Atti del Convegno tenuto in occasione del 100° anniversario

Transcript

Atti del Convegno tenuto in occasione del 100° anniversario
SOCIALISTA – RIFORMISTA
EDUCATORE UMANISTA
“SCRITTORE “
ATTI DEL CONVEGNO TENUTOSI IL
6 MAGGIO 2008
Aula Magna del Liceo T. Tasso – ROMA
1
CON IL PATROCINIO DEL MINISTERO PUBBLICA ISTRUZIONE
CON IL PATROCINIO DELLA REGIONE LAZIO
CON IL PATROCINIO DELLA REGIONE LIGURIA
CON IL PATROCINIO DEL REGIONE PIEMONTE
2
Presentazione di Luigi ANGELETTI
Segretario Generale della UIL
Pag. 5
INTERVENTI
Gianni Salvarani
Vice Presidente dell’Istituto di Studi Sindacali della UIL
pag. 9
Achille Acciavatti
Preside del liceo Tasso
pag.10
Gianni Salvarani
Vice Presidente dell’Istituto di Studi Sindacali della UIL
pag.11
Antonio Ghirelli
Giornalista e scrittore
pag.17
Gianni Oliva
Assessore alla cultura della regione Piemonte
pag.20
Gianluca Spirito
Dirigente regione Liguria
pag.24
Presidente del Convegno
pag.27
Marisa Solinas
Attrice
Pag.29
Gianni Oliveri
Attore
Pag.29
Antonio Landolfi
Storico e politico
pag.37
Giorgio Revelli
Presidente Circolo Culturale Tabiese- Taggia
pag.43
Elio Pecora
Poeta e scrittore
pag.48
Maurizio Nicolia
Segretario Generale Unione Nazionale Scrittori e Artisti
pag.52
Massimo Di Menna
Segretario generale UIL Scuola
pag.55
3
4
PRESENTAZIONE DI LUIGI ANGELETTI
SEGRETARIO GENERALE UIL
E’ davvero importante l’iniziativa dell’Istituto di
Studi Sindacali, che in convegni successivi sta
riflettendo sugli uomini che hanno fatto la storia del
movimento dei lavoratori. Ed è di grande significato, in
questo contesto, la decisione di celebrare il centenario
della morte di Edmondo De Amicis con una serie di
appuntamenti,
nazionali
e
che
vedono
regionali
e
coinvolte
che
sono
dall’adesione e dalla partecipazione di
Istituzioni
qualificati
protagonisti
della nostra cultura politica e letteraria. Appuntamenti che l’Istituto ha curato insieme
all’Unione Nazionale Scrittori ed Artisti ed insieme alla UIL Scuola, la cui
collaborazione è risultata di grande rilevanza.
Pubblichiamo, qui, gli atti relativi al primo incontro, svoltosi al liceo “Tasso”
di Roma; altri ne seguiranno in Liguria ed in Piemonte, terre di nascita e di adozione
di De Amicis.
Negli interventi riportati sono evidenziati tanti motivi che hanno fatto grande e
famoso ed a tutt’oggi rendono importante l’autore del libro “Cuore”. Vorrei, anche se
in estrema sintesi, sottolinearne alcuni, per rimarcare le affinità di quelle ragioni con i
valori e la cultura della Uil.
Il “socialismo umanitario”, ad esempio, professato e vissuto da De Amicis,
nell’equilibrio tra l’urgenza di emancipazione collettiva e l’attenzione alle esigenze
particolari della singola persona, è una delle basi della vocazione riformista della Uil.
Una matrice per il nostro autore, che lo orienta nell’analizzare i multiformi temi via
5
via affrontati; una bussola per la UIL, razionale oltre che valoriale, nella complessità
delle scelte a cui ogni giorno è chiamata a rispondere, nel sindacato e come sindacato.
L’insieme dell’opera letteraria e giornalistica di De Amicis è caratterizzata da
elementi di grande attualità. Quelli indicati e vissuti dal nostro autore possono essere
valori e principi opportunamente da rileggere; di certo, però, non possono essere
trascurati o demoliti, come con frequenza i più diversi massimalismi hanno cercato
di fare, soprattutto negli ultimi lustri.
Di grande interesse, in De Amicis, è l’analisi del rapporto tra lavoro, istruzione
ed emigrazione. L’autore vede nell’istruzione lo strumento fondamentale per la
crescita civile e sociale dei lavoratori; l’occasione del loro riscatto per un
affrancamento individuale e collettivo; il requisito indispensabile per un’evoluzione
che non si fermi ai primi passi ma sia continua e sempre più ampia, in un processo
che, di fatto, non può mai avere termine.
Così, oggi, nella società della conoscenza, l’istruzione è ancora la premessa
per l’emancipazione e l’inserimento della persona nella collettività, per una crescita
sociale ed economica in cui il risultato di ogni singolo è condizione per il risultato
complessivo delle varie comunità.
E poi l’emigrazione. Analizzata e narrata, da De Amicis, come il passo
disperato ed obbligante che costringeva il nostro popolo alla ricerca di un
sostentamento pur minimo, si trasforma in opportunità di lavoro che, nonostante lo
sfruttamento, finisce col rappresentare un’occasione di miglioramento, magari da
conquistarsi nella lotta quotidiana di ognuno e di tutti insieme.
Quello che ci consegna De Amicis è uno spaccato del nostro vissuto nazionale,
che in fondo non è finito da troppo tempo. Ed è una realtà su cui dobbiamo riflettere
soprattutto oggi che il nostro paese si è fatto terra di immigrazione, perché dobbiamo
saper offrire a questi nuovi diseredati del mondo le condizioni di inserimento e di
crescita per le quali, tanto duramente, i nostri emigrati hanno dovuto combattere.
Temi attuali, dunque; come sempre attuale è e sarà, anche se in contesti e con
parametri diversi, l’impegno per la crescita di coloro che vivono ai margini. De
6
Amicis ha colto questa condizione e l’ha affrontata con realismo senza illusioni né
conseguenti delusioni.
Per l’insieme di tali ragioni, la scelta dell’Istituto di Studi Sindacali di
celebrare il centenario della morte di Edmondo De Amicis è un’iniziativa di grande
significato: perché De Amicis, a buon diritto, è da considerare tra i padri morali della
UIL.
7
8
GIANNI SALVARANI
VICE PRESIDENTE ISTITUTO DI STUDI SINDACALI DELLA UIL
Aprendo i lavori di questo convegno desidero
sentitamente ringraziare, a nome della UIL-Scuola,
della Unione Nazionale degli Scrittori ed Artisti e
dell’Istituto di Studi Sindacali della UIL, il Preside
prof. Achille Acciavatti, il personale docente e non
docente del Liceo Tasso per aver accolto la nostra
richiesta di poter tenere l’odierna celebrazione in
questa sede. Il Liceo Tasso è sicuramente uno dei
più importanti Istituti scolastici italiani, vi hanno insegnato docenti di chiara
fama e di grande prestigio: da Staderini a Cervi, da Calogero a Castelnuovo,
l’elenco è lunghissimo così come quello dei discenti, uomini e donne, che in
ogni campo si sono distinti a livello nazionale ed internazionale, solo per
citarne alcuni, senza voler far torto ai tantissimi altri: da Majorana a Segre, da
Bachelet a Malagodi, da Andreotti a Reichlin, da Gassmann a Curzi a Mieli,
anche la UIL ha avuto tra i suoi dirigenti allievi del Tasso ed è qui presente
Camillo Benevento per anni segretario confederale e direttore del nostro
giornale Lavoro Italiano.
Il Tasso ha contribuito e continuerà a contribuire a formare la futura classe
dirigente del nostro Paese.
Un ringraziamento particolarmente sentito agli studenti che assistono al
convegno e ai loro compagni che sicuramente né seguiranno indirettamente il
dibattito.
Siamo tutti convinti che per la celebrazione di un personaggio come
Edmondo De Amicis una sede più degna non poteva essere trovata.
La parola al prof. ACCIAVATTI per il suo indirizzo di saluto
9
ACHILLE ACCIAVATTI.
PRESIDE DEL LICEO TASSO
Il mio compito è quello di dare, con molto piacere e con molta gioia, il benvenuto
a tutti quanti i presenti. Ho colto l’invito a suo tempo di poter celebrare il
centenario della morte di De Amicis in questo liceo e ringrazio delle belle parole
che su di lui sono state appena pronunciate. Non è mio compito parlare di
Edmondo De Amicis, due cose soltanto voglio dire. La prima riguarda la stampa,
il volantino, la brochure che è stata stampata.“Edmondo De Amicis socialista,
riformista, educatore, umanista, scrittore.” Mi piacciono tutti e cinque i termini.
