Con viscere di misericordia 4 – Il “figliol prodigo”
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Con viscere di misericordia 4 – Il “figliol prodigo”
Con viscere di misericordia Il 15° capitolo del Vangelo di Luca (evangelista definito “scriba mansuetudinis Christi” da Dante Alighieri per queste ed altre parabole sulla tenerezza divina verso i peccatori) raccoglie tre parabole sulla misericordia: la prima sulla moneta smarrita (non dal borsellino ma dall’acconciatura nuziale che veniva trasmessa da madre in figlia per generazioni), la seconda sulla pecora smarrita e ritrovata sul monte e quella, apparentemente notissima ma sempre da rileggere con attenzione e cura, chiamata solitamente “del figliol prodigo”, anche se il protagonista casomai è il padre misericordioso. Padre dall’amore incompreso e criticato, Padre lasciato solo nel suo amore ostinato, amore che pare a tutti uno spreco, Padre che pare destinato alla sconfitta proprio a causa del suo amore….Padre che dobbiamo, ancora, cercare di capire, perché non tutto ci è chiaro, non tutto abbiamo compreso. Di questo testo come di noi stessi. Prima di addentrarci nella storia, una precisazione: una parabola non è un resoconto, la cronaca di un fatto storico, ma è un sentiero, che ognuno deve percorrere con le proprie gambe, mettendoci dentro il proprio rapporto col Padre celeste, con i propri fratelli, con il peccato proprio ed altrui…ad ognuno la parabola racconta quindi una storia diversa, perché ognuno ha la sua storia privata, che dà un eco diversa da qualsiasi altra storia. Precisato questo, iniziamo la lettura. 4 – Il “figliol prodigo” Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. La parabola inizia con una semplice e netta affermazione: papà, facciamo finta che tu sei morto e quindi dammi la mia eredità. Il “vulnus”, la ferita inferta al cuore del Padre è spaventosa…non sono i soldi che vengono portati via, è il suo amore di Padre che non viene né capito né valorizzato, ma sfruttato e umiliato, sprecato e rifiutato. Ogni volta che pensiamo di essere più liberi facendo a meno di rispettare le Leggi divine siamo uguali….il figlio minore pensa di poter vivere meglio, più libero e più protagonista, lontano dalla Casa, facendo a meno dell’amore del Padre, cercando di inventarsi una vita senza quell’amore che giudica un impiccio, un limite, un ostacolo…dietro ad ogni peccato c’è sempre una sete incompiuta di libertà assoluta, una voglia di poter dire “io faccio quel che voglio”, che si riduce molto presto in “faccio quel che riesco”…. Difatti, nel giro di poco tempo i soldi finiscono, ed il sogno di libertà diventa un incubo. Per gli ascoltatori ebrei, che considerano impuro il maiale (motivo sufficiente per restare cattolici!!!), non poter mangiare neanche il cibo dei maiali è segno di una abiezione assoluta, totale: peggio di così…. Il nostro figlio preferito ritorna, facendosi anche molto male, sulla terra e, non certo per motivi etici ma solo per esigenze gastronomiche, decide di ritornare a casa, confidando perlomeno in un’accoglienza ridotta (ormai non sono più tuo figlio, almeno accoglimi come un salariato). Il Cielo viene citato non per motivi di fede, ma come strumento di pressione per convincere il Padre a riaccoglierlo – un napoletano direbbe ch’amma fà pe’ campà….Al di là dell’uso spesso distorto di questa frase, non è per nulla dettata da una conversione, ma solo dalla fame. Non ha infatti capito nulla dell’amore paterno, che non dipende dal comportamento del figlio ma solo dalla tonalità del cuore. Non sa ancora che significhi essere figlio, in pratica. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il colpo di scena avviene inaspettato: il Padre lo vede da lontano, e uscendo dalla Casa gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia. Non risponde alle parole, preparate con cura, del figlio, ma da’ disposizioni perché possa fare ritorno in Casa con tutti gli onori: rivestito con un abito nuovo e bello, con l’anello segno della sua appartenenza alla dinastia paterna, e coi calzari ai piedi. In pratica, vuole che il Figlio faccia un ingresso nella Casa non da straccione ma da Figlio, con tutti gli onori. La sua identità di figlio non è mai stata messa in discussione dal Padre, è il figlio che pensa di averla ormai compromessa: come dire, il figlio minore non ha capito molto di suo Padre e del suo amore per Lui…. Pensa con criteri troppo materiali: se io mi comporto bene mio padre mi ama, cioè io compro l’amore del Padre col mio comportamento. Se invece mi comporto male, non me lo merito più. Un criterio solo umano per valutare l’amore di Dio….quanto ci serve la Parola di Dio per capire, e quindi vivere, secondo la volontà divina! Quanto possiamo andare lontani dal vero senza la parola di Dio! Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Il figlio maggiore è l’altra faccia della medaglia, è la controparte del figlio minore. Avvisato – da un servo, non perché sia entrato nella Casa ed abbia partecipato alla festa – presenta al Padre le sue giuste, motivate rimostranze. Non è forse vero che lui non si è mai allontanato dalla Casa? Non è forse vero che lui non ha mai sprecato un centesimo dei soldi paterni? Allora, lui ha diritto di offendersi, perché mica credeva in Dio per nulla, (citazione da Giobbe 1, 9: “forse che Giobbe teme Dio per nulla?”) ma solo per acquisire quei meriti che a suo tempo si sarebbero dovuti trasformare in moneta contante. Se il figlio minore aveva voluto tutti e subito i “suoi” soldi, il figlio maggiore li aveva lasciati investiti nell’azienda agricola paterna, così da maturare gli interessi. Il figlio minore aveva detto al Padre “facciamo finta che sei morto”, il maggiore invece aspettava in silenzio l’inevitabile morte del Padre. Dell’amore del Padre, di che significhi essere Figlio, neppure lui aveva mai sentito parlare. Non sapeva neppure il significato della parola “fratello” (cosa condivisa dal minore, che non pensa neppure un attimo al fratello che pure ha lasciato in Casa). E’ il Padre che esce nuovamente, prima per il minore e poi per il maggiore, prima per far tornare figlio il prodigo sconfitto, poi per far diventare fratello lo scontroso e deluso figlio maggiore. Come dire, che relazioni ci sono nella Casa del Padre? Come dire, io per quale motivo resto nella Casa del Padre? Per amore o per investimento? Come dire, anche per me la misericordia del Padre è uno spreco ed un errore? Facciamo fatica, tutti quanti, a capire l’atteggiamento del Padre, che pare sconfitto dall’egoismo di un figlio, e dalla sete di libertà assoluta dell’altro figlio…una sconfitta che sa di croce; cioè amore perso, amore deriso, amore che pare non poter portare frutto alcuno. Dio ci ama perché è nostro Padre, o perché ci comportiamo bene? E cosa penso della Casa? Casa senza porta, da cui si può entrare ed uscire in assoluta libertà… Abbiamo ancora molto da capire, molto da esplorare, in noi e nella Parola di Dio.