Yalla Italia
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Y A L L A I T A L I A Ali Hassoun, Le tre grazie, Olio su tela, 2008 IL MENSILE DELLE SECONDE GENERAZIONI PARLIAMO DI SESSO Erotismo e fede religiosa. Due termini che sembrano inconciliabili. In realtà non è così. Nel mondo musulmano l’arte del piacere non è affatto un tabù. Anche se imbarazzi e complessi non mancano. Yalla Italia alza il velo DI RANDA GHAZY S essualità. Mondo musulmano. I due termini potrebbero sembrare, ad una prima occhiata, un tantino ossimorici. Ma l’inghippo c’è. Sentite qua: «Quando i coniugi si accarezzano Dio li guarda con uno sguardo pieno di bontà». Oppure: «Non gettatevi sulle vostre donne come fanno gli animali ma costruite un ponte fatto di dolci parole e di baci» (Maometto). E ancora: «...Coltivate l’amore per le vostre donne come un giardino... e date loro piacere e loro lo diano a voi...» (Corano). Lo stesso profeta adorava i profumi e esortava le donne ad utilizzarli, e l’intero mondo musulmano tradizionalmente vede il piacere sessuale come una “grazia di Dio” e una fonte di felicità ed intimità completa per la coppia e non certo come peccato o come mero strumento di procreazione. Attenzione però. Tutto ciò vale solo per le coppie sposate. Unite legalmente dal santissimo vincolo del matrimonio. E così i giovani, specialmente coloro che si trovano nella fascia maggiormente in balìa di pulsioni sessuali, sono proprio quelli che devono astenersi dal cedere alla tentazione. Ma non pensiate che non ne parlino. O non ci pensino. Le ragazze, tanto per dire. > a pagina 28 22 Y A L L A I T A L LA NOSTRA MISTERIOSA CASA DI CARNE DI PAOLO BRANCA EDITORIALE I l corpo è la nostra casa, come lo definisce la Bibbia è «la tenda di carne» in cui abitiamo per tutta la vita… ma è anche molto più di questo: con esso addirittura finiamo per identificarci: “siamo” alti o bassi, chiari o scuri, magri o grassi, poiché gli altri ci vedono così e attraverso il corpo stabiliamo le nostre relazioni con essi. Lo sappiamo bene e di conseguenza dedichiamo alla nostra immagine una certa attenzione così come badiamo all’immagine altrui. Immagine è però un concetto statico, mentre il corpo cresce, si modifica, invecchia e la tentazione sempre più frequente è quella di fissarne una fase cercando di rimanere il più possibile giovani, freschi e attraenti. Si perdono così i messaggi che il corpo invia a chi lo possiede come a chi lo osserva. Nell’era delle biotecnologie e della cosmesi esasperata ci riscopriamo paradossalmente un po’ analfabeti in materia: cosa sappiamo del nostro corpo e di quello degli altri, al di là delle sensazioni superficiali che ci possono dare le apparenze? Persino quando ci capita qualche guaio, come un incidente o una malattia seria, consegniamo la parte fisica di noi stessi ai moderni stregoni della medicina o dell’estetica in passiva attesa che tutto torni come prima, per chiudere al più presto la sgradevole parentesi e metterci una pietra sopra. Magari riprendendo tali e quali abitudini malsane che ci hanno portato all’impasse. Coi suoi cinque sensi ci trasmette ogni tipo di informazione sul mondo, ma fa fatica a farsi ascoltare, a meno che non alzi molto la voce. Ecco allora il corpo martoriato degli affamati, delle vittime delle guerre o delle catastrofi, dei malati cronici e dei decrepiti che si affaccia urlando sui nostri schermi di quando in quando, in una spettacolarizzazione della sofferenza tanto aggressiva CHI SIAMO Y A L L A I T A L I A Il coordinamento di Yalla Italia è curato da Martino Pillitteri. Hanno collaborato a questo numero: Imane Barmaki: 25, marocchina. È laureata in economia Ouejdane Mejri: 30, tunisina. Insegna al Politecnico Layla Joudè: 24, di origine siriana. Frequenta lingue e comunicazione per i media e per il turismo Fatima Khachi:21, di origine marocchina. Studia letteratura straniera. Ouissal Mejri: 28, di origine tunisina. Dottoranda in Studi teatrali e cinematografici Rassmea Salah: 25, laureanta in Studi arabo islamici all’Orientale di Napoli Lubna Ammoune: 20, di origine siriane. Studia farmacia Meriem-Faten Dhouib: 28, tunisina. È ricercatrice, insegnante e filologa Sara Hejazi: 31, padre iraniano e madre italiana. Lavora al Cesmeo. Randa Ghazy: 22, origini egiziane. Laureata in relazioni internazionali. Fatima El Harki: 25, origine marocchina. Master in diritti umani. Karim Bruneo: 23, papà italiano, mamma marocchina. Master in Economia e Politiche Internazionali. quanto effimera: di lì a pochi minuti la pubblicità di diete e creme saprà rassicurarci. Un altro modo di enfatizzarlo è proporlo patinato e condito, reso perfetto da qualche ritocco truffaldino, coperto di accessori come un manichino o scoperto al limite della decenza: «apri e gusta» è lo slogan più appropriato per accompagnare tali esibizioni. Spaventati dai corpi martoriati e inebetiti da quelli patinati, gli uni e gli altri situati ad anni luce dalla nostra esperienza quotidiana, dimentichiamo o diamo per scontate le funzioni regolari che fanno del nostro fisico il trasmettitore e l’antenna più sofisticata che ci sia per la nostra relazione con noi stessi e col mondo. Più immaginato che realmente vissuto il corpo può diventare una gabbia dalla quale non riusciamo a liberarci perché troppo fragile rispetto all’uso smodato che ne vorremmo fare o non coincidente con il nostro ideale di bellezza, oppure un paravento dietro il quale ci nascondiamo, illudendoci che restituisca di noi solo e sempre quel che riteniamo opportuno. L’ora della liberazione del corpo attende ancora che sia fabbricato l’orologio che la scocchi, in barba a tutte le nostre pretese esibizioni di spontaneità e persino di trasgressione. Rifletterci insieme può rappresentare un primo passo verso una concezione più equilibrata della nostra esistenza, magari solo una presa di coscienza che ci metta al riparo dalle più evidenti contraddizioni di cui viviamo e soffriamo e che ci impediscono di vivere pienamente ciò che persino i bambini più piccoli intuiscono: nato da un gesto d’amore il corpo che ci è dato è destinato ad essere il luogo della tenerezza offerta e ricevuta, segno umile e potente della relazione con gli altri che ci costituisce e ci mette alla prova. I A MISS ARAB GLAMOUR 2009 VA A... 1) Rania, regina di Giordania: per le doti di eleganza, semplicità e raffinatezza e per il suo impegno nel sociale. 2) Lalla Salma, regina del Marocco: ragazza berbera che sposando il re è la cenerentola araba in Medio Oriente. 