5-2007 - Journal of the Italian Society of Anatomic Pathology and

Transcript

5-2007 - Journal of the Italian Society of Anatomic Pathology and
pathologica 2007;99:301-305
Caso
clinico
Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in età pediatrica:
descrizione di un caso e revisione della letteratura
Collecting duct carcinoma iin paediatric patients:
a case report and review of the literature
A. Gurrera, P. Amico, A. Di Cataldo*, E. Vasquez, G. Magro
Dip. “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, Catania;
*
Centro di Riferimento Ematologia e Oncologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, Catania
Parole chiave
Carcinoma dotti collettori • Rene • Età pediatrica
Riassunto
Key words
Collecting duct carcinoma • Kidney • Children
Summary
Il carcinoma dei dotti collettori è una variante rara di carcinoma
renale che insorge in pazienti più giovani rispetto al carcinoma
renale convenzionale. È caratterizzato da un decorso clinico aggressivo, spesso fatale. I carcinomi renali dell’età pediatrica sono
rari e si associano spesso a specifiche alterazioni genetiche. Gli
istotipi più frequenti sono il carcinoma a cellule chiare e quello
a cellule cromofobe, mentre eccezionale è il riscontro del carcinoma dei dotti collettori, con circa 8 casi riportati in letteratura.
Descriviamo gli aspetti clinico-patologici di un carcinoma dei
dotti collettori insorto in un bambino di 11 anni caratterizzato da
un decorso clinico fatale.
Collecting duct carcinoma is an uncommon variant of renal
cell carcinoma that usually occurs at an earlier age compared
to conventional renal cell carcinoma. It is characterised by an
aggressive, often fatal, course. Renal cell carcinoma rarely
occurs in paediatric patients, and is almost always in association
with specific genetic alterations; the most common histotypes are
the clear cell and chromophobe cell variants. Collecting duct
carcinoma is rare, and only 8 cases have been reported in the
literature. The authors describe the clinico-pathological features
of a fatal collecting duct carcinoma in an 11-year old boy.
Introduzione
Caso clinico
Il carcinoma dei dotti collettori di Bellini è una rara
neoplasia renale, rappresentando meno dell’1% dei
tumori epiteliali maligni dell’adulto. Questo tumore
mostra un picco d’incidenza attorno ai 50 anni di età,
e generalmente si riscontra in pazienti di età più giovane rispetto al carcinoma renale convenzionale 1 2. La
distinzione di questa neoplasia dagli altri istotipi di
carcinoma renale è di cruciale importanza, in quanto
presenta un decorso clinico aggressivo ed una prognosi sfavorevole. Infatti, nella maggior parte dei casi,
al momento della diagnosi, la neoplasia si presenta
già in fase metastatica 1 2. Sono eccezionali i casi di
carcinoma dei dotti collettori di Bellini insorti in età
pediatrica o adolescenziale; in letteratura finora sono
stati descritti circa otto casi.
Un bambino di 11 anni presentava improvvisamente, in
pieno benessere, un episodio di ematuria macroscopica.
L’esame obiettivo e gli esami ematochimici risultavano
nella norma. L’ecografia dell’addome evidenziava la
presenza di una neoformazione solida nel rene destro.
La TC toraco-addominale confermava la presenza di
una neoformazione renale, infiltrante il grasso perirenale con aree ipodense riferibili ad aree di necrosi intralesionale. Inoltre, si evidenziavano trombosi della vena
cava inferiore ed alcuni linfonodi aumentati di volume
(diametro massimo 14 mm) in sede inter-aorto-cavale.
Era presente una lesione nel VII segmento epatico, di
verosimile origine metastatica. Il bambino veniva sottoposto a nefrectomia radicale destra con linfoadenectomia. Macroscopicamente la neoplasia, delle dimensioni
Corrispondenza
Dott.ssa Alessandra Gurrera, Dip. “G.F. Ingrassia”, Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico “Gaspare Rodolico”, via S. Sofia 87, 95123 Catania, Italy - Tel. +39 095 3782030
- Fax +39 095 3782023 - E-mail: [email protected]
302
A. Gurrera et al.
di 6,3 cm di diametro maggiore, era localizzata nel polo
superiore del rene destro e occupava sia la corticale che
la midollare. Alla superficie di taglio, la neoformazione
presentava un colorito bianco-grigiastro, ampie aree di
necrosi e margini infiltrativi (Fig. 1). La capsula renale,
a tratti, appariva infiltrata. I linfonodi reperiti nel tessuto
adiposo ilare e quelli addominali para-aortici asportati,
apparivano aumentati di volume e conglobati. Istologicamente la neoplasia presentava un pattern prevalentemente tubulare (Fig. 2A), con tubuli di varie dimensioni,
talora dilatati microcisticamente, immersi in uno stroma
con marcata reazione desmoplastica (Fig. 2B). Erano
presenti focali accumuli di mucina intraluminale. I
tubuli erano rivestiti da cellule cubico/colonnari con
abbondante citoplasma eosinofilo che, occasionalmente, protrudevano all’interno del lume, configurando un
aspetto tipo “hobnail”. Si riscontravano, inoltre, aree
con pattern di crescita di tipo solido-trabecolare (Fig.
2C), con focale aspetto fusato-sarcomatoide ed ampie
aree di necrosi tumorale. Le cellule mostravano marcato pleomorfismo nucleare con nuclei vescicolosi e
Fig. 1. Aspetto macroscopico. Neoformazione solida in corrispondenza del polo superiore del rene destro, con margini
irregolari ed aree di necrosi intratumorale.
Fig. 2. Aspetti microscopici. (A) Pattern di crescita tubulare: tubuli neoplastici di varie dimensioni, immersi in stroma desmoplastico.
(B) Tubuli neoplastici dilatati microcisticamente con reazione desmoplastica dello stroma. (C) Pattern di crescita prevalentemente solidotrabecolare. (D) Tubuli circostanti la neoplasia con displasia di grado variabile, da lieve a moderato-severo con associata neoplasia invasiva
(in basso a destra).
A
B
C
D
303
Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in etÀ pediatrica
nucleoli prominenti; si evidenziavano numerose mitosi,
alcune atipiche. Alcuni tubuli circostanti alla neoplasia
presentavano un grado variabile di displasia, da lieve
a moderato-severo (Fig. 2D). Sulla base degli aspetti
morfologici veniva posta la diagnosi di “carcinoma dei
dotti collettori di Bellini, di tipo classico”.
La neoplasia infiltrava la pelvi e si estendeva al tessuto
adiposo del seno renale e perirenale. Tutti i linfonodi
esaminati risultavano metastatici. Stadiazione pTNM:
T3 N2 Mx.
Le indagini immunoistochimiche evidenziarono una
positività per l’antigene epiteliale di membrana (EMA),
per le citocheratine 7, 8, 18 e per le citocheratine ad alto
peso (34βE12). Negative risultarono le colorazioni per
vimentina e racemasi (Tab. I).
Tab. I. Carcinoma dei dotti collettori in età pediatrica: dati immunoistochimici ottenuti.
Citocheratina 7
+
Citocheratina 8
+
Citocheratina 18
+
Citocheratina 34βE12
+
Antigene epiteliale di membrana
+
Racemasi
-
Vimentina
-
Per il carcinoma dei dotti collettori di Bellini, patologia
estremamente rara in età pediatrica, non è disponibile
un protocollo terapeutico standard. Le Linee Guida del
Gruppo TREP (Tumori Rari Età Pediatrica) dell’AIEOP
(Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica) prevedono, in caso di nefrectomia e presenza di
linfonodi metastatici, un trattamento con Interleuchina 2
alla dose di 3.000.000 di Unità/mq/die per via sottocutanea per 5 giorni, seguiti da 9 giorni di pausa, per un
periodo di 6 mesi, quindi un totale di 12 cicli. In assenza
di effetti collaterali significativi è previsto di aumentare il dosaggio fino a 6.000.000 di Unità. La terapia è
stata somministrata per i primi 7 cicli senza problemi
di rilievo, all’infuori di una lieve sindrome influenzale
trattata efficacemente con FANS. All’inizio dell’8° ciclo, una ecografia dell’addome mostrava la presenza di
numerosi linfonodi aumentati di volume in prossimità
del tripode celiaco. La TC confermava il dato ecografico e mostrava altresì: i) linfonodi aumentati di volume
nel mediastino anteriore, medio e posteriore ed agli ili
polmonari; ii) diffuse metastasi polmonari bilaterali; iii)
metastasi ossee al rachide toraco-lombare, e alle due
scapole; iv) numerose metastasi epatiche; v) trombosi
della vena cava inferiore allo sbocco della vena renale
ed a livello intraepatico; vi) metastasi al surrene sinistro;
vi) metastasi alla milza. Non fu eseguita nessuna altra
terapia. Il ragazzo è deceduto a casa, 40 giorni dopo
l’esecuzione della TC.
Discussione
Il carcinoma renale è una neoplasia dell’età adulta con un
picco di incidenza intorno alla sesta decade di vita. Nei
bambini e negli adolescenti è raro, rappresentando meno
del 7% dei tumori maligni primitivi del rene 3 (e meno
del 4% dei tumori renali primitivi); in questa fascia d’età
gli istotipi più frequenti sono la variante a cellule chiare 4
e il carcinoma a cellule cromofobe 5. I carcinomi renali
dell’età pediatrica differiscono da quelli che insorgono
in età adulta in quanto spesso si associano a specifiche
anomalie cromosomiche. Tra queste, le più comuni sono
le traslocazioni che interessano il cromosoma Xp11.2
e comportano una fusione del gene TFE3; infatti nella
classificazione WHO 2004 6 è stata inserita una variante
di carcinoma renale, definita appunto “carcinoma renale
con traslocazione Xp11.2/fusione del gene TFE3”, caratterizzata da un diverso comportamento clinico e da una
predilezione per l’età pediatrica e giovane adulta. Un’altra anomalia ben nota è quella che interessa la regione
genica VHL localizzata nel cromosoma 3p25-26 che si
riscontra nei carcinomi renali a cellule chiare associati alla sindrome von Hippel-Lindau, che insorgono in pazienti
più giovani rispetto ai carcinomi usuali. In una serie di
carcinomi renali dell’età pediatrica riportata 7 sono state
descritte infatti una perdita della eterozigosi della regione
genica VHL e un’instabilità dei microsatelliti. I carcinomi
renali dell’età pediatrica differiscono, inoltre, da quelli
dell’età adulta anche per alcuni aspetti morfologici, essendo più frequenti i sottotipi ad architettura papillare 8
e le varianti inusuali, quali il carcinoma a cellule chiare
associato a tumore di Wilms 7 e casi di carcinoma renale
associati a neuroblastoma, insorto dopo trattamento chemioterapico 9.
Il carcinoma dei dotti collettori di Bellini è una rara
variante di carcinoma renale con distinti aspetti clinici
e istopatologici 10 che insorge in età più giovane rispetto al carcinoma renale convenzionale 11, presenta una
predominanza maschile e si riscontra in pazienti con
familiarità per patologia neoplastica 12. È una neoplasia
inusuale e ancora più raro è il suo riscontro nei bambini
e negli adolescenti; in letteratura ne sono riportati circa
otto casi (Tab. II) 3 7 8 12-14. Insorge tipicamente nella
midollare del rene, dai dotti collettori distali, anche se
sono descritti casi insorti nella corticale 15. Macroscopicamente ha margini mal definiti, spesso infiltrativi con
frequente estensione al tessuto adiposo del seno renale e
perirenale. Microscopicamente presenta vari pattern di
crescita, più frequentemente tubulare o tubulo-papillare,
talora microcistico, che conferisce alla neoplasia un
aspetto spugnoso, e/o solido con possibile componente
a cellule fusate di aspetto sarcomatoide 16 17. È tipico il
riscontro di una marcata reazione desmoplastica dello
stroma circostante. Occasionale è la presenza di mucina intraluminale, interstiziale o intracitoplasmatica,
talora con aspetto a cellule ad anello con castone, che
può simulare un adenocarcinoma mucinoso. Inusuale
è il riscontro di inclusioni filamentose che simulano un
tumore rabdoide 13.
304
A. Gurrera et al.
Tab. II. Carcinoma dei dotti collettori in età pediatrica: dati clinico-patologici.
Autore
N. casi
Sesso
Età
Dimensione
tumore
Trattamento
Stadiazione
Follow-up
Lack
1
F
16 anni
3 cm
nefrectomia,
radioterapia,
actinomicina D
e vincristina
IV (AJCC)
Mts* linf**
mediastinici
e para-aortici
deceduto dopo
2 anni;
mts* polmonari,
epatiche, linfonodali
Weeks
1
M
3 anni
> 5 < 19 cm
(range)
nefrectomia
?
?
Dimopoulos
?
?
16-62 anni
(range)
> 2,7 < 14 cm
(range)
nefrectomia
?
4-65 mesi
Craver
1
M
8 anni
7 cm
nefrectomia
interferon-α
mts* pleurica,
polmonare, linf**
retroperitoneali
e diaframmatci
deceduto dopo 5 gg
Renshaw
2
?
11 anni
2,9 cm
nefrectomia
T1-2, N1
(AJCC)
1 paziente
deceduto dopo
2 anni;
16 anni
5 cm
17 anni
6 cm
19 anni
5,5 cm
11 anni
6,3 cm
Bruder
2
Gurrera
*
mts: metastasi;
1
**
?
M
1 paziente no
evidenza di malattia
dopo 18 anni
nefrectomia
?
?
nefrectomia
e interleuchina
pT3 N2
(TNM)
deceduto dopo 40 gg;
mts* linf**,
epatiche, polmonari
e addominali
linf: linfonodi
Sebbene la maggior parte dei carcinomi dei dotti collettori
riportati in letteratura insorga come neoplasia renale isolata, occasionalmente sono stati descritti casi in associazione con carcinomi renali papillari 18 ed oncocitomi 19. Nel
caso da noi descritto la neoplasia presentava la tipica localizzazione midollare e l’origine della neoplasia dai dotti
collettori era supportata dal riscontro di aspetti displastici
nei dotti viciniori 14 20 e dalla positività immunoistochimica per citocheratine 7, 8, 18, per citocheratine ad alto peso
(34βE12) e per l’antigene epiteliale di membrana (EMA),
a conferma dell’origine dalle cellule del tubulo distale che
normalmente esprimono questi antigeni 12; la vimentina e
la racemasi – antigeni espressi insieme alle citocheratine
a basso peso dai carcinomi renali convenzionali che originano dalle cellule dei tubuli prossimali – risultavano invece negative. La diagnosi differenziale veniva posta con il
carcinoma renale di tipo midollare. Questa neoplasia, pur
insorgendo dai dotti collettori distali, è considerata un’entità distinta di carcinoma renale. Essa tipicamente insorge
in soggetti giovani (range 10-40 anni) e si associa quasi
sempre ad anemia falciforme 21. Istologicamente è caratterizzata da un prevalente pattern di crescita di tipo reticolare, che ricorda il tumore del sacco vitellino, associato
ad un pattern di crescita tubulare/adenoido-cistico. Lo
stroma è marcatamente desmoplastico, come nel carcinoma dei dotti collettori. Tuttavia, nel nostro caso, l’assenza
di emoglobinopatie e, istologicamente, del tipico pattern
reticolare e tubulare/adenoido-cistico, ci consentiva di
escludere il carcinoma renale di tipo midollare.
Il carcinoma dei dotti collettori che insorge in età adulta
non sembra essere associato a specifiche anomalie cromosomiche, anche se è stata riportata una monosomia
per i cromosomi 1, 6, 14, 15 e 22 22. Queste anomalie
non sono state riscontrate invece nei carcinomi dei dotti
collettori dell’età pediatrica, i quali sembrano essere
correlati invece ad una elevata instabilità dei microsatelliti (MSI) 7, suggerendo che questo fenomeno possa
avere un importante ruolo patogenetico.
Conclusioni
Il caso da noi descritto conferma che il carcinoma dei dotti collettori dell’età pediatrica, così come quello insorto in
età adulta 23, è caratterizzato da un decorso clinico aggressivo e da una prognosi infausta. Il trattamento è limitato
305
Carcinoma dei dotti collettori di Bellini in etÀ pediatrica
alla sola resezione chirurgica, essendo la neoplasia poco
sensibile sia alla chemioterapia che alla radioterapia. La
maggior parte dei casi descritti si presentano con metastasi polmonari al momento della diagnosi 12; nel nostro
caso, all’esordio la malattia si presentava ad uno stadio
avanzato (pT3N2) ed erano già presenti metastasi diffuse,
epatiche e polmonari. Le Linee Guida del Gruppo TREP
dell’AIEOP prevedono in caso di nefrectomia e metastasi
linfonodali un trattamento con interleuchina. Nel nostro
caso, la terapia con interleuchina non riusciva a contrastare la malattia che, progredendo ulteriormente, portava
rapidamente a morte il paziente.
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pathologica 2007;99:306-308
Caso
clinico
Granuloma faciale
Granuloma facciale
A. KHALED, M. JONES, R. ZERMANI*, B. FAZAA, K. BACCOUCHE**, S. BEN JILANI*, M.R. KAMOUN
Department of Dermatology “Charles Nicolle” Hospital of Tunis;
*
Department of Anatomopathology “Charles Nicolle” Hospital of Tunis; ** Dermatologist, Nabeul
Key words
Granuloma faciale
Summary
Granuloma faciale is a rare, benign skin condition that usually occurs on the face. Using an exemplary case of granuloma faciale,
we will present the clinical and histological characteristics of this
dermatosis.
A 49-year-old man presented with a 6-month history of a 10 mmdiameter asymptomatic papulo-nodular red-brown lesion of the
nose. A biopsy specimen led to the diagnosis of granuloma faciale. The patient received a session of pulsed-dye laser therapy,
which led to significant improvement.
This benign and usually isolated dermatosis can more rarely be
extrafacial. It may often be mistaken for other benign dermatoses
(sarcoidosis, discoid lupus erythematosus) as well as for malignant dermatoses (lymphoma, basal cell carcinoma). Histology is
key to correct diagnosis.
Introduction
Granuloma faciale is a rare, benign condition of the skin
that usually occurs on the face, although extra-facial
forms have been described. The lesion can be mistaken
for other benign or malignant dermatoses. Histopathology is thus key to correct diagnosis. Herein the authors
present an isolated case of granuloma faciale, and
present the clinical and histological characteristics and
treatment options for this dermatosis.
Parole chiave
Granuloma facciale
Riassunto
Il Granuloma facciale è uno stato benigno raro della pelle che si
presenta solitamente sulla faccia. Attraverso un caso isolato del
granuloma facciale, preciseremo le particolarità cliniche ed istologiche di questa dermatosi: un uomo di 49 anni si è presentato
con una lesione di 6 mesi marrone-rosso papulo-nodulare asintomatica del naso di 10 millimetri di diametro. È stata effettuata
una biopsia della lesione che ha condotto alla diagnosi del granuloma facciale. Il nostro paziente ha ricevuto un’applicazione
di laser pulsed-dye con un notevole miglioramento.
Questa dermatosi, benigna e solitamente solitaria, può raramente essere extrafacciale. Può essere confusa spesso con altre
dermatosi benigne (sarcoidosi, erythematosus discoid lupus) e
perfino dermatosi maligne (linfoma, carcinoma basocellulare).
Ecco perché l’istologia è la chiave per una diagnosi corretta.
Fig. 1. Erythematous papulo-nodular lesion of the nose with
dilated ostia of infundibula on the surface.
Case report
A 49-year-old man presented with a 6-month history
of an asymptomatic papulo-nodular lesion of the nose.
Upon examination a 10 mm-diameter red-brown nodule
marked on its surface by patulous ostia of infundibula
Correspondence
Dr Khaled Aida, Résidence Diar Ezzahra 4 immeuble Ambar Appartement 94, 2034 Ezzahra Tunisia - Tel. +21 698 670022 - Fax
+21 671 571441 - E-mail: [email protected]
307
Granuloma faciale
was visible (Fig. 1). There were no laboratory findings.
A biopsy specimen showed a dense mixed-inflammatory-cell infiltrate of the dermis (Fig. 2) composed of
lymphocytes, plasma cells, macrophages, eosinophils
and neutrophils, which were sometimes leukocytoclastic and infiltrate was concentrated around ectatic blood
vessels (Fig. 3) that house fibrin in their wall; extrava-
Fig. 4. Spared papillary dermis or Grenz zone.
Fig. 2. Dense inflammatory dermic infiltrate.
sated erythrocytes could also be observed. The lesion
spared the overlying epidermis and the papillary dermis
forming a Grenz zone (Fig. 4). These findings lead to
the diagnosis of granuloma faciale. The patient received
a session of pulsed-dye laser with subsequent improvement of the lesion.
Discussion
Fig. 3. Infiltrate concentrated around ectatic blood vessels composed of lymphocytes, plasma cells, macrophages, eosinophils
and neutrophils sometimes leukocytoclastic with extravasated
erythrocytes and perivascular fibrin deposits.
Granuloma faciale is a rare benign granulomatous condition of unknown aetiology that affects predominantly
middle-aged men 1. It was first described as cutaneous
eosinophilic granuloma by Lever in the 1950’s 2. The lesion, often solitary (in two-thirds of cases) 2 3, appears as
red-brown or purple, rarely ulcerated, papule, nodule or
plaque. It is generally asymptomatic and only rarely does
it cause pruritus. Dilated ostia of infundibula on its surface
are suggestive of diagnosis 3. Superficial telangiectasia can
also be observed 2. Granuloma faciale is usually located
on the face (95% in Ortonnes’s series 2) where it tends
to occur on the nose (27%), forehead (25%) or cheeks
(21%). Extra-facial locations are rare but cases where
the trunk, upper limbs or scalp are involved have been
also reported 4-6. When two locations coexist, the facial
lesion is generally the first to appear 7.
Clinically, granuloma faciale can lead to erroneous
diagnosis of cutaneous sarcoidosis, lymphoma, polymorphous light eruption, discoid lupus erythematosus
or even basal cell carcinoma 1. Diagnosis is based on
histopathological examination, which shows a dense
and polymorphous infiltrate that spares the overlying
epidermis and the papillary dermis (Grenz zone) (Fig.
4) and concentrates around ectatic blood vessels (Fig.
3). This infiltrate is composed of lymphocytes, plasma
cells, macrophages, eosinophils and neutrophils that are
sometimes leukocytoclastic (Fig. 3). Extravasated erythrocytes, hemosiderin deposits and fibrin peri-vascular
deposits may also be observed. All these features were
present in our case, although none is mandatory for diagnosis. Indeed, even those lesions considered as “classic”, can be absent in confirmed granuloma faciale 1.
308
A. KHALED et al.
The infiltrate composition depends on the age of the
lesions. Early plaques show a predominance of eosinophils 1 and fibrinoid necrosis 3, whereas in more
mature lesions, the infiltrate is lympho-histiocytic with
occasional perivascular fibrosis 3. Erythema elevatum
diutinum may constitute a histological differential
diagnosis of granuloma faciale, especially in extrafacial locations, since it shows vasculitis with a dense
inflammatory infiltrate composed of leukocytoclastic
neutrophils. Neither the biological characteristics associated with granuloma faciale, apart from a moderate and inconstant elevation in blood eosinophils, nor
pathological associations have been described. These
lesions are benign but persistent, growing slowly and
rarely ulcerating. Treatment remains unclear because
of the lack of randomised studies. Many treatments
have been attempted with limited or transitory benefits (antimalarials, dapsone, topical or intralesional
corticosteroids, clofazimine, PUVA therapy, liquid
nitrogen, surgical excision, argon laser, CO2 laser) 5.
Promising results, particularly regarding the aesthetic
aspects have been reported with cryosurgery 8 and
pulsed-dye laser 6 9. Our patient received the latter treatment with subsequent clinical improvement.
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Caso
clinico
Intraventricular neurocytoma: case report
Neurocitoma intraventricolare: caso clinico
S. Ulivieri, G. Oliveri
Department of Neurosurgery, “Santa Maria alle Scotte” Hospital, Siena, Italy
Key words
Central neurocytoma • Intrventricular neoplasm • Magnetic resonance imaging
Summary
Parole chiave
Neurocitoma • Tumore ventricolare • Risonanza magnetica nucleare
Riassunto
Intraventricular neurocytoma is a rare, usually benign tumour of
neuronal differentiation, recently recognized as a clinico-pathological entity in comparison to the other intraventricular tumours. It is
generally found in the lateral or third ventricles in close relationship
with the septum pellucidum, and commonly affects young adults.
The authors present a case of an intraventricular neurocytoma in a
25-year-old male and discuss the importance of diagnostic criteria,
pathological findings and management of these tumours.
Il neurocitoma intraventricolare è un tumore raro, frequente
nei pazienti giovani, recentemente riconosciuto come un’entità
clinico-patologica nuova rispetto agli altri tumori de ventricoli
cerebrali, generalmente localizzato nel terzo o nei venticolo
laterale e spesso a contatto con il setto pellucido. Viene presentato il caso clinico e la letteratura attinente revisionata e
discussa.
Introduction
cytochemical analysis and molecular techniques can
confirm the neuronal origin of the tumour.
Since the initial description of central neurocytoma
by Hassoun et al. 1, a number of reports have documented the histological, immunohistochemical and
ultra structural features and clinical outcome of this
neoplasm. Usually found in an intraventricular location, these tumours show clear cells intersected by a
vascular meshwork. Tumours with these histological
features have also been reported in an extra ventricular location, in the corpus callosum, in basal ganglia
and within the parenchymal and spinal cord. More
recently, a multifocal neurocytic tumour with leptomeningeal dissemination has been reported 2.
Although generally associated with favourable prognosis, cases with aggressive courses have also been
reported 3. Intraventricular tumours usually present
with signs of occlusive hydrocephalus such as headache, nausea and visual or mental disturbances 4 5.
Differential diagnosis of these tumours includes
choroid plexus papilloma, ependymona, subependymal giant-cell astrocytoma, intraventricular meningioma, astrocytoma and oligodendroglioma; immuno-
Case report
A 25-year-old male presented with a history of headache lasting a few months. Neurological and physical
examination was normal. CT scan disclosed a large
isodense ventricular tumour entirely occupying the
frontal horn of the left lateral ventricle displacing the
septum to the right that was enhanced slightly after
contrast injection. MRI of the brain confirmed similar
features with the tumour obstructing of the foramen
of Monro and the involvement of the rostrum of corpus callosum (Fig. 1). The patient underwent a left
frontal craniotomy; and the left lateral ventricle was
entered through a transcallosal approach.
The tumour was soft and could be removed with gentle suction; the wall of the lesion was gently peeled
off from the wall of the ventricle, and appeared to
arise just posterior to the septum pellucidum. Histological examination demonstrated a homogenous
Correspondence
Dr. Simone Ulivieri, Unità Operativa Complessa di Neurochirurgia,
Policlinico “Santa Maria alle Scotte”, 53100 Siena, Italy Tel. +39 0577 585754 - E-mail: [email protected]
310
Fig. 1. Axial T1-weighted MRI scan shows the tumour, isointense
with the cerebral cortex in the left lateral ventricle.
S. Ulivieri, G. oliveri
Fig. 3. The case was synaptophysin immunopositive (Syn x 200).
astrocytes within the tumour tissue, although the neoplastic cells stained negative for GFAP.
The postoperative period was uneventful, with a transient neuropsychological dysfunction corresponding
to frontal signs and callosal disconnection signs;
there was no residual tumour detected in the postoperative CT scan, and the patient was discharged after
10 days.
Discussion
Fig. 2. Histomorphology of central neurocytoma (CN) showing
sheets of uniform, small-to-medium-sized cells (x 100).
proliferation of uniform small cells separated by zone
of fine fibrillarity (Fig. 2). Honeycomb architecture,
Homer-Wright rosettes and pseudo rosettes were
not found. Immunohistochemistry for synaptaphysin
showed a dot-like strong positivity between cells and
a slightly greater positivity in the peripheral cytoplasm on neoplastic cells (Fig. 3). Glial fibrillary acid
protein (GFAP) was immunoreactive for rare reactive
Central neurocytoma is defined by the World Health
Organization (WHO) classification of tumours as a neoplasm composed of uniform round cells with neuronal
differentiation, typically located in the lateral ventricles
around the foramen of Monro 6. Intraventricular neurocytoma generally have a favourable prognosis and are
included in the group of WHO grade II tumours. It occurs predominantly in young adults or adolescents with
an incidence of 0.1-0.5% of all intracranial tumours;
both sexes are equally affected 7 8.
Computed tomography (CT) scans demonstrate an
iso-or slightly hyper-dense mass within the body
of the lateral ventricles near the foramen of Monro;
areas of hypodensity represent cystic degeneration and
approximately 50% of central neurocytoma demonstrate
calcification on CT imaging. Contrast enhancement is
mild to moderate. Magnetic resonance imaging (MRI)
usually reveals a mass that is isointense on T1 weighted
imaging and on T2 is relatively isointense with the cortex. There is a moderate enhancement after administration of gadolinium 9.
Central neurocytoma is composed of uniform, smallto-medium-sized cells with rounded nuclei, finely
stippled chromatin (salt and pepper chromatin) and
inconspicuous nucleoli, together with scant cytoplasm. The cells are either scattered diffusely or
arranged in groups, separated by non-branching,
thin-walled vascular channels; in certain areas they
311
Intraventricular neurocytoma
are arranged in a fibrillary background. However the
presence of small areas of necrosis, nuclear plemorphism and increased mitotic activity are features of
malignancy. Vascularity is represented by long, thinwalled capillary-sized vessels, which are arranged in
a linear arborizing pattern, give rise to an endocrine
appearance. In many cases, thin walled dilated vascular channels, and foci of calcification are readily
identified. In places, tumours display dense cellular
areas alternating with fibrillary/ acellular areas. The
latter components are mainly perivascular and have a
fine fibrillary neuropil matrix mimicking “rosettes of
ependymoma”.
Immunostaining for neuron-specific enolase (NSE) and
synaptophysin confirm the neuronal nature of the neoplasm. Typically, synaptophysin immunoreactivity is
noted in the neuropil, especially in fibrillary zones and
perivascular cell-free areas, and not in the cell bodies
of normal neurons. False cytoplasmic immunopositivity
may be attributed to preexistent neuropil or neuronal
structures, or faulty antigen retrieval techniques and/or
use of polyclonal antisynaptophysin antibodies. However, false immunonegativity ascribed to spontaneous
absence of immunoreactivity, small biopsies or technical difficulties does not rule out a diagnosis of neurocytoma. Glial fibrillary acid protein (GFAP) staining can
be found in central neurocytomas. It is unclear whether
these cells represent neoplastic or reactive astrocytes; it
has been suggested that central neurocytomas originate
from bipotential (neuronal and astrocytic) progenitor
cells in the periventricular region that persist into adulthood 10. Electron microscopy demonstrates clear and
dense core vesicles, microtubules and synapse formation.
Molecular analysis for the detection of chromosomal
anomalies in intraventricular neurocytomas can be
performed with a number of tests, and genomic alterations have been found in 60% of cases 11. Most neurocytomas are cytologically and mitotically unremarka-
ble. Cytogenetic and molecular studies for neurocytomas have yielded variable and inconsistent results, but
have included loss of chromosome 17 12, gain of chromosomes 2p, 10q, 18q 13, and isochromosome 17 14.
Owing to their artifactual cytoplasmic vacuolations
and monomorphic histologic appearances, neurocytomas, and especially extraventricular neurocytoma,
must be differentiated from oligodendroglial tumors.
An intraventricular tumour with a solid, noninfiltrating pattern along with perivascular pseudorosettes
warrants differential diagnosis with ependymomas.
Other differential diagnoses of neurocytomas include
astrocytomas, mixed gliomas, neuroblastomas, hemangioblastomas and, more rarely, metastases.
Central neurocytomas are thought to represent the
benign end of the spectrum of neuronal tumors that
are generally amenable to surgical excision, with an
overall favorable outcome. The surgical approaches
for these lateral ventricular tumours include the transcallosal or transventricular routes 15. The hydrocephalus should be treated only if it persists after surgery.
An important aspect of clinical management concerns
the sensitivity of these lesions to radiation therapy.
The histopathological features of prototype neurocytomas, such as advanced neuronal differentiation,
low mitotic activity, absence of vascular endothelial
proliferations and tumour necrosis suggest a relative
resistance to ionizing radiation. The experience with
chemotherapy for central neurocytoma has been more
limited. In the series of Schild et al. 16, four patients
received chemotherapy after radiation and there was
no tumour progression by CT and MRI imaging.
Various combinations of carmustine, lomustine, prednisone, vincristine and cisplatin have been used.
We propose complete microsurgical removal of the tumour as the treatment of choice for intraventricular neurocytoma; radiotherapy eventually followed with chemotherapy should be reserved for specific cases, such as
subtotal resection and in malignant or recurrent tumours.
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Schild SE, Scheithauer BW, Haddock MG. Central neurocytomas.
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Program
22nd of June
05.30 pm: Registration
06.00 pm: Welcome ceremony
Vladimiro Mambelli, President of the Congress
Paolo Spinucci, President Pio Sodalizio dei Piceni
Andrea Segré, Representative Uniadrion
Michele Carmosino, General Manager Asur 13 - Ascoli Piceno
06.15 pm: Keynote Lecture
J. Rosai
Department of Pathology
Centro Diagnostico Italiano
Diseases and deaths in the Medici’s of Florence
07.30 pm: Concert (Teatro Regio, Parma)
23rd of June
8.30 am
Soft tissue tumours
Chairpersons: Oscar Nappi, Bettina Zelger
Juan Rosai (Milano, Italy)
Typing vs. grading in soft tissue tumours
Thomas Mentzel (Friedrichshafen, Germany)
Sarcomas of the skin
10.00 am Coffee break
10.30 am
Proffered papers
Chairmen: Lucio Palombini, Bozo Kruslin
Louis Rosati (Tempe, Arizona – USA)
Influenza: past, present and the potential pandemic
01.00 pm Lunch
02.30 pm
Familial cancer & susceptibility to cancer
Chairpersons: Riccardo Cellerino, Angelika Reiner
Fatima Carneiro (Porto, Portugal)
Pathology and genetics of gastric cancer
Gianni Romeo (Bologna, Italy)
Mitochondria and thyroid cancer
03.30 pm Coffee break
04.00 pm
Proffered papers
Chairpersons: Michele De Nictolis, Sezana Grazio
05.30 pm
Friendly session
Chairmen: Giuseppe Viale, Vincenzo Eusebi
Riccardo Masetti (Roma, Italy)
Komen Italia and breast cancer
Agostino Faravelli (Milano, Italy)
Intarsio e patologia (Inlay and pathology)
06.30 pm Business meeting
08.30 pm Social dinner
24th of June
9.00 am
Technology applied to pathology
Chairpersons: Franco Fedeli, Nina Gale
Manfred Dietel (Berlin, Germany)
Predictive pathology. A challenge in clinical diagnostic and
pharmaceutical drug development
Fabio Facchetti (Brescia, Italy)
New techniques in hematopathology
A.P. Beltrami (Udine, Italy)
Cancer stem cells
10.30 Coffee break
11.00
Proffered papers
Chairpersons: Gianni Massarelli, Majda Vucic
12.45
Borse di Studio (Prize) ceremony
Scientific Committee:
Vladimiro Mambelli (Ascoli Piceno), President of the Congress and Elect President of the Adriatic Society of Pathology;
Carlo Alberto Beltrami (Udine), Gianni Bussolati (Torino),
Vincenzo Eusebi (Bologna), Guidalberto Fabris (Ancona),
Sezana Gratio (Ljubljana), Sigurd Lax (Graz), Lucio Palombini (Napoli), Valdi Pisac-Presutic (Split), Giorgio Stanta
(Trieste)
Committee for the Pio Sodalizio dei Piceni
(Borse di Studio) Prizes:
Paolo Spinucci (Roma), President; Vladimiro Mambelli (Ascoli Piceno); Gregor Mikuz (Innsbruck); Juan Rosai (Milano);
Sven Seiwert (Zagreb); Duilio Benvenuti (Roma); Giorgio
Bizzarri (Roma)
Organizing secretariat:
Dr.ssa Marina Del Vecchio
Servizio di Anatomia Patologica
Ascoli Piceno
pathologica 2007;99:315-341
Concurrent histopathologic diagnoses
in endometrioid endometrial carcinoma
Myxoid modification in well-differentiated
and dedifferentiated liposarcoma
C. Amalinei, R. Balan, I. Draga Caruntu, S. Butureanu*,
M. Pavaleanu**
A. Ambrosini-Spaltro, A. Farnedi, G. Tallini
Department of Normal and Pathological Morphology, University of Medicine and Pharmacy “Gr.T. Popa” Iasi, Romania; * Department of Obstetrics and Gynecology, University of
Medicine and Pharmacy “Gr.T. Popa” Iasi, Romania; ** III
Obstetrics and Gynecology Clinic, Iasi, Romania
Clinicopathologic, immunohistochemical, and molecular
genetic studies have provided data for a dualistic model of
endometrial carcinogenesis. Type I or endometrioid subtype,
the most common form, is associated with unopposed estrogenic stimulation, as well as the presence of endometrial
hyperplasia as precursor, frequently diagnosed as concurrent
lesions on biopsies or on surgical specimens. Simultaneous
cancers involving the endometrium and ovary are well recognized, the identification of the primary neoplasm orientating prognosis and treatment. Another coexistent location is
the cervix and the correct diagnosis requires exclusion of
cervical invasion by the endometrial carcinoma. The aim of
our study was to investigate histopathological and immunohistochemical particularities of these categories of coexistent lesions, selecting from our files 42 cases of endometrial
endometrioid carcinomas (EECs), 22 cases with concurrent
endometrial hyperplasias, 13 cases of synchronous ovarian
carcinomas, and 7 cases of synchronous cervical carcinomas,
using adjuvant histochemical and immunohistochemical
stainings, in selected cases. Endometrial hyperplasias, architecturally classified into simple and complex, and cytological without atypia and atypical type, corresponded to recent
criteria of endometrial intraepithelial neoplasia (EIN), and
were characterized by high expression of estrogen receptors
(ERs), of Ki-67 and Cyclin D1. Synchronous ovarian and
EECs were diagnosed in 3 cases, as mucinous pattern was
noted in ovarian counterpart. Corroborating clinical, histological and immunohistochemical findings, 8 synchronous
ovarian tumors were primary endometrial and metastatic
ovarian, and one primary ovarian, probably developed on an
endometriotic focus, and secondary endometrial, exhibiting
an endometrioid pattern. Coexistent cervical carcinomas
were diagnosed in 3 cases, exhibiting different histologic
features: adenosquamous pattern in 5 cases and squamous
type in 2 cases. Interestingly, 2 of the investigated cases
belonged to multiple cancer syndromes: one associating concomitant endometrial and ovarian carcinomas, and a metachronous retroperitoneal malignant peripheral nerve sheath
tumor (MPNST) and another diagnosed with concomitant
endometrial, ovarian, and cervical carcinomas followed by a
metachronous breast carcinoma.
Conclusions. Investigated cases reflect different steps along
the pathways of feminine genital tract carcinogenesis, especially particular in EECs, revealing their origin in EIN, their
propensity to adnexal and/or cervical extension or to multiple primaries, along the genital tract, as an illustrative feature
for cancerization field effect. Furthermore, some cases may
represent the first manifestation of a multiple cancer syndrome, so a careful examination and follow-up is required in
patients diagnosed with endometrial carcinomas.
Department of Anatomic Pathology, University of Bologna at
Bellaria Hospital, Bologna, Italy
Introduction. Myxoid liposarcoma is one of the most common subtype of liposarcomas. Myxoid differentiation can
be focally observed also in liposarcoma subtypes that do not
belong to the myxoid group. The aim of the present study is to
analyze myxoid modification in well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas.
Materials and methods. Fifty-six cases of well-differentiated
and dedifferentiated liposarcomas were retrieved from the
archives of the Department of Anatomic Pathology at Bellaria Hospital in Bologna. All the slides were reviewed and
the following morphologic parameters were assessed: myxoid
stromal change, extent and features of the capillary network,
presence and number of lipoblasts and of multinucleated cells,
steatonecrosis, and cellular atypia. We also studied the presence and the distribution of non lipogenic components within
the tumor: sclerosing areas, areas of low grade dedifferentiation and areas of high grade dedifferentiation. Five samples
from 3 cases were successfully karyotyped.
Results. Tumors included 49 well-differentiated liposarcomas
(44 lipoma-like, 5 sclerosing), 4 liposarcomas with high grade
dedifferentiation, 3 mixed liposarcomas (1 case of myxoid/
well-differentiated liposarcoma, 2 cases of myxoid/well-differentiated liposarcoma with high grade dedifferentiation).
Recurrences were observed in 4 cases: 2 well-differentiated
sclerosing liposarcomas and 2 high grade dedifferentiated
liposarcomas. Myxoid stromal change was identified in 12
cases; in 8 of the 12 cases there were also areas with thinwalled capillary vessels organised to reproduce a chickenwire network indistinguishable form that observed in classic
myxoid liposarcoma. Myxoid stromal change with an irregular network of thick-walled vessels was identified in 6 cases.
Areas containing only myxoid matrix without any defined
capillary network were present in 3 cases. Lipoblasts were
detected in 49 cases, atypical multinucleated cells in 20 cases,
foci of steatonecrosis in 27 cases, significant cellular atypia
in 8 cases, including all liposarcomas with high grade dedifferentiated areas. Non lipogenic components were present in
31 cases: sclerosing areas were observed in 29 cases, areas of
low grade dedifferentiation in 11 cases, areas of high grade
dedifferentiation in 6 cases. The non lipogenic (sclerosing or
dedifferentiated) component of the tumor was sharply separated in 7 of the 30 cases. Cytogenetic analysis revealed non
clonal alterations including 1p-, -15, -22 in 1 case (well-differentiated liposarcoma), a ring chromosome in 1 case (mixed
liposarcoma) and a giant chromosome in 1 case (well-differentiated liposarcoma).
Conclusions. Well-differentiated liposarcomas exhibit an extremely variable morphologic appearance with myxoid modification, non lipogenic areas and dedifferentiated components.
Myxoid change, including areas with a thin-walled capillary
network indistinguishable from that observed in classic myxoid liposarcoma, is not uncommon in well-differentiated and
dedifferentiated liposarcomas; it may represent a pitfall in the
differential diagnosis with myxoid liposarcoma. Since rings
and giant marker chromosomes are the hallmark of well-differentiated and dedifferentiated liposarcomas, their identification by cytogenetic analysis is useful for tumor typing.
316
Histological sectioning of brush bristles
allows improved diagnosis of biliary tract
S. Asioli, G. Accinelli, E. Armando, D. Pacchioni, P. Cassoni,
G. Bussolati
Department of Biomedical Sciences and Oncology, University
of Turin, Italy
Introduction. Biliary tract brush cytology is increasingly
being recognized as a favoured method for evaluating abnormalities of the pancreatic and biliary tract.
In order to increase the diagnostic potential of endoscopic
brushing of the biliary tract, we devised a novel technique
finalized to the complete and ideal cytologic examination of
the collected material through an original new brush processing method.
Material and methods. 112 consecutive pancreato-biliary
brush cytology specimens (67M; 45F) collected at Molinette
Hospital, University of Turin, between January 2002 and
August 2006 were included in our study. All patients had
a definite final benign or malignant diagnosis based either
on independent histological or cytological sampling, or on
clinical follow-up data (follow-up was median 21 months).
Immediately following brushing, the brush is immersed
into methanol; then, in order to induce formation of a glue
surrounding the brush, in the pathological laboratory it is
immersed into egg albumen (a mixture 1:1 of egg albumen
and glycerol), and finally returned to methanol. For paraffin
embedding, the metal handling is cut away and the remaining
brush is introduced into a cassette: paraffin-embedded sections parallel to the long axis of brush are cut until the metal
wire is almost reached, then the block is rotated and new sections are obtained from the opposite side. Small fragments of
the mucosa, of inflammatory cell aggregates or of carcinomas
(stained in Haematoxylin & Eosin and Alcyan blue mucine)
were observed in our series, and displayed an optimal fixation
allowing a definite diagnosis which proved mandatory for
proper therapy in the almost totality of cases.
Results. The results obtained on 112 consecutive cases using such technique showed a satisfactory sensibility when
compared to final histological diagnosis, this method showed:
87% sensitivity, 100% specificity, 100% positive predictive
value (PPV), and 91% negative predictive value (NPV).
Moreover when compared this method to the patient clinical
diagnosis, after at least 6 months follow-up, it showed: 88%
sensitivity, 100% specificity, 100% positive predictive value
(PPV), and 96% negative predictive value (NPV).
Conclusion. Finally such novel technique proved to be highly
sensitive and specific, limiting the un-satisfactory cytological
diagnoses to less than 1% and providing a 88% concordance
(K value) with the final histology at surgery and a 91% concordance (K value) with patient follow-up.
Cutaneous rosai dorfman disease without
limphadenopathy. A case report
N. Bilalovic, A. Cimic, E. Lazovic, A. Cvorak*
Department of Pathology, Clinical Centre University Sarajevo,
Bosnia and Herzegovina; * Department of Plastic Surgery,
Clinical Centre University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina
Rosai-Dorfman disease or sinus histiocytosis with massive
lymphadenopathy is benign proliferation of histiocytes char-
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
acterized in it’s typical form as painless, bilateral lymph node
enlargement of the neck or any group of lymph nodes. About
15% of patient may have only extranodal disease. Our case is
42 years old Bosnian male presented to plastic surgeon with
skin lession but with no lymphadenopathy. A microscopic
feature shows dermal infiltrate with dendritic cells, histiocytes
and inflammatory cells. The dendritic cells show emporipolesis for neutrophils and lymphocytes Giant cells were also
present. Based on morphologic appearance and immunohistochemistry we concluded that skin biopsy is the most compatible with cutaneous Rosai-Dorfman disease.
Telepathology: an occasion for young
pathologists
F. Bono, F. Pagni
Dipartimento di Scienze chirurgiche, Università di MilanoBicocca, U.O. Anatomia Patologica, Ospedale Civile di
Vimercate, Presidio di Desio
Introduction. Telepathology makes possibile diagnosis cytoand histopathologic from everywhere in the world. Patologi
Oltre Frontiera’s project is to provide some hospital in Africa and other countries with scanner, so they can develope
a therapeutic program based on diagnoses makes from Italy,
awaiting local pathologists are formed.
University school of Pathology can collaborate with this
project establishing a network that enrich younger pathologists with a new competence and supports
the health in the developing countries.
Materials and methods. Till then, just one hospital (Mtendere Mission Hospital of Chirundu, Zambia) has scanner, but
some other hospital will have it. Slide scannerized is load
on a server and from it is possible see digital slide on every
computer by internet.
Every school who will agree to this project undertakes to inspect and diagnose scannerized slides. A Pathologist “tutor”
will be supervises the diagnoses which will be sent by e-mail
to the persons responsible for the project.
Discussion. In this presentation we want to show the involvement project of the schools with the activity of Patologi Oltre
Frontiera: an inalienable chance to acquire expertise and specializations for the young pathologists, and to awaken everybody to the diagnosis shortage in the poorest countries.
Osteosarcoma study
L. Brcic, D. Anzulovic, I. Ilic, V. Loncaric, I. Kosuta, J.S.
Giljevic*, D. Orlic**, S. Seiwerth
Institute of Pathology, Medical School University of Zagreb,
Zagreb, Croatia; * Department of Oncology, Children’s
Hospital Zagreb, Zagreb, Croatia; ** Department of Orthopaedic
Surgery, University Hospital Center Zagreb, Zagreb, Croatia
A retrospective study of osteosarcoma in children and adolescents during a 20 years period (1987 till 2006) was performed.
From the archives of the Institute of Pathology, Medical
School and Department of Pathology, University Hospital
Center Zagreb, 80 cases were retrieved. A part of diagnostic
biopsies and most of surgery was performed at the Department of Orthopaedic Surgery, University Hospital Center
Zagreb. The oncological treatment and follow-up for most of
ABSTRACTS
the patients (more than 2/3) was at the Children’s Hospital Zagreb. Epidemiological parameters (age, sex, survival), tumor
characteristics (localization, histological type, metastases),
laboratory data (BSR, LDH), chemotherapy (whether or not
preoperative, protocol) were accessed. A comparison of two
ten years periods (1987-96 and 1997-2006) was performed.
Of the 80 patients 38 were male, age range was from 8-18.
Most of the tumors were localized in the femur and tibia. At
time of diagnosis only 3 patients had confirmed metastatic
disease. The vast majority of patients were treated by preoperative chemotherapy and en block resection, followed by
chemotherapy. Inadequate response to preoperative chemotherapy was noted in most patients. About 1/3 of the patients
developed metastatic disease during follow-up period. The
goal of this study is to make the first step in the direction of a
bone tumor registry.
Early and late results of the surgical cure
in the cases of two malignant primary
cardiac tumors
D. Butcovan, G. Tinica, C. Borza
Iasi Cardiology Center
Cardiac sarcomas are rare malignant tumors having often a
late diagnosis, because they are usually asymptomatic and
malignancy criteria are sometimes difficult to define, as well.
The aim of the study was to characterize the clinical and
histological picture of 2 malignant cardiac tumors, to assess
the prognosis and to develop a tumour management strategy
for cure. We described 2 cases: the first was a primary cardiac leiomyosarcoma, located in the posterior wall of the left
atrium and the second was a primary cardiac undifferentiated
sarcoma, located in the right ventricle. In the leiomyosarcoma
case the complete excision was made as a curative procedure,
while in the cardiac undifferentiated sarcoma case the partial
surgical excision was made as a palliative procedure due to the
tumour invasiveness feature. The histological and immunohistochemical study revealed a differentiated leiomyosarcoma in
the first case, and a high-grade pleomorphic, undifferentiated
sarcoma, in the second case. Whatever histological subtypes
are, malignant cardiac tumors have a poor prognosis when
are undifferentiated and unresecable forms. Complementary
radiotherapy or chemotherapy is ineffective, and prognosis is
related more to the degree of tumoral differentiation then to
the operative treatment itself.
On-site cytopathological evaluation
of endoscopic ultrasound-guided fine needle
aspiration of pancreatic neuroendocrine
tumors
P. Campisi, G. Accinelli, C. De Angelis*, I. Castellano,
S. Asioli, D. Pacchioni, G. Bussolati
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology,
University of Turin, Italy; * Department of Gastroenterology,
San Giovanni Battista Hospital, University of Turin, Italy
Objectives. Endoscopic ultrasound-guided fine needle aspiration (EUS-FNA) is increasingly used in diagnosis of pancreatic tumors. Our study aims to identify cytological character-
317
istics of on-site evaluation helpful for recognizing pancreatic
neuroendocrine tumors (NETs).
Methods. Our study comprises 5 cases of pancreatic tumors
with cytological features suggestive of neuroendocrine origin, obtained by EUS-FNA which diagnosis was confirmed
by surgical excision. For each case we analized: cytological
smears, cell block sections and immunocytochemical stains.
Results. All cases show similar and peculiar cytological characteristics of on-site evaluation: smears were richly cellular
with poorly cohesive small cells; they display a monotonous
basophilic appearance with scanty cytoplasm and small eccentric nucleus with speckled or dusty chromatin pattern conferring a plasmocytoid appearance. Immunocytochemical stains
(Chromogranin A, Synaptophysin), performed on cell-block,
confirmed neuroendocrine differentiation.
Conclusion. EUS-FNA is a useful method of identification
of pancreatic NETs. Recognizing cytopathological features
of neuroendocrine origin improves the diagnostic yield of the
procedure, allowing a three-tiered approach in planning the
handling of FNA specimens.
Sequencing of the mitochondrial D-loop
region as a tool to discriminate between
synchronous or metachronous primary lung
tumours and intrapulmonary metastastatic
spread
G. Caprara, L. Morandi, M. Boaron*, A. Cancellieri**,
K. Kawamukai*, A. Pession, G. Tallini, S. Damiani
Division of Anatomic Pathology University of Bologna; *
Division of Thoracic Surgery AUSL di Bologna; ** Division of
Anatomic Pathology AUSL di Bologna
Four to 10 percent of patients with non small cell lung
carcinoma (NSCLC) present with two nodules or develop
a second nodule after the initial diagnosis. Tumor stage is
the most important prognostic factor in lung cancer and,
therefore, the differential diagnosis between synchronous or
metachronous primary lung neoplasms (pT1m) and intrapulmonary metastasis of (NSCLC) (pT4 or pM1 according to
their location) is crucial for patient management. The large
number of mitochondrial mitochonodrial DNA (mtDNA)
copies present in each tumour cell and the high frequency of
mtDNA mutation rate in tumours suggest that sequencing of
the highly polymorphic D-loop mtDNA region may be useful
to discriminate synchronous/metachronous primary tumours
from intrapulmonary metastases 1. We studied a retrospective
series of 20 patients underwent to surgery for synchronous
and metachronous NSCLC. The charts from each patient were
reviewed and the tumours were staged according the current
WHO and classified as multiple primary or metastases according Martini and Melamed 2. Direct DNA sequencing of the mitochondrial D-loop region was performed in all samples and
the genetic distance between the multiple tumours was evaluated. Our results show that in 72% of the casess the tumours
were genetically unrelated and thus should be considered as
independent multiple primary cancers. It is noteworthy that
in this group, in up to 65 per cent of patients, the histological
type was the same in all nodules analyzed (most frequently
adenocarcinoma, acinar type). In the remaining 28% of cases
the mtDNA sequencing revealed the same mutation pattern,
compatible with origin from a single neoplastic cell clone.
Thus, our study indicates that the present clinicopathologic
318
criteria (site, histological type, etc.) for staging patients with
multiple nodules of NSCLC may not be fully reliable and
that molecular analysis may represent a very useful tool to
discriminate multiple primary tumours from intrapulmonary
metastases.
References
1
Morandi L, Asioli S, Cavazza A, Pession A, Damiani S. Genetic
relationship among atypical adenomatous hyperplasia, bronchioloalveolar carcinoma and adenocarcinoma of the lung. Lung Cancer
2007;56:35-42.
2
Martini N, Melamed MR. Multiple primary lung cancers. J Thorac
Cardiovasc Surg 1975;70:606-12.
The dental pulp fibroblasts as morphologic
markers for senescence
I.-D. Caruntu, C. Amalinei, S.-E. Giusca
Department of Histology, “Gr. T. Popa” University of Medicine
and Pharmacy, Iasi, Romania
One of the senescence effects at the level of dental pulp is the
reduction of the pulp volume, which is frequently associated
with the fibrosis and sclerosis. Within the frame of these transformations, the fibroblasts decrease in number and change
their sizes. The study presents a quantitative evaluation of the
dental pulp fibroblasts, based on computerized morphometry,
whose objective was to investigate the variations in cell areas
and perimeters for different age groups. The material consisted of dental pulp fragments obtained from patients aged
between 40 and 50 years (5 cases – group 1), 50 and 60 years
(5 cases – group 2) and 60 and 70 years (5 cases – group 3).
In all cases, the dental pulp was healthy (without clinical signs
of inflammation) at the time when pulpectomy was requested
as part of a restorative tooth treatment. For routine histopathological exam, the dental pulp fragments were formalin fixed,
paraffin embedded and stained with hematoxylin-eosin and
light green trichrome. From each specimen we acquired digital images corresponding to significant microscopic fields.
To develop the quantitative analysis in the Zeiss KS400 environment, we designed and implemented two macros, namely
PULPIMG and PULPGRP, which operate at the image and
group levels, respectively. For a given image, PULPIMG automatically identifies the regions occupied by fibroblasts and
measures their geometric features (areas, perimeters). For a
given group, PULPGRP collects the numerical data extracted
by PULPIMG from all the microscopic fields considered
relevant and provides a statistical analysis. The results of
our computerized approach show that the mean value of the
fibroblast area decreases from group 1 to group 3, whereas
the correlation between perimeters and areas is preserved (the
slope of the regression line has insignificant variations from
a group to another). These results support the idea that the
fibroblasts morphometric profile can play the role of a marker
for the dental pulp (and implicitly tooth) senescence.
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Clinico-morphological study in twin
pregnancy
R. Ciurea, I.E. Plesea, N. Patrana**, S. Bala**, L. Novac*,
B. Zaharia
Department of Pathology; * Department of Obstetrics
and Gynecology, University of Medicine and Pharmacy;
**
Department of Pathology, Emergency County Universitary
Hospital, Craiova, Romania
Background and aims. Multiple pregnancy and especially
twin pregnancy are stillrepresenting a major issue both for
medical corpus and society due to the multitude of implications in medical management and economic and social impact. The authors assessed some of the significant clinical and
morphological monitoring parameters of twin pregnancies
recorded during a 5 years period in Department of Obstetrics
and Gynecology of Craiova Emergency County Universitary
Hospital.
Material and methods. The studied group consisted of 197
cases of twin pregnancy. The studied material consised of data
coming from pregnant women and new born files, surgical
records, antepartum ultrsond results, dead new born necropsy
records and foetal appendages histopathological records.
Results. There was one twin pregnancy for every 97 single
pregnancies, with a lower percentage (1.07%) as compared to
the literature and data from western civilised countries.
The incidence of twin pregnancies was high in women at their
fertility peak (26-35 years), with a significant increase with
the number of pregnancies and deliveries. Twin pregnancies
were more frequent in women with previous twin pregnancies
and in a very small percentage in primiparous ones.
The mean gestational age was 38-41 weeks in more than 57%
of cases, for the remaining 40% being arround 37 weeks.
Dichorionic diamniotic placentas were the most frequent
ones. Ultrasound examination revealed a small percentage of
cases in which monochorionic diamniotic pregnancies were
mistaken for dichorionic diamniotic pregnancies with fused
placentas. Placental villous structures of twin pregnancies
showed a morphological pattern characteristic for the third
trimester of pregnancy.
In 4 cases of twin transfusion syndrome, the donor shows
changes in the the stromal structure of the chorionic villi together with excessive loading of the chorionic vascular bed of
the receptor twin.
There was a 11.5% perinatal mortality with a slight predominance in the second foetus, the most frequent deaths occuring
in the first 72 hours after birth due to maladjustement to the
extrauterine environment. One of the main causes of death
established after the necroptic examination was the intraventricular hemorrhage.
Conclusions. The pathological examination was useful to the
obstetrician who took into consideration two major aspects
in following and delivering a twin pregnancy: solving of
controversial placentation cases through histopathological
examination of the twin membranes for a correct evaluation
of zygotism and, establishing the causes of perinatal and especially antepartum deaths using necroptic examination.
ABSTRACTS
PKCJ expression in Gastro-Intestinal Stromal
Tumors (GIST): immuno-istochemical
assessment PKCJ vs. CD117
F. Corini, M. Del Vecchio, R. Taborro, P. Lorenzini,
V. Mambelli
Section of Anatomic Pathology, “C. e G. Mazzoni” Hospital,
Ascoli Piceno, Italy
Introduction. Gastro-intestinal stromal tumors (GIST) are the
most common mesenchymal tumors of the gastrointestinal
tract. Most GIST contain oncogenic gain-of-function KIT
mutations and feature strong expression of the constitutively
activated KIT (CD117) receptor tyrosine kinase protein. Numerous studies have demonstrated that the immuno-phenotypical expression of CD117 is specific, even if not confined,
to GIST. However, in a small GIST subgroup (less than 2%),
c-kit expression is negative although histological findings of
gastrointestinal stromal tumors are most suspicious. The existence of c-kit negative gastrointestinal stromal tumors points to
the need of additional markers for making the diagnosis. Gene
expression studies using DNA microarrays have revealed that
GIST show a distinct and uniform gene expression profile,
wich allows distinguishing of these tumors from other malignancies of mesenchimal origin. Among the transcripts identified as discriminatory in these studies, the gene encoding
protein kinase C (PKCJ) was overexpressed in GIST samples.
PKCJ is a serine/threonine kinase that is transcriptionally upregolated in GIST compared with other soft tissue tumors. It
is selectively expressed in the interstitial cell of Cajal lineage;
it’s also involved in T-cell activation, in skeletal muscle signal
transduction and in neuronal differentiation. The aim of this
study is to confirm the importance of the analysis of CD117
expression as a specific marker of GIST and, at the same time,
to assess the PKCJ expression as a new diagnostic marker of
this tumors.
Material and methods. Study group: 35 cases of stromal neoplasia have been selected from the central files of the “Mazzoni” Hospital (Ascoli Piceno), with the following localization:
stomach (12), small and large intestine (15), peritoneum (3),
retro-peritomeum (3), omentum (1), duodenum (1).
Immuno-istochemistry: Sections of histological specimen (4
micron thick; microtome Leica DSC1) have been obtained
from the tissue material, fixed in formalin and embedded
in paraffin. The monoclonal antibody PKCJ clone 27 (BD
trnsduction laboratories)and the po lyclonal antibody CD117
(DAKO Cytomation) have been used for the study of the immunohistochemical profile. The optimal diluition of the antibodies were 1:20 for anti-PKCJ and 1:400 for anti-CD117.
Tumors were scored as positive for PKCJ or CD117 if there
was either a diffuse staining or a focal expression in several
clusters of cells. Cases with a minimal expression of PKCJ
or CD117 in a few single cells (< 10%) were scored as megative.
Results. The cases have been classified, according to mitotic
activity and neoplasia dimensions, into 3 groups: 1) low malignancy grade GIST (mitotic activity < 5 mitosis x 50 HPF
and/or dimensions < 5 cm): 32% (11 out of 35). All the lesions
of this group were positive for CD117 (100%); 2) high malignancy grade GIST (mitotic activity > 5 mitosis x 50 HPF and/
or dimensions > 5 cm): 51% (18 out of 35). Immunoreactivity
for CD117 has been found in 17 lesions out of 18 (96%); 3)
GIST with a clear leyomysarcomatous differentiation: 17% (6
out of 35). All these cases were negative for CD117.
319
PKCJ was positive in 28 out of 29 GIST (96%). All the leyomyosarcomas were negative for PKCJ. The only case classified as GIST, according to histological findings, but CD117
negative, has revealed a good PKCJ expression (40%), with a
positivity grade well exceeding the fixed score.
Conclusions. The results clearly show that PKCJ undoubtly
appears to be a new and further marker of GIST. Unlike
CD117, its positivity is not exclusively related to the expression of the KIT receptor tyrosin-kinase activity but to a more
transductional pathway, of which the activity attributed to KIT
receptor represents only one of the aspects. Therefore, PKCJ
is positive even in cases of immuno-phenotypically CD117
negative GIST, which cannot be attributed to the existence of
a mutation characterising the KIT receptor expression. As a
consequence, the synergic use of two markers makes diagnosis of GIST more accurate.
Diagnostic and therapeutic importance
of the PKCq expression in Gastrointestinal
stromal tumors (GIST): implications resulting
from PKCq phosphorylation
F. Corini, M. Del Vecchio, A. D’Angelo, A. Braccischi,
L. Diamanti
Section of Anatomic Pathology, “C. e G. Mazzoni” Hospital,
Ascoli Piceno, Italy
Introduction. Although selective inhibition of KIT and PDGFRA receptors activity by means of drugs such as Imatinib has
markedly improved the life expectancy of GIST’s patients,
further markers are being searched for that can act as target
for beneficial pharmacological therapies. PKCJ belongs to a
family of proteins showing serin/treonin Kinasic activity; it
presents numerous characteristics which may suggest its use
as therapeutic target in GIST, mostly in those patients with
GIST resistant to Imatinib treatment. It is a molecule involved
in the transduction of intracellular signals which, in turn, are
involved in the regulation of various cellular functions, such
as proliferation (reproduction?) secretation, skeletal-muscular
differentiation and apoptosis. PKCq is distinctly present in
GIST, as researches regarding genic expression have highlighted, and its functionality is regulated by two different
events: the activation induced by molecules as diacilglycerol
(DAG) and the regulation of cataqlytic activity through phosphorylation of threoninic residue 538 (activation loop), the
autophosphorylation of serinic residue 676 (turn motif), the
autophosphorylation of serinic residue 695 (idrofobic motif).
A methodical analysis of the data resulting from a survey of
the mutations engendered by the three main controlling sites:
activation loop (Thr 538), turn motif (Ser 676) and hydrophobic
motif (Ser 695) concerning catalytic activity and PKCJ phosphorylation, has allowed to identify two distinct regulation
modalities of catalytic activity: phosphorylation of the activation loop and hydrophobic motif. The latter, the phosphorylation of the activation loop, plays an important role in the
activation of nuclear factor B (NF-kB).
Material and methods. Study group. Twenty-eight gastrointestinal tumours (GIST) have been selected: 27 KIT-positive
cases and 1 KIT-negative case. The group includes 12 gastric
location neoplasia, 11 intestinal location neoplasia, 2 rectum-colic location neoplasia, 1 peritoneal location neoplasia,
1 retro-peritoneal location neoplasia. 1 duodenal location
neoplasia.
320
Immunoistochemistry. Some histologic preparations, 4u
thick (microtome Leica DSC1), have been produced from
the tissue material, fixed in formalin and encapsulated in
paraffin. The monoclonal antibody PKCq clone 27 (transduction laboratories) dil. 1:20 has been used for the characterization of the immunoistochemical profile of the samoles
under survey. The polyclonal antibody phospho-PKCq (Thr
538
) (cell signaling) dil. 1:50 and polyclonal antibody phospho-PKCq (Ser 695) (geneTex Inc) dil. 1:25 have been used
to assess the protein phosphorylation levels.
Results. PKCq has been found in all the study group samples, with cytoplasmic patterns and a diffused granular colouring. Besides, PKCq has been found in all the phosphorylation samples both on Thr 538 residue, corresponding to the
activation loop, and on the residue Ser 695, corresponding to
the hydrophobic motif.
Discussion. The phosphorylation of the 3 main sites improves the specific catalytic activity of PKCq with respecvt
to the hypophosphorylated forms. DAG (diacilglycerol)
[+Ca2+] is responsible for thre activation of both conventional and new PKCq isoforms. Their specific activity,
however, is regulated by phosphorylation levels. Although
this distinction between allosteric effector and phosphorylation exists, PKCq has to be found in an “active” form corresponding to a configuration of the “effector-bound” type
for the phosphorylation to occur live and in ideal conditions.
When PKCq (new and conventional isotypes) releases its activator (DAG) there is no fast dephosphorylation of its sites.
Instead, this “closed”, though inactive, configuration of the
molecule appears to be relatively phosphatase resistant.
Conclusions. According to the results of this study, which
confirm other study groups’ results, an use of PKCq is possible as furhter GIST specific therapeutic target, for those
patients who are Imatinib resistant.
Predicting gefitinib responsiveness in nonsmall cell lung cancer by in situ hybridization
analysis of EGFR and HER2 in needle biopsy
and cytology specimens
L. Daniele, L. Macrì, M. Schena*, D. Dongiovanni*, L.
Bonello**, E. Armando, L. Ciuffreda*, O. Bertetto*, G. Bussolati, A. Sapino
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology,
University of Turin; * Medical Oncology, ASO San Giovanni
Battista, Turin, Italy; ** Center for Experimental Research
and Medical Studies (CeRMS), University of Turin
Purpose. In the present era of targeted therapy, pathologists
need to assess tumor tissue for expression of the molecular
target in order to predict which patients are likely to benefit
from treatment. In non-small cell lung cancer (NSCLC), epidermal growth factor receptor (EGFR) mutational analysis
is an excellent predictor of responsiveness to treatment with
tyrosine kinase inhibitors (TKIs) such as gefitinib. In up to
80% of NSCLCs, cytologic samples or endoscopic biopsies
are the only specimens available for molecular analysis, but
PCR amplification of DNA from small fixed and paraffinembedded samples may create artefactual mutations. Fluorescence in situ hybridization (FISH) of EGFR and HER2
has been proposed as an alternative method of analysis. This
project aimed to determine the optimal scoring method for
FISH or chromogenic (CISH) in situ hybridization assays
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
when analysing small NSCLC samples in order to predict
response.
Methods. FISH or CISH analysis of EGFR and HER2 genes
was performed on 42 small samples derived from NSCLC
patients treated with gefitinib. EGFR mutational analysis
was performed after quantity and quality controls of DNA.
Results. In 7/7 cases, a balanced increase in EGFR gene
and chromosome 7 number was found to correlate with the
presence of specific EGFR mutations. In addition, 7/7 cases
with balanced EGFR/HER2 polysomy and 2/3 cases with
balanced EGFR/HER2 trisomy responded to gefitinib (75%
of responders). Instead, the EGFR mutations predicted only
7/12 (58%) of gefitinib-responsive patients.
Conclusion. When only endoscopic biopsies or cytological
specimens are available in situ hybridization-based analysis
for EGFR and HER2 are reliable in predicting gefitinib response in patients with NSCLC.
p63 isoforms expression in breast tissue
D. de Biase, L. Morandi, A. Farnedi, A. Pession, M.P.
Foschini
Department of Anatomic Pathology, University of Bologna, at
“Bellaria” Hospital, Bologna, Italy
The p63 gene encodes six different protein isoforms due to
multiple splicing of C-terminal (a, b, g) and alternative promoter located in the intron 3. The transactivating isoforms
(TAp63) have similar actions with p53, such as inducing
cell-cycle arrest, apoptosis and, in this way, favoring cell
differentiation; on the contrary the alternative promoter in
intron 3 leads to the expression of amino terminal truncated
isoforms (DNp63) lacking the transactivation domain. This
last protein acts as a dominant negative agent, favoring cell
proliferation. In normal epithelium, balance between these
proteins maintains correct cell proliferation and differentiation. In addition, two new isoforms have been described with
the same sequence as TAp63 and DNp63 but lacking exon 4
(D4TAp63 and DNp73L). In recent studies DNp73L has been
found only in squamous cell carcinoma but not in normal
oral mucosa and salivary gland tissues.
These data suggest that an altered expression of p63 gene
could have an important role in neoplastic development.
Purpose of the present study is to investigate the molecular
expression of p63 in normal and malignant breast tissues.
Materials and methods. All cases were received fresh and
a representative sample of nonneoplastic and neoplastic tissues underwent frozen sections evaluation to confirm the
benign or the malignant nature. Correspondent samples were
formalin fixed and paraffin embedded for routine histology.
On frozen samples reverse polymerase chain reaction (RTPCR) and nested PCR were performed to evaluate the p63
mRNA expression pattern. In addition p63 isoforms were
evaluated by sequencing.
Results. Ten nonneoplastic breast tissues and 10 breast
carcinomas (8 ductal invasive and 2 lobular invasive carcinomas) have been studied. The two N-terminal isoforms,
namely TAp63 and DNp63 were always present in normal
and neoplastic breast tissue. In addition, carcinomas expressed the isoforms lacking exon 4, D4TAp63 (3/10)
and DNp73L (4/10).
Conclusion. In conclusion the present study shows that
breast carcinomas have a p63 expression pattern different
ABSTRACTS
than nonneoplastic breast tissue that shows only the TAp63
and DNp63 isoforms, while the two proteins lacking exon
4, D4TAp63 and DNp73L appear only in carcinomas. These
data suggest that these latter proteins might play a key-role
in the malignant transformation of breast tissue.
