Pagina99 - Elliot Edizioni
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sabato 18 febbraio 2017 | pagina 99 ARTI | 35 i bibliomani? solo femminucce Tipi | Effeminati nell’800. Poi solo bizzarri. Ora un libro li racconta n C’è stato un tempo in cui ci si sdilinquiva e ci si accapigliava per accaparrarsi libri, non iPhone. Michael Robinson, professore all’Università di Massachusetts-Dartmouth, ci racconta questa passione smodata, ai confini con il sensuale, nel suo volume Ornamental Gentlemen (una nuova edizione in uscita per Oxford University Press, dopo che il libro è stato pubblicato nel 2015 per Edinburgh U.P.). Se anche non siamo nel perimetro della società dei consumi, si possono osservare episodi prodromici della bulimia compulsiva da acquisto. Ad esempio, racconta Robinson al Guardian di qualche giorno fa, nel 1812 l’asta della biblioteca personale di John Ker, terzo duca di Roxburghe, fu un vero e proprio evento: durò ben 42 giorni e segnò il più alto prezzo di vendita per un libro mai registrato fino allora, ovvero 2.260 sterline – pari a circa 190.000 dollari attuali – per un’edizione di un’opera di Boccaccio. Effetto della penuria di pubblicazioni nel periodo di guerra e della sanguinosa fine toccata a molti nobili francesi dopo la Rivoluzione; a loro erano sopravvissute solo le loro biblioteche. Nasceva in quegli anni la nozione di bibliomania. Il chierico e bibliografo inglese, Thomas Frognall Dibdin nel suo volume Bibliomania: A Bibliogra- phical Romance (1809) descriveva sintomi e caratteristiche della malattia, da cui peraltro era anche lui evidentemente affetto: l’ossessione per le prime edizioni, per i libri stampati in caratteri gotici, o per quelli con i bordi ancora intaccati dalla rilegatura, per le copie uniche in rilegatura marocchina e così via. Mentre per la Treccani, «La bibliomania si mostra quando un amatore d’elzeviri computi al millimetro l’altezza del suo Pastissier françois, con la stessa ansietà (dice Charles Nodier) con la quale Federico il Grande misurava la statura dei suoi granatieri». All’epoca, comunque, il bibliomane era guardato anche con sospetto (si veda a titolo esemplificativo quanto scriveva Thomas De Quincey): appariva un individuo dominato dal capriccio e dalle pulsioni più che dal raziocinio. Secondo Robinson, esisteva una sorta di stereotipo per il bibliofilo che lo voleva effeminato e lussurioso. Un esponente del mondo gay ante-litteram, potremmo dire. Nel XX secolo l’amore forsennato per i libri cessa di essere uno stigma: prima diventa un vanto, poi finisce – oggi – con il configurarsi come un hobby per pochi eccentrici nostalgici. Del passionale gentiluomo di ottocentesca memoria descritto da Robinson è rimasto ben poco. (bf) La biblioteca di Sainte-Geneviève di Parigi nel 1859 WIKIPEDIA VALERIA VACCA / GETTY IMAGES due madri e l’abbandono Romanzi | L’arminuta di Donatella Di Pietrantonio racconta di una figlia lasciata sola due volte. Storia ancestrale ma attualissima nel ruvido Abruzzo VALENTINA PIGMEI n Non bisogna farsi ingannare dall’atmosfera remota in cui si svolge la storia de L’arminuta di Donatella Di Pietrantonio (appena uscito per Einaudi). Bastano poche righe di questo breve romanzo e ci troviamo di colpo immersi in un mondo ancestrale, dove una ragazzina di 13 anni viene abbandonata senza spiegazione dalla donna che l’ha cresciuta e che fino a poco prima credeva essere sua madre. Una ragazzina che un pomeriggio dell’agosto del 1975 si ritrova seduta a una tavola dove non conosce nessuno, in una casa che a quanto pare è quella della sua famiglia biologica. Non sono gli anni Cinquanta della Morante, ma è l’Abruzzo di nemmeno quarant’anni an- CONTROVENTO Sperling & Chiacchier di Enrico Arosio n A Milano ci sono marchi editoriali che vengono da lontano. Nel 1899 un libraio di Stoccarda, Heinrich Otto