIAMATEMI
IMMIGRATA!
QUI NON MI SENTO
UN'ALIENA
L
E
a nostra condizione di nuovi italiani è
in bilico tra appartenenza ed estraneità
che a volte rafforza il sentimento di non appartenenza. Proprio da questo scaturisce da
parte nostra il desiderio di esprimerci e di far
capire che siamo a tutti gli effetti italiani e
che faremo parte di questa società in modo
definitivo e non provvisorio.
La seconda generazione deve far capire alla
gente che il colore diverso della pelle, nuovi
idiomi, la provenienza non sono simboli di
pericolo, ma segni di una diversità che può
arricchire di risorse giovani la società italiana.
Dunque perché emarginare gli immigrati
quando possono contribuire in modo propositivo alle dinamiche di cambiamento della
società? Non è forse un pregio avere persone
con cui confrontarsi ed essere critici verso se
stessi? Non serve trovare soluzioni affrettate,
piuttosto c’è bisogno di comprensione e solidarietà verso ciò che è estraneo ma non per
questo imperfetto.
La solidarietà non si può insegnare, sicura-
mente però si trasmette, proprio come si trasmettono gli allarmismi, proprio come si trasmettono i pessimismi, i disfattismi, la fame
di cattive notizie che ci aizzano contro l’extracomunitario, lo zingaro, il rumeno, e
omettendo la parola “persona” e finiscono
con il farci credere che sono solo una minaccia per il futuro, il nostro sistema…
Molti si chiedono come si possano aiutare gli
immigrati ma non c’è una ricetta per imparare a rispettare le persone in quanto tali.
La seconda generazione vuole semplicemente essere trattata come tutti gli italiani e farsi conoscere come individui e non gruppi etichettati.
C’è davvero bisogno d’apertura mentale
verso la nuova società che è in continua evoluzione e non si può più ignorare un tale
cambiamento. La speranza è che i pregiudizi non nascondano il nostro sentirci “italianI”. Questo si può fare solo se anche dall’altra parte c’è una predisposizione a conoscere,
ad aiutarsi a vicenda. Yalla Italia!
Rufaida Hamid
ssere una seconda generazione è una
grande fortuna, ma allo stesso tempo
anche la causa di piccoli ma significativi
problemi esistenziali, soprattutto nel difficile percorso dell’adolescenza. Per potersi adeguare o per sopravvivere, una parte di te rimane nascosta esternamente, anche se nel
tuo intimo la senti segretamente e intensamente tua.
Avere “un’identità al plurale” ma soprattutto avere la consapevolezza della propria personalità, comporta un percorso individuale,
alle volte lungo, che ha come stadio più tragico, ma se vogliamo anche comico, il... sentirsi un’aliena! Il rimedio a questa situazione transitoria di “indeterminatezza” è tenere a mente quanta ricchezza si possa trarre
dalla pluralità. La mia terapia è stata entrare a fare parte della redazione di Yalla Italia!
Già dal primo incontro ho avvertito un clima pieno di allegria ma soprattutto di determinazione nel voler condividere le proprie esperienze imparando qualcosa di nuovo gli uni dagli altri. Ciò che ci accomuna è,
per assurdo, l’eterogeneità: una pluralità di
culture, religioni ed etnie che si intrecciano
raccontandosi ed aiutandosi a vicenda nel
conoscere se stessi attraverso gli altri. Siamo
una generazione particolare che ha molto da
raccontare e condividere ma che oggi, purtroppo, ha ancora poche possibilità di farsi
ascoltare. Uno degli scopi di questa esperienza è quella di cancellare la paura e la diffidenza nel “diverso” attraverso il raccontarsi
e l’ascoltarsi e quindi conoscersi. La comunicazione quindi come mezzo per risolvere
insieme problematiche comuni attraverso la
parola e non lo scontro. La forza di queste
nostre otto pagine è di avere uno scopo comune e quindi perseverare nel proporsi ed imporsi nel mondo dell’informazione. È difficile fare pronostici per il futuro, possiamo solo sperare che questi primi passi aprano la
strada alle nuove generazioni, seconde e non,
in modo da essere sempre più presenti e partecipi ma soprattutto che ci siano sempre più
voci, o penne in questo caso, a farci sentire
sempre un po’ meno alieni.