Ad un uomo di scuola come il sottoscritto, che da tanti anni naviga nel mare
procelloso della scuola, con alti e bassi, dovrebbe piacere di più il termine
“educatore” perché io mi sono sentito, sempre, educatore. Oggi ci chiamiamo
dirigenti, però, io continuo a farmi chiamare preside. Per quanto riguarda la
prima considerazione, a me piace di più il termine “educatore” e anche molto il
termine “socialista”. E’ il primo termine usato, anche perché, che si torni a
parlare di socialismo è un augurio che faccio di tutto cuore all’Italia e alla civiltà
italiana. La seconda considerazione è di carattere personale, ma legata a De
Amicis. Io sono nato nella prima metà dell’altro secolo. Ho vissuto il primo
dopoguerra. Il mio paese bombardato. Ho fatto le scuole elementari e le medie.
Per noi il libro “Cuore”, era pane quotidiano. Si leggeva in classe, le famiglie che
potevano lo avevano a casa, si leggeva nelle classi della scuola media. Chi può
dimenticare “La piccola vedetta lombarda”, “Il Tamburino sardo”, “Il piccolo
scrivano fiorentino”, “Dagli Appennini alle Ande”? Si può dire quasi che negli
ultimi anni della scuola elementare e nella scuola media era un libro molto letto.
È ovvio che a quell’età si leggeva il libro “Cuore”, perché eravamo ragazzini di
10, 11, 12 anni. Con lo stesso piacere con il quale ho dato il benvenuto a voi,
con il cuore, auguro una buona giornata di studi, di dibattito, di approfondimento
di questa nobile figura che si è distinta per un secolo .Grazie e buon lavoro a
tutti.
10
GIANNI SALVARANI
VICE PRESIDENTE ISTITUTO DI STUDI SINDACALI DELLA UIL
Con questo convegno prende avvio il
secondo percorso, ideato dall’Istituto di
Studi Sindacali, alla riscoperta dei padri
fondatori
delle
prime
forme
di
organizzazione mutualistiche, cooperative,
sindacali, e partitiche e di quanti hanno
contribuito
alla
loro
affermazione
nel
nostro Paese. Obiettivo dell’Istituto di Studi
Sindacali è di arrivare, attraverso la
ricostruzione storica dell’attività svolta da
questi primi pionieri e la ricerca delle radici
della comune idealità, fino alla costituzione
della nostra organizzazione. Ricordando, quindi, uomini e donne che con la
loro azione hanno saputo formare nei lavoratori una coscienza di classe,
organizzarne l’impegno sociale e l’azione rivendicativa.
Celebrando il centenario della morte di De Amicis vogliamo ricordare uno dei
personaggi tra i più impegnati nella battaglia ideale, ancor prima dell’unità
d’Italia, in favore dei lavoratori, nell’abbracciarne la loro causa unitamente a
quella socialista. Una convinzione che De Amicis ha maturato, dopo aver
conosciuto la miseria e gli stenti nei quali i lavoratori e le loro famiglie erano
costretti a vivere, il dolore di chi doveva emigrare e la violenza della dura
repressione dello Stato a tutela dello sfruttamento attuato dal padronato.
Quest’iniziativa su De Amicis fa intersecare il nostro percorso con quello fatto
dalla UILScuola e dell’Unione Nazionale Scrittori e Artisti, così com’è
avvenuto in precedenza con altre categorie. In particolare, però, in questa
circostanza, il rapporto si fa più stretto con la UILScuola, non soltanto per il
11
convegno che su De Amicis ha organizzato ad Imperia lo scorso ottobre, ma
soprattutto per l’importante esperienza da loro fatta con l’iniziativa titolata
“dalle radici della nostra cultura alla scuola” con la quale hanno voluto
ricordare i grandi della scienza e della cultura italiana da Vico a Pirandello, da
Galileo ad Ariosto, dalla Deledda a Fermi, è in questo contesto che le nostre
ricerche si uniscono, celebrando un personaggio che ha saputo dare non solo
alla cultura un elevato contributo, ma anche e soprattutto nel sociale e nella
politica, offrendone uno di un tale spessore da farlo andare molto al di là della
sua meritata fama d’educatore, scrittore e giornalista.
Una scelta che vuole significare anche il riconoscimento dell’organizzazione a
quanti, De Amicis tra i primi, hanno dato un così importante contributo al
movimento sindacale e al Paese.
Il primo percorso ha avuto inizio celebrando, a Reggio Emilia, il 75°
anniversario dalla morte di Camillo Prampolini, universalmente conosciuto
per essere stato tra i padri fondatori del movimento cooperativo, di quello
socialista e delle prime esperienze di organizzazione sindacale. Un apostolo
nei cui scritti troviamo molte similitudini con quelli di De Amicis, la sua
famosissima “Predica di Natale” così come gli articoli di fondo scritti sulla
“Giustizia”, il giornale da lui fondato, combaciano con molti degli articoli e
saggi scritti dal De Amicis e pubblicati sul “Grido del popolo”.
Dall’apostolato rivolto ai lavoratori della terra, siamo passati ad approfondire
la condizione dei lavoratori della nascente industria e delle attività portuali
celebrando, a Genova, il 90° anniversario della morte di Pietro Chiesa. Un
uomo che seppe organizzare le rivendicazioni operaie dei lavoratori
dell’industria coniugandole con quelle dei lavoratori portuali. Situazioni che
De Amicis ebbe modo di conoscere bene per come erano vissute dai
lavoratori, nella sua Torino, città che non solo era la capitale dello Stato, ma
anche quella più industrializzata del Regno e della quale, con i suoi scritti né
ha saputo dare una forte ed appassionata raffigurazione.
12
La successiva tappa ci ha ricondotto ai lavoratori della terra, con la
celebrazione, a Rovigo, del 60° anniversario della morte di Nicola Badaloni,
un medico, uno scienziato, primo a trovare rimedi per combattere lo scorbuto,
la pellagra e la malaria, le principali malattie che affliggevano i contadini delle
insalubri e povere terre del Polesine. Egli accompagnò la sua attività di
medico condotto con la divulgazione del credo nell’organizzazione dei
lavoratori, della indispensabilità della lotta sindacale e politica, quale mezzo
per arrivare al loro riscatto.
Un mondo, quello della scienza e della cultura, al quale De Amicis si è
spesso rivolto, (basti ricordare la costituzione con Cesare Lombroso e Arturo
Graf del movimento denominato “Socialismo dei professori”) con lo stesso
spirito con il quale Badaloni vi ha dato corpo con la sua opera, con una
apertura verso il sociale e all’interno del sociale verso il bisogno, comuni assi
portanti per indirizzare le rivendicazioni verso la costruzione di una nuova e
diversa società.
Il fil rouge tracciato ci ha portato in un’altra delle zone, all’epoca tra le più
povere della penisola, particolarmente colpita dalla piaga dell’emigrazione,
come fuga dalla miseria e dalla disperazione: il Cadore. Terra nella quale
abbiamo celebrato il 135° anniversario della nascita di Giustino detto Giusto
Santin, un muratore analfabeta, costretto ad istruirsi da emigrato in Svizzera,
imparando a leggere e scrivere studiando di notte, fino a diventare direttore di
uno dei più importanti giornali socialisti del nord Italia. L’emigrazione è stata
uno degli argomenti sui quali più volte si è soffermato De Amicis,
descrivendola come uno dei mali peggiori della società, non solo per averla
studiata come fenomeno di quel periodo storico, ma anche per averla
conosciuta e vissuta in un viaggio intrapreso come emigrante fra emigranti e
quindi con una esperienza diretta che lo ha messo in condizione di scriverne
le sue impressioni di giornalista e scrittore attento agli accadimenti e di farne
13
conoscere, con straordinaria efficacia, la condizione disperata nella quale
quella povera gente era costretta a vivere ed andare “ramenga” per il mondo.
Per conoscere meglio quanto fossero capaci di unire non solo i lavoratori, ma
molta parte del popolo italiano le idee professate da questi antesignani del
sindacalismo e del socialismo, abbiamo voluto ricordare un uomo colto, di
buona estrazione sociale, di famiglia molto religiosa, che si ribellò al
conformismo, alla piattezza di una vita grigia e anonima di un piccolo centro,
anche se onestamente condotta ed economicamente vissuta senza problemi,
per dedicarsi fin da giovanissimo all’organizzazione sindacale e al partito
socialista. Si tratta di Filippo Acciarini impegnato sindacalmente e
politicamente a Torino, perseguitato e deportato in campo di concentramento,
deceduto ancor in giovine età a Mauthausen.
Una ribellione al conformismo sempre molto presente negli scritti di De
Amicis, spesso esposta con grande garbo e in punta di penna, con un rifiuto
motivato di quella società ordinata solo nella finalizzazione del mantenimento
della netta divisione fra le classi e dell’esercizio del potere da parte del più
forte, sia esso lo Stato o il padronato.
Successivamente abbiamo affrontato i martoriati anni della dittatura fascista e
della occupazione nazista, ma soprattutto quelli esaltanti della Resistenza.