Sperm protein 17 is expressed in primary
breast cancer
S. Di Biccari, B. Franceschini, G. Soda*, N. Dioguardi,
M. Chiriva-Internati**, F. Grizzi
Laboratories of Quantitative Medicine, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano, Milan; * Department of Department
of Experimental Medicine and Pathology, University of Rome
“La Sapienza”, Rome, Italy; ** Department of Microbiology and Immunology, Texas Tech University Health Science
Center, Lubbock, Texas, USA
Breast cancer is the most common cancer and the second
leading cause of cancer-related death for women in the
United States. Current treatment options for localized breast
cancer include surgical resection of the primary tumor, irradiation of the breast and regional lymph nodes followed
by adjuvant chemoterapy or hormone therapy. Cancer immunotherapy has maturated today as an additional treatment
modality in the management of breast cancer, because of
its high specificity and low toxicity. The identification of
new tumor-associated antigens (TAAs) as potential target
for specific immunotherapy is one of the fundamentals in
tumor immunology. Among the know TAAs, cancer-testis
(CT) antigens have gained high attention because of their
selective expression pattern and its presence in a high
number of tumours of unrelated histological origin. Here
we investigated the expression of sperm protein 17 (Sp17)
an entitled CT antigen in 7 breast tissue free of neoplastic
pathology (mean age: 40 years, range: 18-66 years) and in
22 primary invasive ductal breast carcinomas (mean age:
48 years, range: 34-62 years), by means of a standardized
immunohistochemical technique. Sp17 was also recognized
in three human cell lines purchased from ATCC (Manassas,
USA): 184B5 originated from a normal mammary epithelial
cell line, HCC70 originated from a primary ductal carcinoma
and MDA-MB-361 originated from a metastatic breast cell
line the by means of flow cytometry (FC) and Western blotting (WB). A high number of breast carcinomas showed
a strong cytoplasmic immunoreactivity, homogeneously
diffused in neoplastic cells. No immunoreactivity was recognized in normal breast tissues. WB showed that Sp17 was
expressed by both HCC70 and MDA-MB-361 and slowly in
184B5. Densitometry analysis revealed higher expression
of Sp17 in HCC70 vs. MDA-MB-361. The MFI detected by
FC ranged from 18.0 for 184B5 to 28,6 and 32.6 for HCC70
and MDA-MB-361, respectively. These results all first demonstrates the expression of Sp17 in breast cancer. Further
studies are necessary to investigate the role exercised by
Sp17 in the breast carcinogenesis, and its potentiality as immunotherapeutic target antigen for treating this still highly
malignant neoplasia.
321
Primary intracerebral haematoma
complicated with intraventricular effusion –
correlations between main clinical, imagistic
and morphological aspects
S.D. Enache, I.E. Plesea3, C.C. Georgescu4, D. Cioroianu5, M. Popescu6, S. Bondari6, O.T. Pop3, A. Camenita1,
C. Enache2
Department of Pathology, 1 Department of Neurosurgery,
2
Department of Neurology, Emergency County Universitary
Hospital, 3 Department of Pathology, 4 Department of
Pharmacology, 5 Department of Neurology, 6 Department of
Imagistics, University of Medicine and Pharmacy, Craiova,
Romania
Background and aims. The Authors performed a retrospective integrated assessment of clinical, imagistic and morphological parameters of severe intracerebral hemorrhages (ICH)
complicated with intraventricular extension (IVE).
Material and methods. The studied group had 93 cases of
patients with ICH and IVE selected from a larger one, consisting of 183 cases with IHC and was divided into 2 subgroups:
39 cases who lived more than 48 h and were confirmend by
computed tomography (CT) and 54 cases that died within 48
h and were confirmed by authopsy The remaining 90 cases
of IHC without IVE was considered as a reference group
for comparing the results of data analysis coming from the
studied group.
The studied material consisted of patient’s medical records
(medical records, CT films, autopsy protocols and histopathology – HP records). Assessed parameters were: clinical
(seasons relation, age, sex, arterial blood pressure – HT, motor
deficit – MD, degree of coma – C, Glasgow score at admission) and morphological static (ICH sites, size, perilesional
edema – pE, microhaemorrhages – mH) and dynamic (mass
effect – ME, ventricular effusion – VE and subarachnoid effusion – SE).
Results. The presence of IVE as a complication of ICH showed
a predilection for cold seasons, especially autumn. From the
93 studied cases 51 were men and 42, women. 52.6% of the
patients were in the fifth and sixth life decade. Almost 80%
of the patients had III-d stage HT at admission, over 80%
MD and almost 60% Glasgow scores lower than 6. The VE
involved at least one of the lateral ventricles. The hematomas
had huge dimensions as compared to hosting encephalic structures, involving more than one lobe in lobar sites. Other risk
factors as ME, pE and SE were constantly present.
Conclusions. The association of IVE with other independent
risk factors such as hypertension, low Glasgow scores volume
of intraventricular bleeding, dimensions of haemorrhagic
foci, presence of mass effect, perilesional oedema and subarachnoid effusion results in the death of patient despite any
sustained therapeutical intervention.
322
Correlations between grading factors
and fibrillary components and vascular
density of intratumoral stroma in ductal
invasive carcinoma of the breast
S.D. Enache, I.E. Plesea*, C.V. Georgescu, M. Ghilusi,
C.F. Popescu, O.T. Pop*, R. Ciurea*, D. Mihalache***,
P. Badea**
Department of Pathology, Emergency County Universitary
Hospital, * Department of Pathology, ** Department of Informatics, University of Medicine and Pharmacy, Craiova,
Romania; *** Department of Pathology, County Hospital;
Braila, Romania
Aims. The Authors made a preliminary assessement of possible correlations between the amount of fibrillary components and capillary density of intratumoral stroma and the
degree of glandular formation and nuclear pleomorphism in
20 cases of invasive ductal carcinoma of the breast.
Material and methods. The samples were fixed in buffered
formalin and included in paraffin wax. Stromal components
were marked silver staining (Gömöri) and antibodies for
CD34 Classs I. Five fields with no necrosis were selected
randomly using x10 objective, for each case, from the most
representative slide for the tumoral pattern. The selected tumoral areas were aquired using a Nikon DN100 digital camera and a LuciaNet 1.16.2 soft. The quantitative determinations were performed, after image calibration, with analySIS
Pro 3.2 soft. The 100 selected fields were firstly subdivided
in three groups following tubule formation (group It, group
IIt and group IIIt) and then, in other three groups following
nuclear pleomorphism of malignant cells (group Ip, group
IIp and group IIIp). The studied parameters for each group
were: area occupied by stromal fibrillary elements and capillary densities related to tumoral area.
Results. The group with less than 10% tubule formation
(score 3)on the field area was the most numerous, followed
by the group with score 2. Fibrilary component represented
between 27,6% (group IIt) and 30% (group IIIt), with a
Confidence Level (95%) between 4,52 (group It) and 3,66
(group IIIt). Vascular density related to whole tumoral area
ranged between 39/mm2 (group It) and 43/mm2 (group IIt)
with a Confidence Level (95%) between 8,72 (group It) and
4,68 (group IIIt).
The group with moderate nuclear atypia on the field area was
the most numerous. Stromal fibrillary component ranged
between 25,85% in group IIp, with a good Confidence Level
(95%) of 2,93, and 34,9% in group IIIp but with a Confidence Level (95%) of 9,07 (group IIIp). Vascular density
related to whole tumoral area was higher in groups with
intermediate and severe pleomorphism but with a better
Confidence Level (95%) of 5 for group IIp only.
Conclusions. These preliminary data showed no significant
variations of the intratumoral stroma amount and intratumoral capillaries amounts in different areas of ductal invasive
breast carcinomas.
No significant correlation was found between stromal components variations and the degree of tubule formation but
severe nuclear atypia seems to be present in tumoral areas
with an increased amount of stromal fibrillary components.
No significant correlation was also found between the vascular density and tubule formation. The degree of nuclear
atypia was not correlated with vascular density, despite the
relative increasing trend of vascular density related to tu-
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
moral parenchyma from areas with mild to those with severe
atypia.
Primary cell cultures from breast tissues
A. Farnedi, E. Magrini, D. de Biase, M.P. Foschini,
V. Eusebi
Department of Anatomic Pathology, University of Bologna at
“Bellaria” Hospital, Bologna, Italy
Introduction. Primary cultures from fresh tissues are difficult to obtain, in addition, consecutive culture passages
can probably cause clonal selection and the subsequent
modification of the original characteristics of cultured cells.
Difficulties are mainly related to selection of areas with
prevalence of epithelial cells, on surgical specimen, and to
fibroblasts proliferation, on culture.
Cell cultures are important to better characterize the different breast lesions.
Purpose of the present study was to evaluate a method to obtain primary cell cultures from normal and neoplastic breast
tissues to better characterize breast lesions.
Materials and methods. breast tissues from women, in
pre-menopausal age, were obtained fresh. Representative
samples of normal and neoplastic tissue underwent frozen
sections evaluation to confirm the type of tissue to be examined. Correspondent samples were formalin fixed and paraffin embedded for routine histology.
Young age was one of the parameters we utilized to obtain
glandular parenchyma vital cultures.
Furthermore, to avoid fibroblasts invasion, immunomagnetic
microbeads separation and selective culture media were
employed.
To confirm the epithelial nature of the cultured cells, immunocytochemical characterization was performed, with
antibodies directed against cytokeratin 7 (CK7), CK14,
Epithelial Membrane Antigen (EMA) and Smooth Muscle
Actin (SMA).
Results. 21 cultures from normal breast and 12 from tumours
were obtained. Immunocytochemistry showed a strong positivity in most of the cultured cells, for CK7 and CK14. Focal
immunoreactivity was obtained with SMA and EMA.
Conclusion. The data here obtained show that tissue sampling adequacy, through frozen section examination, and
cell cultures in adequate medium can be helpful to obtain
primary cell cultures from breast tissues.
TTF-1 in mediastinal and pulmonary fna
Cytopathology
M. Ferretti, F. Barbisan*, D. Morichetti*, S. Gasparini**,
L. Zuccatosta**, E. Bichisecchi***
Citopatologia Diagnostica, * Anatomia Patologica, ** Pneumologia, *** Clinica Radiologica dell’Azienda OspedalieroUniversitaria Ospedali Riuniti di Ancona, Italy
Aim. To assess the impact of thyroid transcription factor-1
(TTF-1) on cytological diagnosis of pulmonary (PL) and
mediastinal (ML) lesions sampled by fine needle aspiration (FNA), both trans-bronchial (TBNA) and percutaneous
(PCNA).
323
ABSTRACTS
Methods. Considering FNA of PL and ML lesions performed from Ian. 2005 to Dec. 2006, we selected 52 patients,
36 male and 16 female ranging 43-86 y.o. (mean 70.15),
that underwent TBNA (36 cases) and PCNA (16 cases)
procedures because of 37 PL and 15 ML. Patients were
subdivided in 3 groups: 12 of them, included in the group A,
without previous tumors in clinical history; 34, included in
the group B, with a single formerly known tumor (6 breast,
5 urinary bladder; 5 prostate, 4 colon, 3 esophagus, 2 pancreas, 1 gastric, 1 larynx, 1 tongue, 1 kidney, 1 mediastinal,
1 ovaric, 1 lung tumors and 1 non-Hodgkin lymphoma) and
6, included in the group C, with multiple different previous
tumors (1 case lung + breast, 1 lung + prostate, 1 lung +
thyroid; 1 urinary bladder + prostate; 1 breast + kidney +
melanoma). TTF-1 was studied on smears still wet alcohol
fixed (ethanol 95°) and stained by Papanicolaou’s modified
method (without orange-G). After microscopic evaluation,
one smear containing diagnostic cells were destained in
acid-alcohol and utilized for TTF-1 study. Destained smears
were treated by H2O2 3% (7’), heated (30’ at 95-98 °C in
citrate buffer 0.01M pH 6.0) for antigen retrieval and then
incubated 30’ at room temperature with monoclonal antiTTF-1 antibody (DAKO 1:50). Reaction was evidenced by
further 30’ incubation at room temperature with 3,3’diaminobenzydin (Envision-DAKO). Were deemed positives the
cases were diffuse nuclear granular brown die was present in
more than 5% of neoplastic cells. In 11 cases we study other
immunocytochemical markers too (calretinin, thyroglobulin,
HMB-45, chromogranin, PSA and EGFR).
Results. In group A, TTF-1 was positive in 9 cases (7 ML
and 2 PL) and negative in 3 (2 PL and 1 ML). Positive results
in 7 ML confirmed the origin of primary tumor in the lung
and permit to spare further diagnostic procedures, obtaining
at the same time diagnosis and staging. The 1 negative ML
was due to primary unknown poorly differentiated carcinoma. In 4 PL 2 positives were due to NSCLC and 2 negatives
to mesotheliomas (1 also positive for calretinin).
In group B, TTF-1 was positive in 23 cases (19 PL and 4
ML), weakly positive in 2 (2PL), negative in 8 (7 PL and 1
ML) and not valuable because of too much necrosis in 1 (1
PL). Positive results in 23 cases contribute to assess the presence of a second primary tumor in the 19 PL (17 adenocarcinomas; 1 squamous-cell and 1 NSCLC) and of mediastinal
metastases from a second primary lung cancer in the 4 ML (4
NSCLC). 2 Weak positive result and 1 not valuable result do
not contribute to further considerations in 3 cases. Negative
results in 7 PL were due to metastatic carcinomas (3 urinary
bladder, 1 tongue, 1 kidney, 1 larynx, 1 gastric) and the 1
negative ML to metastatic breast carcinoma.
In group C, TTF-1 was positive in 4 cases (3 PL and 1 ML)
and negative in 2 (1 PL and 1 ML).
Positive results were due to 3rd and 4th primary lung cancer
in 2 PL, pulmonary metastasis from previous pulmonary carcinoma in the other 1 PL and to pulmonary metastasis from
previous thyroid carcinoma (also positive for thyroglobulin)
in the 1 ML. The negative results in 1 PL and 1 ML do not
lead to further considerations, except the presence of carcinoma.
Conclusion. Use of TTF-1 may contribute to a better cytological characterization of PL and ML sampled by FNA. In
ML may confirm the pulmonary origin of lymph-nodal metastases, contributing to lung cancer staging. In PL may be
of value in suggesting the presence of a primary lung tumor,
particularly helpful in clinical management of patients with
previous tumors in other sites.
Clinicopathological and molecular factors
predictive of aggressive behaviour
in gastrointestinal stromal tumors:
a study of 40 cases
A. Fornari, A. Barreca, L. Chiusa, L. Bonello, P. Francia
di Celle, G. Bussolati
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology
and Center for Experimental Research and Clinical Studies,
“Molinette” Hospital, University of Turin, Turin, Italy
Introduction. Gastrointestinal stromal tumors (GISTs) are
the most common mesenchymal tumors of the gastrointestinal (GI) tract. The deregulated expression of KIT protein
(CD117) remains the most reliable marker of GISTs, and
is often due to gain-of-function mutations of the KIT gene.
Nevertheless, 15-20% of GISTs lack demonstrable KIT
mutations and are characterized by PDGFRa activating
mutations or by a wild type (WT) phenotype. Risk of an aggressive behavior in GISTs is currently defined according to
tumor size and mitotic counts. The aim of this study was to
further identify clinicopathological and molecular prognostic parameters and to define possible correlations between
immunohistochemical and molecular analyses.
Matherials and methods. 40 cases of GIST (29 gastric tumors, 9 small bowel tumors and 2 large bowel tumors) were
selected and classified in a risk of aggressive behaviour category based on tumor size and mitotic count. All cases were
treated with surgical resection. Clinical data were available
at time of diagnosis and during follow-up (mean follow-up:
35.9 months). Immunohistochemistry was performed using
antibodies to CD117, PDGFRa, CD44 an Ki67 (ABC immunoperoxidase method). PCR amplification in combination with DNA sequencing analsyis was performed in all
primitive resected tumors to establish the mutational status
of the KIT (exons 9, 11, 13 and 17) and the PDGFRa (exons
12 and 18) genes. Correlations between clinicopathological data, immunophenotype, molecular analysis and GIST
behavior were assessed; uni- and multivariate analyses of
disease free survival (DFS) were performed.
Results. Ten out of fourty cases (25%) relapsed. Factors
showing a significant correlation with GIST clinical behavior were risk category (sec. Fletcher), proliferation index
(Ki67), mitotic count, immunohistochemical positivity for
PDGFRa, presence of symptoms at diagnosis and type
of KIT mutations. Only one of the 6 cases with PDGFRa
mutation relapsed. At univariate analysis of DFS factors
predictive of disease progression were proliferation index
> 5%, mitotic count > 10/50 HPF, small bowel localization, high risk category, presence of symptoms at diagnosis,
deletions-insertions of KIT gene and immunohistochemical
negativity-weak positivity (1+) of tumor cells for PDGFRa.
At multivariate analysis of DFS, the only independent prognostic factors were proliferation index (Ki67; p = 0,001)
and site of involvement (p = 0,004). Strong PDGFRa immunohistochemical positivity (3+) of tumor cells showed
significant correlation with PDGFRa gene mutations (p =
0,0001).
Discussion. At present, risk of aggressive behaviour in
GISTs is established according to tumor size and mitotic
count. In our study proliferation index (ki67) was found to
be the most important independent prognostic factor, suggesting its use in the assessement of risk at diagnosis. Type
of KIT mutation showed a significant correlation with tumor
324
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
relapse with cases carrying deletions-insertions having an increased risk of aggressive behaviour. Moreover we showed
a significant correlation between strong PDGFRa immunohistochemical positivity and presence of PDGFRa gene
mutations. Immunohistochemical staining for PDGFRa can
therefore be useful in the diagnosis of KIT (CD117)-negative GISTs.
Computer-aided quantitative evaluation
of angiogenesis and lymphangiogenesis in
primary hepatocellular carcinomas
B. Franceschini, C. Russo, S. Di Biccari, B. Fiamengo , N.
Dioguardi, F. Grizzi
*
Laboratories of Quantitative Medicine and * Department
of Pathology, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano,
Milan, Italy
Hepatocellular carcinoma (HCC) is the fifth commonest
malignancy worldwide and its incidence is rising. Surgery
still remains the only potentially curative modality for HCC,
yet recurrence rates are high and long-term survival poor.
Although experimental and clinical data indicate that HCC
advancement is associated with angiogenesis and that an
increase in microvascular density is related with a poor prognosis, it is currently still uncertain whether HCC growth and
progression involve ongoing lymphangiogenesis.
Here we apply a computer-aided image analysis system for
investigating the surface covered by lymphatic and vascular
vessels, in a series of paired specimens of primary HCC
and surrounding non-tumoral tissue in order to identify a
potential histopathological quantitative biomarker for HCC
management.
Liver sections taken from 10 patients (m:f = 8:2; mean age:
70.3 years; range: 61-82 years) with primary HCC were immunohistochemically treated with antibodies raised against
CD34, CD105 and D2-40 in order to visualize their blood
and lymphatic vascularity. For each histological section, two
> 50 mm2 areas were identified: one representing tumoral
tissue and the other a portion of non-tumoral cirrhotic surrounding parenchyma.
We found that the surface covered by CD105+ vessels was
not statistically significant lower in the tumoral region when
compared to the adjacent non-tumoral tissue. The surface
covered by D2-40+ lymphatic vessels was lower in the
tumoral region (p = 0.039) vs. that recognized in the nontumoral area. On the contrary the surface covered by CD34+
vessels was significantly higher in the tumoral region (p =
0,003) vs. that identified in the tumoral area.
These results suggest that: 1) because its heterogeneous expression in non-tumoral and tumoral tissues, CD105 seems
a non useful histopathological biomarker for evaluating the
angiogenetic process; 2) the absence of lymphangiogenesis
in primary HCC; and 3) the helpfulness of CD34 as an angiogenic histopathological biomarker in primary HCC.
Correlations of proliferation markers, p53
expression and some histological findings
in colorectal carcinoma
C.V. Georgescu, I.E. Plesea*, C.C. Georgescu**, R. Ciurea*,
A. Saftoiu***, T. Ciurea***
Department of Pathology, Emergency County Universitary
Hospital; * Department of Pathology, ** Department of Pharmacology, *** Department of Gastroentherology, University of
Medicine and Pharmacy, Craiova, Romania
Background. The purpose of this study was to investigate
the expression of PCNA, Ki-67 and p53 antibodies in colorectal carcinomas and to establish the relationship between
these markers and some particular histological findings of
colorectal carcinomas.
Material and methods. The studied material consisted of
surgical samples from 41 selected cases of colorectal carcinoma. The specimens were processed by the classical
histological technique (neutral buffered formalin fixing and
paraffin embedement) and stained with usual stainings (HE, van Gieson). The expression of PCNA, Ki-67 and p53
antibodies were determined using immunohistochemical
technique.
Results. In adenocarcinomas, the tumor proliferative activity, detected with PCNA and Ki-67 antibodies, increased
with the histological grade. Mucinous adenocarcinomas had
a mean PCNA labelling index (LI) of 50% and a mean Ki-67
LI of 32%, while signet ring carcinomas had a mean PCNA
LI of 70% and a mean Ki-67 LI of 45%. The proliferative
activity in the foci of squamous metaplasia was lower than
the proliferative activity of malignant areas in the analyzed
adenocarcinomas. The p53 overexpression was detected in
24 cases (58.53%). In adenocarcinomas, the p53 positive
rate increased with the dedifferentiation of these tumours.
Only 16.66% of the cases of carcinomas with mucus secreting cells overexpressed p53, while adenocarcinomas overexpressed this protein in many more cases (65.71% of the
cases). The overexpression of p53 was associated with the
highest PCNA and Ki-67 LI.
Conclusions. The foci of squamous metaplasia, present in
colorectal adenocarcinomas, do not seem to influence the
increase of the tumours. The p53 overexpression was associated with nonmucinos colorectal carcinomas and with
the histological grade of colorectal adenocarcinomas. The
p53 overexpression tended to be more frequent in colorectal
carcinomas with high proliferative activity.
Comparative study between hepatitis B and
C main morphological changes
M.C. Ghilusi, C. Drighiciu*, C.F. Popescu, M. Comanescu**, C. Dochit, V. Comanescu, I.E. Plesea**
Department of Pathology, Emergency County Universitary
Hospital; * Department of Pathology, Military Universitary
Hospital; ** Department of Pathology, University of Medicine
and Pharmacy; Craiova, Romania
Background, aims. The Authors performed a preliminary
comparison between the presence and intensity of each evaluation element for necroinflammatory activity and fibrosis used
in modified HAI score.
ABSTRACTS
Material and methods. The studied material consised of
liver biopsy samples from 246 cases with chronic C hepatitis (CH) and 49 cases with chronic B hepatitis (BH). Tissue
samples were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedment) and stained, on serial slides, with hematoxilin eosin
and thricrome van Gieson. All elements of modified HAI
score were assessed (Piecemeal necrosis - A -, Confluent
necrosis - B -, Spotty necrosis, apoptosis and focal inflamation - C -, Portal inflamation - D - and Architectural changes,
fibrosis and chirrosis) for each case from the two groups.
Distributions of each score element as well as the final HAI
score for both groups were compared.
Results. 60% of CH cases had focal piecemeal necrosis in
most of portal spaces (score 2) whereas 30% of BH cases
had moderate continuos areas in less thah 50% of tracts and
septa (score 3).
Most of BH cases had no confluent necrosis (score 0) whereas 30% of CH cases had foci of confluent necrosis (score 1),
and some of them foci in some areas of 3d zone (score 2).
Spotty necrosis, apoptosis and focal inflamation were generally mild to moderate in both groups but with a less expression in BH (almost 40% with score 1) than in CH (around
70% with score 2).
Portal inflamation was mild in 50% of BH cases but moderate in 50% of CH cases.
The fibrotic remodelling expressed the entire panel in both
groups but with more cases with fibrous expantion of most
portal sapces (score 3) and with chirrosis (score 6) in B
group and with more cases with fibrous expantion of portal
spaces and porto-portal marked bridges (score 4) and marked
bridging with occasional chirrotic nodules (score 5) in C
group.
Conclusions. The entire spectrum of morphological changes
in hepatic parenchyma is more severe in C hepatitis compared with B hepatitis, which was confirmed by their final
assembly in the modified HAI score.
Sarcomatoid carcinoma of the urinary
bladder. A case report
C. Glava, E. Michail*, D. Lepidas*, X. Grammatoglou,
T. Vasilakaki
Department of Pathology, * Department of Urology “Tzaneion” General Hospital of Piraeus
Background. Sarcomatoid variants of urothelial carcinoma
are rare, aggressive malignant neoplasms. Histologic composition of these tumors is variable and characterized by
the presence of both epithelial and mesenchymal malignant
components. We report a case of sarcomatoid urothelial
carcinoma with relatively benign course.
Case report. A 73-year-old male admitted to our hospital
for an episode of painless hematuria. A cystourethroscopy
revealed a large-based polypoid solid tumor, of maximum
diameter 3 cm, localized in the right lateral and posterior
bladder wall and transurethral resection was performed.
Histologic examination of the tumor showed a biphasic
composition of both neoplastic epithelial and connective
tissue components. The epithelial neoplastic component
consisted of urothelial cells with nuclear pleomorphism attributable to a high-grade urothelial carcinoma. The mesenchymal component consisted in a neoplasm of low cellular-
325
ity. Neoplastic cells were spindle-shaped with hyperchromatic nuclei and slightly eosinophilic cytoplasm deposited
in a prominent myxoid matrix. Mitotic figures were rare.
The immunohistochemical profile of the mesenchymal
component was characterized by a strong and diffuse positivity for Vimentin and negativity for Smooth Muscle Actin
(SMA), Desmin, S100p and cytokeratins. Histochemical
stain for Trichrome Masson was negative, indicating the
absence of hyalinization of the stroma. Diagnosis for sarcomatoid carcinoma, according to the latest WHO’s classification, without heterologous differentiation was made.
The patient underwent radiation treatment. After five years
in follow-up and in absence of recurrence or metastasis, a
programmed cystourethroscopy revealed a papillary tumor
around the bladder neck, excised with transurethral resection. Histologic examination showed a low-grade urothelial
carcinoma with absence of the mesenchymal neoplastic
component. The patient did not accept supplementary radiation therapy. A year later, a tumor recurrence was found
localized in the anterior bladder wall and around the bladder neck infiltrating the prostatic urethra. The tumor was
excised and specimens were taken from both bladder wall
and prostate. Histologic examination revealed a high-grade
urothelial carcinoma with invasion of both bladder wall and
prostate gland. The patient continued radiation therapy.
Discussion. In the urinary bladder the majority of the
neoplasms are of pure epithelial origin. Pure mesenchymal
tumors and biphasic epithelial – mesenchymal neoplasms
rarely occur at this site. Also histogenesis of sarcomatoid
carcinomas remains uncertain. Some authors support that
these tumors develop as a result of the capability of the
totipotential neoplastic cell to undergo multiple pathways
of terminal differentiation whereas others support the
theory of “collision” tumors where both epithelial and mesenchymal components arise independently from each other.
Recent molecular studies strongly agree for a monoclonal
origin of both epithelial and mesenchymal components.
The mean age of diagnosis is 66 years and hematuria is
the most frequent symptom. Etiology and risk factors are
largely unknown. Heterogeneous elements (osteosarcoma,
chondrosarcoma, rhabdomyosarcoma, leiomyosarcoma, liposarcoma and angiosarcoma) can be present in the stromal component of the tumor. Immunohistochemically,
epithelial elements react with cytokeratin, whereas stromal
elements react with Vimentin or specific markers corresponding to the mesenchymal differentiation. Nodal and
distant metastases at diagnosis are common. Prognosis is
very poor: 70% of the patients die at 1 to 48 months.
In the present case, histologic and immunohistochemical
characteristics of the tumor are to attribute to a sarcomatoid
carcinoma. According to the literature, prognosis of such
neoplasms is very poor. However, seems that early diagnosis (smaller tumor without lymphatic or distant metastases)
can improve the prognosis.
Conclusion. Sarcomatoid carcinomas of the urinary bladder are rare, aggressive malignant neoplasms. Nevertheless, early diagnosis, radical excision of the neoplasm and
accurate adjuvant radiation therapy seem being of crucial
importance in order to improve prognosis and prolong
survival.
326
Histological modifications of the umbilical
cord in pregnancy induced hypertension
R. Ilie*, C. Ilie
Neonatology Departament of “Bega” Clinic of Obstetrics
and Gynecology, Timisoara; * Pathology Departament of
Children’s Hospital, “Louis Turcanu” Timisoara
Objective. The main structural modifications of the umbilical
cord in pregnancy induced hypertension (PIH) are presented
vs. the normotensive pregnancy.
Material and method. Over 160 histological sections were
obtained from 42 umbilical cords, distributed into two equal
monitored groups: one group (n = 21), from mothers with
(PIH); and another group (n = 21), from normotensive mothers, representing control-group. The histological sections were
made from the placental and fetal side of the umbilical cord.
The histological method for preparation and the colored stain
was that for Hematoxylin-Eosine (H.E.); for the examination
of the samples we used an optical microscopy.
Results. In the study, were registered the following structural
modifications in the pregnancies with PIH vs. normal pregnancies:
– diameter and volume reduction of the umbilical cord and
umbilical vessels;
– numerical reduction and structural disorders of the smooth
muscular fibers and fascicles, from the vascular (and especially, arterial) media;
– vascular endothelium thickening and vascular caliber reduction;
– numerical reduction and structural disorders of the collagen
and elastic fibers (especially to the umbilical cord vein). It is
a special interest in the constant association of these lesions
to the pacients with PIH, vs. the normotensive cases, where
they occur rarely and isolatedly.
Conclusions. The above described lesion complex has at least
three physiopathological consequences:
– fetal blood stream reduction;
– fetal oxygenation and nutrition reduction, with an impact
upon the general development;
– a fetal chronic hypoxemia, with a direct impact upon the
fetal cerebral development.
The immunohistochemical and molecular
status of Epstein-Barr Virus (EBV)
in lymphnodes draining nasopharyngeal
carcinoma
C. Iosif*, L. Popescu**, A. Georgescu*, F. Vasilescu*,
D. Terzea* **, M. Mihai*, F. Andrei*, M. Ceausu* **,
D. Arsene*, M. Neagu*, D. Ene*, G. Butur*, C. Ardeleanu* **
“Victor Babes” National Institute, Bucharest, Romania;
“Carol Davila” University of Medicine and Pharmacy,
Bucharest; *** “Coltea” Clinical Hospital, Bucharest
*
**
Aim. To determine retrospectively the presence of EBV latent membrane protein (LMP) and viral transcript EBER in
metastatic and nonmetastatic lymphnodes from patients with
nasopharyngeal carcinomas.
Material and methods. Metastatic and nonmetastatic lymphnodes from 34 adult patients diagnosed with different
types of nasopharyngeal carcinoma and 13 primary undifferentiated nasopharyngeal carcinoma were tested immuno-
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
histochemically (IHC) for LMP and by in situ hybridization
(ISH) for EBV. Clone CS 1-4 and EnVision detection system
from Dako, Denmark were used for LMP identification by
IHC; the EBV probe (NCL-EBV) and NCL-ISH-D detection
kit from Novocastra, UK were used for identifying EBER
transcripts by ISH.
Results and discussion. The tumoral cells were positive
in 5/7 cases for EBER and in 3/7 cases for LMP in laterocervical lymphnodes with metastases of undifferentiated
nasopharyngeal carcinomas. The lymphocytes were positive
in 2/4 cases for EBER, but negative for LMP in reactive lymphnodes from patients with nasopharyngeal nonmetastatic
undifferentiated carcinoma. The 13 undifferentiated primary
tumor tested showed positivity for EBER in 11 and for LMP
in 6 cases. The metastatic lymphnodes from patients with
squamous cell carcinoma showed positivity for EBER in
one case out of 13; all 10 reactive lymphnodes from patients
with squamous cell carcinomas were negative for EBER as
for LMP. The positivty of EBER in primary or metastatic
tumoral cells of undifferentiated nasopharyngeal carcinoma
is associated usually with their transformation, but the same
positivty for lymphocyte in reactive lymphnodes of these
tumors is unusual.
Conclusion. The positive lymphocytes for EBER in reactive
lymphnodes of undifferentiated carcinomas could suggest
their role as latently infected cells, possiblly implicated in
viral growth and predicting further metastses.
Immunoexpresion of HER family, Neuregulin,
MAPK, AKT in Invasive Ductal Carcinomas
of the Breast
H. Kaya, I. Erbarut, N. Özkan, N. Bekiroglu*
Marmara University Hospital, Department of Pathology,
Istanbul 81190, Turkey; * Marmara University Hospital,
Department of Biostatistics, Istanbul 81190, Turkey
Background. Epidermal Growth Factor (EGF) family of
receptor tyrosine kinases (RTKs) and ligands play an important role in the pathogenesis of breast cancer. The purpose of
this study was to investigate the frequency of expression of
erbB/Her family of growth factor receptors and their ligand
neuregulina (NRGa), most important pathways activated by
HER receptors mitogen activated protein kinase (MAPK) and
serine/threonine kinase (AKT), their coexpressions and their
correlations with the well known histopathological prognostic
parameters as tumour stage, grade, lymph node status, oestrogen receptor (ER), progesterone receptor (PR) status, and
patients clinical out come, in invasive ductal carcinomas of
the breast, not otherwise specified (IDC-NOS).
Methods. 59 invasive carcinomas ductal carcinomas of the
breast has been studied for ER, PR, EGFR, c-erbB-2, cerbB-3, c-erbB-4, Neuregulin Ab-3, Phospho-Akt, and Phospho-p44/42 Map Kinase by streptavidin-biotin horseradish
method.
Results. Of the 59 tumours, 44 (75%) were ER+, 37 (63%)
PR+, 4 (7%) EGFR+, 7 (12%) c-erbB-2, 7 (12%) c-erbB-3,
14 (24%) c-erbB-4. Strong cytoplasmic and nuclear immunoexpression revealed with 17 (29%) NRGa, with 13
(22%) p-AKT and nuclear immunoexpression with p-MAPK
found to be 17 (29%) of the cases. There has been a statistically significant correlation with ER negativity and EGFR
overexpression, and PR positivity and p-MAPK expression
327
ABSTRACTS
(p < 0.05). c-erbB-2 overexpression demonstrated significant
correlation with the tumour high grade, PR negativity, and cerbB-3 immunoexpression. c-erbB-3 expression and c-erbB-4
expression has found to be statistically correlated (p < 0.05).
Significant association with c-erbB-4 expression and the patients good clinical out come has been revealed (p < 0.05).
Conclusion. The results of our study suggests that high grade
histomorphology of the breast carcinomas are associated with
the ER-/PR- negativity, and activated by receptor tyrosine kinase growth factors as EGFR and c-erbB-2 overexpression.
Distant metastatic disease of skin melanoma
at ovary, like paraovary cyst. Case report
E. Lazovic, N. Bilalovic, A. Cimic, I. Bukvic*
Department of Pathology, Clinical Center University Sarajevo,
Bosnia and Herzegovina; * Department of Gynaecology, Clinical Center University Sarajevo, Bosnia and Herzegovina
This paper will show you a rare hystologic type of metastatic primary skin malignant melanoma to ovary that simulate
paraovary cyst. A 40-year-old Bosnian woman was admitted
in November 2006 at the Department of Gynaecology, Clinical Center of the University of Sarajevo, Bosnia and Herzegovina cause of the tumor mass at her right ovary, 24 x 17 x
15 cm. Tumor was cystic with haemorrhagic, agility liquid but
in the base of cystic tumor we found whitish-gray, papillary,
fragility, tumor mass with solidity area 15 x 15 cm.
With microscopic analysis of tumor tissue we found that it
consists of eosinophylic, atypic, pleomorfic cells with prominent nucleoli and some pathologic mitoses (less then 10/10
Hpf). Tumor had areas with muffy growth pattern of cells
around the vessels. We found the vessels invasion.
Imunohystohemical evaluation of tumor cells show us S-100
(+), Melan A (+), Vimentin (+) and CD 10 (+).
Addition of clinical information, macroscopic find, microscopic morphology find with imunohistochemical evaluation
we found out the diagnosis: distant metastatic disease of skin
melanoma to ovary that simulate paraovary cyst.
Ultrastructural features of heterotopic
mesenteric ossification
S. Lega, D. Malvi, C.M. Betts , M.P. Foschini
*
Section of Anatomic Pathology, Bellaria University Hospital,
and * Dept. of Experimental Pathology, University of Bologna,
Bologna, Italy
The histological finding of mature bone-tissue within the
mesentery of the gastrointestinal tract is very uncommon and
to our knowledge, less than 25 cases have been described in
the literature. This kind of lesion may represent the soft-tissue
counterpart of myositis ossificans and therefore, it has been
designated under the term “heterotopic mesenteric ossification” (HMO).
Purpose of the present paper is to describe the ultrastructural
features of three cases.
All patients were male, aged 25, 48 and 58 years, respectively.
All had prior history of abdominal trauma and presented with
intestinal obstruction.
Macroscopically, multiple, firm, greyish-white lesions were
observed in the mesentery of small bowel in all cases and
in one also in the omentum. Histologically the lesions were
composed of steatonecrosis and haemorrhage surrounded
by myo-fibroblastic proliferation, with spindle shaped cells,
intermixed with an acute and chronic inflammatory infiltrate. At the periphery of these areas, eosinophilic material
resembling osteoid was present. The “zone phenomenon”
described in the myositis ossificans was observed. The myofibroblastic cells and osteoblasts were mitotically active,
while they lacked atypia and atypical mitotic figures were
absent. For electron microscopy small blocks were microdissected from paraffin-embedded samples. These small
blocks were de-waxed by overnight immersion in xylol and
rehydrated to phosphate buffer, through a graded series of
alcohol dilutions. Biopsies were then re-fixed in buffered
glutaraldehyde, post-fixed in OsO4, dehydrated in alcohol
and embedded in Epon 812 (Fort Washington, Pa, USA).
Thick sections stained with toludine blue were used to select
areas to examine. Thin sections were stained with uranyl
acetate and Reynold’s lead citrate, and observed in a Philips
CM 10 TEM (Eindhoven, Netherlands).
At ultrastructure, elongated cells immersed in the osteoid material were rich in rough endoplasmatic reticulum, contained
vesicles and filaments and showed a well developed Golgi apparatus. The eccentric nuclei showed finely distributed chromatin with occasional prominent nucleoli. All these features
are consistent with a secretory-like cell pattern and an active
protein synthesis.
The precise pathogenesis of HMO has still not yet been determined. Most probably it is related to metaplasia of mesenchymal stem cells, as a consequence of an exuberant reaction to
trauma or injury, in predisposed individuals. The ultrastructural features observed here further support the hypothesis of
stem cells actively producing osteoid material.
Mesothelioma study
V. Loncaric, L.B. Vuletic, L. Brcic, D. Anzulovic, I. Brcic,
M. Alilovic*, S. Krizanac, S. Seiwerth
Institute of Pathology, Medical School University of Zagreb,
Zagreb, Croatia; * Department of Pneumology, University
Clinic for Lung Diseases, Zagreb, Croatia
Mesothelial changes still remain one of the most problematic
areas in routine pulmonary pathology. In recent years the
diagnosis of mesothelioma underwent significant changes.
Gradual introduction of new immunohistochemical tools allows today a better differential diagnosis and represents a
valuable help in solving some of the crucial questions in the
“simple” decision tree: primary or secondary; if primary-benign or malignant, if secondary- where from. In order to analyze the evolution of the diagnostic process of mesothelioma
at our Institute in the light of above mentioned changes, and
to reevaluate the diagnosis of mesothelioma made under different technical conditions, we reassessed the material of 100
patients diagnosed as mesothelioma in the period 1999-2006.
The original specimen was a transthoracal needle biopsy,
an open biopsy or a surgical resection. All specimens were
submitted to a panel of antibodies including CEA, vimentin,
thrombomodulin, calretinin and CD15. In order to reach the
envisioned antibody panel 155 slides had to be stained additionally. In about 40% of cases the original diagnosis was
achieved without immunohistochemistry. In 20% of cases 1 or
328
2 antibodies were used, in 15% of patients 3 or 4 antibodies
were originally applied.
The advances in immunohistochemical identification of mesothelium greatly improved the differential diagnosis between
primary and metastatic pleural disease, while discrimination
between benign and malignant mesothelial changes still remains difficult diagnostic task.
Haemangiopericytoma of the meninges
and peripheral solitary fibrous tumour:
morphological and immunoistochemical
comparison
S. Manoni, D. Malvi, V. Eusebi
Section of Anatomic Pathology, “Bellaria” University Hospital, Bologna, Italy
Background. In 1942 Stout and Murray described a tumour
of the soft tissue, primarily located in the retroperitoneum,
buttock and thigh that they named haemangiopericytoma
(HPC) because the cells that composed the neoplasm had a
certain similarity to the “pericytic” cell, discovered previously by Zimmermann nineteen years before. In the central
nervous system (CNS), however, this term was used for
the first time in 1954 when Begg and Garre reported a case
of primary cranial meningeal haemangiopericytoma. They
noticed, in fact, that this lesion was identical to angioblastic
meningiomas as well as to the lesion previously described
by Stout and Murray.
Following the recognition of the solitary fibrous tumour
(SFT), it soon became clear that there was an overlap between these two entities (i.e. SFT and haemangiopericytoma).
Over the years, the concept of haemangiopericytoma located
outside the CNS has changed and nowadays it is no longer
considered a distinctive entity, but rather as a growth pattern
which can be shared by several neoplasms. Nevertheless,
HPC is still diagnosed when occurring in the meninges.
Purpose. In order to better define the morphological features
and the immunophenotype of meningeal HPC, we re-examined 6 cases of HPC of the meninges that had not recurred,
9 cases of HPC that had recurred and 12 cases of peripheral
SFT that were found in the database of this Institution from
1993 to 2004. No SFT of the CNS was found in the same
database. Cases were stained for CD 34, Bcl2, Cd 99, Ki 67
and smooth muscle actin.
The HPC cases of the CNS are neoplasms composed of spindle to globoid cells, showing a “patternless” pattern, with
numerous vessels showing thick and thin stag-horn branching. A variable amount of collagenous fibres were present.
HPCs that recurred were highly cellular, had occasional
necrotic foci, a high mitotic count, frequent cellular atipia
and weak CD34 positivity.
HPCs that did not recur and peripheral SFTs, on the contrary
had low cellularity, low mitotic index, no necrotic areas, and
showed diffuse and strong positivity for CD34.
Comment. The present data indicate that recurring HPC,
non recurring HPC and peripheral SFT are a spectrum of
the same lesion. Aggressive behaviour of HPC of meninges
is indicated by high cellularity, necrotic foci, high mitotic
count and low expression of CD34. It is suggested that HPC
of the meninges, by analogy with peripheral lesions, ought to
be renamed meningeal solitary fibrous tumour (MSFT).
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Risk of neoplastic transformation in
asymptomatic radial scar. Analysis of 117 cases
E. Manfrin, A. Remo, F. Falsirollo, D. Reghellin, R. Loss,
M. Gobbato, C. Cannizzaro, D. Dalfior, M.P. Rapagnani,
M. Vergine, F. Menestrina, F. Bonetti
Department of Pathology, University of Verona (Italy)
Background. Before mammographic screening was available,
Radial Scar (RS) was mostly an incidental finding in breast
specimens removed for other clinically suspicious lesions, but
nowadays it is increasingly recognized as a primary lesion in
asymptomatic patients with atypical mammograms. RS is a benign breast lesion but a variable percentage of cases are associated with atypical epithelial proliferations and cancer. In recent
years, it has become apparent that RS, albeit benign, is a lesion
that carries the risk of a carcinoma developing within its context
and a subsequent breast carcinoma with an increased relative
risk (R.R.1.8) when compared with the normal female population. Previous studies have shown that patient age and the size
of RS are correlated to a potential neoplastic transformation.
Method. We collected 117 asymptomatic patients with suspected RS following a mammogram, histologically confirmed.
The clinical, pathological and immunophenotypical analysis is
reported. The cases are subdivided into three different groups:
1) RS “Pure”, without epithelial atypia; 2) RS associated with
epithelial atypical hyperplasia; 3) RS with cancer.
Results. “Pure” RS was detected in 55 patients (47%); the
mean age was 48.1 years and the mean size 0.94 cm. RS associated with atypical epithelial hyperplasia was identified in
25 cases (21%) with a mean age of 53.1 years and a mean size
of 0.98 cm. Carcinoma in RS was observed in 37 cases (32%);
the mean age was 55.5 years and the mean size was 1.16 cm.
The mean age was statistically significant (p = 0.004) in separating RS with cancer from the two other RS groups. The size
of RS was not sufficiently statistically significant (p = 0.2) to
differentiate the risk. Atypical lesions and cancers showed a
morphology and marker of low-grade aggressiveness.
Conclusions. RS seems to represent a natural model of carcinogenesis starting from a proliferative lesion in patients of
less than 50 years of age and developing into an atypical and
later into a carcinomatous lesion. The fact that most carcinomas arising in RS are low grade also favors this hypothesis.
All cases of RS should be excised because of the intrinsic risk
of neoplastic transformation.
This work was supported by: Fondazione Cassa di Risparmio
di Verona Vicenza Belluno e Ancona. “Carcinoma della
mammella: marcatori fenotipici e molecolari indicatori di
prognosi e risposta terapeutica”. Bando di ricerca scientifica
2004, indirizzo biomedico.
Exfoliative cytology of the oral cavity: Flow
Cytometric analysis of dna obtained by a new
sampling method
A. Marsico, A. Demurtas*, I. Rostan, M. Pentenero,
S. Gandolfo, R. Navone
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana
dell’Università di Torino; * SC Anatomia Patologica II, ASO
“S. Giovanni Battista” di Torino, Italy
Introduction. Survival rate for oral squamous carcinoma has
shown no improvement over the last 25 years as it is often
ABSTRACTS
diagnosed in the advanced stages. Moreover, although new
technologies (liquid-based and computer-assisted cytology,
AgNORs, etc.) have improved the sensitivity and specificity
of diagnostic oral exfoliative cytology for the diagnosis of oral
dysplasia/neoplasia (Navone et al., Cytopathology, in press),
some cases still remain undiagnosed with cytology alone. The
evaluation of the DNA content may give a good indication of
malignancy, but the intra-tumoural heterogeneity of ploidy is
high (12-45%), suggesting that is hard to determine the correct DNA content by only one specimen. To overcome this
limitation, we examined a pool of cells harvested from the
whole abnormal surface area, using an innovative system,
based on the scraping with a dermatological curette.
This study compares the DNA ploidy to the cytological and
histological diagnosis made on the microhistological and scalpel biopsy of oral potentially malignant lesions (PMLs).
Methods. A total of 117 oral samples, adequate for ploidy
and diagnostic cytology evaluation, evidenced 44 leukoerythroplakia lesions without dysplasia, 44 with dysplasia, 25
squamous cell carcinoma and 4 verrucous carcinoma. Flow
cytometry was carried out on samples in saline, using a FACSCalibur (Becton Dickinson) cytofluorimeter and the Cycle
Test Plus kit for the determination of the DNA.
Results. Aneuploidy was observed in 56.0% of the squamous
cell carcinoma, in 0% of the verrucous carcinoma, in 50.0%
of the leuko-erythroplakia lesions with dysplasia and in 9.1%
of those without dysplasia (p = 0.0005 in relationship with
the presence of dysplasia). There was 11.7% of inadequate
samples.
Conclusions. The cell material harvested from the oral cavity
may be used, not only to make a cytological diagnosis, but
also for the examination of the DNA content. The presence
of aneuploidy may have a prognostic value and is, therefore,
particularly important in lesions with no morphological evidence of dysplasia. The scraping technique described herein
allows for the non-invasive harvesting of cells from the whole
abnormal area, providing material for cytology, flow cytometry and the micro-histology of the “accidental micro-biopies”
obtained by the curette.
Pathological findings in surgical specimens
of patients with refractory temporal lobe
epilepsy
G. Marucci, I. Banchelli, L. Volpi*, G. Rubboli*,
M. Giulioni**, M.P. Foschini
Section of Pathology, Department of Oncology, University
of Bologna, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy; * Section of
Neurology, Department of Neuroscience, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy; ** Section of Neurosurgery, Department of
Neuroscience, “Bellaria” Hospital, Bologna, Italy
The aim of this study was to analyze a series of patients who
underwent surgery for refractory temporal lobe epilepsy in
order to evidence the frequence of pathological findings, the
predictive potential of magnetic resonance and to correlate the
histological diagnosis with the seizure outcome after surgery.
Material and Methods. Cases were retrieved from the files of
the Section of Anatomic Pathology of the “Bellaria” Hospital,
University of Bologna, relative to patients seen between 2001
and 2005. Histological subtypes of focal cortical dysplasia
(FCD) were classified according to Palmini et al. 1 and cases
with mild histological abnormalities corresponding to the
329
definition of microdisgenesia were included.The seizure outcome was classified according to Engel 2.
Results. Fifty-one cases constituted the basis of this study
(24 males and 27 females), ranging from 4 to 61 years of
age (median age 34.5 years), at follow-up periods of 12 to
60 months after epilepsy surgery (median period 36 months).
The most frequent histological diagnosis were hippocampal
sclerosis and FCD, that alone or in association (dual pathology) accounted for 70.6% of the cases; low grade tumors
(mainly ganglioglioma and dysembrioplastic neuroepithelial
tumour) represent 23.5% of the cases, while vascular lesions
(cavernous angioma and artero-venous malformation) 5.9%
of the cases.
Magnetic resonance imaging contributed in a high percentage
of cases to the detection of hippocampal sclerosis (90.9%) and
low grade tumors (91.6%). Neverthless a significant number
of FCD lesions remained unidentified using current neuroimaging techniques (more than 80%).
Regarding the seizure outcome after surgery, it has been
evidenced that 80.3% of cases are in class I of Engel. Particularly better postsurgical outcome has been reported in
patients with low grade tumours (100% of patients in class
I), followed by hippocampal sclerosis (72.6% of patients in
class I) and FCD (50% of patients in class I). In cases of
dual pathology, 84.10% of patients are in class I. Comparing the seizure outcome with subtypes of FCD it has been
observed that microdisgenesia presents very good follow-up
(100% of patients in class I), while less favourable prognosis
was associated to architectural dysplasia (70% of patients in
class I) and finally to cytoarchitectural dysplasia (62.5% of
patients in class I).
Conclusions. Hippocampal sclerosis and FCD represent
the most frequent diagnoses in the present group of patients. FCD lesions remain often unidentified using current
neuroimaging techniques. The data confirm that surgical
approach may represent a useful alternative in therapeutic
managemente of these patients.
References
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Tassi L, Colombo N, Garbelli R, et al. Focal Cortical Dysplasia: Neuropathological Subtypes, EEG, Neuroimaging and Surgical Outcome.
Brain 2002;125:1719-32.
2
Fauser S, Schulze-Bonhage A, Honegger J et al. Focal Cortical Dysplasias: Surgical Outcome in 67 patients in relation to Histological
Subtypes and Dual Pathology. Brain 2004;127:2406-18.
Stromal response in invasive (pT1) and noninvasive (pTa) papillary urothelial carcinoma
of the urinary bladder
Z. Marusic, M. Milosevic*, H. Cupic, M. Belicza, B. Kruslin,
D. Tomas
Ljudevit Jurak Department of Pathology, Sestre Milosrdnice
University Hospital, Zagreb, Croatia; * Department for
Environmental and Occupational Health, “Andrija Ctampar”
School of Public Health, Zagreb, Croatia
Purpose. Stromal invasion is a key prognostic feature in
papillary urothelial carcinoma of the urinary bladder, but
sometimes it is difficult to diagnose invasion. Aim of this
study was to assess and compare stromal eosinophil and
mastocyte count and desmoplastic reaction in invasive
(pT1) and non-invasive (pTa) papillary urothelial carcinoma of the urinary bladder.
330
Methods. Eosinophils and mastocytes were counted in the
stroma of 18 pT1 and 16 pTa urothelial carcinomas obtained
by transurethral resection. Specimens were routinely fixed,
embedded in paraffin, cut and stained with hematoxylin
and eosin method for the eosinophil count. Giemsa stain
was performed for the mastocyte count, and Mallory stain
for the assesment of desmoplastic reaction. The area of the
tumor that contained the maximum number of eosinophils
was identified by scanning the whole mount section under
lower magnification (100X). Eosinophil counts were performed in the previously selected high-power field (HPF,
400X) and in 9 adjacent stromal HPFs. Identical counting
method was performed for mastocytes using the Giemsa
stain. Eosinophil numbers were classified as low (< 30/10
HPFs), moderate (30-60/10 HPFs) or high (> 60/10 HPFs).
The intensity of green staining in the stroma of the above
mentioned 16 pTa and 18 pT1 carcinomas was assessed
semiquantitatively and classified as follows: 0 = no staining, 1 = weak green staining, 2 = moderate green staining, 3
= intense green staining. Statistical analysis was performed
by the independent t-test and c2 test and the level of statistical significance was set at p < 0.001.
Results. The average number of eosinophillic granulocytes
per 10 HPFs was 22 in pTa and 92 in pT1 carcinomas (p <
0.001). Among pTa carcinomas, the eosinophil count was
low in 12 (75.0%) and moderate in 4 (25.0%) specimens,
but none exhibited a high number of eosinophils, whereas in
pT1 carcinomas the eosinophil count was low in 3 (16.7%),
moderate in 4 (22.2%) and high in 11 (61.1%) cases (p <
0.001) Also, presence of ≥ 20 eosinophils in at least one HPF
was not recorded in non-invasive carcinoma, in contrast to
11 (61.1%) of the invasive carcinomas. Mastocytes were
found only in 5 pTa and 2 pT1 specimens, which didn’t allow us to make further comparisons. Absent or weak green
staining (groups 0 and 1) was recorded in 7 (43.8%) pTa and
8 (44.4%) pT1 carcinomas, whereas moderate or intense
green staining (groups 2 and 3) was present in 9 (56.2%)
pTa and 10 (55.6%) pT1 carcinomas (p = 0.968).
Conclusion. Our results suggest a statistically significant
difference in stromal eosinophil count between pTa and
pT1 urothelial bladder cancer, which may represent a useful additional criterion in the diagnosis of invasion. The
estimation of desmoplastic reaction by Mallory stain does
not represent a useful diagnostic criterion of invasion and
further investigations of stromal desmoplastic reaction using immunohistochemical methods are required to assess its
usefulness in the diagnosis of invasion.
Ovarian retiform Sertoli-Leydig cell tumor:
clinico-pathological study of a case
D. Micello, N. Papanikolau, C. Facco, C. Riva, C. Capella
Department of Human Morphology, University of InsubriaVarese, Italy
Background. Sertoli-Leydig cell tumors (SLCTs), which account for less than 0.5% of all ovarian tumors, exhibit a wide
range of patterns and cell types. Fifteen percent of SLCTs
are composed of tubular structures arranged in a retiform
pattern resembling the rete testis. Retiform SLCTs often display a prominent papillary architecture, mimicking the much
more common serous epithelial neoplasms.
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
The clinico-pathological features of a case of ovarian retiform SLCT are reported.
Case report. A 13 year-old young female, with regular
menstrual cycles and absence of virilization signs, presented
with the complaint of severe abdominal pain.
The physical examination revealed a palpable pelvic mass
and the abdominal CT-scan showed a pelvic tumor (24 x 12
cm-sized) of probable left adnexial origin. High serum level
of CA-125 (299 U/ml) and a-fetoprotein (94 ng/ml) was
observed, while CEA and b-hCG were negative.
The patient underwent left salpingo-ooforectomy, omentectomy and multiple peritoneal biopsies.
No adjuvant therapy was administrated.
After 11 years the patient was alive and well, without recurrence of disease.
Results. Macroscopically, the tumor measured 24 cm in
greatest dimension and the external surface was intact and
smooth. The cut surface exhibited a multicistic hydatiformlike appearance, with pale, edematous and spongy foci intermingled to some solid and brownish areas.
Microscopic examination showed the proliferation of medium sized cells arranged in a network of elongated, narrow, slit-like tubules resembling the rete testis. A striking
papillary architecture with marked stromal hyalinization
was observed; the epithelial cells lining the papillae showed
prominent nuclei and scanty cytoplasm. Minuti foci of cartilage and of rhabdomyoblastic differentiation were present.
Immunoprofile study revealed a diffuse positivity for cytokeratin and a-inhibin, focal reactivity for actin, desmin and
CA-125 and negativity for vimentin and a-fetoprotein.
Discussion. The ovarian retiform SLCT is an uncommon
neoplasia arising in young females, that in approximately
25% of the cases may follow an aggressive course. In our
case the patient presented with a Stage I disease and a favourable outcome after a long term follow-up.
Retiform SLCTs can mimick other ovarian neoplasms including serous carcinoma, endodermal sinus tumor, endometrioid carcinoma and carcinosarcoma. The correct recognition of these entities is important because they have a better
prognosis than tumors with which they are confused but they
have a worst prognosis than other subtypes of SLCTs.
Frequency of malignant tumors in children
treated in “St. Mary’s” Pediatric Hospital, Iasi,
Romania
D. Mihaila, M. Onciu***, I. Florea**, P. Plamadeala, M.
Trandafirescu, A. Varna, S. Dumitras*
Departments of Pathology and * Oncology “St. Mary” Children’s Hospital, Iasi, Romania; ** Department of Immunology UMF “Gr. T. Popa”, Iasi, Romania; *** Department of
Pathology St. Jude Children’s Research Hospital Memphis,
TN, USA
Objectives. The aim of this study was to asses the frequency
and types of pediatric extra-cranial malignant tumors diagnosed and treated at “St. Mary’s” Emergency Hospital for
Children (SMEHC), Iasi, Romania, a tertiary pediatric care
center that serves a population of approximately 5 million,
during a period of seven years (2000-2007).
Methods. Most of the cases were initially diagnosed cytologically, on May-Grünwald-Giemsa-stained imprints,
and/or frozen sections stained with toluidine blue. The final
ABSTRACTS
331
diagnostic was made on hematoxylin-eosin-stained sections
of routinely processed, formalin-fixed, paraffin-embedded
tissue, with special stains and immunochemical stains performed when necessary. Patient’s age, gender, and stage at
presentation were recorded after a medical record review.
Statistical analysis was performed using the SPSS.13.0
software.
Results. 354 patients with cancer (0.17%) were identified
out of a total of 204,477 children treated in our hospital between 2000-2007. The patients ranged in age from 6 months
to 18 years. The male/female ratio was 1.4:1. Hematopoietic
tumors were the most frequent (205 cases, 57%), including
leukemias (173 cases, 48.7%) non-Hodgkin lymphomas
(45, 12.6%) and Hodgkin lymphomas (32, 9%). Of the
leukemias, 86 cases (24.2%) were acute lymphoblastic
leukemias, 37 (10.4%) were acute myeloid leukemias, and
5 (1.4%) were chronic myeloid leukemias. The next most
frequent were embryonal tumors (87 cases, 24.5%), including neuroblastoma (32 cases, 9%), Wilms tumors (22, 6.2%),
Ewing/PNET (18 cases, 5%), rhabdomyosarcomas (RMS)
(11, 3.1%), hepatoblastomas (3, 0.8%) and retinoblastoma
(1, 0.2%). In decreasing order of frequency, other types
of malignancy included: germ cell tumors (18 cases, 5%),
osteosarcomas (17, 4.7%), non-RMS sarcomas (12, 3.3%),
carcinomas (9, 2.5%), and melanomas (4, 1.1%). The most
frequent subtypes of carcinoma included nasopharyngeal,
adrenocortical and gastrointestinal. The lowest mean patient
age at presentation (2.5 years) occurred in patients with
embryonal tumors, while the highest was found in patients
with carcinomas (12.9 years). Patient age had a bimodal appearance in hematopoietic neoplasms, with a major peak at 4
years and a minor peak at 14 years. Most of the patients were
in advanced disease stages at the time of diagnosis.
Conclusions. Extra-cranial malignant tumours represented
0.17% of the diagnoses established at SMEHC, Iasi, between
2000-2007. The most frequent were hematologic malignancies, followed by embryonal tumors. There were significant
differences in patient age at presentation for the different
types of malignancy. Most of these patients presented with
advanced disease stages.
an expert pathologist and then by an automatic procedure
in order to determine an accurate cut off value which could
predict the implant success.
Material and methods. We used a digital microscope (Olympus “slide Digital virtual microscopy”) with a proper
software (“dot slide” software) to scan all the specimens at
10X magnification to obtain VSI (Virtual Slide Image) files.
On scanned images the percentage of integrated bone was
determined by two different procedures:
A)we captured all images from dot slide’s VSI files and
measured the areas of each specimen by manual drawing
using “dot slide” instrument from the menu bar. It took
about one hour and half for each biopsy;
B)we captured the images from VSI files in the same way
but we converted VSI files in Jpg. These images were
analyzed using another software called “Image-Pro Plus”
by Media Cybernetics with a settings for automatic recognition and measurements of selected areas. With this approach we could evaluate the percentage of mature bone
for each biopsy in 10 minutes, and no special expertise
was required.
Several stains such as Trichrome and Von Kossa were tested
to give the best colour contrast between the different areas,
but Hemathoxilin and eosin gave the best result.
Results. The percentages of mature bone recognized using
the different approaches were similar and almost overlapping with those reported by the expert pathologist, with a
variability of 5-10%. Inflammation, granulation tissue and
presence of osteoblasts/osteoclasts at the periphery of the
mature bone could play an additional important role on the
implant success and should be described.
Conclusions. Determining an exact cut off level of regenerated vs. necrotic bone with rapid and automated procedure
would be important not only for objectively predicting the
implant success but also for testing different materials to be
used in pre-implant therapy.
Automated Evaluation of mature bone
component in alveolar biopsies following
pre-implant Guided Bone Regeneration
procedure
S. Musardo, B. Franceschini, S. Di Biccari, B. Fiamengo*,
N. Dioguardi, F. Grizzi
L. Molinaro, S. Asioli, L. Gaetano, P. Cassoni, R. Navone
Department of Biomedical Sciences and Human Oncology
Section of Pathological Anatomy and Histology University
of Turin
Introduction. Making a dental implant means to put a hollow screw with a tooth on top in the dental alveolus that
often is completely necrotic. Osteointegration and the quantity and quality of bone available in the site of implant is a
crucial step for the stability of the protesis and the success
of the rehabilitation.
The aim of the study was to evaluate 24 biopsy from the
dental alveolus of 20 patients who underwent “Guided
Bone Regeneration” procedure with biocompatible material
(heterologous bone powder or synthetic powder) 6 months
following the treatment in order to determine the percentage
of mature bone. All the specimens were first analyzed by
Pituitary tumor transforming gene 1: a new
histopathological biomarker for primary
cholangiocarcinomas
Laboratories of Quantitative Medicine and * Department
of Pathology, Istituto Clinico Humanitas IRCCS, Rozzano,
Milan, Italy
Cholangiocarcinoma (CC) is an epithelial neoplasm arising
from the biliary network, still difficult to diagnose and associated with a high mortality. Although its rarity the CC
incidence is increasing globally, and it remains the second
most common primary hepatobiliary malignancy. CC is
usually classified into three distinct categories: 1) intrahepatic CC, 2) hilar CC, and 3) distal extrahepatic bile duct
cancer. Although our advances in molecular and cellular
knowledge on CC, there are still not specific CC markers.
Several biomarkers have been proposed as a diagnostic
guide, including the carcinoembryonic antigen (CEA) and
carbohydrate antigen 19.9 (CA19.9). Furthermore, imaging
is retained helpful tools for the evaluation and management
of patients with suspected CC.
Here we investigate the expression of Pituitary Tumor
Transforming Gene 1 (PTTG1), in order to evaluate this
332
antigen as a potential histopathological biomarker for early
detection of CC and its management.
The expression of PTTG1 was assessed by means of a
standardised immunohistochemical procedure in formalinfixed and paraffin-embedded surgically resected specimens
taken from patients affected by primary CC.
We found PTTG1 expression in all of the investigated tissue. Interestingly the protein was homogeneously recognized in all of the neoplastic cells with a different intensity.
Normal adjacent tissue was found immunonegative, except
for Kupffer macrophagic cells that were highly immunopositive.
The present study first demonstrates the expression at the
protein level of the proto-oncogene PTTG1 in primary
CC cells. The high frequency of expression, and its diffuse distribution in cancer cells suggest that this antigen
can be taken as a new histopathological biomarker of CC,
enabling not only its early detection, but also to follow-up
the dynamics of this neoplasia. In addition, further studies
are necessary for evaluating the usefulness of PTTG1 as a
potential target for developing effective immunotherapeutic
strategies.
Histological diagnosis by satellite.
The Chirundu experience
F. Pagni, A. Faravelli, et al.
POF, Università Milano Bicocca
In Italy the pathologists are enough for global number to
answer to clinical daily problems (around 2,500 for 60 millions people). It isn’t like that in a lot of poor countries.
In the subsaharian Africa, for example, a lot of countries
haven’t surgical pathology laboratories and also if there is
a pathologist it is insufficient to satisfy the medical needs.
In Zambia there is only 1 pathologist for 10 millions men,
in Tanzania with 30 millions of inhabitants there are only
7 pathologists.
Patologi Oltre Frontiera-ONG (POF) planned since 2004
an ambitious project to promote the birth of new surgical
pathology laboratories all around the world, expecially in
“poor countries”. This project needs two important features:
first of all, the telemedicine, to transfer and communicate
the histological cases to the Italian hospitals where the pathologists, by internet, can see virtual slides and make a diagnosis that they sent to Africa. The other important aspect
of the project is the possibility to train new medical and
technician staff directly in the “poor countries” using Italian voluntary pathologists which travel around the different
countries to teach the practical bases of surgical pathology.
Since 2006 the pathologists have used a modern technology based on the transmission of microscopic images by
internet using a Scanscope and a satellitar connession. This
permits to “POF” to make diagnosis in Italy on surgical
histological and cytological specimens prepared locally.
In this work we will show with histological examples the
first months of experience of our telepathologic project in
Mtendere Mission Hospital, Chirundu (Zambia).
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Not-proliferating, committed to proliferate
and proliferating hepatocytes in human
hepatocarcinogenesis
C.I. Paulon, L. Di Tommaso, G. Franchi*, A. Destro*,
E. Balladore*, M. Montorsi**, G. Torzilli**, M. Tommasini***,
M. Roncalli
Departments of Pathology and ** General Surgery, University
of Milan School of Medicine & Humanitas Clinical Institute,
Rozzano, Milan, Italy; * Molecular Genetic Laboratory and ***
Operating Unit of Hepatology, Humanitas Clinical Institute,
Rozzano, Milan, Italy
Background. Hepatocellular nodules occurring in cirrhosis
are a morphologically heterogeneous group of lesions embracing LGDN (low grade dysplastic lesions), HGDN (high
grade dysplastic lesions), e-HCC (early HCC) and G1-HCC
and G2-3 HCC. Recently it has been proposed that the coincidental evaluation of both old and novel markers of cell
kinetic such us Ki67, MCM-2 (minichromosome protein 2)
and germinin is useful to understand the biology of this spectrum of lesions.
Objectives. To evaluate hepatocyte cell kinetic in 78 hepatocellular nodules arising in cirrhosis, using Ki67 and MCM-2
as immunocytochemical markers.
Material and methods. The series included 81 surgically
resected hepatocellular nodules from 32 patients (15 cirrhotic
nodules, 7 LRN, 10 LGDN, 11 HGDN, 15 G1-HCC, 20 G2-3
HCC). Tissue sections were immunostained for Ki67 and for
the (MCM-2). Results were semiquantitatively evaluated as
percentage of immunoreactive cells and all the lesions subclassified as not-proliferating (NP: Ki67 < 5% & MCM-2 <
10%), committed to proliferate (CTP: Ki67 < 5% & MCM-2 >
10%), and proliferating (P: Ki67 > 5% & MCM-2 > 10%).
Results. Thirty-four (42%) nodules were NP, 24 (30%) CTP
and 23 (28%) P. NP lesions were distributed as follows: cirrhotic nodules (80%), LRN (71.4%), LGDN (60%), HGDN
(72.7%), G1-HCC and G2-3 HCC (0%).
CTP were distributed as follows: cirrhotic nodules (20%),
LRN (28.6%), LGDN (40%), HGDN (27.3%), G1-HCC
(53.3%) and G2-3 HCC (20%). P nodules were distributed
as follows: cirrhotic nodules (0%), LRN (0%), LGDN (0%),
HGDN (0%), G1-HCC (46.7%) and G2-3 HCC (80%).
Conclusions. There is a substantial retention on the control of
cell kinetic within the heterogeneous group of non malignant
hepatocellular nodules as opposed to malignant lesions. Hepatocytes of well differerentiated HCC are mainly committed to
proliferate while are frankly proliferating in less differentiated
tumors. These might indicate that other factors rather than a
mere disruption on the control of cell cycle play a role in the
early phases of human hepatocarcinogenesis while aberrant
cell proliferation plays a more crucial role in HCC progression. We are currently evaluating whether the cell kinetic
of so-called early HCC falls within the spectrum of overtly
malignant or non malignant hepatocellular nodules.
ABSTRACTS
Small cell carcinoma of the urinary bladder:
a new case report
A. Petrescu, G. Berdan, I. Hulea, R. Gaitanidis, V. Ambert,
V. Jinga, D. Damian, F. Andrei**, L. Niculescu*
“Prof. Dr. Th. Burghele” Hospital, Bucharest, Romania;
*
University of Medicine and Pharmacy “Carol Davila”,
Bucharest, Romania; ** “Victor Babes” National Institute of
Pathology, Bucharest, Romania
Small cell carcinoma of the urinary bladder is rare and accounts about 0.5%-1% of all bladder tumors. The most of the
small carcinoma coexist with other carcinoma as urothelial
carcinoma, epidermoid carcinoma or adenocarcinoma.
Introduction. We present the case of a man 44 years old,
smoker (10 cigarettes/day) hospitalized in the “Prof. Th.
Burghele” Urology Clinic accusing intermittent hematuria
dating one month before being admitted. Ultrasonography
exam performed for establishing the diagnosis showed the
presence of a sesil tumoral mass, sized 37/30 mm. Transurethral resection of the tumor mass was effected and tissue
fragments were send to the pathologic lab to establish the
histologic type, the degree and invasion.
Material and methods. Fragments of the tumor were fixed
in formaldehyde 10%, included in paraffin and processed as
standard technique and the sections were stained with HE,
VG and immunohistochemically: CROMO, EMA, NSE,
CD56, NK1 (CD57), p53, beta HCG.
Results. The microscopic exam reveled a tumor proliferation
composed of two distinct components: extensive small cells
areas and foci of typical low grade (G2) papilary urothelial
carcinoma. The small cell are uniformly, round, with increased nucleo-cytoplasmic ratio, eosinophyl cytoplasmic,
hyperchromatic nuclei, finely granular chromatin and inconspicuous nucleoli. Immunohistochemical stains showed diffuse positive staining of the small cell carcinoma component
for CROMO, EMA, NSE, CD 56 and urothelial carcinoma
component stained focally for betaHCG. The rate of cell proliferation was increased (p53 -80% positive reaction).
Conclusions. Because of aggressive behavior and distinct
treatment, the pathologist should watch out for the presence
of small cell carcinoma component.
Intraparenchymatous arterial and arteriolar
morphological changes in hypertensive
patiens dead with intracerebral haemorrhage
I.E. Plesea, S.D. Enache*, M. Ghilusi*, C.F. Popescu*,
M. Tenovici***, O.T. Pop, A. Camenita**
Department of Pathology, University of Medicine and Pharmacy; * Department of Pathology, ** Department of Neurosurgery, Emergency County Universitary Hospital; *** Department of Pathology, National Railways System Universitary
Hospital, Craiova, Romania
Background and aims. The rupture of a intraparenchymal
vascular wall usually hides or at least modifies the real vascular pathology making thus difficult the study of the main cause
of primary intracerebral haemorrhage. Therefore the purpose
of this study was to assess the alterations of intraparenchymal
arterial and capillary in patients suspected of primary intraparenchymal hematoma, which died and were autopsied in order
to confirm the diagnosis.
333
Material and methods. 82 hypertensive cases were selected
which died with stroke and were confirmed with intracerebral haemorrhage by autopsy. The studied material consisted of nervous tissue situated near and distant from the
haemorrhagic lesion. The specimens were processed by the
classical histological technique (neutral buffered formalin
fixing and paraffin embedement) and stained with usual
stainings (H-E, van Gieson and Goldner trichromes) and
with immunohistochemical stains for endothelial cells.
Results. Penetrating arteries and intraparenchymal arterioles
showed the entire spectrum of lesions due to arterial hypertension including all steps of vascular wall degeneration:
thickening and folding of the inner elastica, hypertrophy of
the middle smooth muscle layer, progressive and exgtensive fibrosis, starting from the outer adventicial layer with
simultaneous smooth muscle atrophy and, finally, hyaline
degeneration of the collagen fibres which replaced the middle and outer vascular wall layers. All these alterations had
a focal irregular distribution, not related with the proximity
of haemorrhagic focus. The CD 34 immunostaining showed
that endothelial cells kept their structural integrity.
Conclusions. The sequence of cerebral vascular wall degenerative lesions results in hyalinization of excessive fibrillar
material from arteriolar wall or from basement membranes.
