primo incontro introduttivo grafologia primaria e infanzia

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primo incontro introduttivo grafologia primaria e infanzia
Corso di grafologia 14 e 21 gennaio 2014 Lazzari –Gardone
Scuola dell’infanzia e scuola primaria
PAOLA GARDONI: grafologa e rieducatrice della scrittura. Guardo il segno grafico dall’inizio nella sua
evoluzione. Mi occupo di rieducazione della scrittura e di educazione alla scrittura perché si inizia a scrivere
molto prima della prima elementare. Buttiamo le basi intorno ai 18/20 mesi perché se un bambino certe
esperienze non le ha fatte sarà molto difficile che poi avrà una scrittura e uno sviluppo armonioso, perché
la scrittura è un nostro riflesso, ed ogni tappa evolutiva ha la sua importanza. Quello che volevamo fare
stasera è un discorso generale, sia dal punto di vista psicologico che educativo del gesto grafico, che è il
disegno, su cosa andare a vedere nel disegno, ma non da punto di vista psicologico, che non sta né a noi
grafologi né a voi insegnanti farlo. Noi non dobbiamo entrare nell’interpretazione del disegno ma vederne
alcuni aspetti che comunque parlano del bambino. Affronteremo una parte teorica ma soprattutto con voi
vorremmo affrontare la parte pratica, facendovi proprio vedere come si fa.
SILVIA LAZZARI: psicologa, psicoterapeuta e poi anche grafologa. Non sono una educatrice, ma c’è questo
impegno soprattutto nell’Associazione Grafologica Italiana, che unisce i grafologi delle Marche, la più
grande associazione che raccoglie i grafologi diplomati che provengono da varie scuola ed ha l’obiettivo di
far capire quanto la scrittura parli, quante cose essa dica. L ‘obiettivo della nostra associazione è di favorire
la diffusione della grafologia facendo conoscere questa disciplina, seria ed affascinante, in grado di offrire
spunti per la conoscenza dell’uomo nella sua interezza, e anche uno strumento meraviglioso. Non parliamo
del contenuto ma del modo in cui lo si scrive. Questi nostri incontri saranno compositi per analizzare i
diversi aspetti della scrittura: io mi occuperò degli aspetti più interpretativi, guardando al bambino che c’è
dietro, utilizzando anche la formazione psicologica e di psicoterapeuta, mentre Paola curerà più l’aspetto
educativo e rieducativo e cercheremo di offrirvi dati ed esperienze per poter insieme capire cosa ci dice la
scrittura dei nostri alunni. Per alcuni aspetti pratici possiamo trovare una risposta, per altri possiamo
impostare una forma mentis per impostare le questioni. Alla fine i contenuti ve li potete studiare, ma
vediamo insieme il come nell’obiettivo della formazione, per acquisire un qualche cosa che rimanga, non
quindi un contenuto ma che sia formativo.
Ogni scrittura è unica perché è espressione di quella persona che è essa stessa unica. Poi ci sono scritture
simili: abbiamo un modello scrittorio che insegniamo a scuola, ma la scrittura si modella con la personalità.
GARDONI: fino a due anni se voi date ad un bambino qualunque cosa che lasci traccia, è fonte di gioia: è il
momento dello scarabocchio. In realtà il bambino all’inizio è corpo, non ha una distinzione così netta delle
sue parti del corpo, tant’è vero che non ha neanche un’immagine di sé al di là del corpo. Fino ad un anno di
età se si specchia pensa che quello sia un altro bambino e poi comincia a scoprire che quello e proprio lui.
Tutti questi stadi sono fondamentali e devono essere fatti. Questo lasciare traccia, un pezzo di sé, perché
ancora quello strumento è un pezzo di sé, lui riesce a fare qualcosa fuori di sé. Lasciare una traccia fuori di
sé è una scoperta enorme il senso dello stupore ce l’hanno solo gli umani e questa libertà di esplorare la
vedete anche quando gli date il foglio e lui tende ad andare fuori dal foglio perché per lui lo spazio è tutto,
perché ha ancora una dimensione corporea molto grande. In realtà non si scrive con la mano ma con il
corpo e queste sono le prime esperienze di scrittura che il bambino fa. Non è detto che un bambino a sei
anni sia in grado di, non perché abbia delle carenze, ma perché magari alcune tappe non le ha vissute o
bene o le ha saltate.
La fase dello scarabocchio è essenziale, non è necessario che ne faccia tantissimi, ma bisogna vedere come
li fanno. Non è scarabocchio prendere un foglio, farci uno sbaffo e cambiare; scarabocchio è prendere il
foglio, cominciare a guardare, rigirare la penna, il colore, vado fuori, ripasso. All’inizio ci può stare che
cambi dopo un solo tratto: non è come se lo immaginava, per lui è sbagliato e ricomincia, non ha ancora
una idea per cui produce qualcosa ed è sbagliato e lo toglie. Ma se è una cosa ripetitiva ed in continuazione
fa qualcosa e poi lo lascia c’è bisogno di un occhio di più. Anche lo scarabocchio ci dice tanto e anche il
come lo fa.
La prima cosa che fa è andare su e giù; in primis con quello che gli capita ha una prensione palmare e fa un
movimento di spalla e di gomito su e giù; neanche di polso, figuriamoci di dita, e non può che venire fuori
uno scarabocchio. È un movimento grosso motorio.