Per quel periodo storico abbiamo scelto di prendere, dall’interno della nostra
organizzazione, l’esempio di uno dei nostri dirigenti, Ezio Vigorelli, che
passato dall’antifascismo politico a quello della lotta armata nelle formazioni
partigiane della Val d’Ossola, contribuì alla costituzione della libera
Repubblica dell’Ossola, continuando a combattere per la libertà del Paese
anche dopo la perdita dei suoi due figli caduti in conflitto contro i nazi fascisti
per
difendere
la
neonata
libera
Repubblica.
Sacrificio
riconosciuto
assegnando loro una medaglia d’oro e una d’argento al valor militare. Un
padre capace di sprigionare una così grande forza d'animo, al punto non solo
da sopravvivere ad una simile tragedia, ma da saper generosamente
14
continuare l’impegno politico anche dopo la fine del conflitto. Vigorelli entrato
nella nostra organizzazione né divenne presidente del comitato centrale,
incarico che lasciò, con grande senso di responsabilità, quando chiamato a
far parte del governo, per assumere l’incarico di Ministro del Lavoro, si dimise
scrivendo una nobile lettera con la quale, pur riconfermando i suoi
indissolubili legami con l’organizzazione, spiegò che per effetto dell’incarico
assunto non poteva più mantenere alcuna responsabilità nel sindacato,
volendo essere il Ministro di tutti i lavoratori e non il rappresentante di una
sola parte.
E’ dalla sofferenza di padre e da quella del grande spirito di sacrificio e di
combattente che troviamo una similitudine con De Amicis, anch’egli
sfortunato padre, così come altrettanto coraggioso ufficiale nella guerra
d’indipendenza e primo corrispondente di guerra alla presa di Roma.
Abbiamo voluto terminare questo primo percorso ricordando quello che è
stato il Presidente più amato degli italiani, Sandro Pertini. L’uomo tutto di un
pezzo, il socialista puro, ciò detto nei termini più nobili del termine. Un uomo
sul quale si possono scrivere fiumi d’inchiostro e oceani di parole tanto è
stato stimato e rispettato ed in molti lo hanno fatto, ma una tra le definizioni
migliori è sicuramente quella data di Indro Montanelli il quale così si
espresse: “Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque
cosa dica o faccia odora di pulizia, di lealtà e di sincerità”. Questo giudizio
espresso nei confronti di Pertini può essere esteso anche a De Amicis per
tutto il patrimonio che ci ha lasciato. Due grandi personaggi assimilati anche
dall’adorazione che entrambi avevano per la propria madre, con De Amicis
che scrivendo l’eccelsa poesia “ A mia madre” rivelava, oltre alla sua vena
poetica, il tanto amore provato per la genitrice, Pertini ha espresso un eguale
sentimento attraverso una fitta e non meno poetica corrispondenza
intrattenuta con la madre soprattutto dal carcere e dall’esilio.
15
Pertini spesso soleva dire: "gli anziani ricordino affinché i giovani sappiano", è
quest’insegnamento che ci sta accompagnando nel nostro ripercorrere e
riproporre l’idealità e l’opera di quanti sono stati determinanti per la
costruzione di questo Paese che, pur con i suoi non pochi difetti, resta il più
bel Paese del mondo.
16
ANTONIO GHIRELLI
GIORNALISTA E SCRITTORE
Ho accettato molto volentieri di partecipare a questo convegno non solo
perché dedicato al socialista riformista Edmondo De Amicis, che per un
socialista come me è già più che sufficiente, ma soprattutto per il giornalista
scrittore dalla penna gentile, lieve, perbene e al tempo stesso forte, profonda
e umanamente eccelsa nel rappresentare le condizioni di vita dei lavoratori.
E’, quindi, al compagno di partito e al collega giornalista scrittore che anch’io
partecipo a rendere omaggio.
Quando da bambino napoletano, fui iscritto sul finire degli anni venti del
secolo scorso alla prima elementare della scuola “Edmondo De Amicis” ( ma
noi del golfo pronunciavamo: De “Amicis”, con l’accento tonico sulla A) non
avrei mai pensato che un giorno –molti decenni più tardi- sarei stato invitato a
partecipare alla celebrazione del centenario dell’autore di “Cuore” da parte
dell’Istituto di Studi Sindacali della UIL, della UIL Scuola e dell’Unione
Nazionale Scrittori e Artisti. e, soprattutto, che lo avrei commentato come
socialista. Non era solo il regime fascista, allora imperante, a tacere questo
non trascurabile dettaglio: tutta la cultura conservatrice, monarchica e
cattolica preferiva sorvolare su un particolare piuttosto imbarazzante per
quelli che molti anni più tardi si sarebbero definiti i poteri forti, la netta
collocazione dello scrittore dalla parte dei lavoratori.
Purtroppo poteri forti, e in particolare una certa ala di quello giudiziario, hanno
ripreso talmente il sopravvento del nostro Paese che il centenario della
nascita di De Amicis ha trovato il movimento socialista infinitamente più
disintegrato ed emarginato di quanto fosse all’inizio del novecento. Sotto i
colpi di maglio, unilateralmente orientati, dall’inchiesta Mani Pulite è stato
proprio il PSI ad essere investito da una bufera politica che ha travolto anche
tutte le forze politiche protagoniste della miracolosa ricostruzione del Paese
17
dopo la tragica disfatta fascista. Salvo però quella comunista, su cui si stava
abbattendo la catastrofe del crollo sovietico e che forse fu risparmiata dalle
Procure progressiste nella speranza, delusa poi amaramente, che si potesse
sopravvivervi. L’accanimento sui socialisti, ammantato di sdegno moralistico,
fu provocato dalla consapevolezza dei poteri forti che si trattava dell’unico
movimento idoneo, per altezza di ideali e vigore di guida craxiana, a bloccare
lo sviluppo della manovra restauratrice della “casta” e delle corporazioni.
Di De Amicis, comunque, già al momento in cui il suo “Cuore” arrivò per la
prima volta nelle librerie avviandosi a battere col “Pinocchio” di Collodi il
record assoluto di successo e di vendite della letteratura infantile, si
accorsero per un verso i socialisti, per altro riguardo i circoli retrivi, compresi
quelli religiosi dell’epoca “tenuti a margine di una visione laica coerente con
l’etica risorgimentale dell’autore, già orientata
verso il socialismo”.
A nome dei primi, invece, parlò nella primavera
del 1904, quando lo scrittore morì in una camera
di albergo a Bordighera, Filippo Turati dai banchi
di Montecitorio: “La sua venuta nel nostro partito –
disse Turati con geniale sintesi tra l’ispirazione
sentimentale del capolavoro e le convinzioni
politiche dell’autore scomparso – sta a provare
che la lotta di classe, così ingiustamente definita
come eccitazione all’odio, non è soltanto l’arida
formula immaginata da Marx, ma anche qualcosa in più, cioè l’ispirazione
benefica verso il più luminoso ideale”.
E, sulla falsariga, del discorso di Turati, il Partito Socialista fece affiggere un
manifesto per celebrare “il più grande e il più buono dei socialisti italiani”
deplorando che si fosse spenta “ la voce che, nel nostro fervido augurio, dopo
18
aver narrato con dolcezza le speranze dei poveri, doveva dirne senza
rancore il trionfo”.
Si badi bene: in questo accenno, come nel giudizio di Turati, non è solo
contenuto il più giusto e commosso omaggio alla memoria di Edmondo De
Amicis
(
altro
che
“Edmondo
dei
languori”
come
lo
descrisse
caricaturalmente una certa critica borghese!) ma anche una definizione della
socialdemocrazia che ne spiega la sopravvivenza e la storica vittoria sul
comunismo modellato “sull’arida formula” di Marx. Del resto, soltanto nel
1980 è stato nuovamente pubblicato un romanzo del grande scrittore ligure di
nascita, ma piemontese di adozione, “Il Primo Maggio” che per ragioni
misteriose dopo la prima edizione era stato quasi totalmente dimenticato.
In questo romanzo, al di la delle pur appassionanti vicende personali del
protagonista, Alberto, un giovane insegnante che perde il posto e gli amici
perché si è “convertito” al socialismo il primo maggio del 1889, De Amicis
analizza con passione ma anche con perspicacia tutti i problemi relativi al
nuovo movimento, senza tacere “dubbi e perplessità”, pronunciandosi
chiaramente, limpidamente contro l’estremismo violento ed inconcludente ma
in favore “degli oppressi, degli sfruttati, dei miserabili, vittime dell’anarchia
dell’industria, ridotta ad un gioco d’azzardo, di cui scontano le perdite le
moltitudini che non hanno parte nei profitti”.