Hyalin material is weakening the wall resistance when
exposed to the stress caused by blood pressure high values
in hypertension and, correlated with a minimal resistance
of the surrounding cerebral parenchyma, can explain why
the cerebral parenchyma is the only tissue in which blood
pressure variations can determinate vascular rupture and
cerebral haemorrhage. The more adequate term for describing the vascular wall changes seems to be sclerosis with
hyalinosis.
Correlations between grading factors and
fibrillary components and vascular density of
intratumoral stroma in prostate carcinoma
I.E. Plesea, S.D. Enache**, C.F. Popescu**, M. Ghilusi**,
C.V. Georgescu**, O.T. Pop, R. Ciurea, D. Gherman***,
P. Badea*
Department of Pathology, * Department of Informatics,
University of Medicine and Pharmacy; ** Department of
Pathology, Emergency County Universitary Hospital,
Craiova; *** Department of Pathology, Municipal Hospital,
Sighisoara, Romania
Aims. The authors made a preliminary assessement of
possible correlations between the amount of fibrillary
components and capilaries of intratumoral stroma and the
architectural tumoral patterns described by Gleason in 34
cases prosatic adenocarcinoma.
Material and methods. The samples, obtained by transurethral resection (TUR) were fixed in buffered formalin and
included in paraffin wax. Stromal fibrillary components
were marked with silver staining (Gömöri) and stromal
vascular structures were marked with antibodies for CD34
Classs I. Dominant and secondary Gleason patterns were
identified for each case. Five fields with no necrosis were
selected randomly using x20 objective, for both important
patterns of each case. The selected tumoral areas were
aquired using a Nikon DN100 digital camera and a LuciaNet 1.16.2 soft. The quantitative determinations were
334
performed, after image calibration, with analySIS Pro 3.2
soft. The 340 selected fields were firstly subdivided following Gleason patterns.
Area occupied by stromal fibrillary components and the
number of intratumoral capillaries were determined for
each field.
The studied parameters for each group were: the percentage
of stromal fibrillary elements and capillary densitiy related
to tumoral area
Results. There is no significant difference between the
amount of stromal fibrillary components (SFC) in patterns
“2” (21.43% ± 9.35 of tumoral area) and “3” (24.56% ± 9.21
of tumoral area) (t-test > 0.05). There is also no significant
difference in SFC between patterns “2” and “4” (21.81% ±
9.98 of tumoral area) (t-test also > 0.05).
There is significant difference between patterns “3” and “4”
(0.01 < t-test < 0.05).
Pattern “5” with a mean value of the amount of SFC of
33.07%, ranging between 21.37 and 44.83 presented high
significant differences compared with all the other patterns
(all t-test values < 0.001).
There is high significant difference between the density
of intratumoral capilaries in pattern “2” wich has the lowest values (84.76 ± 50.67 capillaries/mm2 of tumoral area)
comparing with all the other patterns: “3” (107 ± 74.58
capillaries/mm2 of tumoral area – t-test = 0.04), “4” (195.72
± 150.28 capillaries/mm2 of tumoral area - t-test < 0.001)
and “5” (156.93 ± 98.07 capillaries/mm2 of tumoral area
- t-test < 0.001).
There is also high significant difference in capillary densities between patterns “3” and “4” (t-test < 0.001).
Pattern “5” with a mean value of capillaries density of
156.93 capillaries/mm2 of tumoral area, ranging between
58.86 and 255 capillaries/mm2 of tumoral area presented
significant differences compared with patterns “3” and “4”
(t-test values of 0.011 and 0.029 respectively).
Conclusions. These preliminary data suggested that on
TUR specimens the amount of SFC tends to increase in “3”
patterns, is decreasing in “4” patterns and becomes again
significantly higher in “5” patterns. Intratumoral vascular
density tends to increase from well differentiated areas to
poorely differentiaded ones, with the highest values in areas
with solid pattern “4”.
Human sodium iodide symporter (hnis) in
gastric mucosa
F. Poli, A. Farnedi, M.P. Foschini, V. Eusebi
Anatomic Pathology University of Bologna, “Bellaria” Hospital
Iodide uptake across the basolateral membrane is a characteristic feature of normal thyroid follicular cells and is driven
by the recently cloned and characterized human sodium iodide symporter (hNIS), an intrinsic transmembrane protein.
In addition to normally functioning thyroid tissue, iodide uptake has been demonstrated in a variety of nonthyroidal tissues, including gastric mucosa, salivary and lacrimal glands,
lactating mammary gland, choroid plexus and placenta.
In this study we used a polyclonal antibody directed against
hNIS protein to asses its expression in tissue sections derived from ten cases of gastric pathology. These specimens
include 5 cases of intestinal-type gastric adenocarcinoma, 3
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
cases of signet-ring cell carcinoma, 1 case of chronic gastritis, 1 case of peptic ulcer, 1 case of gastric leiomyoma and 1
case of gastric lymphoma.
In all cases immunohistochemical analysis revealed hNIS
immunoreactivity in normal and hyperplasic gastric foveolae. On the contrary, intestinal-type adenocarcinomas,
signet-ring cell carcinomas, gastric lymphoma and gastric
leiomyoma resulted negative.
Moreover areas showing gastric atrophy with intestinal
metaplasia showed loss of hNIS immunoreactivity. These results confirm that hNIS is expressed in normal and hyperplasic gastric mucosa and it is responsible for an active iodide
translocation that provides a higher iodide concentration in
gastric secretions than in serum. Inorganic iodide secreted
by gastric mucosa followed by oxidation to hypoiodite may
act as an antimicrobial agent, offering mucosal protection
against environmental micro-organisms. Chronic atrophic
gastritis with intestinal metaplasia missing hNIS expression
lost this capability. Furthermore hNIS expression could be
used as an immunohistochemical marker to provide differential diagnosis between hyperplasic and neoplastic gastric
mucosa.
Morphological changes of seminiferous
tubular wall in aging testis
O.T. Pop, R. Ciurea, I.E. Plesea, S.D. Enache**, P. Badea*,
M. Tenovici***, C. Gruia**
Department of Pathology, * Department of Informatics, University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital; *** Department
of Pathology, National Railways System Universitary Hospital, Craiova, Romania
Background and aims. The Authors assesed the possible
correlations between ageing and morphologic aspects of the
seminiferous tubular (ST) wall.
Material and methods. The studied material consised of
surgical samples of testicular tissue from 28 cases with
orchiectomy for prostate adenocarcinoma. Tissue samples
were processed by the classical histological technique (neutral buffered formalin fixing and paraffin embedement) and
stained, on serial slides, as following: for basement membrane (BM) with silver staining following Gömöri technique
and immunostaining for Collagen IV (CIV) and for lamina
propria (LP) with Goldner green light thricrome and immunostaining for smooth muscle Actin (SMA) and CIV. Images were aquired and measurements were performed with
a specialised softweare for immage analysis after previous
calibration. The assessed parameters were: BM thickness
(BMThs), LP thickness (LPThs) and Fibro-Hyalin “Collar”
thicknes (FHCThs). 30 tubules were randomly selected, with
X40 objective, for each case and 5 random determinations
for each tubule and for each parameter were performed.
Mean thickness/tubule (M-xThs/T), Mean thickness/case
(M-xThs/Cs) and Mean thickness/age group (M-xThs/A)
were calculated (x = assesed parameter). Regression line
(RL), Slope (m) and Significance test for Slope (“p”) were
calculated in order to to assess the correlation of each parameter with ageing.
Results. For BM, the layer immunostained with CIV was
thinner than that marked by silver staining. Therefore, it
seems that the most accurate way of marking the BM is CIV
ABSTRACTS
immunostaining. Thickness of the 2 observed layers (CIV
immunostained and silver stained) had different trends with
ageing: the true BM seems to have a regressive trend while
the outer silver stained layer seems to have an encreasing
trend both in thickness and density. M-LPThs showed, in
contrast with other data, a discrete decreasing trend with
ageing, but without a obvious statistical significance. The
internal LP layer, apposed to BM and usually formed of
a loose, reticular, fibrillary network, revealed, not rarely,
areas of collagen fibers focal denseness. Moreover, these
areas showed often foci of hyaline degeneration. Sometimes,
these foci had a circumferencial disposal, like a “collar”
around the tubule (FHC). M-FHCTh had a discrete decreasing trend with ageing but but without a obvious statistical
significance. The percentage occupied by FHC in LP had
also a mild decreasing trend but without statistical corellation with ageing.
Conclusions. The measurements and observations showed
beyond any doubt that ST wall undergoes, with ageing, a series of extremely variable degenerative changes, with a “mosaic”, focal distribution. These changes showed no tendency
to advance with ageing as demonstrated by the great variety
of morphologic measurements (ranging from total absence in
some tubules to surrounding the entire circumference of the
tubule) and by the statistical determinations.
Fine needle aspiration cytology of thyroid
nodules performed under the guidance of
eco-colour doppler sonography
M. Ragazzi, S. Bianchini**, S. Lega, L. Castaldini*,
P. Vezzadini**, M.P. Foschini
Section of Anatomic Pathology, University of Bologna “Bellaria” Hospital, Italy; * Department of radiology, “Bellaria”
Hospital, Bologna; ** Department of Medicine and Gastroenterology, University of Bologna “Bellaria” Hospital
Background. Ultrasonography guidance has increased the
sensitivity of fine-needle aspiration cytology (FNAC). Nevertheless, in multinodular goiters the choice of nodule to
submit to FNAC is still a problem. In a previous work, we
have shown that thyroid nodules have a characteristic vessel distribution, that can be visualized on eco-colour doppler
sonography (ECD). Purpose of the present study is to evaluate
if the vascular pattern can be useful to select thyroid nodules
for FNAC.
Method. 310 thyroid nodules were analysed by ECD before
FNAC and classified as follow: no vessels evident (type 1),
only peripheral vessels evident (type 2), intranodular vessels
(type 3).
Results. Type 1 nodules were 45 and were diagnosed on
FNAC as negative for malignancy in 36 (80%) cases, follicular lesions (FL) in 5 (11.1%), papillary carcinomas (PC) in 2
(4.4%) and inadequate in 2 (4.4%) cases.
Type 2 nodules were 72: 60 negative for malignancy (83.3%),
11 FL (15.3%) and 1 inadequate (1.4%).
Type 3 nodules were 193: 108 negative for malignancy
(55.9%), 73 FL (37.8%), 8 PC (4.1%), 1 medullary carcinoma
(0.5%) and 3 inadequate (1.5%).
Conclusion. Type III nodules show a higher rate of neoplastic
lesions (FL, PC and MC) (42.5%). This suggests that vascular
pattern may be useful in the selection of thyroid nodules for
FNAC.
335
Vacuum-assisted biopsy with the “targetoid”
method. Report of an experience with 324
cases
D. Reghellin, E. Manfrin, M. Tonegutti*, E. Bragantini,
M.P. Rapagnani, M. Vergine, A. Remo, R. Loss, M. Gobbato, C. Cannizzaro, D. Dalfior, F. Menestrina, F. Bonetti
Istituto di Anatomia Patologica, Dipartimento di Patologia,
Università di Verona, Italy; * Servizio di Radiologia, Casa di
Cura “Pederzoli”, Peschiera, Verona, Italy
Introduction. Vacuum-assisted biopsy (VAB) is a widely
used technique to obtain tissues from breast minimal lesions,
usually calcifications, without surgery. The classic method is
to perform multiple biopsies in a clock-wise sequence. This
method is really effective in sampling the lesion and, in some
circumstances, also in removing it. However, classic VAB
is sometimes not so effective in characterizing a lesion in its
extension and composition. This is particularly important for
atypical lesions and for lesions of uncertain malignant potential (radial scar, central papilloma, multiple papillomatosis,
mucocele-like lesion, phyllodes tumour) which can be topographically heterogeneous and which can be associated with
malignant lesions. In this work we describe a new method to
perform VAB, which we have named “targetoid”.
Method. The “targetoid” VAB is performed under stereotactic-guide with the Mammotome™ System (Ethicon Endo-Surgery, Breast Care, Norderstedt, Germany) with an 11-gauge
probe. Specimens are obtained with vacuum aspiration (23-25
mmHg) and for every VAB procedure multiple complete
needle rotations are performed (at least three, when possible);
during every rotation (internal, intermediate and external)
multidirectional specimens (360°) are collected. The tissue
thus obtained is processed in three different samples as internal (A), intermediate (B) and external (C) and pathological
diagnosis is subdivided in the same way. When surgical excision is later performed and Pathologist’s report is available, it
is compared with Pathologist’s report of VAB.
Results. From October 2002 until December 2006 we have
applied the “targetoid” method to 324 consecutive VAB
procedure performed by the same Radiologist and histologically evaluated by the same Pathologist. In 252/324 cases
(77.8%) mammographic image was calcification, in 18/324
cases (5.5%) mammography showed a nodule, in 7/324 cases
(2.2%) there was a distortion of breast parenchyma and in
42/324 cases (13%) there were a nodule and calcifications
together. In 5/324 (1.5%) cases mammographic image was
not specified. In 274 patients at least three VAB rotations
were performed, with a mean specimen number of 21.9 (range
11-40). Among these 274 patients, a malignant lesion was detected in 74/274 cases (27%); an atypical lesion was detected
in 28/274 cases (10.2%); a lesion of uncertain malignant
potential was detected in 22/274 cases (8.1%) and in 116/274
cases (42.3%) a benign lesion was detected. In 34/274 cases
(12.4%) there was not a specific lesion in VAB specimens.
Among these 274 patients with 3 VAB rounds, a surgical
excision was later performed and Pathologist’s report was
available in 60 cases. In 47/60 cases (78%) surgical biopsy
contained the same lesion found in the VAB specimens. In 1
case with a malignant diagnosis in VAB, the surgical biopsy
contained only an atypical lesion. In 3 cases with an atypical
lesion in VAB, surgical biopsy contained a malignant lesion
and in 3 cases with a benign lesion in VAB, surgical biopsy
contained an atypical lesion. One case negative at VAB was
336
submitted to surgery because of its suspect radiological image
and there was a malignant lesion in the surgical biopsy. In 5
cases surgical biopsy contained no more lesions.
Conclusion. VAB is a minimal-invasive, widely used, technique to obtain mammal tissue. In Literature, VAB is proposed as a diagnostic tool for malignant and atypical lesions
and as a therapeutic instrument for benign lesions (such as
fibroadenoma and gynecomastia). In this work we describe
a new “targetoid” method to perform VAB. The “targetoid”
method can give a great number of specimens making possible to obtain material from three topographically distinct
levels of the lesion. This is useful in removing lesions, especially benign ones, and in better characterizing atypical
lesions. In fact, in our series, in 78% of cases VAB diagnosis
was confirmed at surgery, in 5/60 cases (8%) lesion was completely removed by VAB and in 1/40 case with a malignant
diagnosis at VAB, surgical biopsy contained only an atypical
lesion. However, the single case with no lesion in VAB and
a malignant lesion in surgical biopsy and the three cases with
a benign VAB diagnosis and an atypical lesion in surgical
biopsy confirm the importance of considering VAB results
together with radiological image and suspect.
This work was supported by: Fondazione Cassa di Risparmio
di Verona Vicenza Belluno e Ancona. “Carcinoma della
mammella: marcatori fenotipici e molecolari indicatori di
prognosi e risposta terapeutica”. Bando di ricerca scientifica
2004, indirizzo biomedico.
Pituitary adenoma and carcinoma:
description of a series
A. Righi, G. Marucci, G. Frank*, D. Mazzatenta*, M. Faustini
Fustini*, M.P. Foschini
Department of Anatomic Pathology, University of Bologna,
“Bellaria” Hospital, Italy; * Center of Surgery for Pituitary
Tumors, Department of Neuroscience, “Bellaria” Hospital,
Bologna
Introduction. Most tumours arising in the sella turcica, are
adenomas derived from adenohypophysial cells (10-15% of
intracranial neoplasms). However, their biology is complex
and they can cause a variety of endocrine syndromes and
disorders.
Purpose of the present study is to analyse a series of pituitary
adenomas in order to better define morphologic features associated with recurrence and aggressive behaviour.
Material and methods. All cases of adenohypophysial tumours were retrieved from the of the Section of Anatomic
Pathology of the University of Bologna at Bellaria Hospital,
from January of 1992 to April of 2007.
In all cases the patient age and sex, the presence of endocrine
function, macroscopical invasion and disease status (disease
free or recurrent tumour) were evaluated. The tissue has been
fixed in 10% buffered formalin, routinely processed, and embedded to paraffin. All tumours have been immunostained for
the full spectrum of pituitary hormones. In addition, in 265
cases the proliferation rate was evaluated, applying an anti
Ki67 antibody. All cases were classified according the World
Health Organization (WHO) 2000 Classification of Endocrine
Tumours guidelines.
Results. The present series consists of 957 pituitary adenomas, from 908 patients, 443 males (48.8%) and 465 females
(51.2%) with a mean age of 48.3 years old (range 7-95). Ad-
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
enomas were subdivided as follows: 293 null cell adenomas,
131 prolactin (PRL) cell adenomas, 112 corticotroph cell
adenomas, 94 gonadotroph (FSH/LH cell) cell adenomas, 61
sparsely granulated growth hormone (GH) cell adenomas,
114 densely granulated GH cell adenomas, 30 mixed (GH and
PRL cell) adenomas, 17 mammosomatotroph cell adenomas,
16 oncocytoma, 15 plurihormonal adenomas, 10 thyrotrophic
cell adenomas, 9 silent corticotroph adenomas (subtype I, II),
2 silent adenomas (subtype III), 4 acidophil stem cell adenomas and 2 pituitary carcinomas. Sixty six patients showed
invasive adenomas, which included 32 null cell adenomas,
16 PRL cell adenomas, 3 sparsely granulated GH cell adenomas, 3 densely granulated GH cell adenomas, 3 thyrotrophic
cell adenomas, 3 oncocytoma, 2 gonadotroph (FSH/LH cell)
cell adenomas and one plurihormonal adenoma. The mean of
Ki67 labelling index in 41 patients with recurrent non invasive
adenomas was 5.5% (range 1-30%); in 179 patients with non
recurrent non invasive adenomas, the mean Ki67 labelling
index was 2.6% (range 1-15%).
Ki67 labelling index in 45 patients with invasive adenomas
showed that in 8 patients with a recurrence mean Ki67 labelling index was 12% (range 3-30%), while in the remaining 37
patients without recurrences Ki67 labelling index was 4.1%
(range 1-20%).
Two carcinomas, both with craniospinal metastases, presented
a Ki67 labelling index of 40% and 43% respectively.
Conclusion. Our study confirm that high Ki67 is associated
with recurrence, invasion (atypical adenoma) and metastasis
(pituitary carcinoma) in pituitary tumours.
Somatostatin receptor type 2
immunohistochemistry in neuroendocrine
tumors: a proposal of scoring system
correlated with somatostatin receptor
scintigraphy
L. Righi, M. Volante, M.P. Brizzi, A. Faggiano*, S. La
Rosa**, I. Rapa, A. Ferrero, G. Mansueto***, S. Garancini****,
C. Capella**, G. De Rosa***, L. Dogliotti, A. Colao*,
M. Papotti
Department of Clinical and Biological Sciences, University
of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy;
*
Department of Molecular and Clinical Endocrinology and
Oncology, “Federico II” University, Naples, Italy; ** Section
of Anatomic Pathology, Department of Human Morphology,
University of Insubria and Ospedale di Circolo, Varese, Italy;
***
Department of General Pathology, Medicine, Human Pathology, and Clinical Pathology, University “Federico II” of
Naples, Naples, Italy; **** Department of Nuclear Medicine,
Ospedale di Circolo, Varese, Italy
Background. Typing somatostatin receptor (SSTR) expression in neuroendocrine tumors (NETs) is of relevance to target
an octreotide-based diagnostic approach and treatment. The
expanding use of immunohistochemistry to detect SSTR is to
date not paralleled by an accurate methodological setting and
standardized interpretation of the results.
Methods. A multicentric study was designed to compare
SSTR immunohistochemical expression with in vivo scintigraphic data and verify its usefulness in the clinical management of NETs.
After methodological setting by testing different SSTR antibodies, 107 cases of NETs with available OctreoScan data
337
ABSTRACTS
and pathological material (both surgical and preoperative)
were retrospectively analyzed for SSTR type 2A immunohistochemical expression, and the results combined in a four
grade scoring system (0 to 3) and compared with scintigraphic
images and, whenever available, with the clinical response to
somatostatin analogue treatment.
Results. Restricting “positive cases” to the presence of a
membrane pattern of staining (proposed scores 2 and 3), an
overall SSTR type 2A immunohistochemistry/OctreoScan
agreement of 77% (Chi-square test p < 0.0001) was reached.
Lower concordance ratios were detected in preoperative and
metastatic tumor samples, possibly as a consequence of SSTR
expression heterogeneity. Pure cytoplasmic staining showed
poor correlation with OctreoScan images (54% concordance
rate). In a pilot series, SSTR type 2A immunohistochemistry
correlated with clinical response in 82% of 22 patients undergone to therapy with somatostatin analogs on the basis of a
positive OctreoScan uptake.
Conclusions. A standardized scoring system for SSTR type
2A immunohistochemistry is proposed as a useful and reliable
adjunct to OctreoScan in the clinical management of NET
patients. A membranous as opposed to cytoplasmic SSTR
type 2A staining well predicts clinical response to somatostatin analogue therapy and provides additional information
on receptor distribution into a given tumor tissue and among
primary and metastatic lesions.
Obestatin distribution in human fetal
and adult tissues and endocrine tumours
R. Rosas, M. Volante, P. Ceppi, E. Bacillo, V. Tavaglione,
E. Fulcheri*, M. Papotti
Department of Clinical and Biological Sciences, University
of Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy; *
DICMI, Division of Pathology, University of Genoa, Genoa,
Italy
Background. Obestatin is a newly discovered peptide, encoded by the ghrelin gene, which possesses controversial metabolic activities, partially opposed to ghrelin, that are mediated
by the interaction with receptors still far to be characterized.
No data are currently available on obestatin distribution in
human tissues as well as in neoplastic disease.
Methods. A variety of normal human paraffin embedded tissues was collected, as well as fetal human tissues at different
gestational ages. Obestatin and ghrelin proteins were analyzed
by means of single or double immunohistochemistry, also
in comparison with chromogranin A. The specificity of the
obestatin and ghrelin antibodies was tested by adsorption
experiments. A series of 63 human endocrine tumors was
also collected and tested by immunohistochemistry for both
hormones.
Results. In normal tissues, obestatin protein was detected in
neuroendocrine cells of the pituitary, bronchial tree, gastrointestinal tract (with a decrease in the density of positive cells
from the stomach to the colon) and pancreas, and weakly in
the parathyroid. By analysis of serial sections and double
immunohistochemical procedure obestatin protein detection
largely overlapped with ghrelin immunoreactivity. In fetal
tissues, obestatin was detected in the same tissues mentioned
above, and notably in fetal thyroid, as also previously described for ghrelin.
Concerning endocrine tumors, obestatin was expressed in
thyroid (altogether in nearly 50% of cases of benign and
malignant tumors), parathyroid and pituitary tumors, with the
same distribution pattern as ghrelin. Scattered obestatin positive cells were also detected in nearly 70% of neuroendocrine
tumors of various sites, with a percentage of positive cells
within individual tumors never exceeding 10%. In this latter
group of tumors, obestatin protein detection was unrelated
to ghrelin immunoreactivity, in terms of both intensity and
distribution of the reactivity pattern.
Conclusions. Our study demonstrates for the first time obestatin protein expression by neuroendocrine human cells, mostly
overlapped with that of ghrelin distribution. Moreover, obestatin protein is also expressed by endocrine tumors, with a larger
spectrum of reactivity but a lower extent in individual tumors
as compared to ghrelin; further transcriptional as well as in
vitro studies will better define its role in neoplastic growth
regulation, as already demonstrated for ghrelin hormone.
An anusual case of lipid-rich breast carcinoma
S. Russo, F.M. Maiello, D. Coppola, P. Vinaccia, F.
Baldassarre, A. Siciliano, G. Pisani, G. Teta
Ospedale dei Pellegrini, Napoli
We report a case of a breast carcinoma that is morphologically
and histochemically looking-like a “lipid-rich” carcinoma but
from a immunohistochemical point of view we could call it
a “basal-type” carcinoma. The tumour occurred in a female
patient of 73 years and presented as a 2 cm. mass of the right
breast showing a short clinical history. The patient submitted a FNAB and a mastectomy with lymphadenectomy. The
lesion did not present axillary lymph node metastases . The
tumour presented with cytological and histological features of
an invasive lipid-rich breast carcinoma. Since it was a triple
negative we performed an immunostaining for c-kit, EGFR
and molecular high weight cytokeratins that resulted diffusely
and intensely positive. We interpret this reactivity as a basaltype phenotype. Since recent literature suggests the existence
of two distinct groups of breast neoplasia, luminal and basal,
with different behaviour and therapy responsiveness, the relevance of this case would lye in its clinical and therapeutic
implications.
Frequency and localization of metastases
in patients with primary renal cell carcinoma
who developed second primary tumors
M. Skledar, I. Novosel*, D. Tomas, H. Cupic, S. Bulimbasic**,
A. Reljic, M. Belicza, B. Kruslin
Ljudevit Jurak Department of Pathology, Sestre Milosrdnice
University Hospital, Zagreb, * Department of Pathology, Dr.
Ivo Pedisic Country Hospital, Sisak; ** Department of Pathology, Dubrava University Hospital, Zagreb
Introduction. Simultaneous occurrence of two or more primary carcinomas is considered to be very rare. Among these
uncommon cases as indicated by recent literature, primary
renal cell carcinoma (PRCC) is the tumor most frequently associated with another primary cancer. It is still difficult to find
correct data since these patients are considered to be a curios-
338
ity. There are no surveys regarding frequency or localization
of metastases developed in patients with PRCC and another
second primary malignant tumor (SPMT), and also no data
regarding the frequency and localization of metastases from
primary RCC or SPMT in such patients.
Aim. In this study we intended to answer the questions regarding the PRCC and SPMT: How many? Where? What? Which
one? related to metastasis development of SPMT or PRCC in
these patients. Also we wanted to determine the incidence and
localization of second malignances.
Materials and methods. Out of 849 patients who underwent
surgery for renal malignancies at the Department of Urology
during the period between 1992 and 2006, 797 were diagnosed with PRCC out of which 23 patients had also SPMT
also (14 males and 9 female).
Results. In our study there were 148 (19%) patients aged
22-100 with PRCC who developed metastatic disease out of
which 68% were males. Regional lymph nodes were affected
most commonly (55%), and other localizations in descending
order of frequency were adrenal gland (21%), spine (7%),
lungs (7%), brain (6%), muscle (3%), colon (3%), and others.
The infiltration of renal vein was present in 18% of cases.
Median diameter of PRCC that developed metastases was
10.1 cm and in 67% the PRCC was G3 or G4 according to
Fuhrman.
SPMTs were present in 23 of 797 patients (3%) out of which
11 (48%) were in patients with metastatic PRCC disease.
There were 14 males (median 61.0 years) and 9 female patients (median 58.0 years). Simultaneous occurrence of more
than one SPMT was found in 6 patients out of which in one
case Von Hippel Lindau syndrome was diagnosed. Taking
into consideration the last information, we found 29 SPMTs
which were diagnosed in 23 patients.
According to the localization of SPMT in a descending order of
frequency, they included cancer of the other kidney (51%), prostate (10%), brain (8%), intestine (8%), ureter (8%), bladder (3%),
breast (3%), ovary (3%), adrenal gland (3%) and skin (3%).
In 5 cases both of malignancies (PRCC and SPMT) developed
metastases (80% lymph nodes, 20% brain), in 6 cases PRCC was
the one metastasizing tolymph nodes, adrenal gland, and brain
and just in one case only SPMT metastasized to cerebellum.
Simultaneous occurrence of more than one SPMT was found
in 6 patients out of which in one case Von Hippel Lindau
syndrome was diagnosed.
Discussion and conclusion. Second primary malignant tumors are not so rare as it is thought. therefore they may be
of great importance for the clinician regarding follow-up, as
well as for the pathologist to elucidate etiologic factors. Further studies and investigations may provide new prognostic
parameters in these patients.
Antiproteasome effects of Epoxomicin
on bladder tumor growth
B. Stanoiu, I.E. Plesea*, C.V. Gerogescu**, C. Simionescu*,
C. Gruia**
Department of Cellular Biology, * Department of Pathology,
University of Medicine and Pharmacy; ** Department of Pathology, Emergency County Universitary Hospital, Craiova,
Romania
Background and aims. In normal cells p53 is usually inactive,
being continually produced and degraded by the proteasome
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
system. p53 becomes activated in response to a myriad of
cellular stress types. p53 is central to many of the cell’s anticancer mechanisms. It can induce growth arrest, apoptosis and
cell senescence. Many of human tumors contain a mutation of
the p53 gene. Mutant p53 proteins are able to accumulate at
very high concentrations and can inhibit normal p53 protein
levels. The proteasome is a multisubunitar complex responsible for the degradation of almost all cytosolic proteins, when
cells no longer need them. Proteasome inhibitors have effective anti-tumor activity in cell culture, inducing apoptosis by
disrupting the regulated degradation of pro-growth cell cycle
proteins. The mechanism by which proteasome inhibitors potentiate cell death have often been attributed to stabilization of
p53. This study is focused on Epoxomicin, a cell-permeable,
irreversible and relatively selective proteasome inhibitor.
Current research efforts are aimed to determine the effects of
Epoxomicin as an anticancer therapy.
Material and methods. To obtain information on the mechanisms underlying antiproteasome effects on bladder tumor
growth, we used T24, a cell line established from an invasive
human transitional cell carcinoma (TCC) of the bladder as experimental models. To determine the effect of different Epoxomicin concentrations on the proliferation of this cell line we
used BrdU incorporation. To determine whether Epoxomicin
induces cell death in our cell model system, annexin V FITC
assay has been performed. To investigate whether the treatment with Epoxomicin resulted in an accumulation of p53,
Western blot analysis were performed on T24 cells treated for
different time with different doses of Epoxomicin.
Results. Results have shown a marked decrease in cell proliferation of T24 cells, that is dose and time dependent. Epoxomicin manifests a significant cell growth inhibition starting
with 0,1 mM at 18 hours. The apoptotic activity of T24 cells
was significantly increased compared to the untreated cell culture after an incubation period of 12 hours with Epoxomicin
0,5 mM. on our cell model system, p53 expression increased
after 4 hours treatment with 0,5 mM Epoxomicin and high
levels of p53 remained up to 24 hours.
Conclusions. The proteasome inhibitors exhibit antiproliferative, proapoptotic and antitumor activities in several cancer
models. The mechanism of action involves stabilization of
p53. Proteasome inhibition is a promising way to radiosensitize chemotherapy- and radiation-resistant cancers, without
added toxicities requiring dose modifications.
Cellular localization of the sodium/iodide
(Na + /I-) in human thyroid tissue: correlation
with pathologic features and possibile
diagnostic applications
G. Tallini, A. Farnedi, T. Ragazzini, E. Magrini, K.J.
Rhoden, V. Eusebi
Department of Oncological Sciences, Section of Anatomic
Pathology at “Bellaria” Hospital, Bologna University School
of Medicine, Italy
Introduction. Radioactive iodine (131I) has long been used to
diagnose and treat thyroid cancer thanks to the thyroid gland’s
intrinsic ability to concentrate and trap iodide. Circulating
inorganic iodide is accumulated in the thyroid follicular lumen and is incorporated into thyroglobulin for the synthesis
of thyroid hormones. Iodide accumulation is mediated by the
Na+/I- symporter (NIS) a transmembrane glycoprotein locat-
339
ABSTRACTS
ed on the basolateral membrane of follicular cells that is able
to concentrate iodide within follicular cells to 30-50 times
the plasma concentration. NIS is therefore both essential to
thyroid follicular cell function and a marker of cellular differentiation. Despite this, little is known regarding the expression
and cellular distribution of NIS in thyroid tumours of different
stage, grade and histotype, and its potential use for pathologic
diagnosis has not been evaluated. To this purpose we have
analyzed immunohistochemically NIS expression in a series
of neoplastic and non-neoplastic thyroid lesions.
Materials and methods. Cases: 50 samples of thyroid lesions
and 4 samples of perilesional normal tissue were retrieved
from the archives of the Department of Pathology at the Ospedale Bellaria in Bologna, Italy. All the slides were reviewed
and cases were selected to cover a large spectrum of thyroid
disorders, both neoplastic (5 follicular carcinomas, FC; 10
papillary carcinomas, PC; 1 poorly differentiated carcinoma,
PDC; 1 undifferentiated carcinoma UDC; 3 medullary carcinomas, MC), hyperplastic (21 hyperplastic nodules, HN; 3
cases of diffuse hyperplasia, DH) and inflammatory (6 cases
of chronic lymphocytic thyroiditis, LT). Immunohistochemistry: immunohistochemistry with an hNIS antibody (hNIS
Ab-1-Clone FP5A, NeoMarkers-LabVision Corporation, Fremont, Ca) diluted 1:200 was performed on 4 um paraffin
sections using an Horse Radish Peroxidase polymer detection
system (Ultravision LP, LabVision Corporation) according to
the manufacturer’s recommendation. The percentage of positive cells was estimated and the reaction intensity was evaluated using a modified H score. Immunoreactivity was correlated with tissue diagnosis and clinicopathologic parameters.
Statistical analysis was performed using the non-parametric
Mann-Whitney test.
Results. The average percentage of positive cells was 18.2 ±
8.8 Standard Error of the mean (SEM) for the normal samples,
26.0 ± 4.5 for the non-neoplastic samples (NH 22.0 ± 4.5;
DH 70.0 ± 5.8; LT 17.5 ± 3.8), and 10.4 ± 5.9 for the tumor
samples (PC 4.8 ± 3.0; FC 32 ± 19.8). The H score (range
0-300) was 47.5 ± 23.7 for the normal samples, 71.5 ± 12.4
for the non-neoplastic samples (NH 60.3 ± 13.9; DH 193.3 ±
12.0; LT 50.0 ± 10.0), and 28.3 ± 15.3 for the tumor samples
(PC 12.6 ± 8.0; FC 88.0 ± 54.3). The MC, PDC and UDC did
not show any significant NIS immunoreactivity. All positive
cases showed, as expected, follicular cells with distinct membrane immunoreactivity that was often associated with various
degrees of cytoplasmic staining. Positive cells were always
distributed heterogeneously, were often tall with an activated
appearance, and were sometimes in close contact with capillary vessels. Hyperplastic papillae showed numerous positive
cells and NIS immunoreactivity was higher in DH compared
with other non-neoplastic lesions (both as percentage of positive cells and as H score values) (p < 0.05). Thyroid follicles
distended by colloid displayed few if any positive cells. Nonneoplastic and normal samples always showed immunostaining limited to the basolateral aspect of the cell membrane,
while in the only two tumor samples (both FC) with extensive
NIS immunoreactivity, many cells showed staining througout
the perimeter of the membrane. Tumor samples showed a
lower degree of NIS immunoreactivity (both as percentage of
positive cells and as H score values) (p < 0.01) compared with
non-neoplastic thyroid lesions and, with the exception of the
two FC mentioned above, all tumor samples showed a significant decrease in the number of positive cells compared with
the perilesional tissue (p < 0.01). NIS immunoreactivity was
particularly low among PC (both classic and follicular variant)
and neoplastic papillae had few if any positive cells.
Conclusions. Neoplastic samples show reduced levels of NIS
expression compared with non-neoplastic thyroid lesions. The
only tumors to express significant levels of NIS were well
differentiated follicular carcinomas. The lack of NIS immunoreactivity in neoplastic papillae and the reduced levels of NIS
in follicular variant PC may be useful to distinguish PC from
thyroid lesions with papillary hyperplasia and from follicularpatterned thyroid nodules.
Cytogenetics of Merkel cell carcinoma
primary in lymph nodes
F. Vasuri, E. Magrini, E. Di Oto, M.P. Foschini, V. Eusebi
Section of Anatomic and Cytopathology “M. Malpighi”,
Ospedale “Bellaria”, University of Bologna
Background. Merkel cell carcinoma (MCC) of the skin is
a well established neuroendocrine tumour, characterized
by neoplastic cells with scanty cytoplasm, neuroendocrine
granules at electron microscopy, chromogranin and synaptophisin positivity of the cytoplasm and keratin 20 filaments condensed in paranuclear dots. In addition, trisomy
of chromosome 6 is described in 47% of MCC of cases
reported in the literature, if in situ hybridization is employed. Tumours morphologically and immunohistochemically identical to MCC of the skin have been described
in numerous other sites like salivary glands, breast and
female genital tract. Primary MCC in lymph nodes is also a
distinct possible entity 1. Here we report on a molecular cytogenetic study (FISH) of 4 cases of MCC of lymph nodes
to see whether trisomy of chromosome 6 is also present in
these neoplasms and hence enhance the similarity with skin
MCC carcinomas.
Material and methods. Four cases of MCC primary in
lymph nodes taken from the consult cases of one of us and
ten consecutive cases of MCC of the skin taken from the
files of the Section of Anatomic Pathology were studied
for chromosome 6 using FISH method. The mean age
of patients with MCC of lymph nodes was 71.7 (range
58-85). Patients with MCC of the skin had a mean age
of 82.3 (range 75-90). The site of lymph node cases was
inguinal (2/4 cases) or crural (2/4 cases). MCC of the skin
were located in the leg in 5 cases (50%), in the face in 4
cases and in the dorsal region in 1 case. All cases were
routinely processed and immunostained for chromogranin
(Biogenex), synaptophisin (Cell Marque) and cytokeratin
20 (Dako) with an ABC method. FISH was performed
following the procedures of hybridisation and detection
recommended in the manufacturer’s protocol and a specific alpha-satellite centromeric probe for chromosome 6
(CEP6D6Z1 SprectrumeOrange Probe,Vysis) was used.
The number of bright spots by nucleus was scored by two
different observers; reactive non-neoplastic lymph node
tissue was used as negative control.
Results. All cases showed typical features of MCC both at
Haematoxylin-Eosin (H&E) and immunohistochemical levels. Accordingly all cases were positive for chromogranin,
synaptophisin and cytokeratin 20. No differences in staining
pattern nor in intensity were evident between the two groups.
For FISH evaluation, two indipendent screeners cumulated a
total count of 286 nuclei for slide: 2 MCC of the lymph nodes
and 6 MCC of the skin showed trisomy of Chromosome 6
(50% and 60% respectively).
340
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Comments. All cases here studied shared the same histological and immunohistochemical features, as well as the same
cytogenetic pattern. Therefore it seems that there are more
similarities than differences between MCC of the skin and
lymph nodes. Whether MCC of lymph nodes are real primary
tumours or metatases from regressed skin lesions is still open
to question, although several features indicate a primary origin in lymph nodes. If this is the case, it appears difficult to
reconcile the tumours primary in lymph nodes to a Merkel cell
origin, as these same cells are not present in lymph nodes.
adjacent to oncocytic tumours, oncocytic cells of lymphocytic
thyroiditis and neoplastic cells of mixed oncocytic and nononcocytic follicular tumors.
Reference
1
Eusebi V, Capella C, Cossu A, Rosai J. Neuroendocrine carcinoma
within lymph nodes in the absence of a primary tumor, with special
reference to Merkel cell carcinoma. Am J Surg Pathol 1992;16:65866.
Department of Clinical and Biological Sciences, University of
Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy
Detection of mitochondrial dna alterations
by fish technique in oncocytic cells and
tumours of the thyroid
M. Volante, S. Cappia, R. Rosas, E. Bacillo, M. Papotti
Department of Clinical and Biological Sciences, University of
Turin at “San Luigi” Hospital, Orbassano, Turin, Italy
Background. Human mitochondria contain between two and
ten copies of mitochondrial DNA (mtDNA). Alterations of
mtDNA occur in a variety of human diseases, and specific
deletions (mainly the so called “common deletion” encompassing 4977 bp) have been documented in oncocytic thyroid
tumours by means of cytogenetic and PCR-based molecular
analysis.
However, whether such alterations would be cause or consequence of the mitochondrion accumulation typical of
hyperplastic/neoplastic thyroid oncocytes is still a matter of
debate.
Methods. In order to assess the fluorescent in situ hybridization (FISH) technique applicability to detect mtDNA deletion
in oncocytic thyroid cells and tumours, we slightly modified
a FISH method, recently developed for salivary Warthin’s
tumor, to detect the 4977 bp mtDNA deletion in two cases
each of normal thyroid tissue, oncocytic variant of follicular
adenoma, oncocytic variant of follicular carcinoma, and renal
oncocytoma, as a control. The method is based on the combination of two specific probes, one flanking the mtDNA region
commonly deleted and one corresponding to a preserved portion of mtDNA.
Results. In normal thyroid tissues, a balanced presence of
FISH signals corresponding to both probes was observed,
with up to ten cytoplasmic signals/cell. In all oncocytic tumours, both benign and malignant, as well as in the case of renal oncocytoma, a very high number of signals corresponding
to the preserved mtDNA region was observed, to demonstrate
mitochondrion accumulation in the neoplastic cell cytoplasm;
moreover a very low or absent signal corresponding to the
common deleted mtDNA region was observed within these tumours, providing the evidence of the presence of the mtDNA
common deletion.
Conclusions. FISH technique may be applied to paraffin
embedded thyroid tissues to demonstrate the presence of the
4977 bp mtDNA common deletion. This methodology offers
major advantages, as compared to conventional molecular
methods, allowing to localize specific mtDNA alterations
in different settings, including normal thyroid parenchyma
Significance of thymidylate synthase
expression in gastroenteropancreatic and
pulmonary neuroendocrine tumours
M. Volante, P. Ceppi, A. Ferrero, L. Righi, I. Rapa, R. Rosas,
A. Berruti, L. Dogliotti, G.V. Scagliotti, M. Papotti
Background. The predictive role of the quantification of
Thymidylate synthase (TS) in tumours treated with anti-folate
drugs, such as 5-Fluorouracil (5-FU), has been extensively
described in a variety of human tumours. Neuroendocrine tumours (NETs) represent potential targets of anti-folate agents
but no data on the level of TS expression in these tumours are
available.
Methods. A series of 116 samples were collected including
58 gastro-entero-pancreatic (GEP) and 58 lung NETs, of
various degrees of differentiation. Additionally, in 24 welldifferentiated GEP neuroendocrine carcinomas (WD-NEC)
of the present series a 5-FU-based therapy was administrated.
Total RNA was extracted from microdisseted paraffin blocks
and TS mRNA quantification was performed by Real-Time
PCR, whereas protein expression was evaluated by immunohistochemistry.
Results. By means of both Real-Time PCR and immunohistochemistry, a higher TS expression in pulmonary small cell
(SCLC) and large cell carcinomas (LCNEC) as compared
to typical and atypical carcinoids was observed (ps < 0.01).
Similarly, in GEP tumours a higher TS expression in poorly
differentiated carcinomas (PD-NEC) than both WD-NEC and
benign tumours (ps < 0.01) was found. In patients with WDNEC treated with 5FU high TS mRNA levels were associated with shorter time to progression (p = 0.002) and overall
survival (p = 0.04), whereas immunohistochemistry had no
correlation probably due to the low protein expression levels.
The negative prognostic role of high TS mRNA levels was
confirmed in multivariate analysis adjusting for major prognostic parameters, including proliferative activity (p = 0.01).
No association between TS mRNA and survival was observed
in WD-NEC patients not receiving 5FU.
Conclusions. The present study for the first time: 1) reports
the differential TS expression in the spectrum of GEP and
lung NETs and 2) indicates a role of TS expression evaluation in predicting clinical response of WD-NEC patients to
antifolate drug administration.
341
ABSTRACTS
“Polymyositis” in patients with
myasthenia gravis and thymoma – rather
a paraneoplastic event than a true
autoimmune inflammation
J. Zamecnik*, D. Vesely*, B. Jakubicka*, L. Simkova**, J.
Pitha** ***, J. Schützner****
Department of Pathology and Molecular Medicine, Charles
University, 2nd Medical Faculty and Faculty Hospital Motol,
Prague, Czech Republic; ** Department of Neurology, Charles
University, 1st Medical Faculty, Prague, Czech Republic;
***
Department of Neurology, Charles University, 3rd Medical Faculty, Prague, Czech Republic; **** 3rd Department of
Surgery, Charles University, 1st Medical Faculty and Faculty
Hospital Motol Prague, Czech Republic
*
Objective. Lymphocytic infiltrate in muscle of patients with
myasthenia gravis (MG) was reported repeatedly as a coincidental autoimmune polymyositis. We aimed at providing evidence that most cases of lymphocytic infiltration of
myasthenia gravis (MG) muscle do not represent a true autoimmune myositis, rather a paraneoplastic event associated
with lymphocyte-rich thymomas.
Methods. A muscle biopsy from 179 patients with pure MG
was taken during thymectomy. When lymphocytic infiltrates
were found, immunohistochemistry to establish their immunophenotype (CD20, CD3, CD4, CD8, CD45RA) was
performed. The resected thymus was also histopathologically
analyzed in each case. Muscle biopsies from 6 thymoma patients without MG and 15 patients with definite polymyositis
were also enrolled into the study.
Results. In 18 patients with MG (importantly, all were associated with thymomas WHO type B or AB) and in two thymoma
patients without MG, lymphocytic infiltrates morphologically
indistinguishable from those in polymyositis were identified
in muscle biopsies, associated with a mild blood lymphocytosis in a proportion of cases. The immunohistochemical analysis revealed that CD8+ lymphocytes in MG differ from those
in polymyositis being mature but, in contrast to polymyositis,
naive CD45RA+ T lymphocytes. Clinically, the MG patients
with thymoma and lymphocytic infiltrates in muscle did not
differ significantly from those without infiltrates.
Interpretation. It has been shown previously that the proportion of CD8+ CD45RA+ lymphocytes is significantly
increased in the blood of patients with thymomas (Hoffacker
et al., 2000). We demonstrated that the polymyositis-like lymphocytic infiltrates in MG muscles of thymoma patients have
the same immunophenotype, differing from that of polymyositis. Therefore, we suggest that the lymphocytic infiltrates
in patients with MG and thymoma represent more likely a
paraneoplastic event due to the “spillover” of thymoma-derived mature naive T-cells than a true cell-mediated autoimmune disorder. The finding of CD8+ CD45RA+ lymphocytes
in muscle biopsies (especially in MG patients) may signify an
underlying thymic neoplasm and should not be misdiagnosed
as polymyositis.
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Indice analitico per autori
Accinelli G., 316, 317
Alilovic M., 327
Amalinei C., 315, 318
Ambert V., 333
Ambrosini-Spaltro A., 315
Andrei F., 326
Andrei F., 333
Anzulovic D., 316
Ardeleanu C., 326
Armando E., 316, 320
Arsene D., 326
Asioli S., 316, 317
Asioli S., 331
Bacillo E., 337, 340
Badea P., 322
Badea P., 333, 334
Bala S., 318
Balan R., 315
Baldassarre F., 337
Balladore E., 332
Banchelli I., 329
Barbisan F., 322
Barreca A., 323
Bekiroglu N., 326
Belicza M., 329, 337
Berdan G., 333
Berruti A., 340
Bertetto O., 320
Betts C.M., 327
Bianchini S., 335
Bichisecchi E., 322
Bilalovic N., 316, 327
Boaron M., 317
Bondari S., 321
Bonello L., 320, 323
Bonetti F., 328, 335
Bono F., 316
Borza C., 317
Braccischi A., 319
Bragantini E., 335
Brcic L., 316
Brizzi M.P., 336
Bukvic I., 327
Bulimbasic S., 337
Bussolati G., 316, 317, 320, 323
Butcovan D., 317
Butur G., 326
Butureanu S., 315
Camenita A., 321
Camenita A., 333
Campisi P., 317
Cancellieri A., 317
Cannizzaro C., 328, 335
Capella C., 330, 336
Cappia S., 340
Caprara G., 317
Caruntu I.-D., 318
Cassoni P., 316, 331
Castaldini L., 335
Castellano I., 317
Ceausu M., 326
Ceppi P., 337, 340
Chilusi M., 322
Chiriva-Internati M., 321
Chiusa L., 323
Cimic A., 316, 327
Cioroianu D., 321
Ciuffreda L., 320
Ciurea R., 318, 322, 324, 333, 334
Ciurea T., 324
Colao A., 336
Comanescu M., 324
Comanescu V., 324
Coppola D., 337
Corini F., 319
Cupic H., 329, 337
Cvorak A., 316
D’Angelo A., 319
342
Adriatic Society of Pathology - 22nd International Meeting
Dalfior D., 328 335
Damian D., 333
Damiani S., 317
Daniele L., 320
De Angelis C., 317
de Biase D., 320, 322
De Rosa G., 336
Del Vecchio M., 319
Demurtas A., 328
Destro A., 332
Di Biccari S., 321, 324, 331
Di Oto E., 339
Di Tommaso L., 332
Diamanti L., 319
Dioguardi N., 321, 324, 331
Dochit C., 324
Dogliotti L., 336, 340
Dongiovanni D., 320
Draga Caruntu I., 315
Drighiciu C., 324
Dumitras S., 330
Ilie I., 316
Ilie C., 326
Ilie R., 326
Iosif C., 326
Enache C., 321
Enache S.D., 321, 322, 333, 334
Ene D., 326
Erbarut I., 326
Eusebi V., 322, 328, 334, 338, 339
Macrì L., 320
Magrini E., 322, 338, 339
Maiello F.M., 337
Malvi D., 327, 328
Mambelli V., 319
Manfrin E., 328, 335
Manoni S., 328
Mansueto G., 336
Marsico A., 328
Marucci G., 329, 336
Marusic Z., 329
Mazzatenta D., 336
Menestrina F., 328, 335
Micello D., 330
Michail E., 325
Mihai M., 326
Mihaila D., 330
Mihalache D., 322
Milosevic M., 329
Molinaro L., 331
Montorsi M., 332
Morandi L., 317, 320
Morichetti D., 322
Musardo S., 331
Facco C., 330
Faggiano A., 336
Falsirollo F., 328
Faravelli A., 332
Farnedi A., 315, 320, 322, 334, 338
Faustini Fustini M., 336
Ferrero A., 336, 340
Ferretti M., 322
Fiamengo B., 324, 331
Florea I., 330
Fornari A., 323
Foschini M.P., 320, 322, 327, 329, 334,
335, 336, 339
Franceschini B., 321, 324, 331
Franchi G., 332
Francia di Celle P., 323
Frank G., 336
Fulcheri E., 337
Gaetano L., 331
Gaitanidis R., 333
Gandolfo S., 328
Garancini S., 336
Gasparini S., 322
Georgescu A., 326
Georgescu C.C., 321, 322, 324, 333, 338
Gherman D., 333
Ghilusi M., 333
Ghilusi M.C., 324
Giljevic J.S., 316
Giulioni M., 329
Giusca S.-E., 318
Glava C., 325
Gobbato M., 328, 335
Grammatoglou X., 325
Grizzi F., 321, 324, 331
Gruia C., 334, 338
Hulea I., 333
Jakubicka B., 341
Jinga V., 333
Kawamukai K.
Kaya H., 326
Kosuta I., 316
Krizanac S., 327
Kruslin B., 329, 337
La Rosa S., 336
Lazovic E., 316, 327
Lega S., 327, 335
Lepidas D., 325
Loncaric V., 316
Lorenzini P., 319
Loss R., 328, 335
Navone R., 328, 331
Neagu M., 326
Niculescu L., 333
Novac L., 318
Novosel I., 337
Onciu M., 330
Orlic D., 316
Özkan N., 326
Pacchioni D., 316, 317
Pagni F., 316, 332
Papanikolau N., 330
Papotti M., 336, 337, 340
Patrana N., 318
Paulon C.I., 332
Pavaleanu M., 315
Pentenero M., 328
Pession A., 317, 320
Petrescu A., 333
Pisani G., 337
Pitha J., 341
Plamadeala P., 330
Plesea I.E., 318, 321, 322, 324, 333, 334, 338
Poli F., 334
Pop O.T., 321, 322, 333, 334
Popescu C.F., 322, 324, 333
Popescu L., 326
Popescu M., 321
Ragazzi M., 335
Ragazzini T., 338
Rapa I., 336, 340
Rapagnani M.P., 328, 335
Reghellin D., 328, 335
Reljic A., 337
Remo A., 328, 335
Rhoden K.J., 338
Righi A., 336
Righi L., 336, 340
Riva C., 330
Roncalli M., 332
Rosas R., 337, 340
Rostan I., 328
Rubboli G., 329
Russo S., 337
Russo C., 324
Saftoiu A., 324
Sapino A., 320
Scagliotti G.V., 340
Schena M., 320
Schützner J., 341
Seiwerth S., 316, 327
Siciliano A., 337
Simionescu C., 338
Simkova L., 341
Skledar M., 337
Soda G., 321
Stanoiu B., 338
Taborro R., 319
Tallini G., 315, 317, 338
Tavaglione V., 337
Tenovici M., 333, 334
Terzea D., 326
Teta G., 337
Tinica G., 317
Tomas D., 329, 337
Tommasini M., 332
Tonegutti M., 335
Torzilli G., 332
Trandafirescu M., 330
Varna A., 330
Vasilakaki T., 325
Vasilescu F., 326
Vasuri F., 339
Vergine M., 328, 335
Vesely D., 341
Vezzadini P., 335
Vinaccia P., 337
Volante M., 336, 337, 340
Volpi L., 329
Zaharia B., 318
Zamecnik J., 341
Zuccatosta L., 322
pathologica 2007;99:412-414
Pubblichiamo la seguente relazione che per motivi tecnici non è stata inserita nel fascicolo di
agosto 2007 di Pathologica, dedicato al IV Congresso Nazionale di Anatomia Patologica
Milano, 5-9 ottobre 2007
La diagnosi di Malattia Celiaca
U. Volta, V. Villanacci , E. Tavani , S. Manenti , R.
Rodella*, E. Fiorini, C. Parisi
*
**
*
Dipartimento di Malattie dell’Apparato Digerente e Medicina
Interna, Azienda Ospedaliera Universitaria, Policlinico “S.
Orsola-Malpighi”, Bologna; * 2° Anatomia Patologica Spedali Civili, Brescia; ** Anatomia Patologica Az. “G. Salvini”,
Dipartimento Patologia Ospedale di Rho
Certezze e dubbi negli aspetti clinici, sierologici e genetici.
La malattia celiaca è stata paragonata o ad un grande imitatore
o ad un camaleonte proprio per le sue molteplici possibilità di
espressione non solo sul piano della presentazione clinica, ma
anche dei markers sierologici, della genetica e delle caratteristiche istopatologiche 1. Tutto ciò spiega perché è praticamente impossibile fare diagnosi sulla base di un solo elemento e
perché la certezza diagnostica può venire solo dall’incastro di
tutte le tessere del puzzle “celiachia”, che prevede la stretta
collaborazione fra clinico e patologo.
La principale ragione per cui la celiachia è ancora largamente
sottostimata (in Italia 75.000 diagnosi sulle 500.000 attese)
è la scarsa conoscenza di questa patologia che può esordire
con sintomi estremamente variabili ed a qualsiasi età, dalla
prima infanzia all’età geriatrica. La biopsia duodenale rimane
a tutt’oggi il “gold standard” per la diagnosi, ma l’istologia va
integrata con la clinica, la sierologia e, quando necessario, con
la genetica. Inoltre, dal momento che sia la mucosa intestinale
che la sierologia tendono rispettivamente a normalizzarsi e
a negativizzarsi dopo dieta aglutinata, è fondamentale che
il clinico ed il patologo dispongano di notizie estremamente
precise sulla dieta con o senza glutine seguita dal paziente.
Aspetti clinici. Non esiste mai la certezza della diagnosi di
celiachia sul piano clinico, ma certamente è possibile identificare sintomi e patologie che portano ad un elevato, moderato
e basso sospetto di celiachia.
Elevato sospetto clinico (forme sintomatiche o con patologia
associata altamente predittiva)
1)Sindrome da malassorbimento con ripetute scariche diarroiche, dolori addominali, meteorismo e marcato calo ponderale;
2)dermatite erpetiforme, definita anche la celiachia della cute,
dal momento che in tutti i casi è presente un danno intestinale glutine-dipendente più o meno severo.
Moderato sospetto clinico (forme con sintomi intestinali
atipici o extraintestinali)
1)Sintomi intestinali atipici fra cui dispepsia, stipsi (fino a
veri e propri quadri di subocclusione intestinale) e vomito;
2)sintomi extra-intestinali suggestivi per celiachia sono:
– l’anemia (più frequentemente sideropenica, ma anche da
alterato assorbimento di acido folico e di vitamina B12),
– l’iposomia,
– le afte recidivanti del cavo orale,
– il rialzo delle transaminasi da causa sconosciuta,
– un’osteoporosi inspiegabile,
– le alterazioni dello smalto dentale,
– una sindrome emorragica da malassorbimento di vitamina K,
– le alterazioni della sfera riproduttiva femminile (menarca
tardivo, menopausa precoce, sindrome dell’aborto ricorrente, parti prematuri).
3)Patologie autoimmuni, idiopatiche o cromosomiche:
– diabete mellito autoimmune,
– tiroidite di Hashimoto e morbo di Graves,
– deficit selettivo di IgA,
– alopecia areata,
– morbo di Addison,
– connettiviti (sindrome di Sjogren, LES. Artrite reumatoide, sclerosi sistemica, dermatomiosite),
– sindrome di Down e di Turner,
– malattie neurologiche (neuropatia periferica, epilessia
con o senza calcificazioni occipitali, atassia cerebellare),
– patologia autoimmune epatica (cirrosi biliare primitiva,
epatite autoimmune, colangite sclerosante primitiva),
– cardiomiopatia dilatativa idiopatica.
Basso sospetto clinico (forme asintomatiche e potenziali/latenti)
1)Familiari di 1 e 2 grado di celiaci, affetti da celiachia nel
4-17% dei casi, ma quasi sempre del tutto privi di sintomi;
2)celiachia potenziale/latente, in cui il paziente, identificato
sulla positività dei markers anticorpali, presenta lesioni
minime intestinali e spesso ha sintomi solo sfumati.
Aspetti sierologici. Premesso che nessun anticorpo (neanche
il più specifico) ci autorizza a fare diagnosi di celiachia senza
la necessaria conferma della biopsia intestinale, i markers
sierologici forniscono elementi molto utili per confermare o
mettere in dubbio la diagnosi (Tab. I).
Certezze della sierologia a supporto della diagnosi
– Anticorpi antiendomisio (EmA) di classe IgA presentano
una specificità assoluta per la celiachia con valore predittivo
positivo del test del 100%. Titoli anticorpali medio-elevati
(> 1:40) correlano con la severità del danno di mucosa intestinale, così come positivi a basso titolo (1:5) sono spesso
espressione di celiachia potenziale.
– Anticorpi antitransglutaminasi (anti-tTG) di classe IgA
positivi ad alto titolo (> 10 volte il cut-off) sono sempre
espressione di celiachia.
– La negatività degli anti-tTG IgA con valori molto bassi (<
0,1 AU) deve far sospettare la presenza di un deficit selettivo di IgA (condizione che si associa a celiachia) ed indirizzare alla ricerca di markers anticorpali di classe IgG.
– La positività per anticorpi di classe IgG (anti-tTG o EmA o
antigliadina – AGA) è altamente predittiva di celiachia nei
pazienti affetti da deficit selettivo di IgA (IgA sieriche < 5
mg/dl).
– Nella prima infanzia (bambini di età < 2 anni) la positività
per AGA di classe IgA è fortemente indicativa di celiachia
(anche in presenza di negatività per EmA ed anti-tTG).
413
La diagnosi di Malattia Celiaca
Tab. I. Valore diagnostico dei markers anticorpali correlati alla celiachia.
Anticorpo
Sensibilità
(%)
Specificità
(%)
Valore Pred. Pos.
(%)
Valore Pred. Neg.
(%)
IgA anti-tTG
98
IgA EmA
95
90
91
98
100
100
95
IgA AGA
82
78
79
81
Impiego consigliato dei markers anticorpali:
– anti-tTG come test di I livello (test più sensibile e con più elevata riproducibilità)
– EmA come test di conferma (test più specifico)
– AGA utile nei bambini di età < 2 anni (primo anticorpo a comparire)
La ricerca dei markers di classe IgG è indicata solo nei casi con deficit selettivo di IgA.
Dubbi della sierologia con necessità di verifica della diagnosi
– Anticorpi anti-tTG IgA, soprattutto se a basso titolo (valori
border-line o debolmente positivi < 2 volte il cut-off), vengono ritrovati in altre condizioni al di fuori della celiachia
(10% di falsi positivi in casi di allergia alimentare, infezioni
intestinali, malattie infiammatorie croniche intestinali e patologia autoimmune).
– La positività isolata per AGA di classe IgA (con negatività
di anti-tTG ed EmA IgA) è raramente indicativa di celiachia
in pazienti adulti ed in bambini di età > 2 anni.
– Tutti gli anticorpi di classe IgG (EmA, anti-tTG ed AGA)
non sono predittivi di celiachia in soggetti con normali valori di IgA totali sieriche, per cui la loro positività in assenza
dei corrispettivi anticorpi di classe IgA non ha rilevanza
diagnostica.
– In caso di positività degli EmA che non corrisponde a
quanto atteso (istologia normale, negatività degli anti-tTG,
quadro genetico atipico) verificare sempre l’attendibilità del
laboratorio che ha eseguito il test (elevata variabilità interobserver per gli EmA, che rimangono un test fortemente
operatore-dipendente).
Aspetti genetici. L’indicazione ad eseguire la determinazione
degli antigeni di istocompatibilità è in tutti quei casi in cui la
diagnosi rimane dubbia per discrepanza fra istologia e sierologia ed in secondo luogo per valutare la predisposizione
genetica alla celiachia nei familiari di celiaci 2 3.
Certezze della genetica a supporto della diagnosi
– L’assenza dell’HLA-DQ2 e del -DQ8 esclude con certezza
quasi assoluta la diagnosi di celiachia.
– Il riscontro di HLA-DQ2 o DQ8 definisce una predisposizione alla celiachia nei familiari di 1° e 2° grado di celiaci.
Dubbi della Genetica con necessità di verifica della diagnosi
– Il riscontro di HLA-D2 o DQ8 non deve essere interpretato
di per sé come un elemento a sostegno di una diagnosi dubbia dal momento che gli stessi HLA vengono ritrovati pure
nel 30% della popolazione normale.
– L’assenza del DQ2-DQ8 in presenza di un quadro istologico di atrofia dei villi consiglia di eseguire un’attenta
valutazione per escludere altre cause di atrofia non-glutine
dipendente.
In conclusione le informazioni che il clinico dovrebbe sempre
fornire al patologo possono essere così schematizzate: a) dieta
del paziente (dieta libera, dieta aglutinata e grado di compliance con la stessa) al momento della biopsia; b) sospetto clinico
elevato, moderato o basso in base ai sintomi; c) sierologia con
predittività assoluta, in caso di positività, per gli EmA, elevata per gli anti-tTG e bassa per gli AGA. Specificare sempre
la classe anticorpale e ove disponibile il titolo (alto, medio,
basso); d) genetica (ove effettuata o indicata): pattern HLA
compatibile con predisposizione a celiachia.
Gli aspetti anatomo-patologici.
Quali sono i punti “certi” nella diagnosi di malattia celiaca?
Ovvia premessa alla diagnosi di certezza nella malattia celiaca
(MC) dal punto di vista anatomo-patologico è l’osservazione
ed il rispetto di una serie di punti fermi:
1.stretta collaborazione con clinico-endoscopista-laboratorista;
2.adeguato numero di biopsie (almeno 4; 2 nel duodeno distale e 2 nel prossimale);
3.corretto orientamento delle biopsie (impiego di filtri pretagliati di acetato di cellulosa);
4.sufficienti notizie cliniche;
5.ottima qualità dei preparati.
Fatte queste precisazioni è chiaro che la “certezza” nella
diagnosi di MC si ha soltanto nella condizione di atrofia dei
villi unitamente ad un incremento patologico del numero dei
linfociti intraepiteliali (valore superiore a 25/100 cellule epiteliali). In questa situazione applicando le tre classificazioni
oggi conosciute e validate (Marsh, Marsh-Oberhuber e Corazza-Villanacci) non vi è alcun problema nella diagnosi e nel
confronto con i dati clinici e di laboratorio 4 5.
L’atrofia deve essere certa e non una pseudo-atrofia da incorretto orientamento e taglio dei villi. Consiglio utile in
questi casi è sempre la valutazione del numero dei linfociti
intraepiteliali che “deve” essere sempre patologico (> 25/100
cellule epiteliali) sia valutato in H&E che con la colorazione
immunoistochimica per CD3 sempre consigliabile.
Attenzione alle biopsie compiute nel bulbo duodenale ove la
presenza di ghiandole di Brunner può portare a false diagnosi
di atrofia; confrontare sempre le biopsie del bulbo con quelle
delle porzioni distali soprattutto nelle fasi iniziali di malattia
in cui si ha una progressione del processo patologico in senso
cranio-caudale.
Descrivere sempre, se ci sono, gradi variabili di atrofia e non
limitarsi al grado di maggiore severità, inoltre esprimere un
giudizio di compatibilità solo nella descrizione del caso. È
assolutamente da evitare nella diagnosi finale il termine di
malattia celiaca; nella diagnosi limitarsi alla sola descrizione
ossia dare al clinico una precisa “fotografia” della situazione
della mucosa duodenale; ricordare che la diagnosi finale di
MC va fatta solo ed unicamente dal clinico gastroenterologo
pediatra o dell’adulto.
Quali sono i punti “dubbi” nella diagnosi di malattia celiaca?
I punti di “dubbio” e di estrema cautela per l’anatomo patologo nella diagnosi di MC sono chiaramente rappresentati dai
casi in cui si riscontrano lesioni iniziali (Marsh 1-2 e Grado A
secondo la nuova classificazione proposta), in questi casi:
414
1.valutare attentamente l’orientamento delle biopsie;
2.considerare se viene rispettato il rapporto villo/cripta di
almeno 3/1;
3.contare attentamente il numero dei linfociti nell’epitelio di
rivestimento superficiale;
4.associare “sempre” la valutazione immunoistochimica con
CD3;
5.confronto con i dati clinici e di laboratorio.
I due elementi fondamentali da valutare sono sempre l’assenza di atrofia e l’incremento del numero dei linfociti intra-epiteliali per questo associare “sempre” la valutazione immunoistochimica con il CD3. La presenza o meno di iperplasia degli
elementi ghiandolari ai fini pratici e terapeutici è totalmente
ininfluente.
Non dimenticare che il “vetrino” rimane a testimonianza della
valutazione effettuata dal patologo e come tale suscettibile di
confronto e di rivalutazione da parte di altri colleghi e specialisti; è altresì da sottolineare e sostenere con forza che la valutazione istologica deve essere effettuata solo ed unicamente
dal patologo e non da altri “specialisti”.
Come per i casi “certi” a maggior ragione nei casi dubbi
esprimere solo un giudizio di possibile compatibilità nella
descrizione con MC, limitarsi alla formulazione del quadro
istologico nella diagnosi finale.
Escludere, se possibile, una concomitante infezione da Helicobacter pilori (in questo senso sarebbe auspicabile che
biopsie gastriche venissero sempre effettuate), immunodeficit, infezioni parassitarie, allergie ad altri fattori alimentari,
impiego di farmaci.
U. Volta et al.
Utile in queste situazioni è tenere presente l’ottima review di
Brown et al. 6 in cui lo schema finale riassuntivo è dirimente
e utile in tutte le situazioni dubbie nel senso che il patologo
deve essere sicuro di trovarsi di fronte ad una condizione
patologica dimostrata inequivocabilmente dall’incremento
del numero dei linfociti T intraepiteliali confermata dalla valutazione con CD3. La diagnosi finale scaturirà dal confronto
clinico e laboratoristico.
Nei pazienti pediatrici nel primo anno di vita non dimenticare
la possibilità di intolleranza alle proteine del latte vaccino,
utile può essere la conta degli eosinofili (valore patologico
superiore a 60 per 10 campi di visione).
Bibliografia
1
Alaedini A, Green PHR. Narrative review: celiac disease: understanding a complex autoimmune disorder. Ann Int Med 2005;142:289-98.
2
Volta U, Parisi C, Fiorini E, Piscaglia M, Granito A. Celiachia: approccio razionale alla diagnosi. Ital J Med 2007;1:60-66.
3
Karell K, Louka AS, Moodie SJ, Ascher H, Clot F, Greco L, et al. HLA
types in celiac disease patients not carrying the DQA1*05-DQB1*02
(DQ2) heterodimer: results from the European genetics cluster on
celiac disease. Hum Immunol 2003; 64:469-477
4
Dickson BC, Streutker CJ, Chetti R. Coeliac disease: an update for
pathologists. J Clin Pathol 2006; 59:1008-1016
5
Corazza GR, Villanacci V, Zambelli C, Milione M, Luinetti O,
Vindigni C, et al. Comparison of the interobserver reproducibility
with different histologic criteria used in celiac. Dis Clin Gastroenterol
Hepatol (in press).
6
Brown I, Mino-Kenudson M, Deshpande V, Lauwers GY. Intraepithelial lymphocytosis in architecturally preserved proximal small intestinal mucosa: an increasing diagnostic problem with a wide differential
diagnosis. Arch Pathol Lab Med 2006;130:1020-5.
Indice per Argomenti
Relazioni
I Sessione: La citologia del linfonodo
II Sessione: La citologia negli screening del cervico-carcinoma
Tavola Rotonda: Lo screening del cervico-carcinoma in Calabria
III Sessione: La citologia dei versamenti
IV Sessione: La parola all’esperto
V Sessione: Slide seminar – Sessione diagnostica interattiva
VI Sessione: Il laboratorio in citopatologia
L’automazione in citologia: Esperienze a confronto
Pag
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347
353
361
362
367
370
372
375
Comunicazioni libere
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380
Poster
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408
Indice analitico per autori
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411
pathologica 2007;99:347-380
RELAZIONI
I Sessione
La citologia del linfonodo
Moderatori
A. Amorosi (Catanzaro), F. Romeo (Cosenza)
Citologia del linfonodo normale e reattivo
L. Tucci
Unità Operativa Complessa di Anatomia Patologica, Azienda
Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
L’analisi citologica del materiale ottenuto da aspirato con
ago sottile (FNAB) è parte integrante nella diagnostica e nel
management dei pazienti con linfoadenopatie superficiali e
profonde.
Questo metodo è diffusamente utilizzato per individuare
neoplasie maligne metastatiche e per isolare l’agente patogeno di varie malattie infettive.
L’utilità della FNAB nella definizione dei processi linfoproliferativi (reattivi vs. maligni), e nella loro caratterizzazione
(varietà di linfoadenopatia reattiva e di linfoma), è controversa e oggetto di discussione. Grazie alle attuali conoscenze
sulla istofisiologia del linfonodo, all’esistenza di una moderna classificazione istogenetica delle malattie linfoproliferative e alla possibilità di utilizzare tecniche speciali di morfologia e biologia molecolare, molti Autori hanno riportato
livelli soddisfacenti di sensibilità e di specificità anche nei
casi di linfoadenite e di linfoma.
La prima presentazione di questa sessione ha il compito di
ricordare la morfologia e il fenotipo dei costituenti cellulari
del linfonodo normale e reattivo, con lo scopo di introdurre
le successive relazioni di diagnostica morfologica e di laboratorio.
Le linfoadenopatite reattive costituiscono la causa più frequente di linfoadenomegalia.
Nella maggior parte dei casi, si tratta di condizioni di iperplasia non specifica di una o più componenti della struttura
del linfonodo (linfoadenite immunoreattiva). Altre volte, la
causa patogena produce una commistione di eventi reattivi
e di eventi patologici che si manifestano con quadri speciali
di linfadenite.
La popolazione cellulare presente nel materiale bioptico
ottenuto da FNA di linfonodi non neoplastici è rappresentata
da un insieme polimorfo di elementi cellulari “normali”,
presenti in diversa proporzione a seconda del pattern di
reattività linfonodale.