Poi comincia ad andare avanti e a tornare indietro, non è importante se da destra a sinistra o viceversa,
(l’orientamento lo abbiamo dato noi convenzionalmente legato alla scrittura). Questi primi scarabocchi
esprimono la voglia di fare qualche cosa; non è detto che ideativamente tutto quello che il bambino pensa
riesca a fare e piano piano da questo movimento che fa con la spalla e il gomito cominciamo a passare al
polso, perché il polso è una maturazione neurologica maggiore e cominciamo a fare il cerchio. Queste sono
le tappe di maturazione del bambino; guardate che molti bambini delle elementari sono fermi a questo
stadio perché lo stadio delle dita non è stato ancora raggiunto. Anche alcuni insegnanti non lo hanno
raggiunto questo stadio e si vede da come impugnano la penna; i bambini sono delle spugne ed imitano
quello che vedono. Tutte quelle prensioni particolari indicano un mancato o parziale sviluppo di questo
stadio.
Esempio di uno scarabocchio ordinato e di uno scarabocchio disordinato: l’ordine è dato dall’utilizzo non
solo dello spazio ma del colore e del tratto. In realtà il disordine è dato dalla quantità di movimento nello
stesso spazio; tutto è concentrato in uno stesso spazio, tratti, colori. In realtà non è un disordine di spazio, è
un disordine di contenuto: il bambino è fisso su un punto e fa solo quello. Quest’altro bambino invece ha
spaziato di più nello spazio ed ha usato armonicamente anche il colore. Lo stadio evolutivo fino ai 18 mesi è
questo, poi inizia a fare i cerchi e li inizia a fare molto precisi. Qui invece c’è solo un abbozzo e c’è un
realismo fortuito, all’inizio era una casa ma adesso assomiglia ad un gatto, chiamiamolo gatto e voi
cominciate ad averli questi bambini qui dai due anni in poi, che cominciano a dare un nome a quello che
hanno prodotto in base all’immagine che hanno prodotto perché se è un’immagine circolare può essere un
gatto. È qui che inizia la fase dell’uomo girino, perché abbiamo la maturazione neurologica e distale della
mano con il polso e riusciamo a fare il cerchio e anche psicologica. Comincia la fase ideativa del disegno,
comincia ad ideare una cosa e ad avere gli strumenti cognitivi per farla.
Per questo dicevo bisogna vedere come disegna: se io scarabocchio e basta e non riesco a fare una
produzione, a riprodurre nulla, senza una fase ideativa o se produco effettivamente qualcosa a cui posso
dare un nome, anche con un realismo fortuito. Comincia a governare la mano per uno scopo.
Questa è la fase della ripetizione, fase fondamentale a tutti i livelli, anche alla vostra età, perché se ripeti sai
fare, e questo stadio che ritroviamo a livello di diverse competenze cognitive dopo, a tutt’oggi lo
adoperiamo ed ha inizio qua nel disegno, quando volontariamente comincio a rifare la stessa cosa e si passa
dal realismo fortuito allo stadio del realismo mancato. Comincia con il volere fare qualcosa e pensare a
come lo posso fare: io voglio fare un gatto e faccio un cerchio e per perfezionarlo lo ripeto tante volte, per
cui i bambini fanno sempre lo stesso disegno. Gli ostacoli sono: ma il gatto le orecchie dove le ha? E
cominciamo a vedere non solo il gatto ma i vari pezzetti , quindi cominciamo a vedere l’immagine gatto e
ad andare nello specifico (orecchie, occhi) cominciando a sezionare l’immagine. L’ostacolo è che questo
cerchio non è proprio come il gatto che avevo in mente, perché ancora vanno di polso.
La “maldestrezza grafica” significa che se io gli do da ricopiare una L in stampatello il bambino non lo sa
fare, la segmentazione prossimale delle dita non la sa fare, lui disegna a getto e non è in grado di copiare e
anche quando disegna a getto non è un disegno fine. L’uomo girino inizia e poi cominciano a comparire le
braccia a rastrelliera, ecc.
L’attenzione: in 3 secondi è finito, ma non è un bambino iperattivo o disattento, questi sono i suoi tempi, ha
ideato e fatto perché appunto questa idea del gatto con le orecchie, il naso, ecc. non ce l’ha ben chiaro per
cui non si sofferma. Non ha ancora il concetto di sintesi. È importante che questa fase sia stimolata e
portare l’attenzione del bambino su quello che sta facendo, interessati ma mai giudicanti: bello il tuo
disegno, raccontamelo, aiutandolo alla produzione grafica e verbale perché a questo punto i bambini di 3 o
4 anni devono dire 300 parole nel loro quotidiano, non suoni parole, la capacità di nominare e di chiedere
se non lo sa. Quindi il nominare ed avere questa capacità di ritenzione della parola, cominciare a lavorare
sui vari stadi della memoria, quindi memoria di lavoro per essere poi una memoria a lungo termine, perché
questo concetto qui di penna anche se io cambio tipologia di penna lui ce lo deve avere dentro. Il ritardo
del linguaggio è importante e va segnalato ai genitori.
Volevo definire le tappe del disegno, anche se non le faremo tutte, e qui avete le due figure dell’uomo
girino, con le braccia e l’altro è il disegno della famiglia.
A 2 anni sanno fare solo le righe verticali, perché hanno soltanto un movimento braccio-spalla, a 2 anni e
mezzo le righe orizzontali e le spirali, perché cominciano a fare un movimento grosso motorio circolare, e a
3 anni, a seguito di questo compare il girino, quindi sanno fare un cerchio chiuso.
A questo stadio dei 3 / 4 anni il bambino comincia a simbolizzare: ho fatto un cerchio e lo faccio diventare
l’omino girino perché ho in mente la faccia anche nello spazio fisico. A 3 anni c’è questo distacco emotivo
per cui il corpo comincia ad essere molto più indipendente, gli sfinteri comincio a controllarli e,
motoriamente, riesco a correre e saltare, a fare quei movimenti più evoluti che manterrà nel tempo.
