Brusa

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Brusa Caterina 4 P – 24 febbraio 2012 - Pagina 1 di 4
Palladio &
Veronese
PALLADIO
Andrea di Pietro della Gòndola nacque a Padova nel 1508. Iniziò a lavorare a Vicenza come manovale
ma quando conobbe il letterato Gian Giorgio Trìssino acquisì un’educazione letteraria.
Seguì l’amico colto a Roma nei circoli letterari e qui ricevette il nome classicheggiante di Pallàdio.
Vide le opere bramantesche, di Raffaello e di Michelangelo, studiò i monumenti classici disegnandone
piante , prospetti e sezioni in proiezione ortogonale. Incluse questi disegni in un trattato dal titolo I
quattro libri dell’architettura. Lavorò principalmente a Vicenza ma dal 1561
Contribuì al rinnovamento di Venezia dove si trasferì nel 1570 e dove ricoprì la carica di architetto
ufficiale della Serenissima. Morì forse a Vicenza nel 1580.
Costruì numerose ville per la nobiltà e la borghesia dell’epoca che utilizzavano questi edifici non solo
come luoghi di svago ma anche come unità produttive.
La Chiesa del Redentore fu costruita come edificio votivo in
seguito alla peste del 1577 sul Canale della Giudecca,a
Venezia. La facciata è formata da due schemi templari
sovrapposti il più grande dei quali è composto di due
semicolonne collocate all’interno di due potenti paraste
angolari che sorreggono un frontone triangolare che determina
l’effetto dominante. Lo schema minore è impostato nello
stesso livello e presenta paraste che sorreggono due
semitimpani dentellati con il geison e la sima che terminano in
corrispondenza delle paraste finali dello schema maggiore il
cui frontone si staglia contro il muro che sostiene una falda
del tetto. Il tema che viene ricreato è quello del fronte del
Pantheon cui si rifà anche la possente cupola.
All’interno l’edificio presenta un’ unica navata di forma
rettangolare con tre cappelle per ogni lato.
Il presbiterio ha forma accentrata. Due delle tre esedre che
circondano il vano
cupolato,
costituiscono i
bracci del transetto e la terza delinea un’abside da cui si intravede il coro
posteriore.
L’apparente separazione delle due tipologie della pianta longitudinale e
di
quella centrale, conduce tuttavia ad una sostanziale unità degli spazi
infatti entrando nell’edificio si percepiscono come una continuità
l’articolazione delle colonne dell’abside e la trabeazione.
Nell’avvicinarsi al presbiterio , invece, la tessitura muraria per paraste
addossate alle superfici concave dei bracci richiama la composizione delle cappelle nelle quali prevalgono le
superfici curve. Per concludere la grande volta lunettata è simile a quella degli edifici termali di Roma.
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La Chiesa San Giorgio Maggiore fu ricostruita nel 1566
e terminata nel 1610 sull’isola veneziana omonima che si
affaccia sul bacino di San Marco. Vengono qui affrontati
due temi tipici del Quattrocento e Cinquecento e cioè il
disegno della facciata di una basilica a tre navate e quello
della pianta che leghi un corpo longitudinale ad uno
accentrato La facciata con entrata unica viene strutturata
utilizzando un ordine gigante di quattro semicolonne
composite su alti piedistalli sormontate da una trabeazione
che regge un classico timpano a dentelli: il fronte di un
tempio prostilo tetrastilo.
La pianta include un ampio ambiente rettangolare diviso
in tre navate anteriori e dal quale sporgono due esedre che
sono le estremità del transetto. E’ presente poi un
presbiterio quadrato appena sopraelevato rispetto all’ambiente precedente , e infine un coro molto profondo che si
conclude a semicerchio.
Sostando al di sotto della cupola la percezione è di trovarsi in uno spazio centrico nonostante la reale estensione
longitudinale dell’edificio. Questo effetto è dovuto alla differenza minima delle dimensioni trasversali delle tre
navate, alla brevità delle campate del corpo longitudinale e all’espediente visivo di separare il presbiterio dal coro
che risulta nascosto. Palladio preferisce infatti la pianta accentrata a quella
basilicale in quanto ritiene che essa sia congruente con l’immagine del creato e quindi più adatta alla divinità.
L’interno richiama le antiche basiliche ed edifici termali romani con le grandi volte a botte della navata centrale e
del transetto e con le grandi finestre a lunetta che si aprono alla base delle volte.
