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LEZIONE “TRASFERIMENTO D’AZIENDA” PROF. GIULIO QUADRI Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda Indice 1 Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda: la fattispecie ----------------------------------- 3 2 I limiti applicativi dell’art. 2112 c.c. ------------------------------------------------------------------- 9 Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 13 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda 1 Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda: la fattispecie Il trasferimento d’azienda costituisce una fattispecie tipica di modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, assai ricca di profili giuridici in ragione di una particolare ed articolata disciplina. Infatti, mentre dal lato del lavoratore la natura necessariamente personale dell’obbligazione rappresenta una limitazione all’ammissibilità delle vicende modificative, il mutamento soggettivo della parte datoriale non implica di per sé una vicenda estintiva del rapporto, che sopravvive ogni qual volta permanga l’organismo aziendale, pur in presenza di un cambiamento della persona del datore di lavoro. Nel complesso organizzativo infatti rientrano anche i contratti di lavoro che, nel caso di trasferimento dell’azienda, subiscono la sola modificazione del titolare del credito lavorativo rimanendo tuttavia impregiudicata la posizione contrattuale del prestatore di lavoro, il quale conserva tutti i diritti connessi. La disciplina del trasferimento d’azienda, inteso come la cessione del complesso dei beni produttivi da un imprenditore ad un altro, è stato oggetto di una significativa evoluzione normativa, contrassegnata dal susseguirsi di una pluralità di provvedimenti legislativi emanati in attuazione di tre direttive comunitarie (la dir. 77/187/CEE del 14 febbraio 1977 e la dir. 98/50/CE del 29 giugno 1998, trasfuse nella dir. 2001/23/CE del 12 marzo 2001). Il trasferimento d’azienda è regolato, in particolare, dagli artt. 2112 c.c. e 47 l. 29 dicembre 1990, n. 428, come modificati dal d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 18 e dall’art. 32 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, recanti una molteplicità di disposizioni finalizzate a tutelare la posizione dei prestatori di lavoro coinvolti nelle vicende traslative dell’azienda. La questione principale che ha interessato la giurisprudenza, sia sul piano del diritto interno, che su quello del diritto comunitario, ha riguardato, in particolare, la precisa determinazione delle nozioni di trasferimento di azienda e di ramo di azienda, presupposto indispensabile per la corretta delimitazione dell’ambito di applicazione della relativa disciplina. Sul piano del diritto comunitario occorre evidenziare come le incertezze derivanti dalla mancanza nella prima direttiva (la 77/187/CEE) di una definizione di “trasferimento di impresa” siano state superate, in un primo tempo, dalla ricca elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia e, solo a distanza di circa venti anni, dall’intervento della seconda direttiva (la 98/50/CE), che ha delineato nell’art. 1 una nozione piuttosto elastica di trasferimento, concernente ogni “entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”. L’ampiezza di una simile definizione sembra rispondere all’obiettivo, perseguito dal legislatore comunitario, di allargare per quanto più possibile l’ambito di applicazione delle norme di tutela dei lavoratori coinvolti nelle vicende traslative dell’impresa, prescindendo, invece, dalla precisa delimitazione della relativa fattispecie. Anche nel diritto interno, il principale nodo problematico della materia consiste, appunto, nella corretta delimitazione della fattispecie del trasferimento d’azienda e dell’ambito di applicazione della relativa disciplina. Al centro delle dispute, così, è stata posta la nozione stessa di azienda, definita dall’art. 2555 c.c. quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”, ma che, anche a causa di interpretazioni non di rado restrittive del termine “beni”, alla stregua dell’art. 810 c.c., intesi come “le cose che possono formare oggetto di diritti”, è parsa spesso inadeguata in vista della prevalente esigenza di tutela dei lavoratori, costantemente richiamata a sostegno della rivendicazione di una estensione dell’ambito operativo dell’art. 2112 c.c. Già la dottrina aziendalista, peraltro, sottolinea da tempo l’opportunità dell’adozione di un’accezione ampia dell’espressione “beni”, comprensiva non solo delle cose materiali e dei beni immateriali, ma anche dei servizi, ossia quelle prestazioni