Con la stessa, sorprendente lucidità, l’autore del “Primo Maggio” abbozza
“una critica assai profetica” della soluzione cinicamente scelta dai sovietici,
quella del cosiddetto “capitalismo di stato”, lontano mille miglia dallo spirito e
dalla prassi del socialismo democratico. Purtroppo, come sappiamo, nel
momento attuale la storica vittoria dell’autentico riformismo non trova più
alcun corrispettivo nel nostro Paese in un grande movimento rappresentato in
Parlamento e nella società. Ma attenzione! La storia per fortuna non finisce
oggi: chi vivrà vedrà:
19
GIANNI OLIVA
ASSESSORE ALLA CULTURA DELLA REGIONE PIEMONTE
Grazie e grazie dell’invito. Un saluto a nome della Regione Piemonte, che è
diventata la patria adottiva di De Amicis, nato ad Oneglia, morto a
Bordighera. Da giovanissimo si trasferisce con la famiglia a Cuneo e da
Cuneo a Torino, dove ha trascorso la maggior parte dei suoi anni. Io credo ci
siano tanti De Amicis. Si può parlare del De Amicis socialista, quello dello
scritto “Primo maggio”; si può parlare del socialista riformista, amico e
collaboratore intellettuale di Filippo Turati, Anna Kuliscioff, con Treves, con
Bissolati, con Bonomi, con tutti i grandi nomi del socialismo di fine secolo e
dei primi anni del ‘900. Si può parlare di un De Amicis ritrattista del mondo
militare. Aveva frequentato l’Accademia di Modena, era ufficiale di carriera,
anche se per poco, ma nei bozzetti di vita militare ha saputo dare
un’immagine accattivante” e in grado di creare consenso attorno all’istituzione
militare che aveva in qualche modo fatto il risorgimento e che per un periodo
aveva anche tenuto insieme il Paese, dopo le difficoltà successive alla
unificazione. Esiste, soprattutto, un De Amicis linguista e un educatore. Io
credo che la figura di De Amicis abbia avuto un’importanza nella storia
culturale del nostro Paese maggiore di quanto non sia la consapevolezza
critica e le attenzioni che sono date al personaggio oggi. De Amicis ha avuto
anche dal punto di vista della critica una vicenda un po’ paradossale perché
lui, socialista, è stato ad un certo punto, negli anni ’60,’70, considerato
sostanzialmente un conservatore per il buonismo interclassista con il quale
descriveva la società. È all’opposto uno scrittore che, sicuramente, era
conservatore, come Giovanni Verga, legato all’idea di cristallizzazione delle
classi sociali. È stato immaginato come un progressista e un grande
innovatore. Credo che De Amicis abbia avuto un ruolo fondamentale nella
nostra storia culturale, perché ha contribuito in modo determinante a creare
20
un modello nel quale la gioventù si identificava. La famosa frase “Fatta l’Italia,
bisogna fare gli Italiani” che è attribuita a Massimo D’Azeglio, anche se
nessuno l’ha mai trovata citata in un suo scritto, ormai è entrata nella legenda
ed è comunque una frase che ritrae bene l’Italia del 1861, che arriva da secoli
di divisioni, con un forte municipalismo, con una difficoltà linguistica, con un
85%, 90% di italiani analfabeti e solo un 10% italofoni, per cui si tratta di
costruire un’identità, un’immagine e anche un modello di comportamento.
Non soltanto “Cuore”, ma le tante opere che De Amicis ha scritto verranno
prese e ospitate nei sussidiari della scuola elementare e se c’è un obiettivo,
un pubblico al quale mi sembra De Amicis abbia pensato sempre, in tutte le
sue opere, quel pubblico è il giovinetto, colui che deve essere formato, colui
che deve essere educato, colui che deve essere cresciuto. La formazione dei
giovani, delle nuove generazioni, è molto più determinata nell’organizzare il
futuro di un Paese di quanto noi non immaginiamo. Il filmato che è stato
proposto nella parte introduttiva di questo convegno mi pare abbia centrato
perfettamente il problema, quando ha descritto la scuola nell’epoca fascista.
La scuola è quella che modella i comportamenti e riesce a trasformare, nel
bene o nel male e a portare al progresso, a portare alla deriva, dei popoli,
indipendentemente dalle origini che si hanno. Vedevo nei corridoi che ci sono
dei tabelloni che riguardano il nazismo, si parla di Mengele e si parla
giustamente con l’orrore che oggi ci suscita tutta l’esperienza che ha
attraversato la Germania, nell’epoca dal ’33 al ’45. A me c’è una cosa che
colpisce ancora di più quando penso a quegli orrori, ai campi di
concentramento, alle camere a gas, ai lager. Tutto quello non è accaduto in
un popolo sottosviluppato del terzo mondo, è accaduto nella nazione che
aveva il più alto tasso di alfabetizzazione nel mondo, dove si erano formati
intellettuali come Bertold Brecht, come Thomas Mann, scienziati come Albert
Einstein, dove da due secoli si coltivavano i valori dell’Umanesimo e i più
grandi filosofi, i più grandi storici, i più grandi filologi si sono formati in quella
21
terra. Eppure in quel paese così evoluto, così colto, così raffinato, un
personaggio che oggi può suscitare orrore come il caporale Hitler è arrivato al
potere e ha tirato dietro di sé per anni 45 milioni di tedeschi ed è caduto non
quando una rivoluzione interna lo ha fatto cadere, o una resistenza interna lo
ha battuto, ma è caduto quando l’armata rossa è arrivata a Berlino e gli anglo
americani hanno attraversato il Reno, da Ovest verso Est e hanno
attanagliato la città. In quegli anni tutto ciò che oggi fa orrore è stato accettato
e condiviso per complicità, per convinzione, per paura ma è stato
condiviso da milioni e milioni di tedeschi. È uscito qualche tempo fa un libro
bellissimo che s’intitola “La scuola della morte” ed è un’analisi di come la
scuola nazista sia riuscita a creare nel giro di pochi anni una generazione di
nazisti, in un Paese con tutte quelle tradizioni di cultura, di democrazia, di
raffinatezza e di valori centrati sull’uomo, valori umanistici. Questo ci dà la
dimostrazione e la misura di quanto la formazione sia fondamentale nel
creare la nazione del futuro. Non è una dichiarazione retorica, è la
dimostrazione della storia, il risultato dell’analisi del nostro passato. In questo
senso la figura di De Amicis è stata fondamentale, nel contribuire a creare,
con i suoi scritti e con quel suo linguaggio semplice, accessibile, corretto,
puro, ma nello stesso tempo di medio livello, quella “italianità” e quel modo di
essere italiani che ci ha caratterizzati, almeno fino a quando nel 1922 un altro
tipo di scuola ha portato all’affermazione di un altro modello di italiani. Non
più l’italiano che andava a votare, non più l’italiano entusiasta di aver
raggiunto nel 1911 il diritto al suffragio semi universale, riservato solo ai
maschi, ma comunque indipendentemente dalla divisione di classi, ma un
altro modello di italiano legato, invece, al Mussolini che si vedeva prima, con i
muscoli tesi della faccia e i pugni stretti ai fianchi e che è poi quell’educatore
che ha portato l’Italia al dramma della seconda guerra mondiale e alle
conseguenze
lunghe,
che
anche
il
vostro
Preside
descriveva
autobiograficamente nel suo intervento. Dicevo che si è parlato poco di De
22
Amicis nel centenario. Sapete che i centenari, gli anniversari hanno sempre
una variabile, dipende da quando cadono. De Amicis ha avuto l’avventura in
negativo di avere il centenario della nascita nel 1946 quando l’Italia aveva
altri problemi che non ricordare il suo passato e i suoi intellettuali. Oggi nel
2008, siamo nel centenario della morte e credo possa essere un’occasione
per fare delle iniziative, ne faremo con gli amici qui presenti anche a Torino,
luogo dove si è formato, se ne faranno altre in Liguria, credo che il mio
collega Assessore Ligure stia per arrivare. Certo vale la pena prendere in
mano un autore che non sta nelle antologie, come Foscolo, come Leopardi,
come Manzoni o come i grandi dell’ottocento, ma che forse tanto e forse
anche più di loro ha contribuito a formare gli italiani negli ultimi vent’anni
dell’ottocento e nei primi venti del novecento perché il suo insegnamento è
stato ospitato ben più a lungo della sua morte. Grazie e buon lavoro.
23
GIANLUCA SPIRITO
DIRIGENTE ASSESSORATO ALLA CULTURA DELLA REGIONE LIGURIA IN
RAPPRESENTANZA DELL’ASSESORE FABIO MORCHIO
Buon giorno. Porto il saluto dell’Assessore alla cultura, sport, spettacolo,
della Regione Liguria, Fabio Morchio, impossibilitato a partecipare per un
improvviso impegno istituzionale che però ha voluto essere rappresentato,
proprio, per sottolineare l’attenzione con la quale la Liguria guarda questa
iniziativa di riflessione e di approfondimento. Leggo quindi le sue
considerazioni. L’Assessore, inconsapevolmente, parte dalla stessa parola
che ha usato l’Assessore Oliva a conclusione del suo intervento. “Forse più
che in altre celebrazioni consimili, legate ad anniversari che sembrano quasi
imporre il ricordo, a prescindere dalla reale statura del ricordato, il centenario
Deamicisiano può costituire una vera occasione. Il 2008 ci consegna una
personalità che ha conosciuto una fortuna, forse una sfortuna, curiosa e
singolare. Edmondo De Amicis pare aver fatto un’unica cosa nella vita, cioè
aver scritto un unico libro, sia pure di successo planetario. Quel successo
mondiale negli anni ha oscurato tutto il resto e con il mutare del gusto, per
tanta parte del pubblico, meno informato, egli è solamente lo scrittore
moralista, il propugnatore di virtù civili un po’ desueta, il datato nazionalista.
