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La linea della memoria volume 11 Altipiani di fuoco La strafexpedition austriaca del maggio - giugno 1916 1 edizione 2009 copyright © 2009 ISTRIT Via Sant'Ambrogio in Fiera, 60 31100 - TREVISO email: [email protected] email: [email protected] Altipiani di fuoco La strafexpedition austriaca del maggio - giugno 1916 Grafica, impaginazione, fotorestauro Stefano Gambarotto di Leonardo Malatesta Le immagini fotografiche che illustrano il presente volume, ove non diversamente indicato, sono state tratte da: Servizi Fotografici dell'Esercito Italiano (SFEI); Archivio Istrit (ISTRIT); Museo del Risorgimento di Treviso (MRT); Museo del 55 Reggimento Fanteria (M55F); Museo Centrale del Risorgimento di Roma (MCRR). L'editore ha effettuato ogni possibile tentativo di individuare altri soggetti titolari di copyright ed è comunque a disposizione degli eventuali aventi diritto. a cura di Stefano Gambarotto Enzo Raffaelli In copertina: «Montello» di Giulio Aristide Sartorio tecnica: Olio su carta incollata su cartone dimensioni: cm. 52,3 x 73,2 ISBN 978-88-96032-12-1 Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano - Comitato di Treviso 2009 Ringraziamenti • • • • • • • • • • • • All'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito ed all'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio di Roma per la collaborazione nelle ricerche storiche. Al Colonnello Salvatore Marini e al Colonnello Giuseppe Nanti del Museo Storico della 3ª Armata. Al Museo Storico della Guardia di Finanza per la consultazione dei diari storici dei tre battaglioni, in particolar modo il Presidente, generale Luciano Luciani. All'Archivio Provinciale di Bolzano per la consultazione della documentazione archivistica lì conservata. Al Museo del Risorgimento di Milano, per la consultazione del fondo archivistico del generale Brusati. Al Conservatore del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, dott. Mauro Passarin, per la sua disponibilità per le consultazioni di documenti e fotografie. Al prof. Antonio Dal Fabbro per la consultazione dell'archivio del nonno. Al generale Mauro Pescarini, per l'aiuto concessomi nella ricerche archivistiche romane. Al Colonnello Enzo Raffaelli e al dott. Stefano Gambarotto per l'opportunità di pubblicare il volume ed anche per le fotografie e l'impaginazione del libro. Al dott. Luca Girotto, cui mi lega una profonda amicizia per i suoi preziosi consigli. Al dott. Giovanni Dalle Fusine, amico per i suoi consigli e le sue sollecitazioni. Al sig. Bruno Sandonà per la consulenza bibliografica. Desidero infine ringraziare la mia famiglia per il supporto morale ed economico per i miei studi. 4 Vedetta sul Cengio. MCRR Introduzione Dopo la fine della 1ª guerra mondiale, a partire dagli anni '20 si iniziò a parlare di Strafexpedition o Spedizione Punitiva per definire l'operazione militare svolta dall'esercito austroungarico sugli altipiani trentini nel periodo maggio – giugno 1916. La definizione teneva conto dell'ostilità che il Capo di Stato Maggiore dell'esercito asburgico Franz Conrad von Hötzendorf1 aveva nei confronti dell'Italia. Nella realtà, nella documentazione dell'epoca, non compare mai il termine Strafexpedition ma sempre quello di offensiva austriaca. All'interno del panorama storiografico militare, italiano e austriaco sulla 1ª guerra mondiale, un posto di rilievo spetta dunque all'offensiva austriaca del 1916. A partire dal 1928 con la pubblicazione del generale Pompeo Schiarini riguardante la battaglia offensiva2 si iniziò a parlare dell'argomento. Il breve lavoro del generale, pur con dei limiti di impostazione politica, (fu pubblicato dalla Libreria del Littorio) ebbe il merito di parlare per la prima volta dell'argomento. Nel 1932 a firma dell'ex Capo dell'Ufficio di Segreteria del Comando Supremo, generale Roberto Bencivenga3, uscì per i tipi di una piccola casa editrice romana, il secondo volume dell'opera sulla 1ª guerra mondiale Saggio critico sulla nostra guerra dedicato all'offensiva austriaca in Trentino e a quella italiana su Gorizia4, riedito nel 1998 dall'editore Gaspari di Udine. Nel 1934 ad opera del giornalista Gianni Baj Macario venne pubblicata a Milano l'opera Strafexpedition5 .L'opera di Macario, si differenziava notevolmente da quella di Schiarini. Nelle sue 400 pagine di testo, pur non avvalendosi di documentazione archivistica dato che all'epoca non era ancora disponibile per gli studi, riuscì a dare un'approfondita panoramica della situazione antecedente all'offensiva nemica, trattando nel dettaglio lo svolgersi delle operazioni militari ma anche fatti minori quali potevano essere le linee difensive, i rifornimenti etc. Il giudizio su quest'opera pur con alcuni limiti dovuti all'impostazione politica ed anche al tono giustificatorio, fu positivo in quanto fornì un buona base di partenza per le analisi successive. Nel 1936, l'Ufficio Storico dell'Esercito pubblicò il III volume, tomo 2°, della relazione 1 P. Fiala, Il Feldmaresciallo Franz Conrad von Hotzendorf, Rossato, Novale-Valdagno, 1990; L. Baracche e ricoveri a Punta Corbin. MCRR Sondhaus, Franz Conrad von Hötzendorf, l'anti Cadorna, Goriziana, Gorizia, 2003; O. Regele, Felmarschall Conrad: Auftrag und Erfüllung 1906 – 1918, Verlag Herlad, Vienna, 1955. 2 P. Schiarini, L'offensiva austriaca nel Trentino, Libreria del Littorio, Roma, 1928. 3 G. Rochat, Roberto Bencivenga, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 8, Roma, 1966, pp. 212-214. 4 R. Bencivenga, La sorpresa di Asiago e di Gorizia, Tipografia della Madre di Dio, Roma, 1932. 5 G. Baj Macario, Strafexpedition, Corbaccio, Milano, 1934. 7 ufficiale sulla 1ª guerra mondiale dedicato appositamente all'offensiva austriaca del 19166. Nell'ambito della nuova stagione di studi sulla Grande Guerra, a partire dalle opere di Forcella - Monticone7 ed Isnenghi8, per quanto riguardò l'offensiva austriaca del 1916 nel 1968 fu pubblicata l'opera dello storiografo vicentino Gianni Pieropan 1916 Le montagne scottano9. Il libro, pur non avvalendosi di fonti archivistiche ed essendo sprovvisto dell'apparato critico di note, fornisce una panoramica aggiornata sullo sviluppo delle operazioni militari italiane ed austroungariche durante l'offensiva e la controffensiva della primavera del 1916. Nel 1992 a firma di Enrico Acerbi, uscì un saggio sull'offensiva10 che però ha dei limiti dovuti alla mancanza dell'apparato critico delle fonti che ne inficia notevolmente il valore. Sempre a firma dello stesso autore, nel 1998, uscì un volume su un particolare episodio svoltosi durante l'offensiva: la presa di una fortificazione italiana ancora perfettamente integra da parte austroungarica11. Un passo in avanti nella storiografia militare è stato fatto con gli atti del convegno del 12 – 15 settembre tenutosi ad Asiago ed avente come argomento proprio l'offensiva austriaca del maggio – giugno del 191612. Il convegno vide la partecipazione anche di studiosi austriaci e francesi, sloveni. Oltre allo studio delle operazioni militari, furono analizzati temi sino ad allora poco trattati dalla storiografia come il siluramento di generali operato da Cadorna durante l'offensiva13; il ruolo del servizio informazioni italiano14 e della logistica della1ª armata15; la Strafexpedition nella stampa coeva16, il profugato17, 6 Ministero della difesa, Sme, Ufficio Storico, L'esercito italiano nella grande guerra, vol. 3°, Le operazioni del 1916, L'offensiva austriaca, tomo 2°, 2° bis, 2° ter, Roma, 1936. 7 E. Forcella, A. Monticone, Plotone d'esecuzione. I processi sommari della prima guerra mondiale, Laterza, Roma – Bari, 1968. 8 M. Isnenghi, I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra, Marsilio, Padova, 1967. 9 G. Pieropan, 1916. Le montagne scottano, Tamari, Bologna, 1968. 10 E. Acerbi, Strafexpedition, Rossato, Novale – Valdagno, 1992. 11 E. Acerbi, La cattura di Forte Ratti bugie e verità, Rossato, Novale – Valdagno, 1998. 12 1916 – La Strafexpedition, a cura di V. Corà, P. Pozzato, Udine, 2003. 13 P. Pozzato, Condottieri e silurati: gli esoneri dei Comandi superiori durante l'offensiva del Trentino, in 1916, cit., pp. 58 – 72. 14 A. Massignani, Il Servizio Informazioni italiano e la sorpresa della Strafexpedition, in 1916, cit., pp. 103 – 118. 15 F. Cappellano, I servizi logistici della 1ª armata nel corso della Strafexpedition, in 1916, cit., pp. 119 – 130. 16 E. Bricchetto, Stampa e guerra: scrittura e riscrittura della Strafexpedition, in 1916, cit., pp. 192 – 200; E. Cecchinato, Il «nemico» austriaco e lo «straniero interno» nella stampa locale e nazionale, in 1916, cit., pp. 201 – 215. 17 D. Ceschin, La popolazione dell'alto Vicentino di fronte alla Strafexpedition: l'esodo, il profumato, il ritorno, in 1916, cit., pp. 248 – 280. Trincea da Monte Zebio a Monte Colombara. 9 etc. Nel 2006, 90° anniversario dalla battaglia, sono stati pubblicati diversi saggi; degno di nota per l'uso di fonti archivistiche inedite è quello inerente la battaglia di monte Cengio di Volpato – Pozzato18. Da parte austriaca la prima opera sull'argomento è del 1978, a firma di Kurt Peball19, quella di Gherard Artl20 del 1983 e quella di Patenius21 del 1984. Naturalmente il punto di vista degli storici austriaci è comprensibilmente diverso da quello degli italiani e proprio per questo interessante. Le operazioni militari del primo anno di conflitto nel settore Trentino L'idea di effettuare un attacco da parte dell'Austria – Ungheria nei confronti dell'Italia era maturata già a fine degli anni '80 dell'800, benché l'Italia con l'impero Asburgico e la Germania facesse parte della Triplice Alleanza. La regione del Sudtirolo, aveva sempre avuto un ruolo importante per la difesa delle Alpi centro orientali e per il controllo delle importanti vie per il traffico tra il nord ed il sud Europa. Tale importanza geostrategica è testimoniata ancor'oggi dalle varie fortificazioni che a partire dal medioevo furono erette nel territorio. Tuttavia furono le guerre napoleoniche a mettere in risalto la funzione principale del Tirolo perché regione di passaggio, tra la Germania e l'Italia, da qui la necessità di rinforzare la difesa dei confini. L'Arciduca Giovanni nel 1810, aveva delineato un primo piano di difesa dell'intera monarchia asburgica che comprendeva le zone del Tirolo, Lombardo – Veneto e Galizia. Nel Lombardo–Veneto, dovevano essere costruite fortificazioni, a Mantova, Venezia e Bressanone come luogo di collegamento e piazza d'armi dal Po alla Germania del sud. In un secondo tempo, sarebbero state erette delle fortificazioni a Pizzighettone, Piacenza, Peschiera, Legnago, Trento, Palmanova e Osoppo. Per la difesa del Tirolo si doveva utilizzare la preesistente fortezza di Rocca d'Anfo, posta all'inizio delle valli Giudicarie, Tures, Kufstein verso nord e Predil e Planina verso la Carinzia. A partire dal 1832, nella zona del Lombardo – Veneto, iniziarono i lavori di fortificazioni per la costruzione della piazzaforte chiamata il Quadrilatero22, formata dalle città di Legnago, Mantova, Peschiera e Verona. Per il Tirolo furono erette le opere di Fortezza (1835 – 1838), a difesa del Brennero e della Pusteria e lo sbarramento di Nauders (1837 – 1841), a difesa della valle dell'Inn. A questa prima fase seguì un lungo periodo di stagnazione poiché tutte le attività fortificatorie si concentrarono sul Quadrilatero. Degno di nota perché indicatore degli sviluppi della futura fortificazione in montagna, si rivelò però l'ampliamento della Chiusa Veneta ove, fra il 1841 e il 1854, fu costruito un gruppo di sbarramento formato da quattro opere: – uno a chiusura della valle e tre opere in quota – che avrebbero avuto determinanti influssi sul canone formale del periodo, quello degli sbarramenti di passo e di valle. La guerra del 1866, costrinse l'Impero a cedere il Veneto all'Italia, ma il trattato di pace assicurava notevoli vantaggi all'Austria - Ungheria, assegnandole il controllo di quasi tutte le vette. 18 P. Volpato, P. Pozzato, Monte Cengio. Realtà e leggenda di un campo di battaglia, Itinera Progetti, Bassano del Grappa, 2006, pp. 197 – 198. 19 K. Peball, Führungsfragen der Österreichische – Ungarische Südtirolo offensive im Jahre 1916, Vienna, 1978. 20 G. Artl, Die österreichisc – ungarische Südtirol offensive 1916, Vienna, 1983. 21 H J. Patenius, Der angriffsgedanke gegen italien bei Conrad von Hötzendorf, Böhau Verlag, Vienna – Colonia, 1984. 22 Il Quadrilatero nella storia militare, politica e sociale dell'Italia risorgimentale, Verona, 1967; G. Barbetta, Il Quadrilatero veneto, in Il Quadrilatero, cit., pp. 3 – 45; P. Pieri, Come fu visto il problema della guerra nel Quadrilatero nel 1848, in Il Quadrilatero, cit., pp. 55 – 90. 10 11 L'Austria volle vincere però nella delimitazione dei confini, e si conservò pieno dominio lungo tutta la frontiera in modo da rimanere padrona di entrare in casa nostra quanto meglio le sarebbe piaciuto: da nord, a mezzo del saliente Tridentino, per minacciare il cuore della Lombardia e del Veneto; da est, dalla pianura friulana, per avere una porta aperta di circa 60 chilometri, onde potere agevolmente riprendersi, onde potere agevolmente riprendersi ciò che i tratti le avevano tolto. Detto confine, al quale fu dato l'aggettivo di «iniquo», aveva un andamento paragonabile ad una grandiosa «S» coricata, le cui curvature erano costituite rispettivamente da due salienti: quello del Trentino ad ovest, quello Carnico ad est»23. nenti per quanto riguarda i fattori puramente dimensionali. Ma a ciò si deve aggiungere la presenza dei due bastioni montani che coprono il saliente nella sua intera lunghezza, fin quasi a Verona e la presenza del profondo solco determinato prima della valle dell'Isarco poscia da quella dell'Adige che sono valori a farne durante l'intera età moderna l'asse strategico ideale di tutte le operazioni imperiali verso la Penisola, in quanto esso – data la sua conformazione e la sua posizione geografica – garantiva ad un esercito che fosse sceso dal Brennero o dalla Sella di Dobbiaco e si fosse concentrato tra Bressanone e Bolzano, di minacciare immediatamente il centro della pianura padano – veneto nonché i passi dell'Appennino, quindi la stessa Italia centrale.24 Così il Colonnello Ildebrando Flores, descrisse il confine tra Italia ed Austria Ungheria. La linea confinaria partiva dallo Stelvio e seguiva lo spartiacque tra Adda ed Oglio con l'Adige, proseguendo poi per Cima Campo – Koenigspitze – Cevedale – S. Matteo – Corno Tre Signori – Punta Ercavallo – Forcellina di Montozzo. Tagliava quindi la falcatura della sella del Tonale fino alla quota di 1884. In questo primo tratto essa confinava con le valli di Trafoi, di Noce e di Vermigliana, già sbarrate da fine Ottocento con opere permanenti. Dal Tonale continuava si inerpicadosi fino al passo dei Monticelli e poi correva lungo il costone di Punta Castellaccio – Punta Lagoscuro – Punta Pisgana – monte Venezia – Lobbia Alta – Dosson di Genova – monte Fumo fino al costone delle Cornelle – Ponte Caffaro e monte Corren. Quindi si dirigeva verso nord – est. Raggiungeva poi Punta Larici, tagliava il lago di Garda e continuava su monte Altissimo, Punta Manara. Nel massiccio del Baldo, tagliava l'Adige a Borghetto e con andamento meandriforme raggiungeva Bocca Trappola per poi puntare in direzione di nord, nord – ovest lungo le alture di monte Obante – Baffelan – Pasubio – Soglio dell'Incudine – Costone dei Laghi – Costa d'Agra – Lastebasse – Casotto – Cima Mandriolo. Sull'altopiano di Asiago il confine conservava un andamento generale da ovest a est; dal Termine S. Marco, toccava poi la Cappelletta di Marcesina e prendeva nuovamente la direzione est fino a Primolano. Attraversava infine la valle di S. Pellegrino raggiungendo la Marmolada e monte Mesola. Il saliente trentino era importante data la struttura e la posizione geografica e orografica; costituiva una posizione naturale per il controllo della pianura veneta. Il saliente si estendeva in linea d'aria per circa 140 chilometri, dal Passo del Brennero alle creste dei Lessini, avendo alla base montagne importanti come l'Ortles e il monte Cristallo. Altra zona del saliente che si può definire via di fuga è la Valsugana, utilizzata dalle truppe austriache guidate dal generale Wermoer per sorprendere l'Armata d'Italia di Napoleone che bloccava la valle dell'Adige tra Verona e la stretta di Rivoli, stringendo la città di Mantova in assedio. I piani operativi ideati dallo Stato Maggiore di Vienna a partire dagli anni 1875 – 76, prevedevano di effettuare un attacco preventivo verso l'Italia per toglierla di mezzo una volta per tutte e concentrare tutti gli sforzi verso la Russia. Il primo piano per l'attacco, ideato dal generale John prevedeva che l'azione offensiva partisse dal Cadore per irrompere nelle Alpi. Tale progetto non teneva conto delle altre valli più a sud del Cadore, inoltre prevedeva una dislocazione di forze in Tirolo insufficiente rispetto al reale fabbisogno per realizzare l'attacco. Un passo avanti rispetto a quel piano fu fatto con il successivo progetto, compilato nel 1877 in massima parte dall'Ufficio per la Geografia Regionale (dove tra i vari ufficiali, figurava l'allora capitano Conrad), che prevedeva la radunata dell'esercito austroungarico in territorio italiano, nella zona dell'Isonzo, per poi proseguire con una rapida avanzata in direzione della valle dell'Adige ed il suo successivo superamento. Secondo tale progetto, la battaglia decisiva, fra i due eserciti sarebbe avvenuta tra l'Adige ed il Po, dato per scontato che l'esercito italiano non si sarebbe attestato né sul Tagliamento, né sul Piave né sul Brenta, perché tali posizioni si prestavano ad una manovra aggirante dal nemico che poteva giungere dalle valli alpine25. L'innovazione del nuovo piano operativo escludeva, le linee d'invasione Dolomiti e valli orientali del Trentino. Tale piano, oltre alla battaglia sull'Adige, prevedeva anche la prosecuzione delle azioni militari in territorio italiano per fare in modo di riconquistare e restaurare la dominazione austroungarica nel Lombardo – Veneto. Dal novembre 1906, Capo di Stato Maggiore dell'Austria – Ungheria è nominato il generale Franz Conrad von Hötzendorf. Conrad, pupillo dell'erede Le sue caratteristiche dunque, che si fecero sentire per secoli e continueranno a farsi sentire ogni qualvolta si tratti di affrontare un problema strategico che in qualche modo implichi la difesa o l'attacco della Val Padana attraverso l'Europa centrale, erano già emi23 I. Flores, La guerra in alta montagna, Corbaccio, Milano, 1934, pp. 22 – 23. 12 24 R. Luraghi, Il saliente trentino nel quadro strategico della 1ª Guerra Mondiale, in La prima guerra mondiale e il Trentino, a cura di S. Benvenuti, Edizioni Comprensorio della Vallagarina, Rovereto, 1980, pp. 4 – 5. 25 W. Rosner, La fortificazione degli altopiani trentini e l'offensiva del 1916, in 1916, cit., p. 75. 13 al trono Francesco Ferdinando, convinto delle grandi capacità del generale durante le manovre imperiali del 1905 in Tirolo, dove Conrad comandava la fazione che doveva penetrare nel sud della regione. In quell'occasione anche l'imperatore Francesco Giuseppe26 rimase impressionato dalla personalità del generale. Conrad dedicò particolare cura alla tattica e alla strategia facendo svolgere manovre annuali che avevano lo scopo principale di sollecitare lo spirito d'iniziativa degli ufficiali e di offrire alle truppe un'esperienza che si avvicinasse il più possibile alla realtà del campo di battaglia. Le grandi manovre che si svolsero in Carinzia nel settembre 1907, avevano come obiettivo proprio l'Italia: «a testimonianza di quella che all'epoca era l'ossessione di Conrad, i due corpi d'armata che vi presero parte furono quelli acquartierati a Innsbruck e Graz, le cui truppe costituivano la prima linea del fronte contro l'Italia»27. Il feldmaresciallo Franz Kuhn von Kuhnenfeld28, nella sua opera pubblicata nel 1870 intitolata La guerra alpina, aveva posto in risalto l'importanza strategica del Sudtirolo: «Gli italiani sono costretti a conquistare il Sudtirolo fino al Brennero (…) se vogliono imbastire una sicura difesa contro attacchi provenienti dall'Isonzo, per poter poi continuare vittoriosamente le loro operazioni contro la Carinzia ed il Carso, senza preoccupazioni per i collegamenti»29. 26 G. Pieropan, 1915, Obiettivo Trento, Mursia, Milano, 1982, p. 34. 27 Ivi, p. 128. 28 Franz Kuhn von Kuhnenfeld (Prassinitz 1867 – Strassoldo 1896). Entrò nell'Accademia di Wiener Neudstadt, uscendone nel 1847 con il grado di sottotenente e entrando nel prestigioso Corpo di Stato Maggiore nel 1839. La promozione a tenente avvenne nel 1843. Durante la campagna del 1848 – 49 si distinse contro l'esercito piemontese ottenendo anche l'onorificenza di esser nominato Cavaliere dell'Ordine di Maria Teresa e nel 1849 venne promosso maggiore. Dopo questa prima esperienza bellica, la carriera per Kuhn si velocizzò notevolmente; venne promosso tenente colonnello nel 1853, colonnello nel 1857 e nel 1863 maggior generale. Durante questo periodo, nel biennio 1856 – 57 resse la cattedra di strategia a Vienna. Durante la 3ª guerra d'indipendenza, Kuhn fu il Comandante della difesa territoriale del Sudtirolo, distinguendosi nella difesa della regione dagli attacchi garibaldini. Per tale opera ottenne l'Ordine di Maria Teresa. Al termine della breve campagna contro l'Italia, per il generale austriaco arrivò la promozione a tenente feldmaresciallo. Dal 1868 al 1874 resse il dicastero della guerra e poi dal giugno del 1874 Comandante militare di Graz. L'anno precedente era stato promosso generale d'armata. Nel 1883 divenne il Comandante del 3° Corpo d'Armata e nel 1886 divenne Cancelliere dell'Ordine di Maria Teresa. Concluse la sua carriera militare nel 1888 (A.P.B., raccolta Luciano Bardelli, b. 2, bibliografie ufficiali). 29 K. Peball, Teoria e pratica della dottrina austro-ungarica sulla dottrina della guerra alpina: Lüt- 14 Il generale Diotiaiuti comandante della brigata «Perugia» in linea. L'importanza della tesi formulata da Kuhn era ribadita e sottolineata da Peball, il quale sosteneva che: «divenne di particolare interesse, sia per gli austriaci che per gli italiani. Infatti, come tutti sanno, fu il comando militare italiano che, per primo, ne trasse le conseguenze, sia con la creazione di proprie truppe alpine, dal 1872, sia con il potenziamento strategico delle fortificazioni confronti con il Trentino. Fu così consacrata l'importanza del Trentino – Alto Adige sia per gli austriaci che per gli italiani»30. Le teorie di Conrad furono pubblicate in un libro, Infanterische fragen und die erscheinungen des Boerenkrieges e: «fece sensazione agli inizi del secolo. Intrinsecamente sempre carico di idee, esposto anche a decisioni illogiche, Conrad non sempre riusciva a liberarsi dall'idea, dura a morire che le zone alpine non si adattavano alla battaglie decisive»31. Negli anni successivi molte forze ed energie da parte del Capo di Stato Maggiore e dell'Ispettore generale del genio Ernest von Leithner32 furono dedicate al rafforzamento dei confini con l'alleata l'Italia33. Conrad dispose le truppe in modo nuovo affinché fossero ben addestrate all'ambiente montano e gendorf – Conrad von Hötzendorf – Krauss, in La prima, cit., p. 324. 30 Ibidem. 31 Ivi, p. 326. 32 Leithner Ernest Freiherr von (Leutschau 1852 – Vienna 1914). Entrò nell'accademia del genio a Klosterbrueck nel 1867 uscendone nel 1871 con il grado di sottotenente e venendo destinato al 2° reggimento genio. Nel 1873 venne promosso tenente. Nel biennio 1874 – 76 frequentò la scuola di guerra e nel 1878 andò in Persia in qualità di istruttore della specialità del genio pontieri. Nel 1880 partecipò alle operazioni militari in Kurdistan e l'anno successivo venne promosso capitano e destinato al 1° reggimento genio. Nel periodo 1883 – 85 frequentò il corso superiore del genio; al termine del corso, nel 1885, venne assegnato alla direzione genio di Mostar e nel 1888 passò al Comando del genio del 14° corpo d'armata. Nel 1891 fu destinato al Comitato tecnico militare, sezione 1ª e fino al 1895 fu docente di fortificazione permanente presso il corso superiore del genio e fece dei viaggi d'istruzione in fortificazioni in Romania e Germania. Nel 1896 divenne il direttore del genio a Cracovia e l'anno successivo venne promosso colonnello. Dal 1889 al 1902 fu il Capo della 2ª sezione del Comitato tecnico militare e nel 1903 divenne Comandante della 61ª brigata di fanteria a Budapest. L'anno successivo partecipò alle manovre dell'esercito svizzero e nell'aprile successivo comandante della 30ª divisione di fanteria a Lemberg. Dal novembre 1907 Ispettore dell'arma del genio e negli anni 1910 – 11, Comandante della 5ª divisione di fanteria ad Olmütz e nello stesso anno comandante del 3° corpo d'armata venendo promosso generale di corpo d'armata, divenendo nel 1914 ispettore d'armata (A.P.B., raccolta Luciano Bardelli, b. 2, bibliografie ufficiali). 33 L. Malatesta, Fortificazioni austro – ungariche fino alla prima guerra mondiale, in Dolomiti, n. 2, Belluno, 2005, pp. 7 – 27; L. Malatesta, I forti austriaci dell'era Conrad: progetti e realizzazioni 1907 – 1914, in Rassegna Storica del Risorgimento, n. 1, Roma, 2008, pp. 3 – 36; L. Malatesta, La cintura fortificata degli altipiani di Folgaria – Lavarone – Vezzena nella 1ª guerra mondiale: funzione strategica ed impiego bellico, in Tirol vor und im 1 Weltkrieg, , Bolzano, 2005, pp. 233 – 247. Stazione di Primolano. Batterie e carriaggi in arrivo. 17 raggruppate in compagnie al cui interno le varie specialità (Genio, Fanteria, Artiglieria). Per il Trentino Conrad propose compagnie miste formate cioè da Italiani e Tirolesi, sul solco degli Alpini. Oltre agli altipiani trentini, secondo gli intendimenti dello Stato Maggiore imperiale, si doveva ridefinire il ruolo strategico della piazzaforte di Trento: non più campo trincerato di stile ottocentesco, oramai superato, ma una moderna cintura fortificata capace di resistere alle nuove armi del Novecento. Per realizzare tali progetti, fu convocata la Commissione imperiale per le fortificazioni, dove il capo di Stato Maggiore espose le sue proposte per rafforzare i confini dell'impero. Il progetto fu realizzato solo parzialmente, dato l'elevato costo per l'erario, con la costruzione di opere difensive nella zona di Lavarone e di Grigno in Valsugana34. Allo scoppio della guerra con l'Italia solo 1/3 delle fortificazioni erano operative. Il motivo dell'incompiutezza del sistema difensivo progettato da Conrad era stato causato dall'opposizione non solo di parte di militari, ma anche dal ministro degli esteri Aehrenthal che, secondo il Capo di Stato Maggiore, «in ogni preparativo di guerra rivolto contro l'Italia vedeva un intralcio alla sua politica»35. L'arciduca Francesco Ferdinando, dopo una visita alle frontiere assieme a Conrad, cambiò idea, tanto da diventare uno dei suoi più ferventi fautori. Il mancato completamento delle opere fortificate, secondo Conrad, fu causa del fallimento dell'offensiva del 1916, poiché vennero a mancare gli appoggi per la manovra alla sinistra (Valsugana) ed alla destra (Vallarsa), mentre negli altipiani di Folgaria e Lavarone l'azione ebbe successo grazie all'appoggio delle opere corazzate. Da parte italiana il generale Enrico Cosenz36, Capo di Stato Maggiore37, aveva elaborato uno studio circa 34 A.P.B., raccolta Lucio Bardelli, b. 7, studi fortificazione in Trentino 1907 – 1910, relazione della Commissione di difesa, Trento, luglio 1907. 35 F. Conrad von Hötzendorf, Aus meiner dienstzeit 1906-1915, Vienna, 1921, vol. 1, cit, p. 431. 36 M. Mazzetti, Enrico Cosenz, scrittore militare, in Il pensiero di studiosi di cose militari meridio- Un crocifisso tra le rovine di Asiago. MCRR nali in epoca risorgimentale, Atti, Tipografia Regionale, Roma, 1978, pp. 98 – 106: G. Monsagrati, Enrico Cosenz, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 30, Roma 1984, pp. 14-20; Custoza e altri scritti inediti del generale Enrico Cosenz, a cura di F. Guardione, Libreria Internazionale A. Reber, Palermo, 1913; G. Pedotti, Enrico Cosenz, Roma, 1897. 37 Per maggiori informazioni sul ruolo del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito si veda L. Ceva, Aspetti politici e giuridici dell'Alto Comando militare in Italia (1848 – 1941), in Il Politico, n. 1, Pavia, 1984, pp. 81 – 120; L. Ceva, Comando militare e monarchia costituzionale italiana (1848 – 1918), in L. Ceva, Teatri di guerra. Comandi, soldati e scrittori nei conflitti europei, Franco Angeli, Milano, 2005, pp. 41 – 79; L. Ceva, Ministro e Capo di Stato Maggiore (1871 – 1906), in Nuova Antologia, n. 2160, Le Monnier, Firenze, 1986, pp. 112 – 136; L. Ceva, Ministro e Capo di Stato Maggiore. Il Capo di Stato Maggiore e la politica estera al principio del secolo, in Il Politico, n. 1, Pavia, 1987, pp. 123 – 135; M. Grandi, Il ruolo e l'opera del Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito (1894 – 1907), Brigati, Genova, 1999; F. Minniti, Gli Stati Maggiori e la politica estera italiana, in La politica estera italiana 1860 – 1915, a cura di J. R. B. Bosworth, S. Romano, Il Mulino, Il Mulino, Bologna, 1991, pp. 91 – 120; F. Minniti, Perché l'Italia non ha avuto un piano Schlieffen, in Società Italiana di Storia Militare, 19 la difensiva e l'offensiva Nord-Est». Esso era articolato in sette paragrafi, nei quali erano prese in esame le condizioni generali dell'Italia di fronte all'Austria, le condizioni iniziali dell'offensiva austriaca, il compito del corpo speciale, la radunata dell'esercito, le condizioni iniziali della lotta ed il passaggio dalla difensiva all'offensiva, la ritirata da effettuarsi in caso di rovescio sulla linea difensiva del Piave e, per ultimo, lo svolgimento di un'azione offensiva italiana verso Est. Il piano Cosenz era importante per tre motivi: innanzitutto perché cambiava il concetto del generale Ricotti, che sosteneva l'accentramento delle unità dell'esercito italiano nella zona di Stradella, che era in posizione centrale nell'ambito della pianura padana. L'Austria-Ungheria, anche se alleata, rappresentava sempre una minaccia per lo stato italiano, senza contare che l'accordo con i paesi della Triplice non era stato accompagnato da nessuna intesa militare che stabilisse in termini chiari gli impegni, l'entità delle forze e lo schieramento delle tre nazioni contraenti. Il piano prevedeva sia l'ipotesi di una guerra localizzata fra l'Italia e l'Austria, sia quello di un conflitto che opponesse all'Impero danubiano l'Italia e un'altra potenza. Nel primo caso, giocavano a favore dell'Austria la più rapida mobilitazione e la rete ferroviaria (ben sei strade ferrate portavano al confine italiano) che avrebbero consentito un celere concentramento di truppe. Cosenz decise, perciò, di effettuare lo schieramento principale delle proprie forze sul Piave. In Friuli doveva operare soltanto il corpo d'armata speciale, composto da una divisione di fanteria, da due divisioni di cavalleria e rinforzato da reggimenti di bersaglieri, col compito di trattenere quanto più a lungo il nemico. La linea difensiva principale si stendeva dal Cadore al Monte Cavallo e al bosco del Cansiglio, per scendere al fiume attraverso i colli di Vittorio e di Susegana, dirimpetto al Montello. Al passaggio del fiume (Priula, Ponte di Piave e S. Donà) si sarebbero dovute costituire delle robuste teste di ponte38.. L'obiettivo di un eventuale contrattacco italiano era l'occupazione di Vienna, partendo dalla parte meridionale del saliente trentino, conquistando Dobbiaco, tagliando il sistema avversario del Cadore ed evitando la parte meridionale che era quella maggiormente fortificata. Lo studio del Cosenz del 1885 era di particolare importanza perché fissava i criteri cui si atterranno i piani italiani in caso di guerra contro l'Austria per moltissimo tempo»39. Il piano aveva però un limite che emerse chiaramente in occasione della ricognizione che l'allora Capo di Stato Maggiore Tancredi Saletta40, effettuò nel 1898.41 Saletta sottolineava che «ad eccezione del gruppo di Rivoli che chiude la valle Lagarina e dello sbarramento della val Leogra, tutto il rimanente è appena, e non sempre convenientemente organizzato»42. Nel viaggio del 1904, Saletta confrontò le condizioni difensive austriache con quelle italiane in base alle diverse ipotesi operative cioè: attacco austriaco dal Trentino, dalla conca di Dobbiaco, o dall'Isonzo; attacco italiano rispettivamente in Trentino, a Dobbiaco o sull'Isonzo. Dal confronto si notò come le opere fortificate austriache già realizzate o in via di realizzazione fossero superiori per quanto riguardava la robustezza costruttiva e l'armamento a quelle italiane. Il Capo di Stato Maggiore dedusse perciò che «le fortificazioni da costruire debbono consentirci di arrestare l'invasore dalle principali linee di marcia che attraversano la frontiera per una durata non inferiore ai 20-25 giorni, che occorrono alle nostre truppe per radunarsi e completarsi»43; Nel 1913, il nuovo Capo di Stato Maggiore, generale Alberto Pollio44, approntò l'ennesimo progetto operativo che teneva conto delle debolezze dello strumento militare italiano: lentezza delle operazioni di radunata e mobilitazione rispetto alle analoghe operazioni dell'esercito asburgico; mentalità difensiva che era stata alla base di tutti i piani di guerra sia al fronte nord – ovest che a quello di nord – est. Dopo aver difeso il territorio italiano da un attacco, l'esercito sarebbe passato alla controffensiva per riconquistare l'eventuale terreno occupato dal nemico e inseguirlo all'interno del proprio confine. Il piano, dato che il luogo della radunata e mobilitazione era lontano dal confine avrebbe reso facile all'avversario l'occupazione della pianura friulana. Secondo il disegno operativo di Pollio, la 1ª Armata si sarebbe schierata dalla Valtellina fino al Brenta, che copriva tutto il saliente trentino, la 4ª Armata dalla val Brenta fino al corso del Piave nell'alto Cadore la 2ª e 3ª Armata tra Montebelluna ed il Piave.Due Corpi d'Armata, dislocate uno a Padova e l'altro sul Mincio erano in riserva a disposizione del Comando Supremo. Oltre allo schieramento a difesa del teatro operativo di nord – est Pollio prevedeva che un Corpo d'Armata ed una divisione fossero dislocati a difesa da eventuali sbarchi ed infine la formazione di un Corpo d'osservazione verso la Quaderno 1999, a cura di F. Minniti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2003, pp. 5 – 29. 38 M. Mazzetti, I piani di guerra contro l'Austria dal 1866 alla prima guerra mondiale, in AA.VV., L'esercito italiano dall'unità alla grande guerra, Roma, 1980, cit., p. 167. 39 Ivi , p. 168. 40 Comando del Corpo di Stato Maggiore dell'Esercito, I Capi di S.M. dell'Esercito: Tancredi Saletta, Roma, 1935. 41 P. Del Negro, Il Veneto militare dal 1866 al 1918. Problemi e prospettive di ricerca, in Il generale Antonio Baldissera e il Veneto militare, a cura di P. Del Negro, N. Agostinetti, Editoriale Programma, Padova, 1992, p. 81. 42 M. Mazzetti, I piani, cit., p. 168. 43 Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito (A.U.S.S.M.E.), fondo «Studi, Carteggio, Circolari dell'ufficio Ordinamento e Mobilitazione», repertorio F-4, racc. 60. 44 A. Alberti, L'opera di S.E. Pollio e l'esercito, Roma, 1923. 20 21 frontiera con la Svizzera. La difesa si sarebbe imperniata sulla linea montana tra il Veneto e il Trentino, a meno che le difese permanenti dislocate lungo il Tagliamento e le truppe in occupazione avanzata non fossero riuscite a dare il tempo alle truppe per giungere al Piave ed al Tagliamento. Il nuovo progetto rispetto ai precedenti, anche se nella prima fase si manteneva la difensiva, prevedeva una controffensiva. Essa sarebbe stata possibile grazie alle fortificazioni che sbarravano la via all'invasore e nuclei di truppe mobili. I tutto avrebbe consentito l'arrivo sul Tagliamento di grossi nuclei di truppe italiane prima che la pianura friulana cadesse in mano avversaria45. L'idea portante del piano era che dopo pochi giorni dall'inizio della radunata e mobilitazione delle truppe, i due eserciti entrassero in contatto, quindi era importante la funzione delle fortificazioni e delle truppe di copertura che dovevano rallentare l'avanzata avversaria per dare il tempo alle truppe italiane di schierarsi sul territorio d'operazione e muovere sia all'offensiva che, in caso di sfondamento avversario, alla riconquista del territorio perduto. Pollio era convinto che l'Italia in una guerra con l'Austria Ungheria non sarebbe stata da sola, dato che il grande e multietnico impero asburgico che confinava con ben sette stati diversi e che al suo interno aveva dei problemi di ordine interno, come ad esempio i forti sentimenti irredentistici in Trentino avrebbero provocato dei grossi guai allo stato asburgico. Il 21 agosto 1914 fu pubblicato un documento con il titolo Memoria riassuntiva circa un'azione offensiva verso la Monarchia a.u. durante l'attuale conflagrazione europea». –Possibili obbiettivi. –Presumibili operazioni da svolgersi. Nell'introduzione il generale Cadorna46, che aveva da poco preso possesso dello stato Maggiore per l'improvvisa morte di Pollio, sosteneva che il piano per la radunata e la mobilitazione dell'esercito italiano alla frontiera di nord – est non poteva esser stravolto perché l'ordinamento militare e la rete ferroviaria rendevano molto difficile il cambiamento. L'obiettivo principale dell'azione offensiva italiana sarebbe stato dunque la zona del goriziano e del triestino, considerato che le forze austroungariche e la rete ferroviaria nemica facevano presagire l'avanzata verso la pianura friulana. Il Trentino era considerato un obiettivo secondario, per le caratteristiche geografiche ritenute sfavorevoli all'esercito italiano e per le fortificazioni costruite negli ultimi anni che avrebbero reso molto difficile l'avanzata. Per lo svolgimento dell'azione complessiva della Memoria riassuntiva, la 1ª e 4ª Armata avrebbero avuto dei compiti difensivi o parzialmente offensivi, mentre la 2ª e la 3ª Armata solamente offensivi. Cadorna, nel suo libro La guerra alla fronte italiana, così scriveva della scelta di attuare l'azione principale in Friuli invece che in Trentino. 45 M. Ruffo, L'Italia nella Triplice Alleanza, Roma, 1998, p. 158. 46 G. Rocca, Luigi Cadorna, Mondadori, Milano, 1988; G. Rochat, Luigi Cadorna, in Dizionario 47 L. Cadorna, La guerra alla fronte italiana, Treves, Milano, 1934, p 90. 48 Ivi, pp. 91-92. 49 M. Ruffo, L'Italia, cit., p. 167. biografico degli italiani, vol. 16, Istituto dell'Enciclopedia italiana, Roma, 1973, pp. 109-111. 22 «Le operazioni sulla fronte tridentina sarebbero state difficili e molto lunghe, sia per la natura impervia, sia perché questa era la regione di frontiera dove più abbondavano la fortificazioni permanenti, completate durante la nostra neutralità da fortificazioni occasionali lungo le più importanti linee di difesa. E per espugnare queste fortificazioni sarebbe stato necessario di poter disporre di una ingente quantità di artiglierie di medio e grosso calibro, ed invece non avevamo che 236 bocche da fuoco di medio ed una ventina di grosso calibro, e queste ultime di scarsissima mobilità essendo obici da costa adattati ad uso terrestre»47. Il concetto fondamentale del piano di operazione era il seguente: «1) offensiva sulla fronte Giulia; 2) offensiva dal Cadore per occupare l'importante nodo stradale di Toblach e per aprirsi verso le valli della Rienza e della destra Drava 3) offensiva dalla Carnia per aprirsi lo sbocco nella Carinzia».48 La dislocazione delle truppe doveva essere la seguente: - la 1ª Armata schierata dallo Stelvio al monte Lisser (incluso) con due Corpi d'Armata ed una divisione; - la 4ª Armata dal monte Lisser (escluso) al monte Per alba con due Corpi d'Armata; - il Corpo d'Armata della Carnia, composto da un Corpo d'Armata e sedici battaglioni alpini; dal Cadore al monte Maggiore; - la 2ª Armata dal monte Maggiore alla strada Cormons – Gorizia compresa con tre Corpi d'Armata; - la 3ª Armata dalla destra della 2ª Armata al mare con tre Corpi d'Armata; - la riserva tra Verona e Desenzano, con due Corpi d'Armata e in più una divisione dell'esercito dislocata a Bassano49. Dopo la Memoria Riassuntiva, il primo settembre furono emanate le direttive per la radunata nord – est e fissati i compiti delle armate durante il periodo della mobilitazione e radunata. Il territorio che andava dallo Stelvio alla Croda Grande era di giurisdizione della 1ª armata, generale Roberto Brusati con: - III corpo d'armata (generale Vittorio Camerana), tra il passo dello Stelvio e riva occidentale del lago di Garda (6ª e 5ª divisione) ; - Fortezza di Verona (generale Gaetano Gobbo), tra il lago di Garda ed il 23 passo delle Tre Croci, era composta dal battaglione alpini Verona, dalla 1ª - 2ª compagnia del 114º reggimento di fanteria, dalla 1ª- 2ª - 3ª compagnia del 113º fanteria, dalla 28ª e 29ª batteria da montagna e dalla 29ª batteria da campagna; - 5º corpo d'armata (generale Fiorenzo Aliprindi), tra il passo delle Tre Croci e Croda Grande, con la 9ª, 34ª e 15ª divisione, mentre la 35ª divisione era in riserva. La zona affidata al 5º corpo d'armata, che ci riguarda, era stato diviso in tre settori: - settore Agno – Astico, dal passo della Lora a tutta la val d'Astico, alla 9ª divisione; - settore Assa (da cima Campolongo lungo il ciglio, prima occidentale e poi settentrionale dell'altipiano dei Sette Comuni) alla 34ª divisione; - settore Brenta – Cismon (dal Lisser alla Croda Grande) alla 15ª divisione. Oltre alle divisioni, erano stati costituiti lo sbarramento Agno – Assa, Agno – Posina, retto dal generale Angelozzi e la Fortezza Brenta – Cismon comandata dal colonnello Roberto Dino Guida. Nel primo mese di guerra nel settore trentino, non vi furono combattimenti significativi as eccezione di alcuni tentavi di assalto nei primi giorni del conflitto, come quello del 29 maggio della brigata Ivrea e il battaglione alpini Bassano che cercarono di sfondare le linee nemiche sulla piana di Vezzena, ma furono respinte dall'azione delle artiglierie delle fortificazioni di Busa Verle e Luserna. La cosiddetta guerra dei forti 50 iniziò il 12 giugno 1915 con la distruzione del forte Verena51 ed ebbe termine con i primi giorni del 50 L. Malatesta, Forte Cornolò e la difesa della val Posina durante il 1° conflitto mondiale, in Forte Il campanile di Asiago. MCRR Rivon, n. 8, Schio, 2007, pp. 57 – 73; L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo, in Forte Rivon, n. 10, Schio, 2009, pp. 80 – 98; L. Malatesta, Il forte di Cima Campolongo. Dal risorgimento alla prima guerra mondiale, la storia di una fortificazione italiana di montagna, Temi, Trento, 2009; L. Malatesta, Il forte di Punta Corbin: la sua storia costruttiva e bellica, in Forte Rivon, n. 9, Schio, 2008, pp. 53; L. Malatesta, Il forte italiano di Casa Ratti: la costruzione, l'impiego bellico e la sua cattura durante la Strafexpedition, in Forte Rivon, n. 7, Schio, 2006, pp. 36 – 51; L. Malatesta, La guerra dei forti. Dal 1870 alla grande guerra le fortificazioni italiane ed austriache negli archivi privati e militari, Nordpress, Chiari, 2005; L. Malatesta, La guerra dei forti. Le fortificazioni italiane ed austriache durante la prima guerra mondiale, in Nuova Storia Contemporanea, n. 4, Le Lettere, Firenze, 2006, pp. 137 – 150; L. Malatesta, La linea fortificata Brenta – Cismon dal 1870 alla 1ª guerra mondiale, in Dolomiti, n. 2, Belluno, 2004, pp. 7 – 23; L. Malatesta, Le fortificazioni italiane dell'altipiano di Asiago: progettazione, costruzione ed impiego bellico nella 1ª guerra mondiale, in Dolomiti, n. 4 – 5 – 6, pp. 11 – 23, pp. 7 – 16, pp. 19 – 32; L. Malatesta, Le opere fortificate della grande guerra in Friuli, in Memorie Storiche Forogiuliesi, n. LXXXIII/MM III, Arti Grafiche Friulane, Udine, 2004, pp. 191 – 240. 51 L. Malatesta, Il dramma del forte Verena: 12 giugno 1915. Nel 90° anniversario dalla distruzione del forte Verena, le sconvolgenti verità provenienti dagli archivi militari, Temi, Trento, 2005; L. Malatesta, La drammatica vicenda del forte Verena nel giugno 1915, in Forte Rivon, n. 6, Schio, 2004, pp. 49 – 57. 25 Altre impressionanti immagini delle rovine di Asiago MCRR luglio 1915, quando per ordine del Comando Supremo, tutte le fortificazioni italiane del confine con l'Austria Ungheria furono disarmate dato che il loro compito difensivo era considerato terminato. Il disastro del Verena, aveva fatto comprendere che le fortificazioni italiane costruite nella zona di confine, non potevano resistere al bombardamento dei grossi calibri austriaci, a partire dai 305. Le prime operazioni di guerra ebbero qualche rilievo solo in Valsugana e in Vallarsa ove le truppe della 15ª e 9ª divisione erano penetrate oltre il confine, attestandosi in posizioni più avanzate rispetto ai progetti iniziali. A questo punto, il generale Brusati, comandante di quel fronte, non badò alle indicazioni del Comando Supremo e, a partire dall'agosto 1915, iniziò ad effettuare delle puntate offensive in direzione di Trento e Rovereto, azioni che si rivelarono inefficaci, anche se il 28 maggio con le bandiere bianche issate al forte austriaco di Luserna si era creata una falla all'interno del sistema difensivo austroungarico non sfruttata dalle truppe della 34ª divisione dislocata nella piana di Vezzena. In quell'occasione se l'artiglieria avesse supportato efficacemente l'azione delle fanterie attraverso la Vallarsa e la Valsugana, le nostre truppe, più numerose rispetto a quelle avversarie, sarebbero giunte facilmente a Trento, senza accanirsi contro posizioni, come quelle della piana di Vezzena, ben munita di difese permanenti. Il fallimento delle prime azioni fu dovuto a varie cause: l'inadeguatezza dei piani di radunata e mobilitazione, che prevedevano tempi lunghi per la piena efficienza dello strumento militare, ben oltre i 23 giorni calcolati. In sostanza solo a metà luglio 1915, l'esercito era pronto all'azione, quando oramai il cosiddetto sbalzo iniziale era terminato; le caratteristiche geografiche del territorio di confine e lo sviluppo degli armamenti allora in dotazione davano molti vantaggi a chi si difendeva, l'Austria Ungheria a scapito dell'attaccante. Un certo peso sugli avvenimenti dei primi mesi di guerra ebbero gli ufficiali, o meglio la loro preparazione professionale specie nei gradi bassi. Un esempio della poca esperienza degli ufficiali ad una guerra moderna, lo rileviamo nella battaglia del Basson del 25 agosto 1915. Dopo un'intensa preparazione dell'artiglieria italiana iniziata il 15 agosto, le truppe della brigata Ivrea, 161° e 162° fanteria, agli ordini del generale Vittorio Murari Brà, partirono all'assalto della piana di Vezzena per raggiungere prima il forte di Spitz Verle e successivamente quello sottostante di Busa Verle, mentre un'azione secondaria, solo per tenere a bada il nemico nella zona del Basson la doveva svolgere la brigata Treviso con il 115° e 116° reggimento. Oltre alle due brigate di fanteria, a supporto, c'era la 63ª compagnia del battaglione alpini Bassano, il battaglione alpini Val Brenta, il gruppo Oneglia di artiglieria da montagna, la 16ª compagnia del genio zappatori dislocate nella piana di Vezzena mentre nella parte ovest della piana 27 fino alla val Torra in rinforzo alla brigata Treviso era il 3° battaglione del 116° fanteria, il 1° battaglione della Guardi di Finanza, il 2° gruppo del 41° reggimento artiglieria da campagna. Prima dell'inizio della battaglia, nel corso di una riunione, il generale Pasquale Oro, comandante la 34ª divisione, spiegò agli ufficiali gli scopi e gli obiettivi dell'azione. Il ruolo che il generale aveva assegnato al 115° reggimento della brigata Treviso doveva essere solo dimostrativo. Il comandante del reggimento, colonnello Mario Riveri, chiese però che, in caso di condizioni favorevoli durante la battaglia, il reggimento potesse partecipare all'azione principale. Il terreno dell'azione era teorica,mente conosciuto. Infatti una relazione sul terreno dell'attacco scritta da un giovane subalterno si legge: «Punti deboli d'attacco. – Dopo una rapida occhiata a tutta la linea, vediamo quali appaiono i punti più deboli per un attacco di pattuglie esploranti, quali i mezzi ed il sistema meno rischioso per aprirsi un varco. Convenientemente sarebbe mettere a confronto le difese sul rovescio di Costa Alta, con quelle già schizzate, per ricavare un più sicuro giudizio rispetto alla efficienza vera della difesa austriaca; e questo confronto non può essere fatto con probabilità, altrimenti che dall'aeroplano che permette di abbracciare, con un colpo d'occhio, tutta la zona e di suddividerla nei particolari; confronto che potrebbe farlo con vantaggio, chi ebbe occasione di studiare la prima linea, per completare un unico giudizio che, paragonato con altri, permetterebbe di giungere, meno difficilmente, alla verità. Intanto cogli elementi che si hanno, si può dire quanto segue: I tentativi di attacco possono essere diretti: 1° Per Val Risele, che permette, come già dissi, di arrivare al coperto fin sotto i reticolati di Cost'Alta. (Non è prudente un attacco frontale a Bassano che presenterebbe serie difficoltà per giungere a risultati positivi: il Fortino si può difendere egregiamente contro attacchi di fronte, ma difficilmente contro un aggiramento, mancandogli i sostegni alle spalle). 