di carattere personale inserite dall’imprenditore nel complesso organizzato e anch’esse indispensabili per l’effettivo svolgimento dell’attività di impresa: allargamento, questo, indispensabile, per far rientrare nella nozione di azienda pure le attività rientranti nel settore dei servizi, spesso contrassegnate dalla rilevanza prevalente (c.d. attività labour intensive), nell’ambito dei mezzi di produzione, delle prestazioni di lavoro rispetto ai beni materiali (capitali, macchine, attrezzature). Proprio per superare simili problemi interpretativi, il legislatore del 2001 ha aggiunto all’art. 2112 c.c. un quinto comma recante una specifica definizione di trasferimento di azienda ai fini dell’applicazione della norma medesima, da intendersi come “qualsiasi operazione che … comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata … preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”. Si tratta, a ben vedere, di una nozione piuttosto ampia di trasferimento di azienda, poiché la formulazione legislativa non ne fornisce una definizione tecnica e sembra, invece, rispondere, principalmente, alla necessità che la disciplina in esso contenuta si applichi in tutte le ipotesi in cui la gestione dell’attività di impresa passi da un soggetto ad un altro. Il nuovo testo dell’art. 2112 c.c., dunque, risente in maniera rilevante dell’influenza dell’elaborazione comunitaria in materia, che, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda ostile al formalismo, non distingue in modo netto e chiaro tra il concetto di impresa e quello di azienda, sicché risulta far testuale riferimento, nel delineare la nozione di trasferimento d’azienda, a quella di imprenditore contenuta nell’art. 2082 c.c. In tale prospettiva legislativa, il nucleo della vicenda traslativa è, insomma, rappresentato dal “mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata” al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi, cioè, dall’effetto di sostituzione di un soggetto ad un altro nella gestione dell’attività di impresa, rivolgendosi l’attenzione – considerata irrilevante la tipologia negoziale sulla cui base il trasferimento è attuato – alle conseguenze dell’operazione, con una chiara prevalenza del profilo effettuale su quello strutturale. Nonostante il tenore letterale della disposizione, nella quale manca ogni riferimento alla nozione di azienda quale “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” (così come delineata dall’art. 2555 c.c.), deve, comunque, ritenersi indispensabile, ai fini dell’applicabilità della disciplina contenuta nell’art. 2112 c.c., il trasferimento di un complesso aziendale, risultando l’azienda comunque lo strumento necessario per l’esercizio dell’impresa. Secondo una tale impostazione, l’azienda può essere considerata come un insieme di beni e servizi, caratterizzato dal presupposto dell’organizzazione, elemento di congiunzione tra le due nozioni di impresa e di azienda. Proprio l’organizzazione, in effetti, sembra assumere una rilevanza di primo piano nella individuazione della nozione di azienda oggetto del trasferimento, imponendosi quale strumento di coesione degli elementi personali e patrimoniali in un complesso suscettibile di essere valutato in maniera unitaria. In tanto, quindi, un aggregato di beni e servizi potrà essere considerato come un’azienda, in quanto questi risultino tra di loro coordinati e, nell’insieme, idonei a costituire il mezzo per l’esercizio di un’attività di impresa. Rientra nella fattispecie disciplinata dall’art. 2112 c.c. pure il trasferimento di ramo d’azienda, inteso, secondo l’attuale definizione normativa (introdotta dal d.lgs. n. 18 del 2001 e modificata dal d.lgs. n. 276 del 2003), come una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario”. Occorre subito rilevare come sia proprio il trasferimento di ramo d’azienda ad aver originato i maggiori contrasti interpretativi in dottrina ed in giurisprudenza. A seguito della grande diffusione dei processi di esternalizzazione, si è, infatti, verificata un’inversione di prospettiva: la pratica dei trasferimenti parziali di azienda sembra aver determinato una sorta di crisi di identità dell’art. 2112 c.c., il quale, offuscata la sua natura di norma di tutela dei lavoratori, è divenuto, nelle mani degli imprenditori, un incontrollato strumento di esasperata flessibilità nell’organizzazione del processo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda produttivo. Sulla base di simili considerazioni, una parte rilevante della dottrina, seguita, tra l’altro, da non meno significative pronunce giurisprudenziali, ha mostrato una propensione a sostenere, in