Noi stessi liguri, che pure ci vantiamo del nostro conterraneo, in maniera un
po’ statica e non sentiamo realmente né l’uomo, né l’autore che parla alle
nostre coscienze. Vengono così ignorati gli sviluppi di una personalità
multiforme, che lo portarono via via ad essere un protagonista della vita
culturale e civile della giovane nazione unita. Ad avvicinarsi al socialismo e a
prestare, nelle sue opere più tarde e nella sua attività pubblica, specifica
attenzione alle fasce sociali più deboli, con atteggiamenti ben diversi da quelli
che emergono in “Cuore”. Vi è,
24
indubbiamente, un compito di rilettura e riproposizione per comprendere più
compiutamente la rilevanza letteraria, linguistica e pedagogica della sua
attività, ma anche per riconsiderarne la valenza geopolitica. Nell’anno
dedicato a livello europeo al dialogo interculturale, credo non si possa
trascurare “Lo scrittore viaggiatore” che ha lasciato pagine interessantissime
per tanti aspetti, in grande anticipo sui tempi, sui Paesi Mediterranei,
raccontando e rapportando realtà tra loro diversissime e spingendosi a
cogliere differenze non solo geografiche, ma anche culturali e persino etiche.
Un tema, per tanti versi attuale, ruota attorno al rapporto tra le lingue e tra
lingua e dialetto. Anche in questo ambito si dovrà probabilmente dare atto a
De Amicis, pur con tutte le cautele e le differenze di epoca e di forma, degli
attenti studi sulla lingua, delle sue esortazioni a favore del vocabolario, del
contributo fornito alla rinascita degli studi filologici. D’altra parte nello stesso
“L’idioma gentile” emerge chiara la convinzione sociale che il sapersi
esprimere è componente fondamentale della crescita di ogni uomo e non solo
dei colti. Non voglio soffermarmi sull’avvicinamento al pensiero socialista,
poiché in questa sala vi è certamente chi lo farà con profondità e precisione,
onorandomi di rappresentare la Liguria, terra fortemente coinvolta dai
fenomeni dell’emigrazione prima e dell’immigrazione oggi, desidero tuttavia
almeno ricordare “Sull’oceano” del quale non può essere taciuto il rilievo
modernamente antropologico che vede De Amicis acuto e partecipe
osservatore di un fenomeno tanto significativo per la storia e la società
nazionale. L’incontro di oggi si inquadra in un più vasto complesso di
iniziative che, a livello nazionale, ciascuna con le sue peculiarità, mirano a
riconsiderare, se non a riscoprire, i diversi aspetti ed i molteplici interessi
dello scrittore Onegliese. Anche la Liguria opera in tal senso. È recentissimo
il convegno organizzato dal Comune di Imperia, dal Ministero dei beni
culturali, dall’Università di Genova, che ha affrontato le diverse anime, non
solo letterarie, dello scrittore. Lo stesso Comune di Imperia ha previsto, oltre
25
a questo convegno, una serie di realizzazioni, tra le quali la più rilevante,
anche perché permanente è il trasferimento dello studio di De Amicis nello
spazio espositivo che sarà sito al piano terreno della nuova biblioteca civica.
In questo nuovo spazio espositivo ci saranno gli arredi originali, oggetti cimeli,
saranno soprattutto esposti circa 3000 volumi della sua biblioteca personale,
che comprendono le edizioni di “Cuore” in 21 lingue diverse. Naturalmente
attorno a questa realizzazione ruoteranno varie iniziative espositive,
didattiche, etc. Posso anticipare che anche a Genova, dove, come è noto,
una delle biblioteche più attive dedicata a giovani e giovanissimi è intitolata
“De Amicis”, in cui ci sarà un’iniziativa in autunno. Dai primi bozzetti della vita
militare, alle ultime opere, e direi alle ultime battaglie di impegno e di ideali,
De Amicis ha indubbiamente percorso una strada lunga e illuminata. Non
siamo certo di fronte alla figura di un genio, o ad un gigante, lui stesso,
d’altronde, era spiritosamente consapevole dei suoi confini e ,tuttavia, oltre
all’artista, l’uomo emerge con un rilievo affatto trascurabile, attento a ciò che
lo circonda, con sensibile partecipazione, disposto a farsi trasformare dalle
esperienze vissute, capace di mettersi in discussione e sviluppare, partendo
da posizioni assai differenti, un proprio cammino. Qualcuno lo ha definito il
socialismo del “Cuore”. Non so se vi fosse un intendimento sottilmente e
affettuosamente ammiccante nella definizione, ma mi sembra comunque una
splendida prospettiva per un volume planetario. Auguro buon lavoro a tutti i
presenti, ringraziando per quanto si sono impegnati per la buona riuscita di
questo importante incontro”. Grazie.
26
PRESIDENTE:
Salutiamo con piacere e ringraziamo per la presenza al nostro convegno
Tonino REGAZZI segretario generale della UILM, il nostro sindacato dei
metalmeccanici; Luigi SCARDAONE segretario generale della UIL di Roma e
del Lazio; Alberto ORANGES segretario nazionale della UILP, la nostra
federazione dei pensionati; Bernardo PUPPO segretario regionale della UIL
di Genova e della Liguria; Camillo BENEVENTO della segreteria nazionale
della UILTRASPORTI; Graziana DEL PIERRE presidente nazionale dell’ADA,
l’associazione di difesa dei diritti degli anziani;
Armando MASUCCI
segretario nazionale della UIL-MEDICI e presidente della associazione Nicola
Badaloni;
Aurelio
CAMPANA
della
segreteria
nazionale
dell’ADOC,
l’Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori; Giovanni
D’ALESSANDRI segretario nazionale della UILPS, il sindacato di polizia della
UIL. Con il coordinatore del comitato scientifico del nostro Istituto senatore
Giuseppe AVERARDI sono presenti i membri Pietro GRAZIANI Dirigente
generale del Ministero dei Beni Culturali, G.Aldo RICCI sovrintendente
all’Archivio Centrale dello Stato e il giornalista PierLuigi SORTI. Nello
scusarmi per eventuali omissioni, un sentito ringraziamento per la
partecipazione ai membri della segreteria nazionale della UILScuola, di quella
dell’Unione Nazionale degli Scrittori ed Artisti e al presidente dell’Istituto di
Studi Sindacali Fabio CANAPA.
Dal libro di De Amicis “LOTTE CIVILI” Edito nel 1910 dai fratelli Treves di
Milano, gli attori Marisa SOLINAS e Gianni OLIVERI leggeranno i brani del
capitolo intitolato “Passano le tessitrici”:
27
28
SOLINAS Nel momento che s’alzavano da tavola udirono il rumore confuso d’una folla,
che s’avvicinava.
Tutti corsero alle finestre e ai terrazzi; la padrona di casa s’affacciò alla
finestra più vicina, con una delle sue figliole.
Venivano innanzi, per una via diritta, le operaie tessitrici, scioperanti da due
giorni; varie centinaia di ragazze e di donne, fra le quali si vedevano delle
teste grigie; tutte in capelli, molte scarmigliate e coi panni in disordine; gruppi
serrati, come grosse pattuglie, che gridavano parole incomprensibili; schiere
di dieci o dodici, che si tenevano a braccetto e cantavano a voce altissima;
molte scompagnate, che correvano avanti e indietro e rompevano qua e là la
colonna, gesticolando, come se diffondessero una parola d’ordine, e i canti,
le grida, i discorsi, le risa stridule facevano tutt’insieme un frastuono tra di
battaglia e di baccanale, che si smorzava a quando a quando come nel
mormorio sordo d’un fiume, e poi riscoppiava più forte.
Quando le prime furon tanto vicine da poterne vedere i visi accesi e le bocche
squarciate, la signora fece un passo indietro dalla finestra, esclamando: Che orrore!
In quel punto si vide accanto uno dei molti invitati, del quale le era noto il
nome da quella mattina soltanto: un amico di suo fratello, un giovine alto e
pallido, che durante il pranzo era stato quasi sempre silenzioso, e che per
questo, e per l’espressione severa e dolce del viso, le aveva destato curiosità
e simpatia.
Il giovine aveva udito la sua esclamazione.
29
OLIVERI Infatti - disse pacatamente, con un sorriso -, non è quello
l’aspetto più
gentile in cui si possa presentare il suo sesso, signora. Ne convengo.
SOLINAS La signora rispose con vivacità: - il mio sesso! Mi perdoni signore: lei
coglie un brutto momento per farmi osservare che quelle son donne al pari
di me.
