“L`INTERVISTA” a Giorgio Ballario un`esclusiva Notte Criminale

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“L`INTERVISTA” a Giorgio Ballario un`esclusiva Notte Criminale
“L’INTERVISTA” a Giorgio Ballario
un’esclusiva Notte Criminale
By nottecriminale
Giorgio Ballario*, giornalista di cronaca nera e scrittore noir. Qual è il tuo rapporto con il
crimine?
Dopo parecchi anni di frequentazione piuttosto diretta, adesso a La Stampa svolgo un lavoro di
redazione, per cui non sono più “sul campo” come una volta. Quindi il mio rapporto con il crimine è
per forza di cose mediato dagli altri colleghi cronisti, se rimaniamo nell’ambito professionale.
Oppure è visto attraverso gli occhi degli autori di romanzi gialli e noir, che leggo sempre con grande
piacere.
Il crimine è passato dalle forme associative violente degli anni '70 ai colletti bianchi degli anni
’80-‘90. Come si è trasformato il crimine oggi?
Forse dico una banalità, ma il crimine organizzato si è adattato benissimo alla modernità e sfrutta
appieno le nuove risorse che la tecnologia mette ormai a disposizione di tutti. Come denunciato da
parecchi magistrati in prima linea, anche in questo campo la delinquenza è sempre un passo avanti
alla legge e allo Stato. Il criminale non è appesantito da pastoie burocratiche né da limiti di bilancio,
per cui approfitta subito delle novità tecnologiche o dei nuovi fenomeni sociali e di costume.
Quindi, come sempre accade, i ladri stanno avanti e le guardie dietro, a rincorrere.
Dal caso di Cogne al caso di Avetrana la spettacolarizzazione del crimine ha raggiunto livelli
altissimi. Come vedi dalla tua scrivania tutto questo?
Con crescente distacco. Non voglio apparire moralista, ma la “spettacolarizzazione” dovrebbe
appartenere più che altro alla categoria dell’intrattenimento, non dell’informazione. Nel cosiddetto
“infotainment” di scuola americana, cioè la commistione televisiva di intrattenimento e
informazione, quest’ultima è necessariamente destinata a ridursi e a lasciare spazio al primo.
L’infotainment è finalizzato a colpire lo stomaco dello spettatore, per fare audience, ma lascia
tranquillamente da parte alcuni dei principi del giornalismo, che sono la completezza
dell’informazione, l’equilibrio, l’equidistanza. E’ una tendenza molto evidente nei casi di cronaca
nera che hai citato, ma se osserviamo bene si applica ormai a tutti i generi di informazione, dalla
politica allo sport.
Parlando con te, mi hai detto che eri presente all’arresto di Felice Maniero. Parlaci di quel
giorno. Si capiva che era stato un blitz organizzato? O come dicono gli inquirenti è stato
frutto di pedinamenti e indagini?
Era il 1994 e a quell’epoca facevo il cronista di nera e giudiziaria a Torino per l’agenzia AGI e
collaboravo con Il Giorno. Il 12 novembre arriva una telefonata dalla questura in cui si annuncia
l’arresto del boss della Mala del Brenta Felice Maniero, evaso pochi mesi prima. Ci precipitiamo
negli uffici della Mobile e vediamo questo tipo dall’aria mite, pettinato con la riga in mezzo, vestito
elegante: giacca blu, camicia azzurra, foulard al collo. Sorride, attorniato dagli agenti: “Sto
benissimo, ditelo a mia madre, che non stia in pensiero. Mi hanno preso non perché sono stati bravi,
sono stato scemo io”. Si faceva passare per dirigente di una società immobiliare e abitava in centro,
a due passi da via Roma. Andava sempre a mangiare in un ristorantino dove spesso capitavo con
alcuni colleghi, all’ora di pranzo. In questura ci dissero che gli stavano dietro da mesi, infatti erano
presenti anche investigatori arrivati dal Veneto, ma non si è mai capito bene come sia andata
veramente. Di lui mi rimane sempre impressa in mente quest’immagine da persona normale,
educata e sorridente, lontana anni luce da quella del feroce boss responsabile di molti omicidi…
Il cinema e l’informazione, cosa ne pensi di questa relazione così discussa?
Penso che siano due cose diverse e tali debbano rimanere. Anche se nell’epoca dell’immagine e
della spettacolarizzazione della cronaca, il cinema si nutre dell’informazione, la fagocita. E
l’informazione inevitabilmente viene contagiata dal cinema, basti pensare a quanti articoli si
scrivono con un taglio cinematografico, per non parlare dei servizi televisivi.
Perché il crimine, soprattutto quando viene riportato o riprodotto nel piccolo e grande
schermo, diventa mito?
Credo che accada per due motivi: il primo, che il “male” attrae più del “bene”, da sempre. Essendo
statisticamente inferiore il numero dei cattivi rispetto ai buoni, sono i primi che attirano di più
l’attenzione, in modo anche morboso. Senza contare che spesso i “cattivi” sono uomini e donne
dalla forte personalità, emanano un certo fascino. Il secondo motivo è che i giornalisti, gli scrittori, i
registi cinematografici tendono a celebrare l’immagine dei criminali: un po’ a livello inconscio –
perché in definitiva sono personaggi più interessanti – e un po’ per motivi di cassetta. Perché il
cattivo “vende” più del buono.