3) A pari merito le cantanti libanesi May Hariri, Heyfa Wahbi, Najwa Karam, Elyssa, Diana Haddad, Nawal El Zoghbi, Miriam Fares, l’attrice egiziana Yousra e la regista libanese Nadine Labaki. Premio Carisma 2009 a Nujood Ali, la bambina yemenita di 10 anni che ha rotto la tradizione dei matrimoni combinati fra bambini. Nujood ha vinto il premio Donne dell’anno 2008 attribuitole da Glamour America insieme a Hillary Clinton e Nicole Kidman. 23 Y A L L A I T A L I A SPOSARSI. QUANDO PIACERE E DOVERE SI INCONTRANO IL SESSO CONIUGALE LA PUREZZA SULLA PELLE DI RASSMEA SALAH M olti penseranno che nella religione islamica la sessualità sia un tabù da non trattare. Niente di più falso. Del sesso si parla e si scrive in modo del tutto disinibito, senza né vergogne né timori. A patto che, ed è questa l’unica clausola che vi consente di accedere a tale dimensione, rientri nel contesto matrimoniale. L’Islam nutre un vero e proprio culto verso la sessualità, ne delinea dei codici di comportamento e delle regole ben chiare e parla sempre di reciprocità nel soddisfare i bisogni del proprio partner. Nelle private conversazioni “da donna”, nella cerchia delle sorelle o cugine sposate, non si fa certo uso di metafore. E ci si confida i segreti più intimi, dalle reciproche esigenze alle proprie aspettative, fino al soddisfacimento (o meno, sigh!) delle stesse. La percezione della virilità di un uomo presso le proprie confidenti, infatti, passa esclusivamente attraverso questi racconti. Motivo per il quale ogni donna innamorata e orgogliosa del proprio marito lo elogia condendo il tutto con particolari veri o presunti. Quasi facendo a gara per vincere la fascia di “miss detentrice del marito migliore”. L’atto in sé è il risultato di un sentimento d’amore, nulla è però lasciato al caso. Prima dell’incontro amoroso, infatti, entrambi i coniugi si sottopongono a un doveroso rito preparatorio... modo da non irritare la pelle della donna. Tanto per l’uomo, quanto per la donna, l’incontro coniugale deve essere piacevole attraverso tutti e cinque i sensi. «Le vostre spose sono per voi come un campo», recita il Corano (II, 223). L’uomo è l’agricoltore che deve ararlo con amore, cura e devozione se vuole che la sua terra dia i frutti sperati. Non si tratta solo di gettare il seme della procreazione. Si tratta invece di seminare nella stagione giusta e di coltivare il campo rispettandone le esigenze e le tempistiche. Il rapporto sessuale fra due sposi è come quello fra un agricoltore e il suo terreno: imprescindibile e necessario. L’appagamento è un dovere La sessualità è considerata uno degli elementi basilari su cui poggia un buon matrimonio, e quest’ultimo a sua volta è ritenuto essere l’adempimento di ben metà della religione. Si può dunque immaginare che elevata importanza ricopra nella vita nuziale di un credente. Sposandosi, ogni parte garantisce, per iscritto o dandolo per scontato, l’“imta”: l’appagamento sessuale dell’altro. Il sesso fra coniugi, così, assurge a dovere coniugale. I rapporti carnali fra una coppia implicano un insieme di regole non scritte alla Anche l’uomo si depila base delle quali vi è il principio della reciBenché l’atto in sé sia il risultato di un senprocità. Non è moralmente né religiosatimento d’amore - presumibilmente - sinmente accettabile per un marito soddisfacero e spontaneo, nulla è però lasciato al re solo le sue naturali esigenze ignorando caso. Prima dell’incontro amoroso, infatle necessità di sua moglie. Commetterebti, entrambi i coniugi si sottopongono a un be in tal caso un peccato e nello stesso temdoveroso rito preparatorio. La donna si de- PRIMA NOTTE. Foto di gruppo per 84 coppie nella valle della Bekaa, in Libano. po priverebbe la donna di un suo diritto pila completamente il corpo con una cera fondamentale. bidi e setosi. tradizionale che funge anche da scrub togliendo il priAgli occhi di Dio il sesso può diventare addirittura L’uomo non è da meno, è tenuto a depilarsi le zone mo strato di cellule morte, levigando la pelle e renden“sadaqa”, ricompensa, nel momento in cui si pensa di ascellari e inguinali per una più profonda igiene e pulidola liscia come quella di un bambino. Poi si cosparge di compiacere Dio nell’atto di prendersi cura del proprio zia ed è tenuto a presentarsi alla donna pulito e profuoli di essenza che penetrano nei fori della pelle e ne esapartner, quando - in altre parole - il sesso non rappresenmato, con particolare attenzione alla barba che non delano il profumo durante la sudorazione. E infine si conti solo una gratificazione fisica individuale, bensì un’uve essere né lunga né ispida, bensì morbida e curata, in cede un impacco ai capelli con l’henna che li rende mornione di anime e di cuori. DI LAYLA JOUDÈ D urante gli ultimi anni abbiamo assistito nel mondo arabo al boom nel campo della chirurgia estetica: la nuova moda impone curve sode al posto giusto, nasini all’insù e labbra carnose. Le giovani cantanti arabe ispirano le tendenze nel mondo arabo moderno, e così nascono le “labbra alla Alissa”, il “naso alla Nawal el Zoughbi” e il “seno alla Haifa Wahbi”. I risultati? Indistinguibili l’una dall’altra e un fisico che sfida la forza di gravità! Fino a poco tempo fa si pensava che la chirurgia estetica fosse riservata a un’élite di ricchi e famosi, ma la qualità della vita nel mondo arabo è migliorata, le abitudini sono cambiate e il bell’aspetto ha assunto maggiore importanza nella vita quotidiana. La donna araba spende mediamente 334 dollari all’anno per piacersi e compiacere. E l’uomo non è da meno: un terzo dei clienti delle cliniche di bellezza di Dubai è oggi composto da uomini. Secondo i dati delle Camere del Commercio arabe, la vendita di prodotti di bellezza e personal care nel 2007, nel mondo arabo, ha generato circa 2,1 mi- 334 DOLLARI L’ANNO, PER PIACERE E PER PIACERSI È quanto spende in prodotti estetici la donna araba. Ma anche l’uomo non è da meno: un terzo dei clienti delle cliniche di bellezza di Dubai è maschio... liardi di dollari. Dal 7 al 9 giugno Dubai ha ospitato la quattordicesima edizione della fiera «Beauty World Middle East 2009» in cui 12 aziende italiane hanno esposto nei loro stand cosmetici made in Italy. Questo grande evento ha rivelato che gli Emirati Arabi Uniti rappresentano il primo mercato per le esportazioni di cosmetici italiani in quest’area, con un valore di 58,4 milioni di euro nel 2008. Nell’ultimo anno l’incremento delle esportazioni è stato del 9,1%. In particolare il Paese di mag- giore attività è stato nel 2008 l’Arabia Saudita, con un volume di importazioni dall’Italia di quasi 29 milioni di euro. Alla faccia della cosmetica “halal” che si sta diffondendo in Europa negli ultimi anni! Interventi, creme, make up e trattamenti estetici importati dall’Europa utilizzati in grandi Spa di lusso come la Six