OLIVERI E’ vero. Ma ci sono delle verità che è bene ricordare appunto nei
momenti in cui riescono più sgradevoli. Io le ho ricordato questa con
un’intenzione cortese: per attenuare in lei una impressione penosa. Quelle
donne sono infiammate da una passione. Una passione violenta è come una
lesione passeggera del cervello, la quale produce effetti consimili in tutti gli
esseri umani, a qualunque classe sociale appartengano. Vada a vedere,
signora, in una Casa di salute a che cosa una lesione del cervello riduce la
dignità, il pudore, l’educazione, la gentilezza delle più nobili dame
SOLINAS Ma quelle son pazze, signore!
OLIVERI E perciò fanno mille volte peggio di queste.
Ma neanche queste sono nel loro stato normale, voglio dire in uno stato in cui
si possa giustamente giudicare la loro indole, il loro grado d’educazione, il
loro modo abituale di sentire e di vivere. Pensi un po’, in questa folla che ci
passa davanti, quante donne ci saranno, capaci di fare i sacrifici più generosi
per la loro famiglia, che si strappano il pane di bocca per i loro figliuoli, che li
30
allattano fra mille cure, fatiche, privazioni, e quante altre, di quelle che non
son madri, faranno lo stesso.
SOLINAS Questo lo so; ma non giustifica
OLIVERI Non dico per giustificare, signora; dico per rendere lei più indulgente.
Quelle che a lei più ripugna di vedere in codesto stato di eccitamento
scomposto, che paion briache, sono le ragazze. E a me pure. Ebbene,
quando le vedo così, io penso, guardandole, a quante di esse hanno visto fin
da bambine, forzatamente, i più brutti aspetti della natura umana e del
mondo, a quante prima dei vent’anni hanno già avuto dalla vita delle delusioni
tristissime, non confortate neppure dalle distrazioni dello spirito e dagli agi
materiali, che soccorrono le ragazze infelici della nostra classe sociale; in
quante è un vero miracolo che si sia salvato dai contatti inevitabili della
volgarità e della brutalità umana la bontà dell’animo, l’affetto per la famiglia,
la sincerità dell’amore. E anche penso quanto saranno brevi in loro la
gioventù e la bellezza, e quante di esse, dopo aver perduto l’una e l’altra,
logorate innanzi tempo dal lavoro avranno una maturità più travagliata dell’età
bella,dei figliuoli poveri come loro, e una vecchiaia abbandonata, che finirà
all’ospedale. E, allora, se è scappata anche a me l’esclamazione che è uscita
dalla sua bocca, signora, me ne pento…. E me ne vergogno, mi perdoni.
SOLINAS La signora non badò alle sue ultime parole: era tutta intenta alle
operaie,
che
s’erano
arrestate
sulla
piazza,
formando
un
vasto
assembramento,
intorno al quale accorrevano curiosi da ogni parte. Pareva che tenessero
31
consulta sul dove dirigersi, o che aspettassero un rinforzo d’altre scioperanti;
alcune, nel mezzo, agitavano le braccia come se arringassero le compagne.
Scoppiavano applausi, la folla si rimescolava, il grido cresceva.
La signora fu presa da una viva inquietudine. - Chi sa che cosa stanno
macchinando, ora! – esclamò. – Ah, fortuna che ci sono ancora dei soldati.
OLIVERI E giusto - osservò il giovane con un sorriso leggermente ironico, che essa
non vide. – Pensi a quanti soldati daranno all’esercito tutte quelle tessitrici.
SOLINAS La signora riattaccò il discorso interrotto. - Ma intanto - disse lei che parla
di tante virtù, perché non sono al lavoro le sue protette, invece di star qui a
far baccano e a spaventar la gente?
OLIVERI Andiamo, cara signora: supposto pure che siano qui per puro spasso,
bisogna convenire che si danno di questi spassi assai di rado, perché li
pagan troppo cari. Vogliamo contare cinque giorni dell’anno?. Ebbene, pensi
che in tutti gli altri trecento e sessanta, escluse le domeniche, quando lei si
sveglia, esse sono già al lavoro da due ore; che quando la sera lei ritorna a
casa a desinare stanca del suo giro di visite, esse staranno ancora al lavoro
altre due ore, e che son lì, tutti i giorni, anche nei mesi che lei passa sul
mare, o in collina, o in montagna, e che la maggior parte, con dieci ore
almeno di fatica quotidiana, non guadagnano quanto occorre giornalmente a
lei per l’acqua da profumarsi. A lei, che è buona e ragionevole, non pare
scusabile che facciano del chiasso qualche volta per migliorare un po’ la loro
condizione?
32
SOLINAS Migliorare! - rispose la signora – Ma quasi sempre … Ma nel caso presente,
per esempio, hanno delle pretensioni esorbitanti; tutti lo dicono; i padroni non
possono; si dovrebbero ridurre sul lastrico, per contentarle…
OLIVERI Un momento, signora. Supponiamo pure che siano in errore, che abbiano
delle pretensioni inappagabili: il fatto è che esse non lo credono. Ecco il
punto. Credono fermamente che i padroni possano: facendo dei sacrifici, si
capisce. Come può pensare che, se non credessero questo, farebbero quello
che fanno, che, se stimassero impossibili ai loro padroni le concessioni che
loro domandano, vorrebbero, smettendo il lavoro, costringerli a chiuder le
fabbriche, e ridursi a perdere per conseguenza anche quel pezzo di pane che
ora si guadagnano?
Dunque sono in buona fede, dunque sono scusabili. E
lo sono anche per un’altra ragione. Esse vedono intorno a sé, in tutte le forme
più appariscenti, il lusso, la prodigalità, lo sperpero: capiscono vagamente
che tutto questo esce in grandissima parte dal lavoro delle classi a cui
appartengono: domandano che una parte maggiore del frutto del loro lavoro
rimanga a loro invece di convertirsi in superfluo per gli altri: a chi hanno da
rivolgere questa domanda se non a chi le fa lavorare? Sbaglieranno; quei tali
appunto a cui si rivolgono, nel caso attuale, non potranno contentarle; ma
sono pure i soli nei quali esse possano fondare la loro speranza; se fanno
male i conti, sono compatibili, e anche se non credono al non possumus che
loro si oppone, perché sanno che è una risposta che si dà quasi sempre, e
spesso anche dal ricco al povero che gli chiede un soldo. Si lasci intenerire
un poco, signora. Basta un po’ d’immaginazione per questo. Pensi come
debbono aver mangiato stamani quelle donne, e a che tavola sederanno
questa sera, e domani; si raffiguri le loro povere case, la loro vita di tutti i
giorni, il centesimo lesinato, l’ansietà continua del giorno che verrà, le sere
33
eterne che passano ad aspettare con trepidazione il marito o il padre che non
torna, e i mille “no” dolorosi con cui debbono rispondere ai mille desideri dei
loro bambini, tentati nella grande città da tante cose desiderabili, che essi
credono fatte per loro come per gli altri.
SOLINAS Io saprei sopportare tutti questi sacrifici, se la necessità me li imponesse –
rispose con accento d’alterezza la signora. – Molte donne della nostra classe
li hanno affrontati coraggiosamente nel periodo della rivoluzione nazionale.
OLIVERI Lo credo di lei, e delle altre lo so. Ma convenga che chi non si trova in tale
necessità deve usare qualche indulgenza verso quelli che vi si trovano,
perché tra il sentirsi capaci di patire e il patire c’è qualche divario.
E poiché lei mi ricorda i sacrifici fatti dalle “signore” alla rivoluzione, mi
permetta di dirle ancora una cosa. E’ vero: molte, in quel tempo, hanno
sopportato nobilmente povertà, esilio, separazioni dolorose. Ma crede lei che
esse e i loro mariti e i figliuoli avrebbero fatto quanto fecero se avessero
potuto prevedere che, liberata e unificata la patria, il popolo sarebbe rimasto
perpetuamente nelle stesse condizioni materiali e morali in cui si trovava
allora? Non credo invece che li eccitasse soprattutto all’opera la speranza,
anzi la certezza che con la libertà e l’unità nazionale sarebbe cominciato un
grande movimento d’ascensione delle classi popolari verso uno stato migliore
di vita, economicamente migliore per prima cosa, poiché la miseria è il primo
degli impedimenti a ogni progresso civile? E crede che questo movimento
d’ascensione, sperato allora, considerato come l’ultimo e più santo scopo
d’ogni lotta, e desiderato adesso da quanti hanno cuore e ragione, perché è
giusto, perché è necessario, perché è l’adempimento d’una legge del mondo,
crede lei che si produrrebbe se il popolo lavoratore, se queste donne come
34
tutti gli altri non chiedessero, non si accordassero per strappare delle
concessioni, non si agitassero a quando a quando per sferzare l’inerzia delle
classi superiori, per ricordarci le promesse dei nostri padri, e anche per
impaurire l’egoismo dei soddisfatti?
SOLINAS La signora non rispose.
