i frutti dello spirito santo - diocesi di Sant`Angelo dei Lombardi

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i frutti dello spirito santo - diocesi di Sant`Angelo dei Lombardi
arcidiocesi di
sant’angelo dei lombardi-conza-nusco-bisaccia
giubileo straordinario
della misericordia
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i frutti dello
spirito santo
brano biblico
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Crorinzi
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(12, 1-31)
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi
nell’ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli
muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello
Spirito di Dio può dire: “Gesù è anàtema!”; e nessuno può dire:
“Gesù è Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
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Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività,
ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data
una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune:
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a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio
di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio
di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro,
nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei
miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di
discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro
l’interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.
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Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le
membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così
anche il Cristo. 13Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante
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brano biblico
I doni dallo Spirito,
i frutti nello Spirito
per l’armonia del Corpo di Cristo
un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi;
e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
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E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da
molte membra. 15Se il piede dicesse: “Poiché non sono mano,
non appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del
corpo. 16E se l’orecchio dicesse: “Poiché non sono occhio, non
appartengo al corpo”, non per questo non farebbe parte del corpo. 17Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto
fosse udito, dove sarebbe l’odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto.
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Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può
l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; oppure la testa
ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. 22Anzi proprio le membra del
corpo che sembrano più deboli sono le più necessarie; 23e le parti
del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggiore
decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio
ha disposto il corpo conferendo maggiore onore a ciò che non
ne ha, 25perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie
membra abbiano cura le une delle altre. 26Quindi se un membro
soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.
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Ora voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la propria parte, sue membra. 28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in
primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in
terzo luogo come maestri; poi ci sono i miracoli, quindi il dono
delle guarigioni, di assistere, di governare, di parlare varie lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? 30Tutti possiedono il dono delle guarigioni?
Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? 31Desiderate invece
intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più
sublime.
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appunti
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B. vv. 4-11
La Santissima Trinità è la fonte dei carismi: la molteplicità
nell’unità dello Spirito
Diversità di carismi … lo Spirito … ministeri … il Signore … Dio …
uno … l’unico e medesimo Spirito …
Rm 12, 6; Eb 2, 4; Fil 2 13; 2Cor 12, 12; At 2, 4; 1Gv 4, 1-3
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C. vv. 12-26
La metafora del corpo: l’unità del Corpo di Cristo
nell’articolazione di un solo Spirito
Il corpo è uno solo … così anche il Cristo … un solo Spirito … tutte
soffrono insieme … gioiscono con lui …
Rm 12, 4-15; Gal 3, 28; Col 3, 11; Fm 16
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B1. vv. 27-30
La Chiesa è corpo di Cristo: la persona, il carisma, il ministero
Ora voi siete corpo di Cristo … apostoli … profeti … maestri …
Rm 12, 6-8; Ef 4, 11; At 11, 27; 13, 1; 2Tm 1, 11
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spunti per la riflessione
spunti per la riflessione
A. vv. 1-3
Nello Spirito i doni diventano frutti
Ai doni dello Spirito … idoli muti … sotto l’azione dello Spirito …
Rm 1, 13; Rm 10, 9; Gal 4, 8; Gv 14, 26; Fil 2, 11
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A1. v. 31
Lo Spirito riconduce tutti i carismi sulla via sublime
dell’agape-carità
Desiderate … carismi più grandi … la via …
1Cor 14, 1
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di don Fabio Rosini
(sintesi di trascrizioni dell’audio tratto dal sito www.reginamundi.info)
approfondimento
Il dominio di sé
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Il dominio di sé, uno dei frutti dello Spirito Santo, in greco
suona “enkràteia”, dal termine “kratos”, che si riferisce al potere, al dominio. Traduciamo con una parafrasi, “dominio di
sé”, quella che è una parola unica: dominarsi. Oggi, a prima
vista, sembrerebbe una parola fuori moda, perché è di moda
essere spontanei, sciolti. Per spiegare l’utilità di questo dono,
è possibile partire da un esempio banale. Quando una persona
vuole comprare una macchina, in genere, guarda tante cose,
ma sarebbe sciocco se non controllasse i sistemi di sicurezza,
per esempio i freni; questi sono la negazione del concetto essenziale di automobile; l’automobile serve per andare, il freno
serve per fermarsi, eppure non si può andare, senza sapersi
fermare. Vivere senza freni, vuol dire, di fatto, porre le basi
di un incidente, andare a sbattere contro le cose della vita. Il
dominio di sé è l’arte di avere controllo del proprio essere. Veniamo all’obiettivo del dominio di sé. Per spiegarlo partiamo
da un testo che potrebbe apparire estraneo. Il dominio di sé
implica il dominio delle proprie pulsioni, per esempio un atto
tipico che mostra un dominio delle proprie pulsioni e dei propri appetiti è il digiuno. C’è un testo emblematico sul digiuno,
è dal Vangelo di Marco (Mc 2, 18-20) «I discepoli di Giovanni e
i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero:
“Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano,
mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con
loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare.
Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora,
in quel giorno, digiuneranno». Il punto è il motivo del digiuno: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è
con loro?». Il motivo si presenterà quando lo sposo sarà loro
strappato, cioè il digiuno sarà ciò che segnala la mancanza di
un rapporto; ci sono le cose che si fanno per il proprio ego
e ci sono le cose che entrano in un rapporto, vivere perché
qualcuno che io amo, è con me. Ciò che mi toglie lo sposo è
ciò che mi farà digiunare. Il dominio di sé, nel cristianesimo,
è una relazione con il Signore Gesù, viene dall’aver scoperto
quelle cose che ci danno la gioia del rapporto con Lui e anche
nell’aver identificato quelle cose che invece ce lo strappano.
Allora ci sono cose a cui dobbiamo dire no, non perché io sia
più giusto, ma perché io voglio stare con il Signore Gesù e
di conseguenza voglio stare con gli altri. Ci sono atti che un
innamorato fa naturalmente, ci sono rinunce che una persona
che ha il cuore pieno d’amore fa, senza dover fare troppi ragionamenti o dover studiare. Ecco, il dominio di sé è la scelta
dei no che io devo dire a me stesso, per saper stare con Cristo
e con il prossimo.
La mitezza
Il penultimo frutto che appare nella Lettera ai Galati è la mitezza, dal greco “praús”, vuol dire dolcezza, ma il suo senso
più pieno è assenza di violenza. Non banalizziamo il senso
della parola, perché il senso della mitezza non è un problema di civiltà. Lo Spirito Santo che entra nell’uomo, produce
quest’attitudine. Come si capisce che una persona è mite? C’è
un sistema molto elementare: offendiamolo, mettiamolo sotto pressione e vediamo come reagisce. C’è un aneddoto su
San Filippo Neri, un giorno gli venne richiesto di verificare la
santità di una suora. Egli andò a trovarla portando il proprio
cappello pieno d’acqua, bussò e come la suora aprì la porta,
le versò addosso l’acqua contenuta nel cappello. La suora si
arrabbiò e lo offese gravemente. In questo modo Filippo Neri
capì di trovarsi di fronte a una persona senza alcuna santità, ma solo irosa. La mitezza si riconosce in stato di conflitto.
È una reazione sorprendente in uno stato di conflitto d’interessi, di aggressività subita. Il mite reagisce con sorprendente
pace di fronte alla violenza. “Beati i miti perché erediteranno la terra”; qui capiamo meglio il rapporto fra Spirito Santo,
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I frutti dello Spirito Santo
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La fedeltà
La parola “fedeltà” ha una sua ambiguità, di fatto è usata sia
nel greco che in italiano con la stessa radice della parola fede.
Dobbiamo prima chiarire se per fedeltà intendiamo l‘avere fede o essere fedele. Nel nostro caso, ci troviamo di fronte all’essere fedeli Cos’è la fedeltà? Innanzitutto è un frutto,
si arriva alla fedeltà secondo la logica dello Spirito Santo in
noi. Qual è il suo contrario? Infedeltà, tradimento, adulterio.