Sense Spa ad Amman, collocata a 250 metri sotto il livello del mare, o il sontuoso 5 stelle Royal Meridien di Dubai. Il mercato del personal care si rivela quindi in controtendenza con la tanto nominata crisi economica, infatti L’Oréal, azienda numero uno al mondo nel settore, sta aprendo nuove filiali in Kazakistan, Egitto e Pakistan. Soleko, invece, azienda italiana leader nel settore delle lenti a contatto, continua ad esportare lenti a contatto colorate cosmetiche in Siria, Turchia, Arabia Saudita e Marocco, con una quota di mercato del prodotto superiore del 15% rispetto alla quota di vendita in Italia. Decisamente più economica, ma sempre molto in voga come “operazione estetica” per le donne arabe nella cura del proprio corpo, è la depilazione, effettuata con la Halawa, un impasto completamente naturale e gradevole grazie al particolare aroma caramellato, composta da acqua, succo di limone e zucchero. La mania della cura del corpo e la famosa ceretta araba al caramello hanno perfino ispirato il titolo del film Caramel (Sukkar Banat), uno dei film libanesi più acclamati e conosciuti a livello internazionale, uscito nel 2007, ambientato in un salone di bellezzza di Beirut. Proust diceva: «Lasciamo le belle donne agli uomini senza fantasia». 24 Y A L L A I T A L I A ALLO SPECCHIO. DA RAGAZZA AVEVO IL COMPLESSO. INVECE UN GIORNO... LA RIVINCITA DEI MIEI FIANCHI DI MERIEM DHOUIB O ppure: quello che le donne dicono... nei bagni turchi. Come tutte le ragazze del mondo ho scoperto il mio corpo all’età adolescenziale, quando il mio jassad (corpo in arabo) si è sviluppato e si sono disegnate due onde sulle mie cosce, quelle che sarebbero diventate l’emblema della mia femminilità e l’oggetto della mia rabbia contro gli altri. Come in quasi tutte le famiglie arabo-musulmane, una volta a settimana pure io vado al bagno turco ed è lì, proprio in quel luogo pubblico, dove ho scoperto i difetti e i pregi del mio corpo. Lì le donne si accaniscono d’invidia e di pettegolezzi contro tutte le altre che si pavoneggiano mostrando i loro fisici perfetti. Lì ho sentito i vari commenti su chi ha il seno a forma di mela chi a forma di pera, chi ha le gambe storte e chi le ha dritte, chi ha le cosce da hargma (cioè piatto fatto a base di piedi di animali), chi sembra una gazzella, chi ha la faccia da luna, perché tonda, fino al giorno che ho sentito la triste e pura verità della harza, l’altissima autorità del bagno turco, la signora che si occupa del bagno, delle cerette, dei massaggi, dei gommage… insomma quella che oggi si chiama estetista ed è pure diplomata, dirmi (pensate all’età di 15 anni): «Figlia mia che peccato, hai un viso bellissimo, un seno perfetto, la vita stretta, ma i fianchi a forma di “jarra” (anfora)». DI IMANE BARMAKI Fu una coppia di gay italiani che lavoravano nella moda ad aprirmi gli occhi. Da quel giorno sono diventata orgogliosa delle mie forme... LA DONNA È LARGA. Una sequenza del film «Cous cous». Sensualità e generosità. Mi ricordo soltanto di aver versato una lacrima. Infatti dopo questo triste episodio, ho dovuto ascoltare anche i commenti di tante zie, cugine, sarte… Fin quando un giorno sono scoppiata dicendo: «Ma ditemi un pochino, ogni volta che vengo a trovarvi dovete farmi la visita medica per misurarmi i fianchi, potrei dirvi lo stesso, che una ha il naso storto, la faccia brutta, i capelli crespi…». Una bella rivincita, ma non ero ancora soddisfatta, visto che fino all’età di 19 LA MANDORLA, STORIA DI ANIMA E DI CARNE anni mi vestivo sempre con abiti larghi, con pantaloni due taglie più grandi coperta fino alle caviglie. A 20 anni avevo iniziato a lavorare in un albergo ad Hammamet come interprete e lì una coppia gay di italiani che lavorava per una grande marca di moda italiana, mi ha cambiato la vita. Le parole rivelatrici furono: «I fianchi e le forme piacciono a tanti uomini, perché li nascondi?». Con dei disegni mi hanno fatto vedere che cosa poteva andarmi bene e che cosa dovevo evitare di mettere. Da allora i miei fianchi hanno avuto talmente tanto successo che non sono più stati un problema relativamente complesso. Anzi, ho incominciato ad attirare una certa fascia di età e uomini di certe origini. Avevo più successo nelle zone più meridionali dei Ppaesi: nel sud della Francia, nel sud dell’Italia… Sembra la favola di Cenerentola ma la verità è che quando uno accetta il proprio corpo riesce a piacere di più agli altri. È vero anche che attiro di più gli uomini del Sud e gli uomini di colore rispetto a quelli del Nord. Prima mi offendevo ma è da qualche anno che quando mi fanno un commento per strada mi giro per vedere l’origine della persona e poi mi metto a ridere e mi ricordo di quella frase che mi aveva detto un mio amico: «I fianchi piacevano agli uomini perché erano il simbolo della fertilità». Nedjma non è il vero nome dell’autore essuna creatura di Dio poo dell’autrice di questo libro. Si sa solo che trebbe sopportare di udire questa persona è nata in Marocco e che vitante oscenità sulle labbra di ve da qualche parte nel Maghreb, non ha una donna». La Mandorla di Nedjma è un mai mostrato il suo volto perché si dice che libro erotico, un atto politico, che rompe il penda una fatwa su di lei. La scelta del nopiù grande tabù della società marocchina: me Nedjma non è casuale. È il nome della raccontare, senza mezze parole e senza veli, protagonista del romanzo Nedjma di Kail rapporto con il proprio corpo e con il corteb Yacine. Il romanzo descrive attraverso Un libro che ha rotto il più grande tabù della società po altrui, attraverso le esperienze di piacere. una narrazione allegorica la storia di una «Questo racconto è innanzitutto una amata e contesa da quattro uomini, marocchina. Storia di una donna che fugge dal marito che donna storia di anima e di carne. Un amore che si un’immagine trasparente dell’Algeria del non le ha mai dato la felicità sessuale. Per fortuna della dichiara, spesso crudamente, che non tie1956 di cui l’autore o l’autrice di La Manne conto di alcuna morale, salvo quella del dorla fa uso. protagonista, le pagine alla fine traboccano di erotismo... cuore. Attraverso queste righe, mescolanza La Mandorla è romanzo che rappresendi sperma e di preghiera, ho tentato di abta il corpo della donna, in particolare la sua battere le barriere che oggi separano il celevagina, come unico strumento dell’emanBadra decide a quel punto di prendere in mano la sua ste dal terrestre, l’anima dal corpo, la mistica dall’eroticipazione femminile. Forse è un po’ troppo riduttivo! Sivita e di fuggire da quell’inferno in cui viveva, dove la donsmo. Solo la letteratura possiede l’efficacia di un’arma