Attraverso il corpo c’è l’esperienza, positiva o negativa, che poi interiorizza attraverso delle emozioni. Se vi
capitano quei bambini che non hanno mai corso o giocato perché si sporcavano , che esperienza possono
mai aver fatto dello spazio. Oppure quei bambini lasciati nel box: che esperienza hanno fatto dello spazio
intorno a loro? E spesso alle elementari non sanno stare nello spazio grafico, ma gli la regola serve proprio a
questo, a contenerli e a livello di regole imparano che ci sono anche le regole al di fuori di loro.
A 4 anni il bambino comincia ad avere una simbolizzazione e quindi disegna la casa, il fusto dell’albero e
riproduce quello che conosce come esperienza, non quello che vede e il corpo nella sua totalità, non
andiamo ancora nella segmentazione. Per esempio il collo ancora non c’è, mentre le mani ci sono. Anche
l’omino girino ha le mani, a rastrello, a raggera, ma ce l’ha. Che cosa significa se non ha le mani? Se in una
serie di disegno le mani non compaiono mai o anche i piedi, le parti finali, è indicativo di un senso di
impotenza, della mancanza di sicurezza, della padronanza. Le mani sono una estensione della propria
volontà. Non dobbiamo dire ai bambini, a meno che non si parli di tecnica pittorica o si faccia un lavoro
sullo schema corporeo, perché non ha messo le mani. Se io dico semplicemente “Disegna un bambino” e
quello lo disegna senza piedi, mi da due indicazioni: la prima emotiva (serialmente questo bambino non
mette mani e piedi) e poi a livello corporeo, psicomotorio, non ha la sensazione della stabilità e spesso i
bambini iperattivi la ricercano in continuazione e siccome non hanno questo senso di stabilità (ce lo dicono
i piedi) loro la vanno ricercando. Il bambino che in una stanza va girando e toccando tutto è il bambino che
non vede niente, è come se fosse cieco e andasse a delimitare il proprio spazio. Sono quei bambini che
sembrano vedere tutto ma in realtà non hanno interiorizzato niente ed hanno bisogno di qualcosa di fisico.
Altro esempio : bambini sordi che disegnano delle grandi orecchie, enfatizzano la loro debolezza.
Bisogna sempre contestualizzare il disegno e sapere con che bambino ho a che fare perché questo mi
permette di dare una rosa di interpretazioni o comunque una interpretazione ragionevole legata al singolo
bambino. Un elemento può destare l’attenzione, se lo ha fatto una volta, però la serialità, il fatto che voi
conosciate lui e il suo ambiente, vi può dare un allarme.
Verso i 4 / 5 anni comincia a comparire una cosa che è stabile nel tempo, che è la linea di base; cioè il
bambino comincia a capire che fuori di sè, per esempio, imparano che sopra la testa c’è sempre il cielo e
sotto i piedi c’è sempre la terra e cominciano ad introiettare dentro lo spazio fisico esterno, cominciano ad
osservare ed introiettare e verso questa età comincia ad esserci la linea della terra e il cielo. Quindi fanno
l’omino e poi sotto la linea della terra e sopra quella del cielo e se tu chiedi loro che cos’è ti rispondono che
è l’erba, la terra, il pavimento, comunque qualcosa di stabile, un punto di forza. Se fate fare un disegno del
genere ad un bambino con difficoltà, la linea della terra è una delle prime cose che sparisce perché non
hanno il senso del proprio spazio e dello spazio attorno e nei ritardi evolutivi compare molto più tardi
rispetto agli altri. Verso quest’età è fondamentale anche a livello di esperienza e voi anche guidate ad una
osservazione maggiore per cui quella che era una sintesi ora diventa un’analisi, ad esempio la mattina
andiamo a vedere pezzo per pezzo la giornata. Poi voi cominciate a scandire la giornata; è molto più
cadenzata la giornata a scuola che a casa, quella a casa è sempre un po’ più caotica. I bambini cominciano
ad interiorizzare i tempi con maggiore consapevolezza e cosa si fa in quei tempi, un modus vivendi;
cominciamo a capire che IO vivo così, sono il protagonista del mio tempo, del mio spazio, del mio corpo ed
è una conquista incredibile che si chiama indipendenza. Cominciamo la simbolizzazione: faccio una riga.
Mentre il gatto, un cerchio, era reale, l’uomo girino è reale, l’erba nella realtà non è una riga, ma comincia
questa fase della simbolizzazione che è una fase della prescrittura perché la scrittura è un simbolo, la
lettera è un simbolo a cui do un significato. L’erba è un simbolo a cui do un significato; il sole è già meno
simbolico anche se i raggi sono simbolici. Siamo intorno ai 4 anni.
Poi dai 4 ai 10 comincia a disegnare quello che vede, ma come? Anche qui ci sono i vari stadi: non disegna
esattamente quello che vede, ma gli do un significato di quello che per me è quell’oggetto, di come è fatto.
A me non interessa disegnare quella bottiglia ma mi interessa disegnare una bottiglia che nel mio
immaginario è fatta così per cui non disegno il gatto, ma l’esperienza che ho del gatto, perché passa ancora
tutto attraverso quello che sento piuttosto che attraverso quello che vedo e questo realismo viene piano,
piano attraverso queste altre fasi che è il ribaltamento (faccio le cose senza una vera e propria prospettiva,
ribalto l’asse del disegno e non è solo mio ma anche dell’altro, riconoscimento della lateralità destra e
sinistra. È una fase un po’ più avanzata, verso i 6 anni) e la trasparenza (disegnare la casa con le persone
dentro): qui ancora la simbolizzazione è molto importante, e vedo in trasparenza quello che succede.