2° Forzando il fianco Sud di Luserna che non presenta difese se no verso il rovescio. 3° In cooperazione col primo contro Millegrobe, in prossimità Nord della Malga, guardandosi però il fianco sinistro, contro provenienze dalla ridotta, all'estremità Nord, del Bosco di Luserna. 4° Pure in cooperazione col primo tentativo, subito a Nord di Basson. 5° Forzando la sella che raccorda il fianco Nord di Busa Verle col costone di Cima Vezzena. Ogni attacco dovrebbe essere tentato da tre pattuglie; due di operazione avanti ed una di rinforzo, a circa cento metri dal punto critico dell'attacco per sorvegliare e sostenere l'operazione52. Per il successo dell'azione i mezzi migliori per attaccare i reticolati, a quanto dicono i tecnici, sono i tubi carichi di esplosivi; quelli per attaccare le trincee ed impressionare in eventuali contrattacchi, sono abbondanti granate a mano. I tubi debbono essere talmente maneggevoli che possono essere portati da due uomini con una maniglia di filo di ferro, rivestita per comodità da spago, che si può applicare alle due estremità del 52 V. Murari Brà, Studi Storico – Militari sulla guerra Italo – Austro – Ungarica, vol. 2, Azioni di guerra sull'Altopiano dei Sette Comuni (1915 – 1916), Memorie di vita militare, F. Casanova e C. Editori, Torino, 1922, p. 244. 28 L'altopianodi Asiago. MCRR tubo. Sono da preferirsi i tubi lunghi quattro metri, anche se non riescono a polverizzare i reticolati, a quelli lunghi sei metri, perché la maneggevolezza è per le pattuglie sicurezza e riuscita. Le pattuglie di operazione di circa otto uomini, devono avere ciascuna due tubi e due ottimi tagliabili, tutti e dovunque hanno con sé il fucile. Premetto che il fuoco d'artiglieria è bene sia diretto contro le trincee retrostanti ai reticolati, perché nei reticolati, anche ben aggiustato, non apre passaggi netti e sufficienti. Durante un intenso fuoco d'artiglieria nelle trincee retrostanti, le pattuglie completamente organizzate si portano più vicine che è possibile al loro obiettivo. Ad un'ora matematicamente convenuta le pattuglie si avanzano verso i reticolati per la strada che il giorno prima il capo pattuglia ha riconosciuto. A dieci metri la pattuglia di sorveglianza si arresta, per sorvegliare, proteggere, osservare attentissimamente; le altre due procedono più sotto i reticolati. La prima delle due posa subito i tubi sotto il reticolato, a trenta metri di intervallo, in direzione obliqua alla direzione del reticolato e destina due uomini per dar fuoco alle micce. Ciò fatto si mette in osservazione, per proteggere l'operazione della seconda pattuglia che, al centro del primo ordine di reticolato, si apre cautamente un passaggio (due uomini tagliano il filo e posa a terra per evitare il rumore) per introdurre i propri due tubi, e s ritirarono; usciti dal reticolato passano ciascuno la miccia agli uomini degli altri due tubi e vien dato fuoco anche a quelli del primo ordine; ciò fatto le due pattuglie si ritirarono in luogo tale, da impedire energicamente che il nemico cerchi di guastare l'opera propria, e si preparano i fucili e le granate a mano. È superfluo aggiungere che, subito dopo lo scoppio che dovrebbe avvenire per tutti i tubi su per giù alla stessa ora, mentre l'artiglieria nostra allunga ancora il suo tiro con batterie pesanti, le tre pattuglie si precipiteranno, per quanto cautamente attraverso i passaggi attenti, verso nuovi e studiati obiettivi, pronte a tutto osare, seguite magari da truppe, senza zaino, se gli attacchi sono stati più numerosi e con intenzioni importanti. Concludendo: si può dire che le opere permanenti, i trinceramenti ed i reticolati che percorrono tutta la fronte dal Forte Luserna a Cima Vezzena e nella posizione e nella fattura, indicano chiaramente che questa zona è tenuta dal nemico come il caposaldo della difesa avanzata di Trento. Conquistato infatti il triangolo Cima Vezzena – Forte Luserna, Cima Vezzena – Monte Rovere, anche il Forte Belvedere, di collegamento col resto della linea dei forti: Cherle – Sommo Alto – Doss del Sommo, si troverebbe gravemente minacciato e difficilmente si potrebbe impedire una più rapida avanzata di truppe per Val Sugana e Val Lagarina, verso il campo trincerato di Trento, dove il nemico concentrerebbe suo malgrado la difesa»53. Dal documento emerge che un attacco frontale verso il Basson era cosa difficile, considerato che le difese in quel settore erano particolarmente forti, inoltre il punto più debole della linea nemica era tra i forti Spitz Verle e Busa Verle. Dello studio il Comando di divisione non tenne conto, tant'è che l'attacco principale fu rivolto frontalmente alla zona nelle vicinanze dei forti di Vezzena, ancora perfettamente integri e pronti ad aprire il fuoco. Stessa cosa può dirsi per l'azione sul Basson, caldamente sconsigliato dallo studio di Zucco, dato che anche le difese accessorie nemiche avrebbero respinto un attacco L'interno della chiesa di Asiago. MCRR 53 Ivi, pp. 244 – 246. 31 frontale da parte delle artiglierie nemiche e dalle mitragliatrici54. Nel corso della giornata del 24 agosto, il Colonnello Riveri diramò il seguente ordine d'operazione: «Questa notte l'intera 34ª Divisione procederà all'attacco della linea di Cima Vezzena – Cima Verle – Basson – Costa Alta. L'azione è improntata ad avanzata decisamente offensiva sulla linea Vezzena – Busa Verle; dimostrativa su quella Basson – Costa Alta. Su quest'ultimo fronte agirà il nostro Reggimento. In base a tale concetto ed alle disposizioni superiori, intendo con i reparti dei primi due battaglioni che metterò in prima linea (II e III) tenere fermi, dinanzi a noi, sul fronte Basson – Costa Alta le forze avversarie; quando vedrò giunto il momento di buttarci sui reticolati e sulle trincee nemiche, tutto il 115° ad ondate successive muoverà all'assalto, col proposito fermo ed incrollabile di raggiungere Costa Alta. Pertanto dispongo: A= per le ore 21 il II battaglione nel ripiano a nord di quota 1528 – il III battaglione nello spianato subito a tergo del ricovero blindato del 1° sottosettore – il battaglione di riserva (I) alla estremità Nord del 3° trinceramento; B= per la stessa ora (21) i plotoni esploratori del II e III battaglione con la formazione più adatta al terreno si porteranno innanzi ed andranno ad appostarsi rispettivamente sulle falde occidentali della ridotta 1506 e del piccolo costone che dalla suddetta ridotta scende ad occidente delle Casare Risele di Sopra. Alle 21,15 i plotoni guastatori dei predetti battaglioni muniti di tutti gli attrezzi necessari si porteranno innanzi ed oltrepassati decisamente sulla prima fila dei reticolati dei quali inizieranno il taglio; attaccheranno i tubi esplosivi, astenendosi però dal farli brillare. Per questa operazione ne darò io l'ordine a suo tempo. Mi riservo a voce di precisare i limiti del fronte su cui dovranno operare i plotoni guastatori; C= Il III battaglione con i posti di corrispondenza prenderà contatto per le ore 21,30 coi reparti del 116° Fanteria a Casere Frate (cinquecento metri ad occidente di Casera Brasolada); E= Per le ore 21 io sarò col II battaglione; mi riservo sul posto di dare gli ordini per l'avanzata; F= La Bandiera, la Sezione Mitragliatrici del Reggimento e la musica resteranno col I Battaglione; G= Al momento che mi riservo d'indicare, il II battaglione con grossa pattuglia prenderà il contatto con le truppe sulla strada grande di fondo Val d'Assa che agiscono sul fronte Cima di Verle – Cima Vezzena; H= I Battaglioni II e III una volta impegnati provvederanno a stabilire al loro tergo un posto di medicazione, diretto dall'ufficiale Medico che segue il Battaglione. Il II Ufficiale Medico di tutti e tre i Battaglioni (il più anziano) rimarrà a disposizione del Capitano Medico che istituirà un posto di medicazione centrale e principale nel ricovero blindato del 1° sottosettore. S'intende che i portaferiti seguiranno i reparti. Ho fiducia che l'alba di domani, illumini il 115° vittorioso sul costone di Costa Alta»55. 54 Per maggiori informazioni sull'evoluzione dell'addestramento e della tattica da fine '800 alla grande guerra si rimanda a F. Cappellano, L'addestramento al combattimento della fanteria italiana alla vigilia della grande guerra, in Storia Militare, n. 138, Albertelli, Parma, 2005, pp. 22 – 33; F. Cappellano, L'addestramento della fanteria italiana nella grande guerra, in Storia Militare, n. 145, Albertelli, Parma, 2005, pp. 40 – 50 e n. 149, pp. 14 – 23; F. Cappellano, B. Di Martino, Un esercito forgiato nelle trincee. L'evoluzione tattica dell'esercito italiano nella grande guerra, Gaspari, Udine, 2008; E. Pino, La regolamentazione tattica del Regio Esercito e la sua evoluzione nell'ultimo anno del conflitto, in Al di là e al di qua del Piave. L'ultimo anno della grande guerra, a cura di G. P. Berti, P. Del Negro, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 275 – 308. 55 A.U.S.S.M.E., fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B – 1, diario storico del 115° 32 Altipiano di Asiago. Retrovie della 34° Divisione. Anno 1916. L'ordine di operazioni, lungo e farraginoso, mentre da una parte sostiene che l'azione sul Basson doveva essere dimostrativa, dall'altra non ne tiene conto e prevede un proprio e vero attacco. Il 24 agosto, alle ore 6, il Comando della Treviso diramò gli ordini ai reggimenti. Verso le 23, dopo che gli esploratori e guastatori del II battaglione erano riusciti ad aprirsi un varco tra i reticolati ed a posizionare i tubi di gelatina, le compagnie del 115° partirono all'assalto con alla testa il colonnello Riveri, sciarpa azzurra e sciabola sguainata. Riveri aveva confuso la guerra in corso con quella italo – turca del 1911. In poche ore il reggimento, bersagliato sia dalle postazioni del Basson che dalle artiglierie dei forti Busa Verle e Lucerna, subì notevoli perdite, sette ufficiali morti, tra cui il vicentino Tenente Colonnello Luigi Marchetti, medaglia d'argento al valori militare, i dispersi furono 14, quelli feriti 13, mentre per la truppa 28 morti 453 feriti e 560 dispersi, per un totale di 1041 fra caduti, feriti e dispersi56. L'ordine di ripiegamento fu dato dal Colonnello Riveri solamente alle ore 8 del mattino, quando oramai la battaglia era finita. Fu proprio in quei frangenti che il Comandante del reggimento fu catturato dagli austriaci., Il generale Oro scrisse sull'episodio del Basson: «[…] E nella imminenza del combattimento, il Colonnello si presentava al suo bel reggimento vestito della migliore uniforme ed in guanti bianchi come è solito a fare chi si portava a festa od a splendido convito. Spiegava il concetto dell'azione che si doveva svolgere nella notte dal 24 al 25 agosto e con animo commosso, e con vibrata parola consegnava la Bandiera del Reggimento all'Ufficiale che doveva portarla rammentandogli che in Essa si riassumeva l'onore del reggimento, il nome sacro del Corpo che bisognava tener alto fino all'estremo!. Così il Reggimento era ben preparato ed il cuore dei Soldati batteva e palpitava all'unisono con quella del valoroso Comandante. Ed eccoci alla prova: Si doveva fare una dimostrazione verso Costalta ed il Basson per attirare colà le forze nemiche e preparare l'azione offensiva da svolgersi su altra parte del fronte, ma la dimostrazione per essere efficace deve essere condotta con risolutezza ed avere tutta la parvenza di un vero attacco, altrimenti il nemico la intuisce e scoprendone il gioco non sposta le riserve e non concentra ivi i suoi tiri per facilitare il compito risolutivo che si svolge altrove. Di ciò fermamente convinto il Comandante ed il suo bel reggimento che con animo saldo si apprestava al suo primo cimento57. […] Ormai non vi era altro a fare che ritirarsi ed il Colonnello calmo e sereno ordina la ritirata che si esegue mirabilmente come una manovra di piazza d'armi […]. Il reggimento era solido e ben preparato; dopo aver sfidato la morte per parecchie ore si ritirava fiero come il Leone ferito ed il nemico non osava inseguirlo. […] Il Colonnello insieme ai prigionieri feriti nel combattimento, fu trasportato in Austria e sopportò con fierezza la prigionia sempre sostenendo i diretti dei suoi prodi reggimento di fanteria, allegato n. 2, ordine inerente l'attacco della linea Vezzena – Busa Verle – Costa Alta, s.l., s.d. 56 Ivi, 25 agosto 1915. 57 P. Oro, Pagine eroiche, Del Bianco, Udine, 1924, cit., pp. 29 – 31. Giugno 1916. Artiglieria in posizione antiaerea. 35 soldati contro le prepotenze nemiche, sollecitando disposizioni opportune per la loro salute, ed il nemico lo rispettò, ed alle sue insistenze si dovettero trattamenti meno duri e più umani»58. Il generale Murari Brà, pur non citando i nomi dei responsabili, secondo lui, dell'insuccesso del Basson e più in generale dell'azione delle brigate Ivrea e Treviso, evidenziò gli errori del Comando divisione, soprattutto per il fatto che all'interno della catena di Comando, a livello di reggimento, c'erano due opinioni nettamente opposte, una per l'attacco in forze, l'altra nettamente contraria ad un'azione contro il sistema difensivo avversario nella piana di Vezzena. Murari sostenne che a nulla poteva servire lo spirito eroico degli uomini di fronte ad una linea difensiva nemica munita di trincee, appostamenti e opere permanenti; solo attraverso un coordinamento di forze e utilizzo di mezzi atti alla distruzione dei reticolati si poteva ottenere qualche risultato. L'episodio del Basson, ebbe un appendice giudiziaria, ci fu un'inchiesta che sfociò in un processo contro i Colonnelli Curti e Riveri presso il Tribunale militare del 5° Corpo d'Armata a Schio. Le accuse mosse: - al Colonnello Curti di essersi reso irreperibile durante l'attacco nascondendosi all'interno di una buca; - al Colonnello Riveri di non aver ottemperato agli ordini ricevuti e di aver avallato l'azione di due compagnie in un attacco dissennato. La sentenza di assoluzione per entrambi chiuse il caso. Dopo quest'azione, che per quanto riguardò la zona dell'altipiano dei Sette Comuni, fu quella più sanguinosa e significativa del 1915, non vi furono offensive: iniziava l'inverno. Sul fronte trentino la 1ª armata aveva raggiunto posizioni avanzate, nella zona della Valsugana, molto vicine all'abitato di Borgo mentre in Vallarsa le truppe erano attestate nelle vicinanze di Castel Lizzana, assai vicino a Rovereto. Il 24 novembre il Comando supremo diramò le Direttive per le operazioni militari durante l'inverno 1915 – 1916, in base alle quali la 1ª armata doveva svolgere un'attività «capace di stimolare la vigoria delle nostre truppe senza stancarle e di incatenarvi le forze avversarie, per impedire a queste ultime di subire spostamenti o diminuzioni»59. Oltre a ciò, l'armata doveva proporsi di indebolire le linee di difesa austriache e di migliorare quelle italiane, tali azioni dovevano svolgersi in particolar modo in Valsugana, dove l'obiettivo era l'occupazione di una linea che da Borgo arrivava a Cavalese. Il 4 dicembre il Comando dell'armata, sottolineando gli intendimenti del Comando supremo, raccomandò che le linee difensive fossero moltiplicate e rese solidissime, in modo tale da costruire dalla Valtellina alla Val Cismon una fortissima muraglia, inespugnabile da parte del nemico. Le direttive prevedevano che: Trincea da Monte Zebio a Monte Colombara. Anno 1916. 58 Ivi, pp. 37 – 38. 59 Ministero della difesa, Sme, L'esercito, vol. III, tomo 1°, Roma, 1931, p. 283. 36 Settembre 1916. Il re alla casermetta di Campomulo. - Il III corpo migliorasse la sistemazione difensiva con l'occupazione di M. Cadria e M. Nozzolo ed effettuasse operazioni sulla fronte, sul fianco e da tergo del nemico; - Il V corpo mantenesse su tutto il fronte un'attività finalizzata per far rimanere attive le truppe e che avrebbe permesso dei miglioramenti soprattutto nella zona della Val Lagarina. Il 14 dicembre il comando dell'armata avvertiva i comandi dipendenti che nell'eventualità di un imponente attacco austriaco, le truppe a difesa delle posizioni avanzate nei settori Giudicarie – Garda – Val Lagarina, Brenta – Cismon, pur non rinunciando alla resistenza nelle linee avanzate, non avrebbero dovuto abbandonare il concetto della massima resistenza sulla linea più forte di ciascun settore. Una volta provveduto al rafforzamento della sistemazione difensiva delle linee avanzate, la difesa principale doveva portarsi su di esse. Le linee difensive dovevano seguire l'ordinamento dei francesi ed inglesi mantenendo il concetto delle linee a capisaldi e trincee, in massima parte blindate; mitragliatrici e artiglierie campali erano destinate al fiancheggiamento; ricoveri per i rincalzi, osservatori, posti di comando dovevano essere robustamente blindati. Circa la successione delle linee, il Comando supremo era dell'idea che, anziché una sola linea principale, si dovevano apprestare due linee, una sul pendio verso il nemico, l'altra sul rovescio della posizione, linea questa che presentava molte difficoltà d'avanzata. Quando il nemico, superata la prima, avesse tentato di stabilirsi sulla vetta battuta dalle artiglierie dislocate più indietro, potevano sempre tenerlo sotto il proprio tiro qualora fosse lanciato all'attacco della seconda linea predetta60. Uno degli elementi difensivi su cui si dovevano basare le linee erano le caverne tanto per le artiglierie che per gli uomini, le munizioni ed i materiali. Le caverne, a differenza dei blindamenti erano assai meno vulnerabili al tiro dei grossi calibri e la loro realizzazione era consentita anche per buona parte dell'inverno. Inoltre, data la stagione invernale, si dovevano rafforzare le linee con la costruzione di trincee di neve. Il generale Brusati diede disposizioni per il rafforzamento delle linee difensive affidando il compito al comandante del genio dell'armata, generale Pietro Mirandoli. Il generale sottolineava però la vastità del fronte occupato dall'armata (oltre 350 km, per lo più in territorio montano), la mancanza di comunicazioni e di mezzi di trasporto e di mezzi e truppe del genio a favore della 2ª e 3ª armata. Per i lavori campali, costruzione di trincee, baraccamenti etc., il Comando supremo, con estrema lentezza, dislocò degli elementi della milizia territoriale ed operai civili non abituati alla vita nelle zone montane, che abbandonarono dopo pochi giorni il lavoro per loro penoso ed eccessivo. Giunsero perfino gruppi di pescatori dell'Adriatico i quali invano si tentò di Asiago: reticolati lungo la via. MCRR 60 Ivi, p. 372. 39 utilizzare nei lavori stradali61. Tuttavia alla fine del 1915, erano stati portati a termine più di 1.000 km di nuove rotabili, 700 km di mulattiere, baraccamenti in legno per circa 100.000 uomini, per una spesa di £. 65.380.67962. A partire dal luglio erano 1915, iniziarono i lavori di rafforzamento per la 2ª e la 3ª linea difensiva sull'altipiano. Nel dicembre 1915, il Comando del genio del 5° Corpo inviò al Comando dell'Armata, due relazioni sulla situazione delle difese campali presenti nel territorio di competenza della 34ª e 15ª divisione, aventi come giurisdizione l'Altipiano di Asiago e la Valsugana. La zona di competenza della 34ª divisione era collegata con le linee della 35ª verso i monti Lessini e dall'altra da quella della 15ª divisione in Valsugana. «La sistemazione difensiva in parola ha per iscopo di sbarrare le provenienze che dall'Altipiano di Luserna – Lavarone mettono in quello dei Sette Comuni. A tale scopo era stata costituita, prima già dell'inizio delle ostilità, una vera cintura difensiva, quasi parallela al confine politico, che si appoggiava a sinistra all'opera corazzata di Campolongo e a destra di quella di M. Verena, anche essa corazzata. Tale linea di difesa domina, per la sua posizione tutto intorno il terreno di probabile attacco e taglia le provenienze dell'Astico (opera di Campolongo) e dall'Assa (opera del Verena). La natura impervia e accidentale della zona di terreno posto sulla sinistra dell'Assa e che dal ciglione dell'altipiano precipita sul fondo di val Brenta, costituisce di per sé stessa una difesa notevole contro eventuali provenienza della Val Sugana. L'opera corazzata del Verena esercitava la sua azione anche sulla regione compresa fra il ciglione dell'altipiano ora detto e la Val d'Assa. Allo scopo di rendere ancora più forte la linea predetta nell'intervallo fra le due opere avanti citate furono sistemate oltre batterie in barbetta (Batteria del Civello e di Spelonca della Neve). Inoltre a sbarramento della Val d'Astico e a sussidio della opera di Campolongo esisteva l'opera in cupola del Corbin. Indietro a questa linea erano stati preparati appostamenti per artiglieria nella vecchia linea M. Erio – M. Interrotto. Per poter meglio illustrare la sistemazione difensiva di cui trattasi si divide la zona in due settori (come è stata già divisa dal Comando delle Divisioni). Settore Nord della Val d'Assa. Settore Sud della Val d'Assa63. Nel primo settore, già in tempo prebellico, erano state erette trincee con postazioni per mitragliatrice che in modo non continuo collegavano la zona dell'altipiano prospiciente la valle dell'Astico alla valle 61 Archivio Mirandoli (A.MI.), memoriale del tenente generale Pietro Mirandoli, Firenze, 31 dicembre 1917, pp. 3-4. 62 A.M.I., specchio riassuntivo dei lavori eseguiti ed in corso di eseguimento, s.l., novembre 1915. 63 A.M.R.S.C., Civiche Raccolte Storiche, fondo gen. Roberto Brusati, cart. 54, b. 73, Comando del genio del 5° Corpo d'Armata, Memoria sull'organizzazione difensiva del territorio della 34ª divisione, s.l., 8 dicembre 1915, pp. 1 – 2. 40 Altipiano di Asiago. Un cannone viene trainato in quota. 1916. dell'Assa, con reticolati. C'erano due linee di trincee e dei rafforzamenti nelle vicinanze delle batterie permanenti e delle batterie di grosso calibro stanziate nella zona. Dopo l'avanzata dei primi giorni di guerra, la prima linea predetta fu spostata alquanto in avanti nelle attuali posizioni costruite: a) alle linee dei trinceramenti in alcuni tratti a doppio ordine, che dal Costesin, quota 1506, scende in Val d'Assa presso Malga Postesina; b) 1000 m di trincee scoperte a 1100 m. blindate; c) 2000 di camminamenti, 3200 di reticolati. Dalla nuova linea di trinceramenti presso la testata di Val Morta – Millegrobe e Ciglione di Val Torra (m. 1400 di trincee scoperte e m. 500 blindate m. 1800 reticolati); d) rafforzamenti vari avanti ed attorno alle nuove batterie costruite: Costa del Vento – Bosco Sette – Bosco Agro (sviluppo m. 300 di trincee blindate 2300 di reticolato)64. Oltre alle trincee furono approntate una serie di batterie occasionali, all'aperto, dato che la prova dei fatti aveva dimostrato l'assoluta inefficienza delle opere permanenti sotto il bombardamento dei grossi calibri austroungarici. Furono costruite piazzole per tre batterie per obici da 305, tre per obici da 280 , una batteria per cannoni da 149, una per cannoni da 149, una batteria in caverna per pezzi da 149 in caverna, postazione per cannoni da 75 e 87 con mitragliatrice65. Furono eretti otto Blockhaus per il ricovero di truppe ed anche dei baraccamenti in legno. Per quanto riguardò il settore a nord dell'Assa per la natura stessa del terreno impervio ed eminentemente boschivo e per l'assenza, quasi completa, di comunicazioni, il rafforzamento, prima dell'inizio delle ostilità, era limitatissimo: erano stati costruiti solamente ostacoli passivi, abbattute, reticolati di filo di ferro sbarramenti di sentieri e di vallette. Solo in alcuni punti, per la posizione dominante di essi o per la azione di appoggio che esercitano su tutta la regione, erano stati predisposti opportuni rafforzamenti. Così erano stati costituiti i trinceramenti: 1°) Un gruppo difensivo del Mandriolo comprendente; a) trinceramento di Cima Mandriolo rafforzato da una sezione di mitragliatrici (circa 100 m. di trincee blindate e 200 di reticolato); b) La linea di trinceramenti preparata avanti alle Boitle di Campo Mandriolo rafforzati da una batteria da 75 A su predisposte piazzole; sviluppo n. 150 di trincee blindate e 500 di reticolati; c) I trinceramenti di Casare dei Campo Mandriolo (100 m. di trincea, 200 m. di reticolati): 2°) Una linea rada di trinceramenti che da Porta Manazzo scende, lungo la Baracca austriaca nel bosco 64 Ivi, p. 2. 65 Ivi, p. 3. 43 dorsale del contrafforte del Dosso, pel Baitle in Val d'Assa, collegatesi con la già detta linea del settore Sud per Casare le Mandrielle – Fondo Val d'Assa Baitle; sviluppo m. 500 di trincea protette da abbattute e da oltre m. 1000 di reticolato, con appostamento per mitragliatrici e postazioni per Artiglieria da campagna al Baitle. La posizione del Baitle fa sistema con la linea sopracitata e costituisce un solido punto d'appoggio di destra di trincee a sostegno della Val d'Assa. 3°) Una breve linea di trincee a sostegno dei trinceramenti di Casare del Dosso, costituita presso Laste – Manazzo sulla dorsale fra la Valle delle Laste e la Valle Formica. Sviluppo m. 100 di trincea e m. 200 di reticolato. 4°) Un'altra linea arretrata che si svolge lungo la dorsale che da Casare Larici per Bosco Larici scende in Val d'Assa. Linee dello sviluppo di m. 200 di trincee rafforzate da ostacoli passivi costituiti da reticolati (m. 250) e da abbattute. Oltre alle difese sopracitate, furono eretti 15 Blockhaus oltre a tre batterie con cannoni da 87 ed una da 149, una batteria di obici da 305, due batterie di obici da 210, ed una con cannoni da 149, inoltre delle postazioni per mitragliatrici in caverna ed in casamatta e in barbetta e due batterie per cannoni da 7566. A questi opere seguirono la costruzione di fontane, bagni, segherie, prolungamento della rete ferroviaria, telegrafica e telefonica. Per quanto riguardò gli appostamenti per le batterie di cannoni, sul fronte della 15ª divisione furono approntati 13 appostamenti per batterie di medio calibro, 33 per batterie campali, 16 per batterie da montagna, per un totale di 248 bocche da fuoco. Furono aperte strade per 284 km e mulattiere per 201 km67. I baraccamenti in essere potevano ricoverare 20.000 uomini e 4.200 quadrupedi68. Infine per quanto riguardò la linea telegrafica, furono sistemate 300 km di nuove linee permanenti, 110 stazioni telefoniche e sei stazioni telegrafiche69. Il 14 gennaio il Comando dell'armata inviò ai corpi d'armata dipendenti una relazione riguardante la sistemazione difensiva nella quale si analizzava lo stato dei lavori per le linee difensive dall'inizio della guerra. Il generale Brusati sosteneva che «si è fatto molto ma devo ritenere che non tutti i comandi si siano immedesimati della necessità assoluta, del loro dovere imprescindibile di una sistemazione difensiva eccezionale e sempre più solida sul nostro fronte. Ho sempre ripetuto che i lavori per la sistemazione difensiva non dovevano intendersi mai ultimati, che i lavori andavano ovunque conti66 67 68 69 Rendole: posto medicazione veterinario. Ivi, p. 8. Ivi, p. 19. Ivi, p. 20. Ivi, p. 23. 44 Altipiano di Asiago: la lunetta dello Zebio. nuati con alacrità febbrile e questo non è ovunque avvenuto. Esorto, ancora una volta a non perdere una sola ora nei lavori della sistemazione difensiva e, naturalmente, renderò responsabili i comandanti dipendenti della grave colpa nella quale incorrerebbero qualora non avessero provveduto ad essa nei limiti dell'umanamente possibile»70. Nei corso delle ispezioni che il comandante dell'armata compì nella zona di combattimento rilevò che, in alcuni zone del fronte, erano stati completati solo dei trinceramenti. Maggior sviluppo avevano avuto le comunicazione stradali e la costruzione di baraccamenti, mentre rimanevano ancora da sviluppare le reti telefoniche. Il 27 gennaio, dopo aver rilevato che solo la 1ª linea era armata adeguatamente con artiglierie, ordinava che almeno una linea arretrata fosse dotata di artiglierie e capisaldi in modo che in caso di attacco si potesse supportare le truppe sotto attacco. Il 20 febbraio fu inviata al Comando supremo una relazione dettagliata sullo stato delle difese, e la situazione delle forze a disposizione. Brusati, in riferimento ad un'informazione circa una possibile azione offensiva austriaca chiede dei rinforzi lamentando che gli erano state tolte delle unità e sostituite da reparti della Milizia Territoriale reparti, essenzialmente scarsi sia nei quadri che nella truppa.D'altronde l'estensione dei trinceramenti di prima linea era, in Val Canonica, di 23 km nelle Giudicarie di 22, in Val Brenta – Cismon di 30 km. Data la lunghezza delle prime linee, evidenziò la necessità di forze da dislocare per la difesa del fronte da un attacco austriaco. Brusati, ad ogni modo, ribadì che le linee, rispetto al giugno 1915 erano state naturalmente rafforzate e migliorate e che se le voci di un'azione offensiva austriaca in grande stile erano veritiere, per la difesa del territorio italiano era necessario ripristinare la forza dell'armata com'era all'inizio delle ostilità. La risposta alla relazione da parte di Cadorna arrivò quattro giorni dopo. Egli sosteneva che la sostituzione di alcuni reparti alla 1ª armata, era stata determinata dall'impossibilità degli stessi ad ottemperare al compito difensivo della grande unità. Il Capo di Stato Maggiore non condivideva le preoccupazioni di Brusati a riguardo al trasporto dei rinforzi dalle retrovie al fronte, ribadiva inoltre che la capacità difensiva della prima linea doveva essere di molto superiore al tempo necessario per lo spostamento dei rinforzi. Molta importanza era data alla 1ª linea la quale, secondo gli intendimenti di Cadorna «è da questa linea pertanto che deve conferirsi la massima saldezza possibile, sia nell'organizzazione che nell'armamento, poiché le sorti della difesa dipendevano appunto, nel primo tempo, dalla capacità di resistenza che questa linea potrà fornire; senza di che a ben poco gioverebbe l'aver munito fin d'ora di artiglierie le linee Un momento di pausa nella pianura vicentina. Collezione Sandonà. 70 Ministero della difesa, Sme, Ufficio storico, L'esercito italiano, vol. III, tomo 1, cit., p. 372. 47 successive»71. Nel concetto sopra esposto non era compresa la linea avanzata in Valsugana, dove i punti più esposti non erano collegati con le linee difensive già esistenti. Stessa cosa in Val Lagarina, dove, in caso di un offensiva nemica, non si sarebbe potuto resistere. In conclusione il capo di S.M., riconfermando il compito difensivo dell'armata, stabiliva che tale compito fosse assolto con i mezzi e gli uomini disponibili senza ulteriori rinforzi. Seguendo tali direttive il 5 marzo, il Comando dell'armata rinnovava ai comandanti di corpo d'armata gli ordini perché tutta l'attività e gli sforzi fossero concentrati per intensificare sia i lavori per la sistemazione difensiva della 1ª linea, che dovevano essere velocizzati, sia quelli per le linee arretrate. Prigionieri austriaci. 71 Ivi, p. 387. 48 Stalla di sussistenza. Collezione Sandonà. La preparazione dell'offensiva da parte austriaca Le cupole corazzate da 75 mm del forte Cornolò. Archivio Strifler. All'inizio della guerra, la situazione delle forze era cambiata: solamente una parte dell'esercito avrebbe potuto esser utilizzata contro l'Italia, dato che c'erano anche altri fronti aperti come la Russia e i Balcani. In queste condizioni, il Tenente Colonnello Karl Schneller, giovane ufficiale d'artiglieria di Vienna, nominato il 1° maggio 1915, Capo della Sezione Italia, all'interno dell'Ufficio Operazioni del Comando Supremo Austroungarico, abbozzò un nuovo progetto offensivo, limitando il suo raggio d'azione al solo fronte trentino. Fino al 1914, i vari piani operativi prevedevano, nel caso di un conflitto solo con l'Italia l'utilizzo di 40 divisioni, 22 di fanteria, suddivise in due armate con obiettivo Venezia, mentre l'altra armata, con cinque divisioni, avrebbe avuto funzioni di controllo e la terza grande unità, composta da 11 divisioni, partendo dal Tirolo doveva sfondare le linee italiane e giungere in modo veloce verso Schio e Bassano. Nell'estate del 1915, la situazione strategica era diversa rispetto a quella ipotizzata. Le forze italiane al confine erano superiori rispetto a quelle asburgiche anche in caso di un massiccio aiuto tedesco. Lo studio di Schneller prevedeva di colpire alle spalle, dalla direzione più agevole, lo schieramento italiano. La conclusione del piano d'attacco contro l'Italia si ebbe il 3 dicembre, quando Schneller consegnò il documento al Feldmaresciallo Conrad e al Tenente Maresciallo Hugo Metzger nel corso di una riunione per decidere le prossime azioni da svolgere. Era scoccata l'ora di attaccare l'Italia, con la sicurezza del pieno appoggio della Germania con proprie truppe. Conrad si era deciso all'azione convinto di far uscire dal conflitto l'Italia e liberare parte dell'esercito per il fronte occidentale. Per la buona riuscita dell'offensiva sarebbero state necessarie dalle 14 alle 16 divisioni, metà delle quali tedesche. Questo in teoria. Conrad però non aveva fatto i conti con l'opinione tedesca; parlò al Capo di Stato Maggiore Enrich Falkenhayn della sua idea nel corso di una riunione tenutasi a Teschen il 10 dicembre. Il giorno successivo, ricevette una lettera del collega tedesco, nella quale erano espresse tutte le riserve in merito all'opportunità di un attacco austro – tedesco in Tirolo. Il motivo del netto rifiuto del tedesco di aiutare l'esercito asburgico era dovuto, oltre alla bassa opinione che c'era rispetto alla forza armata austroungarica, anche alla preparazione dell'offensiva tedesca di Verdun. Secondo Peball, uno dei motivi del rifiuto di appoggiare con truppe tedesche, fu il timore da parte germanica, che in caso di successo dell'offensiva in Tirolo l'abbinamento con le forze austroungariche continuasse, creando una sorta di dipendenza72. Di sicuro Falkenhayn, era convinto che l'azione che 72 K. Schneller, 1916, cit., p. 38. Nella pianura vicentina. Collezione Sandonà. 51 aveva in mente Conrad non avrebbe risolto la situazione nel fronte italiano, ma le motivazioni politiche dietro questa decisione sono oscure. La decisione dell'Austria a procedere comunque nella preparazione dell'offensiva trentina provocò la rottura di ogni contatto tra i due Stati Maggiori per circa un mese; solo il 27 gennaio, presente l'Imperatore Guglielmo II, Conrad e Falkenhayn si rividero al Comando Supremo tedesco a Pless. L'incontro chiarificatore avvenne dopo una lettera di Conrad al suo pari grado tedesco. A questo punto, dopo la stasi delle operazioni da parte tedesca nel fronte est e sud, Falkenhayn pensò di effettuare un attacco in grande stile. Conrad ritornò alla carica per l'offensiva in Tirolo. All'ennesimo rifiuto tedesco Conrad, diramò l'ordine all'Arciduca Eugenio, comandante del fronte italiano, per un attacco partente dal Tirolo verso l'Italia. La forza d'attacco avrebbe preso il nome di Gruppo Armate Arciduca Eugenio. Il piano operativo previsto dallo studio di Schneller, prevedeva che l'11ª armata agli ordini del generale Viktor Dankl, doveva puntare risolutamente tra le valli dell'Adige e del Brenta per sfondare le linee italiane e dilagare in pianura nella zona fra Thiene e Bassano del Grappa. Oltre all'11ª Armata, un'altra grande unità, che doveva posizionarsi alle spalle dell'11ª, avrebbe avuto anche il compito, una volta che le forze austroungariche fossero arrivate nella pianura vicentina, di operare in quel territorio. Il Comando delle operazioni, per essere più vicino alla zona d'attacco doveva esser spostato da Marburgo a Bolzano. Nell'ordine si raccomandava la massima segretezza, dato che l'elemento sorpresa era molto importante. L'Arciduca Eugenio, il 9 febbraio inviò un'ampia relazione al generale Conrad. Nella premessa, l'Arciduca chiedeva di avere delle chiarificazioni in merito alla preparazione dell'offensiva, per fare in modo che ci fosse un'unità di intenti tra il suo Comando e quello supremo. La preparazione per Eugenio era una fase molto importante; c'erano delle deficienze nella rete viaria e ferroviaria, sia in val d'Adige che in Valsugana; c'era un'unica strada che poteva esser utilizzata dalle truppe che dalla val d'Adige dovevano raggiungere la pianura vicentina, quindi per aumentare la velocità di avanzata, si doveva già dai primi giorni avanzare in Valsugana, dove grazie alla ferrovia esistente potevano defluire un maggior numero di forze nella pianura vicentina. Per non disperdere le forze, Eugenio propose che le due Armate, l'11ª operasse nel fronte principale essendo la più forte numericamente, vale a dire fra l'Adige ed il ciglio orientale, dell'Altopiano di Asiago, mentre l'altra lungo la Valsugana e la conca del Tesino - Fonzaso73. Nel settore della Valsugana un'altra soluzione prevedeva un attacco contemporaneo sia della Valsugana che dalla valle di 73 Ivi, p. 43. 52 Zona di Gallio nel 1916. Collezione Sandonà. Fiemme in direzione di Borgo attraverso la catena dei Lagorai. Ma a Vienna il piano era fatto e le proposte di Eugenio rigettate in blocco da Conrad. Nel piano, le nove divisioni dell'11ª Armata, avevano, in quanto gruppi d'assalto, il compito dello sfondamento avendo come base di lancio il saliente trentino, mentre la 3ª Armata, composta da cinque divisioni, doveva seguire l'altra armata ed entrare in azione solo nella seconda fase dell'offensiva. Come commentò Artl, «la ragione di questo piano, all'apparenza singolare, va ricercata da ultimo nel fatto che all'inizio di febbraio a Teschen ancora semplicemente si ignorava dove andare a recuperare le cinque divisioni che ancora mancavano per raggiungere il preventivato totale di 14»74. Le truppe facenti parte delle due armate dovevano essere diverse, dato che combattere in montagna comportava una specializzazione diversa rispetto alla pianura. Per questo, una delle prime direttive emanate dal Comando di Vienna fu quella inerente all'organico dell'11ª Armata, con il III Corpo d'Armata agli ordini del Feldmaresciallo von Krautwald, con tre divisioni, l'VIII agli ordini del generale von Scheunschenstel, con due divisioni, il XVII Corpo con due divisioni ed infine il XX Corpo d'Armata. Quest'ultimo corpo era di nuova formazione e doveva esser composto dalla 3ª divisione, stanziata sul fronte russo e dalla divisione Kaiserjäger, che era già in Tirolo. Il 10 febbraio, a Teschen vi fu un incontro tra l'erede al trono Carlo e Conrad. L'Arciduca chiese al Capo di Stato Maggiore di poter ottenere il Comando di un settore nel Tirolo meridionale. La risposta del Feldmaresciallo fu negativa, quindi di fronte a questo rifiuto Carlo, lasciò Teschen visibilmente contrariato75. A quel punto, come avvenne altre volte, il generale Metzger cercò di ricucire lo strappo tra Conrad e l'erede al torno, proponendo al suo superiore di dare un «contentino» al giovane Asburgo, affidandogli il Comando del XX Corpo d'Armata nel Tirolo meridionale. La proposta fu accettata da Conrad, il quale la espose all'erede al trono il 16 febbraio, nel corso di un'incontro a Vienna,76Per espresso desiderio dell'Arciduca, come Capo di Stato Maggiore del suo Corpo d'Armata ebbe il Colonnello Alfred von Waldstätten. Un'offensiva di vasta portata, com'era secondo i progetti austroungarici, avrebbero necessitato di molti materiali e mezzi, quindi il ruolo dei trasporti era fondamentale. Per pianificare meglio il tutto fu calcolato che occorrevano 420 convogli ferroviari per il trasporto dei materiali del reparto di acquartieramento, 120 per l'artiglieria ed il suo munizionamento, 910 per il trasporto 74 G. Artl, La strafexpedition, cit., p. 93. 75 Ivi, p. 93. 76 Ibidem. Il tenente Pasqualucci in ricognizione alle trincee. 55 di 13 divisioni di fanteria, 70 treni per ogni divisione, per un totale di 1450 convogli77.Un notevole sforzo per l'apparato logistico austroungarico. Un problema era la scarsità di linee ferroviarie adeguate. Il tempo calcolato, da parte del Colonnello Staub, Capo dell'Ufficio Ferroviario, per la radunata del Gruppo d'Armate Eugenio era di cinque settimane, con un afflusso di traffico giornaliero di 45 convogli ferroviari; come luogo di scarico era stato previsto, la zona San Michele – Calliano, molto vicino alla zona d'operazione78. La preparazione dell'offensiva doveva esser fatta nel modo migliore possibile, senza lasciar nulla al caso. Per fare in modo che la radunata potesse svolgersi secondo gli intendimenti, il 10 febbraio fu inviato dal Comando Supremo a Trento il Colonnello Karl Ziller, con il compito di pianificare il tutto. Stando alle cifre, dovevano giungere nel territorio trentino circa 10.000 tonnellate di munizioni e 3.000 tonnellate di materiale tecnico, mentre le truppe sarebbero state stanziate nella valle dell'Adige ed in quelle limitrofe79. Secondo i calcoli dello Stato Maggiore, l'11ª Armata doveva essere pronta verso il 20 marzo mentre l'altra entro la fine del mese in questione. Il gruppo di marcia come fu chiamata l'altra armata era composto dal I e XXI Corpo in un primo tempo, poi si aggiunse la 44ª divisione e quella Landeschützen tirolese. I preparativi per l'offensiva dovettero esser interrotti bruscamente a causa delle cattive condizioni meteo ai primi di marzo con abbondanti nevicate. La stasi servì allo Stato Maggiore per fare il punto della situazione. Fu constatato che l'afflusso di uomini, mezzi e materiali al fronte trentino era lento ed in ritardo; in 21 giorni dall'inizio della preparazione erano giunti in Trentino solamente 450 convogli, alla media di 22 treni al giorni, troppo poco rispetto a quello calcolato. Il 13 e il 14 marzo 1916 furono sospesi i treni merci e al ritmo di 35 convogli al giorno, poter trasferire tutta l'intera grande unità entro il 25 marzo. In pratica però le operazioni terminarono fin quasi la metà di aprile. A partire dalla seconda metà di marzo, il tempo cominciò ad essere più clemente e quindi le varie fasi dei preparativi continuarono. l'11 aprile lo schieramento delle artiglierie, mezzo che avrebbe dato il via all'inizio delle operazioni con il suo fuoco fu completato. L'urto offensivo, era stato assegnato all'ala destra dell'11ª Armata, con il VIII Corpo appoggiato dall'artiglieria del XX Corpo. Il frazionamento del fronte principale delle forze austriache attaccanti non piacque al generale Conrad, il quale dopo alcuni mugugni, dovette sottostare alle ragioni di casta. Una funzione importante, si può dire d'appoggio alle truppe avanzanti, fu data da Conrad alle fortificazioni permanenti del tren- Campomulo 77 Ibidem. 78 Ivi, p. 94. 79 Ibidem. 56 Campomulo: baraccamenti. Forte Cornolò. La casamatta principale. tino. Il loro compito difensivo/offensivo, era di essere centri di raccolta di forze per l'attacco, ma mediante le artiglierie, accompagnare le fanterie in avanzata. Conrad, nelle sue memorie, analizzando la mancata riuscita dell'offensiva, evidenziò che lo sfondamento delle linee italiane non era avvenuto in Valsugana e in Val d'Adige, perché lì mancavano delle opere permanenti progettate e mai realizzate, mentre nell'altipiano di Folgaria o in quello di Lavarone, grazie all'appoggio dei forti, l'avanzata fu efficace. Nel pensiero strategico e tattico di Conrad, nella guerra di montagna, uno degli elementi era la fortificazione permanente, che però nell'economia del conflitto ebbe un ruolo solo marginale. Oramai a preparazione quasi ultimata, Conrad rese noto il prossimo inizio dell'offensiva al collega Falkenhayn. Il 9 maggio, Schneller nel suo diario così annotò il fatto: «Adesso Conrad si è deciso ad informare dettagliamene i tedeschi: il generale von Cramon è stato direttamente invitato ad orientare Falkenhayn a grandi linee, con piena visione della situazione sulle nostre carte»80. Lo stesso giorno Schneller, ricevette dal collega Metzger, una relazione dettagliata sui preparativi dell'offensiva in Tirolo, dove si mise in luce la difficoltà di poter iniziare l'operazione per i primi giorni di aprile; in questo modo secondo Conrad l'effetto sorpresa era svanito. La preoccupazione di Conrad in merito alla mancata sorpresa, fu eccessiva, dato che il Comando Supremo italiano sapeva dei preparativi dell'offensiva, anche se la sottovalutò. Già prima dell'entrata in guerra esisteva in Italia un servizio di controspionaggio svolto dall'Arma dei Carabinieri che nei territori di confine controllava la non facile situazione. Prima dello scoppio della guerra in Italia, nel cosiddetto periodo della neutralità, erano stati creati degli Uffici Informazioni; il primo fu costituito a Verona, guidato da Giuseppe Fiorio, trentino, un civile che passava tutte le notizie al Comando del V Corpo d'Armata, che a sua volta le inoltrava all'Ufficio Informazioni di Roma81.Dopo la firma del Patto di Londra da parte dell'Italia, Cadorna creò gli Uffici staccati di informazione alla frontiera nord – est. Tali uffici, avevano il compito di raccogliere informazioni particolarmente sulle fortificazioni austriache oltre confine; dipendevano sia dall'unità di cui facevano parte, i Corpi d'Armata territoriali che all'Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore. Nella zona di competenza della 1ª Armata, gli uffici in questione erano due, uno a Brescia e l'altro a Verona. Il 22 maggio, in vista dell'entrata in guerra, la struttura informativa fu inglobata all'interno degli Uffici Informazioni delle quattro armate mobilitate. L'Ufficio Informazioni del Comando Supremo mobilitato il 25 maggio, 80 K. Schneller, 1916, cit., p. 128. 81 A. Massignani, Il servizio, cit., p. 105. 