facuramente, con questo romanzo Nedjma ha voluto sotna non ha diritto ad essere felice: «Sono scesa a Tangeri tale. Ne ho quindi fatto uso. Libera, brutale ed esultante. tolineare aspetti che, grazie alla tradizione, sono diventadopo otto ore di viaggio e non era stato un colpo di testa. Con l’ambizione di ridare alle donne del mio popolo ti tabù: «Il profeta», come ha spiegato in un’intervista a La mia esistenza andava dritta verso la catastrofe, come quella voce che è stata loro confiscata da padri, fratelli, un giornale francese, «adorava le donne e nei libri di teoun carro funebre ubriaco, e per salvarla non avevo altra mariti». logia musulmana ci sono interi capitoli che parlano solo scelta che salire sul treno...» È la testimonianza della protagonista Badra che, aldi sensualità, ma la tradizione è stata pervertita dagli inteA Tangeri Badra incontra l’uomo che ha segnato e l’alba dei suoi 50 anni, ha deciso di raccontare tutti i suoi gralisti. Gente che ha confiscato la mia religione. Trovo tracciato il corso del resto della sua vita, l’uomo che le ha peccati, di percorrere la strada della felicità che le è stata ridicolo che la stessa civiltà che rideva e faceva l’amore codonato il suo stesso corpo, che le ha permesso finalmennegata per anni quando le è stato imposto il matrimonio sì bene qualche secolo fa, oggi sia diventata incapace di te di scoprirsi felice: «La felicità? È fare l’amore per amocon Hmed. «Hmed aveva 40 anni. Io ne avevo appena amare, di godere». re. È il cuore che rischia di scoppiare a forza di battiti, compiuti 17. Era notaio, e il titolo gli conferiva un potequando uno sguardo insostituibile si posa sulla vostra re spropositato agli occhi dei compaesani: era lui a farli LA MANDORLA bocca, quando una mano lascia una traccia di sudore dieesistere nei registri statali! Si era sposato due volte, e aveva Nedjma è uno pseudonimo adottato tro al ginocchio sinistro. È la saliva dell’essere amato che ripudiato le sue mogli perché erano sterili». dall’autrice (o autore) per evitare di vi scivola in gola, zuccherata e trasparente. È il collo che si Badra non ha mai amato suo marito ma aveva credusubire ritorsioni, un omaggio alla allunga, che si libera delle contrazioni e della fatica, che to che sarebbe servito a renderla una donna, a coprirla di leggendaria protagonista del diviene interminabile perché una lingua ne percorre tutattenzioni, di baci e di abbracci. Ma suo marito è stato soromanzo di Kateb Yacine. Il libro in ta la lunghezza. È il lobo dell’orecchio che pulsa come lo capace di cancellare ogni emozione positiva in lei, anItalia è uscito da Einaudi (pag. 180, bassoventre. È la schiena che delira e s’inventa suoni e briche le sue risate. Dopo tre anni di matrimonio, in cui non 10,50 euro). Dello stesso vidi per dire ti amo. È la gamba che si alza, consenziente, ha mai conosciuto il piacere del sesso, suo marito ha perautore/trice Einaudi ha pubblicato le mutandine che cadono come una foglia, inutile e fastiso le speranze di avere un figlio da lei e ha smesso di tocanche La traversata dei sensi. diosa». carla. «N 25 Y A L L A I T A L I A ALLO SPECCHIO. QUANDO UN FIGLIO TI FA SENTIRE BELLA CORPO DI MAMMA, CHILI SENZA COMPLESSI DI OUEJDANE MEJRI «M i sa che tua figlia non sta per niente bene in Italia… non vedi com’è dimagrita?». Sono le tipiche parole che mia nonna lancia a mia mamma ogni volta che torno a trovarla a Tunisi. Ora che ho avuto un figlio e che sto perdendo peso, giustamente, mia nonna non sapeva più a quale santo rivolgersi. Lei ha cercato in tutti i modi di convincermi ad avere sei pasti completi al giorno per evitare di “deperire” in questo periodo di allattamento. Io invece continuo a ricorrere disperatamente a Google per trovare qualche ricetta magica per perdere peso senza danneggiare gli apporti nutrizionali che passano nel latte e a cercare un bel corso nelle palestre del vicinato per iniziare a fare attività fisica. Mi rendo conto di avere proprio bisogno di ritrovare il mio “peso forma” e di perdere questi chili in più che fanno così felice mia nonna. Dieta, stile di vita, cura dimagrante, tutti vocaboli che vanno bene in Tunisia finché uno non è ancora sposato, ma appena varcata la soglia del matrimonio non dovrebbe più pensare a questi aspetti futili, anzi ingrassare dal giorno successivo al matrimonio è solo segno dello star bene. Ho sempre lottato per non ingrassare. Ma la magrezza per me era sinonimo di depressione. Invece l’allegria portava sempre peso in più. Alla fine la maternità ha risolto tutti i problemi... Dimagrire, perché mai? Dea corpulenta della fertilità oppure ninfa snella della bellezza? Grazie diverse in mondi vicini ma così lontani. Cosa devo fare? Dimagrire in Italia per seguire i canoni e sentirmi dire «ti trovo bene, sai?» oppure recuperare peso e raggiungere così il benessere arabo simbolo di fasto e di abbondanza? «Con il mio corpo faccio quello che voglio», sembra uno slogan pubblicitario ma in realtà è la conclusione alla quale sono arrivata dopo anni di convivenza con un corpo che obbedisce ai miei ordini. Dimagrisci e dimaDI FATIMA KHACHI P enso ai cambiamenti che stanno avvenendo in Marocco e con cui ogni estate mi ritrovo faccia a faccia. Come è naturale, i cambiamenti li ho notati soprattutto nei giovani, in particolare nelle ragazze. Infatti ogni volta che vado in Marocco rimango colpita dai nuovi atteggiamenti delle mie coetanee. La prima novità riguarda soprattutto l’abbigliamento. I capi prediletti sono appunto i “vestiti occidentali”, come vengono definiti dagli stessi marocchini per differenziarli da quelli tradizionali. La maggior parte di loro indossa jeans molto aderenti al corpo abbinati a top. E io, che cerco sempre di fare del mio meglio appunto per apparire il meno occidentale possibile, talvolta indossando anche la gellaba, in un Paese abbastanza conservatore come il Marocco! La cosa più divertente è che, nonostante i miei vani sforzi, vengo subito riconosciuta come “straniera”! Le ragazze marocchine, come tutte le ragazze del mondo, cerca- grisce… formula magica dovuta ad un metabolismo più veloce delle gambe di Bolt. Peccato che non sia solo nel senso della perdita di peso ma anche e soprattutto in quella di prendere splendidi chili adiposi. Mi ricordo la risposta che mi aveva dato un giorno un’amica di famiglia, medico dietista, a un mio quesito disperato per cercare di trovare una dieta che funziona: «Chiudi la bocca, cara» mi disse. Un corpo alla tunisina Pensandoci bene, il mio corpo è stato sempre lo specchio della mia anima (e non i miei occhi!) però lo è stato alla tunisina. Infatti, quando vivo periodi di stress acuto dimagrisco e quando