Layla Joudè
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COSÌ PER GIOCO. UNA REDATTRICE SI FINGE DJ PER FARE UNA DEDICA ALLE COLLEGHE
A VOI, CHE ARDETE DI PAZIENZA
Q
uando in Tunisia sentivo la radio nazionale che
trasmetteva le dediche che gli ascoltatori facevano alla mamma, all’amica del cuore o al moroso, tutte le volte finivo sempre per chiedermi che gusto ci
fosse a dedicare una canzone a qualcuno che magari non
stava neanche ascoltando la radio. Però oggi, per l’anniversario di Yalla Italia, eccomi al posto di quelli che giudicavo e approfittare dello spazio accordatomi dai nostri cari - il direttore e il coordinatore - per parlarvi e parlare direttamente ai miei compagni di avventura: una squadra
da invidiare fatta di persone più uniche che rare.
Acchiappo il microfono ed ecco a voi il coro che esce
dal più profondo del mio cuore: la prima dedica va alla
mia piccola IMANE, un personaggio da road movie perché ci parla sempre del percorso di vita che sta facendo,
delle sue battaglie identitarie on the road. Tra i vari Easy
Rider e Thelma e Louisenon ho saputo cosa scegliere ma
l’illuminazione mi è arrivata quando mi sono ricordata
delle sue parole sulla traversata (virtuale) del Mediterraneo, del suo viaggio tra il Marocco natale e l’Italia odierna: eccoti Alla ricerca di Nemo. Le dedico una battuta che
mi piace troppo di questo film: «Quando la vita si fa dura, sai che devi fare?». «No, non lo voglio sapere». «Zitto e
nuota, nuota e nuota».
Poche persone sono convinte di quello in cui credono
come lo è SUMAYA, ma soprattutto di vivere le proprie idee
tutti i giorni senza cadere in quella incoerenza così diffusa di chi dice ma poi non fa. Vorrei dedicarti una frase della Bibbia che mi fa pensare a te: «Tutto quello che non
vien da convinzione è peccato». Ti vorrei chiedere anche
di continuare ad essere quella di cui non condivido le idee
ma che stimo per tutte le volte che mi ha fatto riflettere.
Ti posso assicurare che è durissimo tenere il botta e risposta con te!
Non possiamo passare la vita a farci delle domande e
cercare delle risposte? È una mia domanda che si morde
la coda. Credo che la dolce LUBNA,la colomba bianca della nostra redazione. sia anch’essa in continuo subbuglio
con domande filosofiche sulla vita e i suoi dintorni. Mi ricorda la giovane Sofia Amundsen che riceveva lettere piene di domande esistenziali «Chi sei tu? Da dove viene il
mondo?» e che non riusciva a dare risposte a questi quesi-
P
er scrivere questo articolo mi sono
messa nelle vesti del piccolo principe
di Saint-Exupéry e mi sono anche rivolta
ad una fonte sicura, mia madre, esperta di
media internazionali, e le ho fatto qualche domanda sulla presenza delle minoranze etniche, come gli arabi, nel mondo
delle televisioni europee.
Il primo pianeta televisivo che ho visitato è quello francese, definito da un articolo di Le Monde come un insieme di
schermi pallidi. La tv pubblica francese
mostra un’immagine distorta della realtà
multiculturale francese in quanto non è
riuscita ancora a trovare un giusto bilanciamento tra la diversità culturale della
società e la sua rappresentazione sul piccolo schermo. Mia madre mi disse a proposito che prima di parlare di media, sarebbe opportuno parlare di calcio, il che
mi ha un po’ sorpresa, anche se, devo ammettere, la sua affermazione «sai quel pallone tondo che unisce la terra», racchiude
in sé tante verità. Durante la Coppa del
Mondo del 1998, infatti, la Francia si era
qualificata con la squadra Black-BlancBeur. “Les beurs” è la denominazione in
La redattrice “anziana” (31 anni...)
si diverte a trovare una canzone
o un libro per le sue compagne di
avventura. Ma la dedica più bella
è quella collettiva.