59 Verso Campomulo. trasferito prima a Treviso e poi dal 30 maggio ad Udine. Una struttura all'apparenza molto scarna, ad esempio mancava un traduttore per l'ungherese, che era lingua diffusa tra le truppe della duplice monarchia. Il Capo dell'Ufficio Informazioni della 1ª Armata era l'ufficiate trentino Tullio Marchetti. Secondo le memorie del Marchetti, già a partire dal dicembre 1915, gli informatori al servizio dell'Ufficio da lui guidato avevano fatto notare dei movimenti in trentino, special modo degli arrivi di parecchio materiale d'artiglieria e vario, qualcosa si stava muovendo. Oltre a questo il 19 gennaio il sospetto che l'Austria – Ungheria stesse preparando qualcosa fu dovuto ad un ordine del generale Dankl diretto ai Kaiserjäger: «Presto, o Kaiserjagër, suonerà la grande ora nella quale annienteremo il perfido nemico per sempre, per la salute della Patria e la gloria dell'eccelso Imperatore e Re e supremo Comandante Francesco Giuseppe I»82. Le voce provenienti da oltre confine aumentavano, tanto che Marchetti, dopo un primo scetticismo, cominciò ad interessarsi della questione seriamente, visto che essendo trentino era a conoscenza delle idee offensive di Conrad già dal tempo di pace. Durante l'inverno del 1915 – 1916, le voci di un probabile attacco dell'impero asburgico divennero sempre più insistenti. A questo punto la situazione pareva ben chiara, Marchetti assieme al suo fido collaboratore, il capitano Finzi, alias Cesare Pettorelli Lalatta, il 1° aprile inviò una relazione al Comando supremo. Da Udine si rispose: «(….)In complesso, mentre su tutta la fronte l'attività dell'avversario sembra limitato alla pura difensiva, per quanto attiva, permane la probabilità di un'attività maggiore in Valsugana e degli Altipiani, ma è permesso rimanere tuttora scettici dinanzi alla ipotesi della imminente grandiosa offensiva annunziata con troppa ostentazione(…)». Un vero abisso fra le previsioni e concezioni del Comando Supremo e quelle del Comando della 1ª Armata. Furono fatti molti tentativi sia da Finzi che da Cesare Battisti83, per avvicinare Cadorna e parlargli della probabile offensiva austriaca in Trentino ma senza risultati. Di sicuro nella perplessità che Cadorna ebbe in merito alle continue informazioni provenienti dalla 1ª Armata, giocò anche il deterioramento del rapporto con il generale Brusati. C'era qualcosa che non funzionava nell'Ufficio informazioni di Udine. Scrive il generale Bencivenga, allora testimone diretto: «È bensì vero che se il solerte Ufficio informazioni dell'armata denunciava «notevole concentramento imprecisato a Trento – Bolzano e Innsbruck», ma, queste voci erano controbilanciate dalla smentita del Capo dell'Ufficio Informazioni del Comando 82 T. Marchetti, Ventotto anni nel servizio informazioni militari, Temi, Trento, 1960, cit., p. 151. 83 S. Biguzzi, Cesare Battisti, Utet, Torino, 2008; Cesare Battisti nella storia d'Italia, Temi, Trento, 1968. 60 Autoparco italiano nella pianura vicentina. Collezione Sandonà. Supremo. Ora, come non prestare fede a queste smentite e pensare che un concentramento, che in realtà aveva richiesto il transito di 1.849 treni, la maggior parte per il Brennero, fosse sfuggito ai nostri informatori?»»84. Solamente il 26 aprile, dopo molte titubanze, anche lo Stato Maggiore cominciò a credere alla veridicità delle informazioni provenienti dal fronte trentino. La cattura di un ufficiale disertore il Ceko Krecht, rivelò lo stato dei preparativi che l'impero asburgico stava predisponendo per un'offensiva verso l'Italia. Il Servizio Informazioni dello Stato Maggiore dimostrò in questa fase tutta la sua fragilità e la sua poca esperienza, perché sottovalutata quello che stava avvenendo in Trentino; ci potevano essere delle differenze di cifre tra i due ufficiali, Udine e Verona, però non si doveva disinteressarsi, senza effettuare dei riscontri. Il forte di Punta Corbin, visto dal settore austriaco. Archivio Striffler. 84 R. Bencivenga, La sorpresa, cit., pp. 76 – 77. 63 La crisi al Comando della 1ª armata: la destituzione del generale Brusati Il forte Casa Ratti. La casamatta principale durante l'occupazione. Il Comando dell'armata, il 12 e il 19 marzo, richiamava l'attenzione al Comando del V corpo su alcuni provvedimenti tesi a migliorare il sistema difensivo in particolar modo nella Val Lagarina e in Valsugana. Il 31 marzo 1916, fu redatta dal comando armata una relazione che oltre a riassumere tutte le direttive emanate dall'inizio del conflitto; ripeteva che lo scopo delle azioni offensive dell'armata era quello «di avvantaggiare la difesa della zona trentina ed è chiaro che dato l'infelice andamento della primitiva linea di confine e la struttura radicale delle principali arterie, la difesa non poteva essere avvantaggiata che avanzando. Era solo così che si potevano eliminare i salienti pericolosi, togliere al nemico posizioni dominanti, ridurre lo sviluppo frontale della nostra linea di difesa»85. Dalla relazione traspariva che gli intendimenti (prettamente difensivi) indicati dal Comando supremo non erano stati completamente attuati. Il 4 aprile, Brusati chiese al Comando del V corpo rassicurazioni sull'efficienza delle linee di resistenza principali; la risposta del generale Zoppi rassicurò il Comando dell'armata però avvertì che, in caso di un attacco in forze del nemico, «la resistenza della linea, pur essendo grande, non va considerata indefinita. Intendo con ciò dire che nel caso in cui il nemico si presentasse con numerosi e potenti mezzi d'artiglieria largamente provvisti di munizioni non si può escludere che in alcuni parti la linea possa anche essere distrutta»86. Affermazione Lapalissiana quella di Zoppi: si può ben comprendere come linee avanzate poco rafforzate da fortificazioni campali, se attaccate da forze nemiche e da grosse artiglierie potevano essere scavalcate senza molti sforzi. Piuttosto la lentezza dei lavori, a causa delle condizioni atmosferiche e, soprattutto, alle linee troppo avanzate e poco solide erano un problema. Il 14 aprile, altra circolare dal titolo «Direttive in caso di energica offensiva avversaria», nella quale veniva esaminava la situazione delle linee di difesa in caso di poderoso e annunciato attacco austriaco. La massima resistenza doveva essere attuata sulle linee già apprestate, le quali avrebbero dovuto garantire una considerevole solidità. Nel territorio del V Corpo - settore della Val Lagarina – Terragnolo, la massima resistenza doveva essere esercitata sulle posizioni a sud del solco Loppio – Mori – Rovereto – Terragnolo. Le posizioni avanzate a nord della linea difensiva dovevano essere mantenute per una temporanea difesa utile per ritardare l'avanzata nemica. In caso di supremazia tali posizioni dovevano essere abbandonate per non logorare le 85 Ministero della difesa, Sme, Ufficio storico, L'esercito italiano, cit., vol. III, tomo 1° bis, p. 393. 86 Ivi, p. 395. Passaggio di cannoni in Val Campomulo. 65 forze che dovevano essere utilizzate per la difesa della linea di massima resistenza. Nel settore degli altipiani di Asiago e Tonezza, la massima resistenza si basava sui capisaldi di M. Maronia – Costa d'Agra – M. Coston – Soglio d'Aspio per l'altipiano di Tonezza mentre per quello di Asiago la difesa principale era sulla linea dell'Astico – Torra e sul prolungamento di questa verso la posizione del Costesin. Le linee arretrate - secondo il documento- erano ottime e già da molto tempo pronte per la difesa. Come già per la Val Lagarina e la Val Terragnolo, alcune posizioni avanzate dovevano (in caso di netta inferiorità di truppe) essere sgomberate per utilizzarle nelle linee difensive di massima resistenza. Prevedendo inoltre che lo sfondamento austriaco poteva avvenire sugli altipiani, in particolar in quello di Asiago, si dovevano migliorare le difese delle linee con la massima celerità. Nel settore Brenta – Cismon la prima linea di resistenza era basata sulle posizioni rafforzate da Cimarlo – Arzon – Cima d'Asta – Cimon di Rava – Setole – Cista – Ceolina – Armentera, posizioni che si saldavano con quelle delle Giudicarie – Garda ove doveva essere svolta una grande attività allo scopo di tenere vincolato in quella zona il nemico per impedirgli di spostare rinforzi verso gli altipiani. Brusati concludeva come da prassi: «in caso di attacco avversario regnino in tutti il massimo ordine e la massima calma, e la fiducia serena nel successo scenda dall'alto e si trasfonda nella truppa, moralmente e materialmente apparecchiata alla lotta più ardua e tenace»87. Il generale, seguendo gli ordini di Cadorna, diramò ai Comandi dipendenti una circolare dal titolo espressivo e per nulla rassicurante: «Probabile offensiva dell'avversario», nella quale rilevava che «in conformità delle direttive più volte ripetute dal Comando supremo e che hanno informato il concetto di sistemazione difensiva su codesto fronte in caso offensiva nemica contro il fronte della 1ª armata codesto comando dovrà assicurare difesa facendo assegnamento su sole forze e mezzi di cui dispone. Traduzione: dovete fare con quello che avete. In quel tragico aprile del 1916, nel settore della Valsugana, furono tentate offensive locali per occupare le posizioni di monte Collo ed altre più avanzate. Con la loro occupazione, si sarebbero arrestate o nel peggior caso deviato l'afflusso di truppe verso l'Altopiano dei Sette Comuni. Il territorio della valle del Brenta non era il fronte principale, ma secondario. Secondo gli intendimenti di Cadorna, non si dovevano azzardare delle azioni troppo temerarie che potevano creare problemi allo schieramento ma rafforzare le linee avanzate con lavori difensivi. Per nessun motivo le truppe dovranno resistere su posizioni avanzate, ma eventualmente ripiegare, ripeteva Cadorna. La circolare di Brusati recava la data del 14 ma giunse al Comando della 15ª divisione inspie87 Ivi, p. 418. Piccoli posti italiani sotto il Sasso Rosso. 67 gabilmente il 16 aprile Il motivo del ritardo – secondo il Pieropan- si poteva spiegare dal fatto che «in quello stesso giorno il generale Amari aveva avviato altre truppe verso S. Osvaldo e persino disponesse per un contrattacco. Ma altrettanto non convince la successiva affermazione intesa a giustificare anche il generale Zoppi che il giorno 17, trovandosi ancora presso il comando della 15ª divisione, ed ovviamente prevalendovi la sua autorità, non avesse trovato nulla da obiettare agli ordini di resistenza attorno a Voto impartiti dal generale Amari: è possibile che a distanza di tre giorni ancora non gli fossero pervenute le citate Direttive»88. Nella confusione creatasi tra i vari Comandi, Cadorna ci mise del suo: adottò un serio provvedimento sottraendo la 15ª divisione al V Corpo creando il settore Brenta-Cismon al comando del generale Donato Etna89 e il giorno successivo il generale Amari fu sostituito al comando della divisione da Ettore Negri di Lamporo. Con riferimento alle operazioni dell'aprile in Valsugana, il generale Brusati in una lettera del 30 inviata a Cadorna, riguardante gli avvenimenti in quella zona, spiegò che le occupazioni di S. Osvaldo e Monte Broi costituivano una parte del vasto programma proposto ed approvato dal Comando dell'armata con alcune non meglio specificate rettifiche. Le posizioni avanzate in Valsugana avrebbero consentito se non di arrestare di rallentare l'afflusso di truppe e mezzi negli altipiani. Il generale Zoppi ammise che il suo programma di avanzata date le nuove circostanze era inutile, ma lamentava la diffusione di notizie false sulla scarsa efficienza delle fanterie avversarie e – sosteneva - che le posizioni sarebbero state difese bene, come per altro avvenne. In merito all'operazione di S. Osvaldo, Zoppi si assunse tutte le responsabilità sostenendo che tale azione se coronata da successo avrebbe avuto un effetto benefico sulla situazione generale e che avrebbe precluso il passaggio di mezzi e materiali austriaci verso gli altipiani di Folgaria – Lavarone per la preparazione dell'imminente offensiva. Il comandante del corpo d'armata cercò di scaricare le colpe dell'insuccesso sul generale Brusati il quale fu messo al corrente delle azioni offensive in Valsugana solo durante un incontro avvenuto il nove aprile; nel corso del quale - secondo Zoppi - «se non ebbe a darmi incoraggiamenti, non si espresse però in termini sfavorevoli al progetto stesso»90. In conclusione il comandante del V corpo sottopose al giudizio del suo superiore alcune considerazioni cercando di scagionarsi e sostenendo che era suo costume seguire 88 G. Pieropan, 1915, cit., p. 310. 89 A. Brogi, Donato Etna, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 43, Roma, 1993, pp. 463 – 464. 90 Ministero della difesa, Sme, Ufficio storico, L'esercito italiano, vol. III, tomo 1° bis, cit., p. 412. 68 La torre dei pompieri di Asiago. MCRR. direttamente le operazioni stando molto vicino al fronte di combattimento per farsi un'opinione sugli avvenimenti e sulla situazione del teatro di guerra. I ritardi delle notizie sulle perdite non furono dovuti a sue responsabilità, ma all'irregolarità del servizio telefonico e, in maniera minore, al comando della 15ª divisione, formato da ufficiali giovani, privi di esperienza. Come sostiene Pieropan, «è vero infatti che il capo di S.M., tenente colonnello Delfino De Ambrosis, aveva occupato l'ufficio solo primo aprile, ma è altrettanto vero che lo mantenne fino al marzo 1917 il ché significa che non si trattava di uno sprovveduto»91. Le scusanti di Zoppi non convinsero Brusati, il quale sostenne che «nel fatto vi è stata da parte del comandante del V corpo per quanto generale sperimentato ed apprezzato, una troppo larga interpretazione del suesposto concetto di parziale offensiva»92, facendo notare alcuni suoi errori interpretativi in merito alle disposizioni dell'armata. Le Direttive erano chiare: le linee avanzate, in caso di attacco rilevante, dovevano essere abbandonate.Era altresì precisata la linea di massima resistenza in ciascun settore e si raccomandava la massima attenzione prendendo tutte le precauzioni in merito. Il 17 aprile Brusati, di passaggio da Thiene, inviò al Comando del V corpo un telegramma nel quale ricordava le direttive, cioè che non si dovevano logorare le truppe sulle linee avanzate per non compromettere la difesa sulle linee di massima resistenza. Il 25 marzo il generale Cadorna, da Londra, aveva telegrafato con riferimento ai combattimenti in Valsugana, e ribadiva il già noto concetto: per nessun motivo, le truppe dovranno opporre resistenza sulle linee avanzate. Dunque gli ordini che assegnavano i compiti all'armata di Brusati c'erano ed erano chiari e ribaditi in più occasioni. Il 29 aprile, Cadorna, nel corso della ispezione lungo il fronte della 1ª armata, visitò gli apprestamenti difensivi della Valsugana trovando, con grande stupore, pochissime fortificazioni in un settore da dove potevano venire pericoli nemici; inoltre, la nuova linea di massima resistenza voluta da Brusati, non ottemperando alla direttive difensive fissate dal Comando supremo, poteva essere facilmente sfondata da un eventuale attacco. Cadorna, nelle sue memorie così ricorda la visita: Negli ultimi giorni di aprile io iniziavo un giro di ispezione lungo la fronte della 1ª armata per assicurarmi del modo col quale era stato organizzata la difesa. Recatomi anzitutto in Valsugana, constatai che la sistemazione difensiva non corrispondeva ai concetti suesposti. Trovai che la linea Monte Salubio – Monte Armentera aveva un organizzazione fortificata propria di una linea di massima resistenza, e che, occupandola in forze, si peggioravano le condizioni della difesa rispetto alla retrostante linea Ospedaletto – Monte Spiadon, la 91 G. Pieropan, 1915 cit., p. 313. 92 Ministero della difesa, Sme, Ufficio storico, L'esercito italiano, vol. III, tomo 1° bis, cit., p. 409. Il Sacrario di Asiago 71 quale era invece pochissimo fortificata; e ciò, sia per l'estensione molto maggiore della linea, sia perché debole sulla sinistra alla testata di val Maggio, ed aggirabile sulla destra per Val Maso e Val Calamento sia finalmente perché, dominata a cinque chilometri dalla principale linea di difesa nemica, costituita dalla formidabile dorsale Monte Panarotta – Fravort – Sette Selle, dietro la quale il nemico poteva effettuare a nostra insaputa potenti schieramenti di artiglieria».93 Anche in Val Lagarina, il Capo di Stato Maggiore rilevò che Brusati si era dimenticato del compito difensivo affidato all'armata e della conseguente sistemazione da dare alle forze ed ai mezzi. Cadorna ribadì che, data la vastità dell'intero teatro di guerra italiano, era impossibile per lui compiere continuamente delle ispezioni nei vari settori. Il 30 aprile, Brusati, per cercare di giustificare la propria azione di comando, trasmise al Comando supremo la relazione di Zoppi riguardante i combattimenti dell'aprile in Valsugana. Lo stesso giorno, Cadorna inviò all'armata una relazione riguardante la sua ispezione in Valsugana, nella quale riepilogava i concetti espressi nelle sue memorie. Brusati rispondeva alle accuse di Cadorna rifacendosi proprio alle Direttive per le operazioni invernali del Comando supremo ed anche all'approvazione da parte di Cadorna delle operazioni in Valsugana. Insomma il solito italico balletto tra generali. Brusati ricordò al generalissimo persino il compiacimento, espressogli il 24 febbraio, («compiacersi per l'opera assidua colla quale si era provveduto a dare la più salda consistenza alle linee difensive ed in specie a quella più avanzata»)94 in cui sottolineava il necessario rafforzamento della linea di massima resistenza che secondo Brusati, doveva essere quella che appoggiava sulle nuove posizioni, all'infuori di M. Collo. I combattimenti dell'aprile erano stati approvati da Cadorna, le nuove azioni offensive - sostiene il comandante dell'armata - «non dovevano in alcun modo pregiudicare la tenace resistenza sulle posizioni da tempo rafforzate»95 . In questo le divergenze di vedute sugli obiettivi da raggiungere fra Brusati e Zoppi sono evidenti. Il primo, sosteneva che la posizione di S. Osvaldo, una volta occupata, doveva considerarsi avanzata al pari di M. Collo, su di essa inoltre, non si doveva attuare una resistenza; mentre di parere opposto era il comandante del V corpo. La risposta alla lettera è datata cinque maggio, pochi giorni prima del siluramento di Brusati. In essa Cadorna rigettava tutte le critiche mosse dal suo sottoposto sostenendo che aveva dato parere positivo alle varie azioni propostegli fidandosi, senza per altro aver visitato il fronte, delle notizie giuntegli. Solamente dopo la sua ispezione aveva visto che, 93 L. Cadorna, La guerra, cit., p. 188. 94 Ministero della difesa, Sme, Ufficio storico, L'esercito italiano, vol. III, tomo 1° bis, cit., p. 424. 95 Ivi, p. 426. 72 1916: l'arciduca Carlo d'Aburgo sul nostro fronte decora un soldato della duplice monarchia. in Valsugana, non si erano rispettate le direttive del Comando supremo. Per quanto riguardava invece le linee difensive sulla linea di Borgo si poteva esercitare una difesa ad oltranza, ma solo togliendo uomini e artiglierie alle difese arretrate. Un grave errore nella sistemazione difensiva era la scelta della linea Armentera – Salubio quale linea destinata a frenare il primo urto offensivo, le mancate conquiste di M. Collo e M. Persico annullavano infatti la funzione delle difese. Era stata inoltre sottovalutata la linea arretrata di Ospedaletto la quale, secondo gli intendimenti del Comando supremo, doveva reggere anche in caso di forze nemiche soverchianti96. In sostanza Brusati era bocciato su tutta la linea. Il nove maggio fu rimosso dal comando dell'armata. Cadorna, in una lettera inviata alla figlia Carla, spiegava così il motivo del siluramento di Brusati: Asiago: prigionieri italiani. Ho dovuto prendere l'energica risoluzione di proporne la sostituzione del Comandante della 1ª armata. Nei provvedimenti presi per la fronte ad un attacco austriaco dal Trentino, ha mostrato la corda e si è rivelato nel suo vero valore. Teme le responsabilità, rigetta tutto sui comandanti di Corpo d'Armata, non ha mai forze che gli bastino, e perde la serenità e la calma. È una cosa molto dolorosa di dover colpire dei vecchi amici e farsene dei nemici (in questo caso sono due) ma attraversiamo tempi troppo gravi perché io possa tener conto di altre considerazioni che non siano quelle degli interessi supremi del Paese. Alla fine della guerra dovrò scappare in Australia, per sottrarmi alla ire molteplici che mi sono accumulate sul capo!97 Successore al comando dell'armata fu nominato il generale Guglielmo Pecori Giraldi98, proveniente dal fronte carsico, definito dal colonnello Roberto Bencivenga99 : Generale di profonda cultura e di grande esperienza, temprato alle emozioni a aspre lotte nel settore più difficile del Caso, dove aveva tenuto con successo il Comando del VII corpo d'armata, era indubbiamente il più preparato ad assumere un comando di così alta responsabilità, in una situazione così difficile quale era quella derivante dallo schieramento offensivo dell'armata, mentre l'attendeva una delle più dure battaglie difensive100. Il 15 maggio iniziò l'offensiva austriaca che sommerse le posizioni avanzate della 1ª armata. I reparti austriaci, nel giro di poche, settimane, riuscirono a dilagare in direzione della pianura vicentina fino a che, grazie all'invio di 96 Ivi, p. 427. 97 L. Cadorna, Lettere famigliari, a cura di R. Cadorna, Milano, Mondadori, 1967, p. 148. 98 A. Tosti, Il maresciallo d'Italia Guglielmo Pecori Giraldi, Torino, Tipografia Bona, 1940; L. Malatesta, Il maresciallo d'Italia Guglielmo Pecori Giraldi in corso di pubblicazione in Storia Militare. 99 G. Rochat, Roberto Bencivenga, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, vol. 8, 1966, pp. 212-214. 100 R. Bencivenga, La sorpresa di Asiago e di Gorizia, Udine, Gaspari, 1998, p. 96. Attendamento di montagna. Raccolta Zigliotto. 75 rinforzi provenienti dal fronte isontino, si riuscì a fermarli. Per far fronte alle polemiche provenienti dall'opinione pubblica, il governo, avallando l'azione di Cadorna, il 25 maggio, rese responsabile degli insuccessi il generale Brusati. Un comunicato dell'agenzia Stefani annunciava infatti che il Consiglio dei Ministri aveva collocato a riposo il comandante della 1ª armata. Il provvedimento era molto grave perché, di massima, i generali esonerati finivano destinati a comandi territoriali all'interno del paese e comunque trattenuti in servizio. L'on. Martini riportando la motivazione ufficiale dell'esonero di Brusati commenta: Si delibera il collocamento a riposo d'autorità del gen. Roberto Brusati comandante della 1ª armata, la cui opera sul fronte del Trentino fu errata nel concetto e manchevole nell'esecuzione. Inoltre egli assicurò più volte e a voce e per iscritto (così afferma nella motivazione della sua proposta il Comandante supremo) con una «sistemazione multipla organica». Punire Brusati è giusto: ma perché il Cadorna che già lo aveva una prima volta reputato incapace gli affidò il Comando dello scacchiere più pericoloso e piè esposto? Non per cortigianeria verso il Re che non dimostra preferenze e non raccomanda nessuno: ma verso l'altro Brusati primo aiutante di campo, il quale a torto o a ragione, è creduto incapace come suo fratello, intrigante uomo di poco valore e di poca coscienza. Tale e l'opinione che il pubblico ha di lui»101. Il 30 dicembre 1917, Martini ritornò sull'argomento a seguito di un colloquio con il generale Ugo Brusati., fratello di Roberto e aiutante di campo del re. Nell'occasione i due concordarono nel ritenere non veritiere alcune affermazioni di Cadorna che addebitava a Brusati la colpa per lo sfondamento delle linee italiane durante i primi giorni dell'offensiva austriaca. Brusati era invece stato rimosso dal comando giorni prima dell'inizio della battaglia. Il motivo reale del provvedimento riguardava piuttosto la sensazione diffusa che il generale milanese non avesse dimostrato l'energia necessaria per reggere allo stress della guerra. Taluno ha rilevato, a difesa di Brusati, che Cadorna, troppo lontano dal fronte trentino, non controllò l'esecuzione delle direttive impartite. Accusa debole: il comandante di un'armata aveva sufficiente autorità, autonomia e si presume capacità ed esperienza, da non aver bisogno di un controllo diretto sulla sua azione di comando. È vero però che il Comando supremo non brillava per organizzazione: il vice di Cadorna Porro aveva compiti secondari, di fatto esautorato dall'ufficio operazioni. Il colonnello Bencivenga, capo della segreteria particolare, aveva più potere di tanti generali; tutto dipendeva dal Capo che era un accentratore ed aveva una visione di comando ottocentesca. Tuttavia, nel caso specifico, l'esonero di Brusati sembra del tutto motivato, caso mai si potrebbe invece sottolineare Asiago: le rovine della chiesa. MCRR 101 F. Martini, Diario 1914 – 1918, a cura di G. De Rosa, Milano, Mondadori, 1966, p. 704. 76 Asiago: la piazza. MCRR Settore degli Altipiani: una nostra autocolonna. MCRR perché un generale così inadeguato sia stato posto al comando di un'armata. Di questo doveva essere chiamato a rispondere Cadorna. Ai primi di giugno furono esonerati anche il comandante dell'artiglieria della 1ª armata, generale Marciani, e il comandante del genio, Mirandoli. Il loro siluramento, secondo la lettera del Comando supremo, fu causato dai primi insuccessi nella difesa degli altipiani. A sua difesa Mirandoli sostenne che, secondo il regolamento del servizio in guerra, il ruolo da lui ricoperto era di semplice consulenza e di indirizzo tecnico, spettando invece ai singoli comandanti di grandi unità il Comando delle truppe del genio delle divisioni102. Questo era vero, ma che tipo di consulenza doveva dare il generale del Genio? Di lasciare perdere le opera di difesa campale? Nella lettera inviata dal Comando supremo all'Ispettore generale del Genio, con la quale Mirandoli veniva collocato a riposo, si fa chiarezza. Il generale era stato rimosso dal suo incarico per manifesta incapacità. Peccato che nello stesso documento non si sia chiesto conto a chi aveva collocato un incapace in un incarico così delicato. Il 7 giugno 1918, Cadorna inviò al Presidente del Consiglio Orlando una relazione con cui rispondeva al verbale di una Commissione che indagava sui generali esonerati. La commissione, presieduta dal generale Mazza, per ciò che riguardò Brusati propose l'annullamento del decreto con il quale era stato collocato a riposo. Cadorna ribadì il suo pensiero senza muoversi di un millimetro circa il mancato apprestamento delle difese. Per quanto riguarda invece puntate offensive esse dovevano essere attuate «solo nell'ambito tattico ma subordinatamente alla condizione che l'attività offensiva mirasse ad un reale miglioramento della situazione difensiva»103; di questa ultima condizione che era fondamentale, non tenne mai conto il generale Brusati nell'ulteriore sviluppo delle operazioni. Questo fu il suo errore originario ed è bene stabilirlo subito»104. Riguardo alla sistemazione difensiva, il generalissimo sostenne che i mezzi a disposizione dell'esercito agli inizi della guerra erano forse scarsi ma quelli assegnati all'armata erano comunque stati impiegati male. Entrando nel merito dei sistemi difensivi, egli parlò delle inefficienze da lui riscontrate in Val Sugana e Val Lagarina, aggiungendo che nella seconda linea dell'altipiano di Asiago, i cui lavori di costruzione iniziarono a partire dall'estate 1915, nel maggio 1916 gli apprestamenti difensivi esistevano solo a livello di pochi e brevi elementi a cavallo delle strade. Anche questa omissione ebbe gravissi102 A.MI., memoriale, cit., p. 1. 103 L. Cadorna, Pagine, cit., p. 126. 104 Ibidem. 79 Settore degli Altipiani: un mezzo italiano mimetizzato. MCRR me ripercussioni sull'esito della battaglia.il generalissimo ricordava anche le conclusioni dell'inchiesta fatta dal successore di Brusati, Pecori Giraldi, circa gli avvenimenti del maggio – giugno 1916. Secondo la relazione l'abbandono dell'importante posizione di Bocchetta Portule fu causata «dall'aver voluto conciliare il compito essenzialmente difensivo della 1ª armata con un concetto di applicazione prevalentemente aggressivo, sproporzionato ai mezzi disponibili in uomini e materiali. Da ciò una tendenza sempre più spiccata a portarsi sotto alle fortificazioni principali del nemico, in posizioni non sempre forti per natura ed incapaci a sostenere l'urto avversario; a confondere la funzione delle linee avanzate con quelle di resistenza, per il pregiudizio di carattere morale di non cedere un palmo di terreno conquistato; a far convergere sforzi e speranze sulla sola prima linea, svalutando coi fatti, se non nelle intenzioni, le linee arretrate sulle quali si aveva fede di non doversi ridurre»105. Riguardo alla resistenza delle linee difensive, il generale Pecori Giraldi ritenne che «la rottura della fronte fu facilitata al nemico dal differente grado di resistenza delle linee avanzate rispetto a quelle principali di difesa e soprattutto dalla diversità di importanza loro assegnata»106.Un'altra imputazione che il Capo di Stato Maggiore mosse a Brusati era la sua poca mobilità delle truppe sul terreno di combattimento. La Commissione raccolse testimonianze di generali esonerati, Carbone, Angeli e Angelozzi, rimosso dal Comando del genio del V corpo dopo la perdita del Portule. Tali testimonianze erano a favore di Brusati perché – secondo i generali - le sue colpe non riguardavano l'entità dei lavori eseguiti, nel qual caso sarebbe stata valida l'attenuante della scarsità di mezzi, ma la quantità di essi. Il fatto stesso che fossero stati compiuti dei lavori, equivaleva a dire che i mezzi a disposizione non mancavano. Riguardo alla scarsità di truppe, Cadorna sosteneva che era vero che alcuni reparti dal settore della 1ª armata erano stati spostati sul fronte dell'Isonzo ma le fortificazioni con le truppe a disposizione potevano bastare. Comunque, in caso di un'offensiva, Cadorna assicurò a Brusati il trasporto di rinforzi per la difesa. Questo, in realtà, si verificò perché, a partire dai primi giorni dell'aprile, vennero trasferite nel fronte dell'armata due divisioni e tre brigate. Analizzando la resistenza delle linee difensive, solamente gli apprestamenti in Valsugana tennero botta perché il terreno ben si prestava alla difesa. Cadorna, per dimostrare la sua corretta azione di comando, sostenne che la resistenza si era svolta «sulle linee da me ordinate alla fine di aprile e secondo le direttive da me impartite al generale Etna»107. All'accusa che gli fu mossa circa la sua Settore degli Altipiani: un medio calibro in batteria. MCRR 105 Guglielmo Pecori Giraldi, l'archivio, a cura di M. Passarin, Vicenza, Museo del Risorgimento e della Resistenza, 1990, p. 129. 106 Ivi, p. 132. 107 L. Cadorna, Pagine, cit., p. 130. 80 Settore degli Altipiani: baraccamenti italiani. MCRR incredulità su una possibile offensiva austriaca, egli rispose che non aveva mai ignorato tale ipotesi, ma l'aveva considerata poco probabile. Secondo lui l'Austria avrebbe utilizzato la maggior parte delle proprie forze in Galizia lasciando sguarnito il fronte con l'Italia. Concludendo la sua testimonianza Cadorna ribadiva che l'esonero di Brusati fu dovuto alla visita al fronte della 1ª armata, la quale: «oltre ad avermi dato occasione di constatare la mancata comprensione da parte del generale Brusati del mandato strategico assegnato all'armata ed i molto gravi errori che egli aveva commesso nell'organizzazione difensiva della fronte, mi aveva fatto persuaso che la sua azione di comando che era stato così manchevole in passato e che anche in quei giorni si informava ad un sistematico decentramento, non dava nessun affidamento di poter fronteggiare gli avvenimenti che stavansi preparando»108. Dopo la pubblicazione del libro La guerra alla fronte italiana di Cadorna e Uomini e folle di guerra di Angelo Gatti109, già storico del Comando supremo, Brusati iniziò un rapporto epistolare con un suo ex subordinato, il generale Antonio Dal Fabbro110, comandante durante il conflitto del genio della 15ª divisione e dello sbarramento Brenta - Cismon, del V corpo d'armata. Nella lettera del 23 gennaio 1922, Dal Fabbro, in risposta ad una precedente lettera di Brusati nella quale si dibatteva di alcune questioni che riguardavano la sistemazione difensiva del territorio del V corpo d'armata, notava che «vi era la batteria in caverna a M. Cengio ed appostamenti nel tratto tra Lemerle e C. Eckar – ricordo una poderosa batteria a M. Spomerk ed altre ancora. Non è vera l'affermazione che non si fosse fatto niente per l'acqua potabile perché venne costruito un acquedotto che prendeva l'acqua a Ronchi di Gallio e la portava lungo la linea. Quelli che lasciavano molto a desiderare perché a larghissimi intervalli errano gli elementi trincea – brevissimi, coperti, del primo periodo di guerra con deboli e brevi reticolati a intervalli. Tale organizzazione ben lungi dall'avere la consistenza delle difese che contemporaneamente si facevano sulle prime linee. Sta però il fatto che anche quelle poche trincee non erano conosciute e poche di esse vennero, al momento del bisogno, occupate, - e ritengo che l'intera linea non fosse né conosciuta né apprezzata dai Comandi che avrebbero dovuto occuparla. – Altrimenti non si spiegherebbe l'abbandono di C. Portule – Bocchetta di Portule – M. Meatta111.» 108 Ivi, p. 135. 109 C. Farinella, Angelo Gatti, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, vol. 52, 1999, pp. 554 – Settore degli altipiani. Riparazione di un cavo telefonico. MCRR 557; L. Mascheroni, Angelo Gatti. L'uomo, lo scrittore, Ceschina, Milano, 1958; Provincia di Asti, Atti della giornata di studi su Angelo Gatti, I quaderni, Provincia di Asti, 1999. 110 L. Malatesta, Il generale Antonio Dal Fabbro e la ricostruzione militare nella provincia di Belluno, in Dolomiti, n. 12, Belluno, 2003, pp. 7 – 26.; L. Malatesta, L'opera del genio militare e la ricostruzione della provincia di Belluno dopo la grande guerra, in Protagonisti, n. 87, Cleup, Padova, 2005, pp. 34 – 75. 111 Archivio Dal Fabbro (A.D.F.), lettera del generale Dal Fabbro al generale Brusati, Belluno, 23 83 Un'altra critica, su cui il generale bellunese, dibatté nella lettera, riguardava un'affermazione del colonnello Gatti apparsa nel suo libro a pag. 158, dove diceva «la difensiva fu considerata, benché nessuno confessasse, come una meno degna forma transitoria, da abbandonare non appena si potesse. Il compito principale dell'armata, la difesa delle retrovie fino al momento propizio per un'avanzata generale, diventò così tacitamente secondario, e il secondario principale»112. Il parere di Dal Fabbro circa il V corpo d'armata era questo: «era avanzato troppo poco per raggiungere quella linea sulla quale soltanto doveva ritenersi veramente sicuro, perché tale linea non era né poteva essere che quella delle alpi di Fassa. Ritengo che la mancanza d'iniziativa e di decisione, la tema di aver di fronte grandi forze, e dicono pure francamente la paura che uno scacco potesse segnare il loro siluramento abbiano fatto agire i comandanti di divisione della 1ª armata in modo assai impacciato, incerto e timoroso (ho davanti agli occhi le figure, i deboli e le incertezze del comandante della 15ª divisione). Quindi io mi sono formato il concetto che il V corpo e quindi anche la 1ª armata pur ossequente agli ordini del C.S. dando tutte i mezzi che poteva per il rafforzamento delle linee arretrate cercasse, nello stesso tempo, affannosamente di raggiungere quegli obiettivi che nel primo istante si era lasciata fatalmente sfuggire. Così mi spiego l'avanzata in val Sugana nell'agosto, la presa del Salubio, gli attacchi di pieno inverno a Valpiana, la presi di m. Collo, il tentativo di S. Osvaldo ecc. Questi sono i motivi per i quali non ritengo esatto quanto è stato scritto a pag. 158 dal libro del col. Gatti, anche qui c'è esagerazione per difetto di difesa»113. L'avvento del fascismo offrì nuove speranze al comandante della 1ª armata di rientrare nei ranghi, il 3 novembre 1922, Armando Diaz, allora ministro, gli conferì la croce al merito di guerra, sottolineando che si trattava di uno dei primi atti come ministro, poco dopo lo promosse generale d'armata (in posizione ausiliaria). Con la nomina nel novembre 1924 di Cadorna a maresciallo d'Italia significò la definitiva rinuncia a un riesame critico del passato.114 Il caso di Brusati rappresentò solo quello più conosciuto, data la sua notorietà, ma durante il periodo dell'offensiva, giugno – agosto 1916, 28 furono i generali e 75 ufficiali superiori, di cui 37 solo ne mese di luglio rimossi dal comando115. Entrando nel dettaglio, furono silurati due generali d'armata, Brusati e Frugoni, Coardi di Carpenetto Bertotti Briccola e Roffi e gennaio 1922. 112 A. Gatti, Uomini e folle di guerra, Milano, Treves, 1921, p. 158. 113 A.D.F., lettera, cit. 114 G. Rochat, Roberto Brusati, cit., p. 693. 115 P. Pozzato, Condottieri, cit., p. 60. 84 Un incidente sugli Altipiani. MCRR Settore degli Altipiani: un medio calibro in batteria. MCRR Lequio del Comando Truppe Altipiano), 13 di divisione De Chaurand della 35ª, Queirolo della 10ª, i Castagnola della 37ª,116 della 29ª, Angeli della 34ª, Oro dello sbarramento Agno – Assa, Rostagno della 32ª, Schenardi della 49ª, Elia della 25ª, Santangelo della 4ª, Murari Brà della 34ª e 21ª e Lunotti dalla 28ª)117. Le motivazioni variarono dalla grave perdita di prestigio nel caso di Frugoni, alla mancanza di capacità ed energia perché non aveva usato il pugno di ferro verso i suoi subalterni, deferendoli solo al Tribunale militare (Coardi di Carpenetto) oppure carenze di efficienza ed energia, motivazione molto comune. Ci fu anche il caso del generale Murari Brà che nel giro di 20 giorni, venne silurato prima dal Comando della 34ª divisione e poi dalla 21ª, determinandone la fine della sua carriera. In tutto il 1916, furono rimossi due Comandanti d'armata, 6di Corpo, 13 di divisione, 27 di brigata e 56 di reggimento, in totale 104in un anno118.Le motivazioni furono diverse: dalla mancanza di energia e di carattere nella maggior parte dei casi, all'incapacità intellettiva o a quella di non riuscire a mantenere la calma durante l'offensiva..Nel 1917 le cifre aumentarono: 167 esoneri tra Armate, Corpi d'Armata, divisione, brigate e reggimenti, due comandanti d'Armata, 15 di Corpo d'Armata, 21 di divisione, trentanove di brigata e settanta di reggimento119. Si riscontra una notevole discrepanza tra i dati della Commissione d'inchiesta su Caporetto secondo cui durante la gestione Cadorna furono sollevati 217 generali, 255 i colonnelli e 355 fino al grado di capitano, mentre con Diaz furono in complesso solo176120 Il fenomeno dimostrò che nella catena di Comando italiana c'erano dei problemi. Lo Stato Maggiore non aveva fiducia nei suoi sottoposti. Bastava poco, un'azione non riuscita, per togliere dal Comando quell'ufficiale oppure una relazione da parte del superiore (con buone entrature al Comando supremo) con la proposta di giubilazione. Talvolta bastava una semplice inimicizia tra i due. La continua sostituzione ed avvicendamento nei Comandi provocò problemi di coesione nei reparti. Molti ufficiali però videro velocizzata la loro carriera con gli avanzamenti a scelta. Armando Diaz121, classe 1861, allo scoppio del 116 A. Saccoman, Aristocrazia e politica nell'Italia liberale. Fortunato Marazzi militare e deputato (1851 – 1921), Unicopli, Milano, 2000. 117 S. Pelagalli, Silurati eccellenti si difendono. Il fenomeno degli esoneri dal comando di alti ufficiali durante la grande guerra, in Studi Storico Militari 2005, Roma, 2007, cit., pp. 286 – 289. 118 F. Minniti, Carriere spezzate. Cadorna, Diaz e il governo dei quadri (Maggio 1915 – Novembre 1918), in Militarizzazione e nazionalizzazione nella storia d'Italia, a cura di P. Del Negro, N. Labanca, A. Staderini, Unicopli, Milano 2005,, cit., p. 110. 119 Ivi, p. 114. 120 Ivi, p. 128. 121 L. Gratton, Armando Diaz Duca della Vittoria. Da Caporetto a Vittorio Veneto, Bastogi, Foggia, 2001; G. Rochat, Armando Diaz, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Ita- 87 Settore degli Altipiani: rifugi in caverna. MCRR conflitto, era maggior generale allo Stato Maggiore, si ritrovò dopo alcuni brevi periodi di Comando in unità al fronte alla testa dell'Esercito. Enrico Caviglia122, classe 1862, nel 1915 era comandante della brigata Bari, per poi finire il conflitto come Comandante dell'8ª Armata. Pietro Badoglio123, classe 1871, entrato in guerra come tenente colonnello, alla fine della guerra era generale d'armata. Infine la carriera fulminante di Ugo Cavallero124, ufficiale di fanteria, classe 1880, che nel 1918 era il più giovane generale dell'esercito italiano, a soli 38 anni. Non erano i soli ufficiali superiori capaci, ma altri per svariati motivi, videro la loro carriera spezzata. Prendendo come elemento di confronto la cifra di circa 15.000 ufficiali inferiori, 6.300 ufficiali superiori e 513 generali, il fenomeno del siluramento non rappresentò un numero significativo. Sia ben chiaro che la rimozione di ufficiali, guerra durante, non è di per sé da condannare. Nei casi di manifesta incapacità di resistere a grandi pressioni psicologiche o manifesta carenze professionali è del tutto normale che chi ha la massima responsabilità del comando provveda di conseguenza. Questo avvenne anche negli altri eserciti, solo che in Italia forse si esagerò liana, vol. 34, Roma, 1991, pp. 663 – 671. 122 P. P. Cervone, Enrico Caviglia, l'anti Badoglio, Mursia, Milano, 1992; L. Malatesta, Il maresciallo d'Italia Enrico Caviglia in corso di pubblicazione in Storia Militare; G. Rochat, Enrico Caviglia, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 22, Roma, 1979, pp. 97 – 103. 123 P. Pieri, Pietro Badoglio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 5, Roma, 1963, pp. 127 – 137; P. Pieri, G. Rochat, Pietro Badoglio, Utet, Torino, 1974. 124 L. Ceva, Ugo Cavallero, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 22, Roma, 1979, pp. 701 – 704. Uno squarcio delle rovine di Asiago. Collezione Sandonà. 89 I primi giorni dell'offensiva: 15 maggio – 25 maggio Le forze in campo Il 15 maggio 1916, le truppe della 1ª armata erano così dislocate: - 37ª divisione, che copriva la zona dalla sinistra dell'Adige alla sinistra della Vallarsa, con 22 pezzi d'artiglieria di piccolo calibro e 11 di medio calibro. La brigata Taro con il 207° e 208° reggimenti di fanteria e tre battaglioni di Milizia Territoriale. - Il 5° Corpo d'Armata, agli ordini del generale Zoppi, disponeva di 238 pezzi di piccolo calibro, 103 di medio e 30 di grosso calibro e 33 in postazione fissa. Il territorio di competenza del Corpo d'Armata era così dislocato: • Sbarramento Agno – Posina (dalla destra del Leno di Vallarsa alla destra del Leno di Terragnolo), agli ordini del generale Oro con le seguenti truppe: - brigata Roma, 79° e 80° fanteria; - battaglioni alpini Monte Berico e Val Leogra; - 8° e 44° reggimento di Milizia Territoriale (in totale sette battaglioni); • 35ª divisione (dall'altopiano di Folgaria alla sinistra dell'Astico) agli ordini del generale De Chaurand. A disposizione della divisione c'erano le seguenti forze: - brigata Ancona (69° e 70° fanteria); - brigata Cagliari (63° e 64° fanteria); - battaglione alpini Vicenza; - 3 battaglioni di Milizia Territoriale; - 3 battaglioni della Guardia di Finanza. • 34ª divisione (dal ciglio di sinistra della Val d'Astico al ciglio settentrionale dell'altopiano dei Sette Comuni) agli ordini del generale Angeli con le seguenti forze a disposizione: - brigata Ivrea (161° e 162° fanteria); - brigata Salerno (89° e 90° fanteria); - brigata Lambro (205° e 206° fanteria); - battaglione alpini Monte Adamello; - 45°e 46° reggimento Milizia Territoriale (in totale otto battaglioni). Nella zona tra le valli del Brenta e del Cismon operavano le truppe dello Sbarramento Brenta – Cismon agli ordini del generale Etna. - A disposizioni di tale Comando c'erano: - brigata Venezia (83° e 84° fanteria); - brigata Jonio (221° e 223° fanteria); - brigata Siena (31° e 32° fanteria); Rovine di Asiago. Collezione Sandonà. 91 - battaglioni alpini Monrosa, Intra, Feltre, Val Cismon, Monte Pavone e Val Brenta; - 3 battaglioni e mezzo di Milizia Territoriale; - 1 battaglione della Guardia di Finanza; Riassumendo le truppe sopra elencate erano circa 98 battaglioni (60 di fanteria, 10 di alpini, 24 di Milizia Territoriale e quattro della Guardia di Finanza), con circa 75.000 uomini. Oltre alla truppa si contavano 575 pezzi d'artiglieria, dei quali 33 in postazione fissa, inoltre il personale di artiglieria e genio contava all'incirca 145.000 uomini. Le forze do prima linea erano sostenute dalla riserva d'armata con le seguenti truppe: - 9ª divisione di fanteria (dislocata fra Santorso, Schio e Malo, con 462 ufficiali e 16.997 militari), guidata dal generale Gonzaga125 con i seguenti reparti alle sue dipendenze: - brigata Sesia (201° e 202° fanteria); - brigata Novara (153° e 154° fanteria); 5° reggimento artiglieria da campagna, con 24 pezzi di piccolo calibro; - 10ª divisione (dislocata fra Bassano e Primolano, con 416 ufficiali e 15.395 militari), alla guida del generale Queirolo, con le seguenti truppe alle sue dipendenze: - brigata Campania (135° e 136° fanteria); - brigata Volturno (217° e 218° fanteria); L'artiglieria che era composta da 20 pezzi di piccolo calibro, era dalla dirette dipendenze dello Sbarramento Brenta – Cismon. - Gruppo alpini E (dislocato nella zona di Marostica), agli ordini del ge nerale Mozzoni; - Brigata Sicilia (dislocata fra Rezzato e Sabbio Chiese), agli ordini del generale Bloise con il 61° e 62° fanteria con circa 6.000 tra ufficiali e militari; Tenendo conto delle truppe della 1ª linea e quelle dislocate come riserva assommavano in totale a quasi 200.000 uomini con 617 pezzi d'artiglieria.126 Le truppe austroungariche erano raggruppate all'interno del Gruppo di Armate «Arciduca Eugenio», alla guida dell'arcidura medesimo e disponeva delle seguenti forze: • 11ª Armata, agli ordini del generale Viktor Dankl, con i seguenti corpi d'armata: 125 P. Crociani, Maurizio Gonzaga, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 57, Roma, 2002, pp. 830 – 832; L. Garibaldi, Maurizio e Ferrante Gonzaga. Storia di due eroi, Edizioni Ares, Milano, 2006. 126 K. Schneller, 1916, cit., pp. 401 – 404. Asiago: le rovine dell'Hotel «Europa». Collezione Sandonà 93 8° Corpo d'Armata, agli ordini del generale von Viktor Scheuchenstuel, con le divisioni: • 57ª divisione, agli ordini del generale Heinrich Goiginger, con la 6ª brigata da montagna agli ordini del colonnello von Hellebronth (battaglioni 1° del 6° reggimento, 3° del 38° reggimento, 4° del 32° reggimento, 4° del 50° e 4° del 81° reggimento) e la 9° brigata da montagna del colonnello von Hrozny (4° battaglione del 12° reggimento, 3° del 49° reggimento, 3° del 74° reggimento 4° del 84° reggimento e 4° del 87° reggimento); • 59ª divisione, agli ordini del generale Kroupa, con la 10ª brigata da montagna del colonnello von Hranilovic ( 1° battaglione del 48° reggimento, 1° del 62° reggimento, 1° del 90° reggimento, 2° del 92° reggimento, 3° del 1° reggimento Bosno – Erzegovese); • 48ª divisione, agli ordini del feldmaresciallo Gabriel, con l'11ª brigata da montagna del generale Lawrowski (4° battaglione del 3° reggimento, 1° del 10° reggimento, 4° del 20° reggimento, 1° del 21° reggimento, 4° del 77° reggimento e 2° del 100° reggimento). A disposizione del Corpo d'Armata c'erano 158 pezzi d'artiglieria di piccolo calibro, 42 di medio calibro ed infine 16 di grosso calibro e 24 fissi. 