maniera decisa, seppur con diversità di argomentazioni e di soluzioni, l’opportunità di un’applicazione per quanto più possibile restrittiva della disciplina contenuta nell’art. 2112 c.c. alle fattispecie di trasferimento aventi ad oggetto, non l’intera azienda, bensì soltanto una parte di essa, concentrando l’attenzione sull’esatta determinazione della nozione di ramo d’azienda. Come precisato della ormai costante giurisprudenza della Suprema Corte si deve trattare del trasferimento di un insieme di elementi produttivi, personali e materiali, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità. Anche dalla definizione di ramo d’azienda, quindi, emerge la già accennata valorizzazione del profilo organizzativo, con il riconoscimento di un ruolo di assoluta centralità al requisito della “autonomia funzionale”, intesa come integrazione funzionale ed organizzativa degli elementi ceduti, idonea a far considerare il complesso come un’unità produttiva autonoma. E tale elemento dell’autonomia funzionale, in seguito alla modifica introdotta dall’art. 32 d.lgs. n. 276 del 2003, non può che essere valutata al momento del trasferimento, essendo stato eliminato, nella nuova formulazione dell’art. 2112 c.c., dai requisiti per l’identificazione della “parte dell’azienda” oggetto del trasferimento il riferimento alla “preesistenza” ed alla “conservazione dell’identità”. Una simile modifica, che ha dato luogo ad opinioni fortemente discordanti in dottrina, pare innegabilmente determinare un ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina del trasferimento d’azienda, anche attraverso una valorizzazione della volontà contrattuale del cedente e del cessionario. Mentre, infatti, nell’originaria formulazione introdotta dal d.lgs. n. 18 del 2001, occorreva che il ramo d’azienda si presentasse come dotato di una propria identità e funzionalmente autonomo già presso il cedente, adesso, invece, dopo il d.lgs. n. 276 del 2003, potrà essere delineato dalle parti anche solo al momento del trasferimento, risultando anteriormente caratterizzato, dunque, da un’autonomia soltanto potenziale. Ovviamente, ciò non significa che alle parti stesse venga riconosciuta la possibilità di disporre liberamente della fattispecie, qualificando, ai fini dell’applicazione della disciplina prevista dall’art. 2112 c.c., come ramo d’azienda un’entità che non si presenti obiettivamente come un insieme coeso ed unitario di elementi materiali e personali, idoneo a consentire lo svolgimento di un’attività economica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda In tale prospettiva, quindi, emerge chiaramente come lo stesso legislatore abbia dimostrato di preferire – nell’accennata prospettiva di un deciso ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c. – una definizione alquanto sfumata di trasferimento di ramo d’azienda, capace sostanzialmente di ricomprendere anche le ipotesi in cui l’entità economica trasferita sia caratterizzata da una netta prevalenza degli elementi personali su quelli patrimoniali, fino alle ipotesi più estreme, pure considerate dalla giurisprudenza della Suprema Corte, in cui ad essere ceduto sia soltanto un gruppo di lavoratori organizzati, che per essere stati addetti ad un ramo della impresa e per aver acquisito un complesso di nozioni e di esperienze, siano capaci di svolgere autonomamente – e, quindi, pur senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzi di lavoro o altri beni – le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro. Né, del resto, pare condivisibile il timore espresso da una parte della dottrina, secondo la quale una simile interpretazione estensiva della nozione di ramo d’azienda potrebbe comportare un eccessivo ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 2112 c.c., fino a ricomprendere ogni ipotesi di esternalizzazione, con sostanziale pregiudizio per gli interessi dei lavoratori. Neppure l’interpretazione restrittiva della norma, fondata su una rigorosa indagine sul contenuto del negozio traslativo, si dimostra, infatti, capace di impedire possibili utilizzazioni fraudolente dei processi di esternalizzazione, valendo a rendere invalida la successione nella titolarità del rapporto di lavoro soltanto nel caso in cui il complesso di elementi materiali e personali non sia suscettibile di essere valutato, unitariamente, quale autonomo ramo dell’azienda. E non si rivela, pertanto, idonea a colpire le situazioni più gravi, alle quali consegua addirittura la perdita del posto di lavoro, che si verifica quando l’imprenditore si serve dello strumento del trasferimento di ramo d’azienda solo ed esclusivamente allo scopo di