sono felice prendo peso. Mi è sembrato più volte della mia vita di essere un membro della famiglia Barbapapà che cambiavano forma secondo quanto facevano nella loro giornata. Da vera donna mediterranea, mi porto l’eredità di fianchi larghi e di forme abbastanza marcate e sinceramente ne vado ben fiera. È chiaro che la tendenza a produrre quantitativi significativi di cellulite non è un grande affare, soprattutto quando vivi in un Paese nel quale un grammo di questa malefica sostanza va combattuto all’ultimo sangue. In realtà, cerco di mascherare bene i miei difetti. Sicuramente attirando l’attenzione su quelli meno “gravi”. Non potete immaginare la mia felicità quando sono rimasta incinta, chiarissimo il motivo. Per di più è iniziato il periodo in cui anche i miei amici italiani, attentissimi alla linea, mi hanno ribadito che ora potevo mangiare per due. Credenza popolare alquanto errata, dicono i libri, ma io sinceramente quelle pagine facevo apposta a saltarle. In fondo, la gravidanza è un momento in cui il corpo non ci appartiene più ed io ho voluto fare un regalo a mio figlio, di farmi piacere mangiando ciò che volevo così da dargli una mamma felice. IL MAROCCO NON È PIÙ IL PAESE DELLE RAGAZZE CASTE Ogno volta che torno al mio Paese resto stupita. Qui le mie coetanee son più disinibite di me. Se mettono il velo, spesso lo fanno per attirare l’attenzione dell’altro sesso. E mandare a monte tutti gli stereotipi... no di adottare tutte le possibili vie per provocare i ragazzi, che giustamente e saggiamente stanno al gioco. Una mia amica mi ha detto che molte portano il velo non perché sono state obbligate dai genitori o per sentimento religioso, ma perché sono più carine così. Il velo è diventato anche uno strumento per apparire brave ragazze di famiglia, anche se poi andando a vedere cosa combinano, tanto brave non sono. E io che avevo intenzione seriamente di mettere il hijab! Altra novità è il trucco. Raramente capita di vederle senza trucco. Le ragazze marocchine sono diventate delle grandi civette. La notizia che mi ha sorpreso di più è stata questa: se una ragazza vede un “boy” che è di suo gradimento, gli si presenta dicendogli che le è piaciuto e vorrebbe una relazione sentimentale con lui. Infatti quando si esce la sera in centro si rimane sbalorditi dal numero di coppiette, mano nella mano, con o senza velo, in un Paese musulmano in cui le relazioni prematrimoniali sono proibite! Anzi, alcuni giardinetti sono frequentati solo da coppie giovanissime! Tutto questo però è alle spalle dei genitori, logicamente... Quando vengono a sapere che vivo in Italia non ci credono perché sono fin troppo sobria per essere una che vive al- l’estero. Infatti si aspettano altri comportamenti, come mettere il costume, ecc. tant’è vero che ho ricevuto complimenti per questa serietà e castità. Infatti gli adulti ripetono sempre che la timidezza e il pudore di una volta vanno sempre più scomparendo. Dai pettegolezzi si scopre che quella ha perso la verginità con quello, che di conseguenza è stato obbligato a sposarla, oppure se è una disgraziata non ottiene neanche questa possibilità per rimediare al fatto compiuto. Mi ricordo che non si parlava di certi argomenti tabù, come il sesso. Invece oggi se chiedi a una tua amica di raccontarti una barzelletta, tutto il contenuto attinge alla sfera sessuale. Anche i corteggiamenti che si sentono per strada sono diventati molto più provocanti. Gli adulti attribuiscono la causa di tutto questo all’influenza occidentale ma soprattutto alla parabola, grazie alla quale si seguono telefilm soprattutto messicani tradotti in arabo e la storia è sempre la solita, trame rosa. Comunque, quando ritorno in Marocco noto sempre qualcosa di nuovo e talvolta mi sento come un pesce fuori dall’acqua, perché non è questo il Marocco che mi ricordavo. Però per un certo verso mi piace, devo solo abituarmi alle novità. Un amico mi ha detto che sarei stata più divertente se fossi meno casta. Chissà. 26 Y A L L A I T A L I A GRANDE SCHERMO. CHE NOSTALGIA PER L’ERA D’ORO DEI FILM EGIZIANI! E IL CINEMA GIOCAVA SCOPERTO DI OUISSAL MEJRI A ppena rientrata dalle vacanze in Tunisia, il primo collega che incontro, il mio vicino di scrivania in ufficio, esclama: «Ma come sei abbronzata! Però vedo che non ti è mancato il cibo, dovresti iscriverti in una palestra!». In quel momento le sue parole mi hanno solo sfiorata e ho continuato a pensare al canone di bellezza che esiste dalle mie parti. Come per l’oroscopo, si segue solo quando è interessante. Bene. Io ho deciso di seguire la bellezza tunisina. Una donna in carne che incarna il fascino mediterraneo. Il bello è ancora da definire ma ormai la donna si presenta su diverse dimensioni. Quale scegliere? Secondo i media ci sono due parametri. Se vi capita di guardare dei canali televisivi arabi come Rotana tv o Al-jazeera, noterete che tante giornaliste come Rania Al Baz o Khedija Ben Ghenna ormai portano il velo. Colori accesi e trucco accentuato con un velo colorato che segue le ultime mode. Un mix tra glamour e tradizione. Su Rotana Music, invece - un canale musicale che appartiene allo stesso network di Rotana tv -, si vedo- Oggi anche il mondo arabo è invaso dal modello velina. Cui si contrappone quello integralista. In mezzo non c’è più la purezza delle grandi attrici che ballavano la danza del ventre, senza mai cadere nella volgarità ANNI 50. Leila Mourad, star egiziana no i video delle cantanti tutte rifatte come Asala Nasr, Elissa, Nancy Agram, Nawal Zoghbi, Insomma, le veline arabe. Un modello di donna che diventa un marchio, innaturale, deciso dai media oppure dai chirurgi estetici stessi. Si parla di corpi perfetti, ma sono veramente perfetti? Li chiamerei corpi gonfiati a dismisura. Agli albori, nei film egiziani si vedeva molto di più il corpo femminile rispetto ad oggi. Vedere una donna scoperta che ballava la danza del ventre era una scena normale. Meravigliosa è stata la performance di Samia Gamal nel film L’amore della mia vita di Henri Barakat del 1947. Non sono mancate le ballerine nemme- IL FATTORE “J”, OVVERO AUDACIA DA SFOGLIARE «Jasad» è un nuovo mensile che sta avendo un grande successo a Beirut. È diretto da una donna. Il suo nome significa “corpo”. Un nome, un programma... DI LUBNA AMMOUNE tempo che nel mondo arabo cambi la sensibilità e la percezione che si ha nei confronti della sessualità. Dobbiamo rompere questi tabù e frenare l’ipocrisia e la schizofrenia che regnano nei nostri Paesi non appena ci si avvicina ad argomenti che riguardano il corpo». Sono queste le parole con cui la rivista trimestrale Jasad (corpo, in arabo) viene lanciata nel dicembre 2008 