Villa Barbaro-Volpi Situata a Masèr questa tipica villa palladiana risale
agli inizi del cinquecento. Essa è costituita da uno spazio residenziale con
un corpo centrale avanzante,la cui facciata ha l’aspetto di un tempio
tetrastilo. I volumi porticati sono le barchésse,cioè gli ambienti a servizio
della villa padronale e delle attività produttive.
Villa Almerico-Capra
Detta anche La Rotonda fu costruita tra
1550 e il 1551 su una collinetta vicino
Vicenza
Villa deriva da villeggiatura, spesso
alcuni nobili si ritiravano in queste ville
villeggiatura insieme agli ospiti e
servitori.
Le ville dovevano essere viste per dare
dimostrazione della propria estrazione
sociale e della propria grandezza : non
furono concepite per assolvere solo a
funzioni di impresa agraria ma nella
fattispecie della Villa Capra, essa
doveva anche essere una villa tempio,
ovvero espressione della figura e degli
interessi filosofici del committente:
Paolo Almerigo Capra che aveva fatto una carriera alla corte papale.
il
in
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La costruzione iniziò nel 1566, i lavori non furono finiti da Palladio (morì prima) ma da un certo Scamozzi che
terminò i lavori nel 1591.
Questa villa fa parte del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
È un’opera del tutto originale e non solo nell’impianto ma anche nel rapporto verso il paesaggio e molti architetti
prenderanno spunto da quest’opera poiché per la prima volta (grazie a Palladio) l’architetto diventa consapevole
dell’importanza del paesaggio circostante le ville; questo si chiamerà rapporto morfologico(si doveva considerare
anche il paesaggio per trovare una certa armonia). Il paesaggio diventa così l’effetto che valorizza ancora di più
l’architettura, gli fa da scenario.
Il corpo centrale ha 4 facciate che imitano il pronao esastilo del pantheon i stile ionico (anche se il pantheon è
corinzio), coronati da statue che conferiscono alla villa l’aspetto di un tempio. La cupola è posta su un tamburo
cilindrico e ha una lanterna per illuminare la sottostante sala centrale.
Alla villa si accede da 4 alte scalinate che oltre a innalzarla quasi su un, podio e a farla risaltare nel paesaggio,
ospita la stanze di servizio con accesso autonomo in modo da non interferire sugli spazi superiori.
Internamente abbiamo un grande salone centrale e circolare a cui si accede direttamente da 4 corridoi e circondato
da 4 sale maggiori e da altrettante minori, mentre nei pennacchi di
raccordo della sala sono collocate le rampe delle scale.
L’ornamentazione del salone centrale è sontuosa sia negli affreschi, sia
nella decorazione plastica (realizzata nel 1500-1700) e al suo interno vi si
svolgevano concerti e gare poetiche. Essa ricorda dunque la tipica villa
romana e la presenza dei loggiati è motivata da Andrea dal fatto che in
questo modo c’era sempre la possibilità di ammirare la natura in qualsiasi
direzione si guardasse.
IL VERONESE
Paolo Caliàri nacque a Verona nel 1528 e morì a Venezia nel 1588. Il soprannome di Veronese gli venne dato nel
1553 quando si trasferì in quella che divenne la sua nuova patria e cioè Venezia, città che conserva le sue spoglie
nella Chiesa di San Sebastiano alla cui decorazione si era dedicato per anni.
La prima formazione del Veronese avvenne a Verona che essendo un punto di raccordo tra le direttrici commerciali
Nord-Sud ed Est-Ovest era anche luogo di scambio di idee. Il classicismo del Mantegna, il manierismo di Giulio
Romano e le invenzioni pre-barocche del Correggio stimolarono la sua produzione artistica. Egli fu uno dei
maggiori e più produttivi disegnatori che esplorò tutte le possibilità del disegno utilizzando tutte le tecniche dal
carboncino alla matita, dal gessetto all’acquerello, perciò quando si trasferì a Venezia godeva già di una
preparazione di tutto rispetto. A Venezia Tiziano era il rappresentante principale ed indiscusso del colore tonale per
cui non vedendo nel Veronese un possibile antagonista gli fornì credenziali per lavorare presso le ricche
famiglie,gli enti ecclesiastici e la stessa Repubblica.
La tecnica che predilesse nei suoi dipinti fu la giustapposizione di più colori per cui ottenne una straordinaria
luminosità ed una ricchezza sorprendente di tinte, l’armonioso accostamento dei caldi e dei freddi, la vivezza dei
colori puri usati senza chiaroscuro e senza tonalismi.