liberarsi di personale sgradito o esuberante e, dunque, con la finalità di eludere l’applicazione di norme imperative, come quelle previste in tema di licenziamenti individuali e collettivi (ad es., quando si trasferisce il ramo d’azienda a società costituite ad hoc o in stato di crisi avanzata, destinate a cessare l’attività produttiva in un tempo non lontano dal trasferimento). In tutte queste ipotesi, strumento più adeguato ad offrire tutela ai lavoratori coinvolti nel trasferimento d’azienda si rivela l’applicazione dell’art. 1344 c.c., che sanziona il contratto in frode alla legge, quando costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa. Accertata la sussistenza degli estremi della frode alla legge, ad esito di un’attenta verifica di tutte le circostanze di fatto e di un’accurata disamina degli interessi sottostanti, il giudice non può che dichiarare la nullità della cessione di azienda: con il risultato per i lavoratori di restare alle Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda dipendenze del datore di lavoro originario, senza subire alcun pregiudizio dal negozio illecito, come tale assolutamente inidoneo a produrre l’effetto traslativo voluto dalle parti. Per superare, poi, i problemi sul piano della prova dell’intento fraudolento si può ammettere l’ampio ricorso alla prova presuntiva, adatta a consentire un’adeguata valorizzazione di una serie di «elementi sintomatici» della natura fraudolenta dell’operazione, in maniera da far emergere la mancanza di un interesse delle parti meritevole di tutela e, comunque, idoneo a giustificarla (quali, ad es., la qualità del soggetto acquirente, le modalità di vendita del complesso aziendale, l’inserimento dell’atto traslativo all’interno di una più ampia combinazione negoziale per realizzare un risultato unitario vietato da norme imperative). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda 2 I limiti applicativi dell’art. 2112 c.c. Se il nucleo centrale del trasferimento d’azienda è rappresentato dal mutamento nella titolarità dell’attività di impresa, irrilevante si rivela il mezzo tecnico-giuridico attraverso cui l’effetto viene realizzato. L’art. 2112 c.c., infatti, ricomprende «qualsiasi operazione» idonea a produrre l’effetto traslativo, prescindendo dalla «tipologia negoziale» utilizzata dalle parti (cessione contrattuale o fusione di società), dal carattere definitivo o temporaneo del trasferimento (non solo vendita o donazione di azienda, ma anche usufrutto o affitto), dal carattere negoziale o meno della vicenda (successione mortis causa o «provvedimento» della pubblica autorità). Un particolare problema concerne il settore pubblico, poiché l’art. 31, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dispone che, fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione e consultazione previste dall’art. 47, commi da 1 a 4, della l. 29 dicembre 1990, n. 428. Tuttavia, mentre l’art. 31, d.lgs. 165/2001, richiama l’applicabilità della disciplina privatistica del trasferimento d’azienda anche al lavoro pubblico, l’art. 1, comma 2, d.lgs. 276/2003, esclude dal suo campo di applicazione le pubbliche amministrazioni ed il loro personale. Con la conseguente inapplicabilità delle modifiche apportate da quest’ultimo decreto all’istituto in esame, anche se il rinvio contenuto nell’art. 31, d.lgs. 165/2001, alla disciplina privatistica è limitato alla tutela del lavoratore coinvolto nella vicenda traslativa, delineata in modo autonomo dalla normativa speciale sul pubblico impiego, riferita al trasferimento o conferimento di attività e funzioni svolte dalle amministrazioni pubbliche. Sin dall’originaria formulazione della norma codicistica è stata contemplata invece la possibilità di rendere il complesso aziendale oggetto di contratto di affitto o di usufrutto, che modificano solo temporaneamente la titolarità del rapporto di lavoro attraverso il cambiamento del datore. Così la cessione temporanea del godimento dell’impresa nelle forme specifiche dell’usufrutto e dell’affitto sono equiparate al trasferimento d’azienda sotto il profilo della circolazione dei rapporti contrattuali. Infatti, un complesso di beni funzionalmente collegati all’esercizio dell’attività d’azienda può essere oggetto di usufrutto, che si sostanzia in diritto reale di godimento su beni altrui idoneo a costituire oggetto di poteri di disposizione dell’usufruttuario, il quale avrà a disposizione il godimento dei beni funzionali all’esercizio dell’attività economica in forma di impresa. Tuttavia, con la costituzione dell’usufrutto non si determina una vicenda Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda traslativa