dalla sua fondatrice e direttrice, la poetessa libanese Joumana Haddad (nella foto). Più che chiedersi quanto il mondo arabo sia preparato a ricevere tra le mani e nelle proprie edicole una rivista come la sua, la responsabile del magazine interroga il passato e il patrimonio poetico dedicato all’eros. Il corpo di Jasad, come si può leggere nel primo editoriale, è nato come un progetto culturale, intellettuale, letterario, artistico, scientifico e sociologico, senza nessun visibile limite alle ispirazioni. Un corpo che costantemente cresce e che continuamente si evolve. Un corpo vivente che mangia, beve e respira, che è alla ricerca e si interroga, che si trasforma, si riproduce, impara e riflette. In Jasad si rispecchia il corpo della vita, del pensiero, del cuore, della sessualità e del linguaggio. E rispecchia soprattutto il corpo del corpo, nel suo conscio e nel suo subconscio, in passato, presente e futuro. Riguarda tutto ciò che è proibito o represso per andare oltre i clichés e i pregiudizi. Gli autori che hanno abbracciato il progetto sono intellettuali, scrit- «È tori, studiosi e giornalisti arabi. Sono pagine che nascono «perché i sistemi hanno condannato la nostra lingua e la nostra libertà, ma nel dizionario ci sono termini che noi abbiamo diritto di usare e bisogna chiamare gli elementi col proprio nome. Esistono pagine di letteratura del X e XI secolo in lingua araba che farebbero arrossire anche l’autore occidentale moderno più osceno, siamo sempre stati precursori nella letteratura erotica». Una delle frustrazioni della Haddad è questa castrazione sulla letteratura del corpo e la vera sfida è affrontare questa schizofrenia in arabo, con menti arabe e penne di autori arabi. «Rappresento un po’ questa vendetta. Ho bisogno di qualcosa che mi appassioni e mi provochi. Per questo credo in Jasad e nella mia poesia. Il corpo è l’universo dentro cui si muove la mia lettura e la mia scrittura». Perché il nome “Corpo”? Oltre che per il contenuto, la parola “Jasad” inizia per “J”. E per “J” iniziano anche altre parole arabe come bello, deviante, provocatorio, universale e collettivo. E “J” sta per nuovo. Per novità audace e intrepida, per immediata attrazione. “J” sta per risposta. “J” sta per il ponte, l’ala, l’anima, la montagna, il precipizio e il limite. “J” è per ogni fame nello stomaco e per l’avidità all’interno di ogni fame. E “J” sta per l’embrione, che crea la sua stessa luce quando esce alla luce. Nel primo numero si è parlato di omosessualità, feticismo, masturbazione, cannibalismo e piacere. L’indice segue uno schema costante: temi specifici del numero con sezioni tipo “Parlando di corpo” (editoriale curato dalla Haddad), “La mia prima volta” (storia personale rivolta ai lettori)... A chi ha da ridire sui contenuti o sulle immagini della rivista, Joumana ribatte: «E voi cosa sapete a proposito di quelle tradizioni o della nostra eredità, o voi, discendenti di Abu Nuwas, Al-Nafzawi, Al-Sayouti, Al-Tifashi, Al Aghani ed eredi delle Mille e una notte? Questa è letteratura intrisa di erotismo. Voglio risvegliare le donne arabe, far capire che la sessualità non va soffocata. Perché il corpo è la verità che tutti noi possediamo». no nei film del maestro Youssef Chahine che in La signora del treno del 1952 ci regala un momento magico di ballo sensuale e memorabile della splendida attrice egiziana Leila Mourad, la Brigitte Bardot araba. Le attrici ballerine che negli anni 50 hanno incantato sia gli uomini che le donne, sono innumerevoli. Registi come Zeinat Sedki, Tahia Karouka, Chadia, Faten Hamma, sono riusciti a valorizzare i loro movimenti, le loro curve, la loro eleganza facendole ballare davanti alla macchina da presa senza mai scadere nella volgarità. Le danze delle attrici ballerine del cinema arabo esaltano l’armonia del corpo femminile e, pur mostrando gambe e decolleté, non sono mai state un oggetto sessuale. Il ritmo del loro movimento è un’estensione ritmata e una rappresentazione in video dei tempi, dei ritmi, della musicalità e dei colori della vita degli egiziani. A parte la nostalgia per loro, mi ha sempre incuriosito una domanda: chissà come avrebbe ballato la danza del ventre una come Silvana Mangano? In fondo era una mediterranea come noi... BODY LANGUAGE. MAI ACCAVALLARE LE GAMBE! DI FATIMA EL HARKI S e siete ospiti di un arabo, ci sono alcune piccole regole, una sorta di galateo, da rispettare per evitare situazioni “spiacevoli”. • Mai entrare in una stanza e salutare le persone sedute alla vostra sinistra prima di quelle che si trovano alla vostra destra. Mai porgere prima la guancia sinistra rispetto a quella destra salutando una persona. Nella vita di un arabo, inizia tutto a destra, persino le sacre scritture. • Togliersi le scarpe, prima di accingersi su un tappeto. Tuttavia prestare la massima attenzione che una scarpa non si trovi con la suola all’insù. Oltre ad essere segno di maleducazione, questa circostanza è anche indice di sfortuna in arrivo. • Quando si è seduti, mai incrociare le gambe, poiché questa è la posizione che si suole attribuire a Lucifero. • Le unghie lunghe sono viste in malo modo, perché su di esse si posa il diavolo. Dovrebbe essere parecchio piccolo per riuscire a posarcisi, tanto che diventa quasi difficile anche solo riuscire ad immaginare un Shaitan in dimensione mignon. • Non sbadigliare senza mettere la mano davanti alla bocca. Questo gesto condurrà di nuovo il diavolo verso di voi per sputarvi in bocca. • Quando vi servono da mangiare, se siete mancini, è la vostra fine. La sinistra è la mano del demonio e dei traditori, e ve lo faranno notare. Inoltre - è questo è solo un senso un po’ più pratico - è che se siete a sedere attorno ad un piatto gigante di cous cous e mangiate con la sinistra, ostacolerete il vicino di posto che si trova alla vostra sinistra. 