Si parla, quindi dello specifico del rapporto tra due persone:
un padre fedele, un marito fedele, un fratello fedele, un’amica
fedele... Adulterio è interessante come parola, perché viene da
“ad alterum ire”, andare da un’altra parte. La fedeltà è un’attitudine che viene riconosciuta, quando la persona viene messa
in stato di tentazione. Ad esempio, tante volte le nostre amicizie sono adultere, non tanto perché la persona ci abbandona, ma proprio perché la persona resta a tutti i costi con noi,
dicendo sì a ciò a cui dovrebbe dire di no. È un aspetto molto
forte, per esempio, nell’ambito della paternità: un padre non è
un amico. Un padre che si fa amico o che dà priorità a questo
aspetto, che pure non è estraneo alla paternità, è un adultero.
Padre viene da una parola greca che vuol dire “recinto”, limite; un padre che non sappia dire di no a un figlio, sarebbe un
pessimo padre. La fedeltà, frutto dello Spirito Santo, è un’adesione alla verità rispetto all’altro, dove il centro è il bene vero
dell’altro. Nel matrimonio la fedeltà implica un ruolo molto
strano. Quando moglie e marito vengono presentati uno all’altro nei primi capitoli della Genesi, la frase è: “voglio fare un
aiuto che gli sia simile”, In ebraico la frase è molto ambigua, sarebbe: “voglio fare un aiuto davanti a lui, contro di lui”. Che aiuto
è uno che è contro di me? Moglie e marito devo essere, l’uno
per l’altra, capaci di correzione, di essere quello strumento di
crescita l’uno per l’altra, che implica un rapporto di veracità
e non di consolazione infantile reciproca. La fedeltà, implica
anche lo scontro, l’adesione a una verità. La fedeltà è quell’atteggiamento di leale adesione alla verità del nostro rapporto.
Il fedele è se stesso non un ruolo. La fedeltà è il dono dove si
apprende la veracità dei rapporti. Non si è fedeli solo nel matrimonio, ma in tutti i rapporti. È un ostile di vita, è una forma
dello stare di fronte alle cose. Da dove nasce questa fedeltà?
Nasce dal fedele. Il fedele per eccellenza è il Signore Gesù Cristo, è Dio. Nell’Antico Testamento si dice che Dio è fedele e
verace. È colui che non rompe il suo patto, non esce dal suo
ruolo rispetto al suo popolo. Il Signore Gesù ci ha mostrato la
sua fedeltà sulla croce, quando meritavamo di essere traditi.
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mitezza, assenza di violenza. Nel Vangelo di Matteo appare
una delle poche definizioni del carattere di Cristo nelle sue
stesse parole: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. Ci
sono poche cose che vengono dette del cuore di Cristo, delle
sue attitudini, della sua interiorità. Questa sembrerebbe essere
un’indicazione centrale. Cosa vuol dire essere mite? Torniamo
alla beatitudine. Che relazioni hanno tra loro la terra, l’eredità e la mitezza? C’è una terra che lo Spirito Santo rivela. C’è
un luogo, una dimensione che vale la pena di difendere. Gli
scontri umani ci pongono di fronte a ciò che ci fa perdere il
vero oggetto, che è il rapporto con Dio e la vera pace. Qui non
si tratta di essere remissivi, al contrario di essere attaccati a
ciò che veramente vale. Il mite è chi non risponde allo scontro, perché tiene a un bene più alto, a qualcosa di più bello,
conosce una cosa che si chiama Spirito Santo che è il suo regalo. Peraltro lo Spirito Santo nella Scrittura viene chiamato il
dono, allora questo dono non lo baratto con niente. Il segreto
della non conflittualità non è un carattere controllato, con una
disciplina dei propri impulsi, ma è il possesso di un bene che
non può essere tolto. Il mite conosce la verità. Il Salmo 45 ci
pone di fronte a uno strano combattente che ha come oggetti
di battaglia la verità, la mitezza e la giustizia. La giustizia nelle
Scrittura è la giustizia nel rapporto con Dio, è quella che ogni
uomo ha diritto di avere: “avere Dio per proprio Padre, avere Cristo per proprio Salvatore”. La mitezza come frutto dello Spirito
Santo deriva da questa esperienza, che è aver conosciuto la
paternità di Dio, aver conosciuto la salvezza di Cristo e, a quel
punto, difenderla con i denti, quella sì, nient’altro.