Pattern follicolare. È rappresentato da una popolazione cellulare polimorfa tendente ad organizzarsi in piccoli aggregati,
vagamente nodulari, costituiti da frammenti dei centri germinativi (aggregati linfo-istiocitici). Sono presenti:
Centroblasti. Grandi cellule linfoidi B con nucleo rotondo,
cromatina vescicolosa, due o tre nucleoli adesi alla membrana
nucleare, scarso citoplasma basofilo. Sono cellule proliferanti
che vanno incontro a mutazioni somatiche ed a switch isotipico, subiscono una selezione negativa e si trasformano in
centrociti (CD20+, Ki67+, bcl-2-, bcl-6+, CD10+).
Centrociti. Cellule linfoidi B di medie e grandi dimensioni
con nucleo rotondeggiante, presenza di incisure nucleari
(meno evidenti che in istologia), cromatina aperta, uno o più
cromocentri, scarso citoplasma basofilo. Sono cellule che
derivano dai centroblasti, hanno attività proliferativa, hanno
varia affinità per l’antigene in base alla quale subiscono una
selezione positiva (CD20+, Ki67+/-, bcl-2-, bcl-6+, CD10+).
Cellule follicolari dendritiche. Cellule di medie dimensioni
con nucleo tondeggiante, cromatina fine, un singolo nucleolo
paracentrale, citoplasma ampio, membrana citoplasmatica
con prolungamenti. Formano un meshwork stabile nei follicoli tramite desmosomi ed espongono l’antigene ai linfociti B
(CD21+, CD35+, CD23+, CD45-).
Macrofagi con corpi tingibili. Grandi cellule istioidi con
ampio citoplasma chiaro che contiene corpuscoli ematossilinofili. Cellule che hanno fagocitato i nuclei apoptoici dei
centroblasti e dei centrociti (CD68+).
Piccoli linfociti. Cellule linfoidi di piccole dimensioni con
nucleo rotondo e scarso citoplasma. In genere sono linfociti T
helper, cellule che contribuiscono alla selezione positiva dei
centrociti (CD3+, CD4+). Possono essere presenti anche piccoli linfociti B del mantello (CD20+, bcl-2+, sIgM+, sIgD+).
Plasmacellule. Plasmacellule mature con nucleo eccentrico,
cromatina raggiata e citoplasma eosinofilo. Rappresentano
la fase finale della maturazione della linea cellulare B ma il
linfonodo non è sede di secrezione immunoglobulinica per cui
in genere sono poco rappresentate (CD138+).
348
Quadri speciali. Artrite reumatoide, malattia di Kimura, toxoplasmosi, sifilide, HIV, malattia di Castleman, infezione da
CMV, infezione da Yersinia, reazione regionale a tumori, fase
iniziale della linfoadenite granulomatosa necrotizzante.
Pattern paracorticale. È rappresentato da una popolazione
cellulare mista, prevalentemente linfoide, diffusamente dispersa. Sono presenti:
Piccoli linfociti. Cellule linfoidi di piccole dimensioni con
nucleo rotondo e scarso citoplasma. Sono numerosi e costituiscono il fondo del preparato. Sono linfociti T helper e
suppressor, effettori dell’immunità cellulo-mediata (CD3+,
CD4+ > CD8+). Possono essere presenti piccoli linfociti B
(CD20+, bcl-2+).
Immunoblasti. Sparse cellule linfoidi di grandi dimensioni
con nucleo rotondo, vescicoloso, evidente nucleolo centrale,
membrana nucleare ispessita, abbondante citoplasma basofilo.
Possono essere T, elementi linfoidi attivati (CD3+, CD4+ >
CD8+) e B, precursori delle plasmacellule (CD20+, bcl2+,
MUM-1+).
Cellule dendritiche perivenulari. Sparse cellule di dimensioni
medio-grandi con membrana nucleare irregolare, cromatina
dispersa, assenza di nucleolo, citoplasma poco colorato. Sono
cellule presentanti l’antigene (proteina S100+, CD1a+/-, DCLAMP+).
Cellule fibroblastiche reticolari. Morfologicamente simili alle
cellule dendritiche. Sono le principali cellule dello stroma linfoghiandolare e formano una rete tridimensionale che connette i seni alle venule ad endotelio alto (desmina+, vimentina+,
actina del muscolo liscio+, miosina+, proteina S100-, CD21-,
CD3-, in parte: citocheratina 8+, citocheratina 18+).
Cellule dendritiche plasmacitoidi. Cellule plasmacitoidi di
medie dimensioni con nucleo eccentrico, cromatina moderatamente condensata e citoplasma anfofilo. Producono interferone tipo I. Sono frequentemente presenti ma sono evidenti
solo in particolari forme di linfoadenite (CD43+, CD68+,
CD74+ CLA “cutaneous lymphocyte-associated antigen”+,
CD123+).
Macrofagi. Cellule istiodi ed epitelioidi di grandi dimensioni
ad attività macrofagica (CD68+).
Quadri speciali. Proliferazione immunoblastica reattiva (postvaccinica, da farmaci), infezione da EBV (mononucleosi),
infezione da Herpesvirus, linfoadenite hodgkinoide interfollicolare, linfoadenite dermatopatica, linfoadenite di Kikuchi.
Pattern con prevalenza di istiociti. È rappresentato da una
popolazione cellulare con prevalenza di istiociti, sparsi o in
piccoli aggregati. In alcuni casi è presente necrosi e la necrosi
può essere prevalente. Sono presenti:
Macrofagi. Grandi cellule istioidi o epitelioidi (CD68+) anche
in forma di cellule giganti.
Cellule dello stroma e del parenchima linfonodale. Cellule
precedentemente descritte variamente rappresentate.
Quadri speciali:
a)linfoadenite con istiociti sparsi o con piccoli granulomi:
toxoplasmosi, micobatteriosi aviaria, lebbra, febbre tifoide,
linfoadenite batterica simile al linfoma di Lennert, reazione
istiocitica a materiale estraneo, linfoadenite di Kikuchi,
lupus eritematoso sistemico, malattia di Kawasaki;
b)linfoadenite granulomatosa: tubercolosi, sarcoidosi, berilliosi, malattia di Crohn;
c)linfoadenite granulomatosa suppurativa: malattia da graffio
di gatto, linfogranuloma venereo, infezione da Yersinia,
tularemia, micosi, micobatteriosi atipica;
d)linfoadenite con prevalenza di necrosi: infarto del linfonodo, linfoadenite di Kikuchi, lupus eritematoso sistemico,
malattia di Kawasaki, linfoadeniti granulomatose con ne-
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
crosi, linfoadeniti granulomatose suppurative, linfoadenite
da Pneumocistis carinii;
e)istiocitosi dei seni: istiocitosi dei seni in linfonodi drenanti
tumori, istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva, sindrome emocitofagica reattiva, reazione istiocitica a materiale estraneo, malattia di Whipple, malattie da accumulo.
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Citologia agoaspirativa linfonodale: diagnosi
e classificazione dei processi linfoproliferativi
M. Ungari
1° Servizio di Anatomia Patologica, Spedali Civili, Brescia
Introduzione. La citologia agoaspirativa è una metodica
rapida, economica ed efficace per indagare una linfoadenopatia, anche se la sua utilità non è unanimemente condivisa,
in particolare nella diagnosi dei processi linfoproliferativi.
Tuttavia con l’esperienza dell’operatore e l’ausilio di tecniche speciali, quali l’immunoctitochimica, la citometria
a flusso ed indagini molecolari, la citologia agoaspirativa
linfonodale ha raggiunto valori di sensibilità e specificità
assolutamente ottimali.
Essa è in genere in grado di fornire sufficienti informazioni
per decidere se è necessario unicamente un controllo nel
tempo, una terapia antibiotica per un processo infettivo, radioterapia e chemioterapia per una patologia tumorale o una
stadiazione per una localizzazione metastatica. Nei casi problematici o per conferma del sospetto diagnostico citologico
si ricorre alla linfoadenectomia. Negli ultimi 10 anni circa
la sensibilità della metodica è > 80%, la specificità > 90% e
l’accuratezza diagnostica > 85%, per i linfomi non Hodgkin
(LNH) 1-4. La classificazione dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità ha aperto la porta ad un più ampio uso della
citologia agoaspirativa in quanto essa ha dato minore importanza all’architettura, favorendo le caratteristiche cliniche,
citologiche, il fenotipo ed il genotipo nell’identificazione
delle singole entità. I quadri citologici nel caso di sospetto di
un processo linfoproliferativo possono essere classificati in
due grandi categorie: quadro polimorfo con o senza cellule
atipiche di grossa taglia e quadro monomorfo, quest’ultimo
a sua volta distinto in base alle dimensioni della popolazione
tumorale a cellule di piccola, media e grossa taglia (Tab. I).
349
relazioni
Per il linfoma di Hodgkin la sensibilità è più bassa (48%86%), anche se la specificità rimane elevata (98%-100%) 5 6.
La diagnosi di localizzazione metastatica ha elevate sensibilità
91%-98%), specificità (95%-98%) ed accuratezza diagnostica
(94%-97%) 7 8.
Linfomi non Hodgkin. I linfomi non Hodgkin B a cellule
di piccola taglia comprendono, secondo l’OMS, il linfoma
linfocitico (LLC), il linfoma linfoplasmacitico, il linfoma
follicolare (FL), il linfoma mantellare (MCL) ed il linfoma
marginale (MZL), che citologicamente sono dominati da una
popolazione monomorfa di cellule di piccole dimensioni.
Tutti possono comprendere alcune cellule linfoidi di grossa
taglia, plasmacellule, cellule follicolari dendritiche, in numero
variabile a seconda della singola entità. I singoli tumori vengono classificati con una combinazione di caratteri citologici,
immunofenotipici e citogenetica (Tab. II).
La leucemia linfocitica linfocitica cronica/LNH linfocitico
citologicamente è caratterizzata da una popolazione monomorfa di piccoli linfociti maturi, con cromatina in zolle e
sottile rima di citoplasma, cui si associano sparse cellule di
media/grossa taglia, con nucleolo riconoscibile e citoplasma
più abbondante, basofilo, chiamati paraimmunoblasti. Nel
Tab. I. Quadri diagnostici in citologia agoaspirativa linfonodale.
Pattern citologico
Diagnosi differenziale
Tecniche aggiuntive
Pitfalls
Linfocitosi mista
Reattivo
LNH a piccoli linfociti
LNH B DLC ricco in T
LH
Citometria a flusso
Immunocitochimica
FISH
Presente in numerose
condizioni benigne e
maligne
Linfocitosi mista con
numerosi neutrofili
Infezioni
LH
ALCL
Coltura microbiologica
Immunocitochimica
Necrosi
Linfocitosi mista con cellule
atipiche di grossa taglia
LH
LNH B DLC ricco in T
ALCL
LNH B follicolare di alto grado
Immunocitochimica
FISH
Le cellule neoplastiche possono
essere rare
Necrosi
Fibrosi
La citometria a flusso può essere
negativa
Monomorfo a piccole cellule
LNH
LNH
LNH
LNH
LNH
linfocitico/LLC
B mantellare
B marginale
B follicolare
B linfoplasmacitico
Immunocitochimica
Citometria a flusso
FISH t(11;14)
FISH t (14;18)
Variazioni ed overlap del fenotipo
Monomorfo a cellule di
media taglia
LNH B Burkitt
Linfoma/Leucemia
linfoblastica
LNH B mantellare blastoide
LNH T periferici
Leucemia mieloidi acute
Immunocitochimica
Citometria a flusso
FISH t(11;14)
FISH per c-myc
Necrosi
Artefatti
Monomorfo a grandi cellule
LNH B DLC
LNH T periferico
Metastasi
Immunocitochimica
Citometria a flusso
Necrosi
Artefatti
Citometria a flusso negativa
Pleomorfo a grandi cellule
ALCL
LH
Metastasi
Immunocitochimica
Necrosi
Artefatti
Citometria a flusso negativa
Plasmacellule
Mieloma multiplo
LNH B linfoplasmacitico
Malattia di Castleman
HIV
Immunocitochimica
Citometria a flusso
Citometria a flusso negativa
Granulomi
Infezioni
Sarcoidosi
LH
Metastasi
Colorazioni istochimiche
Immunocitochimica
Colture microbiologiche
Granulomi possono essere osservati sia in condizioni benigne
che maligne
Macrofagi con o senza
detriti cellulari
LNH B Burkitt
LH
LNH B DLC ricco in T
Iperplasia follicolare
Malattia di Rosai-Dorfman
HIV
Citometria a flusso
Immunoistochimica
FISH
Macrofagi con corpi tingibili
possono essere presenti sia in
condizioni maligne che benigne
350
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Tab. II. Classificazione OMS dei LNH B a piccole cellule.
Linfocitico
Mantellare
Follicolare
Marginale
65
60
59
61
Sesso
M>F
M>>F
M=F
M=F
Clinica
Indolente
Aggressivo
spesso extranodale
Indolente
indolente
Età media
CD5
1
1
-1
-1
CD10
-1
-1
1
-1
CD23
1
-1
0
0
Ciclina D1
-1
1
-1
-1
Trisomia 12
t(11;14)
t(14;18)
Citogenetica
1 = tipico e indispensabile/rilevante per la diagnosi; 0 = irrilevante per la diagnosi; -1 = non tipico, fortemente contrario alla diagnosi
10%-20% dei pazienti si ha la trasformazione in un linfoma a
grandi cellule (sindrome di Richter), che può essere costituito
da paraimmunoblasti, ma anche da cellule linfoidi indifferenziate. La presenza di numerose mitosi, di necrosi cellulare ed
un elevato indice proliferativo (Ki-67/Mib-1) sono indicativi
di trasformazione cellulare 11. Lo studio dell’espressione immunofenotipica del marcatore prognostico Zap70 è eseguibile
anche in citologia.
Il MCL presenta mitologicamente una popolazione monomorfa di piccoli linfociti con nucleo irregolare, simil-centrocitico, cromatina in granuli ipercromatici, senza nucleolo. Centroblasti ed immunoblasti sono in genere assenti.
Vi possono essere sparsi istiociti, non in attività fagica.
Architetturalmente si riconoscono tre forme: mantellare,
nodulare e diffusa, che tuttavia non sembrano avere valore
prognostico. Citologicamente il linfoma a crescita nodulare
può comprendere frammenti di centri germinativi con macrofagi con corpi tingibili, assenti nelle altre due forme 12.
La variante blastoide è riconoscibile citologicamente in quanto costituita da cellule medio/grandi, con uno o più nucleoli,
che simulano linfoblasti 13. La conferma della natura mantellare di una popolazione linfomatosa è data dalla sua espressione
immunocitochimica di ciclica D1 o dalla dimostrazione di
t(11;14) 14.
Il FL rappresenta il 35% di tutti i linfomi. Il quadro citologico
è caratterizzato da popolazione linfoide dispersa o in aggregati, per la presenza di cellule follicolari dendritiche, costituita
da centrociti, cui si associano in minor numero centroblasti, in
genere con rari o assenti macrofagi con corpi tingibili. Le cellule follicolari sono caratteristiche mitologicamente, in quanto
caratterizzate da un nucleo ovale con cromatina pulverulenta
ed un piccolo nucleolo paracentrale; spesso le cellule follicolari dendritiche sono plurinucleate, con nuclei tra loro strettamente adesi. Le immunocolorazioni per CD21 e CD35 le
evidenziano. La natura centrofollicolare della popolazione linfoide si conferma con le immunocolorazioni per CD10 e Bcl6. La diagnosi differenziale è con i quadri di iperplasia reattiva, che oltre ad essere ricchi di macrofagi con corpi tingibili,
mostrano molto più numerosi centroblasti di quanto in genere
osservato nel FL. Inoltre i FL nel 70-95% dei casi esprimono
la proteina Bcl-2, come risultato della traslocazione t(14;18).
Tuttavia, in citologia, la lettura dell’immunocolorazione per
Bcl-2 può essere problematica, sia perché non vi sono reperi
spaziali, sia perché nel contesto degli aggregati centrofollicolare, in corso di allestimento del preparato possono migrare
i linfociti del mantello o linfociti T, che esprimono fisiologicamente la proteina Bcl-2. Pertanto può essere senz’altro
utile dimostrare il riarrangiamento con FISH, metodica che
può essere applicata sia su materiale fissato all’aria, che su
preparati fissati in alcool e decolorati 15. Istologicamente il FL
è diviso in 3 gradi in rapporto al numero di centroblasti per
campo ad alto ingrandimento. Non è possibile fornire tale dato
in citologia, con sufficiente margine di accuratezza, anche se
in uno studio gli Autori identificano il grado 1 con < 10% di
centroblasti, il grado 2 con 10% < < 25% ed il grado 3 25% <
< 50% 16. La classificazione dell’OMS consiglia di segnalare
anche il grado di nodularità della popolazione linfomatosa,
dato che si evince solo dall’esame istologico, ma che non
sembra avere alcun valore prognostico o terapeutico.
Il MZL si presenta con uno striscio polimorfo comprendendo
linfociti di taglia piccola ed intermedia, spesso centrocitoidi
per le caratteristiche del nucleo, immunoblasti, plasmacellule
e frammenti di centri germinativi, con centrociti/centroblasti,
cellule follicolari dendritiche e macrofagi con corpi tingibili.
A differenza del linfoma marginale extranodale (MALT), la
forma nodale non mostra né t(11;18), né trisomia 3.
Del linfoma di Burkitt (BL), ne esistono 3 forme cliniche:
a.endemico in Africa ed Asia, colpisce i bambino, frequentemente con localizzazione alle ossa facciali, ed è EBV
correlato;
b.sporadico, nei bambini e giovani adulti, in forma di masse
addominali;
c.in pazienti con immunodeficit (es. HIV), con coinvolgimento linfonodale, ed è EBV correlato.
In tutti i casi la malattia, all’esame citologico si presenta come
una popolazione monomorfa di cellule di media taglia, con
nucleo rotondeggiante, multipli nucleoli e citoplasma basofilo
abbondante, con vacuoli microscopici di lipidi (colorazione
giemsa). Vi possono essere numerosi macrofagi con corpi
tingibili (c.d. “aspetto a cielo stellato”). Fenotipicamente il BL
esprime CD10, ma è negativo per Bcl-2. La diagnosi differenziale si pone con il linfoma leucemia linfoblastica, che esprime nella maggior parte dei casi TDT e può esprimere CD34.
Geneticamente il BL è caratterizzato dal riarrangiamento del
proto-oncogene c-myc: t(8;14), t(2;8) e t(8;22), dimostrabili
anche in citologia con FISH. Tuttavia riarrangiamento del cmyc è stato riscontrato anche in altri linfomi: LNH B DLC e
linfoma linfoblastico. Pertanto la diagnosi di BL è il risultato
dei quadri clinico, morfologico, immunofenotipico e citogenetica.
Nello spettro delle neoplasia a cellule monomorfe di media
taglia vanno incluse anche le leucemie mieloidi. Nel caso che
i marcatori linfoidi B e T (CD3, CD20 e Pax5) risultino negativi, è utile indagare la natura mieloide di una popolazione
tumorale con CD34, CD43, mieloperossidasi, CD117.
relazioni
Il LNH B DLC è frequente (30%-40%) dei linfomi dell’adulto. La citologia è un tappeto di cellule linfoidi grandi,
con variabili caratteri citologici: centroblasti, immunoblasti,
cellule con nucleo polilobato, cellule ad anello con castone,
plasmablasti.
Linfoma di Hodgkin. La maggior parte dei pazienti presenta
coinvolgimento linfonodale latero-cervicale e/o mediastinico.
Il linfoma di Hodgkin classico (sclerosi nodulare, cellularità
mista, ricco in linfociti e deplezione linfocitica, che comprendono il 95% dei pazienti) è citologicamente caratterizzato da
un piccolo numero di cellule tumorali (cellule di Hodgkin e
cellule di Reed-Sternberg) sparse nel contesto di una popolazione linfoide polimorfa, comprendente linfociti, eosinofili,
neutrofili, istiociti (anche in aggregati granulomatosi), plasmacellule e fibroblasti. La classica cellula di RS è di grossa
taglia, binucleata con nucleoli acidofili prominenti spesso
circondati da un alone chiaro. Il fenotipo della cellula di Hodgkin e RS è CD15+, CD30+, Pax5+ (più spesso), CD20-,
CD45-, anche se non sono inusuali le eccezioni (es. assenza di
espressione di CD15: 12% 10; espressione di CD20, in genere
da una frazione minoritaria di cellule tumorali). La sottoclassificazione del linfoma di Hodgkin classico non è possibile in
citologia. Tuttavia il linfoma di Hodgkin classico non mostra
variazioni nella terapia in rapporto al differente sottotipo 9.
Il linfoma di Hodgkin predominanza linfocitica nodulare
comprende il 5% dei pazienti. La cellula diagnostica, cellula
Linfocitica&Istiocitica (L&H), è anch’essa di grossa taglia,
ma con nucleo multilobulato, in genere senza nucleoli acidofili prominenti, ed ha un differente fenotipo: CD20+ (espressione intensa da parte di tutte le cellule tumorali), CD45+,
Pax5+, CD15-, CD30-.
La diagnosi differenziale citologica include l’iperplasia reattiva, linfoadeniti infettive, il LNH B DLC ricco in linfociti T,
le metastasi di carcinoma e di melanoma. I falsi negativi sono
in genere secondari o a solo parziale coinvolgimento linfonodale, o a estensiva sclerosi che non consentono un’adeguata
raccolta di cellule diagnostiche. Linfadeniti da infezione di
virus di Epstein-Barr comprendono cellule linfoidi atipiche
di grossa taglia “sternbergoidi”, che possono essere CD30+ e
che pertanto sia citologicamente che fenotipicamente pongono un problema diagnostico differenziale con un linfoma di
Hodgkin classico. Il CD15 può essere espresso da alcuni carcinomi, così come l’antigene epiteliale di membrana (EMA)
può essere espresso dalla cellula di RS, pertanto la tipizzazione immunofenotipica deve cercare di essere comprensiva di
CD30 e Pax5. tra le neoplasie linfoidi la diagnosi differenziale
si pone con il LNH B DLC ricco in linfociti T, le cui cellule,
pur se possono essere citologicamente simili alle cellule di
RS, sono tuttavia intensamente CD20+ e negative per CD15,
e con il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL). Le
cellule del ALCL possono essere citologicamente simili alle
cellule di Hodgkin e RS, fenotipicamente esprimono CD30,
ma sono negative per CD15, possono esprimere marcatori T
(soprattutto CD2), anche molecole citotossiche (es. granzyme
β e TIA-1). Geneticamente, nel 65%-85% dei casi, il ALCL
è associato alla traslocazione t(2;5) che risulta nell’espressione della protena ALK, che virtualmente esclude un LH. Più
frequentemente tuttavia il ALCL si presenta come un tappeto
di cellule atipiche di grossa taglia, ponendosi in diagnosi differenziale con il LNH B DLC, le metastasi di carcinoma ed il
carcinoma embrionale, che tra l’altro esprime CD30.
I LNH T/NK rappresentano all’incirca il 10% dei linfomi. Diversamente dai processi linfoproliferativi B dove la restrizione
clonale è individuata dall’espressione monotipia delle catene
leggere delle immunoglobuline di superficie, i linfomi T non
351
hanno marcatori di monoclonalità. La diagnosi di linfoma si
fonda pertanto sulle caratteristiche citologiche della popolazione linfoide e sulla perdita di espressione di antigeni che
normalmente sono espressi.
Metastasi. Una metastasi è di gran lunga più frequente di un
linfoma come causa di linfoadenopatia, soprattutto in pazienti
50 anni. L’accuratezza diagnostica è del 95% per i carcinomi e
del 100% per i melanomi 3. Aspirati linfonodali in pazienti con
metastasi di melanoma spesso mostrano un quadro a cellule
disperse simile a quello dei processi linfoproliferativi. L’immunocitochimica consente inoltre di orientare il clinico sulla
sede primitiva del tumore. Uno dei maggiori problemi è la
diagnosi differenziale tra un processo linfoproliferativo ed una
neoplasia “a piccole cellule blu”. Nei bambini in particolare il
neuroblastoma, il sarcoma di Ewing/PNET ed il rabdomiosarcoma, negli adulti in carcinoma neuroendocrino.
Le metastasi di adenocarcinoma si presentano come aggregati coesivi e cellule disperse. La dimostrazione di mucine
intracitoplasmatiche esclude in genere l’epatocarcinoma, il
carcinoma della corticale surrenalica, il carcinoma papillare e
follicolare della tiroide, così come i sarcomi, con l’eccezione
del cordoma, ed il melanoma. Vi sono poi tutta una serie
anticorpi che ci aiutano ad individuare il sito di origine di un
carcinoma: TTF-1, antigene prostatico specifico, anti-epatocitario, CD10 recettori ormonali, GCFD-15, tireoglobulina,
l’espressione di citocheratina 7 e citocheratina 20, e altri. Il
linfonodo sovraclaveare sinistro (linfonodo di Virchow) drena
il tratto gastro-intestinale e gli organi pelvici.
I sarcomi che più frequentemente metastatizzano ai linfonodi
sono il rabdomiosarcoma, il sarcoma a cellule chiare, il sarcoma epitelioide, il sarcoma di Ewing ed il sarcoma sinoviale.
La citologia, adiuvata da tecniche immunoistochimiche ed
eventualmente studi citogenetica, è in grado di documentare
le localizzazioni metastatiche, soprattutto in pazienti con
malattia nota.
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Le malattie linfoproliferative sono il settore della moderna ematologia oncologica in cui la ricerca traslazionale ha
prodotto i risultati più tangibili. Il progresso è dovuto ad un
lavoro comune di istopatologi, biologi molecolari e clinici
che hanno lavorato a stretto contatto trasferendo con particolare velocità il dato biologico alla pratica clinica. Questo
lavoro di équipe è nato dall’evidenza che sotto la definizione
di linfomi non Hogkin (LNH) si raggruppano una grande varietà di entità cliniche differenti che mostrano caratteristiche
morfologiche, fenotipiche, cliniche, di risposta alla terapia e
prognostiche molto differenti. Dalle iniziali classificazioni
basate puramente su criteri morfologici si è passati agli approcci odierni che utilizzano tecnologie molto più avanzate.
Lo sforzo multidisciplinare compiuto nei trascorsi ultimi 10
anni ha portato come risultato importantissimo nel 2001 alla
formulazione di una nuova classificazione della World Health
Organization che è stata recepita ora in tutto il mondo. Questa
classificazione, che ha indotto una vera e propria rivoluzione
nella diagnosi e trattamento dei pazienti con LNH, è basata
sull’integrazione dei dati fenotipici, morfologici, genetici e
clinici. Una diagnosi corretta di linfoma non può prescindere
dalla conoscenza di tutte queste informazioni e dalla loro
integrazione.
Un avanzamento di estrema importanza nelle conoscenze
sulla patogenesi dei LNH, e nella loro diagnosi e cura è stato
certamente apportato dalla genetica molecolare con l’identi-
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
ficazione di marcatori genetici specifici che consentono non
solo una precisa caratterizzazione diagnostica del linfoma
ma anche un follow-up molecolare della malattia. Infatti la
negativizzazione duratura del marker molecolare nel sangue
midollare/periferico dei pazienti è un indice imprescindibile
dell’efficacia del trattamento. Molteplici approcci terapeutici
odierni basano le scelte del clinico durante il follow-up del
paziente sulla remissione non solo clinica ma anche molecolare. L’importanza e la necessità dello studio della malattia
minima residua (MRD), cioè la conoscenza della presenza
di cellule neoplastiche residue tramite la ricerca del markers
molecolare, è strettamente legata alla rapida evoluzione che
ha avuto anche la terapia in queste patologie. Infatti ai chemioterapici tradizionali si sono aggiunte nuove strategie di
natura diversa, quali le immunoterapie con anticorpi monoclonali specifici, il trapianto autologo e allogenico, la terapia
genica. La conoscenza dell’efficacia di un trattamento anche
a livello molecolare ha dimostrato avere un impatto sulla sopravivenza e sull’intervallo libero dalla malattia dei pazienti
con linfoma. La presenza di malattia molecolare in pazienti
in remissione clinica completa spesso implica la necessità
di ulteriori trattamenti terapeutici magari di tipo immunoterapico. Di conseguenza è evidente che il dato molecolare ha
assunto una importanza strategica e con anche il suo utilizzo
si potrà arrivare a disegnare strategie terapeutiche ad hoc per
il singolo paziente.
Studi ancora più recenti che utilizzano tecniche di gene
expression profiles hanno aperto ulteriori nuovi orizzonti
sulle conoscenze sui difetti molecolari che sottostanno alla
patogenesi dei linfomi. Queste nuove conoscenze molecolari
consentono non solo di diagnosticare con precisione i diversi
tipi di linfoproliferazioni neoplastiche ma anche di stratificare
malattie morfologicamente simili ma clinicamente eterogenee, estrapolando più informazioni possibili a significato
clinico, soprattutto di tipo prognostico.
In conclusione, le informazioni provenienti dalle indagini geniche, citogenetiche, immunofenotipiche, oltre che ad essere
indispensabili per una corretta diagnosi, possono fornire un
aiuto decisivo nell’inquadramento della malattia dal punto
di vista clinico fornendo aiuto prognostico e nella scelta del
trattamento. Questo impone al clinico la responsabilità di
avere a disposizione tutte le informazioni necessarie al fine di
scegliere per i singoli pazienti la cura più “intelligente”.
Bibliografia
1
Jaffe ES, Harris NL, Stein H, Vardiman JW, editor. World Health
Organization Classification of Tumours: pathology and genetics of
tumours of haematopoietic and lymphoid tissues. Lyon IARC press
2001.
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Arch Pathol Lab Med 2004;128:1379.
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Bench AJ, Erber WN, Follows GA, Scott MA. Molecular gentic analysis of haematological malignancies II. Mature lymphoid neoplsms.
Int J Haematol 2007;29:229-60.
353
relazioni
II Sessione
La citologia negli screening del cervico-carcinoma
Moderatori
M.G. Scalia (Crotone), F. Tallarigo (Crotone)
Il Sistema Bethesda 2001
L. Di Bonito
U.C.O. di Citodiagnostica e Istopatologia, Università di
Trieste
Il Sistema Bethesda (BTS) nasce nel 1988 da una riunione
multisciplinare di esperti in ginecopatologia per dare una
risposta ai problemi di scarsa comunicabilità fra specialisti
a causa dall’utilizzo di terminologie e di classificazioni non
sempre univoche.
L’obiettivo dell’uniformità terminologica era legato anche al
raggiungimento di una maggiore chiarezza sul management
delle anomalie cellulari riscontrate al Pap test.
Le novità introdotte da questo protocollo di classificazione
citologica e di refertazione riguardavano principalmente l’abbandono della classificazione di Papanicolaou ed il riconoscimento del Pap test quale strumento di consultazione medica.
Il BTS del 1988 prevedeva che ogni referto dovesse comprendere un giudizio sull’adeguatezza del materiale citologico
(“adeguato”, “sub-ottimale”, “inadeguato”), una classificazione generale della diagnosi ed una diagnosi descrittiva con
utilizzo di una terminologia stabilita.
Il BTS fu subito adottato in molti laboratori e nel 1991 fu effettuata una seconda riunione per procedere alla verifica della
sua applicazione e per apportare eventuali aggiornamenti alla
luce delle esperienze nel frattempo acquisite.
Il risultato del meeting fu una semplificazione centrata soprattutto nella parte concernente le alterazioni cellulari benigne ed
in una più dettagliata classificazione delle anomalie ghiandolari. L’impianto complessivo, tuttavia, rimase inalterato.
Un’ulteriore rivisitazione del BTS si rese necessaria e nel
2001 furono apportate alcune modifiche più sostanziali alle
precedenti versioni.
I principali capitoli modificati sono:
– adeguatezza. La categoria intermedia tra adeguato ed
inadeguato (“sub-ottimale”) viene soppressa perché considerata confondente per i clinici. Nel BTS 2001 gli strisci
convenzionali sono da considerarsi adeguati in presenza di
8.000-12.000 cellule squamose ben visualizzabili (5.000
nelle preparazioni in fase liquida) e di almeno 10 elementi
endocervicali o metaplasici ben conservati, anche isolati,
mentre il riscontro di tali elementi in aggregati non viene
più considerato necessario. La presenza di elementi oscuranti (emazie o cellule della flogosi) deve essere segnalata,
anche se lo striscio è ritenuto adeguato, quando meno del
75% delle cellule sono oscurate;
– categorie generali. Le alterazioni cellulari benigne (presenti
come categoria indipendente nelle precedenti versioni)
vengono ora incluse nella categoria “Negativo per lesione
intraepiteliale o malignità”;
– interpretazione/risultati. Il Pap test è principalmente un test
di screening e, pertanto, il referto citologico è da considerarsi
solo un’interpretazione del quadro morfologico che contri-
buisce alla formulazione della diagnosi assieme alla clinica.
Dall’integrazione del risultato citologico e dei dati clinici
scaturisce poi il management specifico per ciascun caso;
– alterazioni delle cellule epiteliali. In questo capitolo le
modifiche più sostanziali riguardano le cellule atipiche e
l’introduzione dell’adenocarcinoma endocervicale in situ.
Atipie in cellule epiteliali squamose. Le precedenti versioni
del BTS avevano suggerito di suddividere le ASCUS, in reattive o displastiche, in obbedienza allo scopo primario del Pap
test, ovvero l’individuazione del maggior numero possibile di
lesioni intraepiteliali. In realtà, ciò si era tradotto in un eccesso
di ASCUS, anche alla luce dei risultati delle successive indagini eseguite sulle pazienti.
L’attuale denominazione delle ASCUS è modificata in ASC
(“Atypical Squamous Cells”), che esclude le anomalie reattive,
passate anch’esse nella categoria dei negativi. Le ASC vengono
poi suddivise in ASC-US per indicare le atipie non altrimenti
specificabili ed in ASC-H qualora non sia possibile escludere
una lesione di alto grado. Il BTS 2001 suggerisce che quest’ultima categoria sia sospetta per lo più lesioni di alto grado e che
pertanto le ASC-H non debbano costituire più del 5-10% delle
ASC totali. Queste ultime non potranno superare il 5% delle
diagnosi totali, con un rapporto fra ASC e SIL di 2:1.
Atipie in cellule ghiandolari. La precedente categoria AGUS
viene eliminata dal BTS 2001 e sostituita da AGC (“Atypical
Glandular Cells”). Poiché il management delle pazienti con
lesioni ghiandolari è strettamente correlato con il tipo di cellule coinvolte, il BTS 2001 raccomanda di specificare, ove
possibile, se le AGC sono a carico di cellule endocervicali o
endometriali, anche alla luce di aspetti citomorfologici specifici che ne permettono la distinzione. Il reperto di cellule
ghiandolari atipiche è clinicamente rilevante poiché la percentuale di casi che sottende una lesione di alto grado (10-39%)
è più elevata di quanto si osserva per le ASC.
Il BTS 2001, in presenza di atipie ghiandolari sospette per la
presenza di un adenocarcinoma, suggerisce di utilizzare il termine di AGC vs. neoplasia, specificandone, se riconoscibile,
l’origine endocervicale.
L’“adenocarcinoma endocervicale in situ”, viene introdotto
dal BTS 2001 quale nuova ed indipendente categoria diagnostica. Ne vengono anche definiti i criteri citomorfologici più
tipici: gli aspetti piumati, le pluristratificazioni, la formazione
di rosette, l’assenza di nucleoli prominenti in cellule con
rapporto nucleo/citoplasmatico più elevato del normale, l’assenza di diatesi tumorale, caratteristiche che lo diversificano
dall’adenocarcinoma invasivo.
Altro. In questo capitolo sono comprese le cellule endometriali normali presenti nello striscio di donne di età uguale
o superiore ai 40 anni (in relazione comunque alla data dell’ultima mestruazione), in ragione di un possibile aumento
del rischio di patologie endometriali in queste donne. Nelle
precedenti versioni, tale riscontro era incluso nella categoria
delle anomalie delle cellule ghiandolari.
354
Lettura computerizzata e test aggiuntivi. Il BTS 2001 ha
voluto tenere conto anche delle innovazioni tecnologiche più
recenti, aggiungendo una categoria opzionale assente nelle
versioni precedenti. Il referto dovrebbe contenere anche le informazioni aggiuntive ottenute dalla lettura computer-assistita
o dall’esecuzione di test molecolari, assieme alle specifiche
degli strumenti e delle metodologie impiegate.
Note educazionali e suggerimenti. Il citopatologo ha la
facoltà, se lo ritiene opportuno, di rivolgere al clinico suggerimenti o commenti sul risultato citologico, sempre coerenti con
le Linee Guida adottate per il management delle pazienti con
anomalie citologiche.
Le categorie diagnostiche più definite, quali SIL e carcinoma
invasivo, non sono state modificate, poiché il loro aspetto citomorfologico permette di porre una valutazione ben precisa, che
vede un’elevata corrispondenza nel confronto citoistologico.
Bibliografia
1
The 1988 Bethesda System for reporting cervical/vaginal cytological
diagnoses. National Cancer Institute Workshop. JAMA 1989;262:931-4.
2
The Bethesda System for reporting cervical/vaginal cytological diagnoses: report of the 1991 Bethesda Workshop. Diagn Cytopatol
1989;8:313-5.
3
The 2001 Bethesda System terminology for reporting results of cervical cytology. JAMA 2002;287:2114-9.
Il Pap test nell’era vaccinale
C. Gentili
Carrara, (MS)
Nel febbraio 2007 l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato la commercializzazione del primo vaccino contro il papilloma virus (HPV), responsabile della quasi totalità dei casi
di tumore del collo dell’utero. A partire dal 2008 se ne prevede la somministrazione gratuita a tutte le ragazze 12enni.
Il vaccino in commercio è diretto contro 4 ceppi del virus:
HPV 16, HPV 18, HPV 11, HPV 6. L’HPV 16 e l’HPV 18
sono quelli più frequentemente correlati alle lesioni tumorali,
essendo responsabili da soli del 70% dei casi di tumore del
collo dell’utero; l’HPV 6 e l’HPV 11 sono generalmente correlati a lesioni condilomatose.
Si calcola che l’efficacia del vaccino contro questi 4 ceppi sia
del 98% e che l’immunità duri per più di 5 anni, anche se ancora
non si dispone di dati sull’efficacia oltre questo periodo.
Non si esclude, inoltre, una reattività crociata del vaccino contro altri ceppi che ne aumenterebbe così copertura ed efficacia.
Se, come programmato, la vaccinazione andrà a regime per
tutte le 12enni dal prossimo anno, saranno possibili i primi
bilanci in termini valutativi quando, tra 13 anni, questa fascia
di popolazione raggiungerà l’età di screening. Se i risultati
saranno pari alle aspettative, dovrà passare ancora un discreto
numero di anni perché tutta la popolazione sia coperta contro
i due ceppi.
Al momento, dunque, lo strumento migliore per contrastare
questo tumore che, va ricordato, registra una frequenza di
3.500 nuovi casi ogni anno con circa 1.100 morti, resta il controllo sistematico di tutte le donne nella fascia di età tra i 25
e 65 anni con un test di screening semplice, innocuo, efficace
e riproducibile.
Fino ad ora il Pap test ha soddisfatto in maniera ottimale tutti
questi requisiti essendo innocuo, semplice, con ottimo rapporto sensibilità-specificità, accettabile riproducibilità (soprattutto per le lesioni più importanti). Ha svolto un ruolo centrale
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
nella individuazione delle lesioni prencacerose, contribuendo
in maniera determinante al crollo della mortalità per la neoplasia nei Paesi industrializzati.
Il Pap test richiede, tuttavia, una serie di requisiti che ne garantiscano la qualità e la cui mancanza rende la sua centralità
nello screening più precaria.
Ogni programma di screening cervicale, come è noto, deve:
– prevedere l’esecuzione di un Pap test ogni 3 anni nelle donne di età compresa tra 25 e 64 anni;
– essere sottoposto ad un rigoroso controllo di qualità che
assicuri, tra l’altro, che il carico annuo di lavoro di un citologo dedicato allo screening non superi i 7.500 Pap test,
che ogni laboratorio esamini almeno 15.000 Pap test l’anno
e che il referto venga consegnato non oltre le 6 settimane
dall’esecuzione del test;
– disporre di ambulatori o consultori nei distretti, presso cui
effettuare il prelievo cervico-vaginale, e di personale per
l’esecuzione dei prelievi; di laboratori di citologia, istologia
e patologia per la lettura dei preparati citologici e istologici
e di personale dedicato;
– prevedere la refertazione, la classificazione e l’archiviazione dei preparati citologi ed istologici che devono essere
automatizzate, utilizzando software e classificazioni compatibili e interfacciabili con i dati delle anagrafi comunali
e sanitarie. I referti negativi devono essere conservati per 5
anni, quelli non negativi per 20 anni e i preparati istologici
per 20 anni 2.
Il rispetto di questi requisiti renderà ben presto problematico,
anche dove gli screening basati sull’esame citologico sono
“precariamente stabilizzati” come in Toscana, il ruolo centrale
dello “striscio”, tanto più in considerazione della disponibilità
alternativa di un test di biologia molecolare.
Tenuto conto che in Italia si eseguono circa 6 milioni di Pap
test, in strutture sia pubbliche che private e che una fetta consistente di popolazione non ha mai eseguito il test o lo esegue
in modo irregolare 2, ci si chiede se, alla luce delle nuove
conoscenze, sia opportuno affrontare ex novo, o mantenere
laddove esiste, uno screening organizzato avente come test di
base il Pap test con il suo impegno economico ed organizzativo gravoso, oppure se convenga utilizzare nuovi test che con
migliori requisiti (minor costo complessivo, maggior semplicità e riproducibilità, analogo rapporto sensibilità-specificità)
garantiscano lo stesso risultato?
Molti studi hanno mostrato un incremento di sensibilità dell’HPV DNA rispetto alla citologia convenzionale 3 e, recentemente, si rafforza la convinzione che con l’utilizzo del l’HPV
test come test screening primario e la citologia come “triage”
per le donne HPV positive si ottenga un incremento di sensibilità dell’HPV test comparato alla citologia convenzionale, sia
pure con una piccola perdita di specificità anche tra donne sotto
i 30 anni dove l’infezione è molto più presente 4 5.
In Italia il numero di donne positive all’HPV da testare con
la citologia è relativamente basso: 14% in donne tra i 25 e 34
anni e 7% in donne tra i 34 e i 65 anni 5. Ciò sta a significare
che, se lo screening primario fosse eseguito con il solo HPV
test, soltanto il 9% circa di donne andrebbero sottoposte ad
un controllo citologico (che diverrebbe in questo caso un test
di 2° livello), con un sensibile calo, dunque, delle prestazioni
citologiche (in un laboratorio standard passerebbero da 15.000
a 1.650), e il conseguente recupero di personale dedicato (due
citologi, un tecnico ed un amministrativo) e un inevitabile
miglioramento della qualità delle prestazioni.
Le vaccinazioni con HPV 16 e 18 avranno un forte impatto
sulla epidemiologia della CIN e sul cancro cervicale e, perciò,
sullo screening.
relazioni
La più bassa prevalenza di CIN ridurrà il VPP; questo effetto
potrebbe essere più forte in citologia, molto soggettiva rispetto all’HPV test, molto riproducibile.
Quali, dunque, i vantaggi di un test di biologia molecolare
come test di screening ?
1)costo complessivo molto più contenuto del test molecolare;
2)impiego di sistemi organizzativi più snelli e con meno risorse umane;
3)riproducibilità;
4)incremento di sensibilità rispetto a un piccolo decremento
nella specificità;
5)allungamento degli intervalli di screening.
Quali gli svantaggi?
1)ansietà legata all’infezione (ma non c’è anche per una portatrice di ASCUS o un SIL di basso grado se il comunicatore
comunica ansia?);
2)possibilità di avere falsi negativi (ma non ci sono anche nel
Pap test?).
Conclusioni. Gli studi finora mostrano che il vaccino è efficace e privo di effetti collaterali, anche se non si conosce la
durata della protezione.
In Italia il vaccino sarà messo in commercio entro un anno
e sarà indicato per le adolescenti e le donne giovani. Per
valutarne l’impatto sull’incidenza del carcinoma cervicale si
dovranno però attendere molti anni: dovrà quindi persistere
un programma di prevenzione secondaria efficace e capillare,
secondo schemi di integrazione delle due azioni preventive.
Il Pap test come test di screening abbisogna di un’organizzazione complessa e costosa che coinvolge più figure professionali, molte delle quali altamente qualificate; rispetto ai test di
biologia molecolare offre solo piccoli vantaggi in termini di
valore predittivo positivo.
Poiché il vero obiettivo dello screening del cervicocarcinoma, in attesa degli effetti benefici del vaccino, è quello di
raggiungere tutta la popolazione bersaglio con un test semplice, efficace e riproducibile, al fine di ridurre la mortalità
e la morbilità della malattia, riteniamo che il Pap test debba
cedere il passo alle nuove tecnologie che rispondono meglio
ai requisiti richiesti.
Bibliografia
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Ronco G, et al. Livello di attivazione ed indicatori di processo dei
programmi organizzati di screening cervicale in Italia. Osservatorio
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Vol. 10. Lyon: IARC 2005.
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human papillomavirus: the HART study. Lancet 2003;362:1871-6.
5
Ronco, et al. Gynecol Oncol 2007;4 (in press).
Il vetrino digitale per la promozione della
qualità in citologia
A. Bondi
U.O. di Anatomia, Istologia Patologica e Citodiagnostica,
Ospedale Maggiore, AUSL Bologna
Introduzione. Nell’ambito degli screening per la prevenzione del cancro della cervice, della mammella e del colon, la
Regione Emilia Romagna ha promosso gruppi professionali
che si occupano della garanzia della qualità nei settori speci-
355
fici. L’Anatomia Patologica è stata individuata come settore
importante per tutti e tre gli screening: si è pensato quindi di
realizzare uno strumento comune alle Istituzioni che in regione si occupano di Citopatologia e di Istopatologia nell’ambito
degli screening oncologici. Questo lavoro presenta il progetto
che vedrà la prima fase di realizzazione da ottobre a dicembre
2007: per il III Simposio di Citologia è quindi possibile riportarne le linee essenziali ed il piano di messa in opera.
Razionale. Progetto per realizzare una rete regionale per la
Promozione ed in Controllo della Qualità (PCQ) delle prestazioni di Citologia ed Istologia che coinvolga le Anatomie
Patologiche che hanno parte negli screening regionali di
prevenzione per il cancro della cervice, della mammella e del
colon-retto.
Le basi metodologiche della PCQ sono quelle della verifica
della riproducibilità nella lettura periodica di set standard di
vetrini digitali, resi disponibili in un server internet regionale
a costituire un sistema di archiviazione e trasmissione di
immagini (Picture Archiving and Communication System o
PACS) e della discussione periodica tramite teleconferenze di
consenso (consensus forum).
1.La citologia è fondamentale negli screening per il cervicocarcinoma e l’istologia è essenziale per la diagnosi, la
classificazione e la stadiazione dei tumori di tutte e tre le
sedi.
2.La citologia ed anche l’istologia sono basate sull’interpretazione di immagini e l’applicazione dei parametri diagnostici
può essere soggetta a forti elementi interpretativi individuali. La lettura periodica di set standard di vetrini, la verifica
della riproducibilità delle interpretazioni e la successiva
discussione collegiale dei reperti (slide seminars) rappresenta lo strumento più efficace per promuovere e verificare
la qualità delle diagnosi dei patologi e dei citologi 1.
3.Lo sviluppo della telepatologia su un sito internet efficiente
costituisce un ottimo strumento per integrare le Unità Operative di Anatomia Patologica coinvolte negli screening
oncologici regionali.
4.I meeting di consenso in teleconferenza permettono discussioni e confronti senza necessità di trasferimenti fisici e
possono coinvolgere numerosi partecipanti anche distanti,
con l’ottimizzazione dei tempi di partecipazione.
La telepatologia. La telepatologia è quella branca della
telemedicina che si occupa della diagnostica microscopica:
l’istologia e la citologia 2, ed anche la caratterizzazione biofenotipica dei tumori e la citogenetica.
Nell’evoluzione della telepatologia sono schematizzabili tre
principali fasi, a cui corrispondono altrettante tecnologie:
1)telepatologia statica: alcuni campi significativi di un preparato istologico, citologico o di biotecnologia vengono
fotografati ed inviati ad un consulente come allegati di
un messaggio e-mail o con tecnologia FTP. I proponenti
sono autori di esperienze pionieristiche con questa tecnica,
riuscendo a trasmettere, primi al mondo, pacchetti di immagini corredati di notizie cliniche dall’Ospedale “Bellaria”
di Bologna al Memorial Sloane Kettering Cancer Center
di New York e viceversa 3. Sebbene in circa il 90% dei
casi si raggiungesse una verifica diagnostica circostanziata,
ben presto ci si accorse che il punto critico di questa semplice procedura è nella selezione di rappresentatività delle
immagini fotografiche, che deve essere fatta dal patologo
richiedente: il consulente farà diagnosi solo sulle figure selezionate in base ai criteri del richiedente e che potrebbero
sviare dalla conclusione diagnostica corretta 4. Anche se le
fotografie digitali possono essere trasmesse in un tempo
molto breve, questa metodica presenta pochi vantaggi nei
356
confronti della spedizione postale (convenzionale) di un
intero vetrino che, in un compattissimo volume, offre una
grande concentrazione di informazioni morfologiche. La
telepatologia statica ha comunque trovato numerose applicazioni nella didattica e nel controllo di qualità 5-7.
2)Telepatologia dinamica: attraverso opportuni microscopi
motorizzati viene realizzato il controllo a distanza del movimento dello strumento con invio, in tempo reale, delle
immagini microscopiche riprese da una telecamera. Può
essere associata la discussione del caso in teleconferenza,
anche fra più patologi. La strumentazione è più complessa
e costosa di quella necessaria per la telepatologia statica,
ma la possibilità di interazione offre spunti per veri consulti
professionali. Sono state descritte esperienze applicate all’esecuzione di indagini intraoperatorie col patologo in una
città diversa da dove veniva eseguito l’intervento chirurgico
8
e teleconsulti fra piccoli laboratori nelle numerosissime
isole giapponesi, dove opera spesso un solo patologo 9.
La Regione Piemonte ha realizzato una rete di stazioni di
telecitologia con possibilità di discussione in linea per effettuare consultazioni crociate fra i laboratori di Anatomia
Patologica che partecipano agli screening di prevenzione
oncologica 10. Anche la Regione Toscana sta utilizzando la
patologia digitale per la didattica agli operatori degli screening 11 anche se questa esperienza si è sviluppata soprattutto
su immagini statiche. In un progetto per il controllo di qualità nello screening per il cervicocarcinoma i citopatologi
dell’Emilia Romagna hanno testato la patologia digitale per
controlli di riproducibilità fra laboratori per la promozione
della qualità in citologia ed in istologia di screening 5.
3)Il vetrino digitale. Il concetto più moderno di telepatologia
si concretizza nel vetrino digitale; alcuni Autori hanno
anche usato il termine (improprio) di caso virtuale 12: comunque sia, questa tecnica prevede l’esecuzione automatica
di numerose fotografie ad adeguato ingrandimento, che
vengono fra di loro affiancate fino a coprire l’intera superficie di un vetrino. Un software opportuno assembla queste
figure e le trasforma in una grande immagine digitale che
copre tutto il vetrino, che può poi essere osservato a diversi
ingrandimenti sfruttando un browser adeguato. Va associato
un quadro d’insieme a piccolo ingrandimento ed un testo
per descrivere i dati clinici. Tutte le informazioni presenti
sul vetrino vengono quindi trasferite su un file e non è più
necessario un microscopio per diagnosticare il caso 2 12 13.
Il file del vetrino digitale è agevolmente archiviabile e catalogabile, è duplicabile per consulenze o controlli di qualità,
ma soprattutto è trasferibile a distanza in tempi rapidissimi,
molto più velocemente di quanto non possa essere spedito il
vetrino vero, col quale condivide, però, la completezza delle
informazioni contenute.
È prevedibile che questa sarà, in tempi non lunghi, l’evoluzione della microscopia diagnostica, ma non tanto per ottenere
teleconsulenze, una pratica difficile anche col microscopio
convenzionale, quanto per diagnosticare i casi di routine 14.
È stato da noi dimostrato, in lesioni mammarie “borderline”,
che la riproducibilità dell’immagine virtuale non è inferiore a
quella del microscopio convenzionale 15.
La telepatologia con vetrino digitale rappresenta inoltre una
grande opportunità di evoluzione culturale ed organizzativa
dell’Anatomia Patologica 16: diversi laboratori possono scambiarsi e concentrare le casistiche, condividendo competenze,
tecnologie, specializzazioni e consulenti che non sarebbero
altrimenti permessi ai laboratori di medie e piccole dimensioni, come sono generalmente in Italia le Unità Operative di
Anatomia Patologica (UO).
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Esperienze di controllo di qualità basate sul vetrino digitale
sono state realizzate anche in Italia 17-19.
La teleconferenza. Riunioni di più persone collegate fra loro
con mezzi che trasmettono audio ed immagini e, opzionalmente, riprese video in diretta sono ampiamente usate in molti
settori produttivi.
Le tecniche di collegamento possono comprendere complicati sistemi di riprese, telecamere e microfoni come in uno
studio televisivo e vari sistemi di trasmissione dei segnali che
impiegano la rete telefonica fissa, mobile o la trasmissione
satellitare 20 21. Inoltre è possibile prevedere una sorta di regia
della conferenza, con un centro dove persone dedicate selezionano immagini, voci e suoni che vengono condivisi durante
la conferenza.
L’opzione appropriata ed innovativa per le finalità del presente progetto ed anche più vantaggiosa in termini di rapporto
benefici/costi appare la teleconferenza basata su una rete di
personal computer collegati tramite internet 22-24.
Materiali e metodi. Infrastruttura generale. Si costruisce una
sorta di PACS (Picture Archiving and Communication System) che ha per oggetto i vetrini istologici e citologici digitali
che rappresentano i set standard per PCQ. In un server internet
regionale si installa un sito dinamico dove hanno sede i vetrini
digitali e vengono inseriti i moduli per la partecipazione alle
iniziative: le risposte alla lettura dei set standard, i commenti
ed i contributi alle varie attività.
In almeno due sedi concordate si installa uno scanner per la
produzione dei vetrini digitali: tali scanner devono servire
tutte le iniziative programmate nell’ambito dei tre screening
oncologici.
Le due sedi di scansione sono tenute mettere a disposizione
delle iniziative di PCQ gli scanner funzionanti, ovvero anche
l’assistenza tecnica operativa agli strumenti e la messa in rete
dei casi nel server. Le iniziative che verranno supportate sono
quelle approvate dai gruppi di patologi e citologi promossi dal
coordinamento regionale degli screening oncologici.
I partecipanti alla PCQ devono essere dotati di un personal
computer adeguato, con schermo piatto ad alta risoluzione,
telecamera ed impianto microfonico per teleconferenza, una
connessione internet veloce (fibra ottica o ADSL) e di appropriato browser per la visualizzazione dei vetrini virtuali.
Programmazione delle sessioni PCQ: i coordinatori regionali
dei vari settori (patologi e/o citologi), assieme agli Epidemiologi che analizzeranno i risultati, programmano operativamente l’attività PCQ che è stata pianificata nei termini generali dai
gruppi regionali dei patologi e citologi, stabiliscono il numero
ed il tipo di sessioni, individuano la casistica da impiegare, i
quesiti da porre e la temporizzazione delle iniziative.
Una volta avviata una sessione, i partecipanti consultano la
casistica nel sito ed in appositi form comunicano le risposte,
che verranno analizzate.
Raccolti i contributi viene fissata la data della (tele)conferenza
di consenso che conclude ogni sessione di PCQ.
Risultati previsti ed indicatori. Il principale risultato strategico sarà il coordinamento delle anatomie patologiche regionali che sono coinvolte negli screening oncologici.
La valutazione della concordanza e della riproducibilità, ed il
relativo andamento nel tempo, costituiscono efficaci indicatori
tecnici da monitorare per garantire la qualità della diagnostica
oncologica in tutti e tre gli screening oncologici regionali.
Un lavoro collegiale e coordinato delle Anatomie Patologiche regionali rappresenterà, inoltre, un importante stimolo al
miglioramento della diagnostica isto-citologica generale in
regione.
357
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La citologia computer-assistita nello
screening
P. Dalla Palma
Screening provinciale Pap test, Provincia Autonoma di
Trento
La recente pubblicazione delle “Raccomandazioni per la pianificazione e l’esecuzione degli screening di popolazione per
la prevenzione del cancro della mammella, del cancro della
cervice uterina e del cancro del colon retto” da parte del CCM
prevede che il prelievo cervico-vaginale (sia di tipo convenzionale che in fase liquida) possa essere valutato anche con
l’ausilio di sistemi di lettura automatici. La cronica carenza di
personale tecnico addestrato alla lettura dei preparati cervicovaginali e la non sempre attestata capacità diagnostica dello
stesso, ha portato da anni l’industria a sviluppare sistemi di
lettura automatica che avessero una qualità diagnostica almeno pari a quella della media dei citotecnici. Tali strumenti,
approvati dal Food and Drug Amministration già da alcuni
anni, hanno dimostrato un’ottima affidabilità anche nei Centri
italiani come riportato negli incontri ufficiali del 2006 a Ferrara e a Roma.
Le attrezzature disponibili sul mercato italiano sono sostanzialmente due: il ThinPrep Imaging System, detto IMAGER
(Cytyc Co) ed il Focal Point (Tripath Imaging, Becton Dickinson Co). Entrambi si basano su di uno scanner e su stazioni di
revisione ma seguono una filosofia molto diversa.
Il ThinPrep Imaging System dopo aver scannerizzato il preparato (in fase liquida ThinPrep esclusivamente) ne localizza
22 punti (detti FOV) di interesse clinico. Le coordinate di
tali punti vengono quindi presentate al citoscreener su di
un microscopio interattivo robotizzato per permettergli una
diagnosi senza ulteriori indicazioni. A parte l’accuratezza
e la riproducibilità della diagnosi dimostrate da numerose
pubblicazioni scientifiche, in modo particolare americane ed
australiane, viene di fatto aumentata di molto la produttività
del singolo citoscreener.
Il Focal Point scannerizza l’intero preparato (sia tradizionale
che in fase liquida Surepath) individuandone 16 campi di interesse clinico. La stazione di revione (SlideWizard), anch’essa
interattiva, presenta tali campi al citoscreener che alla fine fa
la propria diagnosi. Rispetto al modello precedente descritto
il sistema fa anche una classificazione matematica in quintili
a probabilità crescente di anormalità (laddove il 1° quintile
è peggiore). Circa il 25% dei casi viene classificato come
No Further Review (NFR) cioè assolutamente negativo per
cellule neoplastiche o pre-neoplastiche senza abbisognare di
ulteriori controlli umani aumentando ancora in modo considerevole la produttività.
Entrambi i sistemi sono dunque affidabili, in alcune situazioni
sono superiori alla performance umana, sono sicuramente
produttivi ma hanno dei costi importanti per quello che è
lo standard dei budget delle Anatomie Patologiche italiane.
Viene quindi da chiedersi se possono essere validamente utilizzati negli screening di popolazione. In tali casi va fatta una
valutazione non già sulle base della Evidence Based Medicine
(EBM), già ampiamente dimostrata, ma su quelle della Health
Technology Assessment (HTA) in quanto vi è un impegno di
denaro pubblico.
Nel 2001 il costo del solo Focal Point (SlideWizard escluso),
comprensivo di tasse e di assistenza per 5 anni, in Inghilterra
è stato stimato pari a 650.000 sterline con un costo aggiuntivo
medio per test di £ 2,66 (variabile a seconda delle varie organizzazioni e del carico di lavoro tra i £ 1,33 e i £ 5,24) (Fonte
358
HTA NHS R&D HTA Programme, marzo 2005). Analisi sui
costi dell’Imager non sono ancora disponibili in quanto la
commercializzazione dello strumento è recente e quindi le
valutazioni riportate sono in parte deduttive (per l’Imager) in
parte reali (per lo strumento Tripath, BD).
Per quel che riguarda la potenzialità degli strumenti dai dati
disponibili si può calcolare che gli scanner sono in grado di
valutare tra i 1.200 ed i 1.500 preparati alla settimana (la
seconda ipotesi sarebbe quella massima caricando lo scanner
anche il sabato alle ore 12) con un carico annuale di oltre
62.000 e fino a 78.000 casi l’anno rispettivamente. L’uso di
2 stazioni di revisione comporterebbe una produttività teorica
di 225 casi al giorno contro una più realistica di 180 con un
volume teorico di 56.000 casi/anno e più realistico di 45.000
casi/anno; tali valori si ottengono turnando i citoscreeners e il
revisore agli strumenti per turni di non più di 60 minuti. Sempre da dati inglesi (Fonte HTA NHS R&D HTA Programme,
marzo 2005) il tempo di lettura di 2 minuti proposto dai costruttori viene ritenuto ottimistico e viene ricalcolato in 3,4.
In base ad un’esperienza personale basata sullo strumento
Tripath, i casi NFR sono risultati pari al 24,5%, quelli Process
Review (cioè i casi che comunque debbono essere visti al microscopio ottico normale) il 3,2%, i Rerun (inferiori all’1%) e
i Review il 72,3%. Per questi ultimi il citotecnico deve porsi
davanti alla stazione di lettura ma viene aiutato nel suo lavoro.
I turni al microscopio permettono in genere, a seconda della
capacità e della adattabilità del citoscreener alla macchina,
di esaminare circa 20 preparati all’ora. Per un controllo di
qualità si è stabilito che i preparati già screenati con Focal
Point debbono essere valutati dal primo citoscreener solo
nei campi selezionati dalla macchina (i 16 FOV) e ove questi
ritenga che siano presenti delle alterazioni il preparato viene
passato ad un secondo citoscreener che lo diagnosticherà
con un microscopio ottico tradizionale, segnalando i punti di
maggior interesse. Il patologo revisore quindi rivedrà i casi
allo SlideWizard, controllando sia i campi identificati elettronicamente che quelli posti dal secondo revisore. Si fa presente
che con il sistema manuale il controllo di qualità prima in atto
– tutti i casi con precedenti patologici recenti, quelli giudicati
con atipie compatibili con ASC/AGC+ e questi ultimi dopo
revisione di un secondo citoscreener – dovevano essere passati al supervisore.
Si sono quindi paragonati i tempi di lettura tradizionali con il
sistema automatico tenendo conto del personale in dotazione
e del carico di lavoro annuale dello stesso per l’attività specifica. Nel 2006, anno di riferimento, erano stati screenati a
Trento 45.321 Pap test da 7,5 citoscreeners equivalenti a un
totale di 275 ore settimanali di attività e da un supervisore
che impiegava parte del suo tempo in tale attività. Si è quindi
passati ad una rigorosa descrizione delle varie fasi dello screening simulando una situazione tradizionale ed una modificata
dall’introduzione dell’attrezzatura automatica. Inoltre è stata
condotta un’analisi comparativa dei costi di due diverse metodologie di lettura per lo screening Pap test. Nel quadro di
una valutazione HTA dell’esame diagnostico Pap test, sono
stati analizzati esclusivamente i costi di tale prestazione e
non altri aspetti quali quello organizzativo, economico, etico
e sociale, che normalmente sono oggetto di valutazioni HTA.
Nel calcolo del costo annuo delle attrezzature è stata ipotizzata una vita utile dei beni pari a 8 anni, ossia il periodo di
ammortamento delle attrezzature previsto dal Regolamento
contabile aziendale.
Alla luce dei calcoli sopra descritti e del numero di vetrini letti
nel 2006, l’utilizzo dell’attrezzatura automatica permette di
beneficiare di un teorico risparmio in termini di risorse umane
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
pari a 5 unità equivalenti di citoscreener e 0,3 supervisori, per
un risparmio totale di 254.000 €/anno, ossia 5,5 €/vetrino.
Pertanto, il Break-Even Point è pari a 32.000 vetrini. In caso
di lettura di 46.000 vetrini, il risparmio sarebbe pari a 80.000
€. È necessario sottolineare che tale ipotesi è solamente
teorica e non tiene in considerazione che non è realistico
pensare che l’intero carico della lettura dei vetrini gravi su un
citoscreener a tempo pieno ed uno a tempo parziale (1,5 unità
equivalenti).
Più realistica, invece, è la simulazione di una riduzione dagli
attuali 7,5 a 4 citoscreener, lasciando invariato il numero dei
supervisori. In tal caso il Break-Even Point sale a 52.000
vetrini, ossia poco superiore al numero di vetrini attualmente
letto nella Provincia di Trento.
L’utilizzo della strumentazione nella situazione attuale a
Trento comporterebbe i seguenti cambiamenti:
1)nuova organizzazione dei turni di lavoro con utilizzo dello
SlideWizard per periodi di 1 ora e poi lavoro tradizionale
con ritorno allo strumento dopo idoneo intervallo;
2)riduzione dei tempi d’attesa. I casi verrebbero screenati
praticamente subito dopo la loro accettazione in reparto;
3)eliminazione diretta di circa 1/4 dei preparati classificati
dalla macchina come NFR;
4)necessità di specificare che il preparato è stato classificato
come “negativo per lesioni maligne o premaligne” da un
sistema automatico come specificato nelle raccomandazioni
ministeriali;
5)velocizzazione dei tempi di screening con aumento della
produttività dei singoli operatori (dagli attuali 4/5 vetrini
ora a 20 ora);
6)aumento dei controlli di qualità sui preparati per l’aiuto
(pre-screening) fornito dalla macchina con individuazione e
segnalazione elettronica permanente dei punti più sospetti.
In base alle considerazioni suddette è stata pertanto decisa
l’acquisizione della strumentazione automatica.
Considerazioni molto simili possono essere fatte per l’acquisizione dell’Imager tenendo però presente che a sostanziale
parità di costi della strumentazione si deve aggiungere quello
(indispensabile) dello strato sottile (possibile comunque anche
con il Focal Point) che però comporta un ulteriore aumento
della produttività stante la maggior rapidità sia nella scansione
che nella lettura dei preparati al microscopio robotizzato.
Il Pap test nelle donne “over 50”
S. Prandi
Arcispedale “S. Maria Nuova”, Reggio Emilia
La letteratura della patologia cervicale in questi anni si è occupata prevalentemente delle problematiche delle donne in età
fertile e meno risalto è stato dato alla diagnostica citologica
delle donne over 50. In alcuni programmi di prevenzione dei
tumori del collo dell’utero era stato suggerito di cessare gli inviti a fare il Pap test nelle donne oltre i 50 anni 1 2. Nelle nostra
realtà nazionale gli inviti ad eseguire il Pap test cessano a 65
anni pertanto dai risultati delle Survey è possibile fare alcune
riflessioni riguardo la diagnostica citologica. Dall’analisi dati
della Regione Emilia Romagna è stato possibile rilevare quali
sono i tassi della distribuzione delle lesioni citologiche in base
alle fasce di età per mille donne 3.
359
relazioni
2° round di screening anni 2000-2001-2002: popolazione bersaglio: 617308.
Tassi
25-29
30-34
35-39
40-44
45-49
50-54
55-59
60-64
Totale
ASCUS
16,8
16,5
18,0
19,9
21,1
20,9
14,7
11,7
17,5
AGUS
0,3
0,7
1,0
1,2
1,4
1,4
1,0
0,7
0,9
LG SIL
20,4
14,8
11,5
10,3
9,4
6,8
4,6
3,1
10,2
HG SIL
3,5
4,2
4,1
3,4
2,2
1,8
1,7
1,4
2,8
Cell.tumorali
0,0
0,1
0,0
0,1
0,1
0,2
0,1
0,2
0,1
3° Round di screening anni 2003-2004-2005:popolazione bersaglio:450873.
Tassi
25-29
30-34
35-39
40-44
45-49
50-54
55-59
60-64
Totale
ASCUS
20,7
18,2
18,5
19,8
20,2
17,0
11,1
8,6
16,8
AGUS
0,7
1,2
1,6
2,4
2,8
3,0
2,3
1,5
2,0
LG SIL
21,2
16,2
12,7
10,3
8,7
6,2
3,5
2,5
10,1
HG SIL
3,8
3,7
3,4
2,8
2,2
1,4
1,1
0,8
2,4
CTM
0,0
0,1
0,1
0,0
0,1
0,1
0,1
0,1
0,1
2° round di screening tassi su 1.000 donne.
Diagnosi
ASC US
25-49
50-64
Differenze
51,2
67,4
+ 16,2
AGUS/AGC
2,5
4,3
+ 1,7
LSIL
36,4
20,8
- 1,56
HSIL
9,7
6,8
- 2,9
CTM
0,1
0,7
+ 0,6
14.292
5.214
Totale
3° round di screening tassi su 1.000 donne.
Diagnosi
25-49
50-64
Differenze
ASC US
51,0
61,8
+ 10,8
AGUS/AGC
4,7
11,5
+ 6,8
LSIL
35,8
20,6
- 15,2
HSIL
8,3
5,6
- 2,7
CTM
0,1
0,6
+ 0,5
Totale
10.857
3.272
Dall’analisi dei tassi delle categorie citologiche di entrambi
i round nelle donne over 50, la categoria ASC US risulta
percentualmente più elevata rispetto alle altre, seguita dall’AGUS/ACG. I cambiamenti citologici significativi secondo
le varie fasce d’età possono essere così suddivisi:
– età fertile 25-44 anni;
– perimenopausa 45-55 anni;
– post-menopausa > 55 anni.
Il citologo ha più incertezza nell’effettuare la diagnosi nelle
donne in peri- e post-menopausa e questo problema diagnostico
è quantizzato nelle Tabelle sopra riportate, si ripete nei 2 round,
è confermato dai dati della letteratura. Le modificazioni assunte
dall’epitelio pavimentoso atrofico nel periodo peri- e post-menopausa possono risultare di difficile interpretazione in alcuni casi,
per cui la diagnosi di ASC US rappresenta il “non so”. Da uno
studio di Johnston spesso i Pap test in peri- e post-menopausa
con ASC US, al follow-up non avevano lesioni clinicamente
evidenti. In particolare fra coloro che avevano effettuato il
DNA HPV test, risultato negativo, le modificazioni citologiche
consistevano in nuclei allargati, lieve ipercromasia, frequenti
indentature della membrana nucleare e aloni citoplasmatici
perinucleari: erano queste le modificazioni che avevano portato
ad una sovradiagnosi in questo gruppo d’età. L’interpretazione
diagnostica risulta più difficoltosa quando nel vetrino si sovrappongono modificazioni artefattuali quali da ritardo di fissazione,
alterazioni infiammatorie, metaplasia reattiva, terapia ormonale
o errori da campionamento. Una marcata infiammazione associata a degenerazione con vaginite atrofica può portare alla diagnosi di ASC US o anche a diagnosi più gravi. Pazienti anziane
possono mostrare epitelio squamoso atrofico, mentre le cellule
parabasali assumono il citoplasma orangiofilo con variazioni nucleari secondo il grado di secchezza; queste alterazioni sono tali
da rendere indistinguibile l’atrofia marcata da uno stato patologico; al follow-up un’elevata percentuale di donne con diagnosi
di ASC US risulta non avere una patologia displastica, rispetto
alle donne più giovani 4. Questi effetti sono influenzati dalla
terapia ormonale; infatti con l’utilizzo della terapia ormonale,
che viene assunta per ridurre la sintomatologia indotta dal calo
ormonale, il quadro citologico si modifica e risulta più facile il
riconoscimento delle modificazioni displastiche 5.
Morfologia citologica in donne NON in T.O. e in T.O. Terapia ormonale: estro-progestinici o estrogeni da più di un mese.