Al parco giochi RIBALTAMENTO
A sei anni devo cominciare a capire quale è la mano destra, e se la fase del ribaltamento non l’hanno
vissuta bene non riusciranno ad individuarla nel modo giusto. Noi diamo al bambino una capacità di
discernimento maggiore di quella che realmente possiede egli diamo uno strumento che non riesce ad
adoperare, il ribaltamento, che non può fare adesso, glielo devo fare io, con la rotazione. A 7 anni ci deve
essere il riconoscimento della mia mano destra e di quella dell’altro che mi sta di fronte. Se non hanno
l’esperienza corporea di quale è la mano destra ciò comporta che io scrivo e leggo da dove mi pare, e anche
le lettere p/q d/b vanno dove gli pare. Il ribaltamento lo comincio a fare presto .
LAZZARI: il disegno rappresenta una evoluzione, ci sono delle tappe che comunque più o meno tutti i
bambini fanno ed hanno un senso evolutivo. Il disegno quindi da una parte ci dice lo sviluppo anche
cognitivo, lo schema corporeo, ma dall’altra ci dice anche il suo vissuto, come lui rappresenta tutto ed ha
un aspetto proiettivo, ci mette quella che è la sua esperienza di vita, come vive la sua realtà e sono due
componenti sempre compresenti nel disegno. Il test della figura umana è stato usato da un autore per
individuare lo sviluppo cognitivo, e da un altro autore per vedere quale è il vissuto del bambino. In realtà ci
sono sempre le due componenti e tutto questo va visto all’interno del contesto del bambino che voi
ovviamente conoscete. Più il disegno è libero e più è espressione delle tendenze della personalità, del suo
vissuto, di come vive i suoi rapporti, di come vive se stesso. Ovviamente se date una consegna lo indirizzate,
ma il bambino lo farò comunque in modo personale. Un conto è che io disegno quello che mi pare; anche
se io do la consegna è perché io voglio vedere come tu ti proietti nel disegno del bambino, un conto che io
ti insegno come si disegna un bambino. Bisogna fargli fare tutto un percorso psicomotorio a fargli sentire
per interiorizzare le mani come concetto, e non solo esterne come movimento, altrimenti non ce le metterà
mai, ma così il resto. Tutto quello che è passato dal corpo lui è in grado di interiorizzarlo e di rifare questi
step mettendoli fuori attraverso la simbolizzazione, il realismo, sono tutte fasi. Ma se non ce le ha dentro
non le fa. Quando è che compare il bambino girino? Quando io comincio ad avere la sensazione del mio, IO,
indipendente da te e allora io mi stacco e mi rappresento, in un modo primitivo come un girino, il fatto che
io lo so fare è perché l’ho interiorizzato, ho puntato i piedi e ho cominciato a dire no e mi sono dissociato
da te, mamma, che mi vuoi far fare quello che ti pare a te. Se non arrivano a questo, i simbiotici, ci
arriveranno al bambino girino, ma lo faranno per copia, perché bisogna anche distinguere: tutti lo fanno e
siccome manualmente ho una maturazione lo faccio anch’io ma non lo sento. Come i bambini che scrivono
per copia ma non sentono il suono.
Il disegno non va mai preso così, ma contestualizzarlo, ricordarsi che il bambino che disegna, disegna se
stesso, c’è sempre un riversamento in quello che disegna. Il disegno è una foto del momento: quel bambino
che non disegnava i piedi perché la mamma aspettava un bambino, dopo un po’ non lo ha fatto più. Il
disegno va sempre osservato nel suo insieme: vedere l’omino quanto si posiziona all’interno del foglio,
quante cose ci sono intorno, guardiamo anche la qualità del disegno e non solo quello che manca. Il senso
delle proporzioni a questa età non ce l’hanno, ma se fa lui piccolo, piccolo e il resto enorme qualche
problema c’è perché lui è sempre al centro del mondo in questo periodo e quindi dovrebbe spiccare ed
essere più grande di tutto.
Gli animali sono anche importanti perché sono un veicolo di rappresentazione di se stessi e per esempio
quanto sono essenziali i personaggi che disegna. Ci sono bambini che a 8/9 anni ancora erano al bambino
fiammifero.
Mai fare commenti negativi sul loro prodotto, magari fatevelo spiegare perché lui ha tutto ben chiaro e
conservateli datati che vi daranno la narrazione del bambino e la sua evoluzione.
GARDONI: Scuola primaria, cominciamo dal disegno: a sei anni arrivano a scuola e la prima cosa che fate
fare è il disegno, la prima forma di comunicazione del bambino, una espressione enorme, che anche a 18
mesi con un pennarello in mano, il bambino ha proprio un piacere fisico nello scarabocchiare. Il bambino
traccia con qualunque cosa gli mettiate in mano e va a caso. Piano piano questo scarabocchio si evolve
perché il disegno è una espressione di ciò che provo. Spesso questi bambini li possiamo vedere da come
disegnano; io non essendo psicologa, mi occupo della parte grafologica, non vado ad interpretare il disegno
ma vado a vedere come il bambino disegna. Il disegno, che è un atto spontaneo, per molti bambini è fobico.
Tanti bambini disegnano ma non vogliono colorare o usano solo 2 o 3 colori, spesso il rosso o l’arancione,
perché sono comunque bambini carichi, brillanti. Il fatto che un bambino che si esprime con il corpo in
primis, poi verbalmente, non voglia disegnare, è già un punto da mettere su questo bimbo. È un qualcosa
che gli da fastidio e allora capire che cosa possa essere per aiutarlo. Non è questo il momento di
approfondire l’uso dei colori, ma date un foglio e una matita e fateli disegnare. Solitamente le femmine
disegnano più dei maschi, ma chi non lo vuole fare è un po’ come quello che non vuole leggere, è una
involuzione e allora bisogna capire perché. E vi ho portato alcuni esempi.