in senso proprio, ma una modificazione soggettiva della titolarità del complesso aziendale, senza alterazione della struttura funzionale, e questo spiega la produzione dell’effetto successorio anche nell’ipotesi di restituzione dell’azienda al nudo proprietario. Per quanto riguarda l’affitto, il contratto deve avere ad oggetto l’azienda come complesso di beni funzionalmente organizzati, con esclusione dalla vicenda modificativa nella locazione di un solo immobile con le sue pertinenze. Come per l’usufrutto, anche nell’affitto la vicenda traslativa si determina a causa della modificazione del soggetto titolare dell’impresa sebbene solo temporaneamente. Ciò avviene anche nell’ipotesi in cui il concedente, anziché proseguire direttamente l’attività di impresa, sostituisca al concessionario precedente altro soggetto con la medesima qualità, senza soluzioni di continuità nello svolgimento dell’attività stessa. Questioni specifiche si pongono poi in relazione a talune vicende regolate dal diritto societario, quali la modificazione della denominazione sociale, la cessione del pacchetto azionario, la trasformazione societaria, che tuttavia non determinano la circolazione dell’azienda e non rientrano pertanto nella disciplina dell’art. 2112 c.c. In particolare, la trasformazione di società (v. artt. 2498-2500 novies c.c.), non provoca l’estinzione della società preesistente e quindi la nascita di una nuova società, ma è la stessa società che continua a vivere in una veste rinnovata, conservando i diritti e gli obblighi in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione (v. art. 2498 c.c.,). Pertanto la trasformazione provoca una modificazione dell’atto costitutivo, ma non produce alcun mutamento soggettivo, per cui va esclusa una vicenda successoria nell’organizzazione sociale e non ricorre il presupposto per l’applicazione dell’art. 2112 c.c., cui invece può essere sottoposto il conferimento in società di un complesso di beni aziendali, in quanto in tale operazione si concreta una modificazione nella titolarità del complesso e di conseguenza un effetto successorio nei rapporti di lavoro. Il fenomeno della fusione di società va qualificato allo stesso modo della trasformazione in termini di esclusione di una modificazione soggettiva nei rapporti di lavoro collegati alla società sottoposta all’operazione. La fusione è rappresentata dalla possibile unificazione di due o più società; può consistere nella costituzione di una nuova società che prende il posto di tutte le società che si fondono, oppure nella incorporazione, con assorbimento in una società preesistente di due o più società. La fusione determina la riduzione ad uno dei patrimoni delle singole società e la riconduzione ad una unica struttura organizzativa che continua l’attività delle società preesistenti, che invece si estinguono. Tale estinzione non interessa i rapporti con i terzi e quello fra i soci, e Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda nemmeno quelli interni con i lavoratori, poiché la società incorporante, o risultante dalla fusione, assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti anteriori (v. art. 2504-bis, comma 1), indipendentemente dalla previsione dell’art. 2112 c.c. Va comunque rilevato che, sotto la spinta delle direttive comunitarie, l’art. 2112 c.c., comma 5, come modificato dall’art. 32, comma 1, d.lgs. 276/2003, ha ricompreso nella nozione di trasferimento d’azienda anche l’ipotesi di «cessione contrattuale o fusione». Una modificazione soggettiva può essere individuata invece nel processo di scissione della società, la quale dà luogo ad un cambiamento nella titolarità del patrimonio aziendale e quindi ad una successione nei rapporti di lavoro esistenti al momento dell’operazione regolata dall’art. 2112 c.c., sia nel caso di scissione totale (trasferimento dell’intero patrimonio a più società esistenti o di nuova costituzione) sia nel caso di scissione parziale (trasferimento di una parte del patrimonio ad una o più società esistenti o di nuova costituzione) (v. artt. 2506-2506 quater c.c.). Nella scissione parziale solo una parte del patrimonio della società viene trasferita; la società scissa resta invece in vita, non si estingue e la responsabilità solidale opera nei limiti del patrimonio residuo. Nella scissione totale si ha estinzione delle società scisse senza liquidazione delle stesse, poiché l’attività continua tramite le società beneficiarie della scissione, che assumono i diritti e gli obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio trasferita. La disciplina dell’art. 2112 c.c. non trova applicazione, invece, nell’ipotesi di cessione