No terapia ormonale
Sì terapia ormonale
prevalenza di cells parabasali
non cells parabasali
bassa % di cells intermedie
alta % di cells intermedie
basso valore di maturazione
elevato valore di maturazione
modificazioni atrofiche
marcate
bassa % di modificazioni
atrofiche
% elevata di FP diagnostici
% meno FP diagnostici
Particolare attenzione bisogna porre nei Pap test di coloro
che sono in trattamento con tamoxifene in quanto può indurre
pseudocoilocitosi; Yang 6 riporta la presenza di piccole cellule
di incerta origine. L’incidenza di piccole cellule incrementa
con l’età e morfologicamente sono simili alle cellule parabasali o di riserva normali; la loro presenza può indurre
la diagnosi di ASC H, soprattutto quando lo striscio ha un
aspetto maturo. Il vero obiettivo del citologo, tuttavia, è il
360
riconoscimento di lesioni intraepiteliali di alto grado (HSIL)
in menopausa. Da uno studio di Saad 7 i quadri citomorfologici
in favore di HSIL sono:
– incremento del numero di cellule anormali;
– irregolarità della membrana nucleare;
– disposizione delle cellule (più frequentemente singole che
in aggregati, ma di più difficile riconoscimento);
– elevato rapporto N/C. Il fondo granuloso, le dimensioni del
N, l’ipercromasia, l’anormale quadro cromatico può essere
associato a quadri reattivi/atrofici.
L’importanza della diagnosi di HSIL nelle donne anziane
acquista più valore perché la regressione spontanea è minore
rispetto alle donne giovani; inoltre, le donne che fra 40-50
anni hanno una storia di lesioni citologiche borderline, devono
continuare i controlli anche in menopausa. Nelle donne ben
screenate con una storia citologica negativa persiste ancora
il rischio di sviluppare nuove anormalità dopo i 50 anni 8.
Poco si sa qual è il futuro delle lesioni citologiche nelle donne
over 50, di certo servirà un lungo periodo di sorveglianza.
L’introduzione di nuove metodiche molecolari quali la p16 9
e l’esecuzione del test DNA HPV potranno essere d’ausilio al
clinico nel risolvere quei dubbi diagnostici che il citologo con
la sola morfologia non riesce a dirimere.
Ringrazio per la collaborazione: dott. C.A. Finarelli, dott. C.
Naldoni, dott. P. Sassoli.
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Sebbene il ruolo del Pap test come strumento primario di
screening sia fuori discussione, i limiti di tale test sono sempre
meglio definiti. Il limite più evidente riguarda l’elevatissima
variabilità interpersonale (43%) dell’interpretazione microscopica degli strisci ASCUS (K = 0,46) 1. Nella valutazione
degli strisci dubbi vi è quindi bisogno di affiancare al Pap
test dei sistemi di valutazione più oggettivi basati sulla valutazione di specifici biomarkers. Lo scopo di questa relazione
è quello di evidenziare e di discutere le principali problematiche e controversie relative all’applicazione, allo screening
cervico-vaginale, di test molecolari, con particolare attenzione
al test dell’HPV-DNA ed a quello relativo alla valutazione
immunocitochimica di p16INKa.
L’infezione persistente da parte dei tipi ad elevato rischio del
virus del papilloma umano (HPV) è un evento non sufficiente
ma comunque necessario per l’avvio della cancerogenesi
cervicale. Le problematiche tecniche relative all’applicazione
clinica del test dell HPV-DNA sono state oggetto di studi approfonditi da parte del gruppo di ricerca ASCUS-LSIL Triage
Study (ALTS); tali studi hanno portato alla validazione clinica
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
della metodica di Hybrid Capture (HC) II 2. Tale test utilizza
13 sonde specifiche per la maggior parte dei tipi ad elevato
rischio assicurando la copertura di quasi il 90% degli HPV
evidenziabili nell’HSIL e nel carcinoma invasivo. Lo studio
ALTS ha dimostrato che l’HCII rappresenta una valida alternativa alla colposcopia negli strisci ASCUS 2; al contrario
nelle lesioni displastiche di basso grado (LSIL), in cui il virus
è quasi sempre evidenziabile (83% dei casi), tale test non è
utile da solo per riconoscere i casi che presentano la capacità
di evolvere ad HSIL 3. La “prognosi dell’LSIL” richiede una
strategia di screening più complessa basata accanto all’HC
II all’utilizzo di primer di consenso specifici per la regione
genomica L1 in grado di distinguere nell’ambito dei 13 ceppi
valutati selettivamente l’HPV 16 ed HPV18 per identificare
pazienti a rischio maggiore di ≥ CIN3 4.
Un approccio diverso si basa sull’impiego di biomarkers utili
a definire non solo la presenza ma anche l’attività virale. Di
recente introduzione sono i test basati sulla valutazione dell’espressione dei trascritti virali relativi alle oncoproteine E6
ed E7. Tali proteine non possono essere studiate dal punto
di vista immunoistochimico per la loro rapida degradazione,
mentre i corrispondenti trascritti possono essere valutati tramite RT-PCR. Il 23% degli strisci ASCUS è risultato essere
positivo con tale tecnica; tale approccio appare promettente in
quanto è significativamente correlato alla evidenziazione di
HSIL in corso di follow-up 5.
La proteina p16 è un inibitore delle chinasi ciclino dipendenti
(CDK) 4/6; la sua espressione aumenta nelle lesioni displastiche di alto grado per compensare l’inattivazione della proteina
della suscettibilità al retinoblastoma da parte dell’oncoproteina virale E7 dei tipi ad elevato rischio dell’HPV. Nel corso
della relazione saranno illustrate le problematiche relative alle
varie metodologie proposte per lo studio immunoistochimico
di tale marcatore con particolare attenzione all’impiego delle
tecniche di preparazione citologica in fase liquida, all’allestimento di campioni su strato sottile o tramite cell blocks
ed all’impiego di kit dedicati, quali il CINtec p16(INK4a)
Cytology Kit 6 7.
Bibliografia
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361
relazioni
Tavola Rotonda
Lo screening del cervico-carcinoma in Calabria
Moderatori
O. Nappi (Napoli), A. Leotta (Lamezia Terme)
Primo programma organizzato di screening
citologico cervico-vaginale effettuato in
Calabria presso l’ASL 6 di Lamezia Terme nel
triennio 2002-2005
A. Leotta, S.G. Lio, B. Caparello, M. Cerra, G. Coppola,
C.M. Costabile, F. Fiorenzo, C. Raco, C. Spena
U.O.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme
Riassunto. In Calabria, per la prima volta nel 2002, è stato
attivato un programma di screening regionale di durata triennale. Le prime Aziende Sanitarie che hanno aderito sono state
quelle di Palmi e Lamezia Terme e, dal 2004, anche l’ASL di
Castrovillari. Il programma di screening a Lamezia Terme è
stato coordinato dal dott. Attilio Leotta; nel presente lavoro
sono riportati i risultati ottenuti nel triennio giugno 2002-dicembre 2005.
Discussione. La popolazione bersaglio comprendeva 33.877
unità: ogni anno è stato invitato circa un terzo delle donne
(11.292), e il programma è stato completato in tre anni.
Alla fine del terzo anno si erano presentate 13.038 donne
(39%); non si erano presentate 20.791 (61%). Tra le non presentate, 19.841 (58%) non avevano aderito allo screening, e
950 (3%) non avevano aderito per cause diverse (Tab. I).
Dall’esame dei risultati ottenuti emerge una percentuale
d’adeguatezza dei campioni pari al 99%, un dato molto positivo certamente legato ai percorsi formativi dedicati al personale coinvolto nel prelievo, oltre che alla loro professionalità e
competenza. I dati cumulativi sono riportati in Tabella II.
Sono stati riscontrati 29 casi con pap-test anormale; le donne
interessate sono state richiamate al 2° livello ma soltanto 20
hanno aderito all’invito. In corso di colposcopia sono state
effettuate 14 biopsie della portio e la corrispondenza citologica/
istologica si è avuta in 12 casi su 14 (85,7%).
Sono stati valutati gli indicatori di qualità secondo le Linee
Guida attuali; i dati ottenuti sono riportati in Tabella III.
Tab. I.
Tab. II. Risultati dei Pap test effettuati.
Numero di donne residenti nel territorio 33877 (100%)
dell’ASL 6 di Lamezia Terme, coinvolte nel
programma di screening da giugno 2002 a
giugno 2005.
Totale dei Pap test
effettuati alla donne
aderenti
13.038 (100%)
Adeguati
12.917 (99%)
Pazienti presentatesi
13.038 (39%)
Pazienti non presentatesi
20.791 (61%)
Pazienti non presentatesi perché non ade- 19.841 (58%)
renti all’invito
Pazienti non presentatesi per cause diverse
- decedute
- trasferite
- lettere non consegnate e restituite dalla
posta
- esame fatto privatamente
- rifiuto
- altro
950
(3%)
37 (4,5%)
166 (17,5%)
248 (26%)
58
(6%)
41
(4%)
400 (42%)
121 (1%)
Inadeguati
Negativi per lesione
intraepiteliale e per
malignità
12888 (99%)
Anormalità delle cellule
epiteliali squamose
28 (1%)
Anormalità delle cellule
epiteliali ghiandolari
1 (0%)
L-SIL 14
H-SIL 6
ASCUS 6
Carcinoma a cellule
squamose 2
Tab. III. Indicatori di qualità nello screening del cervico carcinoma.
ASL Lamezia Terme
Valori accettabili
Valori desiderabili
38%
30%
60%
Adesione della popolazione bersaglio
1%
< 7%
< 5%
Tasso di invio in colposcopia
0,2%
< 5%
< 3,5%
% ASCUS tra gli invii in colposcopia
20%
< 50%
< 50%
% adesione al secondo livello
77%
> 80%
> 90%
Dati non disponibili
> 95%
100%
> 15%
% Pap test inadeguati
Adesione al trattamento di secondo livello
Valore predittivo positivo
40%
> 10%
Intervallo iter diagnostico (colposcopia)
100%
Entro 60 gg > 90%
Intervallo test/referto negativo
99%
Entro 28 gg > 85%
362
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
I dati relativi all’adesione al trattamento di secondo livello
non sono disponibili in quanto le pazienti sono state curate
in altra sede.
Conclusioni. Il primo triennio del programma di screening
nell’ASL di Lamezia Terme si è concluso il 30/12/2005, con
una percentuale d’adesione complessiva relativamente bassa
(39%), ma in ogni caso compresa nei parametri di riferimento
degli standard nazionali (40%).
La partecipazione allo screening delle donne che non hanno
mai fatto il Pap test era ritenuto l’obiettivo prioritario. La
bassa adesione complessiva delle donne e la bassa percentuale di casi positivi, sono spiegabili col fatto che ad aderire al
programma sono state in prevalenza quelle stesse donne che
già facevano abitualmente il Pap Test. Infatti, l’adesione allo
screening è stata diversa nei tre anni: superiore al 50% nel
primo anno e via via sempre più bassa fino al valore complessivo del 39%. La causa di tale fenomeno è da ricercare
nella scarsa partecipazione dei medici di base, l’inadeguata
campagna d’informazione attraverso i mass-media e la scarsa
collaborazione con la rete dei distretti, dei Comuni e delle
Associazioni di volontariato.
Per il conseguimento degli obiettivi prefissati da un progetto
di screening è fondamentale il coordinamento e la partecipazione costruttiva di tutte le professionalità e strutture coinvolte, le quali, lavorando in sinergia, ognuno con il proprio ruolo,
si prefiggono l’obiettivo del loro miglioramento continuo.
Dall’analisi dei risultati emerge una bassa percentuale di Pap
test inadeguati che, seppur inconsueta, è espressione dell’alta
competenza delle ostetriche acquisita durante i corsi d’addestramento finalizzati alla conoscenza della corretta tecnica di
prelievo.
Un dato da tenere in evidenza, perché in controtendenza rispetto al riferimento nazionale, è la percentuale di ASCUS
riscontrati, vicina allo 0% (6 casi) per la quale un approfondimento di studio ha portato ad evidenziare che la lettura dei
vetrini, in mancanza di figure professionali di cito-tecnici,
è stata eseguita solo da personale medico specializzato in
Anatomia Patologica e Citologia. Tale fenomeno, se da una
parte può considerarsi positivo, dall’altra produce un impiego
troppo specialistico del personale, con evidente aggravio dei
costi, che si accentua nella prospettiva di una sempre maggiore diffusione e adesione ai programmi di screening.
Un altro punto debole di tale programma, alla prima esperienza in Calabria, è stato forse lo scarso spirito di partecipazione
e di affiatamento tra i vari soggetti attuatori. Inoltre, la mancanza di dati per il follow-up post-programma, causata dalla
mancanza di un archivio sanitario regionale informatizzato,
non ha consentito di sapere, in quel momento, quante donne,
tra quelle esaminate e non, comprese nella popolazione bersaglio, hanno poi manifestato patologie riconducibili al carcinoma della cervice uterina o a patologie correlate.
Dalla raccolta dei dati infatti, non è stato possibile determinare
il numero casi falsi negativi e falsi positivi riscontrati e di conseguenza determinare il tasso di “detection rate” indispensabile per una comparazione rispetto agli standard nazionali.
Ciò nonostante, questa campagna ha permesso di individuare
una percentuale anche se bassa di lesioni e di carcinoma squamoso nelle donne che non avevano mai fatto il Pap test.
Dai dati emergenti da questa esperienza, che possiamo definire “Pilota” in Calabria, anche se limitati ad una sola azienda
sanitaria, si potrebbe erroneamente dedurre che il rapporto
costi-benefici risulta troppo alto. Tale erronea considerazione
deve però essere rivista in una casistica più allargata e su una
popolazione più estesa che includa anche lo “zoccolo duro”
delle donne che per falsi pudori e disinformazione non hanno
risposto all’offerta di salute loro offerta.
È noto infatti che lo screening del carcinoma cervico uterino trova sempre più consenso nazionale e internazionale in
quanto strumento efficace per la prevenzione dell’incidenza e
quindi della mortalità per cancro, con evidenti ricadute positive in termini di salute e di abbattimento dei costi della spesa
sanitaria nel Paese.
Il nuovo round di screening 2006-2009 in corso nell’AS
Provinciale di Catanzaro-Lamezia Terme, potrà avvalersi dell’esperienza vissuta effettuata con il programma di screening
2002-2005 e affrontare meglio e risolvere la maggior parte dei
punti critici incontrati per un migliore conseguimento degli
obiettivi prefissati nell’interesse comune.
Bibliografia
1
Solomon D, Nayar R. Il sistema Bethesda per refertare la citologia
cervicale. Seconda Edizione. Roma: CIC edizioni internazionali
2004.
2
Documenti GISCI. Indicatori. www.Gisci.it
III Sessione
La citologia dei versamenti
Moderatori
A.m. Lavecchia (Catanzaro), R. Bellantonio ( Melito Porto Salvo)
Il mesotelio normale e i suoi pitfalls
V. Ascoli
Anatomia Patologica, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università di Roma “La Sapienza”, Italia
Il mesotelio “normale” è un monostrato di cellule che riveste
le cavità sierose (pleura, pericardio, peritoneo, tunica vaginale). In condizioni fisiologiche le cavità contengono una
minima quantità di liquido (0,2 +/- 0,1 mL/kg) e di cellule
(1.700 x µL: macrofagi 75%, piccoli linfociti 23%, granulociti
neutrofili 1%, e cellule mesoteliali 1%).
L’accumulo di liquido e cellule nelle cavità costituisce il versamento endocavitario. Scopo principale dell’esame citologico dei versamenti è la ricerca di cellule neoplastiche, vale a dire distinguere tra versamento neoplastico o reattivo. Maggiore
“pitfall” nella citodiagnostica dei versamenti è distinguere tra
cellule mesoteliali normali/reattive e cellule mesoteliomatose.
363
relazioni
Più raramente la diagnosi differenziale è tra mesotelio normale/reattivo, mesotelioma o altra neoplasia.
Per evitare errori diagnostici è basilare ottenere adeguate
quantità di liquido ben conservato e processare con cura il
campione in laboratorio per una concentrazione appropriata
di cellule. Il sedimento molto scarso oppure eccessivamente ematico non è idoneo; il sedimento migliore è quello di
colorito biancastro (solo cellule). L’allestimento di routine
prevede la preparazione di strisci e due colorazioni (Papanicolau e May-Grünwald-Giemsa (MGG)). In caso di sedimento
ematico è necessario eliminare l’eccesso di emazie; in caso di
sedimento scarso si deve arricchire il campione mediante centrifugazione di tutto il campione, o allestire citocentrifugati. Il
sedimento abbondante deve essere utilizzato per la preparazione del cito-incluso in paraffina (cell-block). Questo materiale è molto utile per apprezzare la struttura tridimensionale
degli aggregati e per le colorazioni di immunoistochimica. Le
cellule mesoteliali vengono esaminate su campioni di versamenti endocavitari spontanei (cellule esfoliate naturalmente e
galleggianti nel liquido) o su campioni ottenuti durante interventi chirurgici (cellule esfoliate mediante lavaggio).
Le dimensioni delle cellule mesoteliali oscillano tra i 10 e i
20 µm circa. Il nucleo, rotondo od ovale, è in genere al centro
della cellula e presenta piccoli nucleoli. Il citoplasma è tipicamente “denso” per la ricca componente di filamenti intermedi
del citoscheletro (citocheratine), messo bene in evidenza dalla
colorazione eosinofila perinucleare del Papanicolau e basofila
con il MGG.
I macrofagi hanno più o meno le stesse dimensioni e pertanto
bisogna distinguerli dalle cellule mesoteliali; presentano un
citoplasma molto delicato e tenue, di aspetto finemente vacuolato. Le cellule mesoteliali “normali” o reattive si dispongono
singolarmente o in gruppi anche costituiti da numerose cellule. Possono presentare mitosi (mai atipiche) e bi- o multinucleazione. Il rapporto nucleo/citoplasma può essere alterato a
favore del nucleo.
Nell’esaminare i vetrini di un versamento è indispensabile
considerare la sede del versamento, il genere e l’età del paziente, e le notizie cliniche salienti.
I versamenti pericardici reattivi possono presentare una ricca
cellularità mesoteliale con formazione di strutture moruliformi che ricordano quelle del mesotelioma.
Lo stesso vale per versamenti ascitici nel contesto clinico di
epatopatie, insufficienza cardiaca o insufficienza renale.
Più attenzione deve essere rivolta ai versamenti pleurici, in caso di ricca cellularità mesoteliale. In questi casi è indispensabile – indipendentemente dall’aspetto “benigno” delle cellule
mesoteliali – escludere il mesotelioma maligno.
La dialisi peritoneale, i trattamenti chemio- e radioterapici
inducono proliferazione del mesotelio con alterazioni nucleari
(alterato rapporto nucleo/citoplasma, presenza di nucleoli,
multinucleazione, mitosi).
Condizioni infettive o infiammatorie o cardiocircolatorie
(infarto polmonare, polmonite, diverticoliti, tubercolosi, pancreatiti) o altre condizioni (insufficienza renale/uremia) possono essere associate a versamenti reattivi contenenti cellule
mesoteliali atipiche.
Patologie sistemiche del collagene come lupus eritematoso
sistemico, artrite reumatoide, sono condizioni predisponenti
alla formazioni di versamenti che possono creare difficoltà in
citodiagnostica per la presenza, più che di cellule atipiche, di
materiale “sospetto” (nuclei picnotici, necrosi).
Il rischio di non identificare un mesotelioma è possibile e frequente. Pitfalls principali sono il non riconoscimento di scarse
atipie delle cellule mesoteliomatose e di patterns morfologici
diversi da quello tipico.
Pattern non-coesivo. Negli strisci sono presenti numerose
cellule mesoteliomatose disposte isolatamente invece che in
aggregati.
Pattern infiammatorio con background necrotico/infiammatorio acuto. Questi casi sono caratterizzati da abbondanti
granulociti neutrofili, talora associati ad altri elementi flogistici (mastociti, granulociti eosinofili e macrofagi) e materiale
necrotico. Le rare cellule mesoteliomatose presentano citoplasma ingolfato di granulociti neutrofili. In considerazione
della ricca componente flogistica, si possono sottovalutare
le cellule mesoteliali in gruppi o isolate e si attribuisce il
versamento erroneamente ad una categoria diagnostica benigna, “infiammatoria”. La presenza di abbondanti granulociti
eosinofili e rare cellule mesoteliali atipiche in un versamento
in corso di idropneumotorace deve far sorgere il sospetto di
mesotelioma perché questa neoplasia si può presentare con
pneumotorace spontaneo.
Pattern infiammatorio con background infiammatorio
cronico. La cellularità mesoteliale è molto scarsa mentre
sono abbondantissimi i linfociti, per lo più di piccola taglia
(linfociti T reattivi). Questi casi sono talvolta associati a mesoteliomi sarcomatosi. Sono di difficile interpretazione per la
scarsa componente neoplastica. Il patologo viene depistato
dall’abbondanza dei linfociti, pattern che ricorda i versamenti
cronici tubercolari.
Pattern con cellule mesoteliali ben differenziate. Il mesotelioma ben differenziato è una variante rara (più frequente nel
peritoneo) descritta anche nella pleura in associazione, senza
eccezione, a versamenti pleurici recidivanti. È molto difficile
diagnosticare un mesotelioma ben differenziato in citologia
perché le cellule mesoteliali presentano atipie molto lievi. Il
sospetto deve essere espresso per versamenti con una grande
quantità di cellule mesoteliali senza una causa apparente.
Conclusioni. Alcune condizioni totalmente benigne possono
produrre versamenti con caratteristiche “sospette” per abbondante cellularità, presenza di modeste atipie nucleari o di
materiale nel background (necrosi).
Spesso i mesoteliomi maligni non vengono diagnosticati per
le scarse atipie o per scarsa cellularità o per pattern atipici.
Nei referti citologici di versamenti non chiaramente attribuibili né alla categoria “benigna” né a quella “maligna” sarebbe
opportuno segnalare le atipie, se presenti.
Mesotelioma e caratterizzazione
immunoistochimica
C.E. Comin, L. Novelli, R. Santi, L. Messerini
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze
Il mesotelioma rappresenta spesso per il patologo un importante problema diagnostico. Secondo i più recenti criteri
classificativi dei tumori del polmone e della pleura del “World
Health Organization” (WHO) 1, i mesoteliomi sono tipizzati
in quattro principali categorie: epiteliomorfo, sarcomatoide,
bifasico e desmoplastico. Questo schema classificativo può
sembrare estremamente semplice rispetto alla moltitudine di
quadri morfologici con i quali può esprimersi, in particolare,
il mesotelioma epiteliomorfo (vedi il mesotelioma a piccole
cellule, a cellule chiare, secernente mucine, deciduale) ma anche i mesoteliomi sarcomatoide e bifasico (vedi mesotelioma
364
linfoistiocitoide). Infatti, mentre il termine di “mesotelioma
desmoplastico” è unanimemente accettato per indicare un
particolare sottotipo di mesotelioma sarcomatoide altamente
aggressivo, non c’è tuttora accordo circa la terminologia da
adottare per gli altri numerosi sottotipi tumorali. Il riconoscimento delle diverse varianti istomorfologiche del mesotelioma
è importante ai fini diagnostici, tuttavia, non avendo ciascuna
di esse diverso significato prognostico, si raccomanda di
utilizzare le categorie sopraindicate senza ulteriori sottotipizzazioni 1. Inoltre, l’analisi di abbondante materiale chirurgico
evidenzia molto spesso un’ampia variabilità di differenziazione morfologica nel contesto dello stesso tumore.
Il principale problema diagnostico differenziale si pone essenzialmente quando ci troviamo di fronte a piccoli frammenti
bioptici ed in particolare e più frequentemente nella corretta
differenziazione fra mesotelioma epiteliomorfo e adenocarcinoma. Più raramente la diagnosi differenziale si pone fra mesoteliomi sarcomatoidi e bifasici e altri rari tumori primitivi
pleurici quali ad esempio, tumore fibroso solitario, sarcoma
sinoviale monofasico o bifasico, emangioendotelioma epitelioide, tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde.
Le tecniche speciali associate all’esame morfologico in ematossilina-eosina utilizzate nella diagnostica del mesotelioma
sono l’istochimica, la microscopia elettronica e, principalmente, l’immunoistochimica. L’utilità diagnostica dell’istochimica ha in parte perso il suo originario significato: la regola generale è che i mesoteliomi epiteliomorfi non esprimono
mucine e quindi risultano PAS-diastasi, mucicarminio e alcian
blu negativi in contrasto con gli adenocarcinomi che producono mucine. Oggi è ben noto che il 2%-5% dei mesoteliomi
epiteliomorfi si colorano con i reagenti per le mucine e sono
denominati “mesoteliomi epiteliomorfi mucine-secernenti”.
L’esame in microscopia elettronica può essere di grande
utilità ed è da molti tuttora considerato il “gold standard”
nella diagnosi di questo tumore, tuttavia, è raro predisporre
di materiale adeguato per la microscopia elettronica e inoltre, i caratteri morfologici ultrastrutturali di differenziazione
mesoteliale possono non essere apprezzabili nei tumori meno
differenziati. Senza dubbio, l’immunoistochimica è la metodica più utile nel differenziare il mesotelioma da altri tipi di
neoplasia primitiva o secondaria delle sierose. Nell’ultimo decennio sono stati proposti numerosi marcatori potenzialmente
utili nella diagnosi di mesotelioma (in particolare per la diagnosi differenziale fra mesotelioma epiteliomorfo e adenocarcinoma) che possono essere schematicamente suddivisi in tre
principali categorie: 1) anticorpi che reagiscono con antigeni
specifici del mesotelio, utili nella identificazione positiva del
mesotelioma; 2) anticorpi che reagiscono con antigeni di cellule non mesoteliali (ad esempio, adenocancerigne), utili per
l’esclusione della diagnosi di mesotelioma; 3) anticorpi che
reagiscono con le proteine dei filamenti intermedi contenute
nelle cellule mesoteliali (citocheratine e vimentina).
Nell’ambito dei marcatori positivi per il mesotelio, i più sensibili e specifici sono risultati essere trombomodulina, calretinina, citocheratina 5/6, WT1 e D2-40. Del tutto recentemente,
inoltre, il nostro gruppo ha dimostrato l’utilità di h-caldesmone nella diagnosi positiva di mesotelioma. La trombomodulina (CD141) è una glicoproteina transmembranale di 25-kDA
con attività anti-coagulante. Questa proteina è espressa dalle
cellule mesoteliali, endoteliali, mesangiali, sinoviali, trofoblastiche, megacariocitarie e da alcune cellule epiteliali squamose. I dati della letteratura circa l’utilizzo di questo marcatore
sono controversi in quanto, la reattività della trombomodulina
nei tessuti fissati in formalina e inclusi in paraffina tende ad
essere focale potendo quindi dare origine a falsi negativi in
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
piccoli frammenti bioptici; un altro motivo di divergenza nei
risultati dei vari studi con questo marcatore potrebbe essere
riconducibile all’interpretazione dell’immunocolorazione che
deve essere di membrana nel mesotelioma mentre è perlopiù
citoplasmatica nei casi positivi di adenocarcinoma 2.
La calretinina è una proteina di 29-kDa, legante il calcio, diffusamente espressa nel tessuto nervoso centrale e periferico
e in alcune cellule non neurali quali gli adipociti, le cellule
di Leydig e di Sertoli, le ghiandole eccrine e le cellule mesoteliali. La calretinina è il marcatore mesoteliale positivo
più frequentemente utilizzato in quanto altamente sensibile e
specifico. La positività alla calretinina è generalmente intensa
e diffusa con un pattern di colorazione nucleare e citoplasmatico altamente specifico. 2
L’anticorpo anti-citocheratina 5/6 è entrato in commercio
subito dopo la calretinina. Anche questo marcatore ha dimostrato elevata specificità per il mesotelio ma rispetto alla calretinina e a D2-40, esso è risultato essere molto meno sensibile
in quanto l’immunoreattività può essere debole e focale con
conseguenti possibili falsi negativi nel materiale bioptico 2.
WT1 è un altro marcatore molto importante specie nella diagnosi differenziale fra mesotelioma pleurico epiteliomorfo e
adenocarcinoma polmonare mentre è di scarsa utilità diagnostica per il mesotelioma peritoneale in quanto sia i carcinomi
sierosi del peritoneo che quelli dell’ovaio esprimono questo
marcatore 2.
D2-40 è un anticorpo monoclonale che reagisce con l’antigene oncofetale M2A espresso dalle cellule germinali e dagli
endoteli linfatici; esso è utilizzato nella dimostrazione della
permeazione tumorale dei vasi linfatici e nell’identificazione
di tumori di origine linfatica (linfangiomi, sarcoma di Kaposi
e angiosarcomi con differenziazione linfatica). Recenti studi
hanno dimostrato l’elevata sensibilità e specificità di D2-40
nella diagnosi positiva di mesotelioma 2.
h-Caldesmone (h-CD), è l’isoforma ad alto peso molecolare
del caldesmone, proteina associata al citoscheletro coinvolta
nei meccanismi di contrazione cellulare, espressa dalle cellule
muscolari lisce e dalle cellule mioepiteliali, utilizzata come
marcatore dei tumori a cellule muscolari lisce. Di recente,
testando diversi marcatori muscolari in una serie di lesioni
pleuriche, abbiamo riscontrato l’espressione di h-CD nelle
cellule mesoteliali neoplastiche e non neoplastiche. Dallo
studio dell’espressione di h-CD su 70 casi di mesotelioma epiteliomorfo e 70 casi di adenocarcinoma polmonare abbiamo
dimostrato l’elevata sensibilità (97,1%) e specificità (100%)
di questo marcatore nella diagnosi positiva di mesotelioma 3.
Successivamente, abbiamo dimostrato l’importanza dell’utilizzo di h-CD nella diagnostica differenziale fra mesotelioma
peritoneale e carcinoma sieroso papillare ovarico 4.
Nel contesto dei cosiddetti marcatori negativi per il mesotelio,
i più ampiamente utilizzati sono CEA, TTF-1 (positivo negli
adenocarcinomi polmonari), MOC-31, CD15, B72.3, Ber-EP4
e CA19.9 2.
I marcatori sopra citati sono nel loro complesso utilizzati nella
diagnostica delle lesioni epiteliomorfe. I mesoteliomi sarcomatoidi sono caratterizzati dalla co-espressione di citocheratine (in particolare CAM 5.2) e di vimentina. Le cellule fusate
raramente esprimono la citocheratina 5/6 e sono negative agli
altri marcatori mesoteliali più noti (calretinina, WT1, trombomodulina). Tuttora, oggetto di studio è l’immunoreattività
dei mesoteliomi sarcomatoidi a D2-40 e h-CD. Per le forme
sarcomatoidi la scelta dei diversi marcatori, perlopiù negativi per il mesotelio, varierà in base al problema diagnostico
differenziale: mesotelioma sarcomatoide vs. tumore fibroso
solitario (citocheratine, CD34, bcl-2, CD99), mesotelioma
relazioni
sarcomatoide vs. sarcoma sinoviale monofasico (citocheratine, EMA, bcl-2, CD99), ecc.
In conclusione, un ampio numero di marcatori immunoistochimici è stato dimostrato essere utile per la diagnosi di
mesotelioma, ma tuttora non è ancora stato identificato un
singolo anticorpo con specificità e sensibilità assoluta. Da ciò
la necessità di avvalersi sempre di un panel di anticorpi che
comprenda sia marcatori mesoteliali positivi che negativi. Il
valore di ciascun anticorpo, così come la scelta della migliore
combinazione di anticorpi, sono tematiche discusse, oggetto
di numerose pubblicazioni scientifiche. Inoltre, nonostante
l’utilizzo di ampi panel anticorpali, il profilo immunoistochimico del tumore non è sempre caratteristico, da ciò ne deriva
la continua ricerca di nuovi marcatori mesoteliali.
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e Istopatologia, Università di Trieste, Trieste
Il termine di versamento indica l’accumulo di liquido in una
cavità sierosa (pleurica, peritoneale, pericardica, sinoviale o
testicolare). Tale circostanza è sempre manifestazione di una
patologia in atto e rappresenta, in relazione all’etiologia, il
segno di alterazioni vascolari, di lesioni infiammatorie degli
organi rivestiti dalla sierosa, di neoplasie maligne primitive
della sierosa o da tumori che infiltrano la stessa.
In campo oncologico, l’allestimento di preparati citologici
(strisci, citocentrifugati, sedimento incluso, ecc.) di un versamento sieroso è enormemente utile per l’identificazione
ed il riconoscimento dell’esistenza di neoplasie occulte, per
la stadiazione di tumori noti, per la valutazione di eventuali
progressioni neoplastiche, per indirizzare l’oncologo verso
gli opportuni trattamenti terapeutici e nel monitoraggio del
paziente oncologico dopo terapia.
La pleura è una sede frequente di metastasi. Dalla revisione
della letteratura emerge che, fra le neoplasie metastatiche in
sede pleurica, la frequenza maggiore, nel sesso maschile, è a
carico del carcinoma del polmone; seguono quindi le neoplasie dell’apparato digerente, i linfomi/leucemie ed il melanoma. Nell’ambito delle lesioni di origine polmonare, la variante
adenocarcinoma è quella maggiormente rappresentata, a causa
della sua localizzazione preferenzialmente periferica. L’origine più frequente di versamento pleurico secondario nel sesso
365
femminile è dovuto al carcinoma della mammella, seguito da
quello del polmone, del tratto gastro-intestinale e dell’ovaio.
A livello pericardico, i versamenti da metastasi sono prevalentemente di origine da carcinoma polmonare nell’uomo e di
provenienza da neoplasia mammaria nella donna.
Nei versamenti peritoneali metastatici i tumori più frequenti,
nei soggetti di sesso maschile, sono quelli provenienti dal tratto gastro-intestinale, seguiti da quelli di origine pancreatica ed
epatica. I versamenti peritoneali secondari, nel sesso femminile, hanno punto di partenza più frequente dall’ovaio, cui segue
l’origine primitiva dall’apparato digerente, dall’utero, dalla
mammella, dal pancreas, dal fegato e dalle vie biliari.
Il riconoscimento morfologico della presenza di elementi neoplastici nel liquido di versamento abitualmente non presenta
grandi difficoltà all’osservazione microscopica, poiché la
cellula tumorale mostra i caratteri citologici generali della malignità. Si osservano, infatti, cellule polimorfe con alterazione
del rapporto nucleo/citoplasma, provviste di ipercromasia e
pleomorfismo nucleare, cromatina con distribuzione disomogenea, presenza di nucleoli prominenti. Ciò consente, abitualmente, la formulazione diagnostica, rapida e priva di difficoltà, di positività per cellule neoplastiche. La definizione di
origine della neoplasia primitiva è, invece, morfologicamente
meno agevole e l’attribuzione delle cellule tumorali maligne
individuate ad una specifica e precisa neoplasia primitiva,
spesso è solo ipotizzata. Di grande utilità per la diagnostica
risultano i dati di tipo anatomo-clinici, anamnestici ed epidemiologici. Il corretto utilizzo di indagini immunocitochimiche
consente poi la formulazione diagnostica pertinente.
Dal punto di vista esclusivamente citomorfologico, l’individuazione della sede di origine di una neoplasia secondaria
che ha determinato un versamento può essere suggerita dalla
presenza di eventuale accumulo citoplasmatico di alcuni prodotti cellulari, dalla distribuzione delle cellule neoplastiche
(isolate, in aggregati), dalla conformazione e disposizione
delle cellule tumorali in aggregati, dalle dimensioni degli
elementi neoplastici.
Le indagini immunoistochimiche, inoltre, potranno essere
utili e dirimenti nel confermare o nell’escludere l’ipotesi
diagnostica morfologica. A questo proposito, è opportuno rimarcare che non esiste a priori un numero definito di reazioni
eventualmente necessarie, poiché la quantità di immunocolorazioni è strettamente collegata con il caso in esame.
Rilevante ausilio diagnostico può derivare dal riscontro di
prodotti cellulari, nel citoplasma degli elementi neoplastici,
talora indirizzando verso la diagnosi specifica, ma sempre
limitando il numero delle ipotesi diagnostiche. Ad esempio,
la presenza di melanina (da non confondere con il pigmento
emosiderinico fagocitato da elementi macrofagici), caratteristica del melanoma pigmentato, consente la formulazione
della diagnosi specifica di tale neoplasia. Altri prodotti endocellulari non sono indicativi di una precisa neoplasia, tuttavia
possono orientare, congiuntamente con i dati clinici, verso la
definizione diagnostica. La cheratinizzazione del citoplasma
degli elementi neoplastici indica la presenza di cellule di
carcinoma squamoso, la cui origine primitiva va ricercata fra
i tumori del polmone, della cervice uterina, dell’esofago, della
cavità orale e della laringe. La presenza di muco è significativa dell’esistenza di un carcinoma mucosercernente, la cui
provenienza è da verificare fra un carcinoma di pertinenza
dell’apparato gastro-intestinale, della colecisti, dal polmone,
dal pancreas e dall’ovaio.
Dal punto di vista della distribuzione e della conformazione,
gli elementi neoplastici metastatici possono presentarsi riuniti
366
in forma di agglomerati sferici o papillari, a costituire filiere o
come singole cellule sparse.
Gli aggregati di tipo sferico, piuttosto comuni nei mesoteliomi, si osservano nei carcinomi della mammella ed in quelli
sierosi dell’ovaio. I dati anatomo-clinici e strumentali, spesso
consentono la diagnostica differenziale fra queste neoplasie,
evidenziando la sede primitiva della lesione. Nel caso invece
di carcinoma primitivo occulto o alla presenza di un riscontro
clinico non dirimente, queste neoplasie possono essere caratterizzate con l’immunocitochimica, che permette in molti casi
di giungere ad una diagnosi definitiva. Nonostante questi due
carcinomi mostrino un profilo antigenico in gran parte identico, tuttavia, l’uso attento di alcuni marcatori consente, nella
maggioranza dei casi, la possibilità di differenziare le due
neoplasie. Infatti, il carcinoma della mammella mostra assetto
immunofenotipico caratterizzato dalla presenza di antigene
epiteliale di membrana (EMA), con pattern di colorazione
citoplasmatica, e la proteina apocrina (GCDFP-15). Il carcinoma sieroso dell’ovaio presenta un profilo antigenico con
espressione di TAG B72.3 di membrana e presenza nucleare
di WT1 (proteina del tumore di Wilms). La ricerca dei recettori estrogenici e quelli del progesterone, nella diagnostica
differenziale fra queste due neoplasie, non offre risultati utili,
poiché entrambi i tumori possono risultare positivi. Analogamente, i marcatori carboidratici, quali il CA125, il CA15.3
ed il CA150, considerati un tempo marcatori specifici rispettivamente dei tumori ovarici (CA125) e di quelli mammari
(CA15.3, CA150), sono di utilità assai limitata, poiché i tre
markers sono presenti in entrambi i carcinomi.
Le cellule neoplastiche riunite in strutture papillari sono coerenti con le neoplasie primitive di tipo papillare. Tali tumori
sono osservabili in sede ovarica, polmonare, gastro-enterica,
tiroidea ed uroteliale. L’applicazione corretta dell’algoritmo
immunoistochimico o del panel anticorpale, anche in questa
circostanza, permette il valido raggiungimento diagnostico.
L’utilizzo dell’immunocolorazione per citocheratina 7 (CK7)
e citocheratina 20 (CK20), permette di suddividere le neoplasie in questione, in relazione alla loro positività. Sono positive
alla CK7 e negative alla CK20 il carcinoma sieroso dell’ovaio,
l’adenocarcinoma del polmone, il carcinoma (di cellule follicolari) della tiroide ed il carcinoma della mammella. Al
contrario, sono negativi alla CK7 e positivi alla CK20 i tumori
dell’intestino. Entrambe le citocheratine si osservano nel carcinoma uroteliale, nel carcinoma mucinoso dell’ovaio ed in
alcuni tumori gastrici. Fra le neoplasie in precedenza indicate,
esprimono l’antigene carcinoembrionale (CEA) gli adenocarcinomi del polmone, quelli del tratto gastroenterico, quelli
della mammella e le neoplasie uroteliali. Il fattore nucleare
TTF-1 è presente nell’adenocarcinoma del polmone e nel
carcinoma (di cellule follicolari) della tiroide. Quest’ultimo,
tuttavia, si identifica facilmente per la sua espressione in tireoglobulina, uno dei pochissimi marcatori tessuto-specifici.
La disposizione cellulare a filiere si osserva frequentemente
nel carcinoma lobulare della mammella, nel carcinoma duttale
del pancreas e nel carcinoma di piccole cellule indifferenziate
del polmone. La distinzione fra l’origine mammaria e quella pancreatica è effettuabile avvalendosi della colorazione
immunoistochinica per la CK7 e la CK20. Nel carcinoma
lobulare della mammella è presente solo la prima, mentre la
neoplasia duttale pancreatica mostra entrambe le citocheratine. I carcinomi a piccole cellule del polmone di natura neruroendocrina possono essere individuati utilizzando i marcatori
di tipo neuroendocrino, quali la cromogranina A, la sinaptofisina ed il CD56, o il fattore trascrizionale nucleare TTF-1. I
carcinomi polmonari a piccole cellule, di citotipo squamoso,
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
sono identificabili utilizzando citocheratine di medio peso
molecolare, quale la CK5.
L’evidenza morfologica di cellule non coesive, di piccola dimensione, suggerisce l’esistenza di una lesione emolinfoproliferativa (leucemia, linfoma, sarcoma mieloide), di un carcinoma di piccole cellule indifferenziate, di un carcinoma lobulare
della mammella, di un melanoma o di un sarcoma di piccole
cellule. Cellule isolate, non coesive e di grossa taglia sono
indicative di carcinoma indifferenziato a grandi cellule, di un
melanoma o di invasione pleurica da parte di una malattia linfoproliferativa. Mediante l’applicazione di immunocolorazioni è possibile differenziare le differenti neoplasie: le citocheratine ed i marcatori epiteliali (ESA, HEA125, ERA) risultano
positivi nei carcinomi, gli antigeni leucocitari sono presenti
nei linfomi/leucemie (CD45, CD3, CD20, CD5, CD10, CD30,
ecc.), i marcatori mieloidi (CD117, CD68) si ritrovano nei
sarcomi mieloidi, i marcatori melanocitari (HMB45, CD63,
Melan A) individuano il melanoma. Più complesso è, invece,
attribuire l’origine delle cellule metastatiche a sarcomi di
piccole cellule. Le indagini immunoistochimiche vertono sul
riscontro di antigeni propri delle cellule mesenchimali neoplastiche (CD99, desmina, miogenina, osteonectina, ecc.) e fattori trascrizionali specifici (Fli-1, WT1, EWS, ecc.). Successive
indagini immunoistochimiche consentono poi, di identificare
nell’ambito dei carcinomi, l’origine della neoplasia primitiva,
applicando algoritmi o panel anticorpali specifici.
Per concludere, il riconoscimento di elementi neoplastici nei
versamenti è una diagnostica che si basa esclusivamente su
criteri morfologici. L’identificazione del sito di origine della
neoplasia nei versamenti secondari è, invece, un procedimento
logico, in cui è necessario considerare differenti parametri.
In primo luogo l’aspetto citomorfologico, la distribuzione
e l’eventuale aggregazione cellulare, seguiti dai dati anamnestici, anatomo-clinici e strumentali. L’assetto immunoistochimico potrà infine, all’occorrenza, dare un apporto alla
diagnostica, validando una diagnosi formulata o dirimendo i
dubbi fra più ipotesi diagnostiche.
Ruolo della citofluorimetria nella diagnostica
dei versamenti
P. Zeppa
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università “Federico II” di Napoli, Napoli, Italia
Le cavità sierose dell’organismo (pleurica, peritoneale, cardiaca) possono andare incontro ad accumulo di fluidi per
cause dismetaboliche, emodinamiche infiammatorie e neoplastiche; queste ultime primitive o secondarie. Campioni
citologici di versamenti sono frequentemente esaminati nei
laboratori di Citopatologia soprattutto in caso di versamenti
neoplastici o sospetti tali. La commistione dei diversi costituenti cellulari, la loro variabilità morfologica e la differente
rappresentatività quantitativa degli stessi anche in ragione dei
peculiari ambienti di sviluppo rappresentano problematiche
classiche della diagnostica citopatologica. La citofluorimetria
è una tecnica diagnostica e di ricerca utilizzabile su cellule
vitali in sospensione fluida e pertanto potenzialmente efficace
nello studio dei versamenti. Applicazioni generali classiche
della citofluorimetria sono la determinazione della DNA-ploidia e la fenotipizzazione dei differenti costituenti cellulari;
quest’ultima rappresenta oggi l’applicazione più utilizzata per
finalità diagnostiche. La fenotipizzazione citofluorimetrica
367
relazioni
delle popolazioni cellulari presenti nei versamenti è realizzabile in corso di patologie onco-ematologiche e non ematologiche. Le neoplasie onco-ematologiche, principalmente
rappresentate da linfomi non-Hodgkin, possono interessare le
sierose sotto forma di processi linfoproliferativi primitivi (più
rari) o più frequentemente secondari e rappresentano il 15%
circa dei versamenti neoplastici. La tipizzazione citofluorimetrica può contribuire alla diagnosi citologica dei versamenti
mediante una corretta fenotipizzazione delle popolazioni linfocitarie e della loro quantificazione numerica. In particolare
la valutazione del rapporto delle catene leggere kappa/lambda
può essere decisivo nella determinazione della clonalità e la
diversa espressione e co-espressione di antigeni specifici può
contribuire sia alla definizione di malignità che all’identificazione del tipo specifico di linfoma 1-3.
Per quanto concerne le neoplasie non-ematologiche, studi
recenti sono stati condotti per valutare le potenzialità della
metodica nella fenotipizzazione di cellule epiteliali e mesoteliali per finalità diagnostiche con risultati incoraggianti
soprattutto nello studio di aspetti fenotipici specifici di grandi
popolazioni cellulari, in particolare gli antigenici relativi alla
proliferazione ed i inibizione dell’apoptosi 2. Meno efficace
sembra essere il contributo all’identificazione ed allo studio di
piccoli cloni cellulari in contesti reattivi, infiammatori o con
prevalenza di cellule mesoteliali 4.
Bibliografia
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Cytopathol 2006;34:335-47.
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Czader M, Ali SZ. Flow cytometry as an adjunct to cytomorphologic
analysis of serous effusions. Diagn Cytopathol 2003;29:74-8.
IV Sessione
La parola all’esperto
Moderatori
D. Beccati ( Ferrara), G. Fadda ( Roma)
FNA of the breast: the impact of experience
F. Feoli
Institut Bordet (Centre des tumeurs de l’ULB), B-1000
Bruxelles, Belgique
Objective. Experience is an important factor in fine needle
aspiration cytology of the breast. We evaluated our learning curve, based on the use of standardized microscopic
criteria (Wang HH, Ducatman BS. Fine needle aspiration
of the breast. A probabilistic approach to diagnosis of
carcinoma. Acta Cytologica 1998;42:285-9) and of a team
based diagnostic approach. We also discuss the possible
complementarities between FNAC and core biopsy (CB)
when skilled cytopathologists are available.
Study Design. A review of 292 FNAC of breast lesions,
obtained at the beginning of our activity, and of their subsequent biopsies. The cytological samples were blindly
re-evaluated 4 years later, when we had earned more experience and we had refined our diagnostic criteria. The
accuracy of the first reading was assessed and compared
with that obtained at the second reading. Inadequate smears
were included in the accuracy calculations.
Results. In both readings we had no false positive results.
At second reading the identification of carcinomas and of
benign lesions became more accurate. The number of uncertain diagnoses decreased as well as the number of false
negative results. False suspicious diagnoses disappeared.
Absolute sensitivity passed from 60% to 67.7%. Complete
sensitivity from 92.16% to 91.7%. The inadequacy rate
from 12.67% to14.04%. Specificity increased from 52%
to 56%.
Conclusion. Statistically significant improvements of our
results were associated to increased experience. A more
accurate evaluation of nuclear atypia was also important.
FNAC can be a useful diagnostic tool and can be used
complementarily to CB.
La Citologia Tiroidea. Linee Guida
F. Nardi
Anatomia Patologica, Università di Roma “La Sapienza”
Il 6 ottobre 2006 si tenne a Pisa un convegno per la “consensus” sul nodulo tiroideo organizzato dai proff. A. Pinchera
e F. Basolo. In quella sede fu deciso di formulare delle
Linee Guida sia cliniche che citologiche in collaborazione
tra endocrinologi appartenenti alla SIE (Società Italiana
di Endocrinologia) e alla AIT (Associazione Italiana della
Tiroide) e un gruppo di patologi partecipanti al Convegno
(F. Basolo, G. Bussolati, A. Crescenzi, G. Fadda, O. Nappi,
F. Nardi e M. Papotti) ai quali furono aggiunti i proff. A.
Bondi e G. Taddei in qualità di responsabili del settore Citologia della SIAPEC. Il lavoro è stato da poco completato
ed uscirà con il titolo di “Gestione clinica del paziente con
patologia nodulare tiroidea: consenso italiano”.
La parte riguardante l’agoaspirato tiroideo ha suscitato non
poche discussioni tra i patologi partecipanti, ma alla fine si
è arrivati ad un testo conclusivo in grado di tenere conto e
rispettare i vari punti di vista. Alcuni dei punti caratterizzanti di questa “Consensus” sono i seguenti.
L’agoaspirato viene definito FNC (Fine Needle Cytology),
a differenza delle altre Linee Guida che usano il termine di
368
FNAC o FNAB, in quanto viene espressamente consigliato,
quando possibile, il prelievo senza aspirazione (con il solo
ago) a causa della ricca vascolarizzazione dell’organo.
Lo striscio diretto su vetrino è il metodo di base consigliato, lo striscio su strato sottile (LBC) ed il citoincluso sono
riservati a centri con specifica esperienza e per indagini
speciali.
La diagnosi citologica fa parte di un iter diagnostico multidisciplinare e pertanto l’opzione terapeutica non può basarsi esclusivamente sulla citologia, ma questa deve essere
valutata nel contesto degli esami clinici e strumentali. Le
implicazioni medico-legali sono evidenti.
La FNC ha lo scopo principale di selezionare i pazienti con
patologia nodulare della tiroide in funzione della terapia
medica o chirurgica e, a questo scopo, si suggerisce di
associare al referto citologico un codice numerico che indichi una categoria di lesioni che, indipendentemente dalla
etiopatogenesi, siano omogenee per rischio di malignità e
opzione terapeutica.
Si sono individuate 5 categorie diagnostiche denominate Tir
1-5 seguendo l’esempio della British Thyroid Association
(BTA), mentre altre Linee Guida utilizzano 4 o, addirittura
6 categorie. Ad ogni categoria è associato un suggerimento
operativo che, come abbiamo detto in precedenza, non ha
un valore assoluto, in quanto l’opzione terapeutica, nei
singoli casi, deve scaturire dalla valutazione complessiva
della citologia e degli esami clinici e strumentali. Prendiamo in esame le varie categorie con i relativi suggerimenti
terapeutici.
Tir 1. Non diagnostico. Comprende i campioni inadeguati
e/o non rappresentativi. Viene definito inadeguato un campione mal strisciato e/o mal fissato e/o mal colorato. Viene
definito non rappresentativo un campione che non abbia
un numero sufficiente di cellule per effettuare la diagnosi.
Fanno eccezione alcuni casi come la cisti colloide, le pseudocisti emorragiche e le tiroiditi di Hashimoto che valutati
nel contesto clinico, anche con poche cellule, possono essere considerati rappresentativi. Il suggerimento operativo
è la ripetizione del FNC, a giudizio del clinico, non prima
di un mese.
Tir 2. Negativo per cellule maligne. Comprende il gozzo
collidocistico e le flogosi. Si suggerisce rpetizione del FNC
a giudizio del clinico o del citopatologo per ridurre la possibilità di falsi negativi.
Tir 3. Inconclusivo/indeterminato (proliferazione follicolare). Comprende tutti quei casi di lesioni follicolari nei
quali la citologia non è in grado di fornire una conclusione
diagnostica. Il ruolo di alcuni marcatori immunoistochimici
come GAL-3, HBME-1, CK-19 possono essere utilizzati
seguendo “rigorosi protocolli diagnostici” anche se non
hanno raggiunto un comprovato valore predittivo. Si
suggerisce l’asportazione chirurgica della lesione sempre
tenendo conto del contesto clinico strumentale. L’esame
istologico intraoperatorio è sconsigliato.
Tir 4. Sospetto di malignità. Comprende tutti quei casi
nei quali le atipie citologiche non sono sufficenti a porre
con sicurezza un giudizio di malignità. In questi casi si
suggerisce l’intervento chirurgico con esame istoloogico
intra-operatorio.
Tir 5. Positivo per cellule maligne. Comprende tutti quei
casi con citologia sicuramente diagnostica di neoplasia maligna. In questi casi è previsto l’intervento chirurgico per i
carcinomi differenziati, sempre in accordo con il clinico e
tenendo presente che la diagnosi definitiva è sempre e solo
istologica.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Ruolo e limiti della citologia nelle lesioni
squamose del cavo orale
R. Navone
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana
dell’Università di Torino e uoadu Anatomia Patologica I
dell’ASO “San Giovanni Battista” di Torino
Contesto e razionale della ricerca. Il carcinoma squamoso
della cavità orale e dell’orofaringe è una neoplasia maligna
frequente (al 6° posto come mortalità cancro-correlata, con
un’incidenza mondiale stimata superiore ai 400.000 nuovi
casi all’anno), con alta mortalità (in Italia i dati dei Registri
Tumori indicano 2.978 decessi nel 1999, con sopravvivenza
a 5 anni del 38% 1. La sopravvivenza non è significativamente migliorata negli ultimi 25 anni sia perché questo tipo di
tumore viene quasi sempre diagnosticato in fase avanzata,
sia per l’elevata frequenza di recidive, secondi tumori e metastasi. Inoltre, la frequenza del cancro orale sta mostrando
un aumento significativo in molti Paesi europei, come Regno
Unito, Francia ed Europa dell’Est 2. Solo recentemente 3 è stato dimostrato che programmi di screening basati sull’esame
obiettivo del cavo orale possono ridurre la mortalità del carcinoma squamoso, ma non ci sono dati relativi a programmi
basati su altri parametri. Tra le cause della cattiva prognosi
delle neoplasie orali vi è certamente il fatto che la diagnosi, sia
del carcinoma orale, sia dei suoi precursori (displasie) è tuttora basata esclusivamente sulla biopsia chirurgica incisionale
(“scalpel biopsy”), che è un esame invasivo, che campiona
un’area assai limitata e che può essere effettuato (in caso di
lesioni multiple) su un numero relativamente basso di sedi.
Perciò lesioni orali molto estese o multiple potrebbero essere
campionate in modo insufficiente dalla biopsia chirurgica
tradizionale, in quanto è esperienza comune che anche solo
una lesione tra tante, o una piccola parte di lesione, potrebbe
dimostrarsi microscopicamente maligna (carcinoma) o premaligna (displasia). Inoltre la biopsia incisionale non viene
solitamente effettuata su tutte le lesioni orali potenzialmente
maligne o PML (leuco-eritroplachie, lichen, ulcere), ma
solo su quelle con più alto indice di sospetto (eritroplachie,
leucoplachie disomogenee o verrucose, ulcere croniche). Per
ultimo, ma non meno importante, anche quando la “scalpel
biopsy” viene effettuata in casi fortemente sospetti, il suo tasso di falsi negativi è comunque elevato, potendo raggiungere
il 23% dei casi biopsiati [4]. È evidente quindi quanto sarebbe utile l’individuazione di un test di primo livello atto ad
identificare quelle lesioni orali che, per le loro caratteristiche
morfologiche o genetiche, dovrebbero essere ulteriormente
indagate con un esame di secondo livello, come già avviene
con l’uso del Pap test e della colposcopia per il carcinoma
della cervice uterina.
È infatti noto che il Pap test è efficace nel ridurre incidenza
e mortalità del cervico-carcinoma, individuando le lesioni
neoplastiche intraepiteliali (displastiche) prima che queste
possano evolvere in forme invasive (neoplastiche). La citologia orale diagnostica, benché nota da parecchi anni, in quanto
semplice, non invasiva, applicabile anche su localizzazioni
estese e multiple, indolore e poco costosa, non ha trovato sinora un’applicazione così ampia e capillare come la citologia
cervico-vaginale. Recenti lavori 5, anche del nostro gruppo 6
7
, indicano che l’efficienza e l’efficacia della citologia orale
aumentano utilizzando nuove tecniche ancillari che la rendano
più sensibile e specifica, come la citologia “computer-assistita”, in “fase liquida”, gli AgNOR, la biologia molecolare e la
citometria a flusso 8.
relazioni
La citologia “computer-assistita” si basa sull’utilizzazione
di strumenti specifici che danno la possibilità di identificare
lesioni neoplastiche e pre-neoplastiche con sensibilità pari o
superiore a quella dello screening manuale, senza perdita di
specificità. La citologia “in fase liquida” o su “strato sottile” è
una recente metodica, usata sinora prevalentemente per i Pap
test, che ha dato risultati promettenti sia per la migliore qualità
dei preparati, sia per il migliore campionamento. L’analisi degli AgNOR (proteine associate agli organizzatori nucleolari)
consente la valutazione dell’attività proliferativa cellulare e
pertanto, oltre ad essere un valido fattore prognostico in campo oncologico, permette di riconoscere cellule displastiche e/o
neoplastiche in citologia.
Al fine di aumentare la quantità di cellule utilizzabili per
l’esame citologico e le altre tecniche complementari, abbiamo
anche messo a punto una nuova tecnica di prelievo citologico
orale basata non più sul “cytobrush”, ma su uno “scraping” effettuato con curette dermatologica. Ci è parso subito evidente
che tale tecnica non soltanto forniva materiale più abbondante
per la citologia e la ploidia 7 8, ma anche che i campioni erano
assai ricchi di frustoli “accidentali” utilizzabili istologicamente come micro-biopsie.
Scopo della ricerca. Lo scopo è lo studio di tutte le PML
(anche di quelle con più basso indice di sospetto) per l’identificazione precoce di lesioni precancerose orali al fine di
prevenirne la successiva trasformazione, con l’utilizzazione di
metodiche innovative, citologiche (citologia computer-assistita, in fase liquida, AgNOR, citometria a flusso per lo studio
della ploidia) e microistologiche (esame istologico di microfrustoli prelevati con curette), paragonate all’esame istologico
e citologico convenzionale.
Metodi. Circa 600 lesioni orali potenzialmente maligne (soprattutto eritro- e leucoplachie e lichen) sono state controllate, oltre che con l’istologia, con la citologia convenzionale
(cioè strisciando il materiale su vetrino porta-oggetti) ed in
fase liquida (cioè stemperandolo nel liquido fissativo del
sistema usato, nel nostro caso il Thin Prep della Cytic). Solo
per quest’ultimo gruppo in 138 casi il prelievo è stato effettuato, oltre che con Cytobrush, con una curette dermatologica (AcuDispo Curette, Acuderm inc.), ed i microfrustoli
così ottenuti sono stati processati con metodica istologica
come normali biopsie. In 73 casi è stata effettuata la lettura
citologica computerizzata con reti neurali e la valutazione
degli AgNOR (effettuata con colorazione all’argento con
il metodo di Ploton, e misurando le aree con un sistema
computerizzato di analisi di immagine). In 211 pazienti è
stata effettuata la citometria a flusso per l’analisi del DNA
delle cellule squamose su prelievi in soluzione fisiologica, utilizzando un citofluorimetro FACSCalibur (Becton
Dickinson).
Risultati. L’esame istologico convenzionale (scalpel biopsy) è stato eseguito su tutti i casi. La citologia convenzionale
(89 casi) ha mostrato una sensibilità dell’86,5%, una specificità del 94,3% ed un valore predittivo positivo del 95,7%,
con una percentuale di inadeguati del 12,4%. La citologia
computer-assistita (73 casi) ha consentito di recuperare un
caso dato inizialmente come negativo, portando la sensibilità
all’89,0%. La citologia in fase liquida (511 casi) ha mostrato, per lesioni di alto grado e carcinomi, una sensibilità del
94,7%, una specificità del 98,9% ed un valore predittivo
positivo del 95,9%, con l’8,8% di inadeguati. Gli AgNOR
(73 casi) hanno dimostrato una sensibilità ed una specificità
del 100%, ma con un’elevata quota di inadeguati (15,1%).
L’esame della ploidia del DNA con citometria a flusso ha
mostrato aneuploidia in 17/31 (54,8%) dei carcinomi, in
369
0/6 (0%) carcinomi verrucosi, in 10/66 (15,1%) delle leucoplachie senza displasia, e in 24/48 (50,0%) delle leucoeritroplachie con displasia. Infine, in oltre il 50% dei casi, i
microfrustoli, prelevati insieme al materiale per la citologia
in strato sottile, hanno consentito una diagnosi istologica
definitiva 9.
Conclusioni. Già la citologia esfoliativa convenzionale può
fornire risultati soddisfacenti ai fini diagnostici (la sensibilità è superiore a quella del Pap test, mentre la specificità è
analoga). La citologia computer-assistita ha una sensibilità
lievemente superiore, ma l’efficienza del sistema non è
pienamente dimostrata. La citologia in strato sottile sembra
invece in grado di aumentare l’accuratezza diagnostica della
citologia orale per il miglioramento della sensibilità e specificità. L’analisi degli AgNOR (pur limitata dall’alto tasso di
inadeguati) si è dimostrata utile per migliorare ulteriormente
la sensibilità nei casi dubbi. Il riscontro di aneuploidia in
leucoplachie con displasia lieve o assente ha consentito di
individuare lesioni a rischio di evoluzione, che il semplice esame istologico non è stato in grado di evidenziare 8,
identificando categorie di soggetti che necessiteranno di
uno stretto follow-up, con eliminazione chirurgica di ogni
lesione orale sospetta. Infine, il prelievo con curette, permettendo una valutazione istologica su microfrustoli provenienti
da un’ampia superficie e/o da più lesioni, ha consentito una
riduzione dei richiami di pazienti e del numero delle biopsie
effettuate a scopo diagnostico, con risparmi per l’Azienda
Ospedaliera e minori disagi per il paziente 9. In prospettiva,
i vantaggi di tale tipo di prelievo ricadrebbero non solo sui
pazienti afferenti all’Azienda Ospedaliera, ma potrebbero
trovare applicazione su una più ampia popolazione in quanto
la relativa semplicità di tale tecnica potrebbe consentire il
suo utilizzo anche da parte degli Odontoiatri del territorio,
che vedono la maggior parte delle lesioni pre-neoplastiche
e neoplastiche orali in prima istanza. Questo potrebbe contribuire a ridurre, almeno per le lesioni invasive, il notevole
ritardo diagnostico attuale.
Le acquisizioni ottenibili da questo studio, oltre ad approfondire la conoscenza dei meccanismi di progressione delle
lesioni precancerose orali, potrebbero avere un’utile ricaduta
in un’ottica più vasta ed estesa ad altre lesioni precancerose
insorte nel distretto testa-collo.
Bibliografia
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’90: i dati dei Registri Tumori. Epidemiol Prev 2001;25(Suppl):1375.
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cytology. Submitted to Oral Oncology 2007.
370
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Citologia agoaspirativa di tumefazioni
laterocervicali
S. Fiaccavento
Servizio di Anatomia Patologica, Sezione di Citopatologia
Diagnostica, Istituto Clinico “Città di Brescia”, Brescia
L’obiettivo di questo mio intervento è di trattare non tanto
gli innumerevoli volti della diagnostica citologica agoaspirativa delle lesioni a localizzazione laterocervicale quanto
di sottolineare, nel breve tempo a disposizione, il contributo
del patologo alla diagnostica pre-operatoria della patologia di
questa regione anche presentando alcuni casi esemplificativi.
Inoltre l’utilizzo anche in citologia di indagini ancillari ed in
particolare nella pratica quotidiana di ogni labororatorio dell’immunocitochimica, con uno spettro sempre più ampio di
anticorpi, consente oggi un’accurata diagnosi pre-operatoria
paragonabile a quella istologica evitando, nella maggior parte
dei casi, l’utilizzo di esami estemporanei intraoperatori. Tuttavia il ruolo che la FNA può assumere in questa area dipende
da diversi fattori. In primo luogo è determinato dall’approccio
metodologico che il chirurgo intende perseguire. Il ruolo sarà
marginale quando, per attitudine personale, il chirurgo deciderà di prescindere da una diagnosi pre-operatoria di natura della
lesione mentre sarà fondamentale quando una diagnosi corretta, non solo nella separazione tra neoplasie benigne e maligne
ma anche nella precisazione dei diversi istotipi benigni e maligni, potrà condizionare il tipo di approccio chirurgico. Il ruolo
della FNA dipende però anche dalla variabilità della patologia
della regione in quanto anche i chirurghi meno disponibili
non potranno comunque completamente prescindere da un
messaggio diagnostico suggerito dalla citologia in quanto non
tutte le lesioni della sfera testa-collo sospette neoplastiche lo
sono e non tutte le neoplasie possono essere necessariamente
di interesse chirurgico (ad es. linfomi).
La valutazione morfologica citologica dovrà seguire un iter
che confermi inizialmente l’identificazione suggerita dal
radiologo del tessuto di base. I passi successivi previsti nella
tabella condizioneranno, con l’eventulale ausilio della immunocitochimica, l’approccio terapeutico.
V Sessione
Slide seminar – Sessione diagnostica interattiva
Moderatori
L. Tucci (Catanzaro), Pacetti (Vibo Valentia)
Citologia agoaspirativa di un caso di
miofibroblastoma della mammella
F. Fedeli, B. Bacigalupo
Dipartimento di diagnostica, U.O. Anatomia ed istologia
patologica e citodiagnostica, ospedale s. andrea, la spezia,
italia
Il caso si riferisce ad un uomo di 79 anni che presentava da
circa 6 mesi nella regione periareolare della mammella di
destra un nodulo ipoecogeno di cm 1,3 che veniva agoaspirato. Dal materiale di agoaspirazione effettuata con ago da 25
gauge venivano allestiti 8 vetrini fissati in alcool 95° e colorati
con Papanicolau. Il materiale citologico era moderatamente
cellulato; le cellule erano disposte singolarmente con numerosi nuclei nudi o formavano irregolari cluster discretamente
371
relazioni
cellulati. Nei cluster le cellule si disponevano in fascicoli mal
definiti. Alcuni aggregati cellulari mostravano una matrice
mixoide talora vacuolata.Le cellule erano uniformi, possedevano nuclei ovoidali con contorno regolare, cromatina finemente granulare e piccoli nucleoli. Talora i nuclei mostravano
incisure nucleari. Il citoplasma era discretamente orangiofilo
con membrana citoplasmatica mal definita. Le mitosi erano
assenti. In diagnosi differenziale entravano lesioni a cellule
fusate della mammella con caratteristiche nucleari blande. Gli
agoaspirati da fibroadenomi e da tumore filloide, entrambi
estremamente rari negli uomini, mostrano una componente
epiteliale costituita da tappeti di cellule associata alle cellule
stromali. L’adenoma pleiomorfo della mammella e’ una lesione rarissima e mostra elementi mixo-condroidi associati a
cellule epiteliali. Sono state descritte neoplasie mioepiteliali
a cellule fusate della mammella che mostrano una positivita’
per l’S-100 ma tutti i pazienti erano donne. Una difficile
diagnosi differenziale si puo’ porre con la fibromatosi della
mammella e la fascite nodulare. La fibromatosi ha distinte
caratteristiche cliniche ecografiche
con margini irregolari mentre la fascite nodulare mostra citologicamente cellule rigonfie associate ad altre fusate con rare
cellule giganti. Un neurilemmoma puo’ entrare in diagnosi
differenziale ma le cellule tendono ad avere nuclei piu’ ondulati e costantemente positivi con l’ S-100. Neoplasie maligne
come il carcinoma a cellule fusate metaplastico, il sarcoma
stromale, l’istiocitoma fibroso maligno e il leiomiosarcoma
hanno margini mal definiti e una chiara atipia citologica.
La presenza di nuclei nudi ovoidi, cluster cellulari vagamente
fascicolati con talora incisure nucleari l’assenza di cellule epiteliali in un preciso contesto clinico-ecografico ci hanno fatto
propendere per un miofibroblastoma [1,3,4,7,8,9,10] ponendo
in diagnosi differenziale un tumore fibroso solitario[2,5,11] e
veniva quindi raccomandata l’escissione del nodulo.
Macroscopicamente il nodulo era ovoide, ben circoscritto di
consistenza duro elastica e misurava cm 1,3 di asse maggiore.
Al taglio aveva un colore grigio roseo con un aspetto multinodulare mal definito. Istologicamente era un tumore ben circoscritto circondato da una pseudocapsula di stroma mammario.
La lesione era composta da cellule fusate uniformi bipolari
frammiste a bande di collageno ialinizzato con abbondante
matrice fibrillare mixoide. Era presente una ricca vascolarizzazione costituita da vasi con parete talora ialinizzata. Le
mitosi erano pressoche’ assenti. Le indagini immunoistochimiche mostravano nelle cellule neoplastiche positivita’ per la
vimentina, Cd 34, actina, calponina e desmina e negativita’
per Cd 31, citocheratina Cam 5.2, S-100. I recettori per gli
estrogeni e per il progesterone erano presenti circa nel 40%
dei nuclei mentre risultavano negativi i recettori per gli androgeni. Sulla base del quadro clinico, citologico, istologico
ed immunoistochimico veniva confermata la diagnosi di
miofibroblastoma della mammella. Il tumore fibroso solitario
anch’esso Cd 34 positivo che avevamo ipotizzato in citologia
era stato escluso per la mancanza dell’aspetto istologico “patterless” e la negativita’ immunoistochimica per la desmina,
l’actina muscolo liscio e per la calponina. Recentemente Magro e coll [5] hanno ipotizzato che il tumore fibroso solitario
e il miofibroblastoma abbiano un precursore comune nelle
cellule dello stroma mammario vimentina e Cd 34 positive
che possono differenziarsi lungo linee mesenchimali differenti come il fibroblasto e il miofibroblasto.
Il miofibroblastoma e’ una neoplasia benigna della mammella
che si tratta con la semplice nodulectomia; alcuni autori hanno
supposto una relazione con la presenza dei recettori androgenici [6] un dato che non e’ stato confermato dal nostro caso.
L’agoaspirazione potrebbe essere utile [4,7] in un particolare
contesto clinico-ecografico per sospettare la diagnosi di questo raro tumore benigno.
Amin MB, Gottlieb CA, Fitzmaurice M, Gaba AR, Lee MW, Zarbo
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1
372
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
VI Sessione
Il laboratorio in citopatologia
Moderatori
S.G. Lio (Lamezia Terme), R. Iuele (Cosenza)
Le aree di criticità tecnica in citologia
T. Zanin
E.O. Ospedali “Galliera”, S.C. Anatomia Patologica, Genova, Italia
Nei laboratori delle Anatomie Patologiche italiane la citologia viene attualmente allestita con tre metodiche principali:
– tradizionale;
– per citocentrifugazione;
– strato sottile.
Le aree di criticità tecnica si differenziano nell’impiego di
una metodica piuttosto che un’altra, possiamo affermare che
la metodica di allestimento dei campioni citologici che presenta le maggiori criticità tecniche è quella tradizionale.
Infatti in questa metodica intervengono in modo preponderante le capacità professionali del tecnico di laboratorio,
il quale dall’arrivo del campione da analizzare esegue una
sequela di operazioni tutte quasi esclusivamente manuali.
Il processo di allestimento principale può essere il seguente:
1.materiale prelevato e inviato fresco;
2.centrifugazione (se impiegata);
3.viene strisciato su uno o più vetrini il sedimento o il materiale biologico intero;
4.fissazione;
5.colorazione;
6.lettura.
In questo processo si possono individuare delle criticità tecniche nei primi quattro passaggi. Il campione biologico, che
viene inviato da una sala di degenza piuttosto che da un ambulatorio, se fresco deve pervenire nel più breve tempo possibile; se fissato deve essere dato ai prelevatori un protocollo
con indicate tutte le istruzioni per una corretta fissazione del
materiale biologico.
Il materiale, se è pervenuto fresco al laboratorio (es. puntato
sternale), deve essere strisciato nel più breve tempo possibile
e tale operazione deve avvenire in modo corretto, permettendo di ottenere degli strisci omogenei, aventi uno strato cellulare che risulti il più sottile possibile. Questa è un passaggio
che risulta essere una delle maggiori criticità nell’allestimento di campioni citologici con metodica tradizionale.
Altra criticità è poi la fissazione dei vetrini allestiti per la
colorazione.