Esempio: bambino di terza elementare, nato fortemente prematuro (600gr, un sopravvissuto) con una
disprassia, disgrafico, e con un grosso sospetto di DSA. Viene da me, grafologa, perché con le maestre si
impegna, ma non si capisce niente cosa scrive e quindi i genitori, molto attenti, lo portano da me per un
problema di grafia. Per rompere il ghiaccio io parto dal disegno della famiglia: mamma, papà e lui. Già ci
sono delle cose da rilevare. Innanzitutto è un disegno solare, non solo perché c’è il sole, ma è ricco di
colori, anche se il colore non è messo preciso. Se non sapessi tutto il background del bambino, direi che
disegna un po’ stentatamente per un bambino di terza elementare, ma con il contesto della prematurità,
della disprassia ecc., il disegno cambia aspetto e diventa accettabile in relazione al contesto. Questo
bambino aveva anche una scrittura che, come il disegno, andava da tutte le parti, perché se io ho un ordine
mentale di disegno, ho anche un ordine mentale di scrittura. Ma se io nel disegno me lo do, lo acquisisco,
perché spesso è una traslazione, (il disegno non a caso è studiato dagli psicologi) nella scrittura rimane
quello che ho acquisito, altrimenti rimane quella traslazione che io ho corretta bene, altrimenti se non è
corretta io scrivo dove mi capita, metà foglio, in fondo, ecc. Nel disegno vediamo che questo bambino è
senza capelli e le mani ci sono ma con tre dita, + uno stadio evolutivo indietro. La figura umana, pur
essendo proporzionata per un bambino di 8 anni non è ricca, manca di occhi, capelli, accessori, è un
bambino un pò indietro per quanto riguarda il disegno. Tra l’altro ha anche uno strabismo che gli permette
di vedere alternativamente o con un occhio o con l’altro: immaginate che fatica.
Questa è la casa: il nero del prato e qui un po’ di angoscia a lui gli viene, perché va a scuola, si impegna
tanto ma questa cosa non gli è totalmente riconosciuta, ha le finestre chiuse con una bella croce in mezzo e
la porta è chiusa con la maniglia. Sono tutti accessori che ci indicano che non si vuole aprire più di tanto.
L’uso dei colori invece indica che è un bambino solare, gioioso: adopera il giallo, il rosso, tutti colori vivaci e
lui riempie di colore. A lui interessa tantissimo cosa si fa a scuola ma non ci riesce.
Questo invece è un test proiettivo che si chiama “Il bambino sotto la pioggia”, e in questo caso di pioggia ce
n’è tanta. L’input del test è questo: al bambino si dice di disegnare una persona sotto la pioggia e lui
disegna un bambino che non è protetto da nessuno ombrello e non ha neanche le scarpe o il cappello e c’è
questo senso di non protezione ed è perso nello spazio (non tocca da nessuna parte). Notate che
dimensioni ha la pioggia; vedete queste gocciolone sono tutte prese dal basso e anche i margini sono
modulati, un po’ a zig zag. Anche le nuvole non hanno uno schema, le fa così come gli viene la mano, senza
uno schema figurativo e motorio preciso. Non a caso è un bambino disprassico che fa fatica a rielaborare.
Se noi diciamo “nuvola” tutti sapremmo raffigurarcela e scriverla come parola e leggerla. In questo caso no:
nel bambino disprassico c’è proprio una difficoltà nell’ideazione motoria; io ho in mente che cosa sia la
nuvola ma ho difficoltà a rappresentare fisicamente la mia idea di nuvola, non è una questione di memoria
ma è un discorso neuronale. Capite che qui si parte con un discorso pesante. Questa difficoltà a livello
motorio è molto complicata.
Pensate alla prima elementare quando vengono insegnati i tre caratteri tutti insieme: è una tortura per
tutti. Tre cose in contemporanea seppur riguardanti la stessa cosa sono difficili da gestire, specialmente per
questi bambini. Come faccio a sapere se ho un bambino disprassico o con DSA o con un ritardo? Per questi
bambini ogni singola lettera è complicata, e tutte insieme diventa questa pioggia battente enorme che
rivela la sua ansia. Questo in seconda elementare dove queste difficoltà non si appianano da sole se ci
nasce si portano dietro. Poi iniziano anche gli errori ortografici e il tratto è rigido, pastoso (tratti più marcati
improvvisamente dove non c’entra la penna o la matita è un tono muscolare che affonda,) non riesce a
stare al passo con la classe e con una fatica enorme. Con il quadretto poi qualsiasi difficoltà peggiora e chi
inizia a scrivere con il quadretto sappia che inizia con la rigatura più difficile: se il bambino è concentrato su
come mettere si perde il cosa mettere.
Guardate come si muove sul foglio bianco: come la pioggia veniva giù tutta zigzagante, anche la scrittura
senza margini va come le gocce della pioggia. Anche lo stampato maiuscolo crea problemi, ne acuisce altri:
ad esempio vedete che qui “OGGIOGIOCATOAPALLONE” è tutto attaccato, non c’è spazio. Per quanto
brutto, il corsivo aveva la suddivisione delle parole. Qui invece prendiamo la E, ad esempio, motoriamente
la faccio in 4 parti, e quando io imparo questa cosa mi viene segmentato il pensiero, cioè trattino, trattino,
trattino, trattino che tutto insieme mi fa venir fuori la E. se ci sono problemi con le sequenze, quando ho
focalizzato la E, IL mi viene subito dopo perché devo ripensare un altro segmento, e questa unione di parole
è più frequente con bambini a cui è stato dato lo stampato maiuscolo piuttosto che con il corsivo. Gli errori
rimangono sempre gli stessi. Quando un bambino acquisisce come fare, poi con le sue risorse , è capace di
cavarsela da sé. Partendo dal disegno si sarebbe già potuto prevedere che avrebbe sbagliato delle cose ed
intervenire prima, perché il disegno è un precursore importantissimo.
