La pagina de la Repubblica con il testo integrale dell`articolo
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La pagina de la Repubblica con il testo integrale dell`articolo
VENERDÌ, 23 MAGGIO 2008 Pagina VII - Milano NON C´È UNA RISPOSTA UNICA PER OGNI ANGOLO DEL MONDO Cosa insegna l´emergenza FULVIO IRACE Gli I-beam sono un gruppo non-profit di New York che si è fatto le ossa in Kosovo: utilizzando i pallets degli aiuti umanitari hanno costruito un rifugio simile a una casa. Ma non costa nulla, se non la mano d´opera di chi l´abiterà. Ad Atlanta i Mad Housers sono un´associazione di volontari che di architettura hanno solo quelle nozioni elementari che consentono di costruire una casa poco più grande di una cabina di legno, utilizzando materiali di scarto dell´opulenta civiltà americana. Se il protagonista della "Ricerca della felicità" di Muccino l´avesse avuta a disposizione la notte in cui è costretto a dormire in un gabinetto pubblico, forse al risveglio avrebbe affrontato con più grinta la giornata. Per Nader Khalili, architetto iraniano scomparso da pochi mesi, bastano dei sacchi di sabbia per una casa-capanna che con pochi movimenti anche i contadini inesperti dell´arte del costruire non hanno difficoltà a tirar su. Sono questi alcuni dei tanti volti dell´emergenza che si confronteranno oggi in Triennale, dove, a coronamento della mostra "Casa per tutti", anonimi protagonisti e famose archistar discuteranno in un seminario aperto al pubblico degli architetti, degli studenti, degli amministratori e di chi ben conosce le difficoltà dell´abitare nella società globale. Il cileno Aravena - inventore del sistema di costruzione Elemental che ha consentito al sindaco di Santiago di dare una casa a migliaia di diseredati delle favela - il giapponese Kengo Kuma, gli olandesi Mvrdv, l´italiano Cino Zucchi, Bruce Lebell del World Shelters, esponenti della Croce Rossa, racconteranno i mille volti di una parola che ha finito con l´assommare, confondendoli, disagi e aspirazioni in cui si esprime la molteplicità del mondo di chi non ha una casa e vorrebbe averla. È l´ennesimo paradosso della globalizzazione il pensare di risolvere in maniera standardizzata un problema che ha radici nei singoli contesti e nel cercare una risposta universalmente valida a domande che nascono dalla peculiarità di culture, economie, socialità di carattere regionale o addirittura locale. Incentivare il dialogo tra tecniche pre e post moderne, favorire la flessibilità di soluzioni che tengano conto delle possibilità presenti nel luogo, nei costumi di vita e nelle capacità di utilizzare i materiali è la linea d´approccio su cui stanno investendo quanti si rendono conto che il Pianeta degli slums descritto da Mike Davis è il contraltare della globalizzazione dell´architettura internazionale. Non ha senso portare in paesi poveri di tecnologia i prodotti sofisticati del know how occidentale o importare tipologie abitative estranee ai costumi abitativi di popolazioni remote che hanno bisogno al tempo stesso di qualcosa di più e di diverso. Lo sappiamo bene anche in Italia, dove mobilità e crisi economica hanno posto in evidenza sacche di disagio ben nascoste dietro le ordinate facciate delle nostre città: dai flussi dei clandestini, agli homeless temporanei come gli studenti, a quelli volontari come i nomadi, a quelli obbligati come i disoccupati. 1 di 1