Se si deve ricorrere alla centrifugazione per ottenere un
sedimento cellulare, dobbiamo stare attenti al numero di
RPM dello strumento; una centrifugazione eseguita ad un
numero di giri non ottimale può generare diversi problemi
quali l’ottenere un sedimento non ottimale, danneggiare le
strutture cellulari, ecc.
Nella preparazione dei vetrini valgono le criticità evidenziate
per il trattamento del materiale citologico non centrifugato.
Una metodica di allestimento più avanzata tecnologicamente
di quella tradizionale è la “citocentrifugazione”, metodo che
premette di ottenere degli spot cellulari di un certo diametro
e con il materiale cellulare depositato in modo omogeneo e
sottile.
Tale procedimento diminuisce le criticità tecniche che si
evidenziano con l’allestimento tradizionale senza peraltro
risultarne indenne, qui le criticità tecniche che si presentano
sono sostanzialmente due:
– omogeneizzazione del materiale biologico pervenuto;
– quantità di materiale biologico che viene inserito nelle cuvette per la citocentrifugazione.
Se la prima criticità è importante, lo è ancora di più la seconda, infatti se inseriamo nella cuvette una quantità scarsa
di campione biologico troviamo sui vetrini degli spot non
omogenei e scarsi, se inseriamo una quantità eccessiva di
liquido ci troviamo di fronte a due criticità tecniche e cioè del
versamento nello strumento di materiale biologico eccedente e
sui vetrini spot troppo carichi di materiale cellulare.
La terza metodica di allestimento dei campioni biologici è
quella in “strato sottile”. Questa la si può considerare l’evoluzione della citocentrifugazione e anche come la risoluzione
a tutte le criticità relative alla conservazione del materiale
biologico dal momento del prelievo.
Utilizzando questo metodo e utilizzando dei protocolli precisi e completi per il prelevatore al laboratorio, pervengono
campioni di materiale biologico già fissato e lisato, pronto per
eseguire la metodica di allestimento.
Tutte le criticità relative alla conservazione cellulare dei campioni biologici non dovrebbero più sussistere.
Inoltre, utilizzando questa metodica, l’allestimento avviene
con uno strumento automatico, lasciando all’operatore tecnico solo poche manovre manuali, riducendo così anche quelle
criticità dovute all’allestimento dei vetrini a mezzo strisciatura
del sedimento. Resta tuttavia l’utilizzo della centrifuga, e qui
si richiamano le attenzioni descritte precedentemente, e la
fissazione dei vetrini; dalla pratica è però emersa una criticità tecnica a carico dell’operatore che è quella di mantere
in ordine lo strumento, facendo una manutenzione ordinaria
quotidiana onde evitare “fermi macchina” e inquinamenti di
materiale cellulare.
Un altro vantaggio è l’eliminazione della criticità relativa a
campioni biologici scarsamente cellulati, tipo liquor piuttosto che urine, riuscendo ad ottenere comunque un preparato
diagnostico.
Il materiale cellulare deposto automaticamente sui vetrini
risulta praticamente un monostrato cellulare (strato sottile) e
con uno spot di dimensioni maggiori rispetto alla citocentrifugazione.
I vetrini ottenuti con questo metodo inoltre si prestano brillantemente per ricerche immunoistochimiche e di biologia
molecolare a tutto vantaggio della diagnostica.
Inoltre con l’utilizzo di strumenti automatici per l’allestimento
di campioni citologici si diminuisco tutti quei fattori relativi
alla sicurezza che risultano evidenti nell’allestimento tradizionale.
Concludendo possiamo affermare che l’evoluzione tecnologica ha permesso e permetterà di ridurre al minimo le criticità
relazioni
tecniche nell’allestimento di preparati citologici, offrendo al
patologo preparati più sicuri per la diagnosi e garantendo al
paziente una risposta alle sue aspettative di cura.
Bibliografia
Daniel S, Zanin T. Manuale di Tecnica Cito-Istologica. Bologna: DSE
Documentazione Scientifica Editrice 1997.
Le nuove e vecchie professioni nella lettura
citologica
M.R. Giovagnoli, E. Giarnieri
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La
Sapienza”
La necessità di personale che svolga attività di lettura citologica è stata più volte affermata a livello di Linee Guida
nazionali, pubblicate anche sulla Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana, ed è ribadita, dalle società scientifiche
che si occupano di tale settore, oltre ad essere sentita soprattutto a livello di servizio sanitario.
Quella del Citoscreener, del citologo e del citopatologo
è una “attività professionale” che non può prescindere da
specifiche conoscenze teoriche e da precise competenze/abilità pratiche le quali, in quanto tali, devono essere oggetto
di un’accurata attività formativa. La consapevolezza della
necessità di tale formazione si è tradotta, in molti Paesi europei, in un percorso universalmente riconosciuto ed ormai
formalizzato da vari decenni. In Italia, dove tale “attività
professionale” non ha avuto un riconoscimento a livello
normativo, il discorso formativo ha avuto connotazioni più
variegate e mutevoli nel corso degli anni. Si può ragionevolmente suddividere la formazione in: formazione di base,
approfondimento/specializzazione ed aggiornamento. Quest’ultimo, di fatto, coincide con l’“educazione continua”,
normata dalle regole ECM del Ministero della Salute.
Per quanto riguarda la formazione di base di tipo “formale”
essa ha avuto diverse connotazioni a partire dagli anni ’70
(corsi semestrali, biennali, indirizzi specifici all’interno di
diplomi di laurea ecc.), che hanno portato alla creazione
di intere “generazioni” di citoscreener con un background
culturale relativamente omogeneo. Tuttavia, va riconosciuto
che, accanto a questi diversi percorsi, si è svolta un’attività
più “informale” tesa a colmare la carenza di personale, laddove non esistevano soggetti specificamente addestrati, con
il risultato di una maggiore variabilità professionale. Spesso
in questo caso l’iniziativa della formazione non partiva dalla
struttura, ma piuttosto era una richiesta di autoformazione
a cui accedevano soggetti con titolo di studio differenti:
diplomati o laureati tecnici, laureati in Biologia, Farmacia
anche Chimica e naturalmente in Medicina e Chirurgia con
differenti specialità.
In tutto questo lungo periodo le conoscenze e competenze
citopatologiche avevano sede principalmente, anche se non
esclusivamente, presso varie Anatomie Patologiche universitarie od ospedaliere, con gradi diversi nelle varie parti della
penisola.
Con l’accordo della Sorbona nel 1999 e la riforma universitaria, la formazione ha assunto in Europa tratti maggiormente omogenei, soprattutto per quanto riguarda i diversi livelli
formativi: laurea triennale, laurea specialistica o magistrale e
master di I e II livello (oltre alle specializzazioni, particolarmente importanti nel settore sanitario). Ancora, da tale data
373
l’attività formativa è stata suddivisa in unità dette “crediti
formativi” universalmente riconosciuti. Questa unitarietà ha
permesso la libera circolazione degli studenti tra le diverse
Università europee.
In Italia, dopo un gap formativo di alcuni anni, legato alla
cessazione dei corsi preesistenti senza che ne che fossero
istituiti dei nuovi, sono stati istituiti alcuni master di I livello, aperti cioè anche a tecnici con laurea triennale, dedicati
alla formazione di citoscreener e basati su di un tipo di didattica fortemente interattiva, impostata secondo le Linee
Guida europee.
Contemporaneamente la formazione più approfondita, dedicata non solo alla citologia esfoliativa ma anche a quella
agoaspirativa, aveva la sua naturale sede presso le scuole di
specializzazione in Anatomia Patologica e talora in Patologia Clinica, aperte a laureati in Medicina. Anche questa
formazione è risultata però disomogenea, perché non in tutte
le sedi esisteva od esiste una tradizione in campo citopatologico, con il risultato che, accanto a punte di eccellenza,
intere generazioni di neo-patologi presentavano competenze
citopatologiche non all’altezza delle competenze più squisitamente istopatologiche. È entrata da poco in vigore una
nuova normativa, che prevede un tronco unico formativo per
gruppi di specialità similari (ad esempio di tipo laboratoristico), ma rimane da vedere se tale riforma possa, almeno in
parte, sopperire a vecchie carenze.
Un altro punto che deve essere sottolineato è il mutato
contesto scientifico in cui si situa l’esame citomorfologico.
Mentre un tempo il preparato microscopico era l’unica base
su cui formulare l’ipotesi diagnostica, le tecniche molecolari
ed immunocitochimiche si sono affiancate ormai di routine.
Inoltre è mutato il modo di guardare il preparato che può
essere anche “virtuale” e visto non solo “on site”, ma a
distanza, condividendolo con colleghi esperti. Tutto questo
richiede non solo nuove competenze, ma soprattutto un mutamento “culturale” che dobbiamo essere pronti a promuovere anche a livello formativo.
Pertanto molte problematiche rimangono tuttora aperte sia
sui contenuti (quali sono i “requisiti minimi” di una formazione di base? E di un corso più avanzato?) sia sui soggetti
ai quali tale formazione debba essere indirizzata a seconda
dei diversi livelli (laureati tecnici, biologi, medici?) ed infine
su chi debba costruire tale offerta formativa e secondo quali
modalità (master di I o II livello? Periodi di formazione
specifici all’interno di corsi di specializzazione? Corsi riconosciuti extrauniversitari? Formazione sul campo?).
Risulta, però, chiaro che l’attuale confusione di ruoli e
competenze non può che essere nociva ad una “disciplina”
che proprio in quanto poco quantizzabile ed oggettivizzabile
risulta gravata da una certa soggettività di giudizio e pertanto
richiede un’impostazione ancor più rigorosa ed un’esperienza notevolmente approfondita.
Un altro importante tema, connesso a quello della formazione è il tema della “valutazione del citologo”. Anche in
questo caso possiamo considerare un test di base relativo alla
valutazione delle competenze indispensabili per accedere
all’attività di citoscreener, un secondo, teso alla valutazione
del mantenimento di tali competenze nel tempo, e infine
una prova che riconosca abilità e competenze maggiori.
A differenza che all’estero, in questo campo in Italia non
esistono modelli specifici ed universalmente accettati, ma
si è finora fatto riferimento, in maniera volontaristica, a
test messi a punto altrove (Test Europeo di Competenza o
Aptitude test).
374
Tecniche di Biologia Molecolare:
ruolo ancillare o diagnostico
A. Caleo
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Sezione di Citopatologia, Università “Federico II” di Napoli
Molte metodiche di Biologia Molecolare (ibridazione in situ,
PCR, Southern Blotting, gene-microarrays) possono oggi essere agevolmente applicate a campioni citologici [1].
Gli acidi nucleici possono infatti essere estratti da diversi tipi
di preparazioni citologiche: campioni citologici in sospensione freschi o fissati, vetrini di archivio, preparazioni cell-block.
La quantità di acido nucleico estratto correla principalmente
con la cellularità di partenza. Per tale ragione le metodiche di
amplificazione come la PCR/RT-PCR sono le più comunemente utilizzate a partire da campioni relativamente piccoli
come quelli ottenuti dall’aspirazione per ago sottile (FNB).
Il ruolo della Biologia Molecolare in Citologia è a tutt’oggi
sicuramente ancillare rispetto a quella che è la diagnosi basata
su caratteri citomorfologici. Tuttavia il test molecolare è talora necessario nel determinare fattori prognostici o predittivi di
risposta alla terapia.
Le applicazioni più frequenti della Biologia Molecolare in
Citologia, in cui il test molecolare assume un ruolo diagnostico ancillare, riguardano ad esempio lo studio di clonalità
nelle malignità ematologiche, la rilevazione di microrganismi
o la rilevazione di traslocazioni o altre mutazioni a cui è riconosciuto un ruolo (patogenetico, prognostico, terapeutico) in
determinate neoplasie. Esempi di questo tipo comprendono
l’analisi dell’amplificazione dell’Her2/neu nel carcinoma
della mammella o la rilevazione di specifiche traslocazioni in
alcuni sarcomi dei tessuti molli.
In altri casi lo studio molecolare riveste invece un ruolo prettamente investigativo.
La nostra attività di ricerca si basa sullo studio delle alterazioni genetiche coinvolte nella cancerogenesi tiroidea. Negli
ultimi anni la progressiva conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nelle neoplasie tiroidee unitamente al sempre
maggior uso di tecniche di Biologia Molecolare in Citopatologia hanno portato alla conoscenza di geni rilevanti dal punto
di vista diagnostico, prognostico e terapeutico.
Nel nostro laboratorio effettuiamo lo studio molecolare su
campioni citologici di alcuni dei più comuni oncogeni coinvolti nelle neoplasie tiroidee, al fine di valutarne l’ausilio
nella diagnosi citologica pre-operatoria. In un recente studio
abbiamo dimostrato come le mutazioni dell’oncogene BRAF
e le traslocazioni ret/PTC possono essere facilmente rilevate
in materiale genomico, anche estratto da vetrini di archivio, di
lesioni tiroidee [2].
Il nostro studio prospettico viene eseguito su casi raccolti
nella pratica routinaria dell’ambulatorio di Citopatologia del
nostro ateneo. Da tali casi vengono estratti gli acidi nucleici
e si procede alla tipizzazione vera e propria degli oncogeni:
B-Raf, Ret e Trk [3].
In conclusione, le metodiche molecolari possono essere facilmente applicate a campioni citologici anche di archivio,
fornendo, oltre che prezioso materiale ai fini di ricerca, un
utile ausilio diagnostico in quei casi che non possono essere
conclusivi sulla base dei soli dati cito-morfologici.
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Utilità delle colorazioni rapide in corso
di esame agoaspirativo
F. Tallarigo, I. Putrino, U. Costa, L. Chiaravalloti, M.G.
Scalia
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San
Giovanni di Dio”, Crotone
Un Servizio di Citodiagnostica Agoaspirativa sotto guida
ecografica o tomografia computerizzata con citoassistenza
(presenza del citopatologo che, previa colorazione rapida,
effettua la lettura al microscopio del preparato), ha lo scopo
di fornire all’utenza l’accesso alle strutture ospedaliere che
garantiscano il massimo grado di accuratezza diagnostica
nell’ambito delle prestazioni ambulatoriali pubbliche erogate
dal Servizio Sanitario Nazionale. Alla base di questo percorso
c’è la stretta collaborazione tra clinico, radiologo e citologo,
sia per migliorare l’efficienza delle U.O. coinvolte nella fase
di acquisizione diagnostica, sia per garantire un’interazione
continua tra le varie componenti specialistiche nella fase terapeutica o di osservazione nel tempo del malato.
La citologia da agoaspirato con ago sottile (fine needle aspiration, FNA) è una metodica affidabile, semplice, rapida, poco invasiva, indolore, minimamente ansiogena che permette
di esaminare masse patologiche superficiali o profonde, può
essere ripetuta durante la stessa seduta, non necessita di anestesia, e che in alternativa alla biopsia evita il ricovero e l’uso
della sala operatoria. La presenza del citopatologo, che effettua rapidamente la colorazione (2-3 minuti) e che guarda al
microscopio il preparato, consente, innanzitutto, di stabilire
l’adeguatezza del campione, in maniera tale che se il materiale strisciato non risulta idoneo, il prelievo può venire immediatamente ripetuto, evitando un secondo accesso al paziente.
Inoltre consente di poter formulare una immediata diagnosi
della natura di una massa, con conseguente selezione mirata
delle ulteriori indagini diagnostiche ed anticipazione dell’iter
terapeutico. Le indagini citologiche particolari (citoinclusione, analisi dei recettori ormonali, immunocitochimica), lo
studio della ploidia, dell’indice di proliferazione delle cellule
neoplastiche, le tecniche di biologia molecolare, vengono
rimandate ad una seconda linea operativa. La FNA trova
indicazioni: a) nelle patologie nodulari di organi superficiali
(mammella, tiroide, ghiandole salivari, linfonodi, testicoli)
semi-profondi (masse addominali) e profondi (polmone, mediastino, fegato, pancreas, reni, surreni, ovaio, prostata); b)
in caso di recidiva di tumore dopo escissione chirurgica; c)
come procedura sia diagnostica che curativa per svuotare cisti
e raccolte ematiche-purulente intraparenchimali o essudati
cavitari. Nel nostro ospedale le strutture che sono coinvolte,
in questa metodica diagnostica, sono la U.O. di Anatomia
Patologica e Citodiagnostica, con un proprio ambulatorio
dotato di ecografo e microscopio, e la U.O. di Radiologia
per prelievi da masse non palpabili o profonde, utilizzando
guida stereotassica ecografica o TC. Nella U.O. di Radiologia vengono eseguiti sia esami agoaspirati ecoguidati che
TC-guidati. Il personale della suddetta U.O. ha il compito di
375
relazioni
controllare le eventuali complicanze, che possono derivare
dall’atto diagnostico, con esami mirati. Nell’ambulatorio
afferente alla U.O. di Anatomia Patologica si effettuano
sia esami agoaspirativi ecoguidati, sia agoaspirati di lesioni
superficiali, che non necessitano di guida ecografica. Nella
suddetta U.O. viene tenuto il registro delle prestazioni effettuate, si organizza l’accettazione del materiale biologico,
si forma il personale sanitario (tecnico di laboratorio) sulle
modalità procedurali relative a raccolta e processazione del
materiale biologico, organizzare il trasporto del materiale
necessario alla colorazione rapida e del microscopio presso
l’U.O. di Radiologia, organizzare l’idonea conservazione del
materiale biologico prelevato, predisporre per le ulteriori,
eventuali, indagini quali: citochimica, immunocitochimica
ecc., leggere in estemporanea al microscopio i preparati
citologici allestiti mediante colorazione rapida. Nel periodo
gennaio-luglio 2007 la nostra sezione di Citodiagnostica ha
eseguitio 748 agoaspirati con citoassistenza di cui 430 presso
l’ambulatorio di Anatomia Patologica e 318 eco-Tc-guidati
in collaborazione con l’U.O. di Radiologia. La tipologia di
organo delle lesioni è stata: 441 tiroidi, 211 mammelle, 43
linfonodi, 14 ghiandole salivari, 7 fegato, 18 polmone, 14
sottocute. Le colorazioni rapide utilizzate sono state quella di May Grunvald-Giemsa (prevalentemente usata negli
agoaspirati tiroidei) e la Ematossilina-Eosina in tutti gli altri
agoaspirati. Con la prima metodica i vetrini, dopo una rapida
asciugatura all’aria, vengono immersi nella soluzione già
pronta di May-Grunvald (10 immersioni), lavaggio in acqua
di fonte, immersi nella soluzione di Giemsa concentrata (10
immersioni), lavaggio in acqua, visione al microscopio. Con
la metodica in Ematossilina-Eosina i vetrini, previa rapida
fissazione (Cito-fix), vengono immersi in Ematossilina Gill
(10 immersioni), lavaggio in acqua distillata (10 immersioni),
passaggio in alcool 70° (10 immersioni), Eosina G alcolica
(10 immersioni), alcool assoluto (10 immersioni), diafanizzante e balsamo (15 immersioni). Il tempo medio di entrambe
le metodiche è di 2-3 minuti. Risultati citologici: Sono stati
riscontrati 7 carcinomi della tiroide, 70 carcinomi della mammella, 2 linfomi, 10 metastasi linfonodali, 4 carcinomi delle
ghiandole salivari, 2 carcinomi epatici, 3 metastasi epatiche,
4 carcinomi polmonari, 6 metastasi polmonari, 4 metastasi
sottocutanee.
Conclusioni. Così organizzata la Citologia da FNA con citoassistenza oltre a permettere, nella maggior parte dei casi,
la consegna del referto entro 24 ore dal prelievo è una metodica efficace in quanto riduce a zero gli inadeguati, evitando
un nuovo accesso presso la struttura ospedaliera al paziente,
limitando pertanto i disagi dello stesso, soprattutto per quelli
che giungono in ospedale da località lontane. Inoltre, è sicuramente una metodica di basso costo per l’Azienda, tale da porsi
come obiettivo esemplare nel processo di razionalizzazione
dei Servizi Sanitari Aziendali.
L’AUTOMAZIONE IN CITOLOGIA:
ESPERIENZE A CONFRONTO
Moderatore
G.L. Taddei (Firenze)
L’automazione in Citologia: esperienza della
regione Abruzzo
V. Maccallini, A.M. Venditti, T. Andreano
U.O. Anatomia Patologica, Ospedale “dell’Annunziata”,
Sulmona, Regione Abruzzo, Italia
Introduzione. L’esperienza abruzzese con la Citologia cervicale in fase liquida (LBC) è iniziata nel 2000, dopo l’attivazione dei 6 programmi di screening organizzato, preceduta da
corsi di formazione e da un trial randomizzato multicentrico 1
che ha confrontato le performances di LBC e Citologia Convenzionale (CC). Lo studio ha coinvolto 3 programmi con
randomizzazione di circa 8.600 donne (4.336 CC vs. 4.318
LBC). Oltre a confrontare l’accuratezza delle tecniche ha
stimato anche i costi per donna esaminata e lesione CIN2+
trovata. È stato rilevato un calo consistente di inadeguati nel
braccio sperimentale e una sensibilità essenzialmente uguale.
In controtendenza allo studio NTCC 2 le ASCUS sono diminuite in modo significativo con la LBC.
Lo screening abruzzese, dopo il confronto LBC-CC e l’impiego della lettura computer assistita FocalPoint nel Controllo di
Qualità (CdQ) in CC, ha attivato a dicembre 2006 un secondo
studio regionale randomizzato multicentrico triennale per con-
frontare le metodiche di Lettura Computer Assistita (LCA) su
LBC Cytyc ThinPrep Imaging System (TPI) e su CC Tripath
FocalPoint System (FP).
La LCA della LBC si sta rivelando una metodica pratica,
produttiva e con maggior confort ergonomico (Biscotti et al.,
2005; Chivukula et al., 2007; Bolger et al., 2006; Chase, 2006;
Ramey, 2006).
Studi pubblicati recentemente (Chivukula et al., 2007; Davey
et al., 2007; Bolger et al., 2006; Linder et al., 2006; Lozano, 2007; Pflueger et al., 2006) con metodica TPI su più di
1.000.000 di campioni, hanno dimostrato, oltre all’incremento
della produttività, un aumento statisticamente significativo della frequenza di HSIL+ sia verso CC che LBC manuale (Linder
et al., 2006; Pflueger et al., 2006; Travers et al., 2006).
Scopo della ricerca. Lo studio si propone di ottimizzare l’accuratezza diagnostica, standardizzare il CdQ con maggiore
efficienza e produttività, ridurre i tempi di lettura, abolire le
attività di preparazione e allestimento in 4 dei 6 centri regionali, standardizzare la diagnostica molecolare HPV, determinare le risorse necessarie. La valutazione costo efficacia sarà
considerata per eventuale utilizzo definitivo nello screening
regionale.
Metodi. I 6 programmi sono stati consorziati e dotati di stazioni di revisione remote. Procedure di preparazione e LCA
376
sono state centralizzate: LBC con sistema TPI nell’Anatomia
Patologica di Sulmona e CC con sistema FP nell’Anatomia
Patologica di Atri.
Vengono arruolate donne in età di screening residenti in
Abruzzo, invitate o spontanee; il 50% effettua LBC, il 50%
CC. La Randomizzazione viene eseguita a gruppi di 3 programmi che ogni 2 mesi alternano i 2 sistemi. Vengono raccolte informazioni anagrafiche e storiche delle donne.
Procedure e classificazioni diagnostiche seguono le Linee
Guida regionali.
Nel triennio è previsto l’arruolamento di circa 180.000 donne,
90.000 per braccio. Attivando metodiche d’indagine più sensibili ci si aspetta di identificare circa 10.800 ASC+ di cui 1.380
HSIL+ istologicamente confermate.
Lo studio è stato preceduto da selezione e formazione degli
operatori con corsi finalizzati e formazione personalizzata.
Entrambi i sistemi di LCA analizzano otticamente i nuclei che
vengono individuati e differenziati. La maggiore anormalità
determina la memorizzazione delle coordinate cellulari in
campi ottici (FOV) rivisti dal citologo (TPI = 22; FP = 15).
I due apparati, pur utilizzando un sistema di analisi cellulare
simile, non emettono un report finale confrontabile.
Risultati preliminari. L’esame dei dati consente di estrapolare alcuni risultati preliminari che necessitano ovviamente
della successiva conferma analitica finale.
Nel 1° semestre sono state arruolate 28.031 donne: 15.575
(55,6%) hanno effettuato CC e 12.456 (44,4%) LBC; 20.190
donne hanno risposto all’invito; 7.841 si sono presentate
spontaneamente. Il tasso di inadeguati è 5,92% in CC e 2,65%
in LBC (-55%) confermando sostanzialmente i risultati del
precedente trial abruzzese 1, dello studio NTCC 2 e della letteratura (Davey E et al., 2007). La frequenza delle ASC-US
(CC: 2,26%; LBC: 2,16%) e delle AGC (CC: 0,26%; LBC:
0,22%) è praticamente simile nei due bracci, mentre si nota
un concreto raddoppio in LBC delle ASC-H (+ 100%) ed un
considerevole incremento delle SIL (LSIL: + 167%; HSIL: +
68%). Allo stato attuale non è stato ancora possibile effettuare
le correlazioni con gli esami istologici e molecolari.
Nel primo semestre sono stati sottoposti a LCA i preparati
di 19.997 donne: 10.205 vetrini CC per il FP e 9.792 vetrini
LBC per il TPI. La correlazione con le diagnosi finali ha evidenziato che il TPI effettua la lettura nel 97,5% dei casi vs. il
88,2% del FP che ne classifica insoddisfacenti il 15,5% (vs.
Citologo: 5,9%) e subottimali il 16,5% (vs. Citologo – note:
3,3%). La LCA è risultata più completa nel braccio in strato
sottile con un minor numero di vetrini non analizzati (TPI:
2,5% vs. FP: 11,8%).
Non sembra significativa la frequenza nella categoria No Further Review di una LSIL, una AGC e 13 ASC-US, riscontrati
nel CdQ di verifica.
Ulteriore analisi preliminare è stata eseguita sulla diagnostica citologica regionale totale confrontando i risultati del 1°
semestre 2006 (n. 27.972 donne) con quelli del 1° semestre
2007 (n. 28.031 donne). Il tasso degli inadeguati ha avuto un
sostanziale miglioramento di circa il 25% (6.0% vs. 4,5%). La
frequenza delle diagnosi ha evidenziato una diminuzione delle
dubbie (ASC-US: -27%; AGC: -14%) e un aumento delle positive (HSIL: + 33%; LSIL: + 19%; CA SQUAM: + 14%).
Conclusioni. I risultati preliminari del 1° semestre, che necessitano di una rivalutazione e conferma analitica finale,
sembrano evidenziare un impatto molto favorevole dell’implementazione della LBC e dell’attivazione del TPI con incremento della produttività, minore frequenza degli inadeguati,
aumento della frequenza delle lesioni di basso e alto grado
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
e maggiore soddisfazione dei citologi dovuta alla migliore
ergonomicità del sistema.
L’attivazione sistematica della LCA in entrambi i bracci sta
favorendo una maggiore attenzione diagnostica documentata
dal confronto dei risultati del 1° semestre degli anni 2006 e
2007. La frequenza delle classi diagnostiche sembra evidenziare un’importante maturazione professionale dei citologi, da
seguire nel tempo, confermata dalla tendenza in diminuzione
delle diagnosi dubbie a favore delle positive.
Bibliografia
1
Maccallini V, Angeloni C, Zappa M, et al. Comparison of conventional smear and liquid based cytology: the result of a controlled
prospective study in the Abruzzo Region (Italy). In pubblicazione Acta
Citol.
2
Ronco G, et al. Human Papillomavirus testing and liquid-based cytology: results at recruitment from the new technologies for cervical
cancer randomized controlled trial. JNCI 2006;98:765-74.
Le nuove tecnologie della Citopatologia
M.D. Beccati
Diagnostica Citopatologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Anna”, Ferrara
Le più recenti innovazioni tecnologiche in ambito di diagnostica citopatologica sono rappresentate da sistemi di preparazione su strato sottile e lettori automatici per lo screening
cervico-vaginale computer-assistito.
Allestimento automatico su strato sottile. I sistemi di allestimento automatico su strato sottile comportano la modifica
delle procedure pre-analitiche con lo scopo di realizzare la
fissazione tempestiva e la disposizione in strato sottile delle
cellule, sia esfoliate che agoaspirate. In tale modo si ottengono: fissazione ottimale, disposizione omogenea, assenza di
fattori mascheranti, randomizzazione, ripetibilità dell’allestimento, possibilità di esecuzione di tecniche ausiliari, facilità
e rapidità di lettura ed interpretazione. Presso la Diagnostica Citopatologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di
Ferrara la tecnica di allestimento su strato sottile, sia per
sedimentazione che per filtrazione, è stata adottata dal 1996.
Verrà riportata l’esperienza di citologia della cervice uterina,
dell’endometrio, dell’urotelio e della tiroide.
Citologia cervico-vaginale: pre-screening computer-assistito. Il più sperimentato sistema di lettura computer-assistita
è rappresentato dal FocalPoint™ GS (Tripath Burlington,
USA) approvato negli Stati Uniti per lo screening primario dei
Pap test convenzionali (FDA 1998) e per lo screening primario dei preparati in strato sottile SurePath™ (FDA 2001).
Presso la Diagnostica Citopatologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara il lettore FocalPoint™ GS è stato
attivato dal 2004 su striscio convenzionale, ed applicato alla
lettura dei preparati in strato sottile cervico-vaginali SurePath™ dal 2005. La visita di 23 professionisti italiani e stranieri
ed una giornata internazionale di studio testimoniano l’impegno alla condivisione della nostra esperienza.
Caratteristiche del Lettore automatico FocalPoint™. Si tratta di un sistema automatico costituito da un cluster di computers per l’analisi morfometrica, da un microscopio motorizzato
per lo screening del vetrino, da un sistema di video-camere
che acquisisce 25 immagini di alta qualità per secondo, da un
computer d’appoggio per la generazione e la trasmissione dei
files di lavoro alla stazione di revisione remota. Tale sistema
analizza fino ad un massimo di 288 vetrini/24 ore ed accetta
377
relazioni
ugualmente strisci convenzionali e preparati su strato sottile
SurePath™. Il Sistema classifica i vetrini in tre gruppi:
1)No Further Review. Il sistema elimina una percentuale variabile (massima 25%) di vetrini in cui non individua campi
meritevoli di revisione, che propone come archiviabili.
2)Review. I restanti vetrini vengono suddivisi in 5 quintili
caratterizzati da maggiore o minore rischio di anormalità
cellulari di alto grado (massimo rischio 1° quintile, minimo
rischio 5° quintile). Dei 1.000 campi memorizzati per ciascun vetrino, il sistema ne seleziona fino ad un massimo di
15 meritevoli di revisione (FoV Field of View).
3)Process review. Per motivazioni tecniche (spessore dello
striscio, fattori mascheranti, oppure colorazione o montaggio
non appropriati) il sistema può considerare un vetrino non
adeguato per l’analisi; in tale evenienza, il vetrino è posto
nella categoria Process Review, in pratica viene sottoposto
alla lettura tradizionale. La percentuale di Process review è
pertanto il primo indicatore di qualità dell’intera procedura
del Pap test, a partire dalla qualità del prelievo. La percentuale media dei vetrini Process Review è stata del 4%.
Alla fine della sessione di lavoro il sistema genera un rapporto
contenente i dati identificativi del vetrino, la percentuale di
cellule interpretabili, la presenza/assenza di cellule endocervicali, il quintile di allocazione, le motivazioni del Process
Review.
Caratteristiche della stazione di revisione. La stazione di
revisione remota, denominata Slide Wizard™, è costituita da
un microscopio motorizzato governato da un computer che
sottopone al revisore i 15 campi identificati dallo strumento
di lettura, in ordine decrescente dal campo più rilevante al
meno rilevante. Contestualmente, di ciascun vetrino vengono
riproposti il report individuale ed una mappa elettronica di
collocazione topografica dei campi (FoV) prescelti dal lettore
automatico.
Modalità di revisione. Il revisore valuta i campi proposti
dallo strumento e può inserire ulteriori campi per un’ulteriore
supervisione, demarcabili con label topografico e acronimo
della diagnosi. Alla fine della revisione, sono possibili le
opzioni di convalida (Ready for sign out) o supervisione
(Awaiting further review) del vetrino. I vetrini convalidati
sono pronti per essere refertati ed archiviati.
La quota Process Review è sottoposta a lettura tradizionale.
Tutti i Pap test interpretati ASC+ vengono sottoposti a supervisione guidata dallo Slide Wizard™.
Valutazione dei Professionisti. Qualsiasi nuova tecnologia
comporta un periodo di addestramento specifico e di adattamento. I professionisti coinvolti nella diagnostica sono
stati formati inizialmente sulla lettura dello strato sottile e
successivamente sulla lettura assistita da FocalPoint™ GS.
L’atteggiamento complessivo è stato di apprezzamento del
lettore automatico, che riduce il carico di lavoro e converte il
professionista da screener del vetrino ad interprete dell’analisi
proposta dal FocalPoint.
Risultati. Prima dell’immissione nella diagnostica di routine,
la performance del lettore FocalPoint™ GS è stata confrontata con quella della lettura tradizionale (LT), sia su striscio
convenzionale che su strato sottile. Il confronto tra LT e con
lettore automatico (FP) consta di numerosi parametri di qualità, tra i quali i più significativi sono:
– valore predittivo positivo 93,7FP/73,5LT: si è verificato
l’incremento di 20,2 punti percentuali rispetto alla LT;
– tasso di identificazione CIN2+ 4,6FP/3,1LT: si è diagnosticato il 50% in più di lesioni CIN2+;
– tempo di refertazione 5,7FP/7,7LT: si è ridotto del 30% il
tempo di refertazione.
Esperienze in Italia. In Italia, sono numerose le strutture di
Diagnostica citopatologica che hanno adottato il lettore automatico FocalPoint™ GS. Alcuni tra questi professionisti, in
ambito GISCi (Gruppo Italiano Screening Citologico, www.
gisci.it), hanno recentemente licenziato un documento di raccomandazioni sulla base delle evidenze per il governo della
diagnostica computer-assistita dei programmi di screening
italiani.
Considerazioni. Nella nostra esperienza le tecnologie di
automazione dell’allestimento e dello screening computerassistito con il lettore FocalPoint™ GS si sono rivelate sicure
alleate di una moderna Citologia.
La fish in Citologia urinaria
M. Paglierani, F. Castiglione, F. Garbini, A.M. Buccoliero,
M.R. Raspollini, G. Nesi, A. Lapini*, G. Vignolini*, G.L.
Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia;
Urologica I, Università di Firenze
*
Clinica
La FISH (Fluorescence in situ hybridization) è una tecnica
che utilizza molecole di DNA marcate con fluorofori per
evidenziare sequenze target complementari. Può essere applicata a nuclei in interfase per identificare vari tipi di alterazioni citogenetiche (aneusomie, amplificazioni, delezioni
e traslocazioni) nelle cellule tumorali maligne indipendentemente dal loro stato funzionale. Poiché la maggior parte
delle cellule neoplastiche presenta numerose alterazioni
cromosomiche, la FISH applicata ai nuclei in interfase rappresenta una tecnica ideale per l’analisi cromosomica delle
cellule tumorali. Una delle applicazioni più promettenti
nell’ambito della citopatologia urinaria è la valutazione di
anormalità cromosomiche nelle cellule uroteliali esfoliate
nelle urine di pazienti affetti da neoplasia vescicale.
Il Carcinoma Uroteliale (CU) è una malattia genetica che
presenta alterazioni cromosomiche determinate da danni
ossidativi al DNA delle cellule uroteliali della vescica e/o
delle vie escretrici superiori ed inferiori. Il CU è associato
ad una elevata probabilità di recidiva e di progressione
a forma invasiva dopo il trattamento iniziale e quindi
necessita di un follow-up regolare che consiste nella combinazione di due strumenti diagnostici: la cistoscopia e
la citologia urinaria convenzionale. Il protocollo prevede
l’utilizzo combinato delle due tecniche ogni tre mesi per
i primi due anni dopo la diagnosi iniziale, ogni sei mesi per i seguenti due anni e successivamente ogni anno.
L’algoritmo di sorveglianza presenta dei limiti sia perché
i pazienti si devono sottoporre frequentemente all’esame
cistoscopico sia perché la sensibilità totale della citologia
urinaria è piuttosto bassa (34%) e spesso vi sono risposte
citologicamente equivoche per la presenza di cellule “atipiche” di incerto significato. La specificità della citologia
urinaria è invece migliorata significativamente (96%) a
seguito dell’introduzione di metodiche citodiagnostiche in
“fase liquida”.
Recentemente sono stati proposti diversi marcatori per il
CU. Alcuni test che si basano sull’aumentato livello di antigeni urinari (NMP22, BTA stat, BTA TRAK, ImmunoCyt,
ecc.) mostrano una maggiore sensibilità, ma una minore
specificità e sono associati a numerosi falsi-positivi. Altri, più promettenti soprattutto per la diagnosi di tumori a
basso-grado, ma più costosi, si basano sulle alterazioni ge-
378
netiche presenti nelle cellule uroteliali esfoliate nelle urine
(microsatelliti, FISH).
Nel Laboratorio di Citopatologia Diagnostica del Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia dell’Università di
Firenze le cellule uroteliali esfoliate nelle urine e allestite
in strato sottile vengono prima esaminate dal citopatologo
e i casi dubbi con cellule morfologicamente “atipiche”
vengono sottoposti alla tecnica FISH UroVysion (Vysis,
Downers Grove, IL). Affiancare alla Citologia convenzionale una tecnica rapida, efficace e soprattutto non-invasiva
come la FISH ha migliorato la sensibilità e la specificità
della caratterizzazione diagnostica a indirizzo prognostico
del CU.
Il kit Multitarget, Multicolor UroVysion è stato recentemente approvato dalla Food and Drug Administration e
commercializzato come ausilio alla Citologia convenzionale. Il test è approvato come sostegno nella diagnosi iniziale
di CU in pazienti con ematuria e nel follow-up di pazienti
con precedente diagnosi di CU. Il kit UroVysion evidenzia le alterazioni cromosomiche per mezzo di tre probes
a DNA a singolo filamento complementari alle regioni
pericentromeriche dei Cromosomi 3, 7 e 17 e di un quarto
probe per il locus 9p21. La combinazione delle tre sonde
CEP (Chromosome Enumeration Probes) evidenzia l’aneusomia dei cromosomi 3, 7 e 17, mentre la sonda LSI (Locus
Specific Identifier) per il locus 9p21 evidenzia la delezione
eterozigote o omozigote del gene oncosoppressore p16
deleto circa nell’80% dei casi nella fase iniziale della cancerogenesi uroteliale. La valutazione dei segnali avviene
sotto la luce di un microscopio a fluorescenza corredato
di un set di filtri adeguati alla lunghezza d’onda dei singoli fluorofori. Lo scanning dei segnali fluorescenti viene
eseguito sulle stesse cellule considerate morfologicamente
atipiche durante l’esame citologico tradizionale (diametro
nucleare aumentato, contorni nucleari irregolari, cellule
raggruppate in clusters). Le cellule normali sono diploidi
e presentano due segnali fluorescenti per ogni cromosoma
3, 7 e 17; le cellule anormali, aneuploidi, presentano differenti pattern molecolari con perdita o acquisizione di segnali. Per ogni preparato devono essere contate un minimo
di 25 cellule morfologicamente anormali contrastate con
DAPI (4’,6-Diamidino-2-fenilindolo cloridrato). Vengono
considerati FISH positivi i casi che contengono cellule con
almeno uno dei seguenti criteri: i) aumento cromosomico
multiplo (> 2) dei cromosomi 3, 7 o 17 in almeno 4 cellule
analizzate; ii) delezione omozigote per 9p21 in almeno 12
cellule analizzate; iii) isolata trisomia dei cromosomi 3, 7
o 17 in almeno il 10% delle cellule analizzate.
La positività all’analisi FISH deve essere considerata come
un indice precoce di “instabilità uroteliale” di cellule che
vanno incontro a trasformazione neoplastica prima che la
lesione sia macroscopicamente apprezzabile alla cistoscopia e/o prima che vi sia una evidenza della malattia documentabile con la biopsia.
Jones ha suggerito che il test FISH UroVysion venga considerato una tecnica di “citologia molecolare” perché valuta
contemporaneamente sullo stesso preparato le alterazioni
morfologiche delle cellule uroteliali e le modificazioni
molecolari del DNA. Pur essendo la FISH una tecnica di
valutazione oggettiva, la valutazione dei livelli di espressione di aneuploidia, la presenza di delezione al locus 9p21
nei differenti nuclei e l’interpretazione globale dei risultati
richiede competenze specifiche, notevole esperienza ed
adeguato addestramento metodologico.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
La fish in Citologia urinaria
S. Casazza
U.O. Anatomia Patologica, E.O. Ospedali “Galliera”, Genova
I carcinomi uroteliali (UC), superficiali e invasivi, rappresentano una categoria di lesioni estremamente eterogenee, non
solo dal punto di vista morfologico (stadio e grado) e molecolare (i differenti pattern genetici ne definiscono le caratteristiche biologiche), ma anche per il diverso comportamento
clinico e di risposta alla terapia.
La maggior parte degli UC (circa il 70%), alla diagnosi, risulta
essere di tipo superficiale (circa 40% pTa, 30% pT1 e 2-5%
CIS) e di questi circa l’80% si ripresenta dopo il trattamento
iniziale (tumore ricorrente) mentre circa il 25% va incontro a
progressione verso forme più aggressive della malattia.
Poter rilevare precocemente la ricorrenza e l’eventuale progressione del tumore è chiaramente fondamentale per la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti. L’obiettivo è quindi
individuare gli strumenti più adeguati, in termini di sensibilità,
specificità e riproducibilità, per “stratificare” il rischio dei pazienti discriminando categorie di tumori a “basso rischio” e ad
“alto rischio” di ricorrenza e di progressione della malattia.
L’utilizzo combinato di uretrocistoscopia ed esame citologico delle urine costituisce l’approccio standard per la
diagnosi e la sorveglianza di questi tumori. Tuttavia entrambi i metodi, basati su criteri morfologici, presentano
delle limitazioni nell’accuratezza diagnostica soprattutto nel
rilevamento precoce delle lesioni delle vie urinarie superiori
e di quelle a stadio più superficiale, oltre a comportare costi
e “disconfort” per i pazienti. I reperti sono suscettibili di valutazione soggettiva da parte del clinico/patologo e talvolta
di “sospetta positività” o “dubbia” interpretazione, con sostanziali conseguenze per il paziente in termini di inadeguato
trattamento: ad esempio nei campioni citologici non sempre
è possibile discriminare una reale atipia da un’atipia su base
reattiva. D’altra parte anche i fattori prognostici “convenzionali” quali stadio e grado del tumore non sembrano essere
sufficientemente predittivi dei diversi comportamenti clinico-biologici dei tumori uroteliali.
La recente introduzione di tests genetici permette di superare
molti di questi problemi mediante l’analisi di specifiche alterazioni molecolari definendo il profilo biologico individuale
del tumore (es. attivazione di oncogeni, inattivazione di geni
tumore-soppressivi, riarrangiamenti cromosomici, delezioni e/o polisomie geniche) e preziose informazioni di tipo
prognostico-predittive ai fini di una precoce individuazione
della malattia, della eventuale progressione, della scelta
del trial terapeutico più adeguato e “personalizzato”, del
monitoraggio della risposta alla terapia e infine la possibile
individuazione di nuovi “target” terapeutici.
La tecnica di ibridazione in situ in fluorescenza (FISH), utilizzata direttamente su campioni di cellule ottenute da urine
spontanee o da lavaggio vescicale, ha dimostrato un’alta
sensibilità e specificità nella diagnosi di UC, anche nei tumori di basso grado. È stato sviluppato un kit commerciale
(UroVysion, Vysis-Abbott, Downers Grove, IL), approvato
dall’FDA, costituito da tre sonde fluorescenti relative alle
regioni centromeriche dei cromosomi 3 (rossa), 7 (verde)
e 17 (azzurra), per lo studio delle aneuploidie dei rispettivi
cromosomi, e ad una sonda fluorescente per il locus 9p21
(gold) che consente di rilevare delezioni omo-eterozigotiche
di questa regione.
relazioni
La simultanea valutazione dei segnali FISH viene eseguita
su almeno 25 cellule uroteliali che presentano distinti segnali
fluorescenti, non sovrapposizione dei nuclei e soprattutto
morfologia “atipica” (aumento diametro nucleare, irregolarità
dei contorni nucleari e disomogenea captazione del DAPI): le
cellule che risultano essere “FISH negative” contengono due
copie di ciascun segnale fluorescente mentre quelle ritenute
“FISH positive” possono esprimere differenti pattern molecolari di perdita o acquisizione dei segnali (score di positività
secondo le indicazioni del kit). Si desume che la tecnologia
FISH, associando al dato morfologico della citologia convenzionale l’analisi delle alterazioni del DNA cellulare, può
essere definita in termini di “Citologia Molecolare”.
Dalla più recente letteratura emerge che in circa l’80% dei UC
si verifica una delezione parziale o completa del cromosoma
9: sul braccio corto di quest’ultimo (mappato a livello del
locus 9p21) è stato identificato almeno un gene oncosoppressore frequentemente deleto nei UC. Questo gene codifica per
la proteina P16 che regola il ciclo cellulare e la sua perdita
funzionale rappresenta un evento mutazionale nella genesi
tumorale di molti UC: interviene nelle fasi precoci dello sviluppo della neoplasia e correla con la ricorrenza dei tumori
superficiali. L’eventuale progressione della malattia si associa
significativamente all’incremento dell’instabilità cromosomica e delle aneuploidie multiple coinvolgenti i cromosomi 3, 7
e 17 rispetto alle lesioni ricorrenti.
La polisomia del cromosoma 3 sembra essere espressa in circa
il 30% dei tumori, mentre quella del cromosoma 7 non supera
il 15%. Per quanto riguarda l’aneuploidia del cromosoma 17,
espressa in oltre il 50% degli UC, dati recenti la indicherebbe-
379
ro quale “marker” predittivo di progressione del tumore a stadi più avanzati. Alcuni Autori, inoltre, hanno individuato un
rischio di ricorrenza per il tumore uroteliale pari al 15% quando il test FISH risulta positivo per la delezione del locus 9p21
da solo o associata ad irregolarità relative al cromosoma 3,
mentre con un test FISH positivo per aneuploidie multiple dei
cromosomi 7 e 17 il rischio di ricorrenza e di progressione del
tumore è rispettivamente del 60% e del 30%. Inoltre numerose
evidenze confermano il ruolo della FISH quale “Anticipatory
Positive Test”: questa indagine molecolare permette di individuare la presenza di cellule neoplastiche nelle urine prima che
si manifesti la malattia, anticipando quindi il dato morfologico
(sia citologico che cistoscopico) anche di 8-12 mesi. L’elevata
sensibilità di questo test permette quindi di rilevare precocemente nuovi casi di tumore uroteliale, proponendosi quale
“test di screening” in pazienti con sintomatologia di micromacroematuria. Inoltre l’analisi del DNA non risulta inficiata
dalla presenza di intensa flogosi e da ematuria nei campioni
cellulari e il bacillo di Calmette-Guérin non interferisce con
l’integrità molecolare: il test FISH risulta estremamente utile
nel monitoraggio della risposta terapeutica.
Questi dati concorrono alla definizione di un “rischio individuale” per ogni paziente con pregresso UC in base al pattern
molecolare, proponendo nuovi algoritmi di follow-up e una
modulazione dei trials terapeutici. Infatti il paziente con test
FISH positivo, ma citologia/cistoscopia negativa, necessita di
intervalli più stretti di sorveglianza, mentre un test FISH negativo permette di dilatare maggiormente i tempi del follow-up
riducendo il numero dei controlli citologici e cistoscopici, con
indubbi benefici sia dei costi che di invasività per il paziente.
pathologica 2007;99:380-407
COMUNICAZIONI LIBERE
Follow-up di casi di citologia cervicale
borderline e negativi per atipia con
indicazione a ricontrollo citologico in una
casistica di screening spontaneo
D. Antonini, I. Rostan, C. Magnani*, M. Bonfadini*, A.
Marsico, R. Navone
Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana
dell’Università di Torino, * Clinica “S. Gaudenzio”, Novara
Introduzione. Il Sistema Bethesda 2001 prevede, per lesioni
borderline, le diagnosi di ASC-US, ASC-H e AGC ed include nei
negativi anche le alterazioni cellulari reattive (ACR). La nostra
ricerca intende, mediante adeguato follow-up (almeno due esami
citologici e/o un istologico negativi, in una casistica di citologia
cervicale seguita per 3-9 anni), stabilire la diagnosi definitiva
successiva ad atipie di tipo borderline e ad ACR senza atipie.
Materiale. Abbiamo esaminato 147.030 Pap test comprendenti
1.845 (1,3%) ASC/AGC, 704 (0,5%) L-SIL, 432 (0,3%) H-SIL,
56 (0,04%) carcinomi squamosi e 33 (0,02%) adenocarcinomi.
Avevano un follow-up considerato sufficiente 430 ASC, 54
AGC e 821 casi tra 4.577 esami citologici con diagnosi negativa per atipie ma indicazione a ricontrollo citologico per
presenza di ACR (per lo più infezioni) con ridotta leggibilità
dei preparati.
Risultati. Dei 430 casi di ASC, 305 (71%) sono benigni, 82
(19%) L-SIL, 37 (8,6%) H-SIL e 6 (1,4%) carcinomi. Tra 54
casi di AGC, 35 (64,8%) risultano benigni e 19 (35,2%) maligni (13 H-SIL, 1 carcinoma squamoso e 5 adenocarcinomi).
Suddividendo gli ASC, osserviamo nel gruppo ASC-US
(393 casi), 294 (74,8%) diagnosi definitive di benignità, 75
(19,1%) L-SIL, 20 (5,1%) H-SIL e 4 carcinomi (1%) e nel
gruppo ASC-H (37 casi), 11 (29,7%) casi negativi, 7 (18,9%)
L-SIL, 17 (45,9%) H-SIL e 2 (5,4%) carcinomi squamosi.
Su 821 ACR seguite, 757 (92,2%) sono benigne, 29 (3.6%)
L-SIL, 11 (1,4%) H-SIL, 1 (0,1%) carcinoma squamoso, 1
(0,1%) adenocarcinoma e 22 (2,7%) ASC/AGC.
Conclusioni. Per le lesioni borderline emerge l’alta predittività dell’ASC-H. Del resto, il Sistema Bethesda incoraggia
la ripetizione del Pap test dopo terapia negli ASC-US. Per le
ACR si conferma la possibilità di falsi negativi.
Infine, poiché alcuni nostri casi sono risultati positivi dopo
precedenti controlli negativi, parrebbe opportuno un followup sufficientemente prolungato (per es. controllo annuale per
tre anni) sia per le diagnosi borderline, sia per le infezioni con
ridotta leggibilità dei preparati.
Cellule endometriali
Fondo
Epiteliali
N
E
G
A
T
I
V
O
Stromali
Quantità
Architettura
Polarità
Citoplasma
Nucleo
Proliferativo
Abbondante
Aggregati
tridimensionali cilindrici
Conservata
Scarso
Isomorfo;
cromatina finemente
granulare;
nucleoli piccoli o assenti
Fusate
Pulito
Secretivo
Abbondante
Ampi aggregati
tridimensionali cilindrici
o lamine bidimensionali
Conservata
Ampio
Isomorfo;
cromatina dispersa;
nucleoli piccoli o assenti
Epiteliomorfe
Pulito/
Moderatamente
infiammatorio
Atrofico
Scarsa
Piccoli aggregati
tridimensionali cilindrici
Conservata
Scarso
Isomorfo;
cromatina finemente
granulare;
nucleoli piccoli o assenti
Abbondanti;
fusate
Pulito; istiociti
multinucleati
Iperplasia
non atipica
Abbondante
Ampi aggregati
tridimensionali;
affollamento cellulare
Disordine
architetturale
Scarso
Isomorfo;
cromatina finemente
granulare;
nucleoli piccoli o assenti
Fusate
Pulito/
moderatamente
infiammatorio
Iperplasia
atipica
Abbondante
Aggregati
tridimensionali;
affollamento
cellulare
Disordine
architetturale
Apprezzabile
Variabilmente pleomorfo;
cromatina
irregolarmente
granulare;
nucleoli
Scarse; fusate
Isomorfo;
cromatina
finemente granulare;
nucleoli piccoli o
assenti
Carcinoma
Abbondante
Aggregati di dimensioni
e con affollamento
cellulare variabili;
perdita della coesione
cellulare;
cellule isolate;
cannibalismo cellulare
Disordine
architetturale
Apprezzabile
Pleomorfo;
cromatina
grossolanamente
granulare;
nucleoli o macronucleoli
Molto scarse
o assenti;
fusate
Variabilmente
flogisticonecrotico
381
comunicazioni libere
La diagnostica citologica endometriale in fase
liquida. Criteri diagnostici e di refertazione
A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini, C.F. Gheri, D.
Moncini, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana e Oncologia, Università
di Firenze
La citologia endometriale non ha avuto la stessa diffusione di
quella cervico-vaginale. Le motivazioni di ciò sono da ricercarsi
in parte nella comune cattiva qualità dei campioni endometriali
strisciati ed in parte nelle maggiori difficoltà di interpretazione
dei reperti morfologici. Tali difficoltà interpretative sono legate
alla particolare plasticità dell’endometrio. Esso infatti, anche in
condizioni non patologiche, va incontro a vistose modificazioni
morfologiche. A differenza della citologia cervico-vaginale, la
citologia endometriale non è mai stata perfettamente codificata
né per quel che riguarda i criteri morfologici che per le classi
diagnostiche. L’avvento della citologia in fase liquida ha ottimizzato la qualità dei preparati ponendo le basi per una migliore categorizzazione diagnostica.
A partire dalla fine degli anni ’90 presso il Dipartimento di
Patologia Umana e Oncologia di Firenze sono stati condotti
diversi studi di concordanza cito-istologica endometriale 1 2
grazie ai quali si sono potuti ridefinire e proporre criteri diagnostici e di refertazione.
La diagnostica citologica endometriale si basa su valutazioni cito-architetturali quantitative e qualitative (Tabella). Va tuttavia
sottolineato che la citologia endometriale non si presta a studi
funzionali (dating endometriale) in quanto non consente di
apprezzare sino in fondo le sottili modificazioni morfologiche
cui va incontro l’endometrio sotto l’influsso ormonale. Essa al
contrario va intesa quale metodica di prevenzione oncologica.
E proprio in questa ottica che viene proposto un sistema di
refertazione semplificato: negativo per patologia iperplastica
o neoplastica; positivo per patologia iperplastica (con o senza
atipie citologiche); positivo per patologia neoplastica.
Bibliografia
1
Buccoliero AM, Gheri CF, Castiglione F, Garbini F, Fambrini M,
Bargelli G, et al. Liquid-based endometrial cytology in the management of sonographically thickened endometrium. Diagn Cytopathol
2007;35:398-402.
2
Buccoliero AM, Gheri CF, Castiglione F, Garbini F, Barbetti A,
Fambrini M, et al. Liquid-based endometrial cytology: cyto-histological correlation in a population of 917 women. Cytopathology
2007;18:241-9.
Diagnosi citologica molecolare integrata
(reflex fish) nella patologia neoplastica
dell’urotelio
C. Buriani, M. Pedriali*, M.D. Beccati, I. Nenci*
Diagnostica Citopatologica, * Anatomia, Istologia e Citologia
Patologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Anna”,
Ferrara
Introduzione. Scopo dello studio è valutare i vantaggi dell’integrazione della diagnosi citologica con UroVysion™ test
(citologia molecolare) nei sedimenti urinari di pazienti con
sospetto clinico di carcinoma uroteliale o in follow-up dopo
resezione transuretrale.
Metodi. 161 campioni di sedimento urinario (142 pazienti; età
media anni 69, range 35-91) sono analizzati con UroVysion™
test (Vysis-Abbot) nel periodo 1 giugno 2006-31 agosto 2007.
102 pazienti (71,8%) rientrano nel protocollo di follow-up dopo resezione transuretrale mentre 40 (28,2%) non hanno storia
pregressa di carcinoma uroteliale, ma presentano un quadro
clinico sospetto. UroVysionTM test è utilizzato come reflex test
su campioni allestiti tramite citologia in fase liquida (ThinPrep®,
CYTYC Corp.). Il cocktail di sonde multitarget UroVysionTM
è costituito dalle seguenti sonde: CEP3-SpectrumRed, CEP7SpectrumGreen), CEP17-SpectrumAqua, LSI9p21-SpectrumGold. Si confrontano i risultati di UroVysionTM test con le diagnosi citologiche concomitanti e con le diagnosi cito-istologiche
successive al test dove disponibili (112 casi; 69%).
Risultati. FISH e citologia classica hanno diagnosi concordante nell’80% dei casi (32% negativi, 48% positivi). Nei casi
discordanti, la FISH è positiva e la citologia negativa nell’8%
dei casi e la FISH è negativa e la citologia positiva nel 13%.
La FISH presenta una sensibilità del 97% ed un vpn di 98%;
specificità e vpp sono rispettivamente di 60% e 54%. I 32
casi FISH positivi sono stati così classificati istologicamente:
5 PUNLMP, 10 LG-PUC, 10 HG-PUC di cui 3 muscoloinvasivi, 6 CIS. L’unico caso falso negativo in FISH è stato
classificato istologicamente come PUNLMP. L’accuratezza
diagnostica della citologia convenzionale è: sensibilità = 92%,
vpn = 93%, specificità = 57% e vpp = 52%. L’integrazione
delle due metodiche fornisce i migliori risultati: sensibilità =
100%, vpn = 100%, specificità = 67% e vpp = 59%.
Conclusioni. La diagnosi citologica molecolare integrata nella
patologia neoplastica dell’urotelio si dimostra particolarmente
utile nei casi con citologia negativa o sospetta aumentando di 8
punti percentuali la sensibilità della sola citologia e permettendo
di chiarire i casi citologicamente dubbi (10/15 casi con citologia
sospetta e FISH negativa si sono rivelati veri negativi al followup cito-istologico). Essa si dimostra invece pleonastica nella diagnosi citologica di HG-PUC. L’uso della reflex-FISH consente
all’urologo di migliorare il management clinico del paziente.
Versamento pleurico ricco in eosinofili e
con elevati valori di ldh: studio clinicocitoistologico di un caso
B. Caparello, S.G. Lio, A. Leotta, M. Calderazzo*
S.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, P.O. Lamezia
Terme; * S.C. Broncopneumologia, P.O. Lamezia Terme
Riassunto. È riportato un caso di un versamento pleurico a
ricca componente eosinofila e con valori elevati di LDH. La
particolarità del caso consiste nel fatto che usualmente elevati
valori di LDH nel liquido pleurico sono molto suggestivi di
etiologia neoplastica. L’esame citologico del versamento e
quello istologico delle biopsie, eseguite sulla pleura parietale
in corso di videotoracoscopia, sono stati negativi per processi
flogistici specifici e per neoplasia.
Caso. Paziente di sesso maschile, di anni 25, che praticava
attività sportiva non agonistica. Ricoverato presso l’U.O. di
Broncopneumologia per toracodinia sinistra, febbricola e riscontro radiografico di versamento pleurico sinistro. L’esame
TC torace con mdc ha evidenziato versamento pleurico posterobasale sinistro, in parte saccato, con parziale atelettasia del lobo
inferiore del polmone sinistro. Il test cutaneo alla tubercolina
(intradermoreazione alla Mantoux) è risultato negativo. Il test
immunologico per la diagnosi di infezione tubercolare (QuantiFERON-TB) è risultato negativo. Esami ematochimici anormali: IgE totali = 418 Ul/ml. Sono state eseguite, a distanza di una
382
settimana, due toracocentesi sotto guida ecografica, la prima con
evacuazione di circa 250 cc di liquido rosato, la seconda di circa
500 cc di liquido giallastro. I campioni sono stati sottoposti ad
esame citologico, biochimico e colturale. L’esame citologico ha
evidenziato un essudato a ricca componente eosinofila, l’esame
colturale ha dimostrato l’assenza di lieviti e di carica batterica,
l’esame biochimico ha evidenziato in particolare: glucosio 10
mg/dL; proteine totali 5,8 g d/L; LDH > 6441 U/L; pH 7,12.
Discussione e conclusioni. I versamenti ricchi di eosinofili
(in percentuale superiore al 10%) configurano il quadro delle
cosiddette pleuriti eosinofile 1 alle quali è attribuibile un generico significato di spia immunologica, senza alcuna specificità. I versamenti a più elevata rappresentazione in granulociti
eosinofili sono quelli associati a pneumotorace, ad infiltrato
fugace di Loffler, a malattie allergiche, a forme fungine e
parassitarie a carattere sistemico, a collagenopatie, a traumi
toracici, a tubercolosi, ad alcune neoplasie maligne, al morbo
di Hodgkin (varietà scleronodulare).
L’esame citologico del liquido pleurico, della prima evacuazione, ha evidenziato prevalentemente una popolazione linfocitaria con granulociti eosinofili superiori al 10% e assenza
di cellule atipiche. All’esame citologico del liquido pleurico
prelevato con la seconda toracocentesi, a distanza di una settimana, i granulociti eosinofili erano circa il 50% delle cellule,
oltre a linfociti e rare cellule mesoteliali. La particolarità di
questo caso consiste nel fatto che l’ipereosinofilia del liquido
pleurico della seconda toracocentesi, si associa, ad un valore
elevatissimo di LDH che suggerisce una patologia neoplastica
primitiva o secondaria 2 e ad un valore basso di glucosio che
è compatibile con una patologia tubercolare o neoplastica. La
videotoracoscopia del polmone sinistro ha evidenziato abbondanti coaguli di fibrina e di aderenze pleuroparietali multiple
in parte contenenti sacche liquide, e non vere e proprie nodularità sospette in senso neoplastico. L’esame istopatologico e
immunoistochimico delle biopsie pleuriche parietali ventrali
e diaframmatiche ha evidenziato un quadro compatibile con
pleurite aspecifica e assenza di reperti neoplastici.
Escluse le diagnosi di empiema pleurico, di infezione tubercolare del polmone, e di neoplasia primitiva o secondaria pleuropolmonare, si può ipotizzare che questo caso, considerata la
storia clinico-anamnestica, si sia manifestato verosimilmente
in seguito ad attività fisica con trauma misconosciuto; quindi
un versamento pleurico particolarmente ricco in eosinofili (almeno il 50% delle cellule), con valori elevati di LDH e bassi
valori di glucosio pleurici, non necessariamente è associato a
neoplasia primitiva o secondaria del polmone.
Bibliografia
1
Bower G. Eosinophilic pleural effusion. A condition with multiple
causes. Am. Rev. Respir. Dis., 95, 746, (1967)
2
Koss LG, et al. Eosinophilic pleural effusion. Acta Cytol 1979;23:40.
Test HPV sì, test HPV no
F. Castiglione, A.M. Buccoliero, F. Garbini, C.F. Gheri, D.
Moncini, D. Rossi Degl’Innocenti, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia Università
di Firenze
L’infezione da Human Papilloma Virus (HPV) è una delle più
frequenti malattie sessualmente trasmesse nel mondo. Nel sesso
femminile l’infezione da HPV può determinare quadri patologici diversi per gravità e presentazione clinica, infatti numerosi
dati epidemiologici e biomolecolari hanno dimostrato il rapporto
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
tra infezione da HPV ed insorgenza del carcinoma della cervice
uterina anche se questa è considerata una condizione estremamente rara di una infezione estremamente frequente. Numerose
metodiche diagnostiche sono state proposte quale possibile
integrazione o alternativa al Pap-Test tradizionale. Tra queste la
citologia in fase liquida, la lettura automatizzata dei preparati, il
test per la determinazione del genoma virale o ancora indagini
immunocitochimiche o biomolecolari volte a valutare la persistenza dell’infeziona da HPV e/o l’integrazione virale.
Scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’utilità del
test per l’HPV in modo generalizzato e primario o soltanto nei
casi citologicamente dubbio o ancora come indagine preliminare alla vaccinazione.
Bibliografia
Lee SH et al. Infect. Agents Cancer 2007;52:11.
Il ruolo del tecnico nel controllo di qualità
nel laboratorio di Anatomia Patologica di
Lamezia Terme
M. Cerra, G. Coppola, M. Costabile, F. Fiorenzo
S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme
Introduzione. Uno dei principali obiettivi di un Servizio di
Anatomia Patologica è quello di fornire referti diagnostici
isto-citologici accurati, completi, tempestivi e clinicamente
rilevanti, basati sull’osservazione di preparati allestiti secondo
procedure tecniche ottimali. L’Anatomia Patologica di Lamezia Terme ha ottenuto la certificazione di qualità secondo le
norme UNI EN ISO 9001:2000, nel 2005 ed ha superato la
prima verifica ispettiva nel 2006.
Il tecnico di laboratorio ha avuto ed ha un ruolo molto importante per il raggiungimento ed il mantenimento di tale risultato
in quanto riveste un ruolo chiave nel mantenere sotto controllo
costante tutto il processo produttivo, dall’accettazione dei
campioni citologici e istologici, all’allestimento di preparati
di qualità, all’archiviazione dei reperti anatomici, dei vetrini
e dei blocchetti di paraffina, alla gestione delle apparecchiature, della sicurezza, degli acquisti dei materiali di consumo e
dei reagenti, della gestione delle scorte e del monitoraggio e
controllo della spesa. L’attività del tecnico è fondamentale in
comunicazioni libere
quanto contribuisce in maniera determinante a favorire l’attività diagnostica del patologo.
Discussione. I campioni citologici e istologici pervengono al
laboratorio accompagnati dal modello di richiesta, che riporta
i dati anagrafici del paziente e le notizie cliniche, MOD-C.Q.I.
Richiesta esame citologico/istologico/estemporaneo.
Il tecnico controlla il materiale ricevuto, la completezza dei
dati riportati sul contenitore e la corrispondenza con quelli
riportati sulla richiesta d’accompagnamento e annota tutte le
difformità e le anomalie riscontrate sul modello MOD-C.Q.I.
- ricezione campioni citologici extravaginali, vaginali e istologici.
383
I casi di non conformità sono analizzati con cadenza semestrale dal Responsabile S.G.Q., esaminati con la direzione
e adottati gli eventuali provvedimenti correttivi necessari,
coinvolgendo le U.O. richiedenti a prestare maggiore attenzione sia nella compilazione delle richieste d’esame che nelle
procedure d’invio dei materiali da esaminare.
Le colorazioni standard sono: Emotossilina-Eosina per i preparati istologici, Papanicolaou per i citologici vaginali, Papanicolaou e May-Grunwald-Giemsa per la citologia agoaspirativa. Eventuali colorazioni speciali sono richieste dal patologo
sul MOD-C.Q.I. Richiesta per laboratorio cito-istologia.
384
Il tecnico è responsabile del controllo dell’efficienza, della
sicurezza e della predisposizione delle apparecchiature, per le
quali sono previsti interventi di manutenzione:
– ordinaria;
– programmata;
– straordinaria.
Anche i reagenti ed i materiali utilizzati nel corso dei processi
sono correttamente conservati, annotando su apposito modello
il rilevamento giornaliero della temperatura e quotidianamente sottoposti a controllo di idoneità all’uso (integrità, scadenza) prima dell’utilizzo.
Per i prodotti non conformi, nel caso in cui la non conformità
dipenda dal fornitore, il tecnico annota sul MOD-C.Q.I. – segnalazione di fornitua non conforme, informa il responsabile
del Sistema di Gestione Qualità ed il direttore, e segnala il
problema all’Ufficio acquisizione beni e servizi per la soluzione del problema.
Fondamentale è il controllo quotidiano preventivo delle soluzioni e dei reagenti impiegati nelle procedure di fissazione,
inclusione e colorazione, al fine di ottenere sempre preparati
di qualità ottimale standard. A tale scopo è necessario provvedere alla loro sostituzione prima che siano alterate dal carico
di lavoro con annotazione nei relativi modelli predisposti.
Per quanto riguarda la sicurezza sul luogo di lavoro, sono
stati analizzati i tre tipi di rischio, fisico, chimico e biologico
e discusse le relative procedure di prevenzione.
A tale scopo, nei locali del laboratorio sono stati affissi dei
cartelli segnaletici e dei posters illustrativi in cui sono specificati tutti i tipi di rischio e le relative misure di prevenzione,
inoltre una mappa dei rischi, riportata sulla piantina planimetrica, è esposta nel corridoio all’ingresso del reparto.
Infine, il tecnico si occupa delle richieste di acquisto dei reagenti e materiali di consumo, del loro corretto stoccaggio; tiene
sotto controllo il carico e lo scarico dei vari prodotti mediante
una gestione computerizzata che consente anche la valutazione
continua delle risorse giacenti e il monitoraggio della spesa.
Bibliografia
1
Norme UNI EN-ISO 9001-2000.
2
Daniel S, et al. Manuale di tecnica cito-istologica. Bologna: Documentazione Scientifica Editrice 1977, p. 706-71.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Carcinoma midollare della tiroide senza
disendocrinopatia: Sindrome di Sipple o
patologia a carattere eredo-familiare?
C. Criaco, N. Aspromonte*, G. Avenoso
Unità di Citopatologia, Ospedale Civile di Locri, * Divisione
di Chirurgia, Ospedale Civile di Siderno
Il Carcinoma midollare della tiroide (TMAC) è una patologia
neoplastica che deriva, in forma pressoché esclusiva, da degenerazione tumorale delle cellule parafollicolari della tiroide
che secernono calcitonina. Tale patologia è noto essere spesso
associata alla presenza di Neoplasia Endocrina Multipla Familiare (MEN) che si caratterizza per un aumento dei livelli plasmatici di diversi ormoni ipofisari e per una serie di alterazioni
sistemiche ad esso correlate. Altra caratteristica di questa forma
è l’età giovanile di insorgenza della patologia e di una certa
familiarità che, nell’insieme configurano, assieme alla presenza
di feocromocitoma e di iperplasia delle paratiroidi, la cosiddetta
Sindrome di Sipple.
Qui riportiamo un caso di TMAC, apparentemente non associato a sindrome completa. E.Z. di 27 anni, è giunta alla nostra
osservazione in quanto un esame ecografico, eseguito in assenza
di sintomatologia significativa, evidenziava un piccolo nodulo
unico, ipoecogeno, solido a margini netti di circa 6 mm di diametro, localizzato a livello del lobo dx della tiroide. L’esame
citologico sull’agoaspirato ha documentato la presenza di cellule dall’aspetto fusato, nucleolate e talora con nuclei di grosse
dimensioni. Inoltre, in alcuni campi, si evidenziava una ricca
cellularità con un background di materiale amorfo strutturato,
riferibile a sostanza amiloide associata alla presenza, sul fondo,
di elementi cellulari di cospicue dimensioni, francamente atipici. Un esame immunocitochimico, infine, ha documentato la
presenza di significativa positività per la calcitonina a documentazione dell’origine degli elementi cellulari rilevati dalle cellule
parafollicolari e quindi, della possibile presenza di un TMAC.
Eseguita la resezione chirurgica della tiroide, tale diagnosi è
stata confermata successivamente dall’esame istologico ed immunoistochimico effettuato sul pezzo operatorio.
Tale reperto, ha indotto a verificare l’esistenza di familiarità per
la patologia neoplastica e ad esplorare l’assetto neuroendocrino
della paziente, rilevando la presenza di un altro caso, in famiglia, di neoplasia tiroidea giovanile, pur in assenza di specificità
per l’origine parafollicolare della neoplasia. Inoltre, non era
possibile rilevare alterazioni delle concentrazioni plasmatiche
di ACTH, di somatostatina e di calcitonina. Inoltre, non erano
evidenti alterazioni dei livelli delle catecolamine urinarie e dei
livelli di paratormone. Unico elemento che si repertava nel caso
in esame e nella storia familiare della paziente, era la presenza
di ipertensione arteriosa giovanile.