Vi porto adesso questo esempio di un bambino con un quoziente intellettivo limite, di seconda elementare.
Vediamo questo disegno: ha un tratto pasticciato, non nitido, non riesce a stare dentro e fa un collo
lunghissimo e pur differenziando il viso dai capelli, poi il collo e le scarpe sono tutte dello stesso colore.,
quindi c’è una estrema semplificazione. Non è pigrizia: domandiamoci perché un bambino non ha voglia di
cambiare colore. Forse perché ha trovato una strategia: lui può fare diverse cose con lo stesso colore e
nessuno gli dice niente, perché l’importante è la produzione finale, non come lo faccio. Invece deve passare
non il quanto faccio ma come lo faccio; a lui non interessa cosa fa a scuola o come lo fa, a lui interessa che
ci siano i suoi amici. Capite che abbiamo la stessa produzione ma da due mondi completamente diversi.
Il suo bambino sotto la pioggia ha un grande ombrellone e due gocce: chissà perché tutti si preoccupano? I
personaggi sono tutti sorridenti perché lui sta benissimo dove sta, non percepisce affatto il suo problema.
Senso delle proporzioni assente: fa una mano piccola e una grande. Comincia a percepirlo quando scrive
perché anche lui fa una fatica bestiale, perché se nel disegno (guardate l’utilizzo dei colori e la dimensione
degli arti, completamente diversi) con tratti frettolosi. Delinea la sua famiglia di 5 persone in soli tre
elementi, è importante solo lui in quella casa, lui è solo ed amato, in mezzo a mamma e papà e lui sta bene
a casa e neanche lui ha voluto colorarlo il disegno, perché è faticoso, ci impiega tanto proprio a livello
prassico e poi è venuta fuori anche una disprassia.
Era estremamente lento: lui prendeva ogni cosa dal basso e la staccava, ogni lettera è fatta a sé e non
riusciva poi a fare la fusione. Ogni volta doveva riprendere a memoria come si faceva quella lettera , ogni
lettera la riprende e anche all’interno della stessa lettera (la M è tutta staccata).
DOMANDA: perché l’autistico ripassa?
RISPOSTA: perché è nel suo mondo, ha gesti stereotipati, e il ripassare è un ritornare indietro e
autoreferenziarsi. La scrittura è l’immagine di quello che è il bambino.
Non esistono bambini a cui non interessa imparare, forse non sono sufficientemente motivati, non trovano
la risposta alle loro domande, noi gli forniamo tanti input ma magari non sono quelle le risposte che
volevano avere.
Con i problemi di grafia voi dovete riprendere dall’inizio perché è uno schema neuromotorio che non è
andato e si ricomincia da capo. Togliere un vecchio movimento scorretto che molto probabilmente non
faceva scrivere bene e rimetterne un altro non è cosa da poco a livello neuronale ma si può fare.
Il bambino è ossessionato dalla prestazione, la madre lo pressa e lui deve avere una prestazione positiva; se
invece noi non lo pressiamo, basta questo e abbiamo preso il suo canale. Gli togliete un fardello e
tranquillamente gli dico che fra dieci minuti facciamo questa cosa: così magari non va in ansia come se
glielo dicessi subito e si prepara. Se gli diciamo adesso fai le operazioni le può sbagliare pur sapendole fare
benissimo perché va in agitazione, ma se gli diamo un tempo e soprattutto un voto elastico. Il voto non è il
bambino e non è neanche la prestazione, non è neanche quello cha ha imparato il bambino, perché se lui
va nel pallone è a quello che date il voto. Questo è un bambino molto intelligente e molto sensibile.
INTERVENTO: non è solo la numerosità della classe che ci ostacola nel prendere contatto con ogni bambino
ma anche la varietà dei bambini che abbiamo davanti, perché laddove c’è questo bambino che ha bisogno
di posticipare c’è quello che invece ha necessità di avere la giornata scadenzata e strutturata per abbassare
l’ansia. È difficile gestire la compresenza di così tante esigenze diverse.
Noi pensiamo di essere dei direttori d’azienda, il Marchionne della situazione, con tante complessità e se
voi non le radunate per complessità, ognuna è a se. I bambini da organizzare saranno sicuramente
iperattivi, anche disprassici, il bambino svagato sulle nuvole, il disattento. Per quelli fate una bella tabellina,
li organizzate per quello che dovete fare voi e la mamma, l’organizzazione si impara così come i compiti o il
problema di matematica glieli dovete suddividere in punti, perché altrimenti si perdono alla prima
domanda. Ai bambini ansiosi che non sanno cosa fare date il quadernino del tempo, che è solo per lui e per
quel tempo, dove farà una qualche attività che deciderete voi, qualcosa che sa fare bene o che non sa fare,
trasformando quel tempo morto in tempo di potenziamento. È il quadernino non solo per chi non sa fare
ma anche per quello che ancora non ha finito, è stanco e così stacca per un po’ e poi riprende.
All’iperattivo, che ogni 10 minuti dovrebbe cambiare stimolo, gli date così una valvola di sfogo. Il
quadernino è uno strumento dove ogni bambino in base alle proprie capacità, esigenze, in base a quello
che è può metterci dentro.