20° Corpo d'Armata, agli ordini dell'arciduca Carlo, con le seguenti divisioni: - 3ª divisione, agli ordini del generale von Horsetzky, con la 5ª brigata da montagna del generale Müller (59° reggimento Rainer con cinque battaglioni, 21° reggimento con tre battaglioni e il battaglioni di marcia 10° del 14° reggimento e 10° del 59° reggimento) e la 15ª brigata di fanteria del generale Phleps (14° reggimento von Hessen cinque battaglioni, 50° reggimento, quattro battaglioni); - 8ª divisione, agli ordini del feldmaresciallo von Farini, con la 58ª brigata da montagna del generale von Merten (3° reggimento Kaiserjäger tre battaglione, e 4° reggimento Kaiserjäger 4° battaglione) e la 180° brigata di fanteria (1° reggimento Kaiserjäger su quattro battaglioni, 2° reggimento Kaiserjäger su tre battaglioni). A disposizione del Corpo d'Armata c'erano 156 pezzi d'artiglieria di piccolo calibro, 54 di medio calibro, 20 di grosso calibro e 20 fissi. 3° Corpo d'Armata, agli ordini del feldmaresciallo von Krautwald, con le seguenti divisioni: - 6ª divisione agli ordini del feldmaresciallo Schömburg, con l'11ª brigata da 94 Lo sbarramento di Val Vecchia coi roccioni di Sasso Rosso. montagna del colonnello De Baunfaut (27° reggimento di Graz su tre e poi su quattro battaglioni, 2° reggimento Bosno – Erzegovese su tre battaglioni) e la 12ª brigata da fanteria del generale Müller (17° reggimento su tre battaglioni, battaglioni Feldjäger 7°, 9° e 22°); - 22ª divisione Schützen, agli ordini del generale von Kochanowski, con la 43ª brigata Schützen (3° reggimento Schützen di Graz su tre battaglioni, 26° reggimento Schützen su tre battaglioni) e la 18ª brigata di fanteria del colonnello Laxa (11° reggimento su tre battaglioni, 73° reggimento Egerland su quattro battaglioni); - 28ª divisione agli ordini del feldmaresciallo Schneider, con la 55ª brigata di fanteria (87° reggimento su tre battaglioni e 96° reggimento su tre battaglioni e 24° reggimento Feldjäger); e la 56ª brigata di fanteria, agli ordini del generale Schmid (47° reggimento su quattro battaglioni, 11° reggimento Feldjäger, 4° battaglione del 37° reggimento Schützen). A disposizione del Corpo d'Armata c'erano 198 pezzi di piccolo calibro, 77 di medio calibro, 26 di grosso calibro ed infine 20 fissi. • 3ª Armata del generale Hermann von Kövess von Kövesshaza con i seguenti corpi d'armata: 17° Corpo d'Armata, agli ordini del generale Kritek, con le seguente divisione: - 18ª divisione del generale Stracker, con la 1ª brigata da montagna (1° battaglione del 1° reggimento, 4° del 4° reggimento, 1° del 51° reggimento, 1° del 63° reggimento, 1° del 102° reggimento) e la 13ª brigata da montagna del colonnello von Barza (22° reggimento su tre battaglioni, e il 3° battaglione del 64° reggimento e il 3° battaglione del 4° reggimento Bosno Erzegovese); - 2ª brigata da montagna del colonnello Panzenböck (3° battaglione del 8° reggimento, 2° battaglione del 70° reggimento, 3° del 76° reggimento, 2° del 101° reggimento, 8° Feldjäger Bosno Erzegovese ed otto pezzi); - 8ª brigata da montagna del generale Wossala (4° battaglione del 24° reggimento, 3° del 35° reggimento, 3° del 85° reggimento, 3° del 58° reggimento,5° Feldjäger Bosno Erzegovese, otto pezzi); - 181ª brigata di fanteria agli ordini del generale Kindl ( Streifkomp due, 3° battaglione del 37° reggimento, 164°, 165° e 4° battaglione del 2° reggimento Landsturm, due battaglioni dei Volontari Austria Superiore, Standeschützen Bludenz, Kaltern, Landeck, Meran II, Rattemberg, Rette II, Sterzino e Zillertal); Un teleferica sugli Altipiani. 97 1° Corpo d'Armata agli ordini del generale Karl von Kirchbach, con la seguente divisione: - 10ªdivisione del generale von Mecenseffy, con la 20ª brigata di fanteria del generale Berchtold (18° reggimento su tre battaglioni, 98° reggimento con tre battaglioni e il 12° Feldjäger) e la 21ª brigata di fanteria del generale Nowotny (15° reggimento su quattro battaglioni, 55° reggimento su quattro battaglioni. Il Corpo d'Armata disponeva di 71 pezzi d'artiglieria. 21° Corpo d'Armata agli ordini del feldmaresciallo Lütgendorf con le seguenti divisioni: - divisione Landesschützen agli ordini del generale Englert, con la 88ª brigata Landesschützen del generale von Eckhardt (1° reggimento Landesschützen su tre battaglioni e il 2° reggimento Landesschützen su quattro battaglioni) e la 98ª brigata Landesschützen del colonnello von Sloninka (3° reggimento Landesschützen su tre battaglioni, 2° reggimento Landesschützen su quattro battaglioni); - 44ª divisione Schützen agli ordini del feldmaresciallo Nemeczek, con la 44ª brigata Schützen del colonnello Majewski (1° e 2° reggimento Gebirgsschützen e sei battaglioni e compagnia alpina) e 87ª brigata Schützen del generale Jellenchich (2° reggimento Schützen su tre battaglioni, 21° reggimento Schützen su tre battaglioni). Il Comando di Corpo d'Armata disponeva di 24 pezzi d'artiglieria127. L'inizio delle operazioni Alle ore 6 del mattino del 15 maggio ebbe l'inizio l'azione delle truppe dell'11ª armata dopo un bombardamento preparatorio di tutti i cannoni disponibili per distruggere le difese italiane permanenti ed occasionali. L'azione dell'artiglieria nemica durò tre ore fu molto efficace: le poco solide difese italiane vennero distrutte. Le fanterie austroungariche dopo che il tiro delle artiglierie si era allungato passarono all'azione raggiungendo molto facilmente nell'abitato di Lizzanella nelle vicinanze di Rovereto e riuscendo a salire le prime pendici del monte Zugna con la 6ª brigata da montagna ed un battaglione bosniaco; l'avanzata nemica non potè progredire per la resistenza dei fanti della brigata Taro. Nella vicina Val Terragnolo alle prime luci del giorno fallì un colpo di mano verso il ponte di S. Colombano e nel pomeriggio la 10ª e 18ª brigata da montagna austriaca tentarono di avanzare nella valle senza riuscirvi, incontrando forte resistenza da parte del gruppo Porta, formato dai 127 E. Acerbi, Strafexpedition, cit., 381 – 383. 98 Asiago: la statua della Beata Bonomo. MCRR fanti della brigata Roma e dagli alpini. Il maggior sforzo offensivo delle truppe austroungariche fu ad opera del XX Corpo d'Armata, che dopo un terrificante bombardamento delle posizioni italiane dell'altipiano di Tonezza e dei Fiorentini, conquistò le posizioni di Costa Agra e Monte Coston, catturando anche circa 1.500 prigionieri italiani. Sull'altipiano di Asiago il 15 maggio, le fanterie austroungariche rimasero ferme, lasciando spazio al tiro dei grossi calibri per distruggesse sia le opere permanenti che i trinceramenti italiani. Nel settore Valsugana ci furono piccole azioni da parte di alcune compagnie della 181ª brigata in direzione della dorsale del monte Armentera. Al termine della prima giornata di battaglia, così il Tenente Colonnello Schneller annotò nel suo diario: Stazione di Primolano. Transitano i prigionieri austriaci. Alle ore 10,30 giunse da Bolzano una comunicazione sugli avvenimenti in atto: conforme a quanto disposto, alle ore 6 è iniziato il fuoco di artiglieria su tutto il fronte dell'11ª Armata. Presso l'VIII corpo reparti di avanguardia della 59ª divisione già durante la notte avevano tentato di occupare di sorpresa alcune posizioni nemiche in Val Terragnolo, però incontrandovi la più accanita resistenza. Presso il XX corpo, sempre durante la notte, nostre pattuglie distruggevano i reticolati delle antistanti posizioni nemiche, senza subire perdite. A mezzogiorno perviene una seconda comunicazione che informa su quanto verificatosi fino alle ore 10,30: l'ala destra dell'VIII corpo (57ª divisione) sembra avanzare molto bene. Essa è penetrata in Lizzanella, conquistando le posizioni italiane presso il poligono di tiro a sud di Marsilli; l'ala sinistra del corpo è giunta fino a Pergheri e Sengheri. Presso il XX corpo il tiro distruttivo è iniziato alle ore 9, sembra con buoni risultati. Con il secondo e il terzo colpo il nostro cannone da 350 mm ha centrato Asiago. Le azioni dimostrative ordinate alla 10ª e alla 5ª Armata hanno risentito del tempo particolarmente presso la prima; tuttavia le armate si sono date da fare, soprattutto la 5ª. Tutto il fronte è stato sottoposto al fuoco dell'artiglieria, qui è là divenuto tambureggiante. Frequentemente riusciti i colpi di mano da parte delle pattuglie, con distruzione di reticolati nemici. […]. A sera pervengono due comunicazioni in base alle quali si può farsi una chiara idea di quanto accaduto fino alle ore 18 all'incirca. L'VIII corpo ha proceduto bene con la sua ala destra: a sud di Rovereto l'intero settore Castel Dante – Sich è caduto in nostre mani. In val Terragnolo la resistenza è più dura, poiché il nemico si mantiene saldamente in numerosi capisaldi. Il XX corpo ha occupato la Costa d'Agra e si è spinto sulle pendici di Monte Coston e del Soglio d'Aspio: Scillar e Sali im Hughes mi riferiscono che gli italiani sono stati colti completamente di sorpresa e definiscono spaventoso il fuoco della nostra artiglieria128. Da parte italiana il Sottocapo di Stato Maggiore della 1ª armata, il generale Albricci scrisse nel diario storico della grande unità il 15 maggio: Ieri l'avversario ha eseguito tiri di artiglieria e di fucileria in quasi tutta la fronte, con più notevole intensità su Castel Dante usando anche bocce da 305. Sulle sue retrovie poi si notano rimarchevoli movimenti di truppa, carri e materiali. S'inizia quindi in parte volontariamente ed in parte imposto, il nostro ripiegamento dalle posizioni avanzate più precarie. Oggi la pressione nemica è venuta a mano a mano sempre più accentuandosi con forti concentramenti di violentissimo fuoco d'artiglieria di tutti i calibri, seguiti anche in parte 128 Ivi, pp. 143 – 144. Carriaggi in sosta di fronte alla stazione di Primolano. 101 da attacchi di fanteria su punti determinati. Ciò fa ormai ritenere che questi siano i prodomi dell'offensiva nemica preannunciata, […].129 Interessanti risultarono le osservazioni in merito circa la tattica nemica: Il metodo usato è quello di battere intensamente con tutti i calibri una determinata zona e poi far eseguire immediatamente l'attacco delle fanterie in formazioni dense. Alcuni nostri reparti non hanno potuto resistere all'urto, altri sembra non l'abbiano atteso (battaglione al M. Maronia): ma nel complesso, pur tenendo nel debito conto un certo senso di sorpresa che nella truppa non può a mezzo di essersi prodotto nel veder pronunciare un simile violento attacco, la resistenza fatta è stata buona e le perdite inflitte al nemico certamente rilevanti. Anche le nostre però devono essere sensibili tanto in uomini quanto in materiali specialmente in bocche da fuoco su postazione fissa dovute abbandonare dopo averle inutilizzate»130. L'avanzata nemica in quei primi giorni non incontrò seri ostacoli, dato che le nuove posizioni della 35ª divisione nella zona di Tonezza – Fiorentini erano alquanto instabili e difficilmente difendibili, ma non solo in quel settore le cose non andavano bene. In Val Lagarina truppe nemiche raggiungono il paese di Marco e puntano direttamente allo Zugna. Un primo successo dal punto di vista strategico fu l'occupazione del Col Santo e di altre posizioni, sul massiccio del Pasubio il 19 maggio, Nei primi cinque giorni di battaglia, la situazione da parte italiana è alquanto difficile: il 19 maggio i resti della 35ª divisione scendono dalla montagna per raggiungere Arsiero e la val Posina, dopo aver perso quasi tutta l'artiglieria, 61 pezzi in parte guasti, 33 mitragliatrici, 6.800 prigionieri131. In sostanza già nei primi giorni di guerra «dall'Adige all'Astico la fronte è crollata e dietro il vasto naufragio si levano come scogli Coni Zugna, il Pasubio, il Cimone: i nostri battaglioni si aggrappano a questi monti dove sono imperniati le fortune d'Italia»132. Il 19 giunsero dal settore isontino le prime truppe di rinforzo: la brigata Bisagno che si schiera fra monte Cimone e monte Aralta, e la Sele che si posiziona tra il monte Aralta e i Forni Alti, e anche le batterie del 31° reggimento artiglieria da campagna. Cadorna fa un rapido sopralluogo e si rende conto della delicatezza della situazione. Il generale chiese subito alla Stato Maggiore Russo e a quello Francese di attaccare i settori tenuti dagli austro – ungarici in modo di alleggerire la pressione in Trentino. Il generale Joffre, che di guai ne aveva di suo, gli rispose che data la superiorità di truppe che l'esercito italiano dispone, ce la farà lo stesso ad arrestare l'avanzata nemica in Trentino anche senza l'aiuto dei francesi. La stazione di Asiago. MCRR 129 A.U.S.S.M.E., fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B – 1, diario storico della 1ª armata, 15 maggio 1916. 130 Ibidem. 131 Ibidem. 132 Ivi, p. 213. 102 Truppe italiane in movimento nel settore degli Altipiani. MCRR «Per i Francesi, la forza degli Italiani consiste nella volontà di combattere il nemico, ma soprattutto,, nella fiducia che il Comando Supremo sarebbe in grado di infondere ai vari livelli dell'esercito. Se le autorità militari italiane trasmettono ai subordinati la certezza che gli Austro – Ungarici saranno respinti, allora i Russi avranno il tempo di prepararsi alacremente e porre in atto i piani concordati a Chantilly. Il memorandum preparato per la riunione del 31 maggio 1916, fra il Comandante in Capo francese, generale Joffre, ed il comandante delle forze britanniche in Francia, da un'importanza relativa agli avvenimenti sul fronte italiano.Il Gran Quartier Generale francese ritiene che se la situazione nel Trentino non peggiora più di tanto, le decisioni prese a Chantilly possano essere confermate. A suo vedere, l'esercito italiano deve sforzarsi di arrestare al più presto l'avanzata austriaca»133. Altipiano di Asiago. Cani da traino in Valle Canaglia MCRR A partire dal giorno 20 maggio le truppe del III Corpo austriaco partendo dalla piana di Vezzena, sfondarono le prime linee, dove era attestata la 34ª divisione. A questo punto dell'offensiva il generale Dankl ordinò che raggiunta la linea Cima Posta – Pian delle Fugazze – Passo della Borcola – Monte Maggio – Altopiano di Tonezza, l'azione doveva abbattere la terza linea italiana. Il III Corpo che fino ad allora era rimasto fermo nella zona di Lavarone e il 20° che era attestato nella zona Tonezza – Monte Majo e la destra del VII Corpo d'Armata dovevano avanzare per raggiungere la zona Passo della Borcola – Pian delle Fugazze mentre il XXI doveva puntare lungo la dorsale dei Coni Zugna fino a Cima Levante. debole, si potevano effettuare dei colpi di mano con dei reparti numericamente piccoli per potar scompiglio nella sistemazione difensiva italiana. Già nei giorni precedenti al 20 maggio, il nemico aveva iniziato a bombardare la linea italiana nella piana di Vezzena, però vennero respinti dal fuoco delle artiglierie nella zona di Millegrobe. Nella notte tra il 20 e il 21 maggio fu costituita la 5ª Armata. La nuova grande unità, raggruppava tutte le forze di riserva, doveva formarsi e radunarsi nella zona tra Padova, Vicenza e Cittadella, zone facilmente raggiungibili tramite strade e ferrovie. Gli attacchi austroungarici nel settore della brigata Ivrea riuscirono a sfondare la linea italian in più punti pur cozzando contro una strenua resistenza. All'una di notte del 22 maggio, il Comando della 34ª divisione ordinò alla brigata Ivrea di ripiegare per appostarsi in una nuova posizione ritenuta più difendibile, la linea Camporovere – Canove sinistra dell'Assa. Il 23 maggio ci fu un avvenimento importante non solo per l'offensiva austriaca ma anche per la successiva battaglia dell'Ortigara, la perdita da parte italiana di Bocchetta Portule. La perdita della posizione fu assai grave poiché consentiva il controllo di tutto l'altipiano di Asiago fino alla conca centrale. L'operazione venne effettuata dal 3° reggimento Schützen, che partendo direttamente dal fondo 133 A. Bicer, Il Gran Quartier Generale francese e l'offensiva austriaca del maggio – giugno 1916, in 1916, cit., p. 189. 105 Altopiano di Asiago. Punto di raccolta feriti. MCRR della Valsugana sorprese il presidio italiano, formato da truppe della Milizia Territoriale del 82° battaglione che nulla poterono fare contro delle truppe avversarie addestrate per combattere in montagna. Il diario storico della 1ª armata riporta sinteticamente: «è stata abbandonata Cima Portule. Sono stati emanati ordini perché sia rioccupata tale posizione nonché il Monte Interrotto, Coston, Monte Erio, Monte Verena e Cima Undici»134. Perché tali episodi non si ripetessero più Cadorna raccomandava a Lequio che poteva prendere tutte le misure disciplinare anche quelle più estreme come l'immediata fucilazione nel caso ci fossero stati altri episodi di debole resistenza agli attacchi nemici. Questa raccomandazione non era la prima che giungeva da parte dello Stato Maggiore: il 22 maggio il diario storico dell'armata così annotò: «S.E. avverte i Comandanti in sottordine che da varie parti gli giungevano notizie dalle quali risulta che mentre la condotta di molti dei nostri reparti è encomiabile, da parte di altri sono stati commessi ingiustificabili atti di debolezza, poiché posizioni fortissime sono state abbandonate senza ordini, pezzi distrutti senza necessità, numerosi materiali abbandonati e che ciò deve assolutamente cessare, facendo presente agli ufficiali la gravità dell'ora, ricordando anche loro che Patria e Dovere militare esigono ogni sacrificio, pena l'ignomina e lo sprezzo di tutte le nazioni. Invita quindi a parlare alle truppe dei loro doveri e a mostrare coi fatti che cosa si può esigere da loro e come si possano sforzare anche i pochi riottosi, applicando in caso di bisogno inesorabilmente i previsti mezzi di rigore».135 All'interno dell'esercito la coesione, secondo le informazioni raccolte da Cadorna, non era più molto forte e quindi per evitare spiacevoli episodi che per prima cosa avrebbero nuociuto all'esercito ed anche all'immagine della forza armata rispetto agli alleati bisognava essere duri. Dopo la lettera del 26 maggio, all'interno dell'armata venne aperta la caccia ai responsabili della perdita del Portule partendo dagli ufficiali inferiori, quelli in prima linea. Il primo ad essere sottoposto a giudizio fu il maggiore Carlo Gleyeses, comandante del II battaglione del 206° fanteria. L'ufficiale, accusato di aver abbandonato del posto di combattimento, venne destituito dal comando e denunciato al tribunale militare del XIV Corpo d'Armata. Nell'atto di accusa si legge: «Gleyeses aveva abbandonato le posizioni di Bocchetta e Cima Portule senza combattere al solo annunzio dell'avvicinarsi di reparti nemici . 2. Egli aveva dato l'ordine di ritirata anche a truppe non da lui dipendenti, ingenerando il panico nei reparti retrostanti»136. Tuttavia grazie alla deposizione del nuovo comandante della brigata Lambro, il colonnello Francesco Saverio Grazioli137 e ad una nuova relazione del generale Roffi, che in pratica smentiva se stesso, il maggiore fu assolto. Dall'analisi del fascicolo processuale emerse che il battaglione si era ritirato per ordine del Comando di brigata dalla linea Cima Mandriolo – Cima Larici oramai non più difendibile alle nuove posizioni tra Cima Portule e la Bocchetta. Il battaglione dopo aver strenuamente difese le posizioni per tre giorni contro l'urto offensivo nemico, stremato, aveva raggiuntola nuova posizione di Cima Portule che però era presidiata saldamente dal nemico. Per tutta la giornata la corrispondenza tra Gleyeses e Roffi fu inerente alla richiesta da parte del maggiore di cartucce, viveri e rinforzi dato che la situazione ogni ora che passava si faceva sempre più difficile. Dalle ore 18.50 il battaglione rimase senza nessun aiuto ed isolato dato che i tentativi di mettersi in contatto col comando di reggimento furono vani. Durante la notte l'unità iniziò l'operazione di ripiegamento. Alle ore 4 del mattino del 24 maggio il capitano Cotonesi della 7ª compagnia incontrò il generale Roffi e da lui interpellato sul motivo della ritirata del suo battaglione gli consegnò l'ordine firmato dal maggiore Gleyeses. Letto l'ordine del maggiore, Roffi denunciò Gleyeses per abbandono di posizione in faccia al nemico. Il 31 agosto 1916, lo Stato Maggiore inviò una lettera nella quale si ordinava al Comando della 1ª armata di compiere l'inchiesta tenendo conto dei seguenti punti: «responsabilità sull'abbandono della Bocchetta di Portule; responsabilità sull'inefficiente organizzazione delle linee difensive; responsabilità di comando (sino ai corpi d'armata) sulle operazioni di maggio e giugno».138 Nel dicembre 1916, dopo mesi di lavoro, non si disponeva di dati certi in merito alla perdita della Bocchetta di Portule e all'abbandono dei forti Casa Ratti e Cornolò, di cui parleremo successivamente. Per la perdita della Bocchetta di Portule, i due ufficiali incaricati dell'inchiesta arrivarono alle seguenti conclusioni: a)= erroneo apprezzamento dell'importanza, del valore difensivo e della praticabilità del tratto di cresta di confine fra Cima Portule e Cima Dodici; e mancanza assoluta su di esso di ogni lavoro e di ogni ostacolo artificiale atto a impedire quelle infiltrazioni nemiche che compromisero ed annullarono la naturale forza di resistenza della posizione del contrafforte di Portule; b)= insufficiente sistemazione difensiva del contrafforte del Portule, dalla cima omonima 134 A.U.S.S.M.E., fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B – 1, diario storico della 1ª armata, 23 maggio 1916. 135 Ivi, 22 maggio 1916. 136 E. Acerbi, L'offensiva, cit., p. 35. 137 N. Labanca, Francesco Saverio Grazioli, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'En- 106 107 ciclopedia Italiana, vol. 58, Roma, 2002; L. E. Longo, Francesco Saverio Grazioli, Roma, 1989. 138 E. Acerbi, L'offensiva, p. 30. a monte Meatta. c)= invio tardo ed inadeguato = per numero e per qualità = di forze a presidio tanto del costone del Portule quanto della linea di cresta di Cima Portule – Cima Dodici.139 Dalle conclusioni dell'inchiesta parevano evidenti le colpe dei generale Brusati e Zoppi, comandante del V Corpo d'Armata, per non aver approntato in modo efficiente la terza linea difensiva sull'altopiano di Asiago. Più dei comandanti delle grandi unità in linea, secondo l'inchiesta, responsabili erano anche i comandanti del genio della 1ª Armata e del V Corpo d'Armata, generali Mirandoli e Angelozzi ed anche il comandante della 34ª divisione Angeli. Insomma non si salvava nessuno. Al generale Angelozzi responsabile della sistemazione difensiva proprio della zona del Portule, venne imputato di non aver eseguito gli ordini provenienti dal Comando dell'armata, ordini che stabilivano di rafforzare la 3ª linea difensiva. Le responsabilità per il generale Mirandoli, secondo l'inchiesta erano più gravi, dato che egli non era una figura di poco conto, egli aveva commesso il grave errore di considerare la posizione della Bocchetta di Portule di poca importanza. In un memoriale il generale Mirandoli, nel dicembre 1917, dopo esser stato collocato a riposo, così si espresse sulla linea difensiva di Asiago: «Circa questa linea giovami qui ricordare: 1°) – che il Comando Supremo ne tracciò i punti principali e stabilì che fosse costituita come una muraglia capace di resistere a qualunque attacco! 2) – che il progetto fu dato a studiare il V Corpo che ne incaricò il Generale De Chaurand Felice: Della esecuzione dei lavori poi fu incaricato il Generale Angelozzi – 3°) – che alla fine dell'estate, segnalato dallo scrivente e da altri il lento procedere dei lavori, fu ordinato dal Comando d'Armata un'inchiesta che venne affidata dal detto Comando a quello del V Corpo il quale né incarico il predetto Generale De Chaurand –4°) – che la relazione di questo Generale trasmessa dal Comando del V Corpo al Comando dell'Armata giustificava in complesso l'opera del Generale Angelozzi e conseguentemente io proposi al Comando di Armata di accogliere le conclusioni della relazione stimolando l'accelleramento dei lavori –5°) – che al momento dell'attacco la linea di Asiago costituita da trincee coperte a tratti in cemento, batterie blindate robustamente, ed in caverna per medi calibri, appostamenti per artiglierie campali, strada di arroccamento completa e coperta si stendeva dal Cengio (Astico) a Cima Eckar secondo il tracciato del Comando Supremo e ripiegava poi a nord del contrafforte del Portule ove era appoggiata (come al Cengio) alla batteria della Bocchetta in caverna per canoni di medio calibro e poi a corpi di guardia difensivi presso la cresta principale. – E si aggiunga che sul davanti di questa linea un'altra linea fu costruita da Cima Campolongo per l'Erio e fino all'Assa costituita da Capisaldi per fanterie e di trincee: linea al momento dell'offensiva austriaca quasi completa ed utilizzabile sebbene la neve ne avesse impedito il rafforzamento, come la mancanza di filo di ferro aveva impedito di dare in alcuni punti la necessaria profondità ai reticolati con insistenza ed ansiosamente segnalata al Comando Supremo, al Ministero che avevano requisito tutto il ferro d'Italia – e fino quello Svizzero che alla 1ª Armata fu sequestrato in Dogana – Come i legnami del resto!»140. L'ultimo colpevole individuato, secondo questa prima parte dell'inchiesta, fu il generale Angeli, ritenuto responsabile di non aver fatto nulla per rallentare l'avanzata nemica e di non aver inviato truppe di rinforzo a Cima Portule. Oltre ai tre generali, tutti e tre destituiti dal Comando proprio per non aver approntato le necessarie misure per la saldezza della linea difensiva, l'inchiesta si interessò anche dell'operato del generale Roffi, del Colonnello Cottone, del maggiore Gigli, comandante dell'82° battaglione di Milizia Territoriale, del capitano Guidelli, comandante della batteria appostata sulla Bocchetta ed infine del tenente De Franceschini, comandante del plotone esploratori del 206° fanteria. In due promemoria inviati dal Comando della 1ª Armata al Comando Supremo, il primo il 17 dicembre ed il secondo il 9 aprile 1917, risultò che il maggior responsabile della poca resistenza delle truppe italiane al Portule era stata dovuta all'azione del Colonnello Cottone, il quale però non poteva esser interrogato dato che era stato catturato dagli austriaci, mentre per il capitano Gigli, reo di non aver difeso adeguatamente il costone del Portule, scattò il collocamento in congedo. Infine, per il capitano Guidelli e per il tenente De Franceschini nessuna punizione poiché dimostrarono di aver assolto il loro compito. Dopo la perdita della Bocchetta di Portule, le cose continuarono a peggiorare Sull'Altipiano di Asiago: il 24, come già visto, le truppe italiane cercarono di rioccupare Cima e la Bocchetta di Portule senza riuscirvi. Nel corso del giorno successivo, 25 maggio, le truppe della 44ª divisione austriaca partendo dal fondo della val Lagarina attaccarono la cresta di monte Zugna, con l'obiettivo di giungere nella pianura vicentina nelle vicinanze di Schio. Nella Vallarsa le truppe austroungariche durante la giornata continuarono l'azione di attacco cozzando contro la strenua resistenza delle truppe della 37ª divisione collegate con quelle del V Corpo. Verso le ore 13 una colonna di sei battaglioni agli ordini del generale Müller della 3ª divisione iniziò l'attacco per conquistare monte Cimone, trovando una forte resistenza da parte delle truppe alpine. Nella sottostante valle dell'Astico, le truppe del XX Corpo occuparono il paese di S. Pietro Valdastico. Sull'Altipiano di Asiago, oltre all'azione di riconquista di Cima e Bocchetta Portule, il Comando Truppe Altipiano cercò di raccogliere le forze ancora disponibili per approntare una nuova linea difensiva. Il generale Lequio nel corso della giornata inviò nella zona di monte Mosciagh due battaglioni della brigata Catanzaro, mentre il 140 A.MI, memoriale, cit., pp. 5 – 6. 139 Ivi, p. 31. 108 109 grosso del reparto si attestò nella linea Monte Zebio – Val di Nos – Val Campomulo; il 14° reggimento bersaglieri si stanziò nella piana di Marcesina. In Valsugana. Nel frattempo un battaglione nemico giunse a Cima Undici e Dodici e si spinse verso malga Le Pozze per cercare di creare una rottura tra le truppe stanziate nell'altopiano e quelle in Valsugana. Nel pomeriggio il generale Kövess avvertì il Comando del III Corpo che era nelle sue intenzioni riprendere l'avanzata verso il centro dell'altipiano ed occupare Asiago. L'idea di avanzare proveniva dall'Arciduca Eugenio, il quale era impaziente di raggiungere la pianura vicentina identificata con le città di Thiene e Bassano. Oltre ad avanzare sull'Altipiano dei Sette Comuni, la marcia doveva procedere anche nella valle dell'Astico con la 3ª armata, applicando un concetto caro al generale Krauss, sfondare per valle e non in montagna. Krauss era dell'avviso che l'operazione verso il Cengio non avrebbe comportato molti problemi, mentre perplesso era Dankl, il quale vedeva non pochi intoppi sia sullo sfondamento in valle che la conquista delle montagne che dominavano la vallata. Lo sfondamento in val d'Astico e le inchieste sull'abbandono dei forti Casa Ratti e Cornolò La valle dell'Astico fin dai primi giorni dell'offensiva era presidiata da truppe italiane, ma l'avanzata delle forze austriache sul sovrastante altipiano di Tonezza e dei Fiorentini procedeva velocemente. Nella valle dell'Astico operava un Gruppo misto, Guardia di Finanza battaglioni 5°, 9° e 17°. Il Gruppo si trovava in zona dall'estate del 1915 prima solo con il 5° battaglione alle dipendenze del 71° reggimento poi nel settore della Vallarsa dal settembre all'ottobre 1915, si aggiunse il 9° battaglione in val d'Astico. I battaglioni della Guardia di Finanza durante il primo periodo del conflitto, erano impiegati come delle normali truppe di fanteria. Il 1° maggio in rinforzo venne assegnato anche il 17° dislocato a Scogli di Sirocoli e a Casotto Basso141. In rinforzo ai tre battaglioni un battaglione di alpini Il compito assegnato al Gruppo misto era limitato a funzioni di collegamento, oltre che a contrastare eventuali infiltrazioni di pattuglie nemiche. Dopo il primo sfondamento sull'Altipiano di Tonezza, nella notte del 19 maggio giunse l'ordine per il ripiegamento: Il comando della 9ª divisione ordina che situazione dolorosa impone che le truppe alla mia dipendenza seguano il ripiegamento delle altre della divisione, le quali nella notte occuperanno la linea Colle Tarbisa – Cucuzzolo Sud Est di Valle, disponendo che dopo sfruttate con successive tenaci resistenza le linee apprestate a difesa a settentrione di Valpegara le truppe da me dipendenti si stabiliscono in Regione Soglio, occupando con due battaglioni il costone che da Cima Paile si protende al Cucuzzolo 681 cercando collegamento a sinistra con truppe della brigata Novara al colle Tarbisa, e tenendo cogli altri elementi a mia disposizione il fondo valle ed il pendio di riva sinistra Astico in direzione di quota 828. I movimenti devono avvenire con calma, ordine e silenzio. Per la celere esecuzione ho dato preavviso telefonico ai comandi e reparti interessati prescrivendo l'inizio del trasporto dei pezzi dal Cimone e il ripiegamento a scaglioni dalla sinistra nel seguente ordine: Il 9° battaglione durante il ripiegamento dovrà lasciare posti di osservazione sulla Marogna, dovrà sfruttare le difese di Maso di Guiotto e quindi prendere posizione sul costone di Cima Portule a sud ovest del cucuzzolo 621 rafforzandovisi. Il 17° battaglione dai Siracoli ripiglierà sul cucuzzolo 621 dove farà subito rafforzamento. Lascerà a Scogli Siracoli il plotone esploratori a suo sostegno, il quale ripiegherà poi coi reparti del 9° battaglione di Maso di Guiotto. Il 5° battaglione inizierà il ripiegamento coi reparti di seconda linea di Belfiore – Cogolani su Forni Ceratti – pendici di quota 828, sfruttando le trincee di Fodotti dove vi terrà una compagnia. I reparti di prima linea della colletta 1150 – di Forcella – Costone 700 e Casetta 625 manderanno indietro i materiali e ripiegheranno sulla seconda linea, mantenendo posti avanzati sulla prima, proseguendo poi il ripiegamento sulla sinistra Astico nella sera del 19 per tenere collegamento con la 34ª Divisione, la quale lascia reparto a testata Val Bisabella fino a detta notte 19. Il comando 141 S. Laria, Le fiamme gialle d'Italia nei fasti di guerra e del patriottismo italiano, vol. 2, Editore Luigi Alfieri, Roma, 1930, pp. 76 – 77. 110 111 del 5° rimane con le due compagnie di 1ª linea di sinistra Astico per regolare i movimenti. A disposizione di detto Comando rimane il sottotenente ASTALLI con il suo drappello per guastare la teleferica. Le Batterie 3° da campagna e 528 ripiegheranno a sud di Soglio scegliendovi posizione per battere la confluenza Val Torra – Astico. I due plotoni del genio ripieganti da Montepiano e Valle Pozze col 9° battaglione passeranno rispettivamente di scorta alla 3ª batteria e l'altra 528.I plotoni del genio ripieganti col 5° battaglione da Cogolani e costone 700 saranno alla dipendenza di detto Comando di Battaglione sai per lavori che per impiego tattico. Le presidiari 13ª e 20ª ripiegheranno rispettivamente a Forni e Setterà in riserva.Magazzino viveri e infermieria si trasferiranno a Forni.»142. Il giorno successivo, 20 maggio verso le ore 14, gli austriaci iniziarono un attacco contro le linee italiane di Valpegara che durò cinque ore, ma due compagnie del 9° riuscirono a respingere le truppe nemiche. Il capitano La Ferla, Comandante della 53ª compagnia così relazionò sul combattimento di Valpegara: «Ieri mi trovavo con la mia compagnia nelle trincee di Valpegara (destra Astico). Verso le ore 12 mi accorsi che pattuglie avversarie si aggiravano sulla nostra fronte e sulla nostra sinistra. Inviai due pattuglie per osservare e riferire, e nello stesso tempo inviai venti uomini a rinforzare l'ala sinistra comandati dal sottotenente Signor De Montis. Le pattuglie nemiche, scambiate poche fucilate, si dileguarono. Dopo qualche ora furono attaccati da reparti nemici che si avanzavano dagli scogli di Siracoli (nostra sinistra). Rispondemmo efficacemente al fuoco costringendo il nemico a fermarsi, sebbene si trovasse in forze e munito di una sezione mitragliatrici e di bombe a mano. Intanto da S. Pietro (nostra destra) scendevano grossi nuclei nemici e iniziavano l'attacco contro di noi. Disposi gli uomini per sostenere l'attacco sulla destra. Delle vere raffiche di piombo battevano da tutti i lati la trincea; le munizioni cominciavano a scarseggiare; inviai subito quattro guardie a Valpegara per il rifornimento delle cartucce. Due di esse, però lungo il tragitto furono ferite. Mi decisi allora a chiedere rinforzo al Comando di battaglione onde evitare l'accerchiamento già iniziato dal nemico. A mezzo del brigadiere Silvestri ricevetti l'ordine di ripiegare su Soglio. Intanto che dalla sinistra il nemico veniva arrestato col fuoco, cominciai dalla destra a mandare gli uomini a gruppi con incarico di riordinarsi dietro Valpegara. Poco dopo mandai l'ordine ai tenenti Romano e De Montis di ripiegare a piccoli gruppi, continuando i rimanenti uomini a contrastare col fuoco l'avanzata del nemico. Così, in perfetto ordine con perdite non molto gravi, dopo cinque ore di fuoco e dopo avere inflitto al nemico delle perdite non indifferenti, mi ritirai con la Compagnia su Soglio, da dove, riordinatola, mi portai subito sul costone di quota 621 onde proteggere la strada. Le perdite furono di due morti, sedici feriti e un disperso».143 L'ordine di ripiegamento, prevedeva che il battaglione utilizzando la rotabile Castelletto – Pedescala dovesse raggiungere nel più breve tempo possibile la nuova linea difensiva che si basava sullo sbarramento di Barcarola, mentre gli altri due battaglioni, il 9° e il 17°, dovevano ritirarsi seguendo il 5° battaglione. L'azione di ripiegamento fu eseguita senza difficoltà, ma le unità giunsero nella zona di Barcarola alle 1.30 di notte, non trovarono i reparti italiani che dovevano proteggere la ritirata. A quel punto il 5° battaglione non poté ripiegare senza protezione e rimase fermo fino al mattino del 21. Il compito del battaglione era molto importante in quanto collegava, tramite il sottosettore della 34ª divisione dislocato a Castelletto – Rotzo, la valle dell'Astico con l'altipiano di Asiago. Gli altri due battaglioni, il 9° e il 17°, non ricevettero alcun ordine dal Comando di Gruppo e rimasero nelle loro posizioni, che invece dovevano essere già abbandonate perché considerate troppo avanzate rispetto alla nuova linea difensiva italiana. Il Colonnello Sante Laria della Guardia di Finanza, così commentò il momento di smarrimento ed indecisione all'interno dei Comandi italiani: «Noi ci rendiamo conto delle difficoltà di quella situazione e comprendiamo senza sforzo che mille circostanze, anche banali, potevano produrre, come produssero infatti, l'inconveniente a tutti i recapiti. Ma dobbiamo lealmente osservare che il tenente colonnello Caio, degli alpini, comandante del nostro gruppo, aveva il dovere preciso ed inderogabile di assicurarsi che ordini di quell'importanza fossero giunti a destinazione. Venendo meno a questo dovere elementare, egli rispose buona parte del suo gruppo ad un disastro, che fu evitato dall'iniziativa dei comandi dipendenti e in maggior misura, dal favore della fortuna».144 Il 21 maggio nel diario del 5° battaglione si legge: «Si giunge allo sbarramento di Barcarola all'alba ed ivi si rimane in attesa d'ordine. Alle ore 9 il battaglione va ad occupare con tre compagnie la Valle Calcara; la 14ª compagnia di riserva col comando di battaglione alla Caserma di Sfigno, alcune pattuglie su Forni e Pedescala per riconoscere il nemico. Verso le ore 17 il nemico lancia quattro proiettili da 381 sullo sbarramento del Forte Ratti, uccidendo due ufficiali e vari militari del 9° battaglione: del 5° resta ucciso maresciallo Guanta, feriti tre e impauriti altri tre. Durante la giornata nessuna altra novità. L'ordine superiore è di resistere ad oltranza»145. Più dettagliata risulta la narrazione nel diario del 9° battaglione: «Mentre si stata sistemando la vigilanza giunge un sergente esploratori del 153° incaricato di riferire tutti i posti di collegamento del reggimento stesso. Apprendo da lui che il 153° ha lasciato la Tarbisa e si è radunato a Tonezza pronto per lasciare l'Altopiano. Mi reco personalmente a Tonezza dopo aver ordinato al Capitano Signor Guidetti di tener la truppa pronta per rimettersi in marcia non appena ne avesse mandato l'ordine A Tonezza trovo soltanto una parte del 153° (forse un battaglione dal cui comandante Maggiore Monfeurio io apprendo che il resto del reggimento era l'ultima unità ancora sull'altipiano e che stava 142 Museo Storico della Guardia di Finanza (M.G.D.F.), archivio storico, carteggio del 5° battaglione, ordine di ripiegamento, s.l., 19 maggio 1916. 144 Ivi, p. 82. 145 M.S.G.D.F., archivio storico, diario storico del 5° battaglione, 21 maggio 1916. 143 S. Laria, Le fiamme, cit., pp. 413 – 414. 112 113 essa pure partendo «Non so altro e me ne vado aggiunse: ed ordino alla truppa di mettersi in marcia». Intuendo che fosse stato ordinato un ripiegamento generale e che forse per l'incalzare del nemico non fosse stato possibile far giungere fino a me la comunicazione relativa, mandai l'ordine alla mia truppa di raggiungermi a Tonezza ed ai reparti distesi lungo il cordone di ritirarsi su Barcarola. Mentre sto attendendo la truppa sopraggiungono reparti di fucileria provenienti dalla strada di Barcarola dai quali apprendo che essendosi fatte brillare le mine delle interruzioni stradali non si poteva discendere da quella parte. Lascio degli indicatori ai vari crocivi con l'ordine di far dirigere i sopraggiungenti reparti verso il Riofreddo e mi reco verso questa parte per vedere se il transito era possibile. Ho suggerito presto la retroguardia del 153° in marcia essa pure pel Riofreddo. Compresi che da quella parte la via doveva esser libera e mi fermai per attendere la mia truppa con la quale nel massimo ordine prosegui per Arsiero. Quivi giunto avevo notato che tutte le truppe che vi affluiscono proseguivano la marcia per Velo e Seghe dopo aver collocata all'addiaccio la mia truppa ad est del paese andai al Comando di Truppa per sentire quali ordini vi erano per le truppe che ripiegavano. Nessun ordine era stato dato. Poco dopo avendo appreso che la 26ª Compagnia si trovava allo sbarramento di Barcarola mi recai colà ove dal capitano Capobianco, comandante della Compagnia stesa ho appreso dalla bella condotta tenuta da suoi uomini durante il ripiegamento sotto il fuoco nemico e che nessuna perdita si è avuta a lamentare. Intanto essendo sopraggiunto il Comandante del Gruppo l'ho ragguagliato su quanto era avvenuto compreso del ripiegamento ordinato di mia iniziativa e dell'impossibilità di cui mi son trovato di ripiegare per Barcarola essendo stata fatta saltare la strada. Ho approntato ogni cosa lasciando capire che la mina delle interruzioni stradali erano state fatte brillare avanti tempo e che lui stesso mi aveva mandato l'ordine di ripiegamento. Non mi ha saputo però dire a mezzo di chi. Mi ha ordinato di portar avanti le truppe che avevo lasciato ad Arsiero. Trasferitomi in quest'ultima località fui dal Sottotenente Medico del battaglione avvertito che dato lo stato di stanchezza in cui tutti ufficiali e truppa si trovavano era impossibile riprendere la marcia se prima non si fossero riparati.Ne ho subito avvertito il Comando del Gruppo pregando s'inviasse il direttore del servizio sanitario pel controllo. Intanto poiché dalle artiglierie leggere nemiche postate nei pressi di Castelletto incominciavano a giungere degli Shrapnels ho fatto spostare la truppa addonsandola alle pendici del Cimone. Poco dopo giunse sul posto il signor Comandante della brigata «Bisogno» il quale dopo messo in corrente di questo si era fatto ed approvato ogni cosa ho ordinato si rimanesse dove si era fino a suo nuovo ordine. Avendogli fatto presente che l'intenzione del Comandante del Gruppo era che appena fossimo in grado di portelo fare ci portassimo verso Barcarola, tagliò corto con le parole: «Io comando lei ed anche il suo comandante del gruppo: resti qui, e faccia conoscere al Tenente Colonnello Caio che le ho fato quest'ordine. Ritornato più tardi a Barcarola ho comunicato quanto sopra al Comandante del Gruppo dal quale venni autorizzato a pernottare ad Arsiero. Ritornato ad Arsiero disponeva per il servizio di sicurezza, mi giunge la notizia che dei proiettili di diverso calibro scoppiarono sullo sbarramento di Barcarola avevano ucciso il Tenente Pellegrino, il Sottotenente De Longis, un conducente e feriti altri militari. Ho subito inviato in rinforzo alla 26ª di squadre della 27ª al comando del Sottotenente Canal. La notte passa senz'altre novità».146 Singolare che il Comandante del battaglione sia venuto a conoscenza de146 Ivi, diario storico del 9° battaglione, 21 maggio 1916. 114 gli ordini di ritirata, che al suo comando non erano giunti, lasciando nel più completo abbandono il reparto. La situazione nel settore di competenza del 17° battaglione è così descritta: «Mentre si prendevano gli accordi e si studiava il modo di rafforzare ancor più le linee delle piccole guardie, erano circa le due di notte, un caporale di fanteria comandante di una piccola guardi che serviva di collegamento con la brigata Novara, venne ad annunciare che rientrava con cinque propri uomini in compagnia perché tutta la Brigata ripiegava per la strada di Tonezza. Col Comandante del 9° Battaglione quello del 17° si recò a Tonezza e quivi effettivamente si constatò che la fanteria ripiegava. Fu vista allora della critica situazione in cui venivano a trovarsi i nostri battaglioni scoperti ai fianchi e completamente isolati, di propria iniziativa i due Comandanti decisero il ripiegamento che, per il 17° Battaglione, si iniziò solo verso le 4, date le posizioni che occupavano. Il ripiegamento avvenne in perfetto ordine, benché fatto di giorno e sotto il tiro d'artiglieria nemica. A Tonezza avendo trovata la strada per Barcarola interrotta per il brillamento di mine, si discese per Arsiero, ove si giunse col battaglione verso le ore 11 del giorno 21 e alle ore 15 ½ circa si prese nuovamente posizione presso lo sbarramento di Barcarola».147 Al termine della giornata le truppe della Guardia di Finanza erano stanziate nelle nuove posizioni nelle vicinanze dell'abitato di Arsiero, mentre giungevano dall'altipiano altre truppe in ritirata. In appoggio al Gruppo misto a partire dal 21 maggio fu inviato il 1° battaglione del 209° reggimento della brigata Bisagno. La restante parte del reggimento era accantonata a Velo d'Astico mentre le salmerie erano ancora più lontane a Piovene Rocchette. Il giorno successivo, 22 maggio, fu di relativa calma anche se il pericolo da parte austroungarica era sempre presente. Così il diario del 5° battaglione: «Fin dalle prime ore del mattino pattuglie nemiche provenienti dall'altipiano di Tonezza e dalla alta valle dell'Astico; arrivano fino a Pedescala. Nel pomeriggio pattuglie austriache piazzate nei pressi della Braciola tirano sulla nostra linea ferendo due nostre guardie. Vengono tirati proiettili di grosso calibro anche nei due forti di Casa Ratti e Corbin. Alle ore 14 un plotone della 15ª Compagnia va verso Punta Corbin per prendere collegamento con la brigata Granatieri. Il Comando di Battaglione si spostò dalle casermette a Val Canaglia con la compagnia di riserva».148 L'azione di disturbo da parte delle truppe avversarie era continuo ed il pericolo di un accerchiamento sempre impellente dato che oramai il sovrastante altipiano di Tonezza, era in mano al nemico e nella valle dell'Astico le forze avversarie erano sempre in movimento. Situazione analoga era per il 9° battaglione: «Dislocazione: la 26ª e due squadre della 27ª tra Casa Ratti e Barcarola ed il resto del 147 Ivi, archivio storico, diario storico del 17° battaglione, 21 maggio 1916. 148 Ivi, archivio storico, diario storico del 5° battaglione, 22 magio 1916. 115 battaglione, col comando sotto le pendici del Cimone a nord est di Arsiero. Appena albeggia vien presente la rivista per vedere di quali materiali accessori occorre provvedere per sistemare alla meglio le dotazioni. Rilevato che buona parte della truppa manca dell'equipaggiamento, che molti militari avevano perduto le armi, che dalla Sezione mitragliatrici Maxim non erano rimasti che i treppiedi ed un'arma incompleta, che la Sezione Fiat aveva perso un bidone ne ho data partecipazione al Comando del Gruppo proponendo si faccia temporaneamente passare in seconda linea il battaglione per dargli modo di riorganizzarsi e rifarsi moralmente. L'ho in risposta di portarmi a Ca' Mugara con allusione ad un ordine precedente che io non ho ricevuto, forse non si riferisce a quello avuto prima del mio colloquio con il Signor Comandante della brigata Bisagno. Alle 14 ½ muovo colla truppa e mi trasferivo a Ca' Mugara. La marcia si compie a piccoli gruppi per ragioni di sicurezza. Alle 19 ½ giungo sul posto designato e ne avverto il Comando del Gruppo dal quale ricevo poi verbalmente l'ordine di andare col occupare le alture di Scalini e Ca' Fonderia. Mando un plotone della 28ª a Ca'Tartara ed il rimanente della Compagnia stessa su ripiani retrostanti. La 27ª occupa una trincea in costruzione tra Scalini ed il Magazzino Militare. Appena imbrunì si dà sepoltura alle salme del Tenente Pellegrino del Sottotenente De Longis ed al conducente morti la sera precedente».149 Rispetto alla situazione del 5° battaglione, quella del 9° era difficile, visto che oltre alla mancanza di armi e munizioni, affiorava la stanchezza sia fisica che psichica della truppa, fattore molto importante per resistere all'urto offensivo che prima o poi ci sarebbe stato. Oltre a ciò, sempre il comandante del 9° battaglione lamentò che alcuni ordini non gli erano prevenuti dal Comando del Gruppo misto, inefficienza che l'ufficiale aveva riscontrato anche nei giorni precedenti. Nel settore tenuto dal 17° la situazione era più calma: Il battaglione con le compagnie 52ª e 54ª e Sezione Mitragliatrici continua ad essere all'addiaccio in riserva della prima linea a Ca' Mugara. La 53ª con il plotone di prima linea a Tezze. Il Comando è alle Casermette del forte (Casa) Ratti. Verso le ore 23 il nemico pronunciava un attacco di fucileria e lancio di bombe verso lo sbarramento. È prontamente respinto. Nessuna perdita da parte nostra150. Il Comando del settore Cimone – Astico fu assegnato al generale Mazzoni del gruppo alpino, il quale dispose affinché i suoi uomini raggiunsero le nuove posizioni. La riorganizzazione non riguardò anche i tre battaglioni di finanzieri. Dal diario del 5°: «Alle ore 4 i Comandi di Compagnia segnalano l'ammassamento di truppe nemiche a Forni, Setterà e a Pedescala: i forti di Ca' Ratti e Corbin bombardano subito detti abitati. Alle ore otto il capitano Tegardi fa presente al gruppo, che contrariamente all'ordine di ieri non ha ancora preso posto, a protezione dell'ala destra, il battaglione alpini annunziato. Nulla venne disposto in conseguenza: Vengono invece inviate diverse pattuglie 149 Ivi, archivio storico, diario storico del 9° battaglione, 22 maggio 1916. 