Ne deriva, che il caso esaminato di TMAC, pur in presenza di
evidente familiarità e di alterazioni giovanili riferibili ad ipertensione arteriosa, non si associava, allo stato, a MEN. Ulteriori
studi sono richiesti per verificare l’esistenza di una alterazione
neurendocrina più fine associata alla patologia neoplastica verificata nel caso studiato. In tal senso, si è proceduto alla valutazione dell’assetto genico della paziente e dei suoi collaterali, in
particolare per la ricerca di mutazioni puntiformi del gene RET,
localizzato a livello del cromosoma 10, che sembrerebbe rappresentare il substrato genico di tale patologia che potrebbe fornirci
l’elemento interpretativo più significativo per l’inquadramento
del caso in esame.
385
comunicazioni libere
Esperienza della lettura computer assistita
2004-2006
N. De Maria, A. Arcoria, V. Aricò, V. Lombardo, M.P. La
Fauci, R. Valveri
AUSL 5, Screening per la prevenzione del Cervico-Carcinoma Messina
Lo Screening per la prevenzione del Cervico-Carcinoma di
Messina si avvale di un sistema di lettura Computer-Assistita mediante Focal Point SW (Slide Wizard) che affianca
la lettura del citologo. Il Focal Point funziona tramite un
sistema di analisi di immagini che valuta i vetrini in base ad
algoritmi complessi classificandoli secondo la probabilità
che questi contengano anomalie morfologiche cellulari e li
suddivide in 5 quintili con probabilità decrescente dal 1° al
5° di contenere tali anomalie. Per anomalie cellulari si intendono tutte le alterazioni citomorfologiche di tipo reattivoriparativo, pre-neoplastico e neoplastico. Le anomalie cellulari vengono rappresentate da 15 aree o “campi di visione”
(FOV) ritenute dal Focal Point come più significative per la
diagnosi. Questi campi vengono trasmessi ad una “stazione
di revisione” (SW) il cui microscopio è in grado di ricollocarli tramite un comando a pedale, sul vetrino. Si ottiene così
una mappatura del vetrino; il citopatologo vede le 15 aree e
valuta anche il resto del vetrino per giungere ad una diagnosi
citologica finale. Inoltre il Focal Point segnala nel modulo di
stampa (REPORT) la presenza o l’assenza della componente
squamosa ed endocervicale, la percentuale di flogosi e/o la
presenza di sangue che offusca la lettura e li valuta come:
SAT (soddisfacente), UNSAT (insoddisfacente), SBLB
(quasi soddisfacente). I vetrini passati in macchina vengono
classificati in:
– No Further Review (NFR): rappresentano i Pap test ritenuti negativi dal Focal Point e che non necessitano di ulteriore revisione da parte del citologo, vengono comunque
rivisti con lettura convenzionale rapida perché si è visto
che ci può essere il ritrovamento in questa categoria di
lesioni intraepiteliali di basso e medio grado sul totale dei
vetrini letti (nella nostra casistica rappresentano il 25% e
abbiamo riportato un solo caso di CIN2).
– Further Review (FR): rappresentano i Pap test processati
dal Focal Point e ritenuti qualificati per la rilettura da parte del citologo, vengono suddivisi in 5 quintili (Pap test sia
negativi che positivi).
– Process Review (PR): rappresentano i Pap test non processati. Sono i vetrini che, per motivi di allestimento tecnico
inadeguato, il Focal Point non può valutare. Sono ritenuti
“non qualificati” e vengono letti in convenzionale dal citologo, nella nostra casistica rappresentano il 10%. Al fine
di ridurre questa percentuale si ritiene necessaria un’accurata preparazione tecnica del vetrino, con la presenza di
cellule endocervicali e/o metaplastiche, una fissazione che
avvenga immediatamente dopo la stesura del preparato
citologico, una colorazione con metodo di Papanicolaou,
un buon montaggio che eviti la formazione di bolle. Per la
refertazione ci avvaliamo del Sistema Bethesda 2001 il cui
fine è l’utilizzo di una terminologia standard e riproducibile tra gli operatori del settore. I dati ottenuti dalla nostra
esperienza, per gli anni 2005-2006, con lettura Computer-Assistita dimostrano che le lesioni ASC + vengono
rappresentate per l’80% nei primi due quintili e il 100%
delle lesioni di alto grado nel 1° quintile. Può accadere
di contro che non sempre i primi quintili corrispondano a
lesioni di alto grado, questo si ha quando gli aspetti citolo-
gici di situazioni cliniche quali l’atrofia, l’erosione, trichomoniasi o micosi ecc. simulano quelle caratteristiche di
atipie cellulari che il Focal Point considera come positive.
Spetta al citopatologo saper individuare tali discordanze e
collocarle opportunamente secondo una corretta e accurata
interpretazione citologica finale.
La nostra esperienza è stata positiva in termini di affidabilità
ed accuratezza diagnostica da parte del Focal Point ritenendo tale lettura sovrapponibile alla lettura di tipo convenzionale. Abbiamo ottimizzato i tempi di lettura, riducendoli del
30% e questo ci ha consentito di poter dedicare più tempo
ai controlli di qualità con conseguente raggiungimento di un
valore predittivo per positivo (VPP) per H-SIL pari a 1. Questo contribuisce a sostenere l’implementazione delle nuove
tecnologie (Focal Point SW).
Bibliografia
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GISCi. Raccomandazioni GISCi per l’applicazione di nuove Tecnologie nei programmi di Screening della Cervice Uterina. Documento
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2
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3
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4
GISCi. Raccomandazioni per il controllo di qualità in citologia cervico-vaginale. Epidemiol Prev 2004;28:(Suppl 1):1-16.
Vantaggi e difficoltà dello screening
citologico endometriale
R. Depietra, M.T. Trentin, D. Toso, G. Lodovichetti
Laboratorio Pennelli di Istopatologia e Citologia, Padova
Introduzione. Le neoplasie endometriali sono affezioni tipiche del post-menopausa e in genere uno screening mirato è
previsto solo per una circoscritta popolazione asintomatica ma
ritenuta a rischio. Il pap test ha dimostrato al riguardo scarsa
sensibilità. Più attendibile è la citologia endometriale per
aspirazione o brushing in soggetti con iperplasia ghiandolare
postmenopausale per la possibilità di evidenziare “atipie” talora correlate a terapia ormonale sostitutiva o antiestrogenica
per tumori mammari 1 2.
Metodi. Nel periodo 2005-2007 sono stati esaminati 11316
casi di citologia endometriale in soggetti di età compresa fra
35 e 75 anni. Alcuni reperti citologici “atipici” sono stati riesaminati con ulteriori prelievi per controllo istologico.
Risultati. I risultati delle nostre osservazioni sono stati riassunti nella Tabella I.
Tab. I. Risultati delle osservazioni citologiche endometriali di
11316 casi.
N° casi
%
Inadeguati
Diagnosi citologica
1969
17,4
Negativi (reperti con aspetti follicolinici,
progestinici, misti, disfunzionali, atrofici)
7866
69,5
Iperplasia ghiandolare senza atipie
1405
12,4
Iperplasia ghiandolare atipica (AGC)
76
0,7
29 dei 76 casi classificati AGC in citologia sono stati riesaminati per controllo istologico con il seguente risultato: 5 adenocarcinomi endometrioidi, 2 carcinomi recidivi dell’ovaio
con metastasi endometriale, 1 adenocarcinoma in situ endo-
386
cervicale, 3 iperplasie adenomatose atipiche dell’endometrio,
5 iperplasie ghiandolari semplici, 13 reperti negativi correlati
peraltro a lesioni benigne coerenti con fibromatosi, polipi o
altro.
Conclusioni. In conclusione riteniamo che lo screening citologico oncologico endometriale rappresenti tutt’oggi una
metodica discutibile qualora non venga ristretta a soggetti a
rischio o clinicamente sintomatici. I reperti inadeguati (17%)
e la difficoltà diagnostica nell’intepretare la natura di aggregati epiteliali in soggetti con atrofia rappresentano un limite a
questa metodica che richiede grande esperienza e applicazione
da parte del citologo. Tuttavia in un numero significativo di
casi (12%) è stato possibile indicare al clinico una iperplasia
benigna senza atipie. Solo in una piccola percentuale di soggetti abbiamo riscontrato quadri “atipici” che richiedevano
ulteriore controllo istologico (0,7%).
Bibliografia
1
Koss LG, Melamed MR Koss. Diagnostic cytology and its histopathologic bases. Vol. 1. Lippincott 2006, p. 422-65.
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Cibas ES, Ducatman BS. Cytology. Toronto: Saunders 2003, p. 47-50.
1° caso
Assessment of rt-pcr detection of Human
Mammaglobin for the diagnosis of breast
cancer derived pleural effusions
F. Fedeli, P. Ferro*, A.M. Carletti**, B. Bacigalupo,
P. Dessanti, M.C. Franceschini, L. Pratticò**, P.A. Canessa**,
S. Roncella
Division of Histopathology and Cytopathology, “Sant’Andrea” Hospital, La Spezia; * AIL, Sezione “Francesca Lanzone” La Spezia; ** Division of Pneumology, “San Bartolomeo”
Hospital, Sarzana, Italy
Introduction. Pleural effusions (PE) are commonly observed
in patients with breast cancer (BC) and predict an extremely
poor prognosis.
Detection of BC cells in PE is usually achieved by routine cytomorphology. However, the diagnosis by this methodology is
often difficult due to the small number of malignant cells and
their dispersion among reactive mesothelial cells, monocytes
or red blood cells. Therefore, more sensitive and specific techniques for diagnosis of PE would be required.
Recently, polymerase chain reaction (PCR) for Human mammaglobin (hMAM) gene has been developed for the detection
of BC micrometastasis and it has been proven to be highly
sensitive. The aim of this study is to investigate the possible
application of a nested RT-PCR for hMAM mRNA as an adjunctive test to cytology in the diagnosis of PE.
Materials and mathods. Two-hundred and fifty PE including 28 from BC, 116 from other cancers and 102 from benign
diseases were subjected to nested RT-PCR for hMAM and the
results were compared to conventional cytology. Moreover,
diagnostic performance of the test was assessed by computing
sensitivity (Se), specificity (Sp), accuracy (Ac), positive predictive value (PPV) and negative predictive value (NPV).
Results. hMAM was found expressed in 76/250 (30.4%) total
PE and in 23/28 (Se of 82.1%) of the PE sub-group related to
BC. The Sp for hMAM detection method was 75.7%, while
Ac, PPV and NPV were 76.4%, 30.3% and 97.1%, respectively. hMAM was also detected in 46/116 (39.6%) PE from other
types of cancer and in 7/102 (6.9%) from benign diseases.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Comparative analysis of RT-PCR and cytology showed that
14 PE from BC (50%) were positive by both PCR and cytology, 9 (32.1%) were positive only by PCR and 5 (17.9%) were
negative by both tests. RT-PCR increased Se of cytology of
32.1% (McNemar test p-value = 0.004).
Conclusions. RT-PCR for hMAM was more sensitive than
cytomorphology. So, although hMAM is not BC specific, it
may be useful in adjunct to cytology for the routine screening
of malignant BC effusions.
2° caso
Carcinoma a cellule aciniche del pancreas
V. Canzonieri, T. Salviato, T. Perin
S.O.C. di Anatomia Patologica, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, Istituto Nazionale Tumori, IRCCS
Descrizione del caso. Soggetto di sesso maschile di anni 23
con dolori addominali diffusi e perdita di peso. Una TAC
dimostrava la presenza di una massa pancreatica della testa e
del corpo di verosimile natura neoplastica con estensione al
tessuto peripancreatico. Erano presenti anche lesioni nodulari
multiple al fegato. L’esame citologico sottoguida ecoendoscopica (EUS-FNAC) era diagnostico per neoplasia epiteliale
ad aggregazione solida o vagamente acinare ad elementi di
piccola-media taglia monomorfi con lievi irregolarità nucleari, cromatina a “clumps”, evidenti nucleoli e citoplasma
“granuloso” eosinofilo. Tali elementi presentavano PAS-D
– positività di membrana (apicale). I risultati dell’indagine immunocitochimica su tali elementi sono riportati in Tabella I.
La diagnosi posta fu di carcinoma a cellule aciniche del pancreas.
Nel presente caso le diagnosi differenziali, su base citomorfologica, includono i tumori neuroendocrini, che però in genere
hanno citoplasma non granuloso, cromatina tipo “salt and
pepper” e nuclei privi di evidenti nucleoli; il tumore solido
pseudopapillare che presenta, in genere, architettura papillare
e maggior monomorfismo citonucleare; l’adenocarcinoma
duttale che ha maggior background flogistico e talora evidente
arrangiamento tubulo-ghiandolare.
Discussione. Il carcinoma a cellule aciniche (CAA) del pancreas è una neoplasia rara. Si tratta di un’entità nota almeno dal
1947, quando fu descritta da Auger come condizione associata
a necrosi del tessuto adiposo, (da iperincrezione lipasica) 1.
Costituisce circa l’1-2% di tutti i tumori esocrini del pancreas e
potrebbe essere correlato ad un gruppo di lesioni proliferative
“acinari” che vanno dall’iperplasia, a volte atipica (che non pare
sia comunque precursore del carcinoma, come inizialmente sostenuto da alcuni Autori) 2, all’adenoma e cistoadenoma a cellule
Tab. I. Caso riportato.
Immunocitochimica
CkAE1/AE3
+
Ck7
+
Sinaptofisina
+
Alfa trispina
CEA
Cromogranina A
Ki-67
+
-/ +
+ (30%)
387
comunicazioni libere
aciniche, fino al carcinoma e cistoadenocarcinoma. Si conoscono anche due varianti descritte come intraduttale e papillare 3. Il
CAA si presenta spesso in soggetti adulti, con dolore addominali vaghi e perdita di peso, ma, a volte, può essere una scoperta
incidentale. Esso può interessare la testa o la coda del pancreas,
ed è un tumore ben circoscritto, parzialmente capsulato con superficie di taglio grigio-rosea omogenea o con evidenti aree di
necrosi ed emorragia 4 5. Microscopicamente la maggior parte dei
tumori sono molto cellulati con minimo stroma e, a differenza
dell’adenocarcinoma duttale, senza desmoplasia. Sono descritti
4 pattern di crescita: acinare, solido, trabecolare e ghiandolare 6.
Il primo, presente nella maggior parte dei tumori, è spesso
frammisto con i patterns trabecolari e ghiandolari. Le cellule
neoplastiche somigliano alle normali cellule pancreatiche acinari. I nuclei sono rotondi o ovalari con lieve pleomorfismo e
con nucleoli singoli e prominenti. Il citoplasma è abbondante
eosinofilo e granuloso per la presenza di granuli di tipo enzimatico (zimogeno) che sono PAS-positivi e diastasi resistenti, ma
nei tumori solidi la PAS positività può essere debole. L’attività
mitotica può essere variabile, da rare mitosi fino a più di 50 per
10HPF.
Poiché le cellule normali pancreatiche secernono gli enzimi
specifici, gli anticorpi di maggiore utilità da un punto di vista immunoistochimico sono quelli diretti contro tali enzimi,
cioè tripsina, chimotripsina, amilasi, elastasi, lipasi. Quando
le cellule neoplastiche mostrano segni di polarità è presente
positività apicale di membrana per questi marcatori, mentre,
nelle forme solide, la positività è in genere focale e ristretta
a cellule singole. La positività per tripsina e chimotripsina
facilita la distinzione di questi tumori dai tumori endocrini e
dai tumori solidi pseudopapillari (entrambi negativi, in genere,
per tripsina e chimotripsina). Inoltre, i tumori solidi pseudopapillari, sono positivi per α-1-antitripsina che, in genere, è
negativa nei carcinomi a cellule aciniche 6. Infine, la positività
citoplasmatica “apicale” per la reazione PAS-D, indicativa di
presenza di zimogeno, è abbastanza specifica per i carcinomi
a cellule aciniche, fornendo un ulteriore elemento utile per la
diagnosi 6.
Per quanto riguarda la possibile differenziazione endocrina,
una positività per cromogranina A e sinaptofisina può essere
riscontrata nel 30-50% dei casi di carcinoma a cellule acini-
che 7 8. In genere essa si ha nelle forme solide, come sparse
cellule tumorali positive 5. Nei casi in cui tale differenziazione
endocrina è, invece, riscontrabile in più del 25% delle cellule
aciniche neoplastiche, si può considerare la possibilità di un
carcinoma misto acinare-endocrino 6.
Nella Tabella II è riportato uno schema di diagnostica differenziale immunoisto(cito)chimica dei principali tumori epiteliali pancreatici.
Il carcinoma a cellule aciniche, studiato anche da un punto
di vista ultrastrutturale, dimostra una somiglianza con le
normali cellule pancreatiche, con un reticolo endoplasmatico
ben sviluppato e granuli di zimogeno (diametro medio di
400-500 nm) che sono comunemente orientati verso lo spazio
luminale. Un reperto interessante in tali tumori è la presenza
di inclusioni filamentose aderenti alle membrane che sono
considerate nell’ambito dello spettro morfologico dei granuli
di zimogeno 9-11. Inclusioni simili sono presenti molto raramente nei tumori endocrini 12 e pertanto esse possono servire
come markers ultrastrutturali nella diagnosi di carcinoma a
cellule aciniche.
A differenza dell’adenocarcinoma duttale, il carcinoma a
cellule aciniche mostra solo raramente mutazioni del K-Ras,
p53, p16, DPC4. Una recente analisi ha identificato perdite/delezioni in 11p nel 50% dei casi. In aggiunta il 24% dei
carcinomi a cellule aciniche hanno anomalie nel “pathway”
APC/ß-catenina, per mutazioni dei geni di ß-catenina o di
APC 13.
Da un punto di vista clinico, il CAA è, in genere, un tumore
aggressivo e la maggior parte dei pazienti muore a causa della
malattia entro una media di 18 mesi dopo la diagnosi. La
sopravvivenza a 5 anni è del 5,9%, che è comunque migliore
rispetto a quella dell’adenocarcinoma duttale 6. Pazienti giovani (meno di 60 anni) e pazienti con tumore inferiore a 10 cm
tendono ad avere una sopravvivenza più lunga, mentre pazienti con sintomi da lipasi sierica elevata vanno peggio (sopravvivenza media di 8,8 mesi). Si tratta circa del 15% circa dei
pazienti in cui si sviluppa necrosi diffusa del tessuto adiposo
sottocutaneo, poliartrite ed eosinofilia (triade di Schimd) 5 14.
Per il carcinoma a cellule aciniche pancreatico la resezione è
il trattamento di scelta con o senza radio chemioterapia, ma
nel 50% circa dei casi la malattia è già metastatica alla prima
diagnosi.
Tab. II. Diagnosi differenziale immunoistochimica dei principali
tumori del pancreas.
Bibliografia
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9
Tucker JA, Shelburne JD, Benning TL, Yacoub L, Federman M.
CCA
END
TSP
ACD
CKAE1AE3
+
+
+/-
+
Tripsina
+
-
-
-
Chimotripsina
+
-
-
-
Antitripsina
-
-
-
-
CEA
-/+
-
-
+
CK7
+
+
-
+
Cromogranina A
-/+
+
-/+
-
Sinaptofisina
+/-
+
-/+
-
CD56
-
+
+
-
Vimentina
-
-
+
-
CD10
-
-
+
-
-/+
-
+
-
ß-Catenina
CAA: Carcinoma a cellule aciniche; END: Tumori Neuroendocrini; TSP:
Tumori solidi pseudo papillari; ACD: Adenocarcinoma duttale
388
10
11
12
13
14
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Emopoiesi extramidollare in sede
paravertebrale in paziente con mastocitosi
sitemica. Case report
A.V. Filardo, L. Leonetti, A.M. Lavecchia*, L. Tucci*
U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro
Descriviamo il caso di un paziente con emopoiesi extramidollare in sede lombare paravertebrale diagnosticato tramite
FNAB. Il paziente era affetto da mastocitosi sistemica a prevalente localizzazione osteomidollare e splenica.
Paziente di sesso maschile, di anni 70, veniva ricoverato presso l’U.O. di Oncologia della nostra Azienda per pancitopenia e
splenomegalia. Veniva quindi effettuata biopsia osteomidollare. L’esame istologico evidenziava: cellularità del 100%, con
prevalenti aree midollari (circa il 60%) costituite da elementi
cellulari con nucleo ovoidale o fusato ed ampio citoplasma
eosinofilo (CD45+, CD68+ e CD117+). Veniva pertanto fatta
diagnosi di “mastocitosi”, in seguito alla quale il paziente effettuava cicli di terapia con interferone, cortisone, oncocarbide e imatinib, con miglioramento del quadro clinico. Dopo un
intervallo di 4 anni circa, un esame ecografico addominale di
controllo evidenziava in sede lombare paravertebrale dx una
massa disomogenea di circa 7 cm, iperecogena e a margini
irregolari che veniva sottoposta ad agoaspirato. Il reperto citologico, costituito da elementi immaturi ad abito mieloide, da
elementi di piccole dimensioni simili ad eritroblasti e da rare
cellule giganti con nucleo polilobato, deponeva per emopoiesi
extramidollare. Una successiva agobiopsia confermava il reperto citologico e ne permetteva la documentazione immunoistochimica (CD117-, CD45-, glicoforina+, mieloperossidasi+,
fattore VIII RA+).
La mastocitosi è una proliferazione neoplastica caratterizzata
dall’accumulo di mastociti in uno o più distretti corporei,
più frequente dopo la III decade di vita. Nel 15-20% dei casi
coinvolge organi viscerali e il midollo osseo (mastocitosi
sistemica).
Emopoiesi extramidollare nei tessuti molli paravertebrali, soprattutto in sede mediastinica, è stata descritta in pazienti con
anemie ereditarie. Nel nostro caso, la diagnosi di emopoiesi
extramidollare si basava oltre che su dati citologici, anche sul
reperto ecografico (disomogeneità ed iperecogenicità della
massa) e sulla sede, che permettevano di escludere la possibilità di un mielolipoma.
Inoltre, l’infiltrazione neoplastica della milza rendeva impossibile una emopoiesi extramidollare a livello splenico.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Adenoma pleomorfo infartuato:
presentazione di un caso simulante la
malignità diagnosticato su campione di
biopsia per ago sottile
F. Fulciniti, S. Losito, D. Di Mattia, G. Botti
Settore di Citodiagnostica, U.O. di Anatomia Patologica, Istituto Nazionale Tumori “Fondazione G. Pascale”, Napoli
Introduzione. L’infarto spontaneo delle neoplasie delle
ghiandole salivari è un evento abbastanza raro 1 2. Le modificazioni citopatologiche indotte dall’infarto ischemico sono,
pertanto, poco note a livello delle ghiandole salivari poiché
esse fanno più spesso seguito all’agoaspirato, piuttosto che
precederlo.
Metodi. Una paziente di 49 anni, che lamentava la rapida
comparsa di una tumefazione in regione pre-tragica venne
sottoposta a biopsia per ago sottile senza aspirazione, con ago
23G. La tumefazione, del diametro di 3,5 cm, era di consistenza duro-elastica e poco mobile sui piani profondi. Il prelievo,
eseguito più volte, dava esito a materiale cremoso.
Risultati. Citologicamente, in uno sfondo infiammatorio caratterizzato da un essudato granulocitario ed istiocitario, erano
evidenti, oltre a cellule acinari iperplastiche ed a cellule duttali
salivari di aspetto benigno, cellule disperse di tipo cheratinizzante, di media e grossa taglia, con gravissime atipie nucleocitoplasmatiche, che vennero ritenute fortemente suggestive
per malignità. Si consigliava, pertanto, l’escissione chirurgica con esame istopatologico intra-operatorio. Il successivo
campione chirurgico evidenziò un adenoma pleomorfo della
parotide con parziale trasformazione cistica. L’epitelio di rivestimento della parete cistica mostrava metaplasia squamosa
atipica, necrosi ed atipie nucleo-citoplasmatiche sovrapponibili a quelle osservate nel campione citologico.
Conclusioni. La possibilità di modificazioni infartuati, sia pur
se rara, va tenuta presente nella diagnostica differenziale delle
tumefazioni delle ghiandole salivari allo scopo di evitare diagnosi di falsa positività, in un distretto anatomico nel quale la
chirurgia radicale può provocare danno estetico ed anatomico
permanente.
Bibliografia
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F. Garbini, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, C.F. Gheri,
D. Moncini, D. Rossi Degl’Innocenti, A. Barbetti, A. Villanucci*, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia; * Ginecologia, Perinatologia e Fisiopatologia della riproduzione umana, Università di Firenze
Il coriocarcinoma è un tumore raro, può rappresentare una
complicanza di una gravidanza normale o patologica oppure
può insorgere nelle gonadi o in sede extragonadica indipen-
comunicazioni libere
dentemente dalla gravidanza, in uomini e donne. Nei Paesi
occidentali l’incidenza del coriocarcinoma gestazionale è di
circa 1 su 45.000 gravidanze, e nella maggior parte dei casi si
presenta in donne con meno di 35 anni. La prognosi è buona
poiché, nonostante abbia la tendenza a diffondersi in altre
parti del corpo, è estremamente chemiosensibile. La maggior
parte dei coriocarcinomi secerne gonadotropina corionica ed
il suo dosaggio nel sangue aiuta nella diagnosi della neoplasia
e nel monitoraggio della terapia.
Microscopicamente il coriocarcinoma si compone di cellule
multinucleate del sinciziotrofoblasto frammiste a cellule poligonali del citotrofoblasto e a cellule intermedie disposte in
singoli elementi o in clusters, in assenza di villi corionici. Sono presenti numerose mitosi, necrosi, emorragie ed invasione
miometriale e vascolare.
Riportiamo il caso di una paziente di 33 anni che ha avuto 2
precedenti gravidanze e 2 aborti spontanei. Nella prima metà
del mese di dicembre ha avuto un parto fisiologico. In seguito
ha presentato un sanguinamento vaginale anomalo. Alla fine
del mese di gennaio ha avuto un dolore a livello del polmone
destro. L’esame radiografico ha mostrato lesioni multiple
in entrambi i polmoni, la betaHCG raggiungeva un valore
superiore a 1.000.000 mU/mL. L’ecografia della pelvi ha
evidenziato la presenza di una massa uterina altamente vascolarizzata. La paziente è stata sottoposta ad un esame citologico
endometriale allestito con metodica in fase liquida.
Il preparato citologico presentava una moderata cellularità
composta da piccoli clusters cellulari di cellule grandi con
nuclei rotondi e cromatina dispersa, evidenti nucleoli eosinofili ed abbondante citoplasma chiaro. Occasionalmente si
osservavano cellule multinucleate. Il fondo si presentava necrotico con abbondanti cellule infiammatorie. Le caratteristiche morfologiche, in accordo con i dati clinici e radiografici,
rafforzano la diagnosi di coriocarcinoma.
In base alle nostre conoscenze questa è la prima descrizione
delle caratteristiche morfologiche citologiche del coriocarcinoma gestazionale in campioni allestiti in fase liquida.
La citologia in fase liquida è una metodica non invasiva che
potrebbe essere utile nella diagnosi del coriocarcinoma.
Applicazione di una classificazione inedita
ad un’ampia casistica di agoaspirati tiroidei
sotto guida ecografica: risultati ottenuti e
correlazione citoistologica
G. Gardini, S. Piana, M. Ferrari, E. Froio
Servizio di Anatomia ed Istologia Patologica e Citodiagnostica, Arcispedale “Santa Maria Nuova”, Reggio Emilia, Italia
Introduzione. La citologia agoaspirativa è tradizionalmente
utilizzata nella diagnostica di noduli tiroidei palpabili – in
particolare quella sotto guida ecografica –, garantisce elevati
livelli di sensibilità e specificità e consente di esaminare anche
lesioni non palpabili, fino a 0,5 cm di diametro. L’uso delle
categorie diagnostiche, condivise dai clinici, rappresenta un
elemento indispensabile in un percorso assistenziale integrato,
così da selezionare i pazienti destinati all’intervento chirurgico o al follow-up.
Metodi. Abbiamo estratto tutti i casi di citologia agoaspirativa
dal 1998 al 2006, pari a circa 15.000 esami, basandoci sul
codice SNOMED del nostro archivio informatico e li abbiamo
riclassificati utilizzando un sistema a 5 categorie diagnostiche,
in parte analogo ad altri sistemi descritti in letteratura 1 2. Tale
389
sistema rientra nella logica di classificazioni attualmente in
uso in altri campi della citologia diagnostica, in cui tra malignità (C5) e benignità (C2) si pongono due sottocategorie,
una definita “dubbia” (C3), più vicino alla benignità, ed una
definita “sospetta” (C4), più vicina alla malignità. Abbiamo
collocato le neoformazioni follicolari nella categoria “dubbia”, insieme a quei casi con alterazioni nucleari indeterminate ed insufficienti per un sospetto di carcinoma papillare, e
a quelle proliferazioni linfocitarie in assenza di epitelio, che
pongono la diagnosi differenziale fra tiroidite e linfoma. Abbiamo poi definito la categoria “inadeguato” come C1 e per
ogni categoria abbiamo cercato dei precisi criteri morfologici
riproducibili.
Risultati. Sono stati analizzati 15.534 referti citologici, pari a
13.091 pazienti, con i risultati che seguono.
C1 (“inadeguato”). La media degli esami inadeguati è passata da 20,7% del 1998 al 7,5% del 2006. Se consideriamo
che, diversamente da altre casistiche 3, non è prevista alcuna
citoassistenza, cioè nessuna valutazione immediata dell’adeguatezza del materiale, tali valori sono coerenti a quanto
riferito in un’ampia revisione della letteratura da Gharib e
Gollner 4 che, considerando più di 18.000 casi, riportano una
percentuale di inadeguati compresa fra il 2% ed il 21%, con
una media del 17%.
C2 (“benigno”). Il risultato del 74,2% si colloca nell’ambito
dei valori medi, con una scarsa variabilità nel corso degli anni. Nella revisione di Gharib e Gollner 4 la percentuale degli
esami citologici benigni va dal 53% al 90%, con una media
del 69%; nelle altre casistiche numericamente rilevanti 3 5-7, la
percentuale è compresa fra il 37% e l’87,3%.
C3 (“dubbio”). La percentuale da noi riportata in questa
categoria, che potremmo definire la vera “zona grigia” della
citologia tiroidea, è del 8,6% a fronte del 10% secondo Gharib e Gollner 4 e del 18,6% di Poller et al. 1. Tale dato risulta
soddisfacente se consideriamo che in questa categoria sono
comprese anche le “neoformazioni follicolari”, dai più inserite nella categoria delle lesioni “sospette” o “indeterminate”,
per l’accertata impossibilità di caratterizzarle con esattezza
mediante il solo esame citologico. Le neoformazioni follicolari, la cui percentuale varia dal 10% al 20% a seconda
delle casistiche 8-11, sono in gran parte costituite, alla verifica
istologica, da adenomi follicolari, per quanto comprendano
anche carcinomi follicolari e varianti follicolari di carcinoma
papillare. Il rischio dell’“overtreatment” chirurgico, che appare inevitabile in caso di diagnosi citologica di “sospetto” e che
può giungere fino all’85% dei pazienti 12, rende indispensabile
l’applicazione stringente dei criteri citologici differenziali fra
“dubbio” e “sospetto”.
C4 (“sospetto”) e C5 (“maligno”). Le due classi citologiche
comprendono un numero di casi che non eccede il 5% ed in
cui le diagnosi di malignità superano sempre quelle di sospetto. Poiché a tale valutazione segue un intervento chirurgico,
è possibile confermare il dato o valutare i motivi di eventuali
falsi positivi.
La correlazione cito-istologica è stata possibile per 1.511 pazienti, pari al 11,5% dei 13.091 pazienti che hanno eseguito
un’agoaspirazione tiroidea.
1)Dei 2.045 agoaspirati con diagnosi di C1 (inadeguato), corrispondenti a 478 pazienti, 73 pazienti (3,56%) sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico. Di questi, 56 pazienti
(76%) hanno ricevuto una diagnosi di lesione benigna, mentre 17 (23,2%) sono risultati affetti da neoplasia maligna.
Le neoplasie maligne costituiscono perciò lo 0,8% dei casi
classificati inizialmente come C1, un valore decisamente
inferiore rispetto ad altre casistiche 13.
390
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
2)Dei 1.337 agoaspirati con diagnosi di C3 (dubbio), corrispondenti a 578 pazienti, 542 pazienti (72%) sono stati
sottoposti ad intervento chirurgico. Di questi, 396 pazienti
(73%) sono risultati portatori di lesioni benigne, mentre in
146 casi (27%) la lesione è risultata maligna. Nel gruppo
delle lesioni citologicamente inquadrate come C3, le lesioni
maligne costituiscono quindi l’11%.
3)I 10 falsi positivi sono stati tutti classificati citologicamente
C4 e sono risultati, all’esame istologico:
– 4 (40%) adenomi a cellule di Hürthle;
– 3 (33%) iperplasia adenomatosa;
– 2 (20%) adenomi;
– 1 (1%) adenoma follicolare con focale metaplasia a cellule fusate.
4)I 53 falsi negativi sono risultati istologicamente:
– 25 (47%) microcarcinomi papillari (dimensioni medie
pari a 0,5 cm);
– 8 (15%) carcinomi papillari, varietà follicolare;
– 7 (13,2%) carcinomi papillari, varietà classica;
– 6 (11,3%) carcinomi follicolari;
– 4 (7,5%) carcinomi midollari;
– 3 (5,6%) carcinomi a cellule di Hürthle.
Mentre i 25 microcarcinomi papillari sono riferibili ad errori
di campionamento, i rimanenti 28 costituiscono veri errori di
interpretazione. L’analisi della performance è riassunta nella
seguente Tabella.
Analisi della performance 1998-2006
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
of thyroid carcinoma. A retrospective study in 37,895 patients. Cancer (Cancer Cytopathol) 2000;90:357-63.
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Valore
Sensibilità
90%
Specificità
97%
Nuove tecnologie nello screening del cervicocarcinoma HPV DNA test: le ragioni di un sì
Accuratezza complessiva
93%
C. Gentili
Valore predittivo positivo di C5
100%
Valore predittivo positivo di C4
93,9%
Valore predittivo positivo di C3
36,9%
Valore predittivo negativo di C2
87,3%
Conclusioni. La letteratura è ricca di proposte classificative
di vario genere, che si basano su classificazioni a 2, 3, 4, 5 e
più categorie 14. La collocazione delle lesioni follicolari in una
categoria distinta, fra le lesioni dubbie piuttosto che sospette,
costituisce l’elemento caratterizzante della presente classificazione degli agoaspirati tiroidei ed è dovuta alle seguenti
considerazioni:
– tra le “neoformazioni follicolari” citologiche, verificate poi
istologicamente, sono di gran lunga più frequenti gli adenomi, rispetto ai carcinomi 8 9. In una casistica “ecoguidata”,
le neoformazioni follicolari di piccole dimensioni costituiscono un numero cospicuo ed il rapporto benigno/maligno
cresce ulteriormente;
– collocare le lesioni follicolari nella categoria “sospetto”
(C4) significa incrementare considerevolmente il numero
dei pazienti destinati all’intervento chirurgico.
Bibliografia
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Poller DN, et al. Fine needle aspiration of the Thyroid. Importance
of an indeterminate diagnostic category. Cancer (Cancer Cytopathol)
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2
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3
Ravetto C, et al. Usefulness of fine-needle aspiration in the diagnosis
Carrara (MS)
Negli ultimi vent’anni la mortalità per tumore dell’utero è
diminuita di oltre il 50%, passando da 8,6 casi nel 1980 a
3,7 casi ogni 100 mila donne nel 2002 (tassi standardizzati
sulla popolazione mondiale). In base ai dati Istat non è tuttavia possibile discriminare come causa precisa della morte
tra carcinoma della cervice uterina o del corpo dell’utero.
Analisi di popolazione che tengono conto delle coorti di
nascita consentono comunque una distinzione sia pure approssimativa, dal momento che è noto che il tumore della
cervice uterina ha un’insorgenza più precoce rispetto al tumore dell’endometrio. Pertanto la riduzione della mortalità
soprattutto nelle coorti più giovani suggerisce che, in buona
parte, sia da attribuirsi alla diminuita mortalità per tumore
della cervice uterina.
Si stima che, ogni anno, in Italia siano diagnosticati circa
3.500 nuovi casi di carcinoma della cervice e che si registrino circa 1.100 morti per questo tipo di tumore: pochi ma
ancora troppi per un tumore che dovrebbe avere mortalità
zero.
Lo screening cervicale con Pap test è l’unico screening
oncologico che ha contribuito a ridurre in maniera determinante non solo la mortalità, ma anche l’incidenza della
neoplasia.
Questi lusinghieri risultati sono stati raggiunti anche nei
Paesi (e in Europa sono la maggioranza) in cui lo screening
è stato condotto in maniera opportunistica in cui si poteva
tuttavia contare su ottime condizioni socio-economiche e un
elevato livello culturale.
comunicazioni libere
Sul territorio italiano l’attività organizzata di screening
citologico per il carcinoma della cervice non è distribuita in
modo uniforme. Nel 1997 solo il 13,5% delle donne italiane tra i 25 e i 64 anni risultavano inserite in un programma
organizzato di screening cervicale, con una concentrazione
dei programmi organizzati al Centro e al Nord. Nel 2004
risultava inserito in un programma organizzato di screening cervicale il 64% delle donne italiane della medesima
fascia di età, ma con una differenza geografica che vedeva
una percentuale del 66% al Nord, dell’83% al Centro e del
49% al Sud e nelle Isole) 1.
Al di fuori dei programmi organizzati di screening cervicale anche in Italia è presente una rilevante attività spontanea.
È stato stimato che ogni anno in Italia si eseguono circa 6
milioni di Pap test, in strutture sia pubbliche (consultori,
ambulatori, ospedali) sia private (convenzionate e non convenzionate). Questo dato va valutato tenendo presente un
fabbisogno inferiore a 5,5 milioni annui al fine di garantire
un intervallo triennale di re-screening nella fascia di età
bersaglio.
In realtà, la quota di donne che esegue il Pap test con regolarità è molto più limitata e, in più, questa quota fa spesso
un uso eccessivo del test, talora eseguito annualmente o,
addirittura, anche più frequentemente. A ciò si aggiunge il
dato che una parte cospicua della popolazione femminile
non ha mai eseguito il test o lo esegue in modo irregolare.
È proprio su questa fascia di popolazione che si deve concentrare un programma di screening attivo. Ma quale tipo
di screening?
Molti esperti si interrogano se, alla luce delle nuove conoscenze, sia opportuno organizzare ex novo, o mantenerlo
laddove già sia stato attivato, uno screening organizzato
che abbia come test di base il Pap test considerato il gravoso impegno economico ed organizzativo che richiede,
oppure sia opportuno utilizzare nuovi test che abbiano quei
requisiti che ogni screening deve avere: basso costo complessivo, semplicità, riproducibilità, conveniente miscela di
sensibilità-specificità. Sicuramente il Pap test ha un ottimo
rapporto sensibilità/specificità; è tuttavia gravato da una
serie di requisiti tesi a garantire la qualità ma che ne rendono la sua centralità nello screening più precaria.
Infatti, ogni programma di screening cervicale:
– deve prevedere l’esecuzione di un Pap test ogni 3 anni
nelle donne di età compresa tra 25 e 64 anni;
– deve essere sottoposto ad un rigoroso controllo di qualità
che assicuri, tra l’altro, che il carico annuo di lavoro di
un citologo dedicato allo screening non superi i 7.500
Pap test, che ogni laboratorio esamini almeno 15 mila
Pap test l’anno e che il referto venga consegnato non
oltre le 6 settimane dall’esecuzione del test;
– prevede la necessità di poter disporre di ambulatori o
consultori nei distretti, presso cui effettuare il prelievo
cervico-vaginale, e di personale per l’esecuzione dei
prelievi; di laboratori di citologia, istologia e patologia
per la lettura dei preparati citologici e istologici e di personale preparato all’uopo;
– prevede l’automatizzazione della refertazione, della classificazione e dell’archiviazione dei preparati citologici e
istologici utilizzando software e classificazioni compatibili e interfacciabili con i dati delle anagrafi comunali
e sanitarie. Inoltre, si consiglia di conservare i referti
negativi per 5 anni, quelli non negativi per 20 anni e i
preparati istologici per 20 anni 2.
Il rispetto di questi requisiti renderà ben presto problematico, anche dove gli screening basati sull’esame citologico
391
sono “precariamente stabilizzati” come in Toscana, il ruolo
centrale dello “striscio” considerate tutte le professionalità
che comporta e, soprattutto, in considerazione della disponibilità alternativa di un test di biologia molecolare.
Molti studi hanno ormai segnalato un incremento di sensibilità dell’HPV DNA rispetto alla citologia convenzionale
3
e, recentemente, si rafforza la convinzione che l’utilizzo
dell’HPV test come test screening primario e la citologia
come “triage” nelle donne HPV positive incrementi la
sensibilità dell’HPV test rispetto alla citologia convenzionale, sia pure con una piccola perdita di specificità anche
nelle donne sotto i 30 anni in cui l’infezione è molto più
presente 4 5.
In Italia, il numero di donne HPV positive da testare con
citologia è relativamente basso (14% nella fascia d’età 2534 anni e 7% nella fascia 34-65 anni) 5. Ciò sta a significare
che, se lo screening primario fosse eseguito con il solo
HPV test, solo il 9% circa delle donne dovrebbe sottoporsi
ad un controllo citologico (che diverrebbe, così, un test di
2° livello), con un sensibile calo, dunque, delle prestazioni
citologiche (in un laboratorio standard passerebbero da
15.000 a 1.350) e il conseguente recupero di personale dedicato (due citologi, un tecnico ed un amministrativo) e un
inevitabile miglioramento della qualità delle prestazioni.
Quali i vantaggi, dunque, di un test di biologia molecolare
come test di screening?
1)costo complessivo molto più contenuto;
2)impiego di sistemi organizzativi più snelli e con minor
ricorso a risorse umane;
3)riproducibilità;
4)incremento di sensibilità rispetto ad un piccolo decremento nella specificità;
5)allungamento degli intervalli di screening;
Quali gli svantaggi?
1)ansietà legata all’infezione (ma non c’è anche per una
portatrice di ASCUS o di SIL di basso grado se il comunicatore comunica ansia?);
2)possibilità di falsi negativi (ma non ci sono anche nel Pap
test compresi i cancri intervallo?).
Conclusioni. Il Pap test come test di screening necessita di
un’organizzazione complessa e costosa che coinvolge più
figure professionali, molte della quali altamente qualificate. Rispetto ai test di Biologia Molecolare offre solo piccoli
vantaggi in termini di Valore Predittivo Positivo.
Poiché il vero obiettivo dello screening del cervico-carcinoma, in attesa degli effetti del vaccino, è di raggiungere
l’intera popolazione bersaglio con un test semplice, efficace e riproducibile e ciò allo scopo di ridurre la mortalità e
la morbilità della malattia, riteniamo che il Pap test debba
cedere il passo alle nuove tecnologie che sembrano rispondere meglio a tali esigenze.
Bibliografia
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programmi organizzati di screening cervicale in Italia. Osservatorio
nazionale dei tumori femminili, Secondo Rapporto 2003; 36-51.
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Cervical Cancer Screening.
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Cuzick J, Szarewski A, Cubie H, Hulman G, Kitchener H, Luesley D,
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human papillomavirus: the HART study. Lancet 2003;362:1871-6.
5
Ronco G, et al. Gynecol Oncol 2007;4 (in press).
392
La citologia endometriale in fase liquida
nel management dell’endometrio
ecograficamente inspessito
C.F. Gheri, A.M. Buccoliero, F. Castiglione, F. Garbini,
M. Fambrini*, G. Bargelli*, A. Barbetti, S. Pappalardo**,
D. Moncini, A. Taddei***, V. Boddi****, G.F. Scarselli*, M.
Marchionni*, G.L. Taddei
Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia, Università
di Firenze, Firenze, Italia; * Dipartimento di Ginecologia, Perinatologia e Fisiopatologia della Riproduzione, Università
di Firenze, Firenze, Italia; ** Ginecologo, Azienda Sanitaria
Firenze, Firenze, Italia; *** Dipartimento di Chirurgia Generale, Università di Firenze, Firenze, Italia; **** Dipartimento
di Statistica, Università di Firenze, Firenze, Italia
Nel nostro studio abbiamo valutato l’accuratezza della citologia endometriale in fase liquida confrontandola con la biopsia
di 670 pazienti inviate all’isteroscopia per inspessimento della
rima endometriale (> 4 mm) come rilevato dall’ecografia
transvaginale. In 41 casi (6%) (21 dei quali erano adenocarcinomi) la biopsia endometriale ha identificato la patologia, la
citologia in 62 casi (9%) (19 dei quali erano adenocarcinomi).
La biopsia era inadeguata in 291 casi (43%), la citologia in 28
(4%). La sensibilità e la specificità erano rispettivamente del
95% e del 98%. Il valore predittivo positivo e negativo erano
rispettivamente del 83% e del 99%. La citologia ha fornito
materiale diagnostico più spesso della biopsia (p < 0,01).
Dal momento che la citologia su strato sottile si è dimostrata
una opportunità diagnostica efficace potrebbe essere sfruttata
in associazione all’ecografia transvaginale al fine di evitare il
ricorso a procedure più costose e più invasive.
La zona grigia nella diagnosi citologica delle
lesioni mammarie: esperienza in 24 mesi
consecutivi di osservazione
A.M. Lavecchia, M. Facchini*, F. Leone**, L. Tucci
U.O. Anatomia Patologica * U.O. Radiologia ** U.O. Chirurgia, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
La citologia aspirativa per ago sottile delle lesioni mammarie
rappresenta una procedura diagnostica di comprovata efficacia, le cui caratteristiche si adattano tanto alle procedure
di screening che alla diagnostica di lesioni sintomatiche,
dove integrandosi con l’esame clinico e radiologico consente spesso di definire la natura della lesione e di indirizzare
adeguatamente il successivo iter terapeutico. Esiste tuttavia
la possibilità di un reperto non conclusivo che comprende
le lesioni dubbie (C3) e le lesioni sospette maligne (C4). In
questo territorio “grigio” rientrano lesioni benigne, maligne e
a diverso potenziale di malignità, per le quali spesso è complesso anche un corretto inquadramento diagnostico clinico
e radiologico. La diversità biologica di queste lesioni e la
necessità di facilitare la comunicazione tra i vari operatori, ha
recentemente indotto qualche Autore a proporre una categoria
unica che raccolga casi definiti “equivoci”.
Riportiamo qui i dati relativi ad una serie di 488 casi consecutivi di esami citologici mammari con esito C3 (10,4%) e C4
(7%), osservati nell’arco di 24 mesi, presso la nostra Azienda
Ospedaliera con un follow-up di 36-44 mesi.
I casi dubbi sottoposti a verifica istologica comprendevano, in
ordine di frequenza decrescente: fibroadenomi, lesioni papillari
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
benigne e atipiche, mastopatia fibrocistica con iperplasia florida
e un carcinoma in situ di basso grado nucleare. Al contrario la
maggioranza delle lesioni sospette corrispondeva a carcinomi invasivi, più spesso di basso grado nucleare; erano presenti inoltre
qualche fibroadenoma e alcune lesioni infiammatorie croniche.
La categoria C4 raccoglieva lesioni mammarie biologicamente diverse, ma più spesso maligne, le cui difficoltà interpretative apparivano fortemente correlate con le loro caratteristiche
morfologiche. La verifica istologica appare quindi per questa
categoria indispensabile. Viceversa la categoria C3 sembra
raccogliere lesioni prevalentemente benigne per le quali un
attento follow-up potrebbe sostituire la verifica istologica immediata, laddove il quadro radiologico consenta di monitorizzare adeguatamente la lesione e il quadro clinico non contrasti
con l’ipotesi di benignità.
Carcinoma mucinoso puro della mammella in
citologia agoaspirativa. Segnalazione di un
caso
S.G. Lio, B. Caparello, A. Leotta
S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme
Riassunto. Il carcinoma mucinoso della mammella è un
istotipo speciale del carcinoma duttale invasivo; nella sua
variante pura, cioè senza componente duttale invasiva di tipo
NAS, è stato riportato in percentuale compresa tra lo 0,5% e il
3% nelle varie casistiche. Per le sue caratteristiche macroscopiche di crescita espansiva a margini netti e ben definiti, può
essere scambiato per una lesione benigna. Colpisce le donne
in età più avanzata di circa 10 anni rispetto all’età media
d’insorgenza dell’istotipo usuale. La sua prognosi, allo stadio
T1, è nettamente migliore nei confronti del carcinoma duttale
invasivo NAS, le metastasi linfonodali sono rare.
Caso. Paziente di aa 60 alla quale, in corso di screening mammografico, viene riscontrata una lesione nodulare di 17 mm
di diametro, a margini ben definiti, verosimilmente benigna,
posta al confine tra QSI e QSE della mammella dx. L’esame
ecografico evidenzia una lesione ipoecogena a margini netti,
incapsulata e scarsamente vascolarizzata, verosimilmente
benigna. Il cavo ascellare omolaterale non evidenzia strutture
linfonodali ingrandite.
L’agoaspirato ecoguidato fornisce abbondante materiale denso traslucido che si asciuga rapidamente all’aria. L’esame
citologico mostra numerose cellule epiteliali ghiandolari di
piccole dimensioni, con modesta anisonucleosi e struttura cromatinica lievemente irregolare, con nucleolo evidente e scarso
citoplasma, disposte in ampi lembi coesivi bi- e tridimensionali, o isolate e disperse in abbondante materiale amorfo di
colore verdognolo alla colorazione di Papanicolaou, violaceo
o bluastro alla colorazione di May Grunwald-Giemsa, PAS
positivo.
Viene posta la diagnosi di “cellule epiteliali atipiche sospette
di malignità (C4), verosimile carcinoma mucinoso”, e la paziente operata. L’esame macroscopico del campione chirurgico evidenzia una neoformazione solida a margini netti ben
definiti rispetto al tessuto adiposo circostante, con superficie
di sezione lucente di colorito bianco grigiastro con piccole
aree emorragiche da riferire al precedente prelievo, di cm 2
di diametro. L’esame istologico ha confermato la diagnosi di
carcinoma mucinoso puro.
Discussione. Il carcinoma mucinoso è una variante, del carcinoma duttale invasivo NAS. Quando la neoplasia è costituita
393
comunicazioni libere
da una componente mucinosa pari almeno al 90%, viene
definito puro e rappresenta una neoplasia di bassa malignità
con una sopravvivenza, nei casi senza metastasi linfonodali,
sovrapponibile a quella della popolazione generale. Quando
la componente mucinosa è inferiore al 90% della massa neoplastica si definisce misto; in tal caso la prognosi è determinata dalla componente associata. Nella diagnosi differenziale
citologica va preso in considerazione il fibroadenoma che può
avere delle aree mucoidi: la presenza di cellule disposte in
aggregati bidimensionali regolari, con nuclei piccoli e monomorfi, la presenza di sparsi nuclei nudi di forma tondeggiante
o bipolari, permette di escludere il carcinoma mucinoso.
Anche l’ectasia duttale può fornire un’abbondante quantità di
sostanza mucoide all’esame citologico su agoaspirato. In tal
caso mancano naturalmente le cellule neoplastiche.
Solitamente sono positivi alla CK7 e negativi alla CK20,
l’adenocarcinoma del polmone e il carcinoma d’origine dalle
cellule follicolari della tiroide, sono invece positivi per CK20
e negativi per CK7 i tumori gastro-intestinali. Il TTF-1, di
regola, è positivo nell’adenocarcinoma del polmone e nel
carcinoma della tiroide. La tiroglobulina è positiva esclusivamente nel carcinoma di cellule follicolari della tiroide. La
Calretinina è un marcatore positivo molto sensibile e specifico
per il mesotelioma.
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Versamento pleurico sede di metastasi di
adenocarcinoma gastrico misconosciuto,
simulante un carcinoma papillare della
tiroide: studio immunocitochimico
S.G. Lio, B. Caparello, A. Leotta
S.C. Anatomia Patologica, Lamezia Terme
Riassunto. È riportato un caso di versamento pleurico positivo
per adenocarcinoma, insorto in un paziente di sesso maschile di
anni 41. L’originalità del caso consiste nel particolare pattern
citologico di crescita delle cellule neoplastiche in aggregati
papillari simulanti una localizzazione secondaria di un tumore
della tiroide. Le indagini endoscopiche e la TAC non avevano
evidenziato alcuna lesione. Dopo la diagnosi citologica, ci
viene riferito che il paziente aveva subito una gastrectomia
parziale per early gastric cancer undici anni prima.
Discussione. I versamenti pleurici positivi per neoplasia possono derivare da tumori primitivi della sierosa, i mesoteliomi, o
da localizzazione secondaria di tumori insorti in qualsiasi altra
sede corporea; più frequentemente, nell’uomo, da tumori del
polmone, dell’apparato digerente, linfomi/leucemie e melanoma, mentre nella donna il tumore secondario più frequente è
quello della mammella seguito da quello del polmone, tratto gastro-intestinale e ovaio. Per individuare l’origine della neoplasia
primitiva è necessario innanzi tutto avere a disposizione i dati
anamnestici e clinico-strumentali: nel nostro caso la clinica evidenziava solo un versamento pleurico monolaterale mentre l’endoscopia digestiva, la TAC total body e le indagini ecografiche
erano negative. L’esame citologico mostrava numerose cellule
epiteliomorfe atipiche disposte in aggregati pseudopapillari, o
simil-follicolari con citoplasma più o meno ampio e tenuamente
azzurrofilo alla colorazione di May-Grunvald e Giemsa; a volte
il citoplasma appariva microvacuolato o presentava un unico
vacuolo. Si poneva il problema diagnostico differenziale delle
neoplasie a pattern di crescita papillare di origine mesoteliale,
polmonare, gastro-enterica, tiroidea o uroteliale. È stato allestito un panel immunocitochimico con Calretinina, Citocheratina
7 e 20, TTF-1, e Tiroglobulina. Le cellule neoplastiche sono
risultate positive per Citocheratina 20 e negative per Citocheratina 7, TTF-1, Calretinina e Tiroglobulina.
Analisi retrospettiva dei criteri
citomorfologici in FNAC mammarie “C3”
atipie probabilmente benigne” dopo Vacuum
Assisted Breast Biopsy (VAAB)
Anatomia ed Istologia Patologica, Ospedale Santa Maria
delle Croci ASL l Ravenna, ** Unità Operativa di Epidemiologia e Statistica ASL, Ravenna
*
Introduzione
Le possibilità in citologia mammaria sono molteplici, da
tempo validate ed utili ai fini diagnostici e quindi prognosticiterapeutici. L’analisi citologica è infatti un test rapido, indolore e poco costoso. La frequenza però di preparati indeguati
derivanti da lesioni non palpabili fibrotiche, microcalcificazioni etc.., e la possibilità di referti non-certi ne costituisce
un limite. Sappiamo che la patologia mammaria non possiede
una gradualità di anomalie epiteliali che si possa mettere in relazione a stati precancerosi o di neoplasia intrepiteliale come
avviene per i tumori della cervice uterina, pertanto le categorie
diagnostiche nella citologia agoaspirativa della mammella
hanno una categoria C3 definita come atipia probabilmente
benigna. I report citologici devono essere concisi e non equivocabili, ma nel caso del C3 sappiamo che si tratta di una
FNAC che non ha le caratteristiche di un preparato certamente
benigno, che secondo le Linee guida Europee e Regionali
(NHSPBC, RER) dovrebbe avere un VPP del 20%, ed inoltre,
a ciò occorre aggiungere il peso determinato dalla soggettività
nella diagnosi, la quale dipende dalla esperienza del citologo,
e tende con l’aumentare di questa, a fare diminuire il numero
dei casi incerti.
Queste osservazioni di fatto hanno creato la necessità di
introdurre nuove tecnologie strumentali di prelievo molto
sofisticate come VABB, al fine di individuare il maggior
numero di lesioni possibili e di adottare quindi la più opportuna strategia terapeutica. Già sono introdotte nella pratica
corrente da alcuni anni, comunque tutte volte a identificare
i pazienti con neoplasia maligna in modo precoce e rivolte
nella nostra esperienza sopratutto alla identificazione dei
dubbi citologici C3.
Poiché quindi le aree ecografiche e/o radiologiche di interesse
da identificare possono essere esclusivamente benigne o maligne con poche eccezioni, questo studio si rivolge all’analisi
delle incertezze derivanti dalla osservazione morfologica dei
preparati classificati C3 nella nostra casistica. Sono stati
riconsiderati i principali caratteri citomorfologici di agoaspirati derivanti della nostra casistica negli anni 2005-6 e
primo semestre 2007. Per ognuno di questi è stata valutata la
prevalenza PV e accuratezza diagnostica intesa come VPP,
VPN, SE e SP. Tutti hanno successivamente eseguito biopsia
con mammotome VABB con guida radiologica o ecografica
secondo le modalità standard di multipli prelievi.
394
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Finalità di questo studio è quella di facilitare la diagnosi
identificando se possibile parametri associati più di altri alle
patologie benigne o maligne per diminuire, in definitiva, il
numero dei casi dubbi.
Nella provincia di Ravenna la popolazione è di circa 170.000
abitanti ed è operativo il programma di Screening Per la prevenzione del tumore della Mammella dal 1996. Esso si rivolge
alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni (50.000 circa)
con una compliance di 36.500 (partecipanti) e con una percentuale di richiamo del 5% (1648) delle quali vengono inviate ad
approfondimento diagnostico 190 pazienti (11,5%).
La casistica di FNAC derivata negli anni 2005-6 e I° semestre
2007 ha prodotto
Anno
2005
Anno
2006
Anno
2007
(I° sem)
Totale
C1
264
370
223
857
C2
484
582
357
1423
C3
128(11,9%)
143(13,9%)
70(9,32%)
341
C4
42
47
10
99
C5
152
194
91
437
Totale
1070
1026
751
2847
Risultato
Citologico
Da 341 FNAC C 3 non tutte sono state definite con Biopsia
poiché alcuni componenti del “Triple assesment” erano risultate benigne e pertanto inviate a controlli ravvicinati.
Sono stati estratti dalla casistica citologica i 341 esami citologici con risultato “C3 atipie probabilmente benigne” eseguite
presso il Centro di Prevenzione Oncologica in citoassistenza
e diagnosticate nella Anatomia Patologica dello stesso Ospedale Santa Maria delle Croci di Ravenna. Tutti gli agoaspirati
sono stati eseguiti da radiologi. Tutti hanno avuto una pre-diagnosi mediante la colorazione di una parte dei preparati con
colorazione GIEMSA Rapida; uno studio nostro precedentemente eseguito mostrava una % di concordanza tra diagnosi
estemporanea e diagnosi definitiva dell’85%; la differenza
era dovuta prevalentemente il passaggio alla categoria inferire diagnostica Code C2. I restanti preparati con colorazione
PAP successiva. Sono stati selezionati da queste 227 FNAC
che hanno eseguito microbiopsia con Mammotome VABB
227/341 (66,6%). Di questi hanno eseguito trattamento chirurgico 68/ 227 (30%) e sono in F-UP 159/227(70%).
Il progetto dello studio prevede anche l’analisi del risultato
microbioptico raggruppato per tipo istologico. In riferimento
alla refertazione della biopsia mammaria è stato applicato il
sistema in uso nei paesi anglosassoni:
Tab. I.
C3
VAAB
CHIR
F-UP
2005
92
27
66
2006
90
32
58
2007
45
9
35
Totale
227
68(30%)
159( 70%)
(Guidelines for non-operative diagnostic procedure and reporting in breast cancer screening; NHSBSP Publication), che
prevede 5 categorie suddivise come di seguito:
B1: Tessuto normale.
B2: Lesione benigna
B3: Lesione a potenziale di malignità incerto
B4: Lesione sospetta.
B5: Carcinoma in situ o invasivo.
Tab. II.
Anno
B1
B2
B3
B4
B5
No mammotome
2005
6
49
22
-
14
24
2006
12
47
12
-
19
20
2007
5
29
3
-
8
13
Totale
23
125
37
-
41
57
L’analisi del risultato bioptico è stato raggruppato in 5 categorie suddivise come di seguito.
Tab. III.
Anno
NPBD
(B1,B2)
PBD
CIS
CLIS
IDC
No mammotome
2005
55
22
7
1
7
24
2006
59
12
2
3
14
20
2007
34
3
3
1
4
13
Totale
148
37
12
5
25
57
1) NPDB: Fibroadenoma, quadri molteplici della malattia fibroso-cistica, adenosi sclerosante, estasia duttale, liponecrosi
e ascesso.
Il gruppo delle NPBD costituisce un complesso di lesioni
elementari, variamente associate, iperplastiche e/o involutive.
Alcune lesioni, quali l’adenosi e il fibroadenoma hanno un
pattern organoide con iperplasia lobulare e stromale e mioepiteli ben rappresentati.
2) PBD: Iperplasia duttale e lobulare atipica,adenosi, papillomi, radial scar,metaplasia colonnare.
Il gruppo delle PBD comprende lesioni proliferative epiteliali
dei dotti terminali e/o dei lobuli, caratterizzata dalla cospicua
proliferazione endoluminale o lobulare; presenta aspetti citologici e strutturali sovrapponibili a quelli del carcinoma in situ,
dal quale si differenzia esclusivamente in termini quantitativi
(un solo lume simil-duttale interessato). Comporta un aumento
del rischio di comparsa di carcinoma (RR = 4-5), nella mammella omo- o controlaterale, incrementato dalla familiarità
specifica positiva. Tuttora oggetto di discussione risulta essere
l’opportunità di considerare l’iperplasia duttale atipica una categoria diagnostica nettamente distinta dal carcinoma intraduttale:
secondo alcuni autori l’iperplasia duttale atipica è sinonimo di
carcinoma duttale in situ di tipo “clinging” ben differenziato.
Secondo la WHO, le lesioni proliferative intraduttali vengono
classificate come DIN 1A (atipia epiteliale piatta), DIN 1B
(iperplasia duttale atipica), DIN 1C (carcinoma in situ a basso
grado), DIN 2 (carcinoma in situ a grado intermedio) e DIN 3
(carcinoma in situ ad alto grado).
Vengono inserite in questo gruppo anche le lesioni papillari e
la radial-scar che, per per la limitatezza del prelievo, potrebbero essere associate a carcinoma.
395
comunicazioni libere
3) Carcinoma duttale in situ: Neoplasia epiteliale senza
evidenza di infiltrazione dello stroma circostante e, quindi,
sprovvista di capacità metastatica.La proliferazione è limitata
al lume di strutture duttali. Talora multicentrico, comporta un
rischio importante di progressione e successiva comparsa di
carcinoma infiltrante nella medesima area della mammella
sede della primitiva lesione; tale rischio, valutato globalmente
come RR = 10-12, si correla alla varietà istologica ed alla
dimensione. Holland et al. 1 proposero nel 1994 uno schema
classificativo dei DCIS che fa riferimento principalmente alla
differenziazione citonucleare (grado di pleomorfismo citonucleare) ed in seconda istanza alla differenziazione architetturale (polarizzazione delle cellule).
In base a questo schema classificativo i DCIS vengono suddivisi in tre gruppi: forme a basso grado di differenziazione,
a medio grado di differenziazione e ad alto grado di differenziazione. Allo scopo di individuare un inquadramento classificativo a preminente significato prognostico, Silverstein et al.
2
nel 1995 hanno utilizzato in prima istanza il grado nucleare
per selezionare le lesioni ad alto grado, indipendentemente
dalla presenza di necrosi, ed inserendo queste nel gruppo prognosticamente sfavorevole; i rimanenti casi a grado nucleare
basso o intermedio vengono suddivisi in due gruppi in base alla
assenza o presenza di necrosi di tipo comedo. Le linee guida
Europee per la quality assurance nei programmi di screening 3
riportano una classificazione basata esclusivamente sulle caratteristiche nucleari dividendo così i DCIS in tre categorie: DCIS
di basso grado nucleare G1, DCIS di grado nucleare intermedio
G2 e DCIS di alto grado nucleare.
4) Carcinoma Lobulare in situ: Neoplasia epiteliale senza
evidenza di infiltrazione dello stroma circostante, e quindi
sprovvista di capacità metastatica, la cui proliferazione è limitata al lume delle strutture duttulo-lobulari da cui origina,
con possibile estensione “pagetoide” in situ ai dotti limitrofi;
più frequente in premenopausa, è molto spesso multifocale e
spesso bilaterale, non dà massa palpabile, comporta un rischio
sensibilmente aumentato (RR = 8-10) ma molto diluito nel
tempo, di successiva comparsa – nella mammella medesima o
controlaterale – di carcinoma infiltrante, lobulare o duttale (ed
istotipi derivati). Morfologicamente sono stati descritti due
diversi istotipi di carcinoma lobulare in situ: il tipo A o classico caratterizzato da cellule monomorfe di piccole dimensioni
con nuclei rotondi e nucleoli poco evidenti ed il tipo B che si
caratterizza per essere costituito da nuclei più grandi con un
certo grado di pleomorfismo e talora con presenza di necrosi
centrale e microcalcificazioni. Il tipo B è da considerare una
lesione più aggressiva rispetto al tipo A classico e dovrebbe
essere trattato come un carcinoma duttale.
5) Carcinoma infiltrante: Neoplasia epiteliale in cui è evidente l’infiltrazione dello stroma e, di conseguenza, con potenziale metastatico.
Comprende numerosi tipi istologici (duttale, lobulare, midollare, apocrino, mucinoso, papillare, tubulare ecc.) e può essere
associato a carcinoma in situ.
Viene inserito in questa categoria anche il carcinoma microinvasivo la cui componente dominante è intraduttale, ma con
uno o più focolai di infiltrazione, nessuno dei quali misura
più di 1 mm.
Metodo
Sono stati rivalutati 168 preparati citologici sui 227 totali
derivanti dalle patologie più significative escludendo quindi
i preparati derivanti da tessuto normale, cisti, adiponecrosi
steatonecrosi, inadeguati per un totale di 58 casi che non sono
stati ritenuti significativi per lo studio.
Tab. IV.
variabili morfologiche
SE
SP
VPP
VPN
Daccuracy
cellularità
1
21,67%
75%
68,42%
27,69%
36,90%
coesività
2
18,75%
75%
31,58%
60%
53,57%
tubulare
3
47,37%
50,77%
21,95%
76,74%
50%
ghiandolare
4
60,53%
22,31%
18,55%
65,91%
30,95%
papillare
2.63%
73,85%
2,85%
72,18%
57,74%
mioepiteli nei gruppi
6
5
23,68%
43,85%
10,98%
66,28%
39,28%
margini nucleari
7
73,68%
80,77%
52,83%
91,30%
79,17%
nuclei nudi nel BG
8
26,32%
48,46%
12,99%
69,23%
43,45%
nucleoli
9
78,95%
53,85%
33,33%
89,74%
59,52%
dimensioni nucleo
10
25,81%
86,36%
84,21%
29,23%
41,67%
cromatina
11
97,37%
24,62%
27,41%
96,97%
41,07%
localizz nucleo
12
44,74%
63,08%
26,15%
79,61%
58,93%
cell.apocrine
13
15,79%
71,54%
13,95%
74,40%
58,93%
diatesi tum
14
39,47%
84,62%
42,86%
82,71%
74,40%
istiociti foamy
15
26,32%
59,23%
15,87%
73,33%
51,79%
mucina
16
23,68%
67,69%
17,65%
75,21%
57,74%
pop unica
17
44,74%
48,46%
20,24%
75%
47,62%
sovrapposizione cell
18
100%
18,46%
26,39%
100%
36,90%
stroma
19
28,95%
96,15%
68,75%
82,24%
80,95%
calcificazioni
20
13,16%
96,92%
55,56%
79,25%
77,98%
396
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
La rilettura dei preparati è avvenuta all’oscuro del risultato
finale microbioptico.
Queste osservazioni derivano dalla valutazione dei seguenti
parametri citomorfologici specifici (20) quelli che dalla letteratura sono considerati essere i più significativi e largamente
in uso ed utili nel definire le lesioni benigne e maligne. La
parte più cospicua del lavoro è data dal tentativo di stabilire
la “capacità” di un singolo o gruppi di fattori nell’identificare
l’esito definitivo istologico della lesione
mammaria A tal fine ed è stata eseguita una analisi semiquantitativa, talora di tipo dicotomico per alcuni fattori con
SI/NO come per:
• Architettura tubulare a stampo
• Architettura ghiandolare
• Architettura micropapillare
• Presenza di cellule mioepiteliali nei gruppi
• Nuclei nudi nel BG
• Distribuzione cromatina
• Presenza di cellule apocrine
• Presenza di necrosi
• Presenza di istiociti schiumosi
• Presenza di mucina
• Popolazione unica
• Sovrapposizione cellulare
• Calcificazioni
Mentre per i è stato definito invece uno score che in fase di
analisi statistica sono stati raggruppati come è evidenziato in
carattere corsivo:
• Cellularità: > 30 gruppi, > = 6-30 gruppi, < 6 gruppi
• Aggregazione cellulare: coesiva, mista coesiva e discoesiva, doscoesiva
• Nucleoli assenti, presenti, prominenti
• Dimensioni nucleari < = 2 volte emazia, > = 2-4 volte emazia, > 4 volte emazia.
• Margini nucleari irregolari, lisci, misti.
• Posizione del nucleo centrale, eccentrica, variabile
• Tipo di stroma: fibroso, adiposo, lasso, adipociti discoesi,
ragnatela.
Analisi dei risultati
Discussione
La caratterizzazione citomorfologica della FNAC C3 resta
una delle sfide più importanti in citologia mammaria in quanto
determinante per il successivo iter diagnostico terapeutico. La
morfologia riconferma il suo valore nella diagnosi delle lesioni epiteliali mammarie. Finalità del citopatologo è classificare
le lesioni il più possibile in modo definitivo, ma sappiamo che
esiste una “area grigia” ove una diagnosi basata solo su di essa
è difficile. Scopo di questo studio è stato il cercare identificare
un quadro morfologico il più possibile riproducibile di benignità o di malignità pur nell’ambito di lesioni già sospette per
gli esami strumentali ecografici e radiologici. Nella analisi di
ciascuna di queste variabili si è cercato di individuare la capacità di ciascuno di questi fattori come un fattore indipendente
capace di predirre il risultato istologico.
L’analisi dei più accettati criteri morfologici riconferma anche
per la categoria citologica delle atipie nucleari la possibilità
di identificare una gamma di fattori probabili e associabili
a benignità o malignità e alla casualità, utili in definitiva a
Tab. V.
variabili morfologiche
LH+
CI 95%
LH-
CI 95%
cellularità
1
0,8667
0,5605-1,34
1,044
1,004-1,086
coesività
2
0,75
0,3427-1,641
1.083
1,035-1.134
tubulare
3
0,9622
0,8268-1,12
1,037
0,9132-1,177
ghiandolare
4
0,7791
0,7228-0,8397
1,77
1,227-2,552
papillare
5
0,1006
0,0000-333
1,319
1,241-1,4
mioepiteli nei gruppi
6
0,4218
0,2035-0,874
1,741
1,557-1,946
margini nucleari
7
0,5106
0,2864-0,9102
1,52
1,372-1,686
nuclei nudi nel BG
8
1,711
1,627-1,798
0,391
0,2988-0,5117
nucleoli
9
1,892
1,145-3,129
0,8591
0,8342-0,8848
dimensioni nucleo
10
3,832
3,455-4,249
0,3258
0,2666-0,3981
cromatina
11
1,292
1,264-1,32
0,1069
0,0124-0,9156
localizz nucleo
12
1,212
1,009-1,455
0,8761
0,787-0,9754
cell.apocrine
13
0,5548
0,0921-3,34
1,177
1,098-1,262
diatesi tum
14
2,566
1,904-3,458
7,7153
0,6548-0,7815
istiociti foamy
15
0,6455
0,3593-1,16
1,244
1,14-1,358
mucina
16
0,7331
0,3468-1,549
1,127
1,043-1,219
pop unica
17
0,868
0,7311-1,031
1,14
1,005-1,294
sovrapposizione cell
18
1,226
1,264-1,249
0
0
stroma
19
7,526
3,284-17,25
0,7389
0,6868-0,7951
calcificazioni
20
4,276
0,1971-92,79
0,896
0,8439-0,9513
397
comunicazioni libere
• Siamo inoltre impossibilitati a distinguere le varie patologie
benigne in quanto possono essere presenti numerosi elementi citologici ubiquitari nelle benignità e malignità.