Sperling, aprì in città un’impresa di edizione e distribuzione libraria, con prevalenza di testi tecnico-scientifici. Nel 1911 gli si affiancò il giovane Richard Kupfer, e nacque la Sperling & Kupfer. Con la Grande Guerra (e i due tedeschi diventati stranieri nemici) s’interruppero le pubblicazioni, e dal 1925 Sperling cedette al socio Kupfer, che in seguito lasciò a Harry Betz. Negli anni Trenta, in pieno fascismo, la Sperling & Kupfer pubblicò con coraggio opere enciclopediche e autori internazionali come Stefan Zweig, Thomas Mann, ni fa. In quell’Abruzzo che, come diceva Giorgio Manganelli è «un grande produttore di silenzio», l’Arminuta, cresciuta in una cittadina di mare, si ritrova di colpo in paesino dell’entroterra, con fratelli e una sorella che non ha mai visto prima, una casa buia, sporca, con poco cibo sulla tavola e due genitori che non sembrano far molto caso ai figli. Tutta la narrazione oscilla tra due mondi: la famiglia adottiva e la famiglia biologica, il mare e l’entroterra. Eppure, questa dell’Arminuta è una storia attuale, anzi attualissima, perché «l’abbandono è l’altro polo dell’essere madre: una patologia, un’anomalia, che appartiene al materno da sempre», dice Donatella Di Pierantonio a Pagina99. Dopo l’esordio con Mia madre è un fiume e un secondo li- Franz Werfel nella celebre collana “Narratori nordici” curata da Lavinia Mazzucchetti. La Seconda guerra mondiale portò drammi, confusione, declino. Finché il glorioso marchio fu rilevato e rilanciato prima da Tiziano Barbieri, poi, dal 1995, dalla Mondadori, tanto da gestire con successo anche una celebrity come Stephen King. Ebbene, come festeggia la Sperling & Kupfer, dopo 118 anni di storia, questo bel traguardo? Pubblicando un libro di pettegolezzi di quella tizia aggressiva dal cognome strano, Chaouqui, che ha scoperto – nessuno, nessuno al mondo lo sospettava – che in Vaticano c’è chi traffica, arraffa, ricatta e fa sesso. Ammazza che scoop, direbbe Herr Sperling. bro altrettanto riuscito Bella mia, l’autrice torna sul tema che le è più caro: la narrazione dell’essere madre e dell’essere figlia. La storia dell’Arminuta, la “ritornata”, è quella di una ragazzina che viene abbandonata Le famiglie povere davano un bimbo alle donne sterili: li chiamavano “donati” due volte, la prima volta alla nascita, dalla madre, e la seconda volta dalla madre “adottiva” che la restituisce alla famiglia per ragioni che la ragazzina, insieme al lettore, scoprirà soltanto tempo dopo. «Era una pratica abbastanza comune in Abruzzo fino Copertina di un’edizione della Sperling & Kupfer agli anni Settanta. Le famiglie meno abbienti davano un figlio alle donne sterili; li chiamavano “donati”: una specie di welfare fai-da-te», ci dice l’autrice. Non diversamente dai fill’e anima sardi, che qualche anno fa aveva raccontato Michela Murgia: «un modo meno colpevole di essere madre e figlia». «Oggi – continua Di Pierantonio – si parla molto di diritto alla maternità, ma non ci credo troppo in termini normativi. L’essere madre è qualcosa che va conquistato dentro di sé, non è qualcosa che si compra o si acquisisce per legge». Come può sopravvivere una bambina abbandonata due volte? Che ha dimenticato perfino «che luogo sia una madre»? Madre che manca «come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure». Eppure l’Arminuta si salva, e la sponda la troverà tra i suoi pari, soprattutto con la sorella minore Adriana. E queste sono le pagine più belle del libro, il racconto del mutuo scambio, quello tra due sorelle che si riconoscono subito e si aiutano facendosi da madre a vicenda fino a creare unacomplicità insolubile e salvifica, quella dell’essere unite nel disamore degli altri. Donatella Di Pierantonio ha raccontato una storia arcaica e attualissima, con una lingua ruvida e asciutta. Come l’Abruzzo che la ospita.