27 Y A L L A I T A L I A PROTAGONISTE. INTERVISTA A SHIRIN NESHAT, LA PIÙ FAMOSA ARTISTA IRANIANA LA BELLEZZA DEL CORPO SFIDA LE IDEOLOGIE DI SARA HEJAZI S hirin Neshat, fotografa e artista iraniana, ha vinto quest’anno il Leone d’argento a Venezia per la sua opera composta da cinque installazioni video e intitolata Donne senza uomini, ispirata al romanzo della scrittrice Sharnoush Parsipour, anche lei iraniana. Di nuovo protagoniste dell’opera dell’artista sono le donne e i loro corpi, mentre attraversano momenti storici chiave per il Paese, come il colpo di Stato organizzato dalla Cia e che ha rovesciato il governo di Mossadeq negli anni 50 del Novecento, eventi raccontati in chiave metaforica e allegorica riprendendo alcuni temi cari alla poesia mistica persiana. Yalla Italia l’ha incontrata a «Torino spiritualità», dov’è stata tra le protagoniste. Sempre a Torino l’artista è protagonista di un’esposizione con Shoja Azari alla galleria Noire contemporary art sino al 5 dicembre. YALLA: Shirin, si può dire che lei ha inaugurato una corrente artistica di donne iraniane il cui tema è stato proprio una riflessione sulle vicende del Paese in relazione al ruolo femminile? SHIRIN NESHAT: In realtà all’inizio non mi sono mai posta il problema di diventare ambasciatore della situazione delle donne in Iran, ma come artista che ha vissuto fin da giovanissima fuori dal Paese la mia era più una ricerca personale del rapporto con quello che avevo lasciato e che sentivo il bisogno di riavere. Volevo, in un certo senso, riappropriarmi dell’Iran. E così sono finita in qualcosa di molto più grande di me. È come se questo mio monologo interiore si fosse gradualmente trasformato Vive in Occidente. Ma nei giorni della rivolta di Teheran era nel suo Paese. E oggi racconta lo stupore di quei momenti DONNE SENZA. Fotogramma dall’ultimo film di Shirin Neshat, «Women without men». in un dialogo. In un certo senso è il modo più efficiente per affrontare temi sociologici, quello di rapportarsi in modo personale e introspettivo, come un individuo che pone delle domande. Comunque dico sempre: io vivo fuori dall’Iran, non potrei mai essere un rappresentante di come si vive nel Paese, non ho questo merito. YALLA: La riflessione che nasce come suo spunto personale al di fuori dell’Iran ha preparato l’Occidente a guardare con occhio benevolo la produzione artistica che invece oggi nasce all’interno dei confini nazionali? NESHAT: Certo, per lungo tempo ad Ovest si è avuta l’impressione che le donne ira- niane fossero vittime della società, mentre questo fiorire della produzione artistica e letteraria negli ultimi tempi ha provato il contrario. E ha anche colto l’Occidente di sorpresa perché nessuno si aspettava una così grande forza dalle donne, penso a Shirin Ebadi, Marjan Satrapi, Shadi Ghadirian e Goli Taraghi, e altre ancora. Questa forza è poi ciò che si avvicina di più alla realtà iraniana: abbiamo visto quest’estate, al tempo delle elezioni, la forza delle giovani che sono scese per le strade a fare campagna elettorale prima e per protestare poi. YALLA: In quanto artista cosmopolita, ha mai rischiato di essere fraintesa sia in Oc- IRAN, OBBLIGO DI MINIGONNA R ecentemente mi sono accorta che le donne europee sono eccessivamente idealizzate nel mio Paese d’origine che è l’Iran. Anche se i corpi femminili non possono essere utilizzati per fini pubblicitari, le migliaia di paraboliche nascoste nei giardini delle case portano (di nascosto) nei salotti iraniani i volti perfetti e seducenti delle donne della pubblicità proveniente da Ovest e hanno contribuito a creare degli stereotipi difficili da decostruire nella mente degli iraniani; tant’è che, appena si sparge la voce che arriva un’amica, una conoscente, una parente dall’Italia, che in questo caso sarei io, cominciano a crearsi grandi aspettative e l’immaginazione galoppa. Pensano di vedermi arrivare elegantissima, mentre emano fragranze sofisticate di profumi francesi, con il trucco perfetto e la messa in piega sotto il “ru-sari”, il foulard obbligatorio per le strade, e la minigonna e i tacchi a spillo sotto il “ru-push”, il soprabito che serve a nascondere le forme. Ed ecco la delusione nei loro occhi quando invece mi vedono, un intero carico di aspettative che si infrange contro i miei jeans, e il mio volto senza trucco. La loro delusione è talmente imbarazzante che mi sento in dovere di giustificarmi dicendo: «In Italia non si usa tanto la minigonna, quest’anno…». Non è solo una questione di seduzione, ma farsi belle in Iran è qualcosa di imprescindibile dal rito della socialità. Da mia nonna, per esempio, ricevere ospiti significa prepararsi almeno un giorno prima, e comprende anche la tappa obbligatoria dell’estetista, che quando non è possibile, viene sostituita da lunghe applicazioni di impacchi per capelli, maschere per le mani e, per le mie cugine più giovani, shopping compulsivo. Ricevere ospiti significa infatti spesso anche intrecciare relazioni che potrebbero portare ad un eventuale matrimonio. In Iran la bellezza è un indicatore sociale, è un investimento per il futuro, è un azione di rispetto verso il prossimo, e non ha nulla a che fare con l’obbligo di velarsi. Un giorno ero stata invitata dagli zii, ma avevo passato tutta la giornata fuori casa e raggiunsi la mia famiglia direttamente alla festa. Ovviamente non mi ero né truccata, né cambiata, come al mio solito. Quando mia zia aprì la porta con un cordiale sorriso, una cruda realtà mi si rivelò dinanzi agli occhi: ero l’unica senza minigonna e senza trucco. Notai un lieve disappunto negli occhi della zia, che però fece finta di nulla. Mia nonna era così indignata che non mi parlò fino a quando andai dall’estetista. Ma se fossi stata iraniana al 100%, come dice lei, non sarebbe stato così facile passarla liscia. (S.H.) cidente che in Iran? NESHAT: In Iran molte persone non sono abituate all’arte concettuale, per cui non la capiscono, non la trovano familiare. Allo stesso modo in Occidente le persone sono abituate ad uno sguardo molto semplicistico sull’arte, per cui qualsiasi cosa io faccia, come per esempio fotografare una donna velata, può venire letta come «oh, povere donne musulmane, guarda come vivono male». Quando parli di Islam o di politica iraniana sei subito bombardato da banalizzazioni in Occidente. YALLA: Il corpo è centrale nella sua produzione ed è sempre in relazione con gli eventi storici, che in un certo senso lo attraversano. Come sta cambiando, secondo lei, l’immagine del corpo femminile in Iran oggi? NESHAT: Mi ha colpito molto quest’estate in Iran vedere per le strade vecchi e giovani, uomini e donne… mi ha colpito la contrapposizione tra la bellezza delle persone per le strade, in particolare le donne con il loro trucco, vestite di verde, e l’atteggiamento di lotta per la causa politica. Una contrapposizione tra la bellezza del movimento verde e la violenza che su di lui si è abbattuto. Penso alla faccia di una giovane donna bellissima mentre sta per scagliare una pietra contro i “basij”. Il corpo giocava in questo evento storico un ruolo fondamentale, esprimeva la giustapposizione tra violenza e bellezza, speranza e disillusione. Questi elementi di contrapposizione suscitano delle emozioni molto forti in me. Quando lavoravo sul corpo, per esempio per la videoinstallazione di Zarin, che è una prostituta il cui corpo avrebbe dovuto suscitare il desiderio erotico, ho fatto recitare una donna anoressica, proprio per creare questa