Dal 1560 la sua attività artistica è concentrata dalle commissioni per Palazzo Ducale ma anche per privati ed enti
religiosi: tra i soggetti più noti e caratteristici vi sono le Cene, vere e proprie rappresentazioni dei ricchi banchetti
del suo tempo col pretesto del soggetto biblico, dalle quali emerge un vero spaccato di vita quotidiana della ricca
Venezia dell’epoca.
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Cena in casa Levi è una tela enorme lunga tredici metri custodita alle Gallerie dell’Accademia,a Venezia.
La prospettiva è centrale.
La loggia che ha l’aspetto di un’architettura effimera da teatro, si apre su una veduta di città con edifici classici che
non corrisponde ad alcuna città reale ma rispecchia solo il gusto per un disegno preciso e chiaro ed è concepita
come una scenografia dipinta che rende più realistico questo sfondo.
Sotto l’arcata centrale il Veronese posiziona il tavolo del banchetto a cui siedono Cristo, fra Pietro e Giovanni e ai
lati abbiamo gli apostoli intervallati da numerosi servitori.
In tutta la composizione abbiamo circa 50 figure e vengono rappresentate tutte le fasce sociali: i dignitari (l’uomo
togato in rossi davanti a Cristo), i nobili (quello in primo piano vicino alla colonna- ritratto di Veronese), i ricchi
borghesi, la gente comune e i servi (che portano le vivande), i paggi di colore, i nani, i fanciulli e anche i
lanzichenecchi che parlano.
L’evento è attualizzato e reso vivo non soltanto dall’ambientazione ma anche dai ricchi abiti contemporanei, dal
clima di festa, dalla confusione che c’è e ciò è accentuato anche dalla presenza di alcuni animali.
Inizialmente destinata a rappresentare l’Ultima Cena, fu censurata perché considerata troppo pagana e fu
processata. Il tema (religioso) era stato trattato con molta libertà e, intervenuto il tribunale della Santa Inquisizione,
i giudici ecclesiastici chiesero per quale motivo aveva messo come personaggi secondari buffoni, ubriachi, nani…
Il Veronese davanti al tribunale pronunciò una difesa grazie alla quale mise in luce le caratteristiche fondamentali
degli artisti (i quali si prendono licenza di trattare qualsiasi tipo di personaggio) e sostenne che la sua creazione fu
un atto istintivo più che razionale e che quei personaggi erano stati inseriti per riempire degli spazi che altrimenti
sarebbero stati vuoti. Il tribunale fece finta di credergli e lo assolse con l’obbligo di apportare alcune minime
modifiche e di cambiargli per salvare le apparenze ,poiché l’opera era gradevole e bella.
Tuttavia effettivamente il Veronese non ha grandi motivazioni ideologiche e perfino la sua fede è una adesione
formale alle regole della Chiesa. Il suo diletto è invece dipingere ispirandosi a personaggi , animali e oggetti
appartenenti alla vita quotidiana immersi in quella sua luce per cui assumono una dignità quasi classica.
Il pittore si era specializzato nella rappresentazione di vaste composizioni conviviali sacre, tutte caratterizzate da
un’ambientazione scenografica e teatrale, con un’impronta profana e un atmosfera festosa, sfarzosa, con molti
personaggi vestiti con gli abiti del tempo e ritratti con busto realistico.
Scena ambientata sotto un loggiato classico, composto da una sequenza di tre arcate sostenute da colonne
gigantesche di origine corinzia, poi addobbate di angeli nei pennacchi ed è accessibile da due scalinate laterali.
Al di là dei minimi particolari che catturano l’attenzione, la scena ha comunque u ampio respiro, un tono gioioso
ma solenne poiché al di là di tutto ciò Dio è il fulcro della composizione , tanto è vero che si staglia in basso al
centro sullo sfondo luminoso.
In quest’opera è presente l’allegoria del sacrificio eucaristico nella forma dell’agnello che viene tagliato da San
Pietro e la sua posizione, speculare, rispetta quella di Cristo.
Le nozze di Cana è un enorme telero che si trova oggi
al Museo del Louvre. In esso sono raffigurati una
moltitudine variegata di personaggi affaccendati
attorno ad una grande tavola imbandita al centro della
quale c’è Cristo evidenziato dalla luce vicino a Maria,
mentre la coppia di sposi festeggiati si trova
all’estrema sinistra. Anche qui abbiamo il ritratto del
pittore: è il suonatore di viola . La compresenza di
più punti di fuga allineati in senso verticale lungo
l’asse mediano minore forniscono una prospettiva
molto chiara e profonda che serve a dilatare in modo
illusorio lo spazio del dipinto creando quasi una sorta
di palcoscenico teatrale.