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Bontà deriva da una parola greca “agatosyne” che troviamo
nel testo di San Paolo che vuol dire “bello, buono”. Due frutti
dello Spirito Santo, bontà e benevolenza, rientrano entrambi
nell’unico termine ebraico “hesed”. Stiamo parlando dei frutti
dello Spirito e vorrei sottolineare che c’è differenza tra frutto
e seme. Il frutto è il compimento di un processo che inizia con
un seme. Qui abbiamo a che fare con frutti, non con semi, questi sono punti di arrivo, non punti di partenza. Sarebbe grave
pensare di partire nella vita spirituale da questo punto. Qui ci
si arriva con l’opera dello Spirito, questa non è opera umana
e basta, è l’incontro dello Spirito con lo spirito dell’uomo. La
cultura odierna legge la bontà come umana e non come dono
dello Spirito. La bontà umana, che definirei buonismo, è una
percezione che abbiamo di noi stessi: agiamo verso qualcuno con bontà. La morale cristiana è ben altra. La bontà indica
che una persona è bella e buona in quanto è arrivata a dare il
meglio di sé, dopo una certa maturazione. È il gusto che uno
prova quando riesce a ottenere un buon risultato per qualcuno, è il piacere di cucinare per qualcuno, è accogliere l’altro, è
il gusto che si prova nel curare un malato. Intuire l’altro come
cosa preziosa. Di fatto la gioia altrui diventa oggetto della
bontà. Questa è la differenza con il buonismo imperante nella
nostra cultura. Adesso bisogna fare un salto di qualità: non si
tratta di far felice l’altro in maniera infantile, di fatto il bene
dell’altro non sempre è ciò che l’altro desidera. Se un padre fa
soltanto quello che il figlio gli chiede, questo padre non vale
niente. È un padre buonista che non corregge e creerà tanti problemi a questo figlio. Se vogliamo capire cos’è la bontà,
dobbiamo guardare a Gesù, Egli quando chiama le persone,
invita sempre a lasciare qualcosa. C’è sempre una parte da lasciarsi alle spalle. Se il punto d’arrivo è cercare il meglio per
l’altro e in questo provare gioia, la cosa da lasciarsi alle spalle
sono i propri problemi. L’uomo, in quanto essere relazionale,
ha il suo compimento nell’uscire da se stesso. Molto spesso
nella vita spirituale le persone sono incastrate in vicoli ciechi,
senza via d’uscita. Se una domanda non trova risposta, non
è la domanda che non c’è, nella maggioranza dei casi è la domanda a essere sbagliata. La bontà è il frutto di una domanda
azzeccata, giusta. Esiste una chiave per leggere tutte le nostre
fragilità: devo partire da chi sono io; il Concilio Vaticano II
dice che Cristo rivela l’uomo all’uomo. Per sapere io chi sono,
vado a vedere Cristo chi è. Cristo è identificato con una parola:
“in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”.
Cristo è una parola, una cosa detta all’altro. Quando si gira a
vuoto nella vita, è perché si sta continuando a fare la domanda
sbagliata, ci si continua a chiedersi: chi sono; mentre ci si dovrebbe chiedere: a cosa servo, cosa posso fare di buono.
La benevolenza
La benevolenza è collegata alla bontà, potrebbe sembrarne
una ripetizione, ma la realtà della benevolenza ha un’accezione diversa. Il termine in greco è “krestotes”, viene da un
termine, “krestos”, che vuol dire utile, adatto. Molto spesso
benevolenza viene tradotta come gentilezza, il motore semantico invece è quello di un senso di utilità, adattabilità, essere
adatto per qualcosa. Utile vuol dire efficace, che compie tutto
ciò che deve compiere. Il benevolente vede uno scopo buono
da realizzare e lo realizza. È un’intuizione spontanea che mira
all’aspetto utile, proficuo, delle cose. È un’attitudine di fronte
alla vita per cui si coglie costantemente l’aspetto costruttivo.
Con la bontà ci chiedevamo qual è il bene per l’altra persona,
qui siamo di fronte a qualcosa che mira di più a uno scopo
oggettivo: vedere nelle cose e nelle persone una finalità buona. È una visione che mira al miglioramento della situazione.