del pacchetto azionario, la quale non comporta alcuna vicenda traslativa del complesso aziendale, né un mutamento soggettivo del datore di lavoro, ma soltanto una modificazione dell’assetto azionario interno alla società. Un’ipotesi di possibile disapplicazione della disciplina del trasferimento d’azienda contenuta nell’art. 2112 c.c. è prevista, infine, dall’art. 47, l. n. 428/1990, che stabilisce alcune deroghe alla normativa codicistica, con la finalità di favorire la circolazione dell’azienda in crisi e di salvaguardare, anche non integralmente, i livelli occupazionali, norma di recente modificata dalla legge n. 166 del 2009, emanata in conseguenza di una pronuncia della Corte di Giustizia che nel 2009 ha ritenuto lo Stato italiano inadempiente nell’attuazione della direttiva n. 2001/23/CE. Ai sensi dell’art. 47, comma 4 bis, nell’ipotesi di trasferimento di imprese per le quali sia accertato in via amministrativa lo stato di crisi o sia disposta l’amministrazione straordinaria con continuazione dell’attività, qualora sia raggiunto un accordo sindacale circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, l’art. 2112 c.c. trova applicazione “nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”. In queste ipotesi, quindi, non essendo la procedura finalizzata alla Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda liquidazione dell’azienda, il legislatore non prevede una disapplicazione automatica dell’art. 2112, ma semplicemente la facoltà di derogare, anche parzialmente, alle garanzie da esso previste attraverso l’accordo sindacale. Ai sensi dell’art. 47, comma 5, nel caso in cui il trasferimento riguardi imprese soggette a procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) finalizzate alla liquidazione del complesso aziendale, qualora venga raggiunto in sede sindacale un accordo sul mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. La disapplicazione dell’art. 2112 c.c., quindi, opera automaticamente qualora ricorrano due requisiti: il primo, spesso ricondotto in dottrina alla sola procedura di amministrazione straordinaria, costituito dalla mancata continuazione o dalla cessazione totale dell’attività dell’impresa; il secondo, rappresentato dal raggiungimento, nel corso della procedura di consultazione sindacale, di un accordo gestionale avente ad oggetto il mantenimento anche parziale dell’occupazione. Tale contratto gestionale può anche prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario, che continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante. Così, per effetto dell’accordo sindacale, una parte del personale dell’azienda in crisi o fallita può essere trasferita alle dipendenze del datore di lavoro che acquisti ovvero affitti l’azienda o il ramo d’azienda, con esclusione dei diritti acquisiti e senza la responsabilità solidale dell’acquirente per i crediti vantati dai lavoratori nei confronti dell’alienante. In ogni caso per i lavoratori che non passano al cessionario, si applica il diritto di precedenza nelle successive assunzioni che il nuovo datore di lavoro abbia ad effettuare, entro un anno dalla data del trasferimento o nel termine più lungo previsto dagli accordi collettivi. Nei confronti di tali lavoratori non trovano applicazione le garanzie dell’art. 2112 c.c. Per approfondimenti: Santoni, F., (2008), Lezioni di diritto del lavoro, II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 13 Università Telematica Pegaso Trasferimento d’azienda Bibliografia • De Luca Tamajo, R., (2002) Le esternalizzazioni tra cessioni di ramo d’azienda e rapporti di fornitura, in I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici (R. De Luca Tamajo), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 14 ss.; • Lambertucci, P., (1999), Le tutele del lavoratore nella circolazione dell’azienda, Giappichelli, Torino; • Marinelli, M., (2002), Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Giappichelli, Torino; • Nappi, S., (1999), Negozi traslativi dell’impresa e rapporti di lavoro, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli; • Quadri, G., (2004), Processi di esternalizzazione. Tutela del lavoratore e interesse dell’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli; • Romei, R., (1999) Cessione di ramo d’azienda e appalto, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, pp. 325 ss.; • Santoro-Passarelli, G., (2004), Trasferimento d’azienda e rapporto di lavoro, Giappichelli, Torino; • Scarpelli, F., (1999) “Esternalizzazioni” e diritto del lavoro: il lavoratore non è una merce, Diritto delle relazioni industriali, pp. 351 ss. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 13