150 Ivi, archivio storico, diario storico del 17° battaglione, 22 maggio 1916. 116 in ricognizione che incontrano una pattuglia nemica di quattro uomini: ne uccidono tre e feriscono il quarto; li trasportano entro le nostre linee. Tre granate da 381 mm cadute sullo sbarramento ed altre granate di medio calibro non arrecano perdite. Si passa alle dipendenze del settore Fondo Astico – Posina (tenente generale Gonzaga, comandante 9ª divisione); sottosettore Fondo Astico – Cimone (maggior generale Mozzoni)».151 La nuova linea di difesa approntata, su posizioni di fortuna, partiva dalla sinistra dalla batteria di Casa Ratti, fortificazione che era ancora armata e pronta all'azione bellica anche se presidiata da pochi militari, poteva svolgere il compito di sbarramento, questo in teoria, ma in pratica, come vedremo più avanti, non era utile alla difesa. La linea correva tra Barcarola e Pedescala; dall'altra parte della vallata, cioè a sinistra la linea dopo aver attraversato il corso dell'Astico, risaliva l'erto pendio di Cima Arde, mentre il vicino forte di Punta Corbin era disarmato e inservibile. Oltre alle truppe della Finanza, in zona c'era la 110ª compagnia del battaglione alpini Matajur che operava nelle vicinanze di forte Punta Corbin per controllare eventuali incursioni nemiche provenienti dalla sottostante Pedescala. L'altro battaglione alpino, il Mercantour era a presidio della cima di Costa del Vento. Il tenente Amleto Albertazzi, comandante di una delle Sezioni Mitragliatrici del 209° reggimento della Bisagno così vedeva la situazione: «La nostra situazione non è delle più rosee. Siamo distesi a larghi intervalli senza trincea e senza appostamenti. Non un filo di reticolato che possa trattenere anche per pochi istanti gli avversari. Ma non di questo mi preoccupo, bensì del fatto che devo fare la spola da un appostamento all'altro, perché i fanti poco pratici di mitragliatrici, al più semplice inceppamento, potrebbero arrestare il fuoco delle armi (…)»152. La testimonianza di Albertazzi, confermò sostanzialmente quanto scritto nei diari dei tre battaglioni della Finanza anche perché l'ufficiale si trovava in posizione Torre Alta proprio di fronte al Casa Ratti. Il giorno dopo «Un forte nucleo si porta a Casotto, a saccheggiare quell'abitato; nostre pattuglie si pongono allo sbocco di Val d'Assa per ostacolare la avanzata ma costrette a ritirarsi verso le ore 15 per l'intenso fuoco di artiglieria aperto sulle nostre posizioni. Nostre perdite: un morto e quattro feriti153. Situazione non molto diversa da quella del 5° era quella del 9°: 151 Ivi, archivio storico, diario storico del 5° battaglione, 23 maggio 1916. 152 F. Capone, G. Bellò, Ajo! «E andammo all'assalto», Edizioni Musei all'Aperto, Reprolongo, Bassano del Grappa, 2005, cit., p. 94. 153 M.S.G.D.F., archivio storico, diario storico del 5° battaglione, 24 maggio 1916. 117 «Durante la nottata ci sono avuti frequenti proiettili di artiglieria nemica sulla nostra posizione senza danni però. Alle tre circa mi giunge notizia due compagnie di Alpini giungevano in rinforzo: danno il cambio alla 27ª ed alla 26ª le quali dovranno tenersi pronte ad accorrere in prima linea.Poco dopo giungono le due compagnie Alpine e tutto si svolge ma secondo gli ordini recenti.»154. Il diario del 17° battaglione, anche per il 24 maggio risulta laconico e povero di informazioni; così parlò di quella giornata: «Dislocazione come il giorno precedente. Verso le ore 8 il nemico attacca in forze la nostra linea con vivo fuoco di fucileria. È respinto subito senza perdite da parte nostra»155. Alle ore 23 in un ordine da parte del Comando di settore si legge: I – Di ridurre l'occupazione dello sbarramento a un semplice posto di osservazione, composto prevalentemente di bombardieri; II – Il Battaglione Alpini Mercantour protegga il proprio fianco sinistro contro le provenienze di Costa del Veneto: ritirandosi, lo farò per Tezze, Tartura e Grumella, donde opporrà ancora valida resistenza; III – La 110ª Compagnia Alpini (Battaglione Matajur) prenda posizione sulle sperone sotto punta Corbin, in modo da battere le provenienze da Pedescala; ritirandosi, seguirà la mulattiera di Costa del Pià. Raccomando inoltre la resistenza ad oltranza ed a qualunque costo. Il Maggiore Tommasi va al comando del XVII Battaglione; il comando del V è assunto interinalmente dal Capitano Saccani.156 La giornata fu di assestamento anche se la pressione nemica a fondovalle aumentava continuamente con bombardamenti che resero le precarie posizioni italiane indifendibili. Tale opinione è confermata dall'analisi dei diari del 5° e 17° battaglione della Finanza. Fin dall'alba si nota movimento nemico in fondo valle e sui due versanti verso Tonezza e Rotzo ove vengono piazzate batterie leggere. Alle ore 4 il nemico inizia il bombardamento delle nostre posizioni con grossi proiettili e termina nell'imbrunire: abbiamo quattro feriti. Terminata l'azione delle artiglierie, grosse colonne nemiche provenienti da Forni e da Setterà tentano di sfondare le nostre linee, ma vengono prontamente respinte: il combattimento dura circa un'ora. Verso sera è notato forte movimento di truppe nemiche nelle vicinanze di Tonezza e Forni.157 Con la perdita del sovrastante monte Cimone anche la linea occupata dalla brigata Bisagno risultava inutile. La battaglia si metteva male, le infiltrazioni 154 155 156 157 S. Laria, Le fiamme, cit., pp. 414 – 415. Ibidem. Ibidem. M.S.G.D.F., archivio storico, diario storico del 5° battaglione, 25 maggio 1916. 118 nemiche diventavano veri e propri cunei nelle nostre linee. Ritirarsi senza venir catturati era la cosa più importante. Il 26 il Comando della Bisagno decise il ripiegamento: «Essendo dopo strenua resistenza, caduta la difesa di Monte Cimone, si rende necessario il graduale ripiegamento delle difese di Valle Posina e di Val d'Astico per ridursi sulla forte linea in via di organizzazione dove sarà poi fatta la difesa ad oltranza. Per dare tempo di compiere le operazioni di sgombero dei materiali d'artiglieria che tuttora si trovano nelle due valli si impone di tener fermo ancora per le giornate di oggi e di domani sulle posizioni di sbarramento delle due valli. Gli elementi delle truppe alpine che ancora si mantengono sul redentore rendono più agevole il compito. Dispongo: 1°) Sulle posizioni Cornolò – San Rocco le truppe continuano a restare nell'attuale posizione e terranno le posizioni loro affidate finché sarà necessario tenerli. Il Comandante del 209° Reggimento si guarderà in modo speciale il fianco destro verso Monte Cimone. 2°) Il 210° Reggimento (2 battaglioni) continua ad rafforzare la linea Colletto – Velo d'Astico dove sono destinati a rimanere a lungo in posizione avanzata dopo che la brigata avrà preso posizione nella linea di confine definitiva. 3°) La batteria del 29° e la batteria 87 B resteranno in posizione col 209° Reggimento e ne seguiranno le sorti. 4°) Prima dell'alba un Battaglione del 153° Reggimento verrà a sostituire sul tratto Velo d'Astico – Seghe il Battaglione del 210° trasferitosi a Meda. 5°) Secondo gli ordini direttamente impartiti, un Battaglione del 210°, le due compagnie del genio, tre gruppi mitragliatrici venuti a rinforzo verranno trasferiti a Meda durante la notte, a Cogollo le compagnie del genio. 6°) Il Comando del 209° prenderò tutte le predisposizioni perché siano a suo tempo fatte saltare tempestivamente le mine non appena né sarà dato l'ordine».158 Nel settore di val d'Astico la situazione si fece molto grave: le truppe nemiche erano ormai vicine , oltre ad avanzare dal fondo valle potevano scendere dal sovrastante altipiano di Tonezza. Non diverso fu quello che successe agli altri reparti dislocati in fondo val d'Astico. Sintomo del clima di confusione si nota nel comportamento del generale Gonzaga, che pur non conoscendo la reale situazione nella quale si trovarono i reparti della Finanza; prima ordinò la fucilazione per i militari perché avevano abbandonato le posizioni senza combattere per poi, in un secondo momento, tributargli delle onorificenze per il loro comportamento. A quel punto per raccogliere informazioni sull'avvenimento vennero chieste delle relazioni ai Comandanti dei battaglioni. Il 31 maggio, il Comando del 17° battaglione inviò una relazione molto simile alla precedente al Comando generale del corpo a Roma, però con degli spunti critici verso l'operato dei Comandi. Il Comandante del battaglione, maggiore Tommasi, evidenziava che: «i due battaglioni dislocati sulla destra e sinistra Astico difendevano il fondo valle, mentre le alture (Costa del Vento e Monte Cimone) – (Corbin – Cima Arde) erano difese da alpini 158 F. Capone, G. Bellò, Ajò!, cit., pp. 106 – 108. 119 La «Strafexpedition» del maggio.giugno 1916 120 e granatieri. L'azione dei reparti di fondo valle era subordinata alla resistenza delle alture: cadute le ali, ai battaglioni di fondo valle era subordinata alla resistenza delle alture: cadute le ali, ai battaglioni di fondo valle, stretti sul fronte, sul fianco e sul rovescio non rimaneva che farsi uccidere tutti con una inutile resistenza o farsi fare prigionieri.Tutto questo era previsto: si sapeva che la nostra situazione era delle più critiche: ma l'ordine ricevuto era quello di resistere ad oltranza e i battaglioni stettero sempre fermi nelle loro posizioni».159 Pur con le tardive scuse e la riabilitazione da parte del generale Gonzaga, il morale dei finanzieri era basso e l'ignominia della fuga dei reparti delle fiamme gialle non era stata cancellata. Il 26 maggio, vennero arrestati due finanzieri Contini e Coluzzi , rei di aver perso la strada durante la burrascosa ritirata ed accusati di sbandamento e di fuga alla presenza del nemico. Sottoposti al giudizio del Tribunale del V Corpo, furono giudicati non colpevoli il 27 maggio. Nella sentenza è scritto: «Il giorno 26 maggio 1913, mentre il loro reparto era impegnato in fondo Val d'Astico a contenere un'offensiva nemica; fuggivano dal loro posto di combattimento e venivano poi fermati da due granatieri in altre località.In esito all'odierno dibattimento, letti gli atti, sentito il teste, e gli accusati che, col loro difensore, hanno avuti per ultimi la parola; Ritenute che l'imputazione ascritta alle guardie di Finanza Contini e Coluzzi appartenenti del 5° battaglione sotto la giurisdizione della 9ª Divisione di fanteria al quale le guardie stesse erano stato inviate a mezzo di due Carabinieri d'ordine del Comando della Brigata Granatieri di Sardegna; perché incontrate sole presso Campiello da un Ufficiale di detta Brigata, il Maggiore Comandante del 2° Battaglione del 2° Reggimento, mentre entrambe andavano alla ricerca del loro reparto, dal quale si pensò che avessero dovuto sbandarsi. Ritenuto che con pubblica udienza dalle concordi deposizioni degli Ufficiali Comandanti rispettivamente ed il 5° Battaglione Regia Guardia di Finanza e le compagnie cui il Contini ed il Coluzzi appartengono, è risultato che quei reparti furono impegnati in un'azione di combattimento di breve durata durante la notte dal 25 al 26 corrente, senza che avesse a verificarsi alcun sbandamento da parte della truppa: che nelle prime ore del mattino del 26 dall'autorità Superiore venne ordinato al Comandante del 5° Battaglione suddetto di ripiegare con tutte le truppe dipendenti sulle trincee di Seghe di Velo d'Astico: le truppe erano distanti da dette località di concentramento perché impegnate in fondo Val d'Astico: tuttavia; giuste le istruzioni ricevute, il ripiegamento fu iniziato in ordine ed a piccoli gruppi. Se non che, giunte al ponte sull'Astico che bisognava traversare, i ripieganti furono sorpresi da un fuoco micidiale di sbarramento di mitragliatrici austriache. Fu allora dato l'ordine alle guardie di inerpicarsi su pel declivio scosceso della riva destra, passando a guado di torrente e, in caso, di dispersione, di riunirsi sulle indicate trincee di Seghe. Ritenuto che in seguito, tanto che alcuni guardie, come ha attestato il Capitano Stornino Guido, furono travolte dalla corrente; altre molte ne risalirono il corso per passarlo più facilmente; disgregati i reparti non era più possibili ai singoli di seguire, ritrovando, la via iniziale del ripiegamento,e i testi hanno dimostrato che numerosi gruppi, continuando a poggiare sulla destra per le accidentalità frequenti del terreno, puntarono addirittura su Campiello: tra questi ci furono il Contini ed il Coluzzi e in quella località furono incontrati dal Maggiore del 2° Battaglione Granatieri, mentre cercavano riunirsi alle proprie Compagnie sull'indicato punto di riconcentramento. Giova osservare che tale versione, emersa dalle testimonianze orali, trova anche conferma nel rapporto in atti del detto Signor Maggiore, il quale dichiara che durante la giornata del 26, dopo l'arresto degli attuali imputati, «passarono altri gruppi di guardie di finanza, formati anche in regolari drappelli, che confermarono lo sbandamento dei rispettivi battaglioni. Che tale essendo le circostanze di fatto emerse dal pubblico dibattimento è evidente non possa ricorrere l'applicazione dell'art. 92 a carico dei prevenuti: essi tennero durante l'azione, il loro posto di combattimento, ma si dispersero come tanti e tanti altri compagni, in seguito alla confusione determinata come si è visto, dalla necessità di ripararsi dalla sorpresa del fuoco nemico. Tale fatto, provocato dall'ordine dato di abbandonare l'iniziativa di ripiegamento, ordine di cui il Collegio, ignorando l'esatta posizione dei luoghi, non potrebbe valutare l'opportunità e che per altro com'è chiamato a giudicare, non va certo imputato al Coluzzi ed al Contini, la cui dispersione fu conseguenza inevitabile dell'ordine stesso. Per questi motivi Visti gli articoli 92, 485, 486 del Codice Penale per l'Esercito DICHIARA Che le guardie di finanza Contini Alberto e Coluzzi Ettore non sono colpevoli del reato ascritto e PRONUNCIA Non farsi luogo a procedimento contro di essi ordinando che vengono messi in libertà qualora non detenuti per altra causa».160 Dal dibattimento processuale era emerso che il comportamento dei due imputati non era stato diverso da altri loro commilitoni che nel caos della precipitosa ritirata dalla val d'Astico avevano perso l'orientamento. Lo sbandamento era dovuto agli ordini quanto mai bizzarri dei Comandi Superiori. In una relazione successiva, resa dal Maggiore Giuliano, aiutante maggiore del 1° Gruppo di Battaglioni in Val d'Astico vengono respinte al mittente le accuse di poca combattività dei finanzieri. In merito alla ritirata burrascosa così scrive il Maggiore: «Iniziare il ripiegamento in pieno giorno con un cielo limpidissimo; scendere dalle alture fiancheggianti l'Astico, sfilando per sentieri angusti in nessun modo protetti alla vista e al tiro del nemico; percorrere in fila il fondo valle rasentando il letto sassoso del fiume, completamente dominato dal nemico con tiri già inquadrati, era azione quanto mai imprudente. Assai meglio sarebbe stato resistere ancora una giornata sulle posizioni, salvo a ripiegare sul cadere della notte; ché minori sarebbero state le perdite in uomini e materiale. 159 M.S.G.D.F., archivio storico, allegati al diario storico del 17° battaglione, relazione del Comandante del battaglione al Comando Generale della Guardia di Finanza, s.l., 31 maggio 1916. 160 M.S.G.D.F., archivio storico, carteggio del 5° battaglione, sentenza del Tribunale militare del 5° Corpo d'Armata riguardante Contini e Coluzzi, Piovene Rocchette, 27 maggio 1916. 122 123 Ma a questa obbiezione orale di un nostro ufficiale – Capitano Riccio Tabassi Antonino – il Colonnello Cajo si limitava a rispondere, nel ritirarsi: «Salvatevi come potete». Ciò non pertanto tutte le disposizioni furono date, tutte le precauzioni furono prese, affinché il ripiegamento avvenisse col consueto ordine. Senonchè, un avverso destino in quel momento ci perseguitava! I battaglioni di finanza, che dovevano essere protetti, furono gli ultimi a ricevere l'ordine di ritirata, e il battaglione Mercantour che fu il primo a ripiegare su Cà Tartura, lasciò scoperta la sinistra dei nostri battaglioni. Così che, quando alle ore sette iniziammo il ripiegamento, fummo attaccati sulla destra in modo così violento che la ritirata risultò oltremodo pericolosa e fatta il più velocemente possibile, come richiedeva la necessità di sottrarci alla stretta nemica e alla conseguente minaccia di cadere tutti prigionieri. Il vivo fuoco di fucileria e le raffiche di mitragliatrici, provenienti da forti nuclei appostati sul fianco della montagna tra Cimone e Costa del Vento, molestarono seriamente i nostri movimenti; ad aggravare la situazione l'attacco si estese anche sul fronte Costa del Vento – Barcarola. Le truppe risposero al fuoco, ripiegando e sfruttando tutte le accidentalità del suolo, e riuscirono così a mantenere aperto lo sbocco della valle, che il nemico stava per chiudere. Al ponte della Pria, per meglio coprirsi dal fuoco di fucileria e mitragliatrici che in quel punto, completamente scoperto e assai angusto, era densissimo, elementi di vari battaglioni, col Comandante del gruppo Colonnello Cajo in testa, passarono dalla destra alla sinistra dell'Astico. Ad essi si accordarono il Comandante del XVII Battaglione e a gruppi intervallati, altri nostri uomini, cui erano frammischiati molti soldati alpini sbandatisi. L'intenso concentramento di fuoco al ponte predetto indusse molti militare a tentare la traversata a nuoto del fiume. Fu in quel momento che si ebbe la perdita di parecchio materiale – di cui ci si fece colpa – perché pur di non esser travolti dalla corrente, essi si liberarono dall'equipaggiamento individuale e qualcuno anche delle armi. Alle ore 13 i nostri battaglioni per ordine verbale del Comandante la 9ª Divisione, si raccolsero a S. Giorgio, donde vennero concentrati al casello ferroviario Leda presso Meda. Nel ripiegamento si ebbero dolorosamente a lamentare delle perdite, che furono: quattro ufficiali e 106 uomini di truppa, dispersi due ufficiali e 24 uomini di truppa feriti».161 Il Maggiore, assolvendo il ruolo della Finanza accusava il Colonnello Caio, il quale non sapendo che fare diede l'ordine verbale di salvarsi in qualche modo, dato che l'importante era di salvare la pelle o non finir catturati dalle vicine truppe nemiche. Dopo l'assoluzione dei due militari; il generale Gonzaga, «riuniti gli ufficiali a rapporto dichiarava che la prima impressione da lui avuta era stata quella che avessimo abbandonato senz'ordine le posizioni affidateci; ma che, in seguito ad un'inchiesta sommaria fatta, avendo assoldato che il ripiegamento era avvenuto in seguito ad ordini precisi, intendeva compensarci in parte del cattivo trattamento fattoci all'arrivo a Meda, lasciandoci a riposo il più lungo possibile – durò tre giorni – e facendoci somministrare per quindici giorni consecutivi la doppia razione di viveri di conforto. Aggiungeva poi che dopo la solenne assolutoria delle due guardie, l'unico appunto che restava a farci in ordine al ripiegamento, era di non aver mandato in testa alla colonna un ufficiale per raccogliere e riordinare sul luogo designato – Seghe di Velo – le truppe a 161 S. Laria, Le fiamme, cit., p. 424. mano a mano che si ritiravano. Avremmo potuto rispondere che primo ufficiale a ritirarsi ed a raggiungere Seghe di Velo, era stato proprio il Comandante di Gruppo. Ma preferisco tacere: l'atto di resipiscenza del Comandante della 9ª Divisione ci parve meritare da parte nostra un atto di generosa riserbo».162 Oltre al settore di val d'Astico, altri reparti delle Fiamme Gialle erano sull'altopiano di Asiago con il 1° Battaglione, anche lì, la ritirata fu alquanto veloce e senza ordine anche in quel caso un ufficiali fu rinviato a giudizio. Si trattava del capitano Squadrani, comandante interinale del Battaglione accusato di non aver fatto nulla per non far sbandare l'unità. Anche in quel caso al termine delle indagini il procedimento fu archiviato. Dopo la «prova poco decorosa» data durante il ripiegamento, i battaglioni delle Fiamme Gialle vennero tolti dal fronte ed impiegati in mansioni di retrovia. Inoltre, i complementi non furono più assegnati alla Finanza ma direttamente a reparti di fanteria. La Guardia di Finanze difese il proprio onore fino all'estremo. Il maggiore Giuliano scrive: «Come conclusione e giustificazione insieme – giacchè sentii accennare ad incapacità dei nostri quadri – mi sia consentito di dire che non si tengono per sei mesi consecutivi, senza rigori disciplinari, truppe in trincea; che non si preparano con esse rapidamente e tecnicamente più linee difensive, se le truppe stesse non sono saldamente nelle mani dei loro ufficiali e se questi non hanno la necessaria perizia. Del resto smentire la presunta incompetenza tattica dei nostri quadri stanno le ripetute lodi rivolte dalla varie Autorità militari – dal Comando Supremo a quello di Gruppo – e i giudizi ultra lusinghieri espressi dal colonnello Cajo in ogni occasione ed anche in sede di revisione dei rapporti informativi dei singoli ufficiali. Del mancato brillamento delle cupole del forte Ratti non si può onestamente far carico alla Guardia di Finanza. Vi era preposto uno speciale reparto del Genio e, se questo al momento del bisogno non si trovò, in tutto o in parte sul posto o, trovandosi, non eseguì quanto era suo compito, ciò non legittima la benché accusa per noi. Della dispersione di ingenti quantità di materiale vario, giova distinguere fra serie di armamento, in sostituzione di quelle dispense o concentrate al grosso carreggio ho data ampia ragione in una relazione del Gruppo della 9ª Divisione: relazione dei primi di giugno 1916 e che fu ritenuta esaurientissima dal Capitano Taranto, allora addetto allo Stato Maggiore Divisionale. In ordine alla richiesta di molti oggetti di equipaggiamento individuale e collettivo, basta considerare, per giustificarla, che dal 10 maggio 1915, e cioè da oltre un anno, i nostri militari non avevano nella grandissima maggioranza che avuto rifornimenti di giubbe, pantaloni e scarpe; oggetti sottoposti a deperimento forte, per la vita di fatica cui i militari erano costretti – trasporto di tavole, murali, rotoli di filo di ferro spinato, ecc. – attraverso sensibili dislivelli, costruzioni di trincee, di strade, ecc.; che tutto l'affardellamento non strettamente necessario era stato ritirato e concentrato in un gran locale a Casotto Basso, dove fu per ordine superiore distrutto, per l'impossibilità di ritiro deficienza di mezzi di trasporto all'atto del primo ripiegamento; che, infine, avevano effettuato sotto la pressione nemica e in condizioni difficilissime di situazione, di 162 Ivi, p. 425. 124 125 terreno e di tempo, ben tre ripiegamenti. Dopo quanto ho esposto, ch'è storia documentata da diari, illustrata da relazioni e avvalorata da testimonianze, credo che nessuna ombra possa rimanere ad offuscare l'azione nostra anche in queste giornate in cui fummo atrocemente quanto ingiustamente discussi. Un esame più ponderato ed obiettivo dei fatti, anche sui soli documenti esistenti, vorrà certamente a far comprendere la nostra azione in Val d'Astico tra le belle, sebbene ignorante, pagine scritte dal Corpo nella storia della recente guerra».163 La relazione pur essendo stata scritta da un diretto protagonista, rispecchio assai bene lo svolgimento dei fatti. Dall'inchiesta per l'abbandono delle fortificazioni di Casa Ratti e Cornolò, risultò che il caos della ritirata dalle posizioni tenute fino al 26 maggio fu dovuto agli ordini errati dal Comando di Gruppo e dalla divisione, che avendo la sua sede a Villa Velo a Velo d'Astico, lontana parecchi chilometri dalla zona d'operazione, non aveva ben presente la reale situazione nella zona di Barcarola dove le difese erano solo state abbozzate, le posizioni alquanto provvisorie e l'opera di Casa Ratti non poteva assolvere nessun compito difensivo date le poche forze disponibili. Il forte Casa Ratti, situato sopra la statale che collegava l'Italia con il confine di stato situato a Lastebasse, aveva il compito, assieme al dirimpettaio forte di Punta Corbin di controllare le provenienze dal confine. Costruito negli anni 1907 – 1910, la fortificazione più che ad un moderna opera fortificata, era una batteria d'artiglieria, dato che mancavano le postazioni per la difesa ravvicinata. Era armato con tre pezzi da 149 installati in cupole corazzate tipo Ispettorato. Nel corso del primo anno di guerra, il forte164, non fu impegnato in operazioni belliche, all'infuori che alcuni tiri verso il paese di Casotto, in territorio nemico, dove si presumeva si facessero del campanile delle segnalazioni luminose al nemico. Con l'avanzata delle truppe austroungariche in fondo val d'Astico, fu deciso che forte Casa Ratti, pur essendo ancora integro, di minarlo e abbandonarlo, dato che era impossibile poterlo utilizzare ancora. Il 26 maggio, venne dato l'ordine di struggere le cupole corazzate del forte prima dell'alba; ma dopo solo cinque minuti, giunse una nuova comunicazione che prevedeva che per effettuare il ripiegamento all'alba le cupole dovevano essere distrutte prima, dato che l'avanzata austriaca nella valle era molto veloce e per non fare in modo che le forze italiane fossero accerchiate dai nemici. Il forte Cornolò165, era stato eretto negli anni 1909 – 1914, sull'omonima cima a quota 544 che controllava da una parte le provenienze dalla val Posina e dall'altra quelle del sovrastante altipiano di Tonezza – Fiorentini. La fortificazione era una batteria ad un piano, rettangolare, lunga circa 60 metri, armata con quattro cannoni da 75 in cupole girevole, installazioni uniche nel teatro di guerra. La difesa ravvicinata erano a disposizione quattro mitragliatrici nei bastioni di calcestruzzo. Allo scoppio della guerra, forte Cornolò si trovò lontano dalle prime linee ma rimase armato. Alle ore 13 del 26 maggio, giunse al Comando del V corpo d'armata la notizia, che poi si rivelò falsa, che il forte Casa Ratti era stato abbandonato e precedente reso inservibile. Nella realtà la fortificazione era stata sì abbandonata, ma a causa del veloce ripiegamento non si era fatto in tempo di distruggere le cupole corazzate. «Il 26 maggio anche l'ala sinistra della 3ª divisione a.u. ( 5ª brigata) con alcuni battaglioni dei reggimenti 59° e 21° attaccò in fondo Astico - verso le - lo sbarramento di Barcarola presidiato da reparti di guardia di finanza. Contemporaneamente scesero dal Cimone reparti del 50° a.u. alle spalle dei difensori. La improvvisa minaccia alle spalle - forse sopravalutata - la difficoltà di spiegamento e di manovra in un ristretto fondo valle ai fianchi impervi, determinò la ritirata, che le guardie di finanza compirono a aprendosi il passo. Mancò il tempo di fare saltare la batteria di Casa Ratti (3 pezzi) con la ritirata veniva abbandonata»166. La notizia, giunse al comando dell'armata, che rispose: «Prego darmi maggiori informazioni circa gravissima frase relativa al forte Casa Ratti che mi riesce incomprensibile»167, poi in seguito alla notizia falsa che il forte era stato fatto saltare, il generale Guglielmo Pecori Giraldi, comandante della 1ª armata, ordinava al comandante del 5º corpo d'armata di eseguire delle rigorose indagini per questo grave episodio. L'inchiesta per l'abbandono dei forti Casa Ratti e a partire dal 30 maggio, anche del Cornolò, iniziò con una lettera del 28 maggio del generale Cadorna al comando della 1ª armata preceduta da un telegramma inviato al generale Zoppi. Nella lettera si sosteneva che il Capo di Stato Maggiore aveva ricevuto la notizia della cattura del forte Casa Ratti dal bollettino austriaco, quindi egli ordinava, «Proceda immediatamente fucilazione dei responsabili»168. Il giorno 29, Zoppi ricevette un telegramma da parte di Pecori Giraldi, con il quale si richiedevano informazioni circa le disposizioni prese contro i responsabili dell'abbandono dell'opera169. Il comando dell'armata aveva deciso di avviare un'inchiesta oltre a quella ordinata da Cadorna, affidandola al proprio reparto disciplina, retto dal generale Della Noce. Già lo stesso giorno, Della 166 Ministero della difesa, L'esercito, vol. 3°, tomo 2°, p. 149. 167 A.U.S.S.M.E, fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B-1, racc. 105/S, s.l., 26 maggio 1916. 168 A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, lettera del genera- 163 Ivi, pp. 425 – 426. 164 L. Malatesta, Il forte, cit., pp. 36 – 44. 165 L. Malatesta, Forte, cit., pp. 57 – 64. le Cadorna al generale Pecori Giraldi, Vicenza, 28 maggio 1916. 169 A.U.S.S.M.E. fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, telegramma del generale Pecori Giraldi al generale Zoppi, Thiene, 29 maggio 1916. 126 127 Noce, dopo aver sentito il generale Zoppi, trasse le seguenti conclusioni circa le responsabilità dei vari protagonisti: «1° = Che parte della responsabilità di questa azione militare tra Posina e Astico sia da attribuirsi a S.E. il comandante del V corpo d'armata; 2° = Che la responsabilità per l'abbandono di Casa Ratti spetti al generale Gonzaga ed al colonnello San Martino; 3° = Che la responsabilità per l'abbandono della batteria di Cornolò e di M. Aralta spetti al colonnello brigadiere Di Giorgio. In ordine di responsabilità propongo: 1° = Che sia a suo tempo esaminata la condotta di S.E. il generale Zoppi, cioè quando l'attuale situazione non sia più tanto minacciosa come oggi; 2° = Che il generale Gonzaga sia esonerato dal comando allorché l'odierna situazione lo permetta; 3° = Che analogo provvedimento sia preso per il colonnello San Martino. Nulla proporrei per il colonnello Di Giorgio, non conoscendo i particolari della sua azione».170 L'inchiesta, data la situazione del fronte della 1ª armata molto delicata, venne rinviata a tempi migliori; così che perse anche il carattere punitivo che voleva Cadorna. Nel periodo successivo, mentre gli austriaci stavano tentando lo sfondamento delle linee italiane nella zona del Novegno, l'inchiesta andò avanti nell'analizzare le varie responsabilità dell'abbandono del forte, soffermandosi sull'operato dei vari comandanti, non riuscendo però ad identificare un vero colpevole, visto che tutti scaricavano la colpa su altri. Il 13 giugno, proprio nel vivo della battaglia del Novegno, lo Stato Maggior della 1ª armata comunicò i primi risultati dell'inchiesta: «S.E., propone l'esonero dal loro comando, tanto del generale Gonzaga che del colonnello San Martino. = Ma siccome i lamentati fatti non furono ispirati da deficiente volontà di opporsi al nemico, né influirono sull'andamento dell'azione poiché troppo danno verrebbe in questo periodo al provvedimento in parola, propone di sospenderlo».171 Il generale Zoppi, già inquisito per la perdita della Bocchetta di Portule il 22 maggio, uscì anche da questa vicenda innocente. Il primo alto ufficiale ad essere interrogato fu il comandante della brigata Bisagno, colonnello brigadiere Di Giorgio, per accertare le sue eventuali responsabilità riguardanti l'abbandono dei forti Casa Ratti e Cornolò. Egli sostenne che non aveva ricevuto alcuna, attribuzione di comando o di sorveglianza sulle due opere, né per iscritto né verbalmente né dal comandante della 27ª né dal comandante della 9ª Divisione. «Non credetti perciò di dover avere coi comandanti delle opere relazioni di sorta»172. Il comandante della brigata, ricevette il 19 maggio, l'ordine di occupare con un reggimento la linea Cimone – Pedescala, per proteggere il ripiegamento della 35ª e 9ª divisione, mentre l'altro reggimento della brigata doveva rafforzare la linea Rozzo Covole – Velo d'Astico – pendici di M. Cengio. In conclusione, Di Giorgio ribadiva: «ebbi già a dichiarare al Comandante della 9ª divisione (allegati 5 e 6) che non ebbi mai occasione né di ordinare né di consigliare, al col. San Martino o ad altri, il disarmo e l'abbandono dei forti Casa Ratti e di Cornolò. Non pensai che tale questione fosse di mia competenza».173 Con tale dichiarazione, Di Giorgio, venne sciolto dall'accusa di esser stato uno dei responsabili dell'abbandono anche del forte Casa Ratti, grazie alla testimonianza a suo favore del colonnello San Martino, comandante dell'artiglieria del settore. Il colonnello, nel corso della sua deposizione, parlò della sua visita al forte Ratti avvenuta il 24 maggio, dove vide che l'opera era presidiata sia da artiglierie che da reparti della Finanza e date le sue difese non poteva resistere all'urto offensivo austriaco. Nel corso della riunione del 25 maggio, già citata da Di Giorgio, fu decisa il ripiegamento di tutte le truppe dislocate nella linea Aralta – Cornolò – S. Rocco – Arsiero – Barcarola. La nuova linea doveva raggiungere Covole – Velo – Seghe – Schiri – M. Cengio. Il colonnello, in merito all'ordine perentorio del generale Gonzaga di ritirata di tutte le truppe nella nuova linea fu molto perplesso perché non era facile eseguire in tempi brevi lo spostamento delle artiglierie da un posto all'altro. In quest'ottica, diede ordine al maggiore Tamajo di minare le cupole corazzate e la polveriera del Ratti per fare in modo che l'opera non cadesse integra in mano avversaria. La mancata distruzione del Ratti, fu dovuta alla veloce avanzata austriaca ed anche alla lentezza degli ordini dati dal comando della divisione, quindi per evitare la cattura le truppe in fretta e furia abbandonarono il forte senza aver eseguito gli ordini. Dalle varie testimonianze raccolte nel corso dell'inchiesta, il maggior responsabile sembrava essere il generale Gonzaga: «Dall'insieme dei fatti si ha l'impressione che il generale Gonzaga sia rimasto incerto, indeciso, titubante sul da farsi, tra il parere concorde dei propri dipendenti circa la necessità del ripiegamento (colonnello S. Martino escluso, che aveva affermato che la difesa di 170 A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, relazione del generale Della Noce riguardante l'inchiesta, s.l., 30 maggio 1916. 171 A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, relazione dello Stato Maggiore della 1ª armata riguardante l'operato delle persone indagate nell'inchiesta, s.l., 13 giugno 1916. 172 A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, relazione sugli 128 129 avvenimenti del colonnello Di Giorgio, s.l., 12 agosto 1916. 173 Ibidem. Barcarola e S. Rocco poteva durare qualche tempo ancora, quanto ne occorreva per ritirare i cannoni e per far saltare l'opera di Casa Ratti) e gli autorevoli energici moniti di S. E. Zoppi dei quali fu consapevole sulla necessità di prolungare la resistenza delle truppe ad oltranza e di non abbandonare senz'altro l'opera di Casa Ratti. Gli eventi si svolsero come fatalità volle: il generale Gonzaga lì subì senza che il suo ascendente personale, l'energia della propria volontà riuscisse ad imporsi ad essi. Le truppe ripiegarono prematuramente, non sotto la pressione nemica, né per effetto di forti perdite subite, e l'opera di Casa Ratti venne abbandonata al nemico prima che fossero brillate le cupole e la polveriera. Per tali motivi, e per altre considerazioni sul carattere del generale Gonzaga espresse da S. E. Zoppi, io (che pure tenni in sospeso ogni provvedimento a carico del tenente generale Gonzaga, sino a che meglio fossero messe in luce le operazioni svoltesi in quel periodo) non posso che dissentire dalle proposte fatte dalle LL.EE. Della Noce e Zoppi per l'esonero del predetto Gonzaga dal comando della divisione; a meno che i servizi precedenti (che ignoro) e le belle qualità di soldato che tutti gli riconoscono, del generale Gonzaga non costituiscono benemeranze e meriti tali per i quali sia consentito sospendere il grave provvedimento. Circa all'opera di lui, da giugno ad oggi, se dal riguardo di virtù di soldato è stato ognora commendevolissima, da quello di comandante di grandi unità non mi ha mai fornito elementi valevoli a modificare le conclusioni sopra espresse»174. Il 10 novembre, Pecori Giraldi inviava al generale Cadorna i risultati dell'inchiesta con le relative responsabilità: «1º)= Rinviare ai risultati dell'inchiesta generale in corso i giudizi da pronunciarsi sull'opera complessiva di S. E. Zoppi, comandante del V corpo d'armata, pel quale anche S. E. Della Noce (inchiesta sommaria del 30 maggio) propose che la condotta venisse esaminata a suo tempo; 2º)= Concordare nelle proposte fatte dalle LL.EE. Della Noce e Zoppi per l'esonero del generale Gonzaga dal comando della divisione a meno che i servizi precedenti del predetto generale e le belle qualità di soldato che tutti gli riconoscono, non consiglino diversamente; 3º)= Scagionare il colonnello brigadiere Di Giorgio, il colonnello di artiglieria San Martino, il tenente colonnello degli alpini Cajo e il tenente colonnello d'artiglieria Vismara dalle responsabilità ad essi imputate»175. Il Capo di Stato Maggiore, il 29 novembre, rispose che in merito al provvedimento disciplinare a carico del Gonzaga, si doveva attendere la conclusione dell'inchiesta, anche perché il maggiore accusatore del comandante della 9ª divisione, Zoppi era ancora sotto inchiesta. In merito agli altri responsabili, Cadorna era favorevole alle conclusioni raggiunte dall'inchiesta ed ordinava a Pecori Giraldi l'esecuzione dei provvedimenti disciplinari. L'ultimo documento che pose fine all'inchiesta fu la lettera che Pecori Giraldi inviò a Cadorna, nella quale il comandante della 1ª armata, propose la sospensione del provvedimento disciplinare contro il generale Gonzaga, e concedere una ulteriore prova. I giudizi su Zoppi e Gonzaga erano dunque sospesi mentre venivano prosciolti dalle loro accuse i colonnelli San Martino, Vismara, Di Giorgio, cosicché l'unica persona che pagò con un severo provvedimento disciplinare per la resa del Cornolò, fu il capitano Bernabò di Silorata, con la seguente motivazione: «Comandante della batteria del forte Cornolò (4 cannoni da 75 A in cupola, montati su candeliere) fece eseguire nelle giornate 18 e 19 maggio 1916 così numerosi e rapidi tiri da produrre nei cannoni guasti di tale entità che si dovette disarmare la batteria. Diede così prova di imperizia e trascuratezza. Se fosse stato più pratico del materiale e maggiormente compreso dell'entità ed importanza degli inconvenienti che si verificarono, avrebbe dovuto sospendere il tiro appena avvenuto il primo inconveniente, e riferire al comandante della sezione staccata di art. di Arsiero che, coll'invio di un operaio pratico, avrebbe certamente evitato maggiori danni»176. La punizione inflitta all'ufficiale consisteva tuttavia in un rimprovero da scriversi nelle sue note personali. Il generale Gonzaga lasciava il comando della 9ª divisione l'8 dicembre 1916. La sua punizione fu quella di non essere promosso a comandi superiori. Malgrado ciò ottenne due medaglie d'oro al valore, una il 21 luglio 1917 per la conquista del Vodice, l'altra il 25 ottobre 1917. Il Pecori Giraldi, nella relazione conclusiva del giugno 1917, sosteneva: «non occorre una grande conoscenza del cuore umano per comprendere e giustificare la continua antimonia fra le esigenze degli ordini dei capi di grandi unità e le difficoltà di applicazione dei comandanti in sottordini. Le une come le altre si spiegano colla diversità dell'angolo visivo sotto il quale fatti ed uomini sono osservati, e colla prevalenza che ciascuno tende a dare alla propria funzione, al proprio giudizio e dalla propria responsabilità. Si deve tuttavia osservare che frequenti furono i casi – in ispecie nei primi giorni dell'offensiva nemica – di comandanti di riparto in sottordini i quali si esagerarono le difficoltà ed i pericoli, lasciando compiere ingiustificati abbandoni e tumultuosi ritirate; non rari furono pure quelli di capi di grande unità, (in particolare nel secondo periodo) che non apprezzarono adeguatamente le difficoltà di esecuzione pratica di taluni ordini».177 Il comandante dell'armata, oltre ad evidenziare le inefficienze dell'esercito, sottolineava come durante il periodo in questione ci fossero stati degli eventi in cui avevano avuto una parte molto importante dei reparti e degli uomini che nessuno aveva menzionato, 174 A.U.S.S.M.E., fondo «Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, conclusione del generale Pecori Giraldi sull'operato del generale Gonzaga, s.l., s.d. 176 A.U.S.S.M.E., fondo « Carteggio sussidiario armate», repertorio E-1, racc. 11, minuta, s.l.., 175 A.U.S.S.M.E., fondo «Comando Corpo di S.M.», repertorio E-2, racc. 50, lettera del generale s.d. Pecori Giraldi al Capo di Stato Maggiore Cadorna, s.l., 10 novembre 1916. 177 Guglielmo Pecori Giraldi, l'archivio, a cura di M. Passarin, Vicenza, 1990, p. 134. 130 131 «infatti, non è raro il caso di riparti o di ufficiali la cui condotta appare ora degna di premio, rimasti esclusi da ogni ricompensa, per la scomparsa di quei superiori ai quali sarebbe spettato mettere in luce le loro azioni. Le memorie e gli esposti pervenutimi durante il corso delle inchieste accennarono talvolta a questo stato di cose: ed io ne terrò conto per inoltrare a V.E. proposte che, pur inspirate a rigida austerità di criteri, consentono adeguato premio a quegli altri ben accentrati di virtù militare, dei quali, nelle operazioni del Trentino del 1916, non mancarono luminosi esempi».178 Nella storiografia austriaca, la conquista del forte Casa Ratti da parte del sottotenente del genio Albin Mlaker, appartenente alla 3ª divisione, passò alla storia per l'azione di eroismo da parte del giovane ufficiale, che gli valse anche la massima onorificenze austriaca. Questo falso mito è stato solo di recente sfatato grazie alla pubblicazione del diario del tenente colonnello Josef Artner, comandante del 2° battaglione del 50° reggimento di fanteria. Artner, sostenne che il forte Casa Ratti, era stato abbandonato dagli italiani in ripiegamento verso Arsiero, italiano da parte di Mlaker. L'episodio ebbe risalto nei giornali dell'epoca, tanto da fargli ottenere l'importante attestato di valore. Riguardo a questa questione, il giudizio di Artner, per l'articolo apparso nel giornale Wiener Journal: «una narrazione tipo romanzo del Far West degna di un Karl May, che mi costringeva ad inviare alcune rettifiche contro l'articolista a causa del totale ed molto evidente falso storico del racconto, dove l'«attore» sembrava essere un eroe per la deformazione dei fatti ed il gonfiare particolari di esigua importanza, pregando di attuare una corretta verifica sull'intera faccenda»181. «alle ore 8.25 del mattino io sentii brevi scariche di fucileria e mitragliatrici provenire da destra, sopra la mia posizione proprio dove si trovava la 17ª compagnia a me aggregata. Alle nove arrivò una comunicazione dalla compagnia in cui si diceva che il nemico circa due o tre compagnie, se ne andava da Casa Ratti verso sud e che sarebbe stato incalzato a fucilate con il concorso dell'ala sinistra del 50° reggimento appostata sul bordo delle creste del Cimone. Questo era la ragion degli spari che avevo sentito alle 8.25. Quel rapporto e la mia personale osservazione mi convinsero che Casa Ratti era stato completamente sgomberato dal nemico».179 Artner, inviò al forte oramai abbandonato, una pattuglia guidata dal cadetto Feldwbel Landislaus Cisternau. Nel frattempo giunsero al comando due ufficiali, uno dei quali era Mlaker, il quale disse che sparò alcuni colpi perché pensò di vedere delle vedette italiane e poi si diresse verso il forte che era già stato abbandonato dagli italiani. Dopo poco, vide il sottotenente Mlaker, «che arrivava dal forte e dietro di lui cinque soldati italiani. Mi gridò da laggiù in fondo qualcosa che al momento non riuscì a capire del tutto- là intanto si era sollevato un vento tempestoso. Udii sola la parola «conquistato» e poi portò su i cinque italiani. L'espressione «conquistato» mi lasciò completamente interdetto anche se la presi per un eccesso giovanile, di nuovo svincolai e feci cenno con la mano che doveva accompagnare i cinque prigionieri».180 Nei successivi rapporti, venne fuori il falso dell'eroica conquista del forte 178 Ivi, pp. 134-135. 179 E. Acerbi, La cattura, cit, p. 64. 180 Ivi, p. 80. 181 Ivi, p. 89. 