Presa da una poesia di Neruda...
di Ouejdane Mejri
ti. A Lubna dedico Il mondo di Sofia di Jostein Gaarder
con la speranza che la lettura di questo libro non le dia
troppe risposte ma che le faccia vedere che sono stati in
tanti a farsi le domande, è bastato fare però quelle giuste.
Una dedica nel futuro si potrebbe fare? Mentre scrivo
questo articolo non è ancora uscito il film che aspetto da
mesi Sex and the city : the movie ma vorrei dedicare questo
film a RASSMEA. Sono sicura che lo guarderò decine e decine di volte, come ho fatto con la serie tv, e quindi posso
immaginare come sarà. Voglio solo dire a Rassmea che
non mi ricorda una ma tutte le protagoniste di questo
film, donne coraggiose, spiritose, grintose e libere di essere quello che vogliono. Durante le nostre riunioni sei la
più decisa ma anche la più sciolta, con i tuoi riccioli all’aria sprigioni libertà. Please, continua ad esserlo, per noi e
per tutti quelli che vogliono dire che noi donne musulmane non lo siamo!
Le mille sfumature che caratterizzano le parole che
usa MERIEM per esprimersi sia a voce oppure nei suoi articoli mi ricordano quella forza che avevano gli impressionisti per riprodurre con rigore e attenzione ciò che le
circonda. Meriem nelle sue frasi è sempre “fedele al vero”
dando ad ogni espressione la sua impressione personale.
Come gli impressionisti che davano al colore una sua au-
tonomia, ella rende più “luminoso” oppure più “grigio”
un discorso legandolo alle sue proprie emozioni. Vorrei
dedicare a Meriem il quadro La Cattedrale di Rouen di
Monet nelle sue quattro varianti che il grande maestro
dell’Impressionismo dipinse durante i mesi invernali del
1892-93.
È attraverso l’arte che si esprimono le anime non solo
sofferenti ma anche quelle dubitative o quelle che vengono da lontano con un messaggio altro, un messaggio nuovo e diverso. Questo pensiero ci è stato ribadito più volte
da NADRA che con la danza si è cercata e in essa ha scoperto la sua vocazione. Non credo che nella nostra redazione
ci sia qualche segno di attenzione particolare per la danza
ma amiamo l’arte in tutte le sue sfaccettature e soprattutto sotto tutti i colori etnici e non.
A Nadra vorrei dedicare una canzone della meravigliosa e giovane cantante marocchina Karima Skalli che
detiene i segreti di una musica raggiante che mischia note andaluse e musica classica araba. Quando ascolto il suo
cd Wasla mi ricorda nella dolcezza delle sue note i movimenti fluidi e leggeri di Nadra.
Bernard Werber ha scritto che «la bellezza è qualcosa
nello sguardo che esprime l’intelligenza e l’intelligenza è
qualcosa nello sguardo che esprime la bellezza» per unire
due aspetti che al giorno d’oggi sono strumentalizzati (lato estetico) e quasi deprezzati (lato intellettuale). Per questa occasione alle bellissime LAYLA e RUFAIDA vorrei dedicare un proverbio arabo che dice che «la bellezza è un semi-favore del cielo, l’intelligenza è un dono» e voi che avete entrambe queste doti sono sicura che saprete coniugarle al meglio.
Finalmente quando ho pensato alla dedica da fare a
tutti i ragazzi di Yalla Italia l’unica parola che mi è venuta
in mente è stata: pazienza.
Allora ragazzi, dall’alto dei miei trentun anni (mi dichiaro ufficialmente la più vecchia del gruppo delle donne...) vi supplico di continuare a sopportarci, a non pensare male delle nostre battute sugli uomini. Dedico a tutti una delle più belle poesie di Neruda intitolata Lentamente muore dalla quale estraggo la strofa finale: «Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una
splendida felicità». Con affetto to all…
LA TV PALLIDA,
CHE SI COLORA SOLO
CON IL CALCIO
Comunicare chi siamo? È facile dirlo. Ma poi se si va sui
grandi canali, per gli stranieri ci sono pochi spazi. A meno
che non siano dei campioni... di Ouissal Mejri
slang francese (beur è l’inversione della
parola francese arabe) che indica gli immigrati arabi di seconda generazione. La
ripresa in diretta di una squadra di undici
giocatori, di cui sette erano di colore, che
cantava l’inno francese, ha ufficializzato
in mondovisione l’essenza multietnica
della società francese.