Per esempio: una gita programmata si imbatte di fronte a un
tempo atmosferico avverso. La reazione è rifiutare l’evento. La
benevolenza è quel tipo di attitudine per la quale in questa situazione ci si domanda: e se fosse un bene? È un’apertura a un
aspetto positivo ma non è solo ottimismo. Quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non accettiamo, lo Spirito Santo
semina nel cuore dell’uomo un dubbio, un pensiero profondissimo, quasi impercettibile: il sospetto che ci sia qualcosa di
buono nella contraddizione. Per capire meglio cos’è la benevo-
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La bontà
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La pazienza
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La parola pazienza è collegata al verbo “patire”, ed è la capacità di saper soffrire, ma non è esattamente il senso a cui
richiama il testo originale delle Lettera ai Galati di San Paolo
(Gal 5,22). La parola greca è “makrothumia”, scomponiamola:
“macro” vuol dire “grosso”, “thumia” è collegata al termine
“thumos” che è l’animo, la parte interiore dell’uomo, l’animo
spirituale. La traduzione più esatta sarebbe proprio magnanimo. Abbiamo a che fare con un frutto dello Spirito che è la
grandezza della propria anima, la capacità in fondo di dare
all’altro tempo, spazio, possibilità. Si è mansueti, quando non
si reagisce alla violenza. Si è calmi, quando ci sarebbe da imporre fretta, invece non ci si lascia andare all’ansia. Si è tolleranti, quando si vede qualcosa di discutibile nell’altro. La magnanimità non è una qualità interiore che si riscontra in una
situazione di autoverifica, ma è la capacità di avere pazienza
di fronte agli errori altrui, di dare la possibilità all’altro di ri-
prendersi, di pentirsi, di calmarsi. La radice di tutto questo è
ovviamente Dio. La Spirito Santo che entra nell’uomo gli parla
di Dio. Nell’Antico Testamento l’aggettivo magnanimo è una
delle determinazioni delle qualità di Dio che Dio si dà da se
stesso. In Esodo al capitolo 34 Dio proclama il suo nome e si
proclama lento all’ira. Nella Seconda Lettera di Pietro si dice
“Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa come certuni
credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”. Dio è colui che non
ci tratta secondo i nostri peccati, ma è lento all’ira, ricco di
misericordia e di grazia. Perché Dio ci dà tempo per pentirci?
Lui di tempo ne ha tanto, non lo guarda come un assoluto.
Per noi il tempo finisce, non possiamo dare tanto tempo, perché non ne abbiamo. Le persone sono impazienti proprio per
questa carenza di tempo. Nel Libro dell’Apocalisse, capitolo
12, colui che ha ansia, l’infuriato, l’impaziente è il maligno, il
demonio; è pieno di furore, sapendo che gli resta poco tempo.
L’unica maniera che abbiamo per esercitare magnanimità nei
confronti del prossimo è nella logica dei frutti dello Spirito, si
tratta di capitalizzare quella che noi riceviamo, appropriarci
completamente del tempo che Dio ci dà, cioè dello spazio della sua misericordia. Dovremmo sempre ricordare quel passo
del Vangelo che dice: “con la misura che noi misuriamo, sarà misurato a noi in cambio”. La magnanimità dell’uomo deriva da
quella di Dio, non è una capacità dell’uomo, è una memoria.
Siamo debitori della pazienza di Dio, da questa memoria sorge la dolcezza verso il prossimo. Per fortuna il vero giudice è
Dio, noi saremmo giudici massacranti. Dio sa come correggere le persone. Quando è mio dovere dire qualcosa a qualcuno,
come sentinella, il mio animo deve essere magnanimo, non
devo fare giustizia, non deve esserci vendetta. L’altro è mio
fratello e non lo posso perdere.
La pace
Il termine greco “eirene”, da cui l’italiano irenico, ovvero pacifico, viene usato da Paolo nella Lettera ai Galati, ma nella sua
forma greca ha un senso lievemente diverso da quello che pos-
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lenza, applichiamola a Dio: Dio è il benevolente. Quest’attitudine viene attribuita a Dio molto spesso. Noi lo vediamo senza
dubbio nell’attitudine di Dio che è benevolo verso gli ingrati
e i malvagi, dice il Vangelo di Luca. Dio coglie nell’uomo, anche quando mostra il suo aspetto peggiore, la sua potenzialità.