OLIVERI E non pensa pure, signora, che l’inquietudine che essi ci danno con questi
perturbamenti dell’ordine sia per la maggior parte di noi una piccola
espiazione dovuta del non aver fatto per loro quanto potevamo, del non
pensare a loro che quando vi ci costringono?
SOLINAS La folla delle scioperanti s’era riformata in colonna, e s’allontanava.
Un’operaia, che era rimasta indietro, passò sotto le finestre correndo, per
raggiungere le compagne. Era incinta.
Anche quella! – esclamò la signora, accompagnando la sua corsa faticosa e
scomposta con uno sguardo nel quale, però, appariva un sentimento più di
pietà che d’avversione.
OLIVERI –
Il giovane le disse: - Sentiamo un po’, signora: sarebbe in collera anche con
lo scioperante che quella porta con sé?
SOLINAS Con quello no - rispose la signora con un sorriso che non potè reprimere.
35
OLIVERI Ebbene, non lo dev’essere nemmeno con la madre perché, sicuramente, va a
gridare con le altre non tanto per sé quanto per lui. Sia certa che la spinge
alla corsa l’illusione di sentir la sua voce che le dica: Va, mamma, va; fatti sentire: avrai forse un pezzo di pane di più, o otterrai
almeno di riportarmi a casa dalla fabbrica un’oretta prima.
SOLINAS La signora ebbe uno di quei movimenti involontari della bocca che tradiscono
una scossa del cuore: ma cercò di dissuaderlo, e disse vivamente, un po’
piccata:
Ma sa lei che ha parlato come un socialista?
OLIVERI –
No, signora - rispose con dolcezza il giovane -, semplicemente come un
cristiano.
36
ANTONIO LANDOLFI
STORICO E POLITICO
Il centenario della morte di Edmondo De Amicis (era mancato l’11 marzo del
1908) è passato in Italia pressoché inosservato. Un articolo sulla pagina
culturale del “Corriere della Sera” del 25 marzo, una commemorazione
pubblica promossa dall’Unione italiana del lavoro il 6 maggio, un’iniziativa
della Regione Liguria per il suo illustre figlio. Tutto qui, per uno scrittore che
fu il più letto e conosciuto, non solo in Italia ma anche all’estero, i cui libri
furono venduti a milioni di copie, e su di essi si formò la coscienza civile e
politica di intere generazioni. Ma la cui memoria è stata rimossa dall’Italia,
democratica e repubblicana, che pure egli continuò a formare con i suoi scritti
e con la sua azione politica di socialista riformista militante.
De Amicis era nato nel 1846 ad Oneglia, in provincia di Imperia. Ben presto la
sua famiglia si trasferì, per ragioni di lavoro del padre, a Cuneo, in Piemonte.
Singolarità della sorte, all’inizio degli anni Sessanta di quel secolo, nella
stessa città si trasferiva anche la famiglia Turati, e le due famiglie strinsero
amicizia.
Filippo Turati aveva soltanto quattro anni, Edmondo De Amicis dieci di più.
Eppure questi nelle sue “ memorie” scriverà di ricordare perfettamente il
piccolo Filippo che “s’aggirava per la sua casa con una giacca
dall’indimenticabile color nocciola”. Era come un presagio: tempo dopo,
quando si rincontreranno, nascerà tra loro una fortissima amicizia, saldata
dalla comune adesione agli ideali del socialismo. Edmondo, risentendo dalle
ristrettezze economiche della propria famiglia, dovute alla malattia del padre
che ben presto ne morirà, entrò a sedici anni all’Accademia militare di
Modena, da cui uscì col grado di sottotenente, iniziando la sua carriera di
ufficiale che lo portò nel vivo della lotta risorgimentale per l’unità dell’Italia.
Partecipò nel 1866 alla battaglia di Custoza , nella Terza guerra
37
d’indipendenza, in cui dimostrò il suo coraggio. Ma non aveva abbandonato i
suoi interessi letterari, che già da adolescente gli avevano ispirato i versi di
un inno agli esuli polacchi, che attrasse l’attenzione del Manzoni, che gli fissò
un incontro e lo esortò a proseguire nella sua vocazione. Ciò che il giovane
fece, anche quando era entrato nell’esercito, con versi e racconti che erano
conosciuti, e gli valsero la nomina a redattore della rivista “Italia militare” che
il ministero della Guerra pubblicava a Firenze. Egli scrisse diversi bozzetti
che piacquero ai lettori e che raccolse nel volume “Vita militare” e misero in
evidenza le sue qualità di narratore e di giornalista, tanto che un quotidiano lo
inviò come corrispondente di guerra alla presa di Roma nel 1870. Il suo
successo come giornalista indusse a lasciare la carriera delle armi per
dedicarsi alla sua attività professionale, che gli permise viaggiare all’estero
come corrispondente e di raccogliere i suoi articoli in numerosi volumi di
successo, che raccontavano le sue impressioni di viaggio a Parigi, a Londra,
a Costantinopoli, nel Marocco, nell’America Latina. Era ormai un autore
affermato, tra i più popolari. Ma il libro che gli diede una fama indiscussa fu
“Cuore”, di ambiente scolastico (il diario di un alunno di terza elementare di
tutto un anno scolastico, inframmezzato da vari racconti, come “La piccola
vedetta lombarda” e “Dagli Appennini alle Ande”, divenuti presto celebri).
“Cuore” divenne subito un “best seller”: nel primo anno dalla sua uscita
(1886) ebbe 41 ristampe.
In poco tempo raggiunse il milione di copie vendute in Italia, e fu tradotto in
decine e decine di lingue. Un successo mai raggiunto da altri scrittori italiani.
Ed altrettanto successo ebbero altri suoi libri, “Sull’Oceano” (sul tema
dell’emigrazione in Sud America; “Il romanzo di un maestro” (la scuola nel
racconto di un insegnante); “La carrozza di tutti” (il tram a cavalli) e tanti altri.
Quando Edmondo De Amicis nel 1890 in una conferenza agli operai di Torino
(città dove risiedeva) dichiarò la sua adesione al Partito socialista italiano,
l’impressione fu enorme.
38
Molti altri intellettuali lo avevano fatto, la sua popolarità tra tutti i ceti era così
grande che l’evento suscitò un’enorme impressione.
Egli non era un tipo da stare alla finestra, magari come altri pavoneggiandosi
nei salotti ed intervenendo di tanto in tanto in qualche manifestazione.
Invece De Amicis divenne un vero militante, un propagandista ed un
organizzazione perfino, pur non trascurando la sua produzione letteraria, ma
indirizzandola sempre più verso temi sociali. Pubblicò infatti “Lotte civili” e “La
maestrina degli operai”, e scrisse su suggerimento e con il consiglio costante
di Turati il “Primo maggio” che però non fu edito, se non ottant’anni dopo, ad
iniziativa di Italo Calvino. Nel 1893 fondò il Circolo universitario socialista di
Torino e nel 1895 tenne nell’Università della stessa città una conferenza agli
studenti
che risultò memorabile. Egli invitava i giovani a non prestare
orecchio a chi li invitava a concentrarsi esclusivamente nello studio della
scienza della letteratura, rinunciando ad occuparsi della questione sociale
.Perché – aggiungeva - costoro sono gli stessi che vi diranno domani quando
dovrete affrontare le durezze della vita di occuparvi della famiglia e dell’ufficio
e di non perdere il vostro tempo interessandovi della questione sociale. Essi
in realtà vogliono inaridire il vostro cuore e cancellare la vostra generosità nel
momento in cui voi spinti a seguire i vostri ideali e a non chiudervi nei vostri
egoismi. Negli stessi anni egli sosteneva la battaglia a favore della scuola
politica. In uno scritto sulla rivista “Socialismo popolare” diretta da Carlo
Monicelli sosteneva che la scuola era la migliore risposta a chi sosteneva che
le masse popolari aderivano alle idee socialiste perché non erano istruite.
Sostengano con noi socialisti l’istruzione pubblica, commentava De Amicis, e
vedremo se le masse istruite respingeranno le nostre idee. Egli iniziò una
intensa collaborazione con “Il Grido del Popolo” che era il quotidiano
socialista di Torino e con la “Critica sociale”, stringendo una calorosa amicizia
con Turati e con la Kuliscioff. Che egli difese a spada tratta quando questi
vennero incolpati per i moti di Milano, durante la repressione che ne seguì. Il
39
28 luglio 1898 fu infatti De Amicis il primo teste a discarico del capo del
socialismo riformista di fronte al tribunale Militare di Milano che processava
Turati e lo condannò a 12 anni di carcere, che scontò fino all’amnistia
succeduta alla fine della repressione.