Oggi i canali privati stanno adottando una politica differente da quella dei canali pubblici. I figli delle 2G appaiono nei
reality show o sono inviati in qualità di
giornalisti dalle tv di carattere strettamen-
te informativo, per esempio La chaine
info Lci.
Facciamo un salto in un altro pianeta.
Mi sintonizzo sui canali satellitari britannici in lingua inglese come Itv e Bbc e altri. Non mancano giornalisti e presentatori di colore. Però, in base a uno studio
sulla presenza delle minoranze etniche
nelle televisioni inglesi, questo pianeta
non rappresenta a 360 gradi la realtà del
Paese; infatti, la limitata presenza di volti
asiatici sugli schermi non è proporzionale alla loro presenza sul territorio. Ma al-
meno, lo sforzo delle televisioni britanniche di riflettere la multietnicità è reale ed
anche se ci sono degli obiettivi da raggiungere, gli esperti del settore sostengono che da dieci anni a questa parte molti
stereotipi sono stati abbattuti.
Quello italiano invece è un pianeta
più piccolo nelle dimensioni ma estremamente influente sull’opinione pubblica.
La presenza multietnica straniera sulla tv italiana si limita a qualche soubrette
(estremamente bella) dell’Europa dell’Est e alla nostra bella tunisina Afef Jnifen.
E i giornalisti arabi musulmani? Essi si
contano sulle due prime dita del palmo di
una mano: Rula Jebreal e Sacj Assi di Rai
News 24 e chiaramente noi di Yalla Italia.
Il piccolo principe vorrebbe sapere
come andranno le cose in futuro? La risposta verrà dal mondo del pallone? Ci saranno un giorno ragazzi italiani nati da
genitori stranieri che giocheranno con gli
azzurri? Spero di non dover aspettare
troppo quel giorno per vedere giornalisti,
presentatori e attori di varie culture entrare nelle case degli italiani... dal piccolo
schermo.
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L’ISLAM AL FEMMINILE. QUELLO CHE NESSUNO VI HA MAI DETTO
MA MAOMETTO STAVA
DALLA PARTE DELLE DONNE
Le voleva socialmente attive, e non segregate come accadeva nelle
società arabe arcaiche. Avevano accesso alle assemblee in cui il Profeta
insegnava. Poi cos’è successo? Proviamo a capire... di Randa Ghazy
I
ntanto, non ho voglia di stare a disquisire sull’equivalenza tra uomo e donna nella legge islamica e in generale nel Corano. C’è, punto. Chi non ci crede e
sputa sentenze in tv, si vada a leggere il Corano, e lo faccia
con criterio e spessore intellettuale, ovvero operando il
necessario sforzo interpretativo che richiede la lettura di
qualsiasi testo sacro, diffuso in epoca totalmente diversa
dalla nostra.
Ora, appurato questo, è chiaro che esiste sempre un
margine piuttosto ampio tra le prescrizioni coraniche e la
società islamica
ideale, e l’effettiva
applicazione e declinazione di tali
principi nelle società musulmane.
Equivalenza, dicevamo.
Com’erano effettivamente
le
donne ai tempi del
Profeta?
«La ricerca del
sapere è un obbligo per ogni musulmano e musulmana»,
diceva lui. Equiparandoli nei loro diritti, cioè. (Verrebbe
da dire, chiaramente, che l’ignoranza in cui, soprattutto
negli ambienti meno evoluti culturalmente, vengono tenute le donne, rappresenta quindi il più grande tradimento del messaggio dell’Islam).
Ma è indubbio che l’Islam abbia migliorato la condizione che la donna viveva nel diritto patriarcale degli arabi: Maometto chiese alle donne di vivere un ruolo sociale attivo, uscendo dalla segregazione e dall’isolamento.