LAZZARI: Il disegno è uno strumento che voi avete dall’inizio fino alla fine dell’iter scolastico. Tutti abbiamo
delle capacità per cogliere i tratti essenziali di un disegno ma non solo: voi avete davanti il bambino e
potete inserire questo disegno in un contesto ben preciso . Infatti il disegno e la scrittura sono tutte
espressioni che ci parlano del bambino e presentano aspetti ricorrenti, così come il gioco e voi
intuitivamente avete tutti gli elementi a disposizione per poter cogliere quello che vi serve ed avere il
quadro del bambino. Anche l’uso del colore vi guida intuitivamente, senza scendere nell’interpretazione più
strettamente psicologica. Anche il distinguere semplicemente tra colori freddi e colori caldi. Un colore nero
impatta in maniera diversa, evoca tristezza, dolore. I bambini piccoli tendono ad usare i colori caldi, allora
l’uso non occasionale ma abitualmente, di colori molto scuri ci fa riflettere e rivelano una natura che tende
a chiudersi. L’uso dei colori caldi, denota una natura espansiva, emotiva che tende ad aprirsi. il colore, il
come è fatto il disegno, altre caratteristiche come le dimensioni (disegno molto grande o molto piccolo)
sono predittive delle caratteristiche della scrittura (grande o piccola dimensione). Per altro il disegno per
un grafologo è importante perché, a differenza dello psicologo che guarda soprattutto gli aspetti proiettivi
interpretativi, interpreta anche il tipo di tratto: se è nitido, netto, spezzettato, ripassato, sottile. Il tratto è
espressione della dotazione di energia ma anche del suo modo di vivere la sua realtà, di quanta energia
mette nelle sue cose, caratteristiche che ritroviamo poi nella scrittura. Il disegno ci dà la possibilità di farci
un’idea di un bambino e poi averne conferma nella scrittura perché abbiamo tanti espressioni del bambino.
In genere noi intuitivamente mettiamo insieme tutti questi elementi per farci un’idea del bambino.
Due parole sui disegni dei test: ci sono dei test che sono usati dagli psicologi per valutare lo sviluppo
cognitivo del bambino ed altri per vedere le dinamiche proiettive, per arrivare a capire che cosa il bambino
ha dentro. Ad esempio il test della figura umana: disegna una famiglia, una qualsiasi di animali, persone,
cose. È una indicazione generica e più l’indicazione è generica e più si dà al bambino la possibilità di tirare
fuori quello che ha dentro. Un altro test interessante è il test cinetico della famiglia in cui si chiede di
disegnare la propria famiglia in azione con ogni membro che sta facendo qualcosa e questo ci parla di più
della relazione tra bambino e familiari. Più la consegna è aperta e più è libero di dirvi delle cose. Ne
esistono tanti di test utili: il test dell’albero, della casa, dell’omino sotto la pioggia. Nel test dell’albero si
osserva la proporzione tra chioma e tronco, se il tronco è liscio o no, se la chioma è aperta o chiusa. Alla
fine sono le stesse indicazioni degli altri test. Io lo userei come test aggiuntivo, non preferenziale, un po’
limitativo ma ci può confermare o no qualcosa che abbiamo intuito. Quello che può sembrare un oggetto
reale uguale per tutti in realtà è filtrato dalla emotività e dall’esperienza del singolo e per tutti diversa. Un
bambino esprime sempre quello che sa e quello che sente, ci sono sempre tutte e due le cose.
Ecco un esempio del test della casa: è di un bambino poco stimolato, di una famiglia molto semplice, con
molte difese, che firma il suo disegno perché ha bisogno di esserci. Un bambino poco riconosciuto dalla
famiglia e grazie a questa scrittura così strana veniva invece riconosciuto, un’arma che ha usato affinchè la
mamma si accorgesse della sua difficoltà di relazione. La maestra lo sollecitava a scrivere meglio e lui non
allargava il calibro, perché almeno scriveva di meno e sbagliava di meno. Scrivo poco esteso così sbaglio di
meno. Quando vedete bambini con queste scritture molto piccole di solito questa è la strategia che loro
adottano. Lui è stato riconosciuto dalla mamma, aiutandolo con la sua autostima ed ha superato il suo
problema. Questi sono bambini che non hanno bisogno del sostegno, ma dello strumento; una volta che
diventano padroni del gesto grafico, che hanno delle direttive chiare da seguire. Era un bambino che con la
regola si rasserenava e con questo ha fatto pace. Spesso basta una lieve spinta dall’ambiente familiare, da
quello scolastico (la maestra non gli ha scritto più di scrivere meglio), e si ottiene un risultato che è un
riconoscimento per se stesso e il disegno ce lo dice. Vedete nel disegno della famiglia: è aderente alla
realtà, al primo posto c’è il papà poi subito la sorella piccola, piccola ma ingombrante, e per ultimo viene
lui. Come era pasticciato il disegno così era la sua scrittura.