Dio guarda l’uomo in quanto capacità di costruzione; in ogni
uomo c’è una potenzialità che Dio guarda con occhio di padre. Addirittura sulla croce, Dio, con la sua benevolenza, ha
colto la potenzialità di salvezza. Dio si rallegra per il bene che
possiamo compiere e inizia una storia di salvezza di fronte al
nostro male. Il nostro male può diventare, per la sua benevolenza, un luogo di incontro con la sua misericordia. Cristo non
è venuto nel mondo per condannare il mondo ma per salvarlo.
Siamo nati per amare. La benevolenza, allora, è un’attitudine
che cerca l’occasione nei fatti, per poter sviluppare la gratitudine verso Dio. Amare non vuol dire capire. La croce non
si capisce, la si vive. La benevolenza è un’attitudine per cui
io colgo sempre l’aspetto positivo, perché credo nell’amore di
Dio.
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La gioia
La gioia è un frutto o è uno stato personale occasionale derivato da una situazione. Normalmente la gioia deriva da uno stato
di emozione, felicità, prodotto involontariamente, conseguenza di una situazione ricevuta. In un vocabolario di teologia
biblica la gioia viene definita come: non emozione spontanea
e interna, bensì un atteggiamento totale, complesso, dotato di
valore che costituisce, al pari della giustizia, la somma della
virtù cristiana. La gioia cristiana è veramente frutto. I frutti
dello Spirito conseguono ad atteggiamenti, non sono punti di
partenza, ma punti di arrivo. Questo vuol dire che la gioia,
come tutti gli altri frutti, è una realtà derivata da un processo.
È anche stato interiore, ma è il derivato di un percorso, quindi
bisogna uscire da uno spontaneismo della gioia. La gioia non
ci capita, non si trova così per caso, viene come processo finale
di una lunga pedagogia interiore, che può essere anche breve
dal punto di vista temporale, ma che ha i suoi passi. La gioia non è assolutamente un interesse scontato nel cuore delle
persone. In realtà la gioia è un po’ meno interessante della
tristezza. La tristezza è molto affascinante, è un sentimento
molto coinvolgente. Il ruolo della vittima è interessante, avvolgente, piacevole. Le persone prendono il ruolo di essere
compatite, si cerca solidarietà tra vittime. La tristezza è interessante, giustifica. Se andiamo a parlare con le persone che
stanno nelle carceri, ci accorgiamo che le carceri sono piene
di vittime, non di criminali. Tutti hanno una storia triste da
raccontare. È il gusto di sentirsi al centro di un’attenzione di
piagnisteo. La gioia non interessa a molte persone. Una storia
di bene è un po’ noiosa. Così anche in televisione le storie di
delitti efferati sono più interessanti e seguiti di racconti anche
di vite di santi che sottolineano il bene fatto da queste persone.
È più accattivante una scena di violenza, seguita dalla caccia al
colpevole. Se vogliamo trovare la gioia, dobbiamo smettere di
cercare il colpevole, dobbiamo interessarci alla bellezza, alla
semplicità, alla limpidezza, lasciando la strada del torbido e
dell’autocommiserativo. La gioia cristiana è frutto di un’obbedienza allo Spirito Santo, ci sono delle intuizioni che ci por-
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siamo pensare. L’unica pace concepita nel mondo ellenistico e
quella dovuta all’assenza di guerra. La pace è opposta allo stato
bellico, quindi è sempre prima o dopo una guerra. Noi, invece,
consideriamo la parola pace, anche come uno stato personale.
