“SULLA BOXE” DI JOYCE CAROL OATES

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“SULLA BOXE” DI JOYCE CAROL OATES
13/3/2015
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LIBRI
“SULLA BOXE”
DI JOYCE CAROL OATES
VENT'ANNI DI SAGGI E ARTICOLI SULLA BOXE,
DALLA PENNA DI UNA GRANDE SCRITTRICE
di Michele Lupo / 12 marzo
Pagine scritte in molti anni di passione per uno sport (sport?) che ahimè ha
smesso da un pezzo di a ascinare: è la boxe vista da Joyce Carol Oates.
L’intero corpo di testi dedicati all’argomento dalla grande scrittrice
americana è raccolto ora in un libro edito da 66thand2nd (tradotto da
Leonardo Marcello Pignataro).
Da Alì a Tyson, da Dempsey a Frazier, le vicende di molti campioni si
a§ancano a proposizioni fulminanti e analisi più articolate su un rito che a
volte, per la Oates, merita la deænizione di arte. Passione ereditata dal
padre, la boxe ai suoi occhi non è metafora della vita, caso mai il contrario:
«Scrivere di pugilato signiæca scrivere di se stessi; e scrivere di pugilato ci
obbliga a indagare non solo la boxe, ma i conæni stessi della civiltà, cos’è o
cosa dovrebbe essere umano». Solo la presenza di un arbitro a un certo
punto ha sottratto la boxe alla primitiva brutalità (Oates vi arriva
ricordando esperienze del passato certo più terribili, anche deænitive,
com’era il caso dei gladiatori), ma la sua esibita, conclamata nudità e ferocia
– occorre far molto male all’avversario, e possibilmente mandarlo per terra,
non ci sono santi – ne costituiscono la nobile virtù. Nessun «falso pudore»:
crudele sì, violento non più di altri sport.
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Non sono mancati i critici che hanno visto nello sguardo della Oates un
romanticismo eccessivo – il paradosso è che lo dicevano quando la boxe era
ancora viva, laddove oggi questo scontro archetipo estraneo alle
«ingiunzioni morali» della legge ha perduto la sua aura epica. Magari la
Oates non conosce la secca rudezza di un Norman Mailer (che lei non
casualmente considera fra i migliori scrittori di pugilato – e non ci
stancheremo di ricordare l’imperdibile racconto sul grande incontro di
Kinshasa fra Alì e Foreman), ma certo non le sfugge la natura di una
competizione in cui gli sædanti mettono a nudo tutto di sé, in uno spazio a
parte che ha qualcosa di sacrale e che «esiste da prima della civiltà». Chi
assiste a un incontro di boxe «rivive l’infanzia omicida della razza»: per
questo non è propriamente uno sport, non è un gioco alla stregua di altri
passatempi. Ha da fare con la più importante passione dell’uomo, che non è
l’amore ma la guerra. Lo sguardo della scrittrice è lucido e se non può non
sottolineare la grandezza dell’immenso Clay-Alì si so erma con altrettanta
dedizione sul terriæcante Mike Tyson, il pugile che «sul ring non pensa ma
agisce d’istinto» (sul ring?) – l’ultimo fra i primi della classe a rinnovare la
storia esemplare, cara alla scrittrice, di una scalata alle vette del mondo
partendo da un’infanzia povera e disgraziata. Grande faticatore in
allenamento, Tyson, sulla scia del maniacale – monacale – Rocky Marciano,
che in vista di un match metteva fra parentesi l’intero mondo già alcuni
mesi prima. Il contrario di Clay-Alì no: visto il suo stile, il magniæco
ballerino poteva mica mettersi a saltellare ogni giorno – ciò non toglie che
vincere come vinceva lui, alla æne gli sarebbe costata un’usura irrimediabile.
In tutti i casi, l’eccezionalità dell’essere pugile sta per la Oates in un uomo
che contro ogni ragionevolezza della specie, ha rinunciato all’istinto di
sopravvivenza. Romantico? Forse sì, solo perché oggi appare improbabile.
(Joyce Carol Oates, Sulla boxe (http://www.66thand2nd.com/libri/139-sullaboxe.asp), trad. di Leonardo Marcello Pignataro, 66thand2nd, 2015, pp. 241,
euro 17)
LA CRITICA ­ VOTO 8/10
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Venti anni di saggi e articoli sulla boxe, talora molto belli e alcuni mai letti in
italiano, scritti da Joyce Carl Oates. Vite di campioni, analisi sociologiche e
letture estetiche di un rito potenzialmente estremo e spesso a ascinante.
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