Agli albori dell’epoca islamica, le donne partecipavano alle preghiere congregazionali dei musulmani e frequentavano, per istruirsi, le assemblee nelle quali il Profeta insegnava. In tali assemblee, i musulmani e le musulmane partecipavano congiuntamente.
Talvolta vi furono incontri separati, ma ciò avvenne
esclusivamente per motivi pratici, essendo gli uomini più
numerosi. Le donne, infatti, un giorno si lamentarono
con il Profeta: «Gli uomini che si assiepano intorno a te ci
rendono impossibile l’ascolto!».
Il Profeta dedicò quindi un giorno all’istruzione delle sole donne. Esse erano incoraggiate ad esprimere il proprio parere sia in materia religiosa sia legale o economica.
Omar, secondo Califfo dell’Islam, quando si trattò di nominare primo Califfo Abu Bakr, consultò tutta la popolazione, andando di casa in casa, a Medina, per raccogliere i pareri di tutte le musulmane. Le donne, nell’epoca
islamica, discutevano i loro punti di vista alla presenza del
Profeta e dei suoi successori, i Califfi.
Khadija, la prima moglie del profeta, mandava addirittura avanti da sola l’attività mercantile ereditata.
E DOVE INCIAMPAMMO?
Ecco, si può dire che una delle prime grandi distorsioni
della religione islamica iniziò con la nascita dell’ideologia
purista del wahhabismo, predicata dal teologo Wahab nel
diciottesimo secolo. Ideologia che sanciva la discriminazione della donna (in tempi moderni si riproduce nell’Arabia Saudita che impedisce alle donne di guidare...).
Col passare dei secoli, si è poi prodotta una doppia
tendenza: da una parte la nascita di regimi più o meno
dittatoriali ed integralisti che hanno creato società che io
definirei assolutamente “antislamiche”. La situazione afghana ne è un chiaro esempio. Il regime talebano ha un
sapore amaro, fastidioso. È la soppressione della ragione,
è la negazione della Verità. Il burqa esalta il nulla, il vuoto di contenuti che esprime il loro “islam”. Un nulla che
però uccide il diritto alla vita della donna, perché il burqa
è chiaramente una non-vita.
E dopo il passaggio degli Stati Uniti la situazione delle donne afghane non è cambiata.
Anche in Iran la rivoluzione islamica ha fatto la sua
parte, ma occorre aggiungere che è un Paese progredito
sotto molti aspetti, dove la donna esercita la sua socialità,
fa sport, partecipa alla politica, ma dove permangono
contraddizioni amarissime. E così appliCom’erano
effettivamente le donne care ad ogni costo la
in modo letteai tempi del Profeta? «La sharia
rale porta a orrori coricerca del sapere è un me le lapidazioni di
donne adultere.
obbligo per ogni
L’altra tendenza,
musulmano e
invece, è quella delmusulmana», diceva
l’occidentalizzazioMaometto
ne feroce. Questo è il
tassello che, paradossalmente, manca a
molti occidentali. Quelli che identificano le donne musulmane come tutte uguali, tutte sottomesse.
Ebbene, costoro non sanno che in molte società musulmane si è fatto strada il concetto che «maggiore libertà
significa maggiore occidentalizzazione», e di ciò ne fanno le spese proprio le donne, che finiscono per essere strumentalizzate da dittature sanguinarie ma «liberali perché
laiche» e perdono così la maggior parte dei diritti che Dio
ha loro concesso.
Non a caso, le
condizioni più critiche riguardano proprio le donne appartenenti a tali società “occidentalizzate”, come Tunisia,
Marocco, Algeria.
In Tunisia, addirittura, si vieta il velo
nei luoghi pubblici.
Ma non è sicuramente questo, credo, a rendere una donna musulmana libera.
“
UN TRIPUDIO DI CONTRADDIZIONI
Si combatte una lotta contro il velo pensando che questo
possa regalare nuovi diritti.