Giocando si fanno anche delle cose molto serie e l’esperienza del gioco è fondamentale anche per l’adulto
perché è un riprendere in mano le cose che abbiamo sepolto ma che abbiamo comunque e solo
divertendosi si impara altrimenti non si impara e non si cresce. Tutti abbiamo una tendenza fondamentale
ad acquisire delle cose, ad imparare, altrimenti non cresceremmo e continua a far parte dell’adulto. È una
qualità che dobbiamo coltivare anche nel lavoro perché se non c’è piacere a stare con 27/28 alunni non se
ne viene fuori da questo lavoro impegnativo ed importante, perché gli insegnanti che lavorano con i
bambini dai 3 ai 10 anni, gli anni fondamentali in cui si forma la personalità, dove gli insegnanti hanno un
ruolo fondamentale di formare le personalità e se non ci fosse il vostro piacere e il vostro desiderio non
sarebbe fatto bene perché avete a che fare con materiale umano. Il gioco è un qualcosa che dobbiamo
riprendere in mano, perché ognuno di noi ha un bambino dentro che continua a vivere anche quando
siamo grandi: noi siamo quel bambino un po’ cresciuto e molto spesso le attitudini che si mostrano da
bambini poi si affinano nell’età adulta dimensionandosi ed adattandosi a quelle che sono le condizioni di
vita. Quello che noi siamo e lo vedremo nei prossimi incontri, è quello che eravamo. La nostra matrice è
legata alla nostra infanzia, a quelli che sono i nostri vissuti dei primi 7/8 anni ed è una matrice che si evolve.
Noi non siamo abituati a giocare perché il nostro mondo ce lo impone, perché siamo presi dalle cose da
fare e perdiamo altre caratteristiche come la creatività, espressione dell’individuo in vari ambiti. Ognuno ha
delle doti che sarebbe bene che riuscissimo a coltivare ed esprimere e forse l’essere sempre più attenti,
nella nostra società, al fare e all’efficienza ci impedisce spesso di coltivare questo aspetto senz’altro
importante.
Non è tanto importante il quanto, ma il come e credo che per voi che avete a che fare con dei bambini
piccoli, al di là degli impegni istituzionali che non potete derogare, e il come è il piacere di stare con i
bambini, divertendosi. È anche importante cercare di guardare al singolo bambino, con la sua creatività e
personalità, riuscire a guardarlo nella sua unicità e questo può darci soddisfazione sia come insegnanti
perché se noi ne cogliamo le peculiarità riusciamo ad insegnargli meglio, ma anche perché ci ritorna la
soddisfazione di aver colto l’essenza di quel bambino e di aver instaurato una relazione significativa. Voi
siete sempre in relazione con i bambini, non date solo contenuti, ma i bambini crescono con voi e grazie al
vostro apporto si forma. Il modo in cui voi state con il bambino vi aiuta a capire come sono, ma anche come
noi stiamo in relazione con lui. La relazione implica sempre due componenti, voi e il bambino e anche voi
siete state bambine ed avete il vostro modo di relazionarvi e quindi riflettere sulle proprie modalità di
relazione è una cosa estremamente utile per voi come insegnante per crescere ed imparare.
LAZZARI: abbiamo parlato di un bambino in evoluzione che sta costruendo la sua personalità ed in effetti le
basi della personalità si hanno nei primi anni di vita e quando arrivano a voi a 3 anni hanno già, anche se in
modo rudimentale, tutti i materiali posizionati in un certo modo. Ogni bambino già dai primi anni di vita
denota un proprio modo di cogliere il mondo e le esperienze di vita dei primi tre anni sono fondamentali. In
questo lasso di tempo dovrebbe aver messo dentro un’idea di sé, un’idea dell’altro e un’idea di come si sta
in relazione ed è un qualcosa di implicito, che ha dentro. Impara agendo, il periodo senso motorio, e dura
tutta la vita, ed è il motivo per cui c’è la ripetizione del gesto, perché così interiorizza, lo fai tuo e diventa
una cosa implicita, diventa un modo che mi forma. Nei primi anni di vita quelli che si mettono dentro sono
dei modi di essere. Voi vedete i bambini nel momento del distacco dalla mamma ed è importante il come lo
fanno, per vedere che tipo di relazione hanno dentro: ha una relazione con la mamma sicura? E allora
vediamo un bambino che piange, che però si fa consolare facilmente. Ha una mamma che non è sicura ? e
allora magari sbatte i piedi, va alla finestra per vedere se arriva la mamma, non si consola facilmente. Dal
comportamento pratico del bambino avete molte indicazioni così come lo avete dal modo in cui si relaziona
con voi e come si relaziona con i pari e da lì sapete che tipo di relazione ha dentro, se ha interiorizzato o no
la relazione e la possibilità di staccarsi e stare un po’ senza la mamma, cosa che prima dei tre anni fanno
fatica a fare perché non hanno ancora non l’immagine cognitiva, che compare ad un anno, ma l’idea che se
la mamma sparisce la sua immagine è sempre dentro di lui e lo rende sicuro, con una valenza emotiva che è
acquisita. Prima dei tre anni il bambino non ha un’idea chiara dell’esterno e dell’interno e non è separato
dalla mamma. Nei primi nove mesi di gestazione non c’è divisione, poi c’è la nascita e il primo distacco
fisico dalla figura materna o da chi si prenderà cura di lui, poi a mano a mano, grazie alla maturazione del
sistema motorio e percettivo , c’è uno sviluppo cognitivo per cui lui si rende conto che è separato dalla
mamma e che c’è un fuori e un dentro, c’è lui e ci sono gli altri e questo processo che si sviluppa in varie
tappe lo sente di più a tre anni. La fase del “no” che è verso i 2 anni è un modo per affermare la propria
esistenza e stabilire che c’è un io e gli altri sono diversi e staccati, una tappa verso la distinzione tra sé e
l’altro. Un bambino ad un anno non può avere un’immagine di sé, però tenendo presente che si tratta di
un processo, di un percorso, verso i tre anni quando vi arriva a scuola ha già un’idea di sé in relazione con
gli altri, ha già un’idea di lui chi è e di come risponde l’ambiente e di come risponde la mamma. Noi
cresciamo perché ci sono delle figure significative con le quali strutturiamo relazioni significative, quindi
siamo sempre in relazione, anche quando siamo soli perché lo abbiamo dentro.