132 133 La battaglia di Monte Cengio Con la rotta della linea difensiva di Barcarola, agli austriaci si aprì senza altri ostacoli la via verso Arsiero, paese che oramai abbandonato dalle truppe italiane venne occupato il 27 maggio. Fu uno dei pochi centri abitati di pianura ad esser occupato dagli austroungarici nel settore vicentino. Occupato monte Cimone, posizione strategicamente importante, dato che da quel luogo si dominava tutta la zona sottostante fino a Thiene, secondo la strategia tanto cara al Feldmaresciallo Conrad, si dovevano prendere i due capisaldi laterali che si trovavano allo sbocco della valle dell'Astico dopo Arsiero, vale a dire il Cengio a sinistra e a destra il monte Novegno – Priaforà. Nel sovrastante altopiano di Asiago la situazione non era delle migliori: le pattuglie austriache occuparono Asiago e Camporovere. Il 28 maggio, a causa della ritirata delle truppe italiane si era creata una falla nel sistema difensivo all'altezza dell'abitato di Asiago. La nuova linea difensiva approntata poggiava sulla destra al massiccio delle Melette e vedeva le forze a disposizione del Comando Truppe Altipiani, oltre agli abitati sulle posizioni di monte Sisemol, Kaberlaba, Lemerle e Zovetto. L'abbandono degli importanti avamposti di monte Zebio e dello Zingarella, che non potevano esser difese, fu un vantaggio per le truppe austroungariche che poterono avanzare con le artiglierie raggiungendo la val Galmarara, che divenne il polmone delle retrovie dell'esercito attaccante impegnato nell'offensiva. Il giorno 28 maggio fu importante, per l'abbandono della linea sinistra della valle dell'Assa. La nuova linea italiana correva dal forte di Punta Corbin al monte Lemerle, zona assai estesa presidiata dalla la brigata Granatieri di Sardegna, il 5° reggimento bersaglieri ciclisti dal monte Lemerle escluso al bivio del Turco, da Cima Echar alle Melette escluse la brigata Etna ed infine sulle Melette il gruppo alpino Foza e in Marcesina sino al bordo della Valsugana il 14° reggimento bersaglieri. L'abbandono della linea della riva sinistra dell'Astico venne accolto con entusiasmo dalle truppe nemiche; era un'ottima occasione per oltrepassare il lungo e profondo solco dell'Assa e da lì attaccare la zona del Cengio per finalmente raggiungere la tanto agognata pianura vicentina. La situazione favorevole continuò anche il giorno seguente: «29 maggio 1916 Di buon mattino mi perviene un supplemento di comunicazione: le truppe giunte presso Canove hanno allargato la loro occupazione a guisa di testa di ponte ed un gruppo sta avanzando in direzione di Punta Corbin; dopo una debole resistenza anche Monte Interrotto è stato conquistato. Con i rapporti di mezzogiorno si apprende che l'8ª divisione (XX corpo) sta radunandosi su Monte Aralta per sferrare il successivo attacco, mentre nostre pattuglie hanno occupato Arsiero. Presso il III corpo i battaglioni della 28ª divisione che hanno varcato l'Assa, si sono anch'essi allargati a testa di ponte ha Baraccamenti sul Cengio. MCRR 135 il solco del Gelpach – Maror – Camporovere, la 22ª divisione Schützen e la 6ª fanteria si stendono sulla linea Monte Katz – Monte Zebio – Monte Zingarella – Monte Chiesa. Fino a Porta Le pozze. Secondo un rapporto inviato dal Comando Gruppo di Armate, questo sarebbe intenzionato a porre agli ordini della 3ª Armata, il I corpo, la cui 34ª divisione è giunta a S. Pietro in Val d'Astico. È sorprendente la modesta resistenza finora apposta dagli italiani nella zona di Asiago. Secondo notizie giornalistiche, la resistenza principale sarebbe prevista soltanto in pianura. Intanto il X Corpo d'Armata italiano è giunto a Thiene e, secondo il cennato rapporto del comando Gruppo di Armate, ciò influirebbe sul comando dell'11ª Armata, nel senso di indurla a rinunciare a Thiene quale sua obiettivo principale. Ora è lo stesso Gruppo di Armate a chiedere rinforzi, perché non vi p dubbio che in pianura il nemico potrà riunire forze superiori. Purtroppo non posso ancora ottenere nulla dal teatro di guerra russo e così ora ordino al comando della 5ª armata di approntare una divisione di fanteria, od almeno una brigata da montagna. E già verso sera esso mi comunica di poter disporre senza grave rischio, soltanto della 61ª divisione. Bene, questa offerta sarà ben accetta. Per il momento si può dunque contare su tale divisione (11 battaglioni) e sulla XVIII brigata Landsturm da montagna (5 battaglioni); mentre ancora non può far conto sulla prevista divisione dal fronte russo».182 La situazione delle forze austroungariche, nonostante i successi, cominciava a risentire di alcuni problemi dovuti al logoramento delle truppe e la mancanza di rinforzi per la battaglia in pianura. Secondo le notizie raccolte, la scarsa resistenza in montagna dei reparti italiani era dovuta alla preparazione che si stava organizzando nella pianura vicentina per la battaglia decisiva. Durante la giornata del 29, reparti della 28ª divisione attraversarono la forra dell'Assa e raggiunsero posizioni nelle vicinanze dell'abitato di Treschè Conca. Il maltempo che aveva causato ritardi all'avanzata, ora stava passando e secondo Schneller se «il tempo stà migliorando anzitutto sarà Punta Corbin ad andarci di mezzo»»183. Dal racconto del Colonnello, le truppe austroungariche senza incontrar ostacoli avevano oltrepassato la forra dell'Assa e raggiunto delle ottime posizioni per attaccare il Cengio. La zona prospiciente il precipizio dell'Assa doveva esser presidiato dai Granatieri di Sardegna, ma nella realtà non c'era nessuno, L'abbandono della posizione è da attribuire al generale Pennella che interpretò in modo erroneo un ordine del Comando della 30ª divisione, dove si ordinava di guarnire di truppe la cima dei monte dal Punta Corbin al Busibollo – Lemerle, ma non di sguarnire di forze la sinistra del corso dell'Assa. Le motivazioni addotte da Pennella si basarono sul fatto che la brigata non poteva coprire una fascia di fronti tanto ampia. Così l'occupazione da parte delle truppe avversarie del forte di Punta Corbin era avvenuta quasi senza colpo ferire. L'episodio è riportato nel diario storico della 1ª Armata: «Nella scorsa notte riparti nemici hanno eluso la vigilanza 182 K. Schneller, 1916, cit., pp. 237 – 238. 183 Ivi, p. 239. dei granatieri dislocati fra Cima Arde e Punta Corbin, e sono risaliti da Val d'Astico sull'altipiano: un contrattacco eseguito per ricacciarli è fallito»184. Nel diario storico le notizie, erano alquanto sintetiche; in realtà il forte Punta Corbin, era stato abbandonato. Alle ore 17 il gruppo Kliemann occupò il forte, disarmato e con pochi uomini di guarnigione. Dopo la fine del conflitto lo stesso colonnello raccontò come era avvenuta l'occupazione del forte Punta Corbin: «Alla guardia italiana, la brigata romana dei granatieri che era stata trasportata con gli autocarri – in parte ancora nelle divise del tempo di pace – il Gen. Cadorna, aveva affidato la difesa dell'altipiano di Punta Corbin – Monte Cengio, l'ultima fortezza prima della discesa nella pianura vicentina. I Reggimenti di granatieri, la cui storia risale al 1659, costituivano i corpi di truppe di fanteria più vecchi e ricchi di tradizioni dell'esercito italiano. Eppure gli uomini del 47° si mostravano degni anche di questo nemico, persino superiori. I calci dei fucili dei marburghesi parlavano un linguaggio fin troppo persuasivo e convincente. Tale robusto alimento steriano, non venne digerito tanto facilmente dagli spilungoni dei granatieri del re; i romani non vi erano abituati. Il 24° battaglione Feldjäger nel frattempo, sotto la protezione della 4ª compagnia del 47° spinta in avanscoperta, aveva piegato a destra del sentiero della Cappella a metà pendio con due compagnie e, rallentato dalle difficili condizioni della salita, aveva raggiunto il bordo delle quote ad ovest della Cappella di Q. 870, a circa metà strada da Cima Arde. Il resto di questo battaglione venne impiegato per allungare l'ala destra della compagnia del Ten. Zaumer. La 9ª compagnia del 47°, giunta poco dopo le 14.30, al comando della quale si trovava in quel momento l'Alf. Otto Götz, venne provvisoriamente impiegata dal Cap. Grigkor a chiudere una falla che esisteva tra le due compagnie Jäger. Dal mezzo battaglione del Cap. Vodopivec l'11ª compagnia venne comandata in rinforzo dell'ala sinistra del I battaglione; la 12ª compagnia venne lasciata quale riserva di gruppo a nord – est di Dosso. In questa situazione il battaglione Jäger ricevette l'ordine di impiegare il mezzo battaglione, in quanto già tutte le parti del Gruppo Kliemann avevano raggiunto il bordo dell'altopiano. Grigkor, in quanto riserva di gruppo dietro l'ala destra, doveva a quel punto farsi carico dell'ulteriore avanzata nella zona Mosca – Punta Corbin e a tale scopo mandò una compagnia per Cima Arde, da dove il nemico si era nel frattempo ritirato lungo il bordo della cortina montuosa verso Punta Corbin. Nell'esecuzione di quest'ordine, alle 16.45, una compagnia Jäger contemporaneamente alla 9ª del 47° penetrarono nell'opera, presidiata solo da una retroguardia nemica, e fecero prigioniera la guarnigione: un tenente e 40 uomini. Un'orgogliosa opera corazzata, che dominava in lungo ed in largo la regione, coronando un insuperabile bastione roccioso, cadde senza combattere come un frutto maturo nelle mani del Gruppo Kliemann. Il forte, la cui posizione ne garantiva l'inespugnabilità persino da parte di un attacco ravvicinato, era, se si eccettua un cratere centrale, intatto ed ancora pienamente atto alla difesa. In ogni caso si trovava in uno stato difensivo incomparabilmente migliore di quelle opere austriache sull'altopiano di Lavarone. Era stato privato dei suoi cannoni, dalle sei cupole corazzate sporgevano a scopo di inganno altrettanti tronchi d'albero. Gli italiani avevano dislocato i pezzi dell'opera sull'altopiano. 184 A.U.S.S.ME., fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B – 1, racc. 105/B, diario storico della 1ª armata dal 1 febbraio 1916 al 31 maggio 1916, 30 maggio 1916. 136 137 Due di questi cannoni vennero catturati il giorno seguente dal mezzo battaglione Grigkor. Anche i soldati più giovani risultava incomprensibile che un forte tanto robusto, che consentiva una sola via di avvicinamento, le cui casematte e l'opera esterna erano ancora completamente intatte, potesse essere abbandonata senza combattere. Una guarnigione anche solo minimamente risoluta avrebbe potuto quanto meno arrestare durevolmente la nostra avanzata sull'altipiano del Cengio».185 Le osservazioni del Kliemann, sono condivisibili, dato che dopo la distruzione del forte Verena, tutti gli altri della zona italiani furono disarmati, sia per la loro debolezza strutturale, sia per la cronica carenza di artiglierie di medio e grosso calibro: i cannoni installati nelle cupole erano più utili in altre posizioni. ma che potevano essere ancora utili per rallentare l'avanzata nemica durante l'offensiva del maggio – giugno 1916. Col senno del poi fu un errore quello di sguarnire di artiglierie e truppe i forti, visto che durante l'offensiva del 1916 e nella successiva ritirata di Caporetto, le fortificazioni potevano ancora essere teoricamente utili. Come già per altri episodi, durante la Strafexpedition, la responsabilità per l'abbandono di posizioni importanti ricadde sugli ufficiali in sottordine. In questo caso, la colpa fu attribuita al maggiore Roisecco, comandante del 1° battaglione Granatieri, che aveva la giurisdizione nella zona del forte. Per tentare di riprendere la posizione fu incaricato il 3° battaglione granatieri del 2° reggimento, L'unità partì alla volta del forte Punta Corbin alle 2.30 di notte, arrivando dopo alcune ore di marcia in posizioni molto difficili da raggiungere nella folta boscaglia; alle 6.30 dopo aver esplorato la zona da attaccare si congiunse alla 1ª compagnia del 1° reggimento ed insieme iniziarono ad avanzare verso il forte italiano. Dopo un quarto d'ora il capitano Tonini che era alla testa del reparto venne a contatto con le truppe austriache che risposero al fuoco. Queste prime schermaglie si verificarono in posizione un po' lontana dal forte Punta Corbin, ove la boscaglia impediva i collegamenti. Lo scontro successivo fu cruento. Narra un testimone: «Osservai un istante la faccia del capitano Tonini che dava degli ordini al tenente Lupini, m'impressionò: non era la sua solita faccia serena che esprimeva sempre letizia e sicurezza, mi parve preoccupato. S'allontanò dalla Compagnia in cerca del Comandante di Battaglione che i porta – ordine nell'intrico folto del bosco non erano riusciti a rintracciare. I comandanti di plotone ci riordinavano dietro un muro a secco: non eravamo ancora a posto che delle fucilate risuonarono al di là delle collina che ci fronteggiava, facendoci scattare come cavalli frustati nei garretti. Scalammo la collina di corsa, appostandoci distesi sul ciglio, pronti ad attaccare e ad essere attaccati».186 185 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., pp. 197 – 198. 186 Ivi, p. 94. 138 Il Comandante di battaglione, era in posizione a Malga Costo, da dove vedeva lo svolgersi del combattimento. In un primo momento l'azione della compagnia del capitano Tonini sembrava efficace. Si vedevano dei soldati sventolare i fazzoletti bianchi in segno di resa, ma fu solo un trucco: in rinforzo a quelle truppe ne giunsero altre provenienti dal forte Punta Corbin, che accerchiarono la compagnia ed uccisero il capitano Tonini. A quel punto la compagnia, a ranghi compatti, mosse all'attacco cercando di rompere l'accerchiamento. La lotta proseguì, ma ogni sforzo da parte italiana fu vano. Fu ucciso anche il capitano Visdomini e ferito il maggiore Camera. All'ufficiale che prese il Comando delle operazioni, oramai nell'impossibilità di poter continuare il combattimento, non rimase che ordinare la ritirata. Il generale Pennella, che non era d'accordo con l'ordine ricevuto dal generale Lequio di riconquistare la posizione di Punta Corbin, in questo modo nelle sue memorie parlò dell'azione dei Granatieri di Sardegna: «Però non sarebbe stato umanamente possibile di mantenere durevolmente un tale possesso per le ragioni già ampiamente svolte. E perciò, dopo tutto, il ripiegamento su Monte Cengio ha avuto il vantaggio di radunare in quella importantissima posizione, in un momento in cui il nemico ad esso mirava essenzialmente, un nucleo di una certa consistenza in rinforzo delle due compagnie che fino a quel momento ne costituiva il presidio. Il tenente colonnello Camera condusse con somma perizia il suo battaglione di ferro e diede altissime prove di fermezza, di coraggio, di ardimento; seppe trasfondere nei suoi baldi granatieri la fede serena, l'ardore, l'entusiasmo del gran cuore; seppe animarli nei supremi momenti dell'ardua impari lotta, incitandoli ad esser degni delle loro secolari tradizioni. Seppero i suoi fedeli gregari, colla sovrumana tenacia e la granitica fermezza dei loro petti, far arginare alla valanga di ferro e di fuoco che d'ogni parte tendeva ad avvolgergli; caddero uno dopo l'altro tutti i capi meno uno; i giovani subalterni, i graduati, gli stessi granatieri, sostituendosi ai comandanti, prolungarono fino all'estremo limite la eroica resistenza, imponendo rispetto all'avversario al punto da indurlo a desistere nell'inseguimento, che mirava al possesso di Monte Cengio. L'attacco disperato di Punta Corbin, eseguito in condizioni che poteva trasformarsi in rotta disastrosa, si mutò in generosa ecatombe di vite umane. Molti furono i feriti, numerosi anche i prigionieri. L'eroico battaglione seppe immolarsi sereno dando l'esempio luminoso agli stessi nemici (cui imposero rispetto), del come i granatieri sappiano compiere il proprio dovere in difesa del loro Re e della Patria! Onore al prode tenente colonnello Camera; onore a tutti i granatieri che combatterono al suo comando con virtù senza pari a Punta Corbin, incidendo nella storia della Brigata il ricordo d'un grande sacrificio imposto dalla circostanze le più sfortunate ed affrontato con la serena coscienza che supera molte volte la stessa grandezza del più luminoso dei successi»187. Oltre alla retorica ed all'enfasi, Pennella, ribadì fermamente il ruolo dei Gra187 G. Pennella, Dodici mesi al comando della brigata Granatieri, vol. 2, Monte Cengio – Cesuna, Tipografia del Senato, Roma, 1924, cit., pp. 80 – 81. 139 natieri di Sardegna che nulla poterono fare per rioccupare la posizione di Punta Corbin, anzi dovettero ritirarsi in posizioni più sicure. Oltre a Punta Corbin la lotta si sviluppò nelle seguenti zone: - violento attacco austriaco del tratto di fronte: Treschè Conca – Cesuna; - occupazione e salda resistenza dello sbarramento nord di Val Canaglia alla Stretta di Fondi, per parte della riserva del sottosettore; - arretramento della nostra occupazione di Monte Belmonte e successiva sua rioccupazione quasi totale; - attacco riuscito di Monte Cengio da parte del nemico; - ritiro di quasi tutte le artiglierie dislocate nel sottosettore del Comando del XIV Corpo d'Armata188. L'azione principale dove l'esercito austroungarico aveva profuso maggiori sforzi non era verso il forte Punta Corbin, ma sfondare le linee tra Treschè Conca e Cesuna, dato che avendo avuto la strada aperta si poteva sbucare nella pianura vicentina. Il bombardamento preparatorio austroungarico iniziò nelle prime ore del 30 maggio ed ebbe la sua massima intensità attorno alle ore 11. L'azione distruttiva delle artiglierie nemiche fu rivolta verso i trinceramenti eretti dai Granatieri da pochi giorni. Il Comando Truppe Altipiano era del parere che la perdita della posizione di Punta Corbin era solo un episodio sfavorevole per l'economia dell'azione difensiva verso il monte Cengio e quindi si doveva riconquistare la posizione a qualunque costo. Non dello stesso avviso fu il generale Pennella, il quale nelle sue memorie scrisse: «Ma, come è stato chiaramente dimostrato con le brevi considerazioni che accompagnano la narrazione suddetta, non era assolutamente possibile a nuclei poco consistenti di fanteria, per nulla appoggiati dall'artiglieria mantenere il possesso di Punta Corbin, al quale erano stati aperti tutti gli accessi, mediante l'abbandono di Pianega e Sculazzon, mediante l'abbandono della Val d'Astico, e che in tali condizioni veniva a rappresentare un saliente avanzato intenibile nella estesissima linea: Monte Cengio – Punta Corbin – Treschè – Conca – Monte Belmonte – Fondi – Lemerle – Boscon, non munita di trinceramenti continui coperti da reticolati di filo di ferro, debolmente presidiata e solo occupata in modo appena tollerabile in alcuni suoi tratti più importanti. Si ritenne pertanto dalle Autorità superiori che fosse possibile di riprendere e mantenere Punta Corbin, e mi venne dato ordine esplicito, dopo la mezzanotte del 29 maggio di farlo rioccupare. Invocai, implorai che l'ordine fosse revocato: reiteratamente mi sforzai di dimostrare che l'ordine si sarebbe risolto in un disastro perché costituiva un assurdo; l'inutile sacrificio di vite umane che ne sarebbe conseguito sarebbe riuscito tanto più disastroso in quale le altre compagnie che, al massimo, avrei potuto destinarvi per l'esecuzione, costituivano la parte maggiore della riserva di truppe di tutto il sottosettore, ed il privarsene nella penuria estrema di mezzi in cui la mia Brigata si dibatteva, poteva diventare tragico, dato che gli avvenimenti del 29 maggio lasciavano intravedere per l'indomani avvenimenti gravidi 188 Ivi, p. 73. di oscure minacce, cui occorreva far fronte o soccombere. Tutto riuscì vano: mi toccò obbedire ad onta del mio convincimento, netto e preciso, che non si sarebbe riuscito non tanto ad occupare, quanto a mantenere stabilmente, Punta Corbin».189 Pennella, ordinò l'esecuzione dell'azione al 3° battaglione del 2° reggimento. L'azione ebbe inizio attorno alle 2.30 di notte, dopo che il battaglione aveva lasciato in posto sicuro tutti gli zaini e controllato che ogni militare fosse provvisto delle dotazioni di cartucce e di viveri, si ammassassero nella zona di Campiello. Il risultato dipendeva dall'effetto sorpresa, per tale motivo tre compagnie del battaglione mossero da Campiello per raggiungere la zona nelle vicinanze di Punta Corbin nel più completo silenzio senza l'ausilio dell'artiglieria. Alle quattro i granatieri giunsero a 300 metri del bivio della strada Malga Ronchetta – Punta Corbin, iniziando ad esplorare il terreno circostante e alle ore 6 ½ il reparto si congiunse con il 1° reggimento ed ebbe inizio l'avanzata in direzione del forte italiano. Le prime scaramucce si ebbero verso le 6.45 quando con uno scambio di fucilate tra le pattuglie italiane e quelle austriache. Dal suo osservatorio il Tenente Colonnello Camera ordinò alle tre compagnie di avanzare restando il più possibile unite, anche a causa della natura del terreno, difficile e intricato Alle ore 8.15 il Comandante della 12ª compagnia, capitani Vinai, pensando di aver di fronte delle forze nemiche non numerose, lanciò l'assalto alla baionetta. In una prima fase l'attacco da parte dei granatieri riuscì, sorprendendo il nemico. Improvvisamente però dalla zona fiancheggiante Punta Corbin accorsero truppe in aiuto a quelle in difficoltà e presto accerchiarono la compagnia di granatieri. A quel punto la situazione per gli italiani precipitò: il capitano cadde e la compagnia si sbandò. Successivamente fu ferito il Tenente Colonnello Camera e cadde il capitano Visdomini, comandante della 10ª compagnia. Singolare che, fino ad allora, l'artiglieria italiana non fosse ancora entrata in azione, mentre quella austriaca martellava le truppe italiane in avanzata. Successivamente il colonnello Albertazzi, inviò altre truppe nella mischia ma, ormai l'esito dello scontro era scontato e definito. Un episodio che ancor'oggi si ricorda, con un monumento eretto sulla strada che collega Treschè Conca al forte Punta Corbin, riguarda il suicidio del sottotenente Carlo Stuparich, comandante del 3° plotone della 14ª compagnia. L'ufficiale triestino, che assieme al fratello Giovanni aveva disertato le file dell'esercito asburgico per combattere con quello italiano, oramai vistosi accerchiato, preferì suicidarsi, piuttosto che cadere prigioniero. A Carlo Stuparich fu conferita la medaglia d'oro al valor militare. Il generale Pennella così giudicò nel suo volume lo sviluppo e l'azione in generale verso Punta Corbin: «All'attacco di Punta Corbin concorsero efficacemente cinque compagnie. Se non fossero mancati fin dall'inizio dell'azione TUTTI I CAPI MENO UNO, che il caso volle fosse il più giovane ed inesperto; se non fosse mancato il tempo per bene orientarsi in un terreno delle varie schiere; se la superiorità delle truppe nemiche non fosse stata così schiacciante in fanterie, mitragliatrici ed artiglierie; se, soprattutto, non fosse ai nostri mancato l'ausilio indispensabile in ogni attacco, e cioè il fuoco dell'artiglieria, è da ritenersi che la presa di Punta Corbin affidata alla strenuo valore dei granatieri, avrebbe potuto essere un fatto compiuto. Però non sarebbe stato umanamente possibile di mantenere durevolmente un tale possesso per le ragioni già ampiamente svolte. E perciò, dopo tutto, il ripiegamento 189 Ivi, p. 74. 140 141 su Monte Cengio ha avuto il vantaggio di radunare in quella importantissima posizione, in un momento in cui il nemico ad esso mirava essenzialmente, un nucleo di una certa consistenza in rinforzo delle due compagnie che fino a quel momento ne costituiva il presidio».190 Rispetto ai ricordi postumi del generale Pennella, nel diario del 1° reggimento si possono leggere notizie in merito all'azione in esame: «Monte Barco. Durante la notte, la 14ª Compagnia viene inviata in rinforzo alle altre due compagnie del Reggimento che si trovano già a Monte Cengio. Giunge pure nella notte a Monte Barco, la 9ª Compagnia del 2° Granatieri che al mattino all'alba viene inviata in sostegno dei nuclei del Battaglione Camera del 2° Granatieri, che si erano raccolti dopo l'insuccesso della operazione compiuta il 29 a Punta Corbin, su Monte Cengio. Nella mattina viene pure inviata a Monte Cengio la 16ª Compagnia col Comando del IV Battaglione. Il Capitano Morozzo della Rocca, comandante del IV Battaglione assume il comando della difesa di Monte Cengio e delle truppe dislocate. Stante la notizia dell'attacco nemico contro Treschè Conca e Monte Belmonte, e la richiesta dei rinforzi venuti, vengono inviate in sostegno del nucleo comandato dal Maggiore Roisecco, prima la 13ª e poi la 15ª Compagnia (n.d.r. episodio che sarà analizzato in seguito). Il Comando del Reggimento rimane sempre a Monte Barco».191 Secondo l'analisi del Colonnello Albertazzi, l'azione del battaglione di Camera non ebbe successo, perché non fu un attacco concentrico, ma di pattuglie disorganizzate. Pur non avendo ottenuto i risultati sperati le truppe superstiti furono riunite assieme alle altre del 4° battaglione agli ordini di Morozzo della Rocca per la difesa del Cengio, che iniziò a partire dalla stessa sera del 30 maggio. Per quanto riguardò le lamentele del Pennella in merito alle deficienze dell'artiglieria, non aveva torto: nella zona del Cengio c'era solamente una batteria di due cannoni da 149, mentre tutti gli altri pezzi per ordini superiori erano stati fatti arretrare in posizione più lontana dalle prime linee. Baj Macario, in questo modo parlò della situazione sul Cengio quel giorno: «Il generale Lequio, preoccupato di salvare i pezzi pesanti superstiti, ordina il ripiegamento delle batterie d'assedio verso il piano. Sul Cengio resteranno soltanto i due pezzi da 149 in caverna a sostenere due batterie del 41° da campagna e sei cannoni da montagna. L'esodo di quelle batterie rende ancor più notevole la sproporzione fra le artiglierie nostre e le avversarie. Sarà una lotta ineguale: fanti contro fanti e cannoni contro fanti e cannoni. Il reggimento d'avanguardia della 34ª divisione, la divisione del Banato di Temesvar, sale sul pianoro del Cengio, e il generale Lavingen assume la condotta dell'azione da Punta Corbin a Cavrari: quel reggimento fresco, combattendo aspramente per tutta la giornata e coll'efficace appoggio dell'artiglieria propria e pesante dei raggruppamenti Janecka e Baumann soverchia un battaglione granatieri e gli strappa alcuni capisaldi presso Conca. Il Comando della nostra 1ª armata ordina di riprendere Punta Corbin: un battaglione granatieri si sacrifica in un contrattacco sfortunato»192. Lasciando da parte l'attacco verso il forte di Punta Corbin, l'azione principale si svolse in direzione della zona di Treschè Conca, Fondi e Cesuna, con l'obiettivo di raggiungere la testata di val Canaglia, da dove si poteva facilmente scendere nella pianura vicentina. L'azione venne intrapresa dalla 28ª divisione di fanteria austroungarica dopo un bombardamento preparatorio iniziato in mattinata verso le trincee da poco approntate dai Granatieri. Dopo il bombardamento le artiglierie allungarono il tiro e le fanterie passarono all'assalto, travolgendo le precarie linee italiane. La zona presa di mira dagli assalti nemici era presidiata dal I battaglione del 2° reggimento granatieri che venne travolto dalle truppe avversarie. Sempre nella mattinata, una compagnia del 2° reggimento genio zappatori, venne travolta e dispersa dall'avanzata nemica mentre stava ripiegando nelle vicinanze di Treschè Conca. La funzione di questo reparto era di collegamento fra l'ala destra del 1° e l'ala sinistra del 2° reggimento Granatieri. Ogni ora che passava la situazione si faceva sempre più critica. Il pericolo che la strada della val Canaglia potesse cadere in mano avversaria era concreto; se ciò fosse accaduto tutte le difese del Cengio sarebbero state aggirate e la via per la pianura vicentina spalancata. Per evitare ciò, si dovevano utilizzare tutte le forze disponibili, cosa che avvenne. A questo punto, al momento del contatto tra le poche forze italiane e le più numerose truppe austroungariche, la lotta si fece aspra e i granatieri in tutti i modi cercarono di arrestare l'avanzata nemica. Tra i protagonisti della vicenda, oltre al generale Pennella, sceso anch'egli in campo a fianco dei suoi soldati ci fu anche il sergente degli alpini, nonché onorevole socialista Leonida Bissolati193. Sull'episodio che vide coinvolto l'onorevole cremonese, vennero pubblicati due articoli, uno sul Messaggero il 4 giugno e l'altro sulla Tribuna. L'articolo del giornale romano riportò in questo modo la versione dell'episodio: «L'onorevole Bissolati è tornato ieri, dalla visita compiuta lungo la fronte del Trentino, e abbiamo appreso da lui circa l'eroica resistenza dei granatieri (dei quali stasera fa menzione il Bollettino del Comando Supremo) un bell'episodio. Le posizioni difese dai granatieri sull'altopiano di Asiago erano state attaccate da forze nemiche soverchianti. I valo192 G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., p. 323. 193 A. Ara, Leonida Bissolati, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vo. 10, Roma, 1968, pp. 694 – 701; I. Bonomi, Leonida Bissolati e il movimento socialista in Italia, L.F. Cogliati, Milano, 1946; R. Collapietra, Leonida Bissolati, Feltrinelli, Milano, 1958; A. Ricci, Leonida Bissolati, in A 90 ani dalla Grande Guerra. Arte e memoria, a cura di G. Accade, C. Strinati, Viviani Editore, Roma, 2005, pp. 71 – 75. 190 Ivi, p. 80. 191 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 98. 142 143 rosi difensori sostenevano l'urto con freddo coraggio: ma, dopo un lungo combattimento, dovevano ripiegare leggermente, per non venire sopraffatti dalla superiorità numerica degli austriaci. Il Generale della Brigata, un figlio ardito e intelligente della provincia di Potenza, corse a prendere le compagnie di riserva, e chiamati a sé gli ufficiali, disse con parola semplice che era giunta l'ora di morire per l'onore della Patria. E, imbracciato un moschetto, si pose alla testa dei suoi. L'onorevole Bissolati, che era presente nella sua divisa di sergente degli alpini, pregò il Generale di farlo partecipare al combattimento; e, com'era naturale, fu esaudito. Gli eroici granatieri, rinforzati dalle compagnie di riserva e rincorati dall'esempio del loro Generale, raddoppiarono di valore e prima resisterono agli assalti nemici e ai fuochi incrociati delle fanterie e dei cannoni, poi presero l'offensiva e ricacciarono indietro il nemico, conservando le loro posizioni. L'aspra lotta, assai sanguinosa, si svolse entro una pittoresca foresta di abeti»194. Non diverso nei toni fu l'articolo firmato dal giornalista Domenico Olivo sulla Tribuna: «I due magnifici reggimenti dei granatieri sono un'altra volta additati all'ammirazione e alla gratitudine del popolo italiano. Il Comunicato del generale Cadorna, che ha la data del 3 giugno, annunziava come la Brigata gloriosa mantenesse strenuamente il possesso del pianoro di Monte Cengio contro insistenti assalti del nemico. E sappiamo che il Generale comandante questi valorosissimi guidò in persona a Supremo cimento due compagnie di riserva, animando i suoi con parole di bellezza antica, e più coll'esempio, coll'impugnare il fucile, col precipitarsi primo a combattere, col compiere ad un tempo officio di capitano e di soldato. Ho il rammarico di non poterne oggi scrivere il nome: egli è un meridionale, nato in Lucania, e ufficiali e soldati l'adorano. I granatieri che sanno il fuoco di certe battaglie, oggi nella guerra riaccesa per l'indipendenza e l'esistenza stessa della Patria italiana, stanno all'antiguardo incrollabili nella difesa, formidabili nell'offesa attestando, rinfrescando la loro gloria secolare col potere del braccio, la forza dell'animo, coll'impeto, col sangue. Esulta il vecchio Piemonte, esulta l'Italia risorta. E rammentando le antiche pagine, contemplando gli odierni eroismi, vecchio Piemonte, Italia risorta, unanimi, in un vincolo fatto di commozione e di ammirazione, di speranza, di certezza, gridano: Vivano in granatieri, vivono le guardi del Re!»195. aggirato il massiccio del Cengio con le sue difese. Verso le ore 14 del pomeriggio, a causa di una crisi nervosa del maggiore Roisecco, si verificò uno sbandamento da parte del battaglione che costò molti prigionieri. A questo punto nel pieno caos della battaglia, il Pennella, chiamò il Tenente Colonnello Anfossi, comandante del II battaglione del 1° reggimento, per chiedergli di inviare nella zona dello scontro, due compagnie agli ordini dei capitani Barberis e Damiani per dar man forte alle truppe del battaglione Roisecco in seria difficoltà. Il capitano Barberis prese il Comando di quello che restava del battaglione di Roisecco mentre a Damiani venne affidato il compito di difendere la zona. Grazie all'entrata in linea di queste nuove forze si riuscì ad evitare lo sfondamento nemico in quella zona. Per la tenace resistenza dei granatieri, la linea non cedette, anche se le forze italiane nel settore erano oramai prossime al crollo. Gli austriaci non colsero l'attimo, forse non capirono che il battaglione Roisecco era allo sbando, dato che non sfruttarono la falla che si era creata nel sistema difensivo italiano. Anche il generale Pennella si pose la stessa domanda, sul perché non ci fu uno sfondamento in quella zona, dato che le linee italiane erano molto deboli. «Poiché gli austriaci non irruppero attraverso la larga falla prodotta dalla consunzione del battaglione Roisecco? Non se ne accorsero? Può darsi. L'intervento delle compagnie Damiani e Barberis assunse il carattere di una continuazione d'azione che doveva considerarsi esaurita? Forse l'esaurimento non apparve evidente agli austriaci per gli atti di estremo valore nei quali si cimentarono i reparti della compagnia Coromini (1ª) e Finzi (8ª) prolungando una agonia che sembrava vigore d'una vita nuova ostinata a non spegnersi? È probabile. Gli austriaci furono sbalorditi della gagliarda resistenza dei granatieri e non osarono approfittare d'una situazione estremamente perigliosa per noi. Rimandarono all'indomani un nuovo attacco e dettero agio a noi di rimediare nella notte alla meglio alla immensa superiorità nemica».196 I rapporti di amicizia fra il generale Pennella e Bissolati proseguirono anche negli anni successivi con delle lettere attestanti la profonda stima che il deputato socialista nutriva verso il generale potentino. Con la forza della disperazione venne respinto l'attacco, l'azione nemica non si concluse. Le truppe austroungariche cercarono di far retrocedere il battaglione del maggiore Roisecco per creare una falla nella linea difensiva italiana nella zona tra monte Belmonte e Malga della Cava. Da questa posizione, attraverso la val di Gievano si poteva giungere alla stazione ferroviaria di Campiello e da lì, sempre attraverso la val Canaglia giungere in pianura avendo in questo modo Nell'azione di monte Barco, secondo i dati riportati nel diario storico del 1° reggimento, le perdite furono tre ufficiali morti, sette feriti e 10 dispersi, mentre per la truppa ci furono sei morti, 57 feriti e 677 dispersi197. Anche in questo caso colpisce l'alto numero dei dispersi. Ad est del massiccio del Cengio, nelle collinette vicine all'abitato di Cesuna era dislocato il 2° reggimento granatieri agli ordini del Colonnello Guido Malatesta. In questa zona, rispetto al monte Cengio c'erano delle trincee in muratura, quindi più solide, presidiate dal battaglione del Tenente Colonnello Bignami con le compagnie 1ª e 3ª agli ordini dei capitani Ruggiero e Maioli. Nel corso dell'avanzata, dopo un violento bombardamento d'artiglieria, le fanterie nemiche passarono all'assal- 194 G. Pennella, Dodici, cit., pp. 89 – 90. 195 Ivi, pp. 90 – 91. 196 Ivi, p. 102. 197 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 107. 144 145 to verso le ore 10 del mattino. L'azione dell'artiglieria nemica fu devastante, in particolar modo nella zona della 3ª compagnia, dove si creò una falla. Il comandante di compagnia ordinò al Sottotenente Pasquale De Leo di tenere la posizione ed anche avanzare. Ad un certo punto alla sinistra del plotone la 3ª compagnia oramai con pochi uomini disponibili dovette arretrare aprendo il fianco all'avversario; a questo punto intervenne il provvidenziale fuoco di due cannoni che ad impedì l'avanzata nemica. Alla conclusione del 30 maggio, giornata difficile, il diario storico dell'unità registra le seguenti perdite: cinque ufficiali morti e 89 feriti, mentre per la truppa 33 morti, 157 feriti e 398 dispersi198. La giornata di combattimenti terminava con la decisione, secondo il generale Pennella alquanto infelice, di spostare le già poche artiglierie presenti nella zona del Cengio in luoghi più arretrati. Nella zona del Busibollo rimase solo una batteria di due cannoni da 149. Lo stesso giorno, nel restante fronte dell'offensiva vi furono degli scontri tra l'ala sinistra della 22ª divisione e la destra della 6ª divisione da una parte e dall'altra dei reparti alpini nella zona della val di Nos e di Campomulo. Inoltre il 14° reggimento bersaglieri dislocato più a settentrione aiutò gli alpini nella fase di ripiegamento contro la 2ª brigata da montagna austriaca. Nel corso della giornata, grazie a degli interrogatori fatti a dei prigionieri italiani, gli austriaci vennero a conoscenza che nella zona del Cengio era entrata in linea la brigata Granatieri e che a nord della Valsugana, gli italiani stavano per abbandonare la conca del Tesino. Nella zona del passo Buole, reparti del XXI corpo d'armata cercò di occupare la zona, ma furono respinte dagli italiani. Il motivo del mancato successo, secondo Schneller, fu dovuto alla scarsa conoscenza del terreno, da parte dei generali Dankl e Pichler.199 Per evitare altre sconfitte, il Comando del Gruppo Armate inviò il seguente ordine al Comando della 11ª Armata: «Il comando dell'11ª armata deve comunicare telegraficamente quali impressioni ha ottenuto sul posto, circa la situazione del XXI corpo: quante sono le perdite complessive subite dal 15 maggio da entrambe le divisioni del medesimo XXI corpo; se, in relazione alla accennata situazione, a quella delle forze combattenti e all'appoggio dell'artiglieria, la prosecuzione dell'attacco in questo settore promette quel successo per il quale sino ad ora, eccellenti truppe sembrarono logorarsi insanamente»200. Una delle preoccupazioni che risulta evidente dalla lettura del diario di Schneller, fu l'arrivo di nuove truppe italiane sul fronte degli altipiani, secondo le informazioni dello Stato Maggiore austriaco, era in arrivo dalla zona dell'Isonzo la 32ª divisione e della brigata Forlì. L'entità delle forze italiane, secondo gli austriaci era di 23 brigate già stanziate e di altre 10 in arrivo.201 Il generale Zoppi chiese dei rinforzi e ottenne che la brigata Trapani (144° e 149° reggimento): agli ordini del colonnello brigadiere Emilio De Bono202, facente parte della costituenda 5ª Armata potesse esser impiegata nell'altipiano di Asiago. A partire dalle prime ore del 31 maggio la lotta imperversò nuovamente nella zona del Cengio. Durante la notte il 154° della Novara era stato posto alle spalle dei Granatieri nella zona di monte Paù, sul fianco sinistro della val Canaglia. Questa, dislocazione del reggimento di fanteria non fu ben accolta dal generale Pennella e nemmeno dalla brigata in generale. Il provvedimento fu interpretato come la volontà da parte degli alti Comandi italiani, di non dislocare nella zona del Cengio nuove forze; in questo modo i Granatieri di Sardegna, erano abbandonati al loro destino. Per risolvere questa debolezza nel sistema difensivo Pennella ordinò che il 212° reggimento della brigata Pescara, appena giunto nell'altipiano di Asiago, si disponesse tra i reparti granatieri che formavano il presidio del Cengio e quelli sulle pendici di monte Barco. Nel corso della mattinata al Comando dei granatieri giunse un ordine che agli occhi di Pennella sembrò assurdo; la riconquista di Punta Corbin. «Nelle distrette di una situazione penosa, che poteva sembrare disperata, mentre si riusciva a fronteggiarla solo per le superiori virtù di truppe che s'erano votate tutte all'estremo sacrificio, e compivano miracoli di valore sovrumano, mi giunse l'ordine di rioccupare Punta Corbin. Per un momento mi sembrò d'impazzire e fui preso dall'impeto disperazione. Ma presto ritornai in me: l'immagine santa della Patria mi calmò e mi infuse come un coraggio nuovo, nuovo ardore, e quella serena calma, senza la quale non è possibile esercitare degnamente un qualunque comando. Pensai che, poiché mi mancavano gli elementi di tutta quanta la situazione generale, io non ero in grado di valutare al loro giusto valore le ragioni per le quali l'ordine mi veniva impartito. Io avevo un solo dovere: quello di obbedire e di trasfondere nell'esecuzione dell'ordine, pur se ritenuto assurdo, la convinzione contraria che aveva guidato l'autorità superiore ad emanarlo. Se ne fosse conseguito un nuovo immane sacrificio di vite umane, come era avvenuto nel primo attacco per il battaglione Camera, quel sacrificio sarebbe stato benedetto perché impostato dalla Patria adorata!»203 Pur non essendo d'accordo Pennella impartì l'ordine al Colonnello Albertazzi, il quale predispone l'inizio dell'attacco alle ore 13.30, ma a quell'ora iniziò un 201 Ibidem. 202 M. S. Finkelstein, Emilio De Bono, in Uomini e volti del fascismo, a cura di F. Cordova, Bulzoni, Roma, 1980, pp. 175 – 212; F. Fucci, Emilio De Bono, il maresciallo fucilato, Mursia, Milano, 1988; E. Valleri Scaffei, Emilio De Bono, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 33, Roma, 1987, pp. 411 – 419. 203 G. Pennella, Dodici, cit., p. 110. 198 Ivi, p. 109. 199 K. Schneller, 1916, cit., p. 244. 200 Ibidem. 146 147 accanito bombardamento d'artiglieria che fece sospendere l'azione. A questo punto per rendersi meglio conto della situazione sul campo di battaglia, Pennella si portò sul Cengio, dove trovò il Colonnello Albertazzi. Alle ore 14.30 iniziò l'attacco nemico sotto un fitto bombardamento d'artiglieria. Ad una prima occhiata sia il generale Pennella che il Colonnello Albertazzi, videro delle truppe vestite con uniformi verdi, simili a quelle dei bersaglieri gridando parole in italiano, questo provocò una certa incertezza da parte del Comando italiano, perché non si capiva se questi militari erano italiani o austroungarici. «Rammento che le pattuglie austriache avanzavano, vestite da bersaglieri, con provocante imprudenza, dandoci la voce in italiano, come se ci chiamassero gridando a squarciagola. Eravamo in gruppo, io, il colonnello Albertazzi, il capitano Lugli, il capitano Ponticelli e ''Scipio''. Questi, per convincersi se avesse da fare con italiani o austriaci cominciò a rispondere, gridando: ''Chi sei? Come si chiama er tu capitano?'' E poiché apparve chiarissimo che eravamo di fronte a indegni soldati austriaci camuffati da bersaglieri italiani, ''Scipio'' esclamò inferocito: ''Quasi quasi te sparo 'na fucilata''. E ne sparò quelle di due o tre caricatori. Frattanto notammo che gli uomini di quelle pattuglie avanzavano agitando delle banderuole di diverso colore, con le quali segnalavano all'artiglieria dove dovessero dirigere il tiro. Certo è che raffiche più violente ed aggiustate di pallette e schegge di shrapnel ci caddero intorno. Dovemmo la nostra salvezza alla conoscenza perfetta che il Capitano Ponticelli aveva di quel terreno, se restammo incolumi. Spostandoci di roccia in roccia e defilandoci con abilità riuscimmo a sottrarci alla zona maggiormente investita. Era tempo! Non c'era un minuto da perdere: altro che attaccare punta Corbin! Bisognava manovrare e prontamente per difenderci, se volevamo sperare di continuare a rimanere padroni del Cengio»204. La situazione si faceva sempre più difficile; per prima cosa ci fu un riordinamento delle forze disponibili, oltre alle truppe del presidio del Cengio del Capitano Morozzo della Rocca entrarono in linea il battaglione Pirola del 212° reggimento fanteria e il battaglione Ricciardi, del 142° reggimento della brigata Catanzaro, che si dislocarono nello spazio tra i militari di Morozzo della Rocca e quelli di Anfossi. Grazie all'utilizzo di queste forze fresche, il nemico fu respinto. Gli austriaci non si accontentarono di attaccare il monte Cengio, ma l'azione si sviluppò anche verso il monte Belmonte con l'obiettivo di arrivare in val Canaglia. Dopo l'intensa preparazione delle artiglierie, il 101° reggimento e la 28ª divisione austroungarica passarono all'attacco. Dei tre assalti risolutivo, fu il terzo svolto attorno alle ore 15. Le forze austroungariche riuscirono ad accerchiare le truppe italiane per poi effettuare un'infiltrazione nelle linee nemiche. Le due compagnie granatieri, 13ª e 15ª vennero separate, creando un pericoloso buco nelle difese italiane. Le due unità oramai sopraffatte subirono molte perdite e molti uomini caddero in mano nemica. Alle ore 17 il pericolo di uno sfondamento avversario era sempre più prossimo. Le truppe del maggiore Anfossi (che fino ad allora non erano state impegnate nel combattimento) entrarono nella mischia, comprese anche le due compagnie della riserva generale. Alle ore 18, grazie all'apporto determinante delle nuove forze e della sezione mitragliatrici del 2° battaglione granatieri, la falla nella linea di difesa italiana venne chiusa. Tra i militari che caddero prigionieri ci fu anche il Sottotenente Gianni Stuparich, triestino, fratello di Carlo, suicidatosi il 29 maggio per non cadere in mano nemica. Rispetto ai più noti casi di Cesare Battisti e Fabio Filzi, che catturati dagli austroungarici, vennero giustiziati per aver disertato dall'esercito asburgico, nel caso di Stuparich, non venne riconosciuto dagli austroungarici come un irredento e una volta terminata la guerra tornò in Italia. Durante la giornata combattimenti si svolsero anche nella zona della stretta di Fondi, dove il battaglione del Tenente Colonnello Bignami assieme a quello del tenente colonnello Mogno della brigata Pescara e alla Compagnia zappatori riuscirono, a fronte di molte perdite, a mantenere le loro posizioni. Le perdite del 1° reggimento granatieri ammontarono a quattro ufficiali morti, uno ferito e 14 dispersi, mentre per la truppa ci furono 11 morti, 52 feriti e 598 dispersi205. Minore furono le perdite del 2° reggimento: quattro ufficiali morti, quattro feriti e quattro dispersi, mentre per la truppa otto morti, 114 feriti e 294 dispersi206. La giornata del 31 maggio, come quella precedente si chiuse con un nulla di fatto da parte austroungarica, dato che pur essendo molto vicini a far capitolare le difese della zona del Cengio non vi riuscirono grazie alla strenua difesa delle forze italiane. La situazione che si prospettava per i giorni successivi non era delle migliori, il logoramento delle forze sempre più evidente, i rifornimenti scarseggiavano, con questi presupposti la tenuta della linea italiana senza rinforzi aveva le ore contate. Nella zona del Pasubio, la lotta infuriò in val Posina dove la 59ª divisione di fanteria austroungarica assieme ai Kaiserjäger cercarono inutilmente di aprirsi un varco in direzione di Malga Campiglia, mentre il gruppo Müller scendendo dal monte Cimone non riuscì ad oltrepassare il torrente Posina, contrastato dal 21° reggimento fanteria. In Val d'Astico e nella valle del Posina le truppe della 9ª divisione e la Bisagno riuscirono ad arrestare l'avanzata nemica. Il diario storico della 1ª armata, dedicò parecchio spazio alla trattazione della situazione nel settore di competenza del V Corpo, in particolar modo nel settore del Cengio. «Intanto dal Cengio sono discese, come da ordine dato ieri dal comando d'Armata, le batterie di medio calibro, tranne quella da 149 G in caverna. Il comandante della brigata granatieri ha però trattenuto presso Campiello la batteria da 149 S, e siccome S.E. il generale 205 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 118. 206 Ivi, p. 120. 204 Ivi, p. 111. 148 149 Lequio ha manifestata l'intenzione di riprendere il Monte Corbin e di tenere il Cengio ad ogni costo, così S.E. il generale Zoppi comunica che non sarebbe alieno dal lasciare colà l'ora detta batteria, ed anche eventualmente rimandarvi quella già discesa. Il Comandante dell'Armata, interpellato anche S.E. il generale Lequio, annuisce che sia lasciata la batteria trattenuta dal Comando dei Granatieri, ma non ritiene sia il caso di rinviare lassù quella già discesa, sia essenzialmente per le enormi difficoltà del traino, sia perché le batterie da 105 possano concorrere, molto utilmente anche dal basso. S.E. Zoppi stabilisce una nuova sistemazione della fronte del Corpo d'Armata, in modo che ogni divisione venga ad avere una fronte più ristretta e possa così avvicendarsi, in prima linea la propria truppa. Per assicurare ad ogni costo la linea Xomo – stretta Astico, il Comandante dell'Armata ravvisa indispensabili disporre di ulteriori rinforzi e lo espone a S.E. Cadorna, il quale accorda le rimanenti forze della 32ª divisione, avvertendo però dopo di ciò non potrebbe assegnare altre truppe e senza pregiudicare la situazione generale»207. Per dar man forte alle truppe del V Corpo d'Armata oramai logore, il Comando Supremo inviò nell'alto vicentino, il X Corpo d'Armata, proveniente dal fronte isontino. La grande unità agli ordini del generale Domenico Grandi208, già ministro della guerra, con sede a Thiene aveva a sua disposizione le seguenti unità: - 19ª divisione (generale Gustavo Fara209); • brigata Padova (117° - 118° fanteria); • brigata Catania (145° - 146° fanteria); • 21° artiglieria da campagna. - 20ª divisione (generale Zuppelli Vittorio); • brigata Pistoia (35° - 36° fanteria); • brigata Pescara (211° - 212° fanteria); - 14° bersaglieri; - 4 squadroni cavalleggeri Piacenza; - 34° artiglieria da campagna. Da parte austroungarica, le azioni del 31 maggio furono viste in modo diverso rispetto a ciò che scrisse il comandante della brigata Granatieri: «La giornata odierna viene a stabilirsi in modo particolare al centro di una serie di grandi successi. All'ala destra la situazione è discretamente stabile. Presso il XXI corpo i Landesschützen sono riusciti a stabilirsi su un rilievo roccioso a sud – est di Cima Salviata; le perdite subite da questa divisione non sono poi così gravi come sembrava, perché finora raggiungono appena il 13% degli organici. L'VIII corpo non procede nella zona 207 A.U.S.S.M.E., fondo «Diari storici 1ª guerra mondiale», repertorio B – 1, racc. 105/B, diario storico della 1ª armata, 31 maggio 1916. 