Lo scrittore noir quanto prende spunto dalla realtà e quanto dalla sua fantasia?
Posso dire che io prendo sempre spunto dalla realtà, perché non amo le storie inverosimili, quelle
troppo costruite a tavolino. Poi, naturalmente, nel corso della narrazione c’è anche una grossa
componente di fantasia, che in definitiva è l’aspetto più bello dell’attività di scrittura. E poi a ben
guardare la realtà e la cronaca nera spesso vanno al di là della più fervida fantasia; anche se il
rovescio della medaglia è la banalità del male: dietro i crimini più abnormi ed efferati c’è spesso una
storia mediocre, gente insignificante, motivi futili…
Quanto il tuo romanzo è vicino alla realtà? e dove preferisce confinare con la fantasia?
Forse per deformazione professionale, nei miei romanzi cerco sempre di essere molto realista, sia
nella trama sia nei personaggi. Non sono portato per gli intrecci investigativi in cui compaiono
raffinati serial-killer che uccidono con kriss malesi avvelenati e lasciano indizi in sanscrito per
ingaggiare la loro guerra personale con l’investigatore di turno… Mi sembrerebbe di prendere in
giro il lettore, perché nella realtà di gente così non ne ho mai incontrata. Quindi per me la fantasia
dello scrittore deve rimanere all’interno dei limiti della verosimiglianza.
Il tuo romanzo è ambientato a Torino, è per la conoscenza della città che hai o è perché sotto
la Mole Antonelliana c’è una certa propensione al mistero?
“Il volo della cicala” comincia e finisce a Torino, ma gran parte della narrazione si svolge a Creta.
La scelta di Torino per me è quasi scontata perché è la mia città, la conosco bene e mi piace
descriverla in un romanzo. Ma credo anche che sia un ambiente favorevole per le atmosfere noir,
come dimostrano i sempre più numerosi film che vi vengono ambientati. Ad esempio vedendo il
booktrailer del romanzo, alcuni “forestieri” si sono stupiti del grande fascino notturno della città.
Se ti proponessero di adattare il tuo romanzo allo schermo, accetteresti?
Sì.
A quale sfumature rinunceresti?
Com’è naturale, mi piacerebbe che un film o una fiction tivù rispettassero lo spirito del libro, però
mi rendo conto che “tradire” il romanzo da cui si prende spunto è pressoché inevitabile. E’ uno
scotto da pagare per raggiungere una platea molto più vasta, non c’è dubbio.
Cosa pensi di Notte Criminale?
Non per dovere di ospitalità nei vostri confronti, ma è un progetto eccezionale. L’ho visto nascere e
l’ho seguito periodicamente, anche grazie agli aggiornamenti su Facebook. Trovo molto interessante
la fusione del linguaggio giornalistico con l’uso dei video e dei filmati, e al tempo stesso il rigore
storico nell’utilizzo delle fonti. E poi passerei ore a guardare le vecchie foto in bianco e nero, quelle
che vedevo da bambino e da adolescente sui giornali di molti anni fa. Trovo che “Notte Criminale”
sia anche uno straordinario archivio di testi e fotografie, utile sia per chi lavora in campo
giornalistico, sia per gli appassionati di crimini e storie “nere”.
Alessandro Ambrosini
*Giorgio Ballario: è nato a Torino nel 1964. Giornalista, ha lavorato per l’agenzia di stampa Agi, è
stato corrispondente per svariati quotidiani nazionali (Il Messaggero, Il Giorno, L’Indipendente) e
redattore del settimanale Il Borghese. Dal 1999 lavora a La Stampa, dove si è occupato di cronaca
nera e giudiziaria.
Nel giugno del 2008 ha pubblicato il suo primo romanzo, Morire è un attimo (Edizioni Angolo
Manzoni) che ha ottenuto un lusinghiero successo di critica e pubblico ed è stato ristampato a
dicembre dello stesso anno. Morire è un attimo ha anche partecipato ad alcuni premi letterari del
genere giallo-noir (Premio Scerbanenco, Premio Azzeccagarbugli, Premio Acqui Storia sezione
romanzo storico). Nel settembre 2010 ha vinto il Premio Archè Anguillara Sabazia Città d’Arte per
la narrativa edita.
Nel gennaio 2009 ha pubblicato il racconto My Generation sulla rivista online
www.thrillermagazine.it, nella sezione “Libri gialli, anni di piombo”, dedicata al periodo della
violenza politica degli Anni Settanta e Ottanta. Il racconto è poi uscito nell’antologia Crimini di
piombo, pubblicata da Laurum Editore nell’autunno dello stesso anno.
Nell’ottobre 2009 è uscito il secondo romanzo del ciclo “coloniale” del maggiore Morosini, Una
donna di troppo, sempre pubblicato dalle Edizioni Angolo Manzoni. Il volume è stato selezionato
tra i cinque finalisti del Premio Acqui Storia 2010, sezione romanzo storico, vinto poi da Antonio
Pennacchi con Canale Mussolini.
Nel novembre del 2010, ancora una volta per i tipi delle Edizioni Angolo Manzoni, è uscito Il volo
della cicala, romanzo noir di ambientazione contemporanea, in cui fa la sua comparsa il detective
italo-argentino Hector Perazzo.