Ma dimenticano che il velo può essere invece manifestazione di libertà. La libertà di scelta. Di non essere, a
volte, donne-oggetto, ma anzi donne-soggetto. Alcune
femministe, come l’egiziana Nawal Al Saadawi, giocano
la chiave della provocazione perenne. Propone, come ultima esagerazione, di dare ai figli il cognome delle madri.
Non capendo che la lotta per i diritti delle donne non si
gioca in chiave di competizione con l’universo maschile.
Io penso che le storture del femminismo occidentale
debbano insegnarci qualcosa, ed essere per noi un prezioso sostegno. Per non prendere la strada sbagliata.
Come sono le donne musulmane di oggi? Non si può
rispondere facilmente.
Io so che ce ne sono tante che ci possono rendere orgogliose.
Ci sono state Tancu Ciller e Benazir Bhutto. Due
donne che hanno ricoperto la carica di primo ministro,
l’una in Turchia e l’altra in Pakistan. Laddove, in Italia e
in Spagna, ad esempio, non si sono mai avute donne premier.
C’è stata anche Suzanne Al-Houby, palestinese originaria di Jaffa, che è stata la prima donna araba ad aver scalato il monte Elbrus, la cima più alta d’Europa. Ha dichiarato che scala montagne per dimostrare al mondo
che i palestinesi amano la vita.
C’è stata Shada Hassoun, cantante irachena che ha
vinto un festival arabo con una canzone che ha raccolto i
voti sia di sunniti che di sciiti. Uniti per una volta. A vittoria conclamata sono scesi insieme a festeggiare per le
strade di Bagdad.
Ci sono attiviste come Zainah Anwar, direttrice a
Barcellona di Sisters in Islam, una delle più importanti
organizzazioni di donne musulmane.
Oggi le donne dell’Islam sono ad un tempo vittime e
padrone del proprio destino.
Sono vittime, come la ventitreenne curda Hatun Surucu, uccisa dal fratello diciottenne perché aveva divorziato dal cugino sposato forzatamente a 16 anni, e perché
usciva con un ragazzo tedesco.
O come Hina, ragazza pakistana che viveva nel bresciano, uccisa dal padre perché viveva “alla occidentale”.
O come numerosi altri casi raccapriccianti, vedi la ragazza saudita stuprata da sei uomini e condannata a sei
mesi e a duecento frustate per la colpa di essersi fatta trovare dagli stupratori “appartata con un uomo”, vedi l’iraniana Nasrin Afzali, condannata a sei mesi di reclusione
e a dieci frustate per essere stata presente ad un raduno di
protesta di femministe davanti alla Corte rivoluzionaria
di Teheran, eccetera eccetera.
Ma sono anche libere, e determinate.
Non tutto il monIo penso che le storture do musulmano è
uguale, non è un blocdel femminismo
co monolitico: in nuoccidentale debbano
merosi Paesi, come
insegnarci qualcosa, ed l’Egitto, la Tunisia, il
Libano, godono di
essere per noi un
prezioso sostegno. Per grandi libertà e protericoprono ruoli
non prendere la strada zione,
importanti.
sbagliata
Ed è da lì, e dalle
donne di seconde generazioni cresciute in
Paesi non musulmani, che viene il carburante necessario
ad avviare una stagione riformista nelle società musulmane.
Le donne avranno un ruolo da protagonista, per il
semplice fatto che sono le più arrabbiate, sono le più vituperate, quelle a cui sono stati calpestati più diritti.
I governi occidentali non li aiutano, continuando ad
appoggiare a scelta e a intermittenza leader che si fingono
grandi liberali in politica estera, per poi lavare i loro panni sporchi in casa.
E gli uomini sono spesso avversari, considerato che
l’obiettivo è proprio svecchiare società patriarcali e maschiliste.
Ed è questa consapevolezza di dover fare se non tutto,
comunque molto, con le proprie forze, che le renderà più
determinate, audaci, e infallibili.
“
Y A L L A
I T A L I A
Dopo aver festeggiato il primo anno, Yalla Italia tornerà
con un tema “scomodo": l'autocritica. Come le seconde
generazioni sdoganano una questione che per chi li ha
preceduti è sempre stato un tabù?

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