contrapposizione, era un modo un po’ sovversivo di usare il corpo di lei e presentarlo come oggetto del desiderio sessuale. YALLA: E infatti anche lei ha scelto di indossare il verde a Venezia… NESHAT: Sì, siamo andati a Venezia indossando il verde proprio per dimostrare come anche solo l’atto di indossare un determinato colore abbia assunto un significato politico. Di nuovo vestirsi diventa un modo sovversivo di confrontarsi con il governo, il verde diventa minaccioso per l’ordine costituito, diventa simbolo di resistenza. Anche in questo caso l’Occidente è stato colto di sorpresa. La bellezza e la forza giovanile c’è sempre stata in Iran, ma il regime islamico ha promosso una propaganda che creava tutt’altra immagine del Paese. YALLA: In cosa sono diversi questi giovani iraniani rispetto alla vostra generazione che ha fatto la rivoluzione del 1979? NESHAT: La nostra generazione era molto più ideologizzata, eravamo attratti dal comunismo o da altre forti ideologie, come l’islam politico. La nuova generazione non è ideologizzata. Il loro messaggio è rivolto alla vecchia generazione ed è chiaro: «Prego, andatevene a casa. Adesso tocca a noi. Vogliamo libertà e democrazia». 28 Y A L L > da pagina 21 Seguite le conversazioni tra amiche, o dalla parrucchiera, o tra parenti… il mito della prima notte di nozze, i dubbi sul sesso, la passione per la lingerie sono supergettonati come argomento di conversazione, e non sono mai inflazionati. Provate ad andare a seguire le conversazioni tra amiche e parenti in un beauty center o ai preparativi di un matrimonio. Ecco le questioni più “succose”, degli evergreen della conversazione al femminile: «MA CI SARÀ INTESA?» Un’obiezione tipicamente occidentale è questa: «Ma se non ci si conosce sessualmente prima del matrimonio, come si fa a sapere se c’è feeling?». Buona questa. Immaginatevi: luna di miele, lui e lei alla resa dei conti e… «Amore, perdonami ma credo che non ci sia feeling» «Ooops. E ora che facciamo?« COSE DI DONNE. Una sequenza del film libanese «Caramel». «Riproviamo?» «Non so» «Ehm…» “…” «Partitina a carte?» No, non è questo il punto. Il problema non è verificare il feeling erotico. Anche perché non significa nulla. Voglio dire, l’eros non è un campo totalmente sganciato dal resto, ha forti connessioni con molti altri aspetti di coppia: l’intesa intellettuale, emotiva, le sensazioni al tatto, la confidenza, il rispetto e la stima reciproca… se tutto il resto va a meraviglia mi riesce difficile credere A I T A che l’intimità si riveli disastrosa. E poi non si tratta di un tastino che si accende o si spegne. L’intesa è anche qualcosa di magico che va creato e coltivato gradualmente. In ogni caso, qualche timore ed un po’ di ansia da prestazione non mancano mai… e così ci si ritrova, tra amiche, a viaggiare con la mente su come si comporterà il proprio fidanzato al momento del dunque, e su quali sorprese attendono la novella sposa… «MA LUI SA GIÀ COSA FARE? PER TUTTI E DUE?» Altra storia infinita. Secondo le dicerie più diffuse, la ragazza media musulmana si preserva con cura per il proprio coniuge, il primo e l’unico uomo della sua vita, ma in fondo in fondo predilige che lui abbia… ecco, diciamo “un po’ di esperienza”. Che non sia troppo goffo. Che sappia cosa fare un po’ per tutti e due. Inutile dire che non tutte sposano questa scuola di pensiero… ma il punto è che tutte le madri e le amiche del mondo ti diranno «tranquilla, vedrai che sarà lui a guidarti, e saprà perfettamente come fare». Insomma, è un requisito tacito. La poveretta che arriva alla prima notte di nozze senza mai aver avuto esperienze ravvicinate con un uomo se non con il proprio cuginetto di tre anni che un giorno l’ha vista in camicia da notte, e che mai oserebbe chiedere consigli di natura sessuale alla madre o alle “grandi” della famiglia, si fida ciecamente del marito, che sicuramente la introdurrà alle gioie dell’intimità di coppia con tanto di lezioni e manuali per dilettanti. «ALTRI FIDANZATI? CHI?? IOOO??» Un’assurdità molto in voga è quest’altra. Su consiglio di amiche, parenti, e il solito sciame di perfette esperte in materia, ogni fidanzatina resetta totalmente il suo passato. Alla fatidica domanda «Hai per caso avuto altri ragazzi oltre a me?», la nostra lei strabuzzerà gli occhi e si porterà una mano al cuore «Chi?? Ioooo??», poiché non s’ha proprio da confessare. Per una regola incomprensibile, occorrerà fingere di non aver mai avuto amici maschi, fidanzatini, rapporti confidenziali o intimi con qualsiasi essere di genere maschile se non appunto il cuginetto di cui sopra. Capace anche che al primo bacio la nostra bella si dimostri ancora più inesperta di quello che in realtà non sia proprio per compiacere il suo lui, che si sentirà quindi taaanto fiero di essere il suo primo uomo, il suo primo bacio, insomma il suo primo Tutto. E ce ne sarebbero molte altre. Per non parlare dei dibattiti sui profumi, gli unguenti, le abitudini, gli accessori da utilizzare per essere l’amante perfetta. Insomma, nel mondo musulmano erotismo e seduzione non sono dei tabù. Perlomeno non a parole… Randa Ghazy L I A ATTENTI AI BACI SULLA SPIAGGIA A lcune osservazioni dell’unico maschio che si è introfulato in questo numero di Yalla Italia... Secondo lo studio Gotham World, «esistono Paesi dove è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato per legge; in altri Paesi, poco o nulla democratici, è vietato tutto ciò che non è espressamente permesso». Ecco allora alcune norme della sfera intima che la gente deve seguire in alcuni Paesi arabi. In Bahrein, un medico che visita una paziente può toccarle i genitali ma non guardarli e, se ha proprio necessità di vedere dove mette le mani, è tenuto a guardare la zona attraverso uno specchio. A Doha, una donna che viene sorpresa nuda da un uomo si deve prima coprire il viso e poi, eventualmente, anche il corpo. In Giordania, secondo alcuni legislatori si deve fare sesso «almeno ogni quattro mesi». Negli alberghi in Medio Oriente una coppia autoctona non sposata non può prendere la stessa camera. Per dormire con il proprio partner bisogna esibire il certificato matrimoniale. Poi, di nascosto come in gita scolastica, lui e lei si ritrovano nello stesso letto ma almeno la forma è salvata. Nella maggior parte dei Paesi islamici è giudicato di cattivo gusto ostentare pubblicamente comportamenti amorevoli tra ragazzo e ragazza. In Egitto si va in galera se ci si bacia sulle labbra in pubblico. A Dubai, esattamente un anno fa, una coppia inglese è stata arrestata e poi espulsa per aver pomiciato sulla spiaggia di notte. Per le autorità locali si trattava di sex on the beach. Karim Bruneo