208 AA.VV., Domenico Grandi. Generale, Ministro, Senatore, Bonacci, Roma, 1988; P. Amato, Il generale Domenico Grandi, in Studi Storico - Militari 1981, Roma, 1982. 209 A. Brogi, Gustavo Fara, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, vol. 44, Roma, 1994, pp. 757 – 758. 150 Campiglia – Colle Xomo – Betale; gli italiani esercitano sforzi disperati contro le nostre posizioni, le quali impediscono il passaggio dei rifornimenti loro verso il Pasubio. Oggi il XX corpo deve attaccare a ovest del Priaforà, con l'8ª divisione e ad est con la 3ª; in realtà quest'ultima è penetrata a sud di Arsiero fin presso Maso. Una brigata della 9ª divisione, fin qui considerata quale riserva d'armata, verrà trasferita al XXI corpo (Dio sia lodato!), ma bensì all'VIII in Val Terragnolo. 3ª Armata: secondo una comunicazione pervenuta a tarda ora, la 34ª divisione si è portata molto avanti: il monte Cengio che domina estesamente la Val d'Astico è preso, come pure il Monte Belmonte. Il III corpo ieri ha occupato Gallio, Monte Ongara e Monte Baldo. Le avanguardie della 6ª divisione oggi avanzano ai lati di Malga Mandrielle. Sembra che il nemico tolga dal settore di Plava l'interno II corpo»210. Per un errore di informazioni, il Comando a Teschen aveva avuto la notizia errata dalla conquista del monte Cengio, mentre per le altre notizie erano corrette. Gli austriaci rispetto alle forze italiane dislocate nella zona erano molto più numerosi e soprattutto disponevano di artiglierie che potevano facilmente distruggere le trincee avversarie e così spianare la via alle fanterie. Pennella, per frenare l'avanzata pensò di rafforzare le linee difensive meglio possibile. Il primo punto della nuova linea progettata da Pennella, era il pieno e saldo possesso della cima di monte Belmonte, dove l'occupazione della posizione da parte italiana era precaria. Essa era scoperta e facilmente visibile anche dagli avversari, soggetta al tiro d'artiglieria, un'azione italiana di giorno era impensabile. Il Pennella sapendo dell'arrivo di nuove forze, (due compagnie del 142° reggimento) ordinò un'operazione da svolgersi durante la notte alle truppe del Colonnello Ratti. L'obiettivo di tale azione era di consolidare la linea difensiva e ricacciare dalla cima le truppe austriache che stavano predisponendo delle trincee. L'attacco ebbe inizio verso la mezzanotte e vide come protagonisti sia gli uomini della Catanzaro che alcuni nuclei di Granatieri. Il risultato di ricacciare gli austriaci da quelle posizione ebbe successo, anche per la sorpresa dell'azione italiana. Pur con questo successo la situazione complessiva non era migliorata: le truppe italiane, insufficienti come numero, ed oramai logore dopo molti giorni di combattimenti davano segnali di cedimento. Il capitano Morozzo Della Rocca espose le sue preoccupazioni al suo diretto superiore, il Colonnello Albertazzi nel seguente modo: «Non era possibile tirare innanzi tra continui, accaniti combattimenti con truppe sfinite, senza viveri e con scarse munizioni. Il frammischiamento dei reparti dovuto alle varie fasi delle azioni e al sopraggiungere saltuario dei rinforzi, rendeva difficile agli ufficiali tenere alla mano i reparti ed ottenere il rendimento voluto. Infine, oltre la mancanza di viveri e di munizioni, l'assenza assoluta della nostra artiglieria, deprimeva l'animo dei combattimenti e ne diminuiva grandemente la resistenza»211. 210 K. Schneller, 1916, cit., p. 256. 211 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 122. 151 Non molto diversa era l'idea del generale Pennella, il quale diceva che «la loro insufficienza era resa manifesta, pel fatto che, specie in granatieri di Morozzo, sottostavano da alcuni giorni alla incessante pressione dell'avversario, avevamo subito perdite abbastanza notevoli e cominciavano a risentire gli effetti delle grandi privazioni e della lunga tensione nervosa, per quanto sostenuti da uno spirito indomito di sacrificio e da una grande forza morale»212. Durante la giornata, man mano che passavano le ore, la pressione del nemico verso il Cengio era sempre più forte, tanto che in alcuni momenti la linea sembrò cedere. Nel corso del combattimento ci fu un tentativo di ammutinamento di un non ben precisato reparto italiano. Questo fatto non aveva creato una falla nelle difese italiane e quindi per evitare delle infiltrazioni da parte degli avversari Pennella ordinò che tutte le riserve disponibili del sottosettore, vale a dire le tre compagnie della brigata Catanzaro, andassero a posizionarsi nella zona di monte Belmonte. L'attacco nemico non si diresse solamente verso monte Belmonte, ma si rivolse anche verso la zona compresa tra Malga della Cava e monte Cengio. In quel territorio, c'erano dislocati il gruppo agli ordini del Colonnello Albertazzi e quello del Tenente Colonnello Anfossi attaccato dalla 67ª brigata di fanteria austriaca. L'azione d'attacco ebbe inizio attorno alle 16.30 investendo prima monte Barco, che viene agevolmente conquistato dagli austroungarici per poi passare attraverso la val Barchetto, incunearsi tra le forze di Anfossi e quelle di Albertazzi. I fanti austroungarici giunti in val Barchetto, piazzarono una mitragliatrice che batteva la strada che saliva dalla val Canaglia, unica via di rifornimento per le truppe italiane stanziate sul Cengio. Con questa nuova soluzione da parte del nemico, i reparti sul Cengio furono isolati, si riuscì a portar delle munizioni e dei viveri solo grazie all'adattamento di un piccolo sentiero che dalla rotabile del Costo giungeva non senza difficoltà sulla cima del Cengio. Un'altra azione austriaca si sviluppò nella zona di monte Panoccio, dove le truppe italiane riuscirono a contenere l'attacco, pur lasciando al nemico oltre 600 prigionieri213. Nel pomeriggio, giunse al Comando di Pennella, una buona notizia, l'arrivo di un reggimento della brigata Trapani, proveniente dalla zona di Campiello. Il reggimento doveva rafforzare la zona di raccordo fra il Cengio e monte Belmonte. Questa decisione presa dal Comando della 1ª Armata, fu ben accolta dal generale Pennella, il quale verso le 22 assieme al generale De Bono, ridisegnò la dislocazione delle forze, dato che un battaglione della brigata di fanteria doveva posizionarsi sul monte Cengio dando il cambio alle truppe dei granatieri oramai logore, il secondo a malga Barco per ricacciare gli austriaci infiltratisi con la mitragliatrice ed infine il terzo tra malga 212 G. Pennella, Dodici, cit., pp. 123 – 124. 213 Ivi, p. 126. 152 Cava e Belmonte a rinforzo delle truppe già in campo. Durante la giornata del 1° giugno, il diario storico del 1° reggimento segnò le seguenti perdite: quattro ufficiali feriti e due dispersi, mentre per la truppa sei morti, 10 feriti e 21 dispersi214. Nel resto del fronte dell'offensiva austriaca si segnalarono un attacco sul massiccio del Pasubio nella zona di monte Spin, dove una flessione del 220° reggimento provocò una falla che venne tamponata grazie all'arrivo di altre truppe in rincalzo. La 3ª divisione di fanteria austroungarica spinse in avanti due reggimenti nella zona dei Colletti di Velo e di Velo d'Astico, che però tali truppe cozzarono contro la linea fortificata dei Colletti, dove erano stanziate le batterie d'artiglieria che controllavano e battevano la sottostante valle dell'Astico. Il generale Horsetzky, comandante della 3ª divisione: «ci scrive che la sera del 1° giugno l'attacco in Val d'Astico aveva urtato contro una posizione fortificata. Le sue truppe furono letteralmente fracassate dai fuochi incrociati delle batterie italiane delle caverne di Schiri e ai due lati del Colletto Piccolo: era impossibile sfondare. Echeggiava per la valle il vociare degli italiani andati sui monti che vedevano rotolare sotto i loro piedi gli assalitori. Le truppe fecero ogni sforzo ed egli sorprese l'attacco solo per ordine superiore».215 Stessa sorte toccò alla 44ª divisione di fanteria austroungarica che venne fermata dalle difese italiane alla confluenza del torrente Posina coll'Astico. Sull'altipiano di Asiago, oltre alla battaglia sul Cengio, vi furono degli sporadici combattimenti nella zona delle Melette, dove la brigata Etna non potè avanzare in direzione di Casera Meletta, mentre il tentativo di avanzata verso Asiago della brigata Lombardia è fermato sul nascere. Nella zona delle Melette si dislocò il gruppo alpino Foza con i nuovi reparti, Val Cernischia e Maccarello e con il 14° reggimento bersaglieri costituì il gruppo di collegamento agli ordini del generale Barco, alle dipendenze del 17° Corpo d'Armata216. Secondo le informazioni raccolte da Baj Macario «apprendiamo che gli imperiali oltre l'armata di attacco (11ª) forte di quattro corpi d'armata; dispongono di una armata detta di inseguimento agli ordini del generale Kövess, costituita da truppe sceltissime e largamente dotata di cavalleria per agire nel piano; si parla addirittura di 30.000 sciabole. Vengono portati in situazione altri 48 battaglioni nemici con un totale di 262 per tutto il Trentino. Cadorna ritiene critica la situazione sugli altipiani perché manchiamo di artiglieria: i francesi hanno promesso duecento cannoni ma non li hanno ancora consegnati, certe batterie sono inutilizzate per mancanza di proietti»217. 214 215 216 217 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 128. G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., p. 330. Ivi, p. 333. Ivi, pp. 333 – 334. 153 Il tenente colonnello Schneller, dalle informazioni raccolte pensò che data la ritirata delle forze italiane dal fronte, la vittoria per l'impero asburgico sarebbe stata molto vicina. Gli italiani, secondo l'alto ufficiale erano allo sbando, in completo stato di caos, quindi bastava poco per aver ragione di un avversario in quelle condizioni . I pensieri molto positivi da parte del Colonnello Schneller non si avverarono, ma rimasero solo un sogno, dato che non ci fu nessun scontro in pianura e nemmeno il conflitto fu vinto dall'impero asburgico. Il 2 giugno; la situazione che si presentò agli occhi del generale Pennella fu la seguente: «Quale diretta conseguenza del mancato arrivo del reggimento della brigata Trapani nella notte del 1° giugno, la situazione del sottosettore di sinistra si presentò, all'inizio del giorno due gravida d'incognite e di difficoltà. Gli eroici sforzi della Brigata granatieri e delle magnifiche fanteria con essa gareggianti in valore, che per un momento sembrò dovessero andar in gran parte perduti, per mancanza di alimento e di vita nel sostenere la situazione. Le truppe a Monte Cengio e Cesuna sono addirittura esauste; sul rimanente della fronte, tranne qualche reparto fra gli ultimi giunti, sono pure esse stanche e stremate per le lunghe veglie e la scarsezza di rifornimenti; soprattutto nuoce l'enorme difficoltà che incontra il frazionamento dei reparti sulla linea. La totale assenza di ogni riserva, dovuta al fatto che vennero impiegate la sera del 1° giugno le ultime tutte compagnie disponibili, per la certezza dell'allora imminente arrivo di rinforzi che, poi all'ultimo momento non giunsero, rende ancora più difficile e precaria la situazione. Tuttavia gli spiriti sono ancora alti: i Comandi compiono sforzi di fermezza e di energia superiori ad ogni elogio; le truppe – ufficiali e gregari – vi corrispondono degnamente battendosi da leoni; in tutti è vero, ardente, incrollabile, la volontà di trionfare di ogni avversità e di salvare la disperata situazione. Più assai che nei giorni precedenti continua senza tregua durante le ore che precedono l'alba di questo giorno, l'azione vivacissima della fucileria e, ad intervalli, anche quella dell'artiglieria: il crepitio è ardente ed incessante, da un capo all'altro della fronte»218. Durante la giornata il problema più gravoso da risolvere fu quello dei rinforzi e del rifornimento agli uomini stanziati sul Cengio. Il problema più grosso, non di facile soluzione, era di ricacciare gli austriaci con le mitragliatici puntate in direzione dell'unica strada che raggiungeva il Cengio dalla pianura: quella del Costo. L'azione poteva aver successo solo con l'utilizzo di nuove forze dato che il logoramento dei granatieri e della Catanzaro era oramai molto forte. Nella situazione nella quale si trovavano le truppe italiane, il fattore tempo era determinante, quindi Pennella, non potendo effettuare un'azione contro gli austriaci, attraverso la mulattiera che partiva da Campiello fece giungere alle ore 24.40 in quota 32.000 cartucce, 20 casse di scatolette di carne in conserva, 10 casse di gallette, rancio caldo, pane, acqua e generi di con218 G. Pennella, Dodici, cit., p. 131. 154 forto per mille uomini219. Pennella avvertì il Colonnello Albertazzi che nella zona di Belmonte c'era un battaglione completo del 141° reggimento e che dovevano giungere entro le quattro di notte altri due battaglioni dello stesso reggimento220. Nel corso della mattinata, vi furono azioni non significative da parte dell'artiglieria e della fanteria nemica, ma sufficienti a far capire al Comando della brigata che la pressione nemica stava aumentando e che un nuovo attacco si stava preparando. Dopo alcune ore, verso le ore 19, giunse in zona un battaglione del 144° fanteria appartenente alla brigata Trapani. Il compito di questo reparto doveva esser quello di cacciare le mitragliatrici austriache dalle posizioni dominanti la strada del Costo. Per il buon successo dell'azione necessitava l'artiglieria e Pennella ipotizzò di poter utilizzare una sezione di artiglieria da montagna che fino ad allora era dislocata nella zona di monte Paù; l'azione secondo i piani del generale doveva svolgersi nella mattina seguente. All'interno dei vari Comandi italiani regnava un certo caos, un esempio di ciò fu l'indecisione del generale De Bono il qualche chiese al suo collega Pennella, se doveva rimanere a monte Paù oppure far avanzare le proprie truppe verso il Cengio. «Il generale De Bono, che per precedenti disposizioni dell'Autorità superiore, avrebbe dovuto farmi arrivare a Campiello nella serata gli altri due battaglioni del 144° reggimento, mi avverte invece alle ore 20.30 che essi si trovano a Monte Paù dalle ore 12 circa, che hanno consumato il rancio, che gli pare essere desiderio dell'Autorità superiore dalla quale egli dipende, che rimangano a Monte Paù, e chiese ad ogni modo conferma se debbano proseguire per Campiello, dichiarando che i battaglioni sono pronti alla partenza. Io confermo non soltanto l'ordine, ma faccio presente all'ottimo amico De Bono l'assoluta necessità che almeno un battaglione giunga al più presto a Campiello, per essere spinto approfittando delle notte al Monte Cengio. Invece, tale battaglione s'ignora per quale ragione, giunge a Campiello solo alle sette circa del mattino seguente»221. Per rinfrescare le idee al Comando della 30ª divisione, Pennella inviò una relazione nella quale spiegò dettagliamene la reale situazione delle truppe sul Cengio. Si chiedeva con forza l'arrivo di nuovi rinforzi. In allegato alla relazione c'era anche una breve memoria del capitano Morozzo Della Rocca, incentrata sulla zona del Cengio. «Il sottoscritto nell'interesse della continuazione della difesa ad oltranza di Monte Cengio, crede suo dovere di fare subordinatamente presente a codesto Comandi i gravi inconvenienti a quali è necessario porre rimedio perché, in caso contrario, la truppa non potrebbe più a lungo resistere. Essa è costituita da diverse frazioni di reparti differenti: vi 219 Ivi, p. 132. 220 Ivi, p. 133. 221 Ivi, pp. 133 – 134. 155 sono, per gran parte granatieri del 3° battaglione del 2° reggimento, i quali dispersi dopo l'operazione del 30 maggio a Punta Corbin. È truppa scossa e senza quasi Ufficiali, perché caduti gloriosamente sul campo. Ciò rende impossibile il funzionamento del governo disciplinare, dei servizi di compagnia e di vettovagliamento, specie quando i gregari si trovano frammischiati come ora, in causa del contrassalto del 31 maggio. Per evitare gravi conseguenze, sarebbe necessario sostituire tutta questa truppa, quasi priva di ufficiali, con un battaglione organico, per modo che il servizio possa funzionare ed il Comando possa esser coadiuvato. La truppa è sfinita per la lunga insonnia e per la mancanza di viveri e dell'acqua. Occorrono munizioni»222. Significativa fu la risposta da parte del Comando Truppe Altopiano alla richiesta di forze fresche fatto da Pennella: «Si riconosce, col più vivo compiacimento, la valorosa condotta di V.S. e delle truppe dipendenti. E se l'operazione avrà buon esito, non mancherà di dare tutto il suo appoggio perché il giusto merito abbia adeguata ricompensa. Si conferma che questa sera arriverà un'intera Brigata ed aliquote divisionali».223 Questa comunicazione pervenne al Comando brigata alle ore 11.45, alcune ore più tardi, giunse un nuovo dispaccio da parte del Comando della 30ª divisione che erano imminenti dei nuovi rinforzi, una brigata. Il fonogramma inoltre esortava i granatieri a tener duro per alcune ore, dopodichè ci sarebbe stato il tanto invocato cambio nelle linee del Cengio. Alle ore 20.30 giunse a Campiello il generale Ristagno, comandante della 32ª divisione, col suo stato maggiore, parlò con Pennella e lo rassicurò che entro il giorno successivo sarebbe giunta l'intera divisione e che avrebbe dato il cambio ai granatieri. Durante la giornata all'interno del Comando italiano c'erano stati dei cambiamenti e delle buone notizie; il Colonnello de Gondrecourt ed altri ufficiali francesi avevano assicurato che stavano per arrivare dalla Francia delle mitragliatrici, prezioso materiale per il proseguo dei combattimenti. Da voci di corridoio risultava quasi certo che il 4 giugno il generale russo Brussilof avrebbe attaccato in Galizia. In quello stesso giorno Cadorna, diede il seguente ordine alla 1ª Armata: «prima fase: consolidare al più presto la situazione specie sull'Altopiano di Asiago assicurando il possesso del Cengio, pel quale scopo egli assegna la 33ª divisione e il comando del XXIV corpo d'armata; seconda fase: ottenuto tale risultato si dovrà impegnare nella regione montana la lotta per battere e ricacciare l'avversario; il XX corpo d'armata rinforzando il gruppo di collegamento punterà verso il contrafforte della Portule. Si deve predisporre l'impianto dei servizi logistici e il suo trasporto sull'altipiano»224. 222 Ivi, pp. 135 – 136. 223 Ivi, pp. 136 – 137. 224 G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., p. 339. 156 L'ordine risultava assai ambizioso e non teneva conto della reale situazione sul campo di battaglia, era quasi impossibile con le forze disponibili poter giungere alla riconquista del Portule in poco tempo. Da parte austriaca, proveniente dalla val Posina, la 6ª brigata da montagna e reparti della 180ª brigata riuscirono ad occupare la cima di monte Alba ma non potevano avanzare oltre perché trovarono una forte resistenza italiana. Dal Priaforà, le truppe del Colonnello Merten fecero un tentativo di conquista verso monte Giove, venendo respinti dai reparti italiani della 35ª divisione. Non solo in montagna si stavano effettuando nuove dislocazioni di truppe ma anche a fondo valle: tra Piovene Rocchette e Castrano a cavallo del corso del fiume Astico c'era la 20ª divisione a protezione della pianura vicentina in caso di discesa dell'avversario dalla montagna. Per fare in modo di alleggerire la pressione nemica nella zona di monte Cengio il Comando della 1ª armata ordinò di effettuare delle operazioni da parte del 18° Corpo d'Armata nella zona di Marcesina e i battaglioni alpini Moncenisio e Morbegno verso monte Sbarbatal e Meletta di Gallio e il 14° reggimento bersaglieri all'Osteria della Barricata e all'Alpe Laghetti. Tutte queste azioni non ebbero successo. Alla sera gli austriaci passarono all'attacco nella zona delle Melette, dove la 22ª divisione riesce a fare arretrare la brigata Etna nella nuova linea monte Sisemol – Stenfle – Xaibena – falde meridionali della piana attorno a Foza. Durante la sera gli austriaci riuscirono ad intercettare dei messaggi fra i reparti italiani e partono all'attacco con l'8ª brigata da montagna che riesce a provocare un varco fra le forze italiane dislocate vicino a malga Campomulo. La notte tra il 2 e il 3 giugno non fu tranquilla, dato che gli austriaci stavano premendo nella zona di Cesuna nel territorio di competenza del battaglione del Tenente Colonnello Bignami. L'aumento della spinta offensiva austriaca sull'altopiano di Asiago era dovuto al fatto che dal Comando del XX Corpo d'Armata erano stati mandati nella zona del Cengio due battaglioni di truppe da montagna Schützen proveniente dalla sottostante valle dell'Astico. Tali truppe, secondo gli intendimenti del Comando di Corpo d'Armata, dovevano già essere operative per il 2 giugno, ma a causa di problemi dell'artiglieria, entrarono in azione solo il giorno successivo. All'alba la giornata si presentava bellissima, limpida e con il sole, situazione ottima per un attacco in grande stile da parte degli austroungarici. La prima parte dell'attacco investì la quota 1152 di Cesuna che era difesa dal 1° battaglione del 2° reggimento granatieri del Tenente Colonnello Bignami. Lo scontro tra i granatieri e i bosniaci del 23° e 28° battaglione Feldjäger della 28ª divisione, ebbe inizio verso le nove di mattina. Data la scarsità di truppe italiane, che dovevano difendere un fronte di circa due chilometri e mezzo con quattro compagnie, le truppe bosniache riuscirono ad infiltrarsi tra le forze italiane, aggirarono i granatieri raggiunsero il monte Busibollo e lì cat157 turarono le batterie del capitano Balocco. Con questa azione, la situazione per i difensori della quota era ancora più compromessa. Senza artiglieria che poteva almeno rallentare l'avanzata nemica, ai granatieri non restava altro che la lotta corpo a corpo. Perse le batterie, la lotta si concentrò attorno alla cima 1152 dove due plotoni al comando del Sottotenente Verdecchia si frazionarono in piccoli gruppi, facendo il gioco dell'avversario che si infilò nei vari varchi della linea italiana e giunse nel tentativo disperato di respingere i bosniaci anche l'ultimo plotone disponibile della 70ª compagnia del genio, agli ordini del Capitano Intini. Il Comandante del settore italiano, non riusciva più a comunicare con i reparti e quindi mandò in linea tutti gli uomini che aveva a sua disposizione. «Poiché non mi era più possibile di abbracciare il complesso della situazione e dirigerla, né di ricevere informazioni dal punto dove l'urgenza del bisogno aveva reclamato la mia presenza, feci entrare in linea l'ultima riserva che mi rimaneva: i conducenti della sezione mitragliatrici, e ritornai al mio posto di comando, venti o trenta passi dietro la linea di fuoco e un poco più in basso per aver notizie di riparti lontani. Trovai infatti prima un biglietto del capitano Ruggero Giunio, e poi il suo portaordini, che richiedevano rinforzi, ma io non avevo più un solo uomo disponibile. In questo momento il battaglione veniva avvolto letteralmente dal fuoco di fucileria. Sul fronte, da numerosi reparti; a tergo da una linea di uomini appostati sul declivio del Busibollo; a sinistra da tutta la dorsale di Belmonte, sulla quale erano entrate in azione due mitragliatici. Per uno dei varchi fra la 2ª e la 3ª compagnia, calava intanto e si dirigeva verso la caverna destinata al Comando del battaglione, con l'evidente proposito di impadronirsene, un plotone avversario guidato da un ufficiale. Colà si erano frattanto raccolti una cinquantina di feriti, fra i quali Ghera, Gasparella e altri. I gruppi nemici erano giunti avanzando, a non più di un centinaio di metri dalla caverna. Ebbi immediata la tragica visione di ciò che stava per accadere. Non mi perdetti d'animo però ed armatomi di fucile, mi piantai ritto sull'ingresso della caverna e .- deciso a vender cara la pelle – sparai contro l'ufficiale austriaco, atterrandolo al primo colpo (testimone il caporale Caprioli). Diressi quindi l'arma contro i più audaci ed in pochi colpi riuscii ad atterrare quattro a pochi passi dalla grotta (testimone il ciclista Gardinazzi). Il Sottotenente Ballardi, mio aiutante maggiore, faceva intanto fuoco colla rivoltella. Il sottotenente Capocci, riuscito a sfuggire alla cattura, armato di un fucile mi correva incontro per aiutarmi ad opporre un'ultima disperata difesa. Essendosi però gli troppo scoperto, fu colpito in pieno petto, a bruciapelo da una fucilata nemica. Cadde riverso ai miei piedi e nel medesimo istante veniva investito da una scarica di fucileria, che lo colpiva alla testa e nuovamente al petto. Esalò al mio fianco l'ultimo respiro col nome dell'Italia sulle labbra! I feriti ed i morenti, il sottotenente medico Pagliuso, dall'interno della grotta, invocavano supplicando insistentemente che smettessi di tirare perché cessare l'eccidio. Ma io, esasperato e acceso da sdegno furente per il numero sempre crescente degli assalitori che, nascosti dietro le rocce mi sparavano contro da ogni parte per atterrarmi senza riuscirvi, continuai a tirare freddamente mirando, ben deciso a finire gloriosamente i miei giorni alla testa di un battaglione che adorava e del quale mi sapevo adorato. Rimasto solo, sulla entrata della grotta, riuscì – dopo la morte del sottotenente Capocci – a far partire ancora tre colpi. Ma la mia ostinata difesa non faceva che inacerbire l'ira bestiale del nemico, il quale – piuttosto che limitarsi a sparare contro di me ed affrettare 158 il momento del sacrificio invocato – rabbiosamente dirigeva il suo turo nell'interno della caverna colpendo ancora i numerosi feriti ivi ricoverati, sicché due di essi ne morirono. In questa terribilmente tragica situazione, sterile di risultati positivi e che esponeva i miei granatieri già feriti ad un inutile macello, decisi – col veleno nel cuore – di soffocare l'ira che mi straziava e l'immane dolore che non riusciva ad uccidermi, decisi di cessare ogni ulteriore resistenza, conscio di avere adempiuto fino all'estremo limite del possibile e dell'umano ogni mio dovere di comandante, di soldato, di uomo»225. Per questa strenua resistenza il Tenente Colonnello Bignami, al suo ritorno dalla prigionia, gli fu decorato di medaglia d'oro al valor militare. Le perdite del battaglione dei granatieri e della compagnia del genio impegnati nella lotta a Cesuna furono ingenti: 462 fra morti, feriti e operai per i granatieri, mentre per la compagnia del genio furono 130 tra morti, feriti e dispersi, compresi quattro dei cinque ufficiali del reparto226. Conquistata da parte austroungarica la zona di Cesuna, il fulcro della battaglia divenne il massiccio del Cengio. L'azione d'attacco degli imperiali si orientò nella linea monte Belmonte – monte Cengio, dove nel corso della mattinata venne preso il Belmonte per poi esser ripreso dagli italiani. Questa non fu una perdita significativa per la buona riuscita della conquista del Cengio, dato che l'attacco verso il monte Busibollo riuscì senza molta difficoltà catturando come già ricordato, la batteria del capitano Balocco e i granatieri superstiti della 2ª compagnia. Occupato il Busibollo risultavano in pericolo di aggiramento la destra della linea italiana, nelle vicinanze di val Magnaboschi dove si trovava il Comando della brigata Catanzaro e il 2° reggimento granatieri del Colonnello Malatesta. Il Comandante del 2° reggimento capì l'importanza della difesa di quella zona ed ordinò ai suoi uomini di effettuare una sortita per respingere l'avanzata nemica riuscendoci, anche grazie all'intervento di un battaglione del 5° reggimento bersaglieri ciclisti e del battaglione di marcia granatieri del maggiore Rossi. La riconquista di monte Belmonte ad opera di due battaglioni del 42° reggimento fanteria della brigata Modena, appena giunta sul luogo, fu molto importante perché si potè riprendere la batteria del capitano Balocco. La situazione del presidio di monte Cengio alle ore 15, secondo un biglietto inviato dal capitano Morozzo Della Rocca al suo comandante di brigata era disperata. «Sono circondato da tutte le parti ed incalzato e premuto. Sono esaurite le munizioni. Che fare? Arrendersi? No mai!»227. La difesa dei granatieri sul Cengio era solo questione di ore, mancavano viveri e munizioni fondamentali per controbattere le soverchianti truppe austroungariche. 225 Ivi, pp. 144 – 146. 226 P. Volpato, P. Pozzato, Monte, cit., p. 138. 227 G. Pennella, Dodici, cit., p. 149. 159 «Alle ore 18 si sentivano ancora le fucilate nostre sopra entrambi i punti e il tiro delle mitragliatrici. Ma in quel momento il Colonnello Albertazzi, trasportato ferito ad una spalla da Monte Cengio, confermava il sublime sacrificio al quale i granatieri del capitano Morozzo, insieme ai soldati valorosissimi dei Corpi che lo coadiuvavano, si erano votati. Quale manipolo di eroi continuavano a combattere coi fucili privi di munizioni, sempre muovendo a reiterati attacchi alla baionetta, poi a disperati corpo a corpo, finché non rimase tutto distrutto. I pochi superstiti per la maggior parte feriti e contusi, caddero prigionieri dopo colluttazioni disperate. Si narrava già di aver veduto rotolare per le rocce strapiombanti sull'Astico nel furore della ardente lotta, grovigli umani di austriaci e granatieri! Unici superstiti, oltre ai catturati: il colonnello Albertazzi ferito, il capitano Lugli e il Sottotenente Sabbadini. Verso le ore 18 la lotta continuava ma andava languendo da parte nostra per mancanza di munizioni! I capisaldi adunque della difesa dell'altipiano sulla destra di Valle Canaglia erano perduti, ma dopo prove di energia, di ardimento, di costanza, di valore, di inflessibile tenacia, che non hanno riscontro nella storia»228. Il Cengio era perso; all'esercito austroungarico era aperta la via alla pianura vicentina, bastava forzare le linee della val Canaglia. A questo punto, si doveva salvare il salvabile, quindi alle ore 23 si tenne alla caverna della Barricata, che era la sede del Comandante di divisione, una riunione per decidere cosa fare. Oltre al Pennella ed al generale Rostagno, era presente l'ufficiale d'ordinanza del comandante dei divisione, l'onorevole Chiesa e gli altri comandanti degli altri reparti dislocati nella zona. L'ipotesi che Pennella propose durante la riunione fu di utilizzare tutta la brigata Modena e l'artiglieria della divisione e poi dal giorno successivo anche le truppe del Corpo d'Armata del generale Secco, per riconquistare il territorio perso il 3 giugno. La proposta del Comandante della brigata Granatieri non fu accolta dal Comando della divisione, che proponeva di abbandonare le posizioni sul monte Paù. Tale posizione fu condivisa anche dagli altri ufficiali presenti alla riunione. Pennella vedendo che la sua posizione non aveva ottenuto riscontri fra i vari partecipanti alla riunione, decise di affrontare la questione direttamente con il generale Rostagno. Pur con la netta presa di posizione di Pennella, la decisione da parte del Comando di divisione non cambiò; dopo pochi minuti al generale potentino pervenne l'ordine di far giungere le poche truppe ancora presenti della brigata granatieri nella zona di malga Gallo nelle vicinanze di monte Paù. L'ordine, pur non condiviso fu eseguito con tristezza e sconforto da parte dei granatieri che abbandonavano dove avevano combattuto valorosamente per molti giorni. Oltre ai combattimenti sul Cengio, durante la giornata si segnalarono degli attacchi austroungarici a monte Spin, a Colle Xomo, Col di Posina e a monte giove sul massiccio del Novegno che non cambiarono la situazione. Durante le prime ore del giorno, i bersaglieri del 14° reggimento assieme al battaglione alpini Monte Saccarello attaccarono le linee 228 Ivi., p. 149. austriache su monte Cimone, riuscendo in un primo momento a rovesciarle, ma poi con l'arrivo di truppe dell'8ª brigata da montagna la situazione fu ristabilita. Il generale Cadorna, forte della nuova armata, la 5ª che era in fase di preparazione, attuò una serie di provvedimenti controffensivi. Ordinò al Comando della 1ª Armata di rafforzare le linee sul Pasubio con la riconquista del Col Santo e contemporaneamente nell'altopiano dei Sette Comuni un'azione del 20° Corpo d'Armata sul margine settentrionale dell'altipiano. Nel settore di competenza della 4ª armata, le truppe della grande unità assieme al quella dislocata nel settore Brenta – Cismon dovevano svolgere un'azione verso Cavalese. Quest'operazione, avrebbe avuto luogo soltanto il 20 luglio, dopo molto tempo229. Queste azioni volute da Cadorna, avrebbero però comportato uno sforzo su larga scala delle truppe italiane, che si sarebbero disperse in un territorio molto vasto, provocando una dispersione di forze e di mezzi che di sicuro non avrebbero agevolato la buona riuscita dell'operazione. Una delle preoccupazioni più importanti per lo Stato Maggiore austriaco era sapere se effettivamente l'esercito russo avrebbe iniziato un'offensiva sul fronte galiziano in caso affermativo, una parte delle truppe dislocate nel fronte trentino, dovevano esser destinate al fronte con la Russia. Tale ipotesi non era certo una cosa positiva per la buona riuscita dell'offensiva in Trentino, oramai non mancava molto per la capitolazione dell'esercito italiano e la maggior parte delle forze austroungariche servivano a tal scopo. A partire dal volume di memorie del generale Pennella, iniziò a diffondersi la leggenda che durante la battaglia tra granatieri ed austriaci, dei militari italiani per non arrendersi ai nemici, si gettarono dai precipizi del Cengio assieme agli avversari. Il regime fascista che creò il mito della grande guerra, rafforzò notevolmente questo episodio, ma leggendo le varie testimonianze dei protagonisti dell'epoca, nessuno mai parlò di aver visto dei soldati gettarsi dai dirupi del Cengio, i combattimenti alla baionetta ci furono di sicuro, più fonti ne parlano e rilevano anche la difficile situazione dei granatieri e delle altre truppe italiane di fanteria. Secondo le cifre ufficiali, durante la battaglia del Cengio, 29 maggio – 3 giugno le perdite da parte italiana furono 10.264 uomini, dei quali 6.521 dispersi230. 229 G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., p. 349. 230 A. Massignani, La ricompensa negata. La Brigata Granatieri nella difesa di Monte Cengio, in Società Italiana di Storia Militare, Quaderno, 1995, GEI, Roma, 1997, p. 146. 160 161 162 Gallerie sul Monte Cengio. MCRR L'ultima fase dell'offensiva Con la giornata del 3 giugno, iniziò la fase conclusiva dell'offensiva austriaca, causata dall'inizio dell'attacco del generale Brussilof tanto temuto, nel fronte sud – ovest russo. L'attacco dei russi, era stato voluto dal Comando Supremo italiano, dato che in questo modo una parte delle forze austroungariche sarebbero state spostate e quindi la forza offensiva nemica, notevolmente diminuita. Occupata la cima del Cengio, gli austroungarici diressero la propria azione principale verso il Novegno, l'altro bastione che controllava la sottostante valle dell'Astico. Le truppe imperiali, in particolar modo i Kaiserjäger, avevano occupato nei giorni precedenti il Priaforà ed ora per giungere nella busa del Novegno si doveva occupare monte Giove ancora in mano italiana. Dopo un tentativo fallito il primo giungo, il Comando del XX Corpo d'Armata, ideò un nuovo piano d'attacco. Il progetto prevedeva che l'urto principale dell'offensiva sarebbe stato al centro del Corpo d'Armata con l'8ª divisione da montagna. Per la buona riuscita dell'azione necessitava una buona preparazione d'artiglieria, quindi vennero piazzate delle batterie nella conca di Laghi, a Castana ed attorno ad Arsiero per battere la conca del Novegno e neutralizzare le difese di monte Giove, Malga Vaccarezze, monte Rione e monte Covolo. Il giorno definito per l'azione era il 7 giugno. Sull'altipiano di Asiago, la 34ª divisione conquistò monte Barco e monte Panoccio ed il generale Kövess pianificò per il 6 giugno la conquista del monte Lemerle. Come si potrà notare, gli alti comandi austroungarici non valutarono a pieno che utilizzando la val Canaglia sarebbero sfocati direttamente nella pianura vicentina: temevano che a valle vi fossero ingenti forze italiane e quindi si mossero con molta prudenza occupando altre posizioni sia sull'altipiano di Asiago che nella zona del Novegno. La perdita del Cengio provocò anche il cambio al vertice del Comando Truppe Altipiano, al posto del generale Lequio, al quale Cadorna imputò la perdita della importante posizione, gli successe il generale Ettore Mambretti. Stessa sorte toccò al generale Rostagno, al quale fu imputato di non aver contrattaccato verso monte Belmonte e monte Barco. All'interno del Comando della 3ª Armata austroungarica c'erano due opinioni differenti in merito alla prosecuzione dell'azione offensiva; da una parte il comandante della 28ª divisione che sosteneva che il I Corpo dove occupare Monte Paù, pilastro di sinistra dell'Altipiano di Asiago. Da questa posizione si poteva occupare l'ultimo lembo dell'Altipiano stesso. Di parere opposto il comandante del Corpo d'Armata che non si fidava di utilizzare la val Canaglia per sfondare, era più prudente - secondo lui - continuare la pressione offensiva nella zona tra Cesuna ed Asiago. Il generale Kövess era nella stessa linea di Rocce a picco sul Cengio. MCRR 165 intenti del suo sottoposto, ed il 5 giugno diramò una direttiva che prevedeva di avanzare da occidente fino alla linea Monte Busibollo – Monte Lemerle – Monte Kaberlaba – Monte Sisemol e se le condizioni dell'attacco lo avessero consentito anche fino a Monte Sprunch e Monte Valbella per avere più spazio di manovra per poi dirigersi con l'ala destra dello schieramento su Monte Paù e monte Töerle. L'inizio dell'azione venne fissato per il giorno 6 giugno. L'attacco venne preparato in modo accurato con lo spostamento di reggimenti ed artiglierie in posizioni di maggior efficacia per il successo dell'operazione. Durante la giornata vi furono combattimenti tra quattro battaglioni dell'11ª brigata austriaca appoggiata dall'artiglieria e i battaglioni alpini Argentera e Morbegno e da reparti della brigata Sassari nella zona delle Melette. Anche dal diario di Schneller, era evidente che i comandi austroungarici temevano qualche imboscata nella val Canaglia, quasi non gli sembrava vero di avere una via d'accesso alla pianura vicentina. Sul Novegno non erano ancora giunte le artiglierie nelle posizioni prestabilite per il bombardamento delle posizioni italiane, quindi l'azione venne rinviata al 9 giugno. Per intanto nello schieramento austroungarico il gruppo Majewski doveva mantenere le alture ad occidente di Val Canaglia e spingersi verso sud; la colonna Lavingen, tre battaglioni, doveva entrare in azione sul pendio sud – ovest di Belmonte a seconda dei progressi della colonna Greger. Quest'unità, composta da otto battaglioni e da due batterie da montagna, doveva partire dall'attacco da Cesuna verso il monte Lemerle. Oltre alla colonna Greger dovevano seguire l'operazione i reggimenti 101° e 22° Landwehr. Il bombardamento delle posizioni italiane era affidato al raggruppamento d'artiglieria pesante Janecka e le brigate da campagna 34ª, 43ª e 28ª. Sempre nell'altipiano per tenere occupate delle truppe italiane, la 28ª divisione austriaca partendo da destra assieme alla 34ª si muovevano verso monte Kaberlaba, mentre la 22ª divisione era subordinata ai movimenti delle vicine unità. Fronteggiavano queste unità austriache, la 32ª divisione che stava per ricevere il cambio della 33ª, con due batterie da montagna e la 30ª. La composizione della 30ª, comprendeva anche il 5° bersaglieri ciclisti, reparti delle brigata granatieri, una compagnia più un battaglione di marcia, tre compagnie più due battaglioni di marcia della brigata Catanzaro, tre battaglioni, sette compagnie più un battaglione di marcia della brigata Lambro. Per l'artiglieria disponeva del 39° reggimento da campagna e del gruppo 1°/41°; entrambi i reparti disponevano di poco personale e per di più provato nel fisico da molti giorni di combattimenti231. Verso sera giunse la brigata Forlì per rinforzare le truppe già sul terreno. Nel pomeriggio la 28ª divisione austriaca, attaccò il Kaberlaba, tre battaglioni sloveni riescono ad occupare buona parte del monte ma come era già successo per il Lemerle, le truppe italiane del 205° fanteria grazie all'intervento del 5° battaglione bersaglieri ciclisti, riuscirono a ricacciare gli austroungarici. Il nemico provò un'analoga azione durante la notte, venendo nuovamente respinto grazie all'arrivo in zona delle brigate Forlì e Piemonte. Il colonnello Schneider, pur non avendo occupata la cima era soddisfatto dell'azione dei suoi uomini: bastava poco perché le linee italiane sulla cima cadessero. Di parere diverso era il generale Kövess il quale non era per niente contento dell'azione della 28ª divisione ed ordinava a Schneider per il giorno successivo di occupare completamente il Kaberlaba e di spingersi verso sud – est per aiutare la 22ª divisione nella conquista del Sisemol. Altro attacco venne rivolto dall'11ª brigata da montagna in direzione delle Melette, ma le forze austroungariche cozzarono contro una strenua resistenza da parte del 151° reggimento della brigata Sassari e dai battaglioni alpini Monviso, Morbegno e Val Maira. L'obiettivo successivo del nemico era la conquista di monte Novegno eliminando uno degli ultimi capisaldi montani prima della pianura vicentina. L'8 giugno gli austroungarici passarono nuovamente all'attacco sulle Melette, caposaldo montano che sbarrava la via per Foza e la val Frenzela, sboccando a Valstagna, a fondo valle. Un battaglione dell'11ª brigata riuscì ad occupare il monte Castelgomberto dove erano stanziate alcune compagnie della Sassari che assieme ai resti dei battaglioni alpini Monviso e Val Maira ripiegarono sul monte Tondecar. L'azione delle brigata non toccò solamente monte Castelgomberto ma anche la zona a settentrione di monte Fior, dove erano attestate le truppe di tenente colonnello degli alpini Piro Stringa. L'arretramento delle forze italiane provocò anche lo spostamento su monte Spil dei battaglioni alpini Argentera e Morbegno e di reparti della Sassari su monte Miela. In rinforzo giunse la brigata Basilicata che si attestò nella linea di monte Lisser Costa Alta e Val Galena. Le truppe austroungariche, capito che la via di Foza era difficile e lo sarebbe stata ancora di più, dato che da informazioni avute stava per giungere il XX Corpo d'Armata italiano, puntarono su Gallio. Oltre alla 11ª brigata rinforzata da un battaglione della 43ª divisione, la 22ª divisione puntò direttamente verso il paese dell'Altopiano di Asiago, spingendo la sua ala sinistra verso la val Miela. L'attacco ha successo: vengono conquistati lo Stenfle e monte Sisemol, ma l'azione dovette arrestarsi sulla linea Xaibena – Valbella. La situazione nella zona delle Melette risultò assai delicata, come sostiene Baj Macario «ora gli imperiali, padroni dei pilastri delle Melette e dello Stenfle, guardano nella cupa Val Frenzela: la fronte italian s'inarca verso Canale del Brenta, pare a un filo dallo spezzarsi»232. dalla 52ª briga- 231 G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., pp. 356 – 357. 232 Ivi, pp. 364 – 365. 166 167 ta imperiale. Il Lemerle non era ancora conquistato e da parte austroungarica si pensava di effettuare un colpo di mano per occupare la cima, dato che per un attacco in grande stile con le artiglierie necessitava di una preparazione maggiore. A questo punto della battaglia, il generale Pecori Giraldi ordinò: «Nemico concentra i suoi sforzi contro XX e XIV Corpo d'Armata che da ieri attacca con violenza ed accanimento impiegando larghi mezzi artiglieria e masse considerevoli di fanteria che alimenta incessantemente. La sinistra del XX corpo d'armata dopo tenace valorosissima difesa dovette verso le 10 di stamane ripiegare da Monte Castelgomberto su Monte Miela e la destra del XIV dovette sgomberare il Sisemol. Per fronteggiare la situazione sono state concesse dal Comando Supremo la 13ª divisione, che si trasferirà a Primolano a disposizione del XX corpo d'armata e la 29ª che per ora rimane in riserva d'armata a Valle Leogra e in Valle d'Agno. Il 149° fanteria si sposta da Valle Leogra a Lusiana a disposizione di S.E. Mambretti. Per procurare di attenuare la potenza dell'urto nemico nel settore di Asiago il V, X e XVIII corpo svolgono subito decisamente quelle azioni parziali offensive che volgono a trattenere le forze avversarie che hanno di fronte ed a riprendere qualche punto importante del terreno. Le truppe del settore di Asiago giusta le istruzioni verbali testè date resistano ad oltranza ed appena possibile agiscano controffensivamente in ispecie colla destra del XX corpo. Si curi il saldo costante collegamento fra i corpi d'armata. Il Comando dell'artiglieria d'armata faccia tutto il possibile per paralizzare l'artiglieria avversaria. In questo momento di intensa e forse decisiva azione si faccia e si chieda da tutti il massimo sforzo. L'armata deve costituire una barriera insormontabile per il nemico ed impedire ad ogni costo si sboccare al piano».233 L'offensiva russa cominciava a farsi sentire all'interno dello schieramento austroungarico e un certo numero di unità furono destinate nel settore galiziano. Rimanevano a disposizione del Comando Gruppo di Armate, le divisioni 9ª, 10ª, 58ª e 61ª e la 59ª brigata, in complesso 56 battaglioni234. Da parte italiana erano disponibili la 13ª divisione con le brigate Milano e Benevento, la 23ª divisione con le brigate Perugina e Spezia e la 29ª con le brigate Aqui e Ravenna, e le brigate Catania e Bari. Nei giorni successivi giunsero sull'altipiano anche le brigate Padova e Forlì il 9° reggimento bersaglieri, l'8° gruppo alpino. La riserva era completata dalle 46ª e 47ª divisioni formate da complementi non ancora addestrati235. Il timore da parte italiana di un massiccio sfondamento rimaneva, ma oltre la 5ª armata si stavano riordinando le unità logorate e dal fronte dell'Isonzo giungevano altre unità. Il 9 giugno, nel suo diario, il Tenente Colonnello Schneller, annotò un documento del generale Conrad in merito alla situazione dell'esercito in quel periodo. La relazione di Conrad poneva al centro dell'attenzione, l'importanza che il Capo di Stato 233 Ivi, pp. 365 – 367. 234 Ivi, p. 367. 