La parola ebraica “shalom” non vuol indicare semplicemente
l’assenza di una guerra, è molto più complicato e personale: è
l’idea di un’abbondanza, di un buon rapporto con le cose, di
stare nelle cose in maniera florida. Nel Vangelo di Giovanni il
Signore Gesù dice: “vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la
dà il mondo io la do a voi”. È radicato in Cristo un confronto tra
due tipi diversi di pace. La pace, che il mondo dà, è solamente
una tregua. Quindi può venire dopo un patto o dopo che uno
ha sottomesso l’altro contendente. Potrebbe essere discutibile
l’atteggiamento odierno dello stare in pace, cioè quando ci si
sottrae ai conflitti senza risolverli. Esempio lampante è il recuperare la pace dopo una separazione, è la pace della morte,
l’uccisione di un rapporto. La pace ellenistica è una pace che
dipende dalla situazione, deriva da come il contesto si configura, da come gli altri si comportano. Cristo non dà questo tipo
di pace. Cristo è la nostra pace, essa sorge dal suo dono, dalla
sua maniera di essere davanti a noi. Facciamo un esempio. Se la
pace la deve dare il mondo e ci si trova in un contesto difficile,
conflittuale, non si troverà pace fino a che non cambierà il mondo o non si cambierà la situazione. Se la pace viene da Cristo,
vuol dire si può avere pace anche in un contesto non pacifico.
Pacifisti ce ne sono tanti, ma uomini di pace molto pochi. Nella
Lettera agli Efesini, si legge: “Cristo è la nostra pace”. La guerra
è sempre una contrapposizione, c’è sempre un muro, una separazione che si crea tra le due persone. La pace cristiana è una
scelta profonda del cuore, è una porta che si apre. Se io voglio
combattere, posso combattere sempre. Se mi voglio lamentare, avrò sempre qualcosa di cui lamentarmi….La mia pace non
può essere autentica se nega il mio essere che è relazionale. Sta
in pace chi non trova malanimo, ma anzi affetto davanti una
critica. Cristo non ci ha detto di essere indifferenti davanti ai
nemici, ci ha detto di amarli ed è molto difficile tutto questo.
Tutto ciò lo dà lo Spirito Santo che è amore.
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L’amore
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Argomento difficilissimo e complesso. È il più grande tra i
frutti dello Spirito e, da un certo punto di vista, li contiene
tutti. Cos’è l’amore? Oggi la parola amore è diventata un flatus
vocis, ognuno gli dà il senso che vuole in una sorta di relativismo. Viviamo in un’epoca figlia di due secoli che hanno dato
delle accentuazioni nel modo di vedere l’uomo, che si sono
riversate copiosamente sul modo di intendere questo atto
fondamentale della vita dell’uomo. L’amore è il centro dell’esistenza umana. Iniziamo eliminando dei malintesi: l’amore
non è un sentimento; l’amore non è un atto di volontà. Noi
veniamo da un’epoca che deve molto al razionalismo; ci ha
portato alla convinzione che tutto ciò che facciamo sia guidato
dall’intelletto, quindi oggi l’amore è considerato un atto di volontà, purtroppo tutto questo ci ha portato a pensare che così
fosse anche l’amore cristiano. L’amore sarebbe un impegno,
uno sforzo. Abbiamo pensato che l’amore per il cristianesimo
sia forza di volontà, impegno e coerenza. In effetti questa è
solo una piccola parte dell’amore. Per quanto riguarda, invece,
l’altro malinteso, quello dell’amore come sentimento, oggi si
crede che l’amore vada sentito, che sia spontaneo. Se l’amore
è quello che io sento, non andrò mai fuori da me stesso, l’altro
resterà sempre invisibile. Essendo un atto relazionale, il mio
stato d’animo rappresenta solo una piccola parte. Se l’amore
implica il sentimento, questo è sano e buono, deve succedere.
Ma se l’amore parte da un sentire, una pulsione sensoriale,
l’altro non è il punto di partenza e non diventerà mai nemmeno il vero fine del mio atto. Esempio banale. Quando dei geni-
tori si trovano con un bimbo che non dorme da diverse notti,
all’ennesima notte insonne c’è sentimento, desiderio? No, solo
tanta stanchezza. Nonostante questo, si curano di lui. È amore
autentico, dei più puri. Sfatiamo questo mondo di sensazioni.
L’amore non è solo un sentimento, né solo un atto di volontà,
ma fondamentalmente è un atto che implica sentimento, volontà, pazienza, memoria…Dio dà la vita respirando; l’uomo,
in Cristo, scopre cos’è l’amore: ridare indietro lo Spirito. Svuotarsi è regalare lo Spirito. Cristo, morendo, regala la sua vita.