Le conclusioni potrebbero essere domande:
• È utile mantenere una doppia categoria di sospetto C3, C4?,
il VPP della categoria C3 consigliato è di circa 20% risulta
nella nostra esperienza non raggiungibile, essendo invece
di circa il 50% (infatti nella nostra esperienza il C4 viene
riservato in anallisi finale a preparati limitati nella diagnosi
da artefatti tecnici o di allestimento, alla esiguità delle cellule neoplastiche presenti, od alla commistione di esse con
numerosi elementi caratterizzanti la benigntà
• La biologia molecolare potrà forse aiutarci ad identificare il
potenziale maligno delle Fnac C3?
Non dimentichiamo che l’uso migliore della FNAC dipende
dall’entusiasmo e dalla dedizione dei patologi e citologi piuttosto che dal riconoscimento del suo valore da parte dei clinici 4.
Fig. 1
tentare di ridurre il rischio dei FN circoscrivendo quindi il più
possibile la necessità di successive indagini (Tab. VI).
I nostri risultati hanno sottolineato due particolari aree di difficoltà nell’inquadramento diagnostico degli agoaspirati:
• Il considerevole grado di sovrapposizione diagnostica degli
score tra i benigni e maligni ed i carcinomi di basso grado
Chiaramente nessuna variabile può essere da sola significativa
in un sistema complesso come quello della valutazione globale di un agoaspirato che deve essere integrato con con dati
clinici, ecografici e mammografici.
Thin prep cytology in bile duct brushing
sampling: the experience of two cooperating
institutions
L Marchioro °, L Bozzola *, S Olivati *, B Famengo *,
ESG d’Amore * and A Visonà °
Unità Operative di Anatomia Patologica di
Vicenza*(Italy)
Tab. VI.
Criteri citomorfologici
Bibliografia
1
Holland et al. Semin Diag Pathol 1994;11:181-92.
2
Silverstein et al. Lancet 1995;345:1154-7.
3
Pathologica 1997;89:234-55.
4
Cytopathology 2006;17:219-26.
Odds
P test di
fischer
Cellularità
C
0,4846
0,4025
Coesività
P
0,3576
0,3204
Architettura tubulare
C
1,1859
0,7902
Architettura ghiandolare
P
0,305
0,1386
Architettura ghiandolare
P
0,0321
0,0323
Mioepiteli nei gruppi
P
0,1941
0,0243
Margini nucleari
R
4,8034
0,04
Cellule bipolari
P
0,7729
0,7231
Nucleoli
R
2,7951
0,1347
Dimensioni nucleari
P
2,8623
0,2807
Cromatina
C
42,67
0,065
Posizione del nucleo
C
0,5736
0,4381
Cellule apocrine benigne
P
1,273
0,7536
Necrosi
R
16,8468
0,0024
Foamy iistiociti
P
0,404
0,2057
Mucina
C
0,3763
0,2306
Popolazione epiteliale unica
C
3,276
0,0814
Overlapping nei gruppi
C
NV
NV
Tessuto stromale
R
5,0988
0,1399
Microcalcificazioni
R
0,6119
0,7261
Legenda: P = protettivo - R= rischio - C= casuale
Thiene° e
Introduction: Liquid based cytology, widely diffuse in pap
test screening, has become popular also in non-gynaecological and fine needle aspiration cytology. In 2004 we extended
the Thin Prep° method (Cytyc Co., Marlborough, MA. USA)
to bile duct brushing cytology setting mainly to reduce our
high percentage of inadequate cases and to improve the general quality of specimens.
Methods: 112 consecutive endoscope-retrograde-cholangiopancreaticography guided samples of bile duct brushing
cytology were collected and fixed in methanol based vial
(PreservCyt) and processed with Cytyc TP2000. Adequacy,
cellularity, back-ground and morphological features of thin
layer slides were evaluated and classified as: unsatisfactory,
negative/reactive, suspicious and positive. 49 cases (43,7%)
had histological follow-up examination.
Results: Of 112 cases, 13 (11,6%) were inadequate mainly
for artifactual coagulative changes due to papillotomy; 27
cases (24,0%) were negative, inflammatory, reactive or hyperplastic; 47 specimens (41,9%) were diagnosed as suspicious for malignancy and 25 slides ( 22,3%) were positive.
Of 27 negative cases 11 were histologically confirmed, 1 had
inadequate biopsy, 1 was bioptically suspicious and 1 case
was associated with gallbladder cancer. Among 47 suspicious
cases 19 had histological control: 4 were negative, 3 dysplastic and 12 positive. Out of 25 positive cases 14 were followed
by biopsy: 9 cases were confirmed as adenocarcinoma and
carcinoid tumor, 5 cases turned out negative being related to
acute pancreatitis or brushing of prosthesic device.
Conclusions: we adopted thin layer method mainly to overcome previous poor results with conventional cytology (smear
or Millipore membrane). In our view the advantages of Thin
398
Prep method are: 1- feasibility and easiness of procedure 2increased cellularity and marked reduction of unsatisfactory
cases, 3- clear background with preserved inflammatory,
necrotic and biliary pigments, 4- excellent morphological
features, 5- reproducibility of typical cytological criteria, 6recovery of small tissue fragments for micro-histology.
Bibliography
Meara RS et al. Cytopathology 2006; 17(1):42-. Volmar KE et al. Cancer
2006; 108(4) : 231-8
Analisi del Master di primo livello
“citopatologia diagnostica degli screening di
popolazione”
A. Marsico, M.T. Benenti, C. Bocchio, D. Cauchi Inglott,
G. Gazzera, G. Pasquariello, S. Patrini, S. Pontoni, E. Prudente, C.A. Scafidi
Iscritti al Master dell’Università di Torino “Citopatologia
diagnostica degli screening di popolazione” per l’Anno Accademico 2006-2007
Il Pap test è l’unico test di screening per il carcinoma della cervice uterina ed è volto a identificare le lesioni pre-invasive ed
il carcinoma invasivo iniziale (Linee Guida della Commissione
Oncologica Nazionale per il triennio 1994-96, concernenti l’organizzazione della prevenzione e dell’assistenza in Oncologia. Dal
Supplemento alla Gazzetta Ufficiale n. 127 del 1° giugno 1996).
Tuttavia l’utilità del Pap test come strumento di prevenzione
dipende da molti fattori, in particolare da una corretta interpretazione diagnostica, quindi ad un’adeguata preparazione degli
operatori che effettuano la diagnosi. Per sopperire alla carenza
istituzionale di formazione e di aggiornamento, soprattutto
nell’ambito del corso di laurea in Scienze Biologiche e del
corso di laurea breve in Tecnico di Laboratorio Biomedico,
l’Università di Torino ha istituito un Master di primo livello
in “Citopatologia diagnostica degli screening di popolazione”
a partire dall’A.A. 2004/2005, con l’obiettivo finale di:
1)formare personale tecnico e laureato con specifiche competenze in campo citopatologico addetto alla prima lettura non
solo in ambito cervico-vaginale;
2)rispondere alla carenza istituzionale di formazione della
figura del “citologo”;
3)creare professionalità che possano inserirsi a livello lavorativo a livello dello screening per il cervico-carcinoma, sia
organizzato che spontaneo;
4)permettere l’aggiornamento a citologi impegnati in attività
di screening ed operanti in ASL e Case di Cura già da molti
anni con titoli di studio talora obsoleti;
5)favorire gli esami europei di competenza in citologia
(EFCS-QUATE) e la libera circolazione dei docenti in citologia e dei citologi in tutta l’Europa.
Un provvedimento analogo è stato preso dall’Università di
Roma “La Sapienza” ed è in fase avanzata di preparazione un
terzo Master, presso l’Università “Federico II” di Napoli.
Questa comunicazione ha lo scopo di fornire informazioni sull’esperienza relativa al Master di Torino nell’A.A. 2006/2007,
con la descrizione dettagliata della tipologia del Master, degli
obiettivi formativi (coincidenti con quelli indicati nel Piano
Oncologico Nazionale), delle caratteristiche del corso, degli
argomenti affrontati e delle proposte per l’A.A. 2007/2008, in
cui saranno presenti anche docenti di vari Paesi europei, oltre
all’Italia (Belgio, Francia, Gran Bretagna), sottolineando la
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
necessità di investire in progetti che risultino realmente efficaci per la prevenzione europea in campo oncologico.
Carcinoma midollare a stroma amiloide,
variante papillare, della tiroide. Segnalazione
di un caso con correlazione cito-istologica e
completo di follow-up
R. Nenna, C.D. Inchingolo
Struttura Complessa di Anatomia Patologica, Presidio Ospedaliero “ L. Bonomo”, Andria
Introduzione. L’esame citologico è uno strumento diagnostico utilizzato sia frequentemente per la valutazione del “Nodulo tiroideo innocente” sia per la diagnosi pre-operatoria delle
neoplasie maligne della tiroide.
Viene presentato un caso clinico “di routine”. Donna di 72
anni, portatrice di nodulo dominante palpabile del lobo destro
della tiroide (diametro massimo = cm 5) e di due altri noduli
minori (istmico di 22 mm e del lobulo piramidale di 17 mm),
asintomatica sul piano clinico, con assetto ormonale eutiroideo, sottoposta prima a FNAC ecoguidata sul nodulo del lobo
destro, con diagnosi citologica di “atipia sospetta per malignità (categoria diagnostica C4): probabile carcinoma papillare”,
successivamente a tiroidectomia totale con esame criostatico
intraoperatorio e diagnosi istologica provvisoria di “sospetto
carcinoma midollare di tipo papillare”, confermato da esame
istologico definitivo corredato di studio immunoistochimico,
seguito da completamento chirurgico di linfoadenectomia latero-cervicale bilaterale e mediastinica antero-superiore.
Scopo della comunicazione: sottolineare l’importanza – nei
casi non tipici – della necessità di integrare l’approccio
puramente citomorfologico con quelli isto-architetturali ed
immunofenotipici.
Materiale e metodi. L’esame citologico è stato effettuato su
strisci allestiti dal radiologo e fissati parte in alcool etilico
95° e parte essiccati all’aria e colorati rispettivamente con i
metodi di Papanicolau, May-Grunwald-Giemsa ed Ematossilina-eosina. È stata effettuata anche valutazione su sezioni
colorate con Ematossilina-eosina, ottenute da citoincluso
del sedimento (proveniente dal lavaggio dell’ago in fissativo
alcolico). L’esame istologico è stato effettuato su campione
di tiroidectomia totale con prelievi subseriati di lobo destro,
istmo e lobulo piramidale per giudizio diagnostico intra-operatorio con successiva diagnosi istologica definitiva. Sono
state effettuate, oltre alle colorazioni istomorfologiche di routine, colorazioni istochimiche con i metodi di Pas con e senza
diastasi e Rosso Congo sec. Highman mod., reazioni immunoistochimiche con antisieri per Calcitonia, Tireoglobulina,
CEA, Cromogranina, Citocheratina 19, TTF-1.
Risultati. La citomorfologia suggestiva per carcinoma papillare (clearing nucleare, anisocariosi, occasionali nuclear
grooves, aggregazione papillare in assenza di colloide) non
correlava con i reperti istoimmunofenotipici di neoplasia
solida e tubulopapillare a stroma amiloide (Rosso Congo+,
con birifrangenza verdastra a luce polarizzata, positiva per
Calcitonina, Cromogranina, CEA, TTF1-1 e negativa per
Tireoglobulina e Citocheratina 19). La diagnosi istologica
definitiva risultava quindi: “carcinoma midollare della tiroide, variante papillare, a stroma amiloide del lobo destro,
dell’istmo e del lobulo piramidale, metastatico in 5 su 17
linfonodi latero-cervicali di destra ed in 8 su 8 linfonodi
paratracheali destri”.
399
comunicazioni libere
Conclusioni. Mentre per le lesioni follicolari della tiroide
il problema principale che si pone al Patologo è il confine
tra nodulo benigno (C2) e nodulo atipico o maligno (C3 vs.
C4-C5) per le lesioni non follicolari si apre un diagnostico
differenziale più ampio (carcinoma papillare di tipo classico;
neoplasie oncocitarie con aspetti papillari e – vedasi il ns. caso
– carcinoma midollare con aspetti papillari) donde la necessità
di un approccio diagnostico integrato.
Prognostic value of interleukin-6 and 10 ratio (il-6/il-10) in intermediate-risk
urothelial bladder carcinoma
G. Nesi, T. Cai*, S. Mazzoli**, F. Meacci**, G. Tinacci***,
E. Zini***, R. Bartoletti*
Departments of Pathology and * Urology, University of Florence, Florence; ** STDs Center and *** Department of Pathology, Ospedale “Santa Maria Annunziata”, Florence, Italy
Background. Several potential markers have been investigated so as to improve non-invasive diagnosis of superficial
bladder carcinoma (SBC). The aim of this study is to evaluate
the interleukin-6 and interleukin-10 ratio (IL-6/IL-10) as a
prognostic marker of recurrence in patients with intermediate-risk SBC.
Methods. Sixty-five consecutive urologic out-patients (41
affected with intermediate-risk SBC and 24 controls) were
selected for this prospective study. A total of five urine samples for urinary cytology, urine dipstick test and interleukin
analysis were collected from each subject before transurethral
resection of the bladder tumor (TUR-BT) and, after TUR-BT,
at 3, 6, 9 and 12 months. IL-6 and IL-10 concentrations in
urine were determined by solid phase ELISA Quantikine IL-6
and IL-10 immunoassay, respectively. Sensitivity, specificity
and positive and negative predictive values of the method
were calculated.
Results. At pre-TURBT sample collection, IL-6/IL-10 was
not statistically different in patients and controls (p = 0.58).
IL-6/IL-10 was statistically different in patients with recurrence and in those without recurrence at 3 (0.009 vs. 0.408), 6
(0.011 vs. 0.268), 9 (0.012 vs. 0.288) and 12 (0.009 vs. 0.302)
months after TURBT (each p < 0.001). Multivariate analysis
indicated that IL-6/IL-10 was an independent prognostic factor for recurrence (HR = 3.62, 95% CI 2.80-4.92, p < 0.001).
Test sensitivity and specificity was 0.83% (95% CI 0.57-0.95)
and 0.76% (95% CI 0.45-0.93), respectively.
Conclusions. The current study highlights the feasible role
of the IL-6/IL-10 value in predicting intermediate-risk SBC
recurrence. This method will be instrumental in improving
urinary cytology accuracy in the monitoring of SBC patients.
Valutazione retrospettiva di 153 casi di
carcinoma papillare della tiroide su fnac:
aspetti morfologici e criteri diagnostici
M. Rizzo, R. Talamo Rossi, O. Bonaffini, C. Scisca
U.O.C. di Oncologia Medica e Diagnostica Patologica Ultrastrutturale, A.O.U. Policlinico “G. Martino”, Università
di Messina, Italy
L’ecotomografia (ETG) quale guida strumentale e la valutazione immediata del prelievo con colorazione citologica
rapida hanno migliorato moltissimo l’efficacia e l’efficienza
della Fine Needle Aspiration Cytology (FNAC) nella diagnostica della patologia nodulare della tiroide. In questo ambito
la diagnosi citologica di Carcinoma Papillare (CP) è piuttosto
accurata in ragione di alcune peculiarità morfologiche che lo
caratterizzano e che si presentano con frequenze variabili nelle varie esperienze riportate in letteratura. Viene qui riportata
la nostra esperienza ricavata da una casistica di 8.021 casi di
FNAC della tiroide (giugno 1988-giugno 2007) condotti con
guida ETG e valutazione immediata del prelievo (valutazione
on-site) mediante colorazione citologica rapida (Cytocolor) e
successiva doppia colorazione di Papanicolaou (Pap) e MayGrunwald e Giemsa (MGG), per la diagnosi del CP. Sono
stati diagnosticati così 138 casi di CP come prima diagnosi
(Thy5 sec. BTA), 10 casi dai reperti sospetti (Thy4) e 3 casi
provenienti dai reperti classificati come neoformazioni follicolari (Thy3); 1 caso proveniva dai falsi negativi e 1 caso dai
Carcinomi NAS, per un totale di 153 casi di CP, pari al 18,5
x 1.000 (153/8.021) di incidenza nella popolazione in esame.
Questa neoplasia rappresenta pertanto il tumore più frequente
anche nel nostro materiale con il 76,5% (153/200) di tutti i tumori maligni della tiroide e l’88,5% (153/179) dei t. primitivi
della tiroide. La correlazione istologica e i dati del follow-up
erano disponibili in 150/153 casi (98%). Tutti questi casi
quindi sono stati rivalutati per la presenza dei parametri maggiormente significativi ai fini diagnostici citologici, ottenendo
così i seguenti dati:
Lembi piani (sheets), arrangiamento papillare,
pseudofollicolare pseudostratificazione e overlapping
80%
Inclusi citoplasmatici intranucleari (nuclei papillari) (ICI)
66%
Istiociti plurinucleati e giganti
59%
Pieghe nucleari, nuclei coffee-bean o nuclear
grooves (NG)
33%
Aspetti oncocitosimili e/o Warthin-like
30%
Colloide densa/spessa o cheving gum-like
18%
Aspetti follicolari (var. follicolare)
15%
Aspetti papillari e follicolari (misti)
14%
Corpi psammomatosi (psammoma bodies)
13%
Aspetti squamoso-simili
12%
Popolazione linfoide associata (TCL)
5%
Aspetti anaplastici
2%
Macrofagi e “aspetti cistici” (CP intracistico)
2%
I dati confermano ancora una volta quelli della letteratura
sull’argomento, anche se con alcune differenze in taluni
parametri. Quando venivano considerati i primi 3 criteri a
fini diagnostici la sensibilità del CP era più bassa, quando si
includeva quello dei NG (criterio escludente la presenza degli
ICI), allora la sensibilità raggiungeva il massimo: nella nostra
esperienza la sensibilità diagnostica per CP era del 96,7%
(148/153). L’uso di 5 o più dei criteri sopra riportati quando
usati opportunamente consentiva il 100% in accuratezza. Il
diametro delle lesioni variava da 6 a 40 mm; 11 casi erano
inferiori al cm di diametro ed erano considerati pertanto microcarcinomi; 5 casi erano CP intracistici, dei quali 2 diagnosticati in primis su linfonodo laterocervicale (meta), sempre
con FNAC. L’età media dei nostri soggetti in entrambi i sessi
(M + F) era di 42 anni, quella dei M 36 e quella delle F 43
400
anni, confermando così la più precoce comparsa del CP nel
sesso maschile. Il range era 10-82 anni (M + F), mentre per
i M era 26-70. La classe modale in entrambi i sessi (M + F)
mostrava un plateau fra 21-40 anni, nei M era 21-30 e nelle
F 51-60. Altra curiosità da noi riscontrata e non segnalata in
letteratura è che la presenza dei corpi psammomatosi era associata a lesioni di grandi dimensioni e di vecchia data, mentre
con l’anticipazione diagnostica, e negli ultimi anni, questa
caratteristica è diventata raramente osservabile in citologia.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
ed ipertensiva. Gli esami ematochimici con alterazioni non
significative; esame radiologico con segni di versamento
pleuro-pericardico.
All’agocentesi pericardico: 150 cc di liquido siero-ematico.
Esame citologico versamento pericardico: presenza di cellule
epiteliali neoplastiche con aspetto papillare.
Si decide di eseguire indagini immunocitochimiche sul campione: Citocheratina, EMA, Vimentina, CEA e Calretinina.
Citocheratina
Markers immunoistochimici nella diagnostica
del mesotelioma
F. Romeo, R. Iuele, G. Capocasale, G. Patitucci
UOC Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Cosenza
Presentiamo il caso di un uomo di anni 79 affetto da sintomatologia cardio-respiratoria (lieve scompenso cardiaco)
EMA
Vimentina
401
comunicazioni libere
Calretinina
Citocheratina
Che hanno confermato il mesotelioma pleurico.
La positività ai markers ha reso necessario verificare un eventuale mesotelioma.
Il paziente è stato sottoposto ad una biopsia pleurica:
Quadro all’ematossilina-eosina.
Localizzazione secondaria di neoplasia
carcinomatosa di probabile origine ovarica
F. Romeo, R. Iuele, G. Capocasale, G. Patitucci
UOC Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera, Cosenza
Presentiamo il caso di una donna di aa. 76 affetta da ascite
di n.d.d. Anamnesi negativa per patologia addomino-pelvica;
esami ematochimici nei limiti (compresi i markers oncogeni);
esame ecografico non significativo; agocentesi: 300 cc di
liquido emorragico.
Esame citopatologico di liquido ascitico.
Alla successiva indagine immunoistochimica:
Calretinina
402
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
La paziente è stata poi sottoposta ad ecografia addomino-pelvica che ha evidenziato:
– ovaie nella norma;
– lesione nodulare in sede pelvica non meglio definibile (probabilmente omentale).
Alla successiva laparotomia esplorativa:
– nodulo omentale (3 cm circa) su cui si esegue biopsia.
Sezioni in ematossilina ed eosina.
Diagnosi. Positività per cellule neoplastiche di carcinoma
papillare.
In corso esame ICC per verificare un’eventuale neoplasia
ovarica.
Indagine immunocitochimica su strato sottile:
Citocheratina 20, Citocheratina 7, Ca 125, CEA.
Ca 125
CK 7
IIC: Ca125
403
comunicazioni libere
Diagnosi molecolare
IIC: CK7
Diagnosi. Localizzazione secondaria di neoplasia carcinomatosa di probabile origine ovarica (Ca125 e Citocheratina 7
positivi). Necessario indagare in tal senso.
Alla seconda laparotomia esplorativa: asportazione ovaio
destro per neoformazione cistica di circa 1,5 cm di diametro
su cui si esegue esame istologico intraoperatorio: quadro di
cistoadenocarcinoma papillare sieroso.
Metodiche a dna e ad rna per la gestione
delle pazienti in follow-up per lesioni cervicali
hpv-indotte
S. Rosini, D. Caraceni*, A. Mazzotta**, F. Conti**, L. Ciccocioppo*, T. Orsini, S. Setta, D. Pilla*, R. Zappacosta
Sezione di Citodiagnostica, Università “G. D’Annunzio”,
Chieti-Pescara; * U.O.C. Sezione di Citodiagnostica, Ospedale “Renzetti”, Lanciano, Chieti; ** Divisione di Ostetricia e
Ginecologia, Ospedale “SS. Annunziata”, Chieti
Introduzione. L’infezione persistente tipo specifica da papillomavirus rappresenta un significativo fattore di rischio nello
sviluppo delle neoplasie cervicali. L’infezione persistente può
essere evidenziata per mezzo di indagini sequenziali volte ad
individuare precocemente lesioni cervicali ad alto rischio di
progressione verso il carcinoma invasivo. Abbiamo voluto
valutare l’utilità clinica di indagini molecolari che consentono
di evidenziare i trascritti dei geni E6 ed E7 del papillomavirus
per mezzo di una tecnologia NASBA in real-time allo scopo
di identificare tra le donne affette da lesioni citologiche di
basso grado quelle ad alto rischio di progressione verso lesioni
di più alto grado o carcinoma invasivo.
Metodi. Lo studio è stato effettuato su 104 donne di età compresa tra 16 e 82 anni selezionate tra le pazienti di ambulatori
ospedalieri o privati in follow-up per lesioni di basso grado o
per precedenti trattamenti di lesioni cervicali.
Ciascuna donna sottoposta a prelievo citologico in fase liquida
e colposcopia è stata valutata per la presenza di HPV DNA
con sistema Hybrid Capture II (HC II Digene). L’espressione dell’RNA messaggero delle oncoproteine E6/E7 è stata
evidenziata con tecnologia NASBA in real-time (Pre-tect
HPV proofer, Alfa Wasserman). Le indagini molecolari sono
state condotte sullo stesso campione dal quale è stato allestito
l’esame citologico.
Risultati. I risultati ottenuti sono riportati in tabella.
Diagnosi
citologiche
(n. di casi)
HPV-DNA
Negatività
HPV-DNA
LR+
HPV-DNA
HR+
E6/E7
mRNA+
BCC/negativi
(17)
10
(59%)
0
7
(41%)
2
(12%)
ASC(33)
19
(58%)
1
(3%)
13
(39%)
5
(15%)
L-SIL
(46)
8
(17%)
3
(7%)
35
(76%)
12
(26%)
H-SIL
(8)
1
(13%)
1
(13%)
6
(74%)
4
(50%)
In particolare, i trascritti dei geni E6/E7 erano presenti in 23
(22,1%) delle 104 donne studiate ed in 20 (32,8%) delle 61
risultate positive per ceppi ad alto rischio all’HC II. Delle 46
donne negative alla colposcopia, 21 (45,6%) erano positive
per HPV DNA ad alto rischio e 5 di esse (23,8%) positive al
Pre-tect HPV Proofer.
Delle 58 donne positive alla colposcopia, 36 (62%) erano
positive per ceppi al alto rischio e di esse 17 (47,2%) esprimevano E6/E7.
I nostri risultati preliminari mostrano che l’espressione delle
oncoproteine E6/E7 è rilevabile solo in circa un terzo delle
donne con infezione da ceppi al alto rischio. Poiché la persistenza virale rappresenta il reale precursore della progressione neoplastica solo la valutazione dell’espressione delle
oncoproteine E6/E7 ci consente di identificare quali infezioni
protranno indurre neoplasia in futuro.
L’associazione tra HPV DNA test e Pre-tect HPV Proofer
migliora la sensibilità diagnostica del Thin prep Pap test ed
è utilizzabile nella pratica clinica per individuare le pazienti
da sottoporre necessariamente a trattamento perché ad alto
rischio di sviluppare un cervicocarcinoma.
Cytologic diagnosis of medullary carcinoma
of the thyroid gland
N. Scibetta, L. Marasà
U.O.C. di Anatomia Patologica, ARNAS “Civico, G. Di Cristina, M. Ascoli”, Palermo
Introduction. Medullary carcinoma of the thyroid gland
(MTC) is a rare malignant tumor of C-cells accounting for
10% of thiroid malignancies. MTC can occur either in sporadic (~80%) or in familial forms (~20%) in association with
MEN syndrome variants. Preoperative recognition of MTC by
fine-needle aspiration (FNA) enables the surgeon to investigate the patient for a possible MEN type II that might include
pheochrocytoma, and to plan the surgery with radical neck
dissection, if necessary.
We report a case of microMTC diagnosed by FNA cytology
and confirmed by subsequent histologic examination of the
thyrodectomy specimen, that showed an microMCT, measuring
9 mm in diameter, with a pericapsular limph node metastasis.
Methods. The FNA was performed from a 26 years-old woman with a unique subcentimetric palpable thyroid nodule, with
22-gauge needle, and the alcohol fixed samples were stained
with H&E method. Unstained smears was not available, in
order to verify the diagnosis by immunostaining.
404
Results. The smears were very cellular,with cell clusters as
well as single dispersed cells in the background. The cell
clusters were solid and multilayered. The cells within these
groups showed a considerable degree of disorganization, characterized by an overlapping of the nuclei. The background
was clean and included calcified bodies. The cells were either
round with finely granular cytoplasm and spindle-shaped. The
nuclei round and regular, characteristically located eccentrically, contained predominately a coarse granular pattern of
chromatin, characteristic of MTC and neuroendocrine differentiation. Nucleoli were inconspicuous. The cells were often
stripped of cytoplasm. Intranuclear cytoplasmic inclusion was
present. No amyloid was found.
Conclusions. In our case, all the cytomorphologic features,
such a clean background, eccentric nuclei, inconspicuous nucleoli, neuroendocrine chromatin pattern, considered pathognomonic of MTC were present, but some features (i.e. intranuclear inclusions and granular cytoplasm) and the absence of
amyloid were the source of diagnostic difficulties, expanding
differential diagnosis to include papillary carcinoma and
Hürthle cell neoplasm. The histologic subsequent diagnosis
of MTC confirmed that the combination of neoplastic plasmacytoid cells with extremely eccentrically placed nuclei, and
neuroendocrine chromatin are the most important cytologic
criteria for the diagnosis of MTC with FNA. The absence of
amyloid does not exclude MTC.
In conclusion the role of fine needle aspiration is particularly
important in the initial assessment of patients with the sporadic form of MTC, the diagnosis of which is not suspected
clinically.
Cytometric findings in L.B.C.C.
S. Senatore, P. Rizzo*, E. Molina**, A. D’Amuri
Morbid Anatomy, “S. Cuore di Gesù” Hospital of Gallipoli
ASL/LE; * School of Biology University of Camerino; ** Department of Human Anatomy, Pharmacology and Medical
Forensic Sciences, School of Medicine University of Parma
Introduction. Our study proposes a Liquid Based Cervical
Cytology (L.B.C.C.) algorithm based on morpho-cytometric
analysis that can be integrated to cervical cancer screening
investigations to better support both screening activity and
prognostic evaluations. Morphological and cytometric findings were analysed in order to elucidate the role of each cell
types between the different diagnosis and in the whole cell
populations.
Material and methods. The study evaluated cervical samples
of 304 cases obtained from a population with a mean age of
47 that ranged from 21 to 77 years old processed by a L.B.
system Thin Prep Pap Test (Cytyc). Diagnostic slides were
stained with Papanicolau method and used for cytometric
assays evaluated in different times from two observers. Cytological material was grouped for both age and diagnosis in
four different diagnostic steps (D.S.): 0) “not diagnostic”, 1)
“reactive”, 2) LSIL, AGUS, ASCUS, 3) HSIL-SCC. Cytometry evaluations were done on metaplastic cells, coylocyties,
lesional atypic cells, flogistic component. The number of cells
falling on the “test area” points were counted and expressed
as cell densities for test area in each specimen. The ratios
between the different cell types were calculated. All obtained
data were analysed with statistical methods using X2, Fisher
“F” and ANOVA.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Discussion and conclusion. This study clearly indicate that
LBCC samples in different diagnostic steps must be considered as the expression of a multiple micro-stressed organic
region where lesions development come out from common
cytologic populations. In the different evaluated diagnostic
conditions it could be observed both statistical significant
presence of metaplastic cells increase between the 2nd and
3rd DS and a Ic/Mc ratio increase between 1st and 2nd DS.
The statistical significant presence of coylocytes increased
between 1st and 2nd as decreased between 2nd and 3rd DS,
is well according with the lesional evolution, particularly
in HPV-related conditions. In conclusions, we retain that
reviewing morphometry in cervical cancer screening can
be a useful aid to better evaluate cervical pathology and its
possible development.
Carcinoma squamoso primitivo (scc) della
mammella: descrizione di un caso
S. Squillaci, C. Spairani, R. Marchione, D. Lambertenghi*,
A. Mazzi*, R. Cazzaniga**
Servizio di Anatomia Patologica, * Servizi di Radiologia,
**
Divisione di Chirurgia, Ospedale di Vallecamonica, Esine
ed Edolo, Italia
Introduzione. Il carcinoma squamoso primitivo (SCC) della
mammella è un’entità di raro riscontro; in letteratura sono stati
segnalati circa un centinaio di casi.
Caso clinico. Donna di 83 anni riferisce la comparsa di
nodulo mammario al quadrante supero-interno destro immobile sui piani sottostanti, mammograficamente sospetto
per la presenza di microcalcificazioni ed ecograficamente
disomogeneo per l’alternanza di aree anecogene cistiche con
setti ipoecogeni. La TAC e la radiografia toraco-polmonare
risultano negative. La paziente viene sottoposta ad agoaspirato che evidenzia elementi di foggia poligonale o fusata con
citoplasma orangiofilo e nucleo ipercromico sospetti (C4).
Successivamente, si procede a nodulectomia con esame intraoperatorio positivo e a mastectomia radicale con linfonodi
del primo e secondo livello.
Macroscopicamente la lesione appare come un nodulo di colore giallastro di aspetto solido-cistico a margini irregolari di
cm 3,4 di diametro.
Istologicamente la neoplasia è costituita da una crescita cordoniforme di cellule poco differenziate con citoplasma ampio
ed eosinofilo, nucleo talora nucleolato, delimitazione di spazi
pseudocistici, presenza di frequenti figure mitotiche ed estesa
necrosi. Assenza di carcinoma intraduttale e di metastasi
linfonodali.
Le cellule tumorali sono positive alle citocheratine 5/6 ed alto
peso, alla P63 e all’EGFR. Negativi i recettori estro-progestinici e il c-erb 2; frazione proliferante Ki67 pari al 15%.
Conclusioni. La diagnosi differenziale del SCC mammario
include il carcinoma metatipico, il carcinoma squamoso insorto nelle strutture cutanee adiacenti e secondarismi da siti
primari extramammari.
L’origine della neoplasia si pensa possa essere correlata con
una trasformazione maligna di una metaplasia squamosa dei
dotti mammari 1. La prognosi è alquanto controversa; alcuni
studi indicano una propensione alle recidive, alta aggressività
e refrattarietà alla terapia. L’espressione di marcatori mioepiteliali e la positività per EGFR hanno indotto alcuni Autori a
considerare il SCC un fenotipo “basal-like” di carcinoma della
405
comunicazioni libere
mammella 2. Ad oggi il trattamento del SCC della mammella
è simile a quello degli altri tumori invasivi anche se l’impiego
combinato, in trials clinici sperimentali, di inibitori di EGFR,
sali di platino e taxani è stato suggerito 1.
Bibliografia
1
Hennessy BT, et al. J Clin Oncol 2005;23:7827-35.
2
Reis-Filho JS, et al. Histopathology 2006;49:10-21.
Carcinoma papillifero della tiroide in
adolescente di dodici anni. Descrizione di un
caso
S. Squillaci, R. Marchione, C. Spairani, E. Mondini*,
M. Berlendis**, R. Cirelli
Servizio di Anatomia Patologica, * Servizio di Radiologia,**
Divisione di Otorinolaringoiatria, Ospedale di Vallecamonica, Esine (BS)
Introduzione. La maggioranza dei carcinomi della tiroide
sono primitivi e di origine epiteliale e tra questi il carcinoma
papillifero è quello più rappresentato con una percentuale che
oscilla, secondo le casistiche tra il 50 ed il 70%. Si osserva con
maggior frequenza nel sesso femminile in età adulta.
Circa il 10% del totale dei casi di carcinoma della tiroide
compare in bambini ed adolescenti e di questi l’istotipo più
comune è il papillifero.
Metodi. Ad una adolescente di dodici anni veniva riscontrato
un nodulo palpabile al lobo destro tiroideo che all’esame ecografico appariva di 4 cm di diametro con ecostruttura solida
per lo più ipoecogena. Non risultava dimostrabile la presenza
di linfonodi laterocervicali omo- o controlaterali ingranditi e/o
con ilo non apprezzabile.
Si eseguiva FNA che mostrava prelievi costituiti da materiale
amorfo simil-colloideo, talora addensato, alcuni macrofagi,
rare cellule giganti plurinucleate ed aggregati tridimensionali
di tireociti, spesso di foggia papillare, talora con ispessimento
della membrana nucleare, cromatina chiarificata, incisure e
pseudoinclusi citoplasmatici intranucleari. Veniva fatta diagnosi di neoplasia tiroidea compatibile con carcinoma papillifero e si procedeva a tiroidectomia totale senza svuotamento
linfonodale laterocervicale destro.
Risultati. All’esame macroscopico la tiroide mostrava, a
livello del lobo destro, una formazione nodulare, di cm 3,3 di
diametro a colorito grigio-rossastro.
Istologicamente tale lesione corrispondeva a carcinoma papillifero di tipo classico con aree di sclerosi e corpi psammomatosi; giungeva a ridosso della capsula d’organo senza
infiltrarla con immagini di angioinvasione peritumorali.
Il profilo immunofenotipico della neoplasia era rappresentato
da un’intesa positività alla citocheratina 19 ed all’anticorpo
HBME-1.
Conclusioni. Il carcinoma papillifero della tiroide è un’entità
rara nelle prime due decadi di vita. La prognosi, anche in caso
di localizzazioni a distanza (coinvolgimento linfonodale e/o
metastasi polmonari) è relativamente buona.
L’eziologia è sconosciuta; sono riportati in letteratura alcuni
fattori di rischio che ne aumentano l’incidenza quali l’esposizione a radiazioni ionizzanti nei primi anni di vita, il deficit
di iodio, la tiroidite di Hashimoto, fattori genetici dovuti a
mutazioni spontanee (riarrangiamento RET/PTC).
Nel nostro caso non sussisteva alcun fattore di rischio specifico riportato.
Metastasi linfonodale di carcinoma midollare
della tiroide. Diagnosi mediante FNA con ago
sottile.
F. Tallarigo, I. Putrino, S. Mazza, N. Papaleo, A. Tommasini, M.G. Scalia
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale San
Giovanni di Dio, Crotone
Introduzione. Il carcinoma midollare è un tumore maligno
costituito da cellule derivate da elementi parafollicolari “C”.
Può comparire sporadicamente o come forma familiare, sia
come lesione isolata che associato ad altre proliferazioni endocrine, costituendo la cosiddetta “sindrome delle neoplasie
endocrine multiple” (MEN) di tipo II.
Caso clinico. Paziente maschio di 39 anni, giunto alla nostra osservazione per linfoadenopatia laterocervicale sinistra,
sottoposto a FNA mediante ago sottile (25 G), sotto guida
ecografica.
Materiali e metodi. Vengono allestiti n. 5 preparati citologici,
colorati con ematossilina-eosina. Gli strisci discretamente cellulati sono costituiti da elementi epiteliali, neoplastici, prevalentemente dispersi talora aggregati in strutture tipo organoide
con la formazione di nidi e cordoni. Le cellule presentano un
aspetto prevalentemente poligonale, raramente fusato, con
citoplasma eosinofilo e nuclei ovalari, talora rotondeggianti,
cromatina finemente granulare, incospicui i nucleoli. Frequenti le binucleazioni. L’ipotesi diagnostica, dettata dal quadro
morfologico, indirizzava verso una localizzazione metastatica
di neoplasia di tipo neuroendocrino. Pertanto, sui preparati
precedentemente allestiti, veniva effettuata un’indagine di
immunocitochimica testando diversi markers anticorpali.
Risultati e conclusioni. Gli elementi neoplastici mostravano
un’intensa e diffusa positività alla cromogranina, calcitonina
e CEA, negativi tireoglobulina ed NSE. Il dato immunofenotipico, pertanto, risultava essere compatibile con localizzazione
metastatica di carcinoma midollare della tiroide. L’esame ecografico della ghiandola evidenziava la presenza di grossolani
noduli atipici, su entrambi i lobi, successivamente sottoposti
ad esame citologico mediante agoaspirato che ne confermava la natura neoplastica. A questo punto il paziente veniva
sottoposto a tiroidectomia totale con conferma istologica di
carcinoma midollare della tiroide.
Il brushing pleurico nella valutazione
diagnostica dei versamenti sospetti di
malignità
M.C. Truglia, G. Anzalone*
U.O. Anatomia Patologica Ospedale “Misericordia e Dolce”
Prato, * U.O. Pneumologia Ospedale “Misericordia e Dolce”
Prato
Quarantotto pazienti con versamento pleurico sospetto per
malignità sono stati sottoposti a prelievo del liquido ed a
brushing pleurico in corso di toracentesi effettuata mediante
ago BARD 17 g da 8 cm. Per il brushing è stato usato uno
spazzolino monouso da citologia bronchiale con setole di 1
mm. Il materiale spazzolato è stato strisciato su vetrino. Del
liquido aspirato sono stati allestiti preparati in strato sottile. La
valutazione citologica dei campioni è stata espressa in classi
diagnostiche: C1: inadeguato, C2: lesione benigna, C3: lesione indeterminata, C4: lesione sospetta, C5 lesione neoplastica
406
maligna. In 34 dei 48 casi è stata documentata la malignità.
Il brushing pleurico (CPBR) è risultato positivo per neoplasia
maligna in 21 casi, l’esame citologico del versamento (PFC)
in 14. Entrambe le tecniche hanno alti valori di specificità
(100% per CPBR e 91% per PFC) e valore predittivo positivo
(100% per CPBR e 95% per PFC). La sensibilità, che è del
62% per il brushing e del 41% per l’esame del versamento,
raggiunge il 70% quando le due tecniche vengono usate insieme. Il brushing pleurico è tecnica semplice, ben tollerata
e di grande aiuto diagnostico nei pazienti con versamenti
sospetti di malignità. Essa può sostituire in molti casi tecniche
diagnostiche più invasive e più costose come la toracoscopia
e la toracotomia.
Bibliografia
1
Emad A, Rezaian G. Closed percutaneous pleural brushing: a new
method for diagnosis of malignant pleural effusion. Respir Med
1998;92:659-63.
2
Akosoy E, et al. Diagnostic yield of closed pleural brushing. Tuberk
Toraks 2005;53:238-44.
Il lavaggio bronchiolo-alveolare nella
diagnosi di proteinosi alveolare polmonare.
A case report
G. Vita, M. Celano*
U.O.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, * U.O.C. Pneumologia; Azienda Ospedaliera “Osp. S. Carlo”, Potenza
Introduzione. La proteinosi alveolare polmonare è una rara
malattia ad etiologia sconosciuta, caratterizzata dall’accumulo endoalveolare di materiale amorfo lipoproteinaceo, PAS
positivo, legato ad un’alterata produzione o degradazione del
surfactant. Si distinguono due forme: idiopatica e secondaria
(esposizione a polveri inorganiche, neoplasie ematologiche).
Viene presentato un caso di proteinosi alveolare polmonare
idiopatica con diagnosi definitiva eseguita su BAL. Il paziente
è stato trattato con due lavaggi polmonari massivi. Al followup: miglioramento clinico-funzionale.
Metodi. Uomo di anni 48, fumatore, presenta cianosi, dispnea
da sforzo da circa 12 mesi, non ortopnea. Esame obiettivo
toracico negativo. Prove di funzionalità respiratoria: pattern
ventilatorio restrittivo con riduzione della diffusione alveolocapillare. Emogasanalisi: alcalosi respiratoria, grave ipossemia corretta con 4 L/m di O2. ECG nella norma. Rx torace:
addensamenti polmonari bilaterali dei campi medi ed inferiori. HRTC toracica: ground-glass associato ad ispessimento dei
setti (crazy-paving) diffuso ai campi medi ed inferiori. Viene
eseguito lavaggio bronchiolo-alveolare per esame citologico
ed esami colturali (negativi).
Risultati. Il BAL si presentava di aspetto lattescente. Sono
stati eseguiti: conta della cellularità totale in camera di Burker,
la determinazione citofluorimetrica delle sottopopolazioni
linfocitarie (CD4/CD 8) e l’esame citologico. Quindi allestiti vetrini su citocentrifugato di cui 2 fissati all’aria per la
colorazione di May Grunwald-Giemsa e 6 in alcool 95° per
le colorazioni di routine. Il coagulo formatosi è stato fissato
in alcool 95° per l’allestimento del “cell block”. Le sezioni
sono state colorate con H&E, PAS e PAS diastasi. Il quadro
citologico dei campioni esaminati mostrava, in un background
di materiale amorfo e detriti, numerosi macrofagi con inclusi
citoplasmatici e corpuscoli acellulati a struttura multilamellare, entrambi PAS+ diastasi resistenti 1. Tale reperto macro- e
microscopico era diagnostico di proteinosi alveolare.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Conclusioni. L’esame citologico del BAL è stato conclusivo
2
nella diagnosi di proteinosi alveolare polmonare escludendo
le altre ipotesi diagnostiche formulate radiologicamente fra
cui il BAC.
Bibliografia
1
Maygarden SJ, et al. Pulmonary alveolar proteinosis: a spectrum of
cytologic, histochemical and ultrastructural findings in bronchoalveolar lavage fluid. Diagn Cytopathol 2001;24:389-95.
2
Meng ZL, et al. Pathologic feature and diagnosis of pulmonary alveolar proteinosis. Zhonghua Bing Li 2005;34:575-8.
La citologia in fase liquida nella diagnosi
delle neoplasie polmonari
G. Vita, E. Ferri, D.P. De Sanctis, M. Celano*
U.O.C. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, *U.O.C.
Pneumologia; Azienda Ospedaliera “Osp. S. Carlo” Potenza
Introduzione. La diagnosi di carcinoma polmonare mediante
metodi citologici riveste un interesse storico perché è stata una
delle prime dimostrazioni della possibilità di diagnosticare i
tumori maligni grazie all’esame di cellule sfaldate. Purtroppo
la qualità tecnica dei vetrini della citologia polmonare è inficiata da molti dei limiti propri degli strisci convenzionali come la presenza di numerosi elementi oscuranti (muco, sangue
ed infiammazioni), modificazioni degenerative, allestimento
del vetrino operatore-dipendente. L’impiego dell’allestimento
su strato sottile per la citologia extra-vaginale e, quindi, anche
per quella polmonare è stato dettato proprio dalla necessità di
migliorarne la qualità tecnica e, quindi, quella diagnostica.
Metodi. Sono stati allestiti esclusivamente con la tecnica della
fase liquida (ThinPrep 2000) i campioni di lavaggio bronchiale
e brushing di 98 pazienti pervenuti nei seguenti anni: 20052006 e I semestre 2007. Inoltre sono stati valutati gli stessi tipi
di esami riguardanti 34 pazienti dell’anno 2004 allestiti con la
citologia convenzionale. L’introduzione dell’allestimento della
metodica in strato sottile ha determinato una serie di modifiche
riguardanti le fasi di invio e di processazione in laboratorio del
materiale citologico con necessario adeguamento a determinati
protocolli da parte di tutti gli operatori interessati.
È stata valutata la qualità tecnica, la qualità diagnostica e la
sensibilità delle due metodiche di allestimento dei preparati
citologici per la diagnosi di carcinoma polmonare e di istotipo.
Risultati. Confrontando i due metodi i vetrini allestiti in fase
liquida mostravano una migliore conservazione della morfologia nucleare e minori cambiamenti degenerativi. Inoltre il
sangue era virtualmente assente ed il tempo di lettura ridotto.
I risultati riguardanti la qualità diagnostica sono riportati nella
Tabella I.
Tab. I.
FBS
Diagnosi
Citologica
Diagnosi
Istologica
Diagnosi
Citoistologica
Sensibilità
2004
34
2
14
18
58%
2005
27
8
4
15
85%
2006
36
10
5
21
86%
2007
(I sem)
35
10
4
21
88%
407
comunicazioni libere
Dai dati riportati si evidenzia un aumento di preparati citologici diagnostici di neoplasia maligna polmonare; inoltre si è
notevolmente ridotto il numero dei falsi negativi, si è avuta
una diagnosi più accurata di istotipo e la possibilità di effettuare indagini di immunoistochimica. Infatti nel 2004 i 20 casi
positivi all’esame citologico (2 + 18) furono così classificati:
10 NSCLC, 6 carcinomi spinocellulari, 2 adenocarcinoma e 2
SCLC. Al contrario, nei periodi testati con l’allestimento in
fase liquida, i preparati citologici positivi per carcinoma, in
totale 85, sono stati così classificati: 15 SCLC, 44 carcinomi
spinocellulari, 20 adenocarcinomi, 2 carcinomi a grandi cellule e 4 NSCLC.
Conclusioni. La citologia su strato sottile (ThinPrep 2000)
aumenta notevolmente la qualità dei vetrini da valutare eliminandone gli elementi oscuranti; ha una più alta sensibilità
rispetto alla citologia convenzionale (nostra valutazione: 86%
vs 58%, in accordo con i dati in letteratura), permette una
di.agnosi di istotipo nella maggior parte dei casi e consente
la determinazione immunoistochimica di anticorpi specifici
di ausilio diagnostico. Tale possibilità si rivela vantaggiosa
in situazioni dubbie, come nello SCLC la cui diagnosi differenziale con l’iperplasia delle cellule di riserva può risultare
difficoltosa.
Bibliografia
1
Rana DN et al. A comparative study: conventional preparation and
ThinPrep 2000 in respiratory cytology. Cytopathology 2001;12:390-8.
Malattia di Rosai-Dorfman in campione
di liquido pleurico: aspetti citologici
A. Zabatta, M. Marino, G. Marino, R. Boschi, C. Frangella,
A. Iaccarino, A. Vetrani
Dipartimento di Scienze biomorfologiche e funzionali Università “Federico II”, Napoli
La malattia di Rosai-Dorfman, primariamente malattia linfonodale, può interessare anche siti extranodali. Tra questi
molto raramente la pleura come unica localizzazione senza
interessamento del parenchima polmonare 1. La paziente da
noi osservata era una donna di 27 anni, affetta da infezione da
HIV, che aveva sviluppato, a sei mesi da un parto spontaneo,
dispnea ingravescente. All’Rx e successiva TAC, veniva evidenziato un versamento pleurico massivo. L’esame citologico
del liquido pleurico, trattato con le comuni metodiche citologiche e con citocentrifugazione, metteva in evidenza sia nei
campioni colorati con Papanicolaou che con May-GrunwaldGiemsa, accanto a cellule mesoteliali, numerosi elementi linfoidi maturi, alcuni granulociti eosinofili e rare plasmacellule.
Sullo sfondo si notavano elementi istiocitari con citoplasma
eosinofilo ed evidenti fenomeni di emperipolesi. L’esame immunocitochimico metteva in evidenza positività in tali cellule
per CD 68 e S100. Risultavano negativi citocheratina 7 e 20,
CEA monoclonale, CD1A e HMB45. L’esame immunocitofluorimetrico confermava la natura reattiva dell’infiltrato
linfoide. L’insieme dei dati era consistente per un coinvolgimento pleurico da malattia di Rosai-Dorfman. La paziente
trattata con terapia antiedemigena sta bene a circa 8 mesi dalla
prima osservazione. Il nostro caso, insolito dal punto di vista
clinico-patologico, documenta l’importanza di considerare la
possibilità di una malattia di Rosai-Dorfman nella diagnostica
differenziale dei versamenti pleurici.
Bibliografia
1
Ohori NP, et al. Hum Pathos 2003;34:1210-1.
pathologica 2007;99:408-410
POSTER
La proteina p16: un ulteriore tassello nella
diagnostica delle lesioni intraepiteliali hpv
correlate della cervice uterina
Linfoma marginale della milza: diagnosi
citologica su versamento pleurico. Case
report
L. Baron, P. Beltotti, M. Postiglione, F. Quarto
A.M. Lavecchia, L. Leonetti, A.V. Filardo, L. Tucci
Struttura Operativa Complessa di Anatomia ed Istologia Patologica e Citopatologia, P.O. “San Leonardo”, ASL NA-5,
Castellammare di Stabia (Napoli)
U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro
Introduzione. Vi è ormai evidenza certa che l’iperespressione della proteina p16INK4a nelle cellule dell’epitelio cervicale
rappresenta un segno indiretto dell’integrazione del genoma
dell’HPV ad alto rischio (HPV-HR) nel genoma della cellula
ospite. Scopo di questo lavoro è quello di valutare l’utilità
dell’iperespressione della p16INK4a nell’individuazione delle
lesioni in progressione nell’ambito di programmi di screening
del cervicocarcinoma.
Metodi. Abbiamo studiato 402 casi, selezionati nell’ambito
di una campagna di screening del cervicocarcinoma, con
citologia in strato sottile (LBC), così suddivisi in: negativi
(189, 47% – 50 controlli negativi e 139 negativi ai successivi
controlli), ASC (140, 35%), L.SIL (61, 15%), H.SIL (12, 3%).
Su tali casi è stata effettuata prima la ricerca e tipizzazione
dell’HPV ad alto rischio (HPV-HR), attraverso l’utilizzo del
test Hybride Capture 2 (HC2), e poi la valutazione dell’iperespressione della p16INK4a utilizzando il test immunoistochimico (IHC) CINtec™ (clone E6H4).
Inoltre abbiamo valutato la sensibilità, la specificità, il valore
predittivo positivo ed il valore predittivo negativo del test dell’HC2 e di quello IHC della p16INK4a sulla base del successivo
esame istologico. La significatività statistica è stata valutata
col test χ2 di Pearson.
La positività nucleare e/o citoplasmatica per p16 è stata valutata considerando solo le cellule con alterazioni morfologiche
di vario grado e la quantità di cellule positive.
Risultati. La positività per l’HPV-HR aumenta dall’11% dei
negativi, al 44% degli ASC-US, fino al 92% nei L.SIL e 100%
negli H.SIL (p < 0,0001).
Negli HC2+ il 20% dei negativi (p < 0,05) è risultato p16+; il
79% degli ASC-US (p < 0,001) è p16+; il 65% (p < 0,05) dei
L.SIL è p16+ mentre il 100% degli H.SIL è p16+.
La sensibilità, la specificità, il valore predittivo positivo ed il
valore predittivo negativo del test HC2 è risultato essere rispettivamente del 98%, dell’88%, del 78% e del 99%, mentre
quello del test IHC della p16 è risultato essere dell’81%, del
98%, del 95% e del 92%.
Conclusioni. La positività per p16 può essere utile nell’individuazione, soprattutto nelle lesioni dubbie e in quelle di
grado basso/intermedio, dei casi in “progressione”, in cui il
virus dell’HPV si è integrato innescando di fatto un’infezione
a rischio “di trasformazione”.
Il test immunoistochimico per la p16 deve affiancarsi e non
sostituire l’HC2 in quanto presenta una più elevata specificità
e una sensibilità inferiore.
Presentiamo un caso di linfoma marginale della milza esordito
con versamento pleurico sx.
Paziente di sesso femminile, di anni 56, in seguito a dispnea ingravescente ed in assenza di sintomi sistemici, veniva
sottoposta ad esame radiologico del torace che evidenziava
un versamento della cavità pleurica sx. L’esame citologico,
eseguito sul liquido da agoapirazione, metteva in evidenza la
presenza di numerosi elementi linfoidi, di piccole e medie dimensioni con nucleo rotondo o reniforme, cromatina dispersa
ed evidente rima citoplasmatica pallida. Alcuni elementi presentavano estroflessioni della membrana citoplasmatica che
conferivano loro un caratteristico aspetto “villoso”. Veniva su
queste basi ipotizzata la diagnosi di linfoma marginale splenico, in seguito alla quale veniva eseguita una TAC addominale
che metteva in evidenza splenomegalia diffusamente disomogenea (diametro massimo 21 cm) e linfoadenomegalie mesenteriche, celiache e periaortiche (diametro massimo 2 cm).
Successivamente veniva eseguita una biopsia osteomidollare
che, all’esame istologico, mostrava un’infiltrazione neoplastica, quantizzabile in circa il 30%, di piccoli linfociti in sede
endosinusoidale ed interstiziale. L’indagine immunoistochimica dava i seguenti risultati: CD20+, CD79+,CD3-, CD10-,
CD5-, CD23-, Ciclina D1-, bcl 6-. Tale quadro confermava la
diagnosi di linfoma marginale splenico.
Il linfoma marginale della milza rappresenta una rara neoplasia a cellule B periferiche (meno dell’1% delle neoplasie linfoidi) con primitiva localizzazione splenica ma con costante
diffusione sistemica.
La malattia presenta due particolari caratteristiche morfologiche: nel sangue periferico i linfociti neoplastici possono
presentare sulla membrana citoplasmatica corte estroflessioni
villose polarizzate; nel midollo osseo i linfociti neoplastici
infiltrano le cavità midollari con pattern endosinusoidale. I caratteri morfologici descritti, unitamente al dato clinico di splenomegalia, sono fondamentali nella diagnosi di questo linfoma, non essendo ancora disponibile un anticorpo specifico per
le neoplasie della zona marginale e dovendo pertanto basare la
diagnosi immunoistochimica su un criterio di esclusione.
Nel caso da noi riportato, i linfociti villosi sono stati eccezionalmente riconosciuti nel liquido pleurico, indirizzando con
successo le ulteriori indagini cliniche che hanno portato alla
diagnosi definitiva.
409
poster
La diagnosi citologica di istotipi speciali di
carcinoma mammario
Le applicazioni dell’immunoistochimica
all’esame citologico
A.M. Lavecchia, M. Facchini*, F. Leone**, A.V. Filardo,
L. Tucci
F. Tallarigo, A. Tommasini, N, Papaleo, S. Mazza, F. Vittimberga, I. Putrino, M.G. Scalia
U.O. Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera “PuglieseCiaccio”, Catanzaro; * U.O. Radiologia, Azienda Ospedaliera
“Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro; ** U.O. Chirurgia, Azienda
Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica Ospedale “S.
Giovanni di Dio”, Crotone
L’accuratezza diagnostica della citologia agoaspirativa
delle lesioni mammarie è condizionata da molteplici fattori,
alcuni legati all’esperienza degli operatori impegnati nel
prelievo e nella lettura, altri correlati alle caratteristiche
intrinseche della neoplasia. Oltre all’estensione e alla palpabilità, alle modalità di crescita ed al grado nucleare di
malignità, le peculiarità morfologiche degli istotipi speciali
di carcinoma mammario possono influenzare l’accuratezza
della diagnosi citologica.
Queste forme rappresentano non meno del 10% dei tumori
diagnosticati e alcuni rientrano spesso nei cosiddetti tumori
da screening. In molti casi il limite diagnostico è rappresentato dalla scarsa cellularità o dal basso grado nucleare, ma
anche per gli istotipi morfologicamente più aggressivi, la
concomitante presenza di elementi reattivi o la somiglianza
con elementi metaplastici possono condizionarne il riconoscimento.
Sono stati valutati 227 casi consecutivi di carcinoma mammario operati presso la nostra Azienda Ospedaliera in un
arco di 24 mesi, precedentemente sottoposti a citologia
aspirativa con ago sottile.
A fronte di un 70% di carcinomi duttali NOS, 9% di carcinomi lobulari e 5% di carcinomi intraduttali, sono stati
diagnosticati 36 tumori ad istotipo speciale (16%). Tra
questi più frequenti sono stati carcinomi papillari (3%),
papillari-mucinosi (2,6%), tubulari (2,6%), apocrini (1,7%)
e infiammatori (1,7%). Ancora più rari il carcinoma mucinoso, metaplastico e midollare (0,8%) e i carcinomi
cribriforme, tubulo-lobulare, secretorio, micropapillare e
a cellule giganti osteclast-like (0,4%). In tre di questi casi
(tubulo-papillare, mucinoso-papillare e cribriforme) la diagnosi citologica era stata di sospetto (C4), in due (mucinoso
e infiammatorio) di inadeguato (C1) e in uno (tubulare) di
dubbio (C3). Si trattava in questi casi di carcinomi ben differenziati o poco cellulati. Le caratteristiche morfologiche
del carcinoma infiammatorio giustificano l’inadeguatezza
del materiale esaminato.
Gli istotipi speciali rappresentano quindi, anche nella nostra
esperienza, una sfida diagnostica, resa ancora più probabile
dall’introduzione di indagini di screening mammografico.
Tuttavia a fronte delle difficoltà interpretative, il riconoscimento di queste lesioni può permettere di suggerire
percorsi terapeutici più o meno aggressivi in relazione alle
diverse prognosi che spesso caratterizzano tali neoplasie,
indipendentemente dai dati clinici e radiologici che li accompagnano.
Introduzione. L’immunoistochimica è una metodica di fondamentale importanza nella diagnosi istopatologica. Utilizza
anticorpi come reagenti individuando su di un tessuto antigeni
specifici e rileva il legame Ag-Ab con una colorazione visibile
al microscopio. Applicare le tecniche d’immunocolorazione
anche sui preparati citologici consente sia la definizione di
malignità che lo studio di neoplasie metastatiche e quello di
biomarcatori tumorali (mammella).
Materiali e metodi. I campioni citologici utilizzati possono
essere: da semplice esfoliazione cellulare a citologia per
agoaspirazione (FNA). La metodica può essere applicata su
materiale diversamente allestito: strisciato e/o centrifugato,
citoincluso, citologia in fase liquida. Quando è necessario si
può ricorrere a vetrini di archivio. Per tutti i seguenti allestimenti: striscio, fase liquida, citocentrifugato, citoincluso, la
metodica prevede i seguenti step: decolorazione (può non essere necessaria), smascheramento antigenico, blocco delle perossidasi (può non essere necessario), legame Ag-Ab, rivelazione, controcolorazione. Metodica standardizzata del nostro
laboratorio: durante la reidratazione, arrivati all’alcool 95°, i
vetri vanno immersi per 2-3 secondi in una soluzione (100 ml)
fatta da: 70 ml di alcool 70° più 29 ml di acqua distillata, più
1 ml di acido cloridrico puro (decolorazione). Lavare i vetri
abbondantemente in acqua grado reagente. Smascheramento
antigenico: bagno termostatato a 99° con tampone Tris-EDTA
ph 9 (20’); blocco delle perossidasi endogene H2O2 – 3%
(5’); anticorpo primario (30’); polimero marcato (30’); DAB
(3’); controcolorazione in ematossilina (2’).
Risultati e conclusioni. I risultati sono direttamente proporzionali alla qualità dei preparati, infatti la reazione non
avviene in maniera adeguata in presenza di preparati spessi
con accumuli cellulari di tipo tridimensionale o in presenza di
materiale non adeguatamente fissato. La presenza di sangue e/
o flogosi non alterano la reazione. La metodica è riproducibile
e standardizzata (unico trattamento per tutti i marker testati,
diluizione degli Ab uguale sia per IHC che per ICC). Opportunità particolarmente importante se si considera la metodica
applicata ad un immunocoloratore.
Dendritic follicular cells tumor. Report of a
case
F. Tallarigo, M.G. Scalia, S. Mazza, R. Cordoni*, R. Valgimiglim, S. Fiaccavento*
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San
Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica
Settore di Citopatologia Diagnostica Istituto Clinico Città di
Brescia
Clinical history. A 56-year-old woman, with palpable left
laterocervical lymphadenopathy, have previous right emithyroidectomy with a diagnosis of haemorrhagic cyst. Ultrasoudguided FNA of a mass ø 3 cm was performed and subsequent
gastroduodenoscopy, ORL visit and nasopharynx brushing
where negative. Morphological clues in FNA: highly cellular
410
smears background of small lymphocytes and plasma cells.
Large and pleomorphic tumor cells, single or in loosely cohesive and syncytial groups irregular, rounded to oval nuclei
of variable in size and large cytoplasm with ill-defined limit
same tumor cells have folded nuclear membrane and prominent nucleoli bizarre multinucleated giant cells frequent atypical mitotic figures.
Morphological cytological diagnosis. Malignant lesion with
suggestion of metastatic neoplasm morphological no otherwise
classified; ancillary studies are required for the diagnosis.
Immunocytochemical Findings: CD 20: -; CD2: +; CD23: +;
Lysozima: -; Cam 5.2: +/-; Vimentin: +; Thyroglobulin: -;
LCA: -; CD21: +.
Histological and Immunohistochemical findings: Positivity
for CD21, CD23, CD35.
Focal positivity for EMA, S100, CD68, CD20. Negativity for
CD34, CD30, Lysozima, LCA.
Diagnosis. Dendritic Follicular Cells Tumor.
Citologia agoaspirativa di massa
endoaddominale
F. Tallarigo, I. Putrino, N. Papaleo, R. Cordoni*, S. Fiaccavento*
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San
Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica
Settore di Citopatologia Diagnostica Istituto Clinico Città di
Brescia
Caso Clinico. Massa solida fortemente vascolarizzata e
necrotica del ø di cm 20 in ipocondrio sinistro con ipotesi
diagnostica eco/tac di angiosarcoma. Aspetto citologico:
l’agoaspirazione eco-guidata della neoformazione consente
di allestire 9 preparati citologici che vengono colorati con
Ematossilina ed Eosina. In questi si evidenzia una ricca cellularità in parte costituita da elementi singoli sparsi, in parte
in aggregati discretamente coesivi. A forte ingrandimento si
apprezza una disposizione in fasci di cellule rotondeggianti
o fusate, a nucleo rotondo/ovale con disegno cromatinico
finemente ipercromatico raramente nucleolato e focalmente
in aree con maggiore disordine architetturale sono presenti
maggiori atipie con evidente anisomacrocariosi, irregolarità
del disegno e del profilo nucleare ipercromatico. Diagnosi citologica provvisoria: cellule atipiche suggestive per neoplasia
mesenchimale a basso grado. Sulla base dei dati clinico-strumentali e del dato morfologico citologico viene suggerito un
panel di anticorpi che ha consentito una precisa conclusione
diagnostica. Profilo immunocitochimico: Cam 5.2: --; S100:
--; SMA: --; Vimentina: ++; CD 34: focalmente positiva; CD
117(c-Kit): +++. Diagnosi citologica definitiva: localizzazione di tumore stromale (GIST). Conferma istologica: tumore
stromale dello stomaco (c.d.GIST) con ulcerazione mucosa,
infiltrante per contiguità la milza ed infiltrazione nodulare in
sede di tessuto adiposo peripancreatico, perigastrico e in nodi
multipli al mesocolon.
III Simposio Nazionale di Citologia - SIAPEC-IAP
Quali possibilità della citologia agoaspirativa
mammaria nel riconoscere le modificazioni a
cellule colonnari?
F. Tallarigo, F. Vittimberga, A. Tommasini, R. Cordoni*,
S. Fiaccavento*
U.O. Anatomia Patologica e Citodiagnostica, Ospedale “San
Giovanni di Dio”, Crotone; * Servizio di Anatomia Patologica
Settore di Citopatologia Diagnostica, Istituto Clinico Città di
Brescia
Introduzione. Si tratta di lesioni (CAPSS) che interessano
le unità duttulo-lobulari terminali, di recente riscontro in
occasione di mammografie eseguite per microcalcificazioni,
e caratterizzate dalla presenza di cellule epiteliali colonnari
con pronunciate secrezioni apicali nel lume ghiandolare. Su
queste lesioni di base si possono aggiungere atipie architetturali e citologiche in uno spettro di lesioni insufficienti però
a configurare diagnosi di iperplasia duttale atipica (ADH) e
carcinoma in situ (DCIS) e con un significato precanceroso
ancora da definire. Comunque lesioni morfologicamente più
significative come carcinomi duttali in situ e invasivi si associano ad alterazioni a cellule colonnari di diversa entità.
Discussione e conclusioni. Nella semplice alterazione a cellule colonnari si ha una proliferazione epiteliale e conseguente
dilatazione cistica delle ghiandole. Queste risultano delimitate
da cellule cubiche o colonnari in una o due file con nuclei in
sede basale e citoplasma eosinofilo, apicale con protrusioni
intraluminali. È presente modesta ipercromasia nucleare in
assenza di nucleoli e mitosi. Nel lume si notano materiale
granulare e talora microcalcificazioni basofile. Nella iperplasia a cellule colonnari con atipia, le atipie sono di vario
grado, i nuclei appaiono aumentati di volume, vescicolosi,
talora macronucleolati con frequenti, ma non indispensabili,
modificazioni architetturali. Si accompagnano ad aspetti micropapillari sempre più evidenti con l’incremento della gravità
delle lesioni stesse sino ad aspetti del carcinoma intraduttale.
Compaiono nel lume microcalcificazioni che possono essere
di tipo cristallino, opache, basofile con tendenza a frammentarsi e calcificazioni ossificanti. In presenza di associati quadri
di ADH e di DCIS la diagnosi si basa sulle note caratteristiche
morfologiche delle rispettive lesioni.
Gli aspetti citologici specifici delle alterazioni a cellule colonnari non sono di agevole individuazione e talora possono essere riconosciuti in associazione ad atipie ed aspetti di iperplasia
papillare più o meno atipica.
pathologica 2007;99:411
3° Simposio Nazionale di Citopatologia - Siapec-Iap
Indice analitico per autori
Andreano T., 374
Antonini D., 379
Anzalone G., 397
Arcoria A., 383
Aricò V., 383
Ascoli V., 360
Aspromonte N., 383
Avenoso G., 383
Bacigalupo B., 368
Barbetti A., 385, 388
Bargelli G., 388
Baron L., 400
Bartoletti R., 391
Beccati M.D., 375, 380
Beltotti P., 400
Benenti M.T., 390
Berlendis M., 397
Bocchio C., 390
Boddi V., 388
Bonaffini O., 391
Bondi A., 353
Bonfadini M., 379
Boschi R., 398
Buccoliero A.M., 376, 381, 385, 388
Buriani C., 380
Cai T., 391
Calderazzo M., 380
Caleo A., 373
Canessa P.A., 368
Canzonieri V., 369
Caparello B., 359, 380, 389, 389
Capocasale G., 392
Capocasale G., 393
Caraceni D., 395
Carletti A.M., 368
Casazza S., 377
Castiglione F., 376, 381, 385, 388
Cazzaniga R., 396
Celano M., 397, 398
Cerra M., 359, 381
Cerruti G., 350
Chiaravalloti L., 373
Ciccocioppo L., 395
Cirelli R., 397
Comin C.E., 361
Conti F., 395
Coppola G., 359, 381
Cordoni R., 401, 402
Costa U., 373
Costabile C.M., 359
Costabile M., 381
Criaco C., 383
D’Amuri A., 396
Dalla Palma P., 355
De Maria N., 383
De Sanctis D.P., 398
Depietra R., 399
Dessanti P., 368
Di Bonito L., 351, 363
Facchini M., 388, 400
Fambrini M., 388
Fedeli F., 368
Feoli F., 365
Ferrari M., 385
Ferri E., 398
Ferro P., 368
Fiaccavento S., 368, 370, 401, 402
Filardo A.V., 384, 400
Fiorenzo F., 359, 381
Franceschini M.C., 368
Frangella C., 398
Froio E., 385
Garbini F., 376, 381, 385, 388
Gardini G., 385
Gazzera G., 390
Gentili C., 352
Gentili C., 387
Gheri C.F., 376, 381, 385, 388
Giarnieri E., 372
Giovagnoli M.R., 372
Iaccarino A., 398
Inchingolo C.D., 390
Iuele R., 392, 393
La Fauci M.P., 383
Lambertenghi D., 396
Lapini A., 376
Lavecchia A.M., 384, 400
Leonardo E., 363
Leone F., 388, 400
Leonetti L., 384, 400
Leotta A., 359, 380, 389
Lio S.G., 359, 380, 389
Lodovichetti G., 399
Lombardo V. 383
Maccallini V., 374
Magnani C., 379
Marasà L., 395
Marchione R., 396, 397
Marchionni M., 388
Marino G., 398
Marino M., 398
Marsico A., 379, 390
Mazza S., 399, 401
Mazzi A., 396
Mazzoli S., 391
Mazzotta A., 395
Meacci F., 391
Messerini L., 361
Molina E., 396
Moncini D., 376, 381, 385, 388
Mondini E., 397
Nardi F., 365
Navone R., 366, 379
Nenci I., 380
Nenna R., 390
Nesi G., 376, 391
Novelli L., 361
Orsini T., 395
Paglierani M., 376
Papaleo N., 399, 401, 402
Pappalardo S., 388
Parodi A.M., 350
Pasquariello G., 390
Patitucci G., 392, 393
Patrini S., 390
Pedriali M., 380
Perin T., 369
Piana S., 385
Pilla D., 395
Pontoni S., 390
Postiglione M., 400
Prandi S., 356
Pratticò L., 368
Prudente E., 390
Putrino I., 373, 399, 401, 402
Quarto F., 400
Raco C., 359
Raspollini M.R., 376
Rizzo M., 391
Rizzo P., 396
Romeo F., 392, 393
Roncella S., 368
Rosini S., 395
Rossi Degl’Innocenti D., 381, 385
Rostan I., 379
Salviato T., 369
Santi R., 361
Scafidi C.A., 390
Scalia M.G., 373, 399, 401
Scarselli G.F., 388
Scibetta N., 395
Scisca C., 391
Senatore S., 396
Setta S., 395
Spairani C., 396, 397
Spena C., 359
Squillaci S., 396, 397
Taddei A., 388
Taddei G.L., 370, 376, 381, 385, 388
Talamo Rossi R., 391
Tallarigo F., 373, 399, 401, 402
Tinacci G., 391
Tommasini A., 399, 401, 402
Toso D., 399
Trentin M.T., 399
Troncone G., 358
Truglia M.C., 397
Tucci L., 345, 384, 388, 400
Ungari M., 346
Valgimiglim R., 401
Valveri R., 383
Venditti A.M., 374
Vetrani A., 398
Vignolini G., 376
Villanucci A., 385
Vita G., 397, 398
Vittimberga F., 401, 402
Zabatta A., 398
Zanin T., 369, 371
Zappacosta R., 395
Zeppa P., 364
Zini E., 391
Zupo S., 350