235 Ibidem. Maggiore aveva dato all'offensiva in Trentino, e sperava che a causa del peggioramento della situazione con la Russia non si dovesse sospendere. A Vienna, era data per sicura la prossima sconfitta dell'Italia. Le truppe disponibili non erano molte, motivo per il quale Conrad il giorno precedente si era recato a Berlino a colloquio con il generale Falkenhayn per chiedergli rinforzi da inviare sul fronte russo, in questo modo non sarebbero state tolte delle forze sul fronte trentino. Il viaggio non portò nessun risultato. I tedeschi non inviarono rinforzi e Conrad fu costretto ad ordinare alla 61ª divisione di partire per l'est. La stasi fu provvidenziale per le stremate truppe italiane che poterono tirare il fiato e riordinarsi. Fu ricostituita la 19ª divisione con le brigate Alessandria e Catanzaro, i reparti più provati ricevettero il cambio. La 33ª divisione sostituì la 32ª nel tratto di linea da monte Paù a monte Zovetto. La brigata Ivrea si posizionò nella difesa di monte Valbella e verso il monte Lisser salirono la 4ª e 13ª divisione. Una nota positiva fu l'arrivo di nuove artiglierie sia d'assedio che da campagna e le batterie dislocate in zone arretrate poterono avanzare. Nella notte del 10 giugno truppe nemiche tentarono di occupare la cima di monte Lemerle riuscendoci in un primo momento per poi venir ricacciate dai fanti della brigata Forlì. Durante la giornata da parte della 34ª divisione italiana si tentò l'attacco in direzione di monte Valbella senza ottener risultati, ma serviva per il morale. Intanto, la situazione sul fronte russo era in continuo peggioramento per gli austriaci. Per evitare uno sfondamento ancora più grave di quello che si stava prennunciando alla sera del 10 giugno Conrad telegrafò all'arciduca Eugenio di preparare la 48ª divisione, per il fronte est oltre che artiglierie pesanti. Sul fronte trentino Conrad fu costretto a ridimensionare gli obiettivi di partenza. Come si può vedere, la tattica austroungarica era basata sul concetto tradizionale di occupare le cime e solo dopo utilizzare le valli; disegno operativo che portò al fallimento dell'offensiva. L'arciduca Eugenio, non cambiò i compiti assegnati alle armate per l'ultimo sforzo offensivo sull'Altipiano di Asiago e sul Novegno. L'11ª Armata, doveva attaccare il Novegno, forte di 26 pezzi d'artiglieria di grosso calibro, 60 di medio e 178 pezzi di piccolo, oltre all'8ª divisione rinforzata con 18 battaglioni, affiancata dalla 3ª divisione e dall'8° Corpo d'Armata. Oltre alle truppe in linea, in riserva, c'erano la 48ª e la 9ª divisione: in totale 72 battaglioni236. Alla 3ª Armata era affidato il compito di attaccare ed occupare monte Lemerle e monte Mazze per giungere al ciglio dell'Altipiano. L'azione principale era affidata alle divisioni 34ª e 43ª e dal gruppo Majewski. In riserva rimaneva la 10ª237. La prima parte dell'azione, quella sul Novegno, ebbe inizio all'alba del 12 236 G. Baj Macario, Strafexpedition, cit., p. 377. 237 Ibidem. 168 169 giugno. Nei giorni precedenti il Priaforà e la zona circostante erano state occupate dalle truppe austroungariche; per raggiungere la conca del Novegno si dovevano eliminare le difese di monte Giove. La linea italiana era composta dalle forze della 35ª divisione; alla sinistra dello schieramento fra monte Spin e monte Vaccarezze c'erano due battaglioni del 63° reggimento mentre era in rincalzo dietro monte Cogolo il 3° battaglione del 70° fanteria. Al centro dello schieramento fra monte Vaccarezze e passo Campedello i battaglioni alpini Cividale e Monte Clapier. All'ala destra, fra monte Giove e monte Branzome, il 69° reggimento. Le artiglierie a disposizione erano del gruppo da montagna Udine con tre batterie, tra monte Cogolo e passo Campedello ed il gruppo d'artiglieria d'assedio del maggiore Rimini con quattro batterie da 149 ed una da 105 dislocate nella conca del Novegno. All'alba del 12 giugno, iniziò un fuoco tambureggiante da parte delle artiglierie austriache disposte sul vicino Altipiano di Tonezza con obiettivo monte Giove. Lo scopo era di distruggere le linee italiane per poi trovare la via spianata per l'attacco delle fanterie. L'attacco fu sferrato dal 4° reggimento Kaiserjäger, dopo la conclusione del bombardamento preparatorio durato quattro ore. L'azione in un primo momento sembrò riuscire, ma l'intervento delle artiglierie italiane dislocate in zona vanificarono tutto. Alle ore 23,30 il Comando del 5° Corpo ordinò per il giorno successivo la prosecuzione delle operazioni sul Novegno. Da parte austroungarica la situazione non era compromessa, ma il fattore tempo era a favore dei difensori. La sera del 12, secondo le notizie pervenute a Schneller, la situazione era fluida per gli imperiali. «Le ultime notizie appaiono abbastanza favorevoli: il previsto attacco del XX corpo su Monte Giove non è stato sferrato causa la visibilità limitata, che consentiva il tiro dell'artiglieria, soltanto sugli obiettivi già inquadrati. L'attacco avverrà domani, previo un concentramento di fuoco da parte dell'artiglieria disponibile e dopo che saranno state neutralizzate le posizioni nemiche attigue a Monte Giove. Per questa azione è però assolutamente necessaria una perfetta visibilità, altrimenti si dovrà differirla nuovamente: si debbono infatti colpire anche le vie d'accesso nemiche e si deve altresì pervenire un possibile contrattacco. Per favorire questo programma, nel corso della notte verrà convenientemente arretrata la nostra fanteria in linea davanti a Monte Giove. Domani l'VIII corpo deve spingere i suoi attacchi fino al possesso di Colle Xomo, contemporaneamente avanzando su Monte Alba»238. Schneller, dalle sue annotazioni, credeva fortemente nel successo della battaglia del Novegno, pensando che le forze italiane sul terreno fossero oramai allo stremo. Lo spirito combattivo degli italiani era invece ancora forte, anche se non mancarono casi di fuga e diserzione, fenomeno che esisteva in tutti gli eserciti. Al mattino seguente, come programmato, ebbe inizio l'attacco da parte degli austroungarici. Dopo durissimi e reiterati combattimenti, non riuscirono a sfondare le linee italiane, grazie alla forte resistenza opposta dai reparti della 35ª divisione. Una testimonianza interessante sul combattimento del 13 giugno è quella del colonnello Sapienza: «Alle ore 7 circa, il nemico riprese un violento bombardamento delle posizioni di Monte Vaccarezze – Monte Giove, occupata dai battaglioni alpini Monte Matajur e Val Natisone. Il fuoco delle artiglierie austriache, che avevano lo scopo di facilitare alle fanterie l'attacco delle nostre posizioni fu specialmente diretto sulle trincee, sugli immediati accessi e rovesci delle posizioni. Eseguito con raffiche di granate di medio e grosso calibro, eseguite da numerose salve di shrapnells di piccolo calibro, questi tiri vennero prolungati fin verso le ore 12, sconvolgendo parte delle nostre trincee e delle nostre difese accessorie e procurando ai reparti perdite sensibili e numerosissimi contusi per la ininterrotta caduta di frammenti di roccia. La violenza eccezionale del tiro delle artiglierie, diretto anche sulle seconde linee, fece sì che rincalzi e rinforzi inviati a colmare le perdite in prima linea non poterono raggiungere il posto loro assegnato. La situazione verso le 11,30 era divenuta ormai critica: reparti di fanteria sulla destra degli alpini lungo il versante orientale di Monte Giove, erano decimati dal fuco preciso e micidiale del nemico: sette ufficiali dei battaglioni alpini erano già feriti, due uccisi. Grave specialmente per il momento la perdita dei due comandanti delle Compagnie del battaglione Val Maira, fra cui il comandante interinale del battaglione. Se l'azione delle artiglierie nemiche però aveva causato gravi danni alla nostra difesa e sensibilissime perdite ai reparti, questi valorosamente resistevano sulla posizione. Il Tenente Torre signor Stefano, mandato da questo Comando ad assumere il Comando del battaglione Val Natisone, con saggia disposizione aveva rinforzato la linea molto sottile dei difensori di Monte Giove con due plotoni del battaglione Monte Matajur tratti da quelli in posizione a Passo Campedello, con alacrità veramente encomiabile, approfittando della nebbia sorta improvvisamente, avendo avuto sentore dell'avanzarsi delle fanterie nemiche, aveva tutto predisposto per respingerle. Queste, in forte massa, con favore della nebbia, verso le 12,30 tagliato il primo ordine in vari punti fecero impeto sulla nostra posizione, avendo principalmente di mira la vetta di Monte Giove. Senonchè i nostri, balzati energicamente fuori dei ripari, con le baionette, il lancio di bombe a mano e di sassi, dopo un breve ma violento corpo a corpo, riuscirono a respingere il nemico. Compiuto questo improvviso contrattacco i nostri rientrati nelle trincee, col validissimo concorso di una mitragliatrice, arrestarono e posero in rotta i successivi reparti nemici, che certamente sorpresi dalla ostinata e valida resistenza dei nostri e dal tempestivo tiro delle artiglierie da montagna, non rinnovarono l'attacco. Veramente degna di lode fu la resistenza dei reparti fatti segno per circa cinque ore ad un terrificante tiro di grosse artiglierie, e validissima fu la difesa. Truppe non più fresche, provate in precedenti gravi azioni, diedero tutta la loro energia nell'attacco e nel mantenere in nostro saldo possesso una posizione importante quale quella di Monte Giove.Complessivamente nei due battaglioni Val Natisone e Monte Matajur si ebbero le seguente perdite: ufficiali: uccisi due, feriti otto; truppa: uccisi 36, feriti 157; dispersi 30»239. 239 Non toccarono il verde piano. Cronache della battaglia di Monte Novegno: maggio – giugno 238 K. Schneller, 1916, cit., pp. 325 – 326. 1916, a cura di P. Marchi, Tipografia Menin, Schio, 1975, pp. 43 – 45. 170 171 Complessivamente le perdite riguardarono 26 ufficiali morti, 79 feriti e uno disperso per un totale di 106 i240. Per la truppa, morti 378, feriti 2204 e dispersi 299 per un totale di 2881241. Un convinto assertore della vittoria come Schneller, vedendo la situazione che si poteva definire di stallo, si lasciava andare a meste considerazioni circa la prosecuzione dell'offensiva in trentino. «Poco di nuovo, oggi sul fronte sud – ovest, malgrado il bel tempo: fin a sera ci perviene soltanto un cenno sulla situazione al mattino, in base alla quale, dopo la preparazione dell'artiglieria due battaglioni di Kaiserjäger hanno attaccato Monte Giove, arrivando a trenta passi dalle posizioni nemiche, dalle quali vennero respinti con lancio di bombe a mano. Forse io mi potrò sbagliar ma, secondo le esperienze belliche fin qui vissute allorquando il difensore può scagliare dal suo riparto le bombe a mano, ciò significa che l'artiglieria non ha ottenuto gli effetti voluti e in questi casi l'attacco è generalmente sprecato. La 3ª Armata intende attaccare il giorno 15 con il I corpo; in ogni caso non ci rimane molto più tempo. Metzeger mi confida che da diversi giorni il Capo ha manifestato l'impressione che l'offensiva si stia insabbiando; ed oggi io debbo, purtroppo, arrivare alla medesima constatazione. Le comunicazioni sulla situazione sono così incolori da suggerire la necessità di impartire un ordine incisivo, che ingiunga ai comandanti di stabilire un contatto diretto con le prime linee»242. Intanto il Comando Supremo inviò al Gruppo di Armate il seguente ordine: «Il Comando Supremo approva la prosecuzione dell'attacco all'ala destra della 3ª Armata in base ai piani prestabiliti, ma ritiene però scontato che per intanto l'11ª Armata non debba condurre alcun attacco. Dopo i successi iniziali, realizzati dall'ala destra, essa ha lasciato attaccare un comandante subordinato dopo l'altro, senza organizzare una vera azione efficace (Zugna, Vallarsa, Pasubio, Xomo, Monte Giove). Tutti questi attacchi, compreso l'ultimo lanciato all'ala sinistra dell'armata, son falliti malgrado l'abbandono e la qualità dei mezzi disponibili. È certo che con questo sistema non si può continuare. Ripetuti tentativi da parte del comando Gruppo Armate diretti a realizzare unità d'azione nell'ambito dell'11ª Armata, sono rimasti finora privi di successo. Pertanto il Comando Supremo prenderà fra poco provvedimenti di sua pertinenza».243 Fallito l'obiettivo di conquistare il monte Novegno, l'unico tentativo che l'esercito austroungarico poteva tentare era quello di sfondare nella zona del Zovetto e Lemerle per poi da lì attraverso monte Paù giungere nella pianura vicentina. Le forze dislocate sul terreno erano: il 26° reggimento Feldjäger ed in riserva il 23° nei pressi della cisterna di monte Zovetto. Davanti al monte erano stanziati due battaglioni del 33° reggimento ungherese – rumeno appartenente alla 34ª divisione; mentre tre battaglioni del 101° ungherese erano posizionati 240 241 242 243 Ivi, p. 48. Ibidem. K. Schneller, 1916, cit., pp. 329 – 330. Ivi, pp. 334 – 335. tra il paese di Cesuna in direzione di Casera Magnaboschi e val Magnaboschi. Al 22° Schützen spettava il compiuto di attaccare monte Lemerle. Da parte italiana, dopo le tante richieste dei vari comandi giunsero finalmente le artiglierie riunite all'interno di una brigata d'assedio alla direzione del Comando Truppe Altipiano. Oltre all'artiglieria, la linea era tenuta dalla brigata Udine (95° e 96° fanteria) che presidiava il tratto di fronte dal Costo sino alla val Lastaro, mentre sul monte Zovetto c'era la brigata Liguria (157° e 158° fanteria) comandata dal generale Achille Papa244. Alla destra della brigata Liguria era schierata la Piemonte (3° e 4° reggimento) e il 5° bersaglieri sul monte Kaberlaba. In riserva la brigata Modena ed il 149° fanteria, brigata Trapani a Malga Paù. Come da prassi l'attacco iniziò alle ore 7 del 15 giugno con una violenta preparazione di artiglieria localizzato fra monte Paù e Lemerle. Il monte Zovetto era sconvolto dai grossi calibri austroungarici. Dopo la preparazione d'artiglieria, scattarono le fanterie; il 2° reggimento Schützen, fu fermato dai reticolati ancora intatti nella zona di Campiello, e sullo Zovetto dalla tenace resistenza della brigata Liguria. Sul Lemerle, gli austroungarici ottennero qualche posizione, ma nel pomeriggio furono riconquistate con un contrattacco del 149° reggimento. Da parte austriaca, era evidente che le cose non andavano benissimo Schneller non credeva più nel successo finale dell'offensiva. «Stamane è iniziato l'attacco della 34ª divisione verso Monte Carriola, previa preparazione dell'artiglieria. Secondo le comunicazioni serali, fino al pomeriggio non si era guadagnato terreno, ma comunque si sarebbe insistito fino alla sera. Non ho molte speranze: infatti ormai è evidente che l'offensiva si è incagliata. La continua sottrazione di forze toglie slancio all'azione di comando, nella stessa misura che invece gli conferisce un eventuale incremento; ed inoltre l'11ª Armata, grazie alla povera maniera con la quale è stata condotta, si trovava in una poco invidiabile situazione. Ora bisogna mandare il I corpo alla 3ª Armata e se ne deve autorizzare il previsto attacco, che del resto bisognerà spingere avanti con le riserve, e cioè con la 9ª e la 10ª divisione. Ma sul suo esito positivo io non credo più. Comunque domani sarà veramente necessario attaccare e queste soste non potranno più verificarsi con tanta faciloneria. Si vogliono prelevare altre due divisioni, poi circa otto batterie di obici pesanti e qualche batteria di mortai pesanti: ciò significa ben venti giorni di trasporti ferroviari. Altrettanto tempo hanno quindi le armate per assestarsi sulla linea prescelta, che in generale dovrebbe coincidere con quella testè raggiunta. Poi penso: si potrebbe spostare qualche sostengo, più morale che altro, una divisione e forse anche una brigata da montagna della 5ª Armata, rimangono 12 divisioni con numerose batterie pesanti: si tratta pur sempre di una forza sufficiente per tenere durevolmente in rispetto agli italiani. Con altri uomini alla testa, si potrebbe pretendere anche di più: io spero sul Pasubio, il cui possesso muterebbe immediatamente l'intera situazione e ci darebbe nel contempo un pegno prezioso in vista della pace».245 244 V. Martinelli, Achille Papa –Medaglia d'Oro. Un generale bresciano nella grande guerra, Zanetti Editore, Brescia, 1989. 245 K. Schneller, 1916, cit., p. 338. 172 173 All'alba del 16 giugno si riaccese la battaglia sul monte Lemerle, dove reparti nuovi, appena giunti nella zona, il 24° fanteria, riuscirono ad impadronirsi della cima del monte. L'occupazione di monte Lemerle durò poche ore, dato che alle ore 8 la riserva della 30ª divisione, due battaglioni bersaglieri, ricacciarono il nemico dalla cima del monte. L'attacco principale ebbe inizio alle 10,30 verso monte Zovetto ma venne respinto dai reparti della Liguria. Dopo quest'azione vi fu un secondo bombardamento e subito dopo un nuovo assalto attorno alle 13,30 anch'esso respinto dagli italiani. Nella zona dello Zovetto, oltre ai due reggimenti della Liguria, in rinforzo c'erano due battaglioni del 144° della Trapani, il 1° battaglione del 41° reggimento della Modena e il 2° battaglione del 95° fanteria della Udine. La lotta tra i due eserciti contrapposti proseguì per tutto il pomeriggio e alla sera si creò una pericolosa falla tra la destra della Liguria con le difese del Lemerle, dove si infiltrarono reparti austriaci. A questo punto, la situazione non era semplice per gli italiani: due compagnie della Liguria erano state accerchiate e annientate. Per continuare a sbarrare la val Magnaboschi, era necessario che la Liguria abbandonasse monte Zovetto, andando ad occupare il versante occidentale di val Magnaboschi. La manovra comportò di conseguenza che monte Lemerle e Zovetto diventassero terra di nessuno. Nel corso dei due giorni di combattimento tra lo Zovetto e il Lemerle, da parte austriaca le perdite assommarono a 243 morti e 1313 feriti mentre da parte italiana ci furono 234 morti, 868 feriti e 647 dispersi246. Ormai lo stallo era evidente. La parola fine all'azione offensiva era nell'aria. Si legge nel diario di Schneller: «Questa è una giornata particolarmente critica. Lisingen dovrebbe iniziare oggi il suo attacco, ma già di primo mattino ci pervengono cattive notizie dal fronte sud – ovest. Non soltanto il I corpo non è riuscito a progredire con la sua offensiva, ma anzi ha dovuto abbandonare Monte Lemerle e sembra con sensibili perdite. Con ogni probabilità oggi verrà impartito l'ordine di sospendere l'offensiva: è però sempre e molto discutibile se, dopo di ciò, la 3ª Armata, o meglio l'intero Gruppo di Armate, sia in grado di cedere altre forze in tempi brevi. Prima di mezzogiorno Metzger mi convoca per parlarmi della sospensione dell'offensiva: col sopravvenire delle ultime notizie, oggi è il termine delle ultime notizie, oggi è il termine ultimo per adottare tale decisione. Io non posso che acconsentire e preparo l'ordine da sottoporre al rapporto di mezzogiorno. Con l'aggravante che proprio oggi il tenente maresciallo Krauss si trova in viaggio presso la 3ª Armata in Trento e poi si dirigerà verso il I corpo»247. Nei giorni successivi solo sporadiche scaramucce e scontri tra pattuglie. La battaglia degli altipiani era finita. Gli austriaci iniziarono a ritirarsi dalle posizioni raggiunte nel corso dell'offensiva nella notte tra il 24 e il 25 giugno per schierarsi in posizioni sicure; la nuova linea difensiva fu denominata Winterstellung, linea d'inverno, che si basava su dei caposaldi molto forti, come il Pasubio, l'altipiano di Asiago con lo Zebio e l'Ortigara, posizioni che diedero filo da torcere anche nell'anno successivo all'esercito italiano. La funzione dell'apparato logistico Il servizio logistico della 1ª armata fu duramente impegnato durante l'offensiva austriaca. Nel corso della Strafexpedition le esigenze aumentarono: si passò dai 195.527 uomini e 30.750 quadrupedi da vettovagliare e alimentare del 25 marzo 1916, ai 680.000 uomini e 118-000 animali per giungere al periodo conclusivo della battaglia alla cifra di 800.000 effettivi. Tale aumento di uomini, mezzi e materiali fu dovuto all'afflusso di unità in seno all'armata. Fino ad allora nel territorio vicentino era stanziato il solo V Corpo, durante l'offensiva se aggiunsero altri due, il X e il XXIV Furono necessari anche interventi per migliorare la rete stradale e rendere più efficienti i trasporti248. Entrarono in funzione una nuova linea di tappa, la Cittadella – Marostica – San Giacomo di Lusiana – Asiago. Per un corpo d'armata e mezzo, il XX e il XXII venne creata una nuova linea tappa la Primolano – Enego – Tombal – Marcesina. Infine per le truppe schierate in Valsugana fu necessario un cambiamento della linea di tappa dalla Bassano – Primolano – Grigno alla Feltre - Grigno249. Uno dei problemi che dovette affrontare l'Intendenza della 1ª armata fu di trovare la soluzione per far vivere e combattere in un territorio di montagna qual'era l'altipiano di Asiago, quattro corpi d'armata più un corpo alpino. Fino ad allora il sistema di comunicazione si basava su una ferrovia a scartamento ridotto che da Piovene Rocchette giungeva ad Asiago e su quattro strade (le rotabili Cogollo – Campiello – Asiago, Breganze – Asiago, Marostica – Campi Mezzana, in cattive condizioni la Primolano – Marcesina) e tre mulattiere. Dopo i primi ripiegamenti delle truppe della 34ª divisione solamente due strade provenienti dalla pianura (da Breganze e da Marostica) potevano esser utilizzate. Fu allora creata una delegazione dell'Intendenza a Marostica (attiva fino al 1° dicembre 1916) che ottenne subito altri mezzi dal Comando di Verona, complessivamente 75 autocarri, oltre a numerosi carriaggi. Per il rifornimento ai reparti in prima linea si utilizzò la mulattiera che da Calvene arrivava a Casara Magnaboschi. Vennero reperiti nuovi viveri e nuovi carriaggi acquistandoli dai profughi che 248 F. Cappellano, I servizi logistici della 1ª armata nel corso della Strafexpedition, in 1916, cit., p. 246 E. Acerbi, Strafexpedition, cit., p. 301. 247 K. Schneller, 1916, cit., p. 341. 125. 249 Ibidem. 174 175 abbandonavano la zona. Dopo la perdita del Cengio il 3 giugno, la ferrovia Piovene Rocchette – Asiago, sotto il tiro avversario, venne abbandonata e tutti i rifornimenti per le truppe dislocate sull'altipiano furono convogliati su una mulattiera lunga 10 km con un dislivello di 1000 m250. Il 29 maggio, prevedendo un attacco avversario verso la zona della Marchesina e di Monte Lisser, l'Intendenza dell'armata iniziò a costruire una base logistica secondaria in Valsugana. Vennero anche installati magazzini di tappa e vettovagliamento a Primolano e Valstagna. Inoltre per il rifornimento di pane alle truppe si utilizzarono i forni del XVIII corpo d'armata che giornalmente fornì alla zona di Marchesina dalle 20 alle 30 mila razioni. Furono impiantati nuovi ospedali da campo a Primolano, Cismon e Valstagna, riattivata la vecchia teleferica utilizzata per la costruzione del Forte Lisser che da Primolano giungeva alla cima del monte. Altre teleferiche da Cismon a Casara Tombal, da Valstagna per Val Vecchia, da Selva di Grigno verso est della Barricata. Le comunicazioni tra la Valsugana e l'altipiano consentite su l'unica strada utilizzabile che da Primolano giungeva ad Enego e poi a Casara Tombal. Il 4 giugno anche ad Enego, per coordinare i trasporti, si costituì un nuovo ufficio dell'Intendenza. Durante l'offensiva, oltre agli uffici dell'Intendenza citati, vennero costituiti a Bassano e Tavernelle, due magazzini avanzati per l'artiglieria e stabilimenti di tappa chiamati depositi di zona materiali del Genio a Cismon, a Marostica, Thiene e Schio. Con l'inizio dell'offensiva anche le esigenze del servizio sanitario, in particolare gli ospedali da campo, ebbero un certo peso. Nella zona attorno all'altipiano di Asiago venne predisposta una linea di ospedali da campo per assistere i feriti dalle prime linee: i meno gravi venivano sgomberati negli ospedali arretrati di Vicenza, Verona e Brescia,. Mentre i più gravi nella zona di Thiene. Altro bisogno che doveva esser soddisfatto per la normale sopravvivenza delle truppe nella zona dell'altipiano era il servizio idrico. L'acquedotto civile, costruito nel periodo prebellico, forniva l'acqua a tutto l'altipiano utilizzando sorgenti di Val Renzola. La zona, durante i primi giorni dell'offensiva, fu conquistata dal nemico e, in pratica, l'altipiano rimase senz'acqua. Per ovviare al problema si requisirono tutte le botti presenti in zona e a Marostica si costituì un ufficio Idrico per coordinare il trasporto di acqua dalla pianura alla zona montana. Dal 4 giugno si utilizzarono anche gli acquedotti di Cogollo e Thiene e dal 6 vennero anche utilizzate sorgenti della Valsugana. Nel periodo di massimo sforzo secondo le cifre fornire da Cappellano, «quattro avancorpi d'armata più un raggruppamento alpini furono così riforniti di acqua con una provvisoria giornaliera che giunse sino a 745.000 litri, importando l'impiego di 3.800 botti, più di 60.000 ghirbe, 16 carri ferroviari, 40 autobotti, 300 autocarri e circa un migliaio di quadrupedi. Dopo il ripiegamento nemico oltre Asiago e Gallio si potè nuovamente utilizzare il serbatoio e l'acquedotto del Sisemol; diminuirono così le esigenze di trasporto e il movimento sulle linee di tappa del XIV corpo d'armata ne ebbe un notevole sollievo»251. Uno dei servizi più importanti, all'interno dell'Intendenza della 1ª armata fu quello dei trasporti. Così Liuzzi nel suo volume evidenziò l'importanza del servizio trasporti durante la Strafexpedition: «Le circostanze offerte alla 1ª armata nella primavera del 1916 dall'offensiva austriaca sono a tutti note. Nei riguardi dei servizi è interessante avere sott'occhio le variazioni della forza di quell'armata, avvenute dal febbraio al giugno; al 25 marzo 195.587 uomini e 30.750 quadrupedi; all'11 novembre 318.685 uomini e 51.815 quadrupedi; a metà giugno 680.000 uomini circa e 118.000 quadrupedi circa. Nei giorni 14, 15 e 16 maggio le truppe a piedi della 9ª divisione dovettero essere trasportate dalle basi ferroviarie di Schio e Thiene a Campomolon con circa cento autocarri in servizio continuativo per quelle tre giornate; - Nei giorni 17 e 18 maggio l'intera brigata Granatieri e il 149° reggimento di fanteria, dovettero essere trasportati a M. Cengio con circa sessanta autocarri che dovettero lavorare ininterrottamente quaranta ore; - Fra il 20 e il 30 maggio la brigata Ravenna fu trasportata in poche ore da Schio sul Novegno; - In complesso nella zona impegnata dall'offensiva austriaca furono impiegati dai quattro ai 500 autocarri; - Il Corpo d'Armata Z a sbarramento della V. Frenzela, fu quasi esclusivamente alimentato per una mulattiera di fondo valle che faceva capo ai depositi di Valstagna, con una salmeria di 700 quadrupedi; - Dopo la perdita del cengio, anche il XXIV corpo d'armata si trovò nelle condizioni di dover essere rifornito per la mulattiera Calvene – C. Magnaboschi con salmerie formate da elementi tolti ad ospedaletto e servizi vari (circa 1000) e con materiali e personale inviati per autocarro da Verona; - Per il servizio idrico dal 22 al 25 maggio s'impiegarono oltre 500 autocarri e, requisendo tutti in recipienti disponibili in zona (parecchie migliaia di botti da tre a cinque ettolitri, barilotti e damigiane), si riuscì a rifornire 850.000 litri d'acqua al giorno, con un movimento giornaliero ascendente di circa 2000 botti piene»252. Durante l'offensiva austriaca nel settore della 1ª armata questi furono i trasporti strategici di maggior importanza: - 7 corpi d'armata; - 3 divisioni di cavalleria; - batterie di vari calibri253. La storiografia italiana, fino ad ora, ha dato tutto il merito «dell'eroica resistenza» delle truppe della 1ª armata alla loro coesione ed alle loro doti prettamente militari. Poco spazio è stato riservato ai servizi logistici che invece fu 251 Ivi, p. 129. 252 G. Liuzzi, I servizi logistici nella guerra, Corbaccio, Milano, 1934, cit., pp. 153 – 155. 253 Ivi, p. 173. 250 Ivi, p. 126. 176 177 determinante per la tenuta del fronte. Le difficoltà logistiche della 1ª armata furono molte: approvvigionare 800.000 uomini in un terreno di montagna, privo di sufficienti vie di comunicazioni e di acquedotti, non era facile. Questi problemi poterono esser risolti grazie alle retrovie nella pianura vicentina, da dove arrivarono sia forze fresche che vettovaglie dirette nell'Altipiano dei Sette Comuni. Si può dire, che solo grazie alla militarizzazione della società veneta, l'avanzata austriaca fu fermata. Il generale Liuzzi al termine della sua analisi sul ruolo che i servizi logistici ebbero durante la 1ª Guerra mondiale, così parlò del nuovo ruolo dei servizi logistici: «Oggi i servizi logistici costituiscono la base di qualsivoglia operazione strategica e tattica. Le battaglie vengono predisposte coi servizi prima ancora che con le truppe, e lo sviluppo e la risoluzione di esse, in guerra di posizione, vengono regolati e determinati principalmente dai servizi. La forza preponderante della difesa è data dai servizi mentre che la crisi iniziale dell'attacco, in guerra di movimento, è dovuta alla necessaria organizzazione interessante principalmente i servizi. È l'accresciuta necessità dei servizi, e più precisamente dei rifornimenti, che oggi consiglia se non impone la ''copertura'' di tutto il territorio nazionale. Non dimentichiamo mai che il fattore morale è sempre strettamente collegato a quello materiale: la zona d'operazione in territorio nemico, oltre ad essere una garanzia nazionale, costituisce una sottrazione fatta al nemico, garanzia e sottrazione d'ordine materiale e morale. Non ci sembra giusta la critica postuma rivolta ai vari condottieri della grande guerra perché invece di mirare direttamente alla distruzione dell'esercito nemico, diedero alle proprie armate degli obiettivi territoriali. parte il fatto che un obiettivo territoriale molto importante per noi non può non essere strenuamente difeso dalle truppe nemiche e che per la conquista di quell'obiettivo saremmo costretti ad ottenere l'annientamento almeno parziale di tali truppe, a parte i vantaggi derivanti dall'occupazione di posizioni che possono essere militarmente più favorevoli, oggi è evidente come il possesso del territorio nemico equivalga di per sé a distruzione di forze nemiche. Se una volta si poteva pensare di distruggere un esercito cadendo sulle comunicazioni che lo collegavano alla base dei suoi rifornimenti, oggi tale concezioni non può più reggere, perchè tanto l'esercito quanto la sua base e le frapposte comunicazioni sono costituiti da tutto il Paese nemico. E così oggi ci spiegano le direzioni più efficaci delle offensive terrestri, come gli obiettivi più importanti degli attacchi aerei, come gli scopi delle azioni marittime: si tende alla distruzione delle forze nemiche attraverso la distruzione delle loro basi materiali e morali. Oggi la guerra e più precisamente la strategia della guerra, è per eccellenza a fondamento logistico. E sembra a noi che questo concetto concordi pienamente con quello che oggi regola la vita economica e cioè la lotta economica sociale e mondiale. Più avanti vorremmo pure considerare come oggi l'esistenza logistica passa concordarsi con quella tattica per mirare a una risoluzione della guerra che sia di schianto e non di esaurimento; ma prima intendiamo controllare le nostre asserzioni con l'esperienza pratica del grado di esperienza delle operazioni dai servizi»254. 254 G. Liuzzi, I servizi, cit, pp. 425 – 427. 178 La coesione dei reparti: la giustizia militare L'efficienza di un esercito, il suo rendimento durante una battaglia, dipende dalla coesione. All'interno della forza armata, non tutti erano favorevoli al conflitto e si verificarono casi di insubordinazione e rifiuto di partecipare ad azioni. Gli episodi di rifiuto individuale sono difficili da quantificare, più facile quelli collettivi. Durante la Strafexpedition, vi furono sette casi di esecuzioni sommarie, senza processo, documentate nel pregevole lavoro di Marco Pluviano e Irene Guerrini255. Durante la fase di ripiegamento della brigata Lambro, vi fu un caso di fucilazione sommaria contro 14 soldati del 205° e 206° reggimento di fanteria. Secondo la relazione dell'avvocato generale militare, Donato Antonio Tommasi, il 23 maggio 1916 vennero fucilati 13 14 militari appartenenti alla brigata Lambro, sbandati incontrati dal generale Vittorio Fiorone, comandante della brigata Salerno e fatti fucilare immediatamente256. Il Fiorone, per la sua azione fu encomiato dal generale Pecori Giraldi, «nelle difficili contingenze di quei giorni e dei seguenti (maggio – giugno 1916) egli dimostrò solide qualità d'animo e di corpo e padronanza di sé e dei suoi; non indietreggiando di fronte alla responsabilità di immediati atti sommari allorché le circostanze parvero richiederlo».257 Più noti i fatti che riguardarono i fanti della brigata Catanzaro. L'unità era stata trasferita dalla zona isontina all'altipiano di Asiago dal 19 al 23 maggio 1916 e posta alle dipendenza della 34ª divisione. L'episodio che portò alla fucilazione sommaria, senza processo, di 13 militari della brigata, otto soldati, tre sergenti e uno sottotenente del 141° fanteria, avvenne il 26 maggio sul monte Moschiagh258. Due battaglioni del 141° erano schierati in prima linea sul Moschiagh, mentre la rimanente parte del reggimento di rincalzo sulle pendici. Verso le 19, sul monte si scatenò un violento temporale con grandinata e subito dopo un bombardamento nemico. Tra i militari del 141° fu il panico. La 4ª compagnia si sbandò nel bosco circostante. I sottufficiali cercarono di tenere l'ordine senza successo. Il reato era molto grave: sbandamento in faccia al nemico. Per questo, oltre alle 13 fucilazioni sommarie, 60 soldati furono arrestati e rinviati a giudizio259. Il 1° luglio si concluse il processo con sette assoluzioni, condanna a due anni di carcere militare per gli altri260. A tutti i militari fu sospesa la 255 Per maggiori informazioni sull'episodio si veda M. Pluviano, I. Guerrini, Fucilate i fanti della Catanzaro. La fine della leggenda sulle decimazioni della grande guerra, Gaspari, Udine, 2007. 256 Ivi, p. 122. 257 Ibidem. 258 Per maggiori informazioni sull'episodio si veda M. Pluviano, I. Guerrini, Fucilate i fanti della Catanzaro. La fine della leggenda sulle decimazioni della grande guerra, Gaspari, Udine, 2007. 259 M. Pluviano, I. Guerrini, Le fucilazioni, pp. 114 – 116. 260 Ivi, p. 116. 179 pena e rimandati al fronte. Oltre ai casi documentati, ve ne furono altri due, ma senza prove certe. Il primo sarebbe avvenuto a Soman, in Valsugana, il 21 maggio. Secondo la testimonianza di un soldato della brigata Jonio, del 221° reggimento, sarebbero stati fucilati quattro zappatori che si erano ribellati per i turni massacranti a cui erano sottoposti261. Il secondo caso avvenne dopo la perdita di Monte Sisemol da parte della brigata Etna, tra l'8 e il 9 giugno. All'interno del 223° reggimento, si verificò l'esecuzione sommaria, di parecchi militari, chi disse otto chi nove ed infine 12. Le motivazioni risultarono ignote. Il responsabile di questa fucilazione risultò essere il generale Marcello Prestinari262, che morì il 10 giugno mentre stava osservando le linee della zona. Altro caso riguardò il 14° reggimento, della 4ª brigata bersaglieri impiegato nella controffensiva italiana, a partire dal 16 giugno. Durante un'azione nella zona di Marcesina per la riconquista di Monte Cimone assieme al 1° battaglione bersaglieri ciclisti), alcuni militari del reggimento, realizzando di essere circondati dai nemici, si diedero alla fuga. Furono inseguiti ed arrestati dagli artiglieri dell'osservatorio della 6ª batteria del 25° reggimento. Il Comandante del 14°, Colonnello De Gaspari, ordinò la fucilazione sommaria di tre graduati e successivamente di un soldato. Furono passati per le armi il caporal maggiore Vitaliano Savelli (classe 1894), i caporali Daniele Curelli (1884), Angelo Catucci (1884) e il soldato Angelo Zingarella (1891)263. Non essendovi stato nessun processo, né indagini, le reali motivazioni del presunto sbandamento non furono mai chiarite. Nel corso dell'offensiva, ci fu anche un caso di esecuzione sommaria ai danni di un ufficiale. Il 17 giugno, il 42° reggimento della Modena, impegnato da inizio giugno nella zona di Cesuna, stava spostandosi nella zona fra Monte Magnaboschi e Monte Lemerle. Il sottotenente Tito Cipollini stava marciando alla testa del suo plotone quando ad un certo punto, da tergo, giunse in modo disordinato un gruppo di un centinaio di bersaglieri spinti in avanti da un tenente che impugnava la pistola e urlava. L'ufficiale, Leonida Risso del 5° bersaglieri, iniziò a gridare ed inveire anche verso i fanti della Modena perché andassero avanti. Oltre agli strepiti minacciò con il fucile puntato i militari. A quel punto, il sottotenente Cipollini, ordinò ai suoi sottoposti di non muoversi. D'istinto l'ufficiale dei bersaglieri sparò un colpo di fucile contro il sottotenente uccidendolo all'istante. Risso non capì la gravità del suo gesto, dato che proseguì il suo cammino, come se nulla fosse successo. Le indagini successive, accertarono che l'ufficiale dei 261 Ivi, p. 227. 262 R. Orlando, Marcello Prestinari, in Memorie Storiche Militari 1982, Roma, 1983, pp. 299 – 316. 263 M. Pluviano, I. Guerrini, Le fucilazioni, pp. 117 – 118. 180 bersaglieri, magistrato del Tribunale militare di Genova, soffriva di sifilide e di esaurimento nervoso. A conclusione della fase istruttoria fu assolto perché dichiarato infermo di mente264. Un altro caso all'interno della brigata Barletta. L'unità era schierata sull'Altipiano di Asiago già dai primi di giugno per arrestare l'avanzata nella zona delle Melette. La brigata era giunta sul nuovo teatro operativo con la fama di scarsa coesione e disciplina e dunque la diffidenza degli alti comandi era scontata. Nel corso del ciclo operativo dal 18 al 21 giugno, per attaccare ed occupare la zona tra Roccolo Astoni e Monte Cimone, un battaglione di rincalzo del 138° reggimento, a causa della morte del comandante, si sbandò nel bosco, disperdendosi. Per riportare l'ordine, il colonnello Gaspare Leone, fece aprire il fuoco con mitragliatrici. Il numero dei militari che rimasero uccisi durante quest'azione di disciplina non è noto265. Il malcontento all'interno del reparto non fu sopito: il 138° reggimento operò in prima linea con alle spalle una mitragliatrice, elemento dissuasivo verso qualsiasi forma di insubordinazione. Pur con quella misura, la situazione morale non cambiò. Il 13 luglio, durante un periodo di riposo, furono affissi agli alberi dei cartellini, che contenevano minacce: se la brigata non fosse andata a riposo ci sarebbe stata una rivolta collettiva. Per evitare nuove sommosse, furono istituiti due Tribunali militari straordinari, (16 e 17 luglio) che comminarono due condanne a venti anni di reclusione e due capitali266. Un altro caso di fucilazione sommaria all'interno della brigata Salerno. Nel giro di due giorni, altre otto fucilazioni senza processo. La colpa individuata fu diserzione al nemico. La brigata era sull'Altipiano di Asiago fin dall'aprile 1916 ed aveva partecipato alle operazioni della Strafexpedition. Dal 30 giugno al 2 luglio, aveva cercato, senza successo, di rioccupare le linee di Monte Interrotto. Le truppe erano oramai arrivate al limite delle loro forze e alcuni soldati disertarono. Sui primi episodi, del 2 luglio non si hanno notizie, mentre il giorno successivo vi furono otto esecuzioni, tutti fanti dell'89° reggimento. Verso le 13 del 2 luglio, senza motivo apparente, gli uomini uscirono dalle trincee, agitarono fazzoletti dirigendosi verso le linee austriache. Il Comando della 34ª divisione, che qualcosa sospettava,aveva predisposto mitragliatrici che dovevano aprire il fuoco contro eventuali disertori.. Su ordine del generale Zoppi, comandante del XXII Corpo d'Armata, per ognuna delle quattro compagnie ammutinate, furono scelti, non si sa con quale criterio, due soldati: tutti furono giustiziati davanti all'intera brigata schierata per la tragica cerimonia267. 264 265 266 267 Ivi, pp. 161 – 163. Ivi, p. 135. Ibidem. Ivi, p. 99. 181 Tra le cause dei comportamenti non conformi alla disciplina ed al codice penale militare, ebbe un ruolo determinate la stanchezza delle truppe, dopo molti giorni di duri combattimenti e lo stress psicologico di una guerra di trincea. Considerazioni conclusive Tutto sommato l'offensiva austriaca del maggio – giugno 1916, fu per l'esercito austroungarico una sconfitta, non tanto sul piano militare poiché erano state occupate posizioni importanti, ma su quello psicologico e del prestigio dell'esercito. Il concetto fondamentale su cui si basò l'operazione, vale a dire l'attacco in montagna si rivelò errato. Dopo la caduta del Cengio si aprì la via verso la pianura vicentina, ma forse per timore di truppe italiane troppo numerose nella val Canaglia non si utilizzò la valle che sfociava direttamente nella pianura. Un elemento che avrebbe portato alla buona riuscita dell'offensiva poteva essere il fattore sorpresa, cosa che non avvenne a causa delle condizioni meteo avverse l'azione dovette esser posticipata e i servizi d'informazione tenevano le orecchie dritte. Anche la recrudescenza dei combattimenti in Galizia contro i Russi ebbe notevole peso. Altro elemento fu il rifiuto di aiuto da parte dello Stato maggiore tedesco. Infine il livello di litigiosità ed invidia all'interno della casta militare asburgica. Infatti non fu ben vista l'entrata in campo dell'erede al trono Carlo. Dalla casta militare era considerato, come un imbucato, perché pur avendo percorso la normale carriera militare, era giunto agli alti gradi non per merito ma per casta. Questa era la prima volta che si misurava in una battaglia, per di più considerata fondamentale per l'economia del conflitto. Oltre a ciò, avere «tra i piedi» due asburgo, Carlo ed Eugenio aveva creato delle frizioni nella gerarchia. Gli obiettivi assegnati a tavolino da Schneller, in corso d'opera vennero variati, disperdendo le esigue forze in vari luoghi. In un terreno di montagna, come il teatro operativo tirolese, dividere le forze tra le varie valli significava dare vantaggio ai difensori. In ultimo, forse fu sottovalutata la resistenza del difensori. Eppure l'offensiva era stata preparata nel miglior modo possibile, con molto artiglierie e truppe ben addestrate. Particolare attenzione fu riposta nella selezione dei reparti che dovevano operare e mettendo in campo le migliori artiglierie disponibili. Nel concetto strategico austriaco, era basilare per il successo il bombardamento con i grossi calibri. Furono impiegati obici come Lange George268, pezzo d'artiglieria da 381 che dalla zona di Calceranica al lago sparò su Asiago, oppure degli obici da 420 posti a Serrada. 268 Per maggiori informazioni su questo cannone rimando a L. Girotto, «Lange Georg» Il Lungo Giorgio, Comune di Calceranica, 2009. 182 La fanteria doveva solo attaccare, dopo che l'azione distruttrice dei cannoni avesse fatto il suo dovere e su questo nessuna differenza rispetto all'esercito italiano. Si è anche detto che i fanti austroungarici erano già stanchi dai combattimenti dei primi due anni di guerra, ma la loro combattività no è mai stata in discussione, almeno sul nostro fronte. Dunque nulla può essere addebitato ai soldati. Invece fu addebitato a Conrad di aver lasciato troppo lontano dalle truppe di prima linea l'apparato logistico e questo fece sì che nei momenti cruciali della battaglia esse fossero prive dei rifornimenti necessari, ma su quel terreno la logistica diventa un problema per tutti. In alcuni casi, come lamentò Schneller nel suo diario, gli ufficiali non conoscevano bene il territorio dove operavano le forze e questo provocò degli errori negli ordini. Anche in questo gli italiani sono stati maestri. Altro causa, non secondaria, del mancato successo lo possiamo individuare nella deficienza delle truppe di riserva indispensabili per un'azione d'attacco di quelle dimensioni. Gli armamenti utilizzati nella fase di preparazione e nello sviluppo dell'offensiva furono ingenti, ma non risultarono determinanti per il successo finale; il terreno di montagna era di per sé una barriera naturale irta di ostacoli che avvantaggiava la difesa All'interno della catena di comando non tutto funzionò per il verso giusto; per prima cosa Schneller che era la mente del piano operativo non aveva mai visitato il terreno dell'operazione ed era sempre rimasto al Comando di Teschen a seguire l'evolversi delle operazioni. Tra i Comandanti di Corpo d'Armata e divisione, c'erano differenze di vedute sugli obiettivi intermedi e finali da raggiungere e da perseguire e questo una certa confusione la ingenera. C'è da dire che in questo anche il nostro esercito era maestro. Da parte italiana, pur essendo stata una battaglia difensiva fu giudicata, a posteriori, una vittoria per Cadorna, il quale riuscì in qualche modo ad arrestare il nemico in una zona del fronte delicatissima. Tuttavia ci sembra corretto ricordare che se l'offensiva di Conrad avesse raggiunto il suo obiettivo e poco ci mancò, dilagando a valle a cavaliere tra Bacchiglione e Brenta, la guerra di Cadorna sarebbe finita lì poiché tutto l'esercito dell'Isonzo sarebbe finito all'interno di una grande sacca senza possibilità alcuna di uscirne. Dunque non siamo così sicuri, neanche in questo caso, l'altro è Caporetto, delle grandi capacità del nostro generalissimo. Entrando in qualche dettaglio si nota che la sistemazione difensiva delle linee italiane era chiaramente insufficiente, la famosa 3ª linea di Asiago, era progettata solo sulla carta, altre linee sull'Altopiano erano solo abbozzate e furono superate agevolmente dalle truppe austroungariche nei primi giorni dell'offensiva. La fase difensiva da parte italiana pur con alcuni errori nella conduzione delle varie operazioni e talvolta la scarso coordinamento tra fan183 teria ed artiglieria, fu efficace, dato che le forze avversarie subirono un arresto sul fronte montano ed inoltre il veloce afflusso di nuovi reparti dal fronte isontino fu fattore risolutivo per l'efficacia della difesa. L'insuccesso strategico austriaco nell'offensiva di primavera ebbe delle ripercussioni nell'esercito, oltre alla rimozione dai loro incarichi di alcuni alti ufficiali, fu un colpo al morale delle truppe, che nell'agosto successivo vennero sconfitte nella battaglia di Gorizia. Per quanto riguardò il governo, la classe dirigente e l'opinione pubblica italiana, la Strafexpedition dimostrò che la guerra sarebbe stata lunga, molto lunga, e alla fine l'avrebbe vinta chi sarebbe rimasto in piedi, magari barcollando, come accadde al nostro esercito a Vittorio Veneto. Per paradosso colui che, nonostante le infinite carenze ed inefficienze profuse a piene mani, aumentò la propria popolarità fu Cadorna, il quale, pur venendo fortemente contestato, rimase al suo posto e fu in grado di vincere questa volta con merito, da lì a poco, a Gorizia. Prendendo per buoni i dati forniti dal generale Pecori Giraldi, durante l'offensiva austriaca, da parte italiana vi furono 5.764 caduti, 24.423 feriti e 42.955 tra dispersi e prigionieri. Entrando nei dettagli delle cifre, nel primo periodo della battaglia i caduti furono 2.201, feriti 9.767 e ben 32.770 dispersi, mentre nella seconda fase dal 1 al 15 giugno 1916 i caduti furono 3.563, feriti 14.656 e 10.185 dispersi e prigionieri269. Da parte austroungarico, secondo la Relazione Ufficiale, le perdite fino, al 18 giugno, furono 5.000 morti, 23.000 feriti 14.000 non idonei e 2.000 prigionieri, in totale 44.0000 uomini fuori combattimento270. 269 Museo del Risorgimento di Vicenza (M.R.Vi), fondo Pecori Giraldi, racc. 12, relazione del generale Pecori Giraldi sulle perdite della 1ª armata, s.l., s.d. 270 E. Acerbi, L'offensiva, cit., p. 57. 184 Bibliografia AA.VV., Arsiero e il settore Astico Posina nella guerra 1915-18, Tipografia Fuga, Arsiero, 1966. Acerbi Enrico, La cattura di Forte Ratti – bugie e verità, Rossato, Novale – Valdagno, 1998. Acerbi Enrico, L'offensiva austriaca di maggio 1916. Aspetti storico – militari, in 1916 – La Strafexpedition, a cura di Corà Vittorio, Pozzato Paolo, Gaspari, Udine, 2003. Acerbi Enrico, Strafexpedition, Rossato, Novale - Valdagno, 1992. Artl Gerhard, Die österreichisch – ungarische Südtiroloffensive 1916, Vienna, 1983. 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