L’amore è frutto dello Spirito, un tesoro di cui ci si svuota per
avere un risultato nell’altro, per il bene dell’altro. L’amore è
centrato sulla relazione, il suo parametro è ciò che è bene per
l’altro. Nella Prima lettera di Giovanni ci si chiede: cos’è l’amore? La risposta di Giovanni è: “in questo sta l’amore, non siamo
stati noi ad amare, ma lui ci ha amati per primi”. Abbiamo ricevuto un tesoro e noi lo doniamo agli altri. Chi non ha amore?
Chi non ha sperimentato l’amore di Dio. L’amore parte dalla
relazione di Dio. L’amore è frutto della relazione con lo Spirito
Santo, frutto della verità che è la paternità di Dio.
approfondimento
tano ad assecondare una chiamata alla luce che nel fondo di
ogni uomo. La gioia cristiana è un dinamismo che viene scelto
come oggetto finale di un percorso che passa per il deserto,
per arrivare alla terra promessa, che passa per l’abbandono
dell’uomo tenebroso, infelice, obbediente al torbido che è in
ognuno di noi, per obbedire al semplice Figlio di Dio che è
seminato in ognuno di noi. La gioia è una scelta che costa l’abbandono di ciò che non ci fa bene.
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Le dimensioni
dell’amore
risonanza esistenziale
Lettera di San Paolo apostolo agli Efesini (3, 14-19)
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Per questo io [Paolo] piego le ginocchia davanti al Padre,
dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra,
perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di
essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei
vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in
grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza,
la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
Spunti di riflessione
L’amore è la via dello sviluppo della persona ed è l’unica forza che
da risposta al coinvolgimento del singolo nel “dramma” stesso
della sua vita1.
“Dramma”, non è soltanto tragedia o commedia, perché la vita
umana è come sospesa o appesa ad ogni svolta, perfino ad ogni
passo, tra queste due possibilità: l’essere una tragedia totale o assurda o un’irrilevante e ridicola commedia. La risposta allora arriva dalla carità/amore che permette di considerare la vita in prospettiva, in tutta la sua ricchezza, o, con altre parole, in riferimento
al fondamento ultimo del suo mistero (vita come dono di Dio), in
quelle che di questo mistero sono le dimensioni: “l’altezza, la larghezza, la profondità” (Ef 3, 18).
L’amore non è a tempo!!! L’amore non ha tempo!!!
L’amore va oltre lo spazio-tempo!!!
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1
Cfr. F. IMODA, Sviluppo umano psicologia e mistero, EDB, Bologna 2005, pp. 21-48.
Frutti
dello
Spirito
Dimensioni
spazio-temporali
“Drammi” esistenziali
Dominio
di sé
Darsi dei limiti per curare
lo spazio delle relazioni
Quale “dominio di me” mi
aiuterebbe a vivere meglio
le relazioni?
Allargare lo spazio del cuore
e della mente in forza
Mitezza dell’esperienza di un bene
più grande che non verrà
mai tolto
Quali aperture di mente e di
cuore mi aiuterebbero a
cambiare e far cambiare la
prospettiva nell’affrontare le
situazioni difficili?
Fedeltà
Adesione senza tempo
alla verità di un rapporto
Quali sono le relazioni più vere
che vivo?
Bontà
Il gusto/piacere nello
spendere il proprio tempo
per l’altro/Altro
Cosa alimenta il “gusto” del
dedicarmi agli altri?
Benevol
enza
Migliorare il proprio
spazio vitale
Pazienza
Dare valore al proprio
tempo nel dare all’altro
tempo, spazio, possibilità
Come affronto le situazioni di
conflittualità con l’altro?
Pace
Darsi tempo per abbattere i
muri del cuore
Quali “muri” abbattere
nella mia vita?
Gioia
Percorso interiore che
gradualmente offre spazio
alla fede, all’abbandono,
all’apertura all’altro
Amore
Celebrare il tempo
della festa
In che modo miglioro il
mondo/le relazioni attorno
a me?
La mia gioia più grande…
Celebrare l’incontro con Dio per
celebrare l’incontro con l’altro…
Quale significato ha per me
questa espressione?
risonanza esistenziale
RISONANZA ESISTENZIALE /SCHEDA ADULTI
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