Pochi mesi dopo De Amicis fu eletto deputato socialista a Torino nelle
elezioni del 1898: carica cui rinunciò scrivendo una commovente lettera ai
suoi elettori, spiegando che preferiva continuare nella sua attività di scrittore
che non intraprendere l’attività di parlamentare. Ma c’era anche un’altra
ragione che lo induceva a quel gesto. Era la tragedia familiare che lo aveva
colto in Oneglia. Oltre alla perdita della madre che egli adorava (il padre era
scomparso quando lui era in giovane età) c’era stata la separazione dalla
moglie ed il suicidio del figlio Furio, che non aveva sopportato la crisi del
matrimonio dei genitori. La cui causa era stata l’adesione di Edmondo al
socialismo che la moglie invece odiava in modo paranoico fino ad accusarlo
pubblicamente di essere stato plagiato da Turati, e da giungere a denunciare
nel periodo della repressione alcuni compagni di Partito del marito alla
polizia.
Anche questo fu un prezzo durissimo che De Amicis pagò alla sua scelta ed
al suo impegno politico.
Quando morì, Turati lo commemorò alla Camera, paragonandolo ad Emile
Zola per la popolarità della sua narrativa e per l’impegno civile che aveva
profuso a favore della giustizia e contro ogni disuguaglianza sociale. E
scrivendo il 16 marzo su “Critica sociale” affermò: … i suoi libri fecero per la
cultura dei moltissimi più che non facciano
centomila scuole nei comuni
d’Italia…..C’è un monumento che il Partito socialista dovrebbe fare a
Edmondo De Amicis …. Egli fu un educatore del gusto, un seminatore solerte
di quella sana e profonda filosofia della vita che è fatta di un vivace umorismo
temperato di pianto”. Nella rievocazione di Turati la figura dello scrittore si
fonde con quella dell’educatore dei sentimenti, del maestro di un modello di
40
cultura socialista che tutti potevano comprendere ed assumere come
costume di vita. Una funzione pedagogica della politica non praticata
soltanto, ma praticata e sublimata dall’arte. Con la dittatura fascista, la figura
e le memorie di De Amicis entrò nel cono d’ombra dell’oblio, anche se ancora
i suoi libri più famosi venivano letti. Si cancellava con lui anche la figura
dell’autentico socialista riformista che egli era stato, a fianco di Filippo Turati.
Ed anche nel dopoguerra quando il socialismo riformista non era in auge (se
vogliamo usare un eufemismo) la personalità di De Amicis, il suo ruolo nella
letteratura e nella vita politica rimasero misconosciuti. Una momentanea
citazione venne da Alberto Asor Rosa, dalla funzione di De Amicis nella
letteratura dell’800 a quella che il melodramma aveva avuto nella musica
dell’epoca. Poi venne l’ “ukase” di Umberto Eco, nelle turbolenze degli anni
Settanta, che nel suo libro “Elogio di Franti” sfogò il livore antiriformista o
forse anche la sua gelosia per il successo letterario di de Amicis per tentarne
una critica distruttiva. Solo negli anni Ottanta , quando una presenza
riformista e socialista si riaffacciò in Italia, si ebbe una rivisitazione di De
Amicis: sul piano politico ad opera di Sandro Pertini, su quello letterario ad
opera di Italo Calvino, entrambi conterranei di De Amicis. E’ illuminante il fatto
che questa ripresa di interesse per lo scrittore socialista coincidesse con un
momento politico in cui il socialismo riformista ritornava sulla ribalta nazionale
come protagonista.
Era una dimostrazione che la rimozione della cultura nazionale nei confronti
della figura dello scrittore ligure aveva una matrice politica che nei decenni
precedenti
aveva
sancito
l’ostilità
nei
confronti
del
riformismo
e
principalmente nei confronti Turati e de Amicis che del riformismo erano stati
gli emblemi. A Calvino va riconosciuto il merito particolare di aver fatto
pubblicare l’opera inedita politicamente molto significativa di De Amicis, quel
“Primo maggio” che ebbe finalmente la luce nel 1980. Calvino inoltre mise in
evidenza l’attualità e la modernità di una altra grande opera di De Amicis,
41
“Amore e ginnastica” di cui Calvino apprezzò il grande valore letterario
straordinario. Poi sono trascorsi altri venti anni, il riformismo socialista è stato
nuovamente emarginato nella cultura nostrana, e su De Amicis (come su
Turati del resto) è calato di nuovo il silenzio, interrotto solo da qualche raro
evento: Come, ad esempio, la pubblicazione recente nella Einaudi
dell’edizione critica di “Cuore”, curata da Luciano Tamburini. O come
l’iniziativa della UIL di commemorare il centenario di De Amicis, ponendone in
evidenza la sua incancellabile presenza nella storia della letteratura
nazionale e la sua presenza nella storia del socialismo riformista.
42
GIORGIO REVELLI
PRESIDENTE DEL CIRCOLO CULTURALE TABIESE DI TAGGIA (IM)
Dopo un intervento così incisivo del professor Landolfi è difficile poter
ricominciare e fare un punto innovativo e convincente della situazione. Allora
comincerei dalla tematica cinema, cominciando dai titoli di coda, con i
ringraziamenti. Per me è il secondo appuntamento con la UIL scuola, per
parlare di Edmondo De Amicis e lo faccio in diverse vesti, la prima come
Presidente di un centro culturale di una piccola cittadina, Taggia, che però ha
la sua importanza storica, a livello anche statutario e nazionale. Lo faccio
come professore e poi volevo ringraziare per essere stato invitato in questa
sede prestigiosa, in cui c’è il Preside Acciavatti. Io volevo esordire dicendo, a
differenza di voi, sono nato nella seconda metà del secolo scorso. Anche per
me è facile, ma non semplice, riuscire a rileggere la figura del De Amicis.
Vorrei partire da questo fenomeno, che più di tante altre volte, anche come
Presidente di un centro culturale, mi trovo ad affrontare, che è quello delle
celebrazioni. Le celebrazioni possono essere lette in tanti modi, ma d’altra
parte le celebrazioni sono un nuovo modo di rileggere l’Italia attraverso dei
personaggi che forse sono stati messi da parte proprio per la nostra poca
capacità, all’inizio di questa nuova avventura scolastica, sociale, di poter
ascoltare gli eventi e poterli leggere indipendentemente da ciò che noi ci
potevamo aspettare. Poco tempo fa ho fatto una conferenza di presentazione
di un libro di un signore siciliano che per tantissimi anni ha fatto il segretario
comunale, in un piccolo borgo ligure. Per lui le difficoltà erano un po’ quelle
che io ho visto nei filmati di oggi, come quella di potersi creare un proprio
spazio individuale, ma per poi lavorare per l’Italia stessa e poterla
rappresentare, innanzitutto, attraverso una propria dignità. Quello di poter
dare un’educazione scolastica per me è un lavoro fondamentale, soprattutto,
sull’individuo affinché poi prenda coscienza di tutto ciò che intorno gli è creato
43
o gli viene riproposto, altrimenti l’individualità diventa egocentrismo o
impreparazione all’ascolto dell’altro. Anche con i ragazzi ai quali insegno,
oggi, io vedo la quasi incapacità di saper ascoltare oltre un certo limite. Oggi i
libri tante volte vengono presi in libreria, scelti, qualche volta per caso e poi
lasciati sul comodino perché non ci convincono. I giovani sono così, quei
pochi che si avvicinano alla lettura, se non sono convinti da subito del libro
non vanno fino in fondo. La mia proposta ai miei alunni è proprio quella di
dire: “Fermatevi, sedetevi su una poltrona e, per una volta, prima ascoltate,
poi portate la vostra esperienza e rapportatevi con l’autore, altrimenti non ci
sarà mai dialogo, non ci sarà mai comunicazione. Ed è uno dei plusvalori di
libri che fino adesso io trovo si sia perso. De Amicis non è facile da affrontare
anche perché c’è chi lo ama e c’è chi lo odia. Forse in un nuovo modo di
sapere ascoltare riusciremmo a leggere anche oggi il libro “Cuore” in modo
diverso, più consapevole e poterlo attualizzare per tutto ciò che di buono ci
può essere. Effettivamente mi fa strano riuscire a vedere, in un ambito non
solo ligure, ma a livello nazionale tutte le iniziative su De Amicis, perché se
fosse l’autore solo del libro “Cuore” non si giustificherebbe tutto questo
numero di eventi e allora in modo molto breve cercherò di rappresentare De
Amicis in un modo diverso da quel che è nato dagli altri incontri che io ho
avuto. Dagli altri incontri la domanda che forse mi è stata posta di più dopo il
mio intervento era: ma “ De Amicis era ligure”? Non è facile rispondere. Forse
De Amicis era ligure proprio per quel terno a lotto che lo ha fatto nascere a
Oneglia. Seconda domanda: “ma De Amicis allora è piemontese?” Ma non è
facile neanche questo. De Amicis scrive “La vita militare” a soli 22 anni e su
bozzetti che poi riordinerà benissimo. io ci leggo un intento, non tanto di
convincere quanto fosse efficace l’azione militare. Ricordiamoci che l’Italia è
stata costituita dalle persone, alle volte sottaciute. Mi ricordo di un grosso
lavoro che è stato portato avanti l’anno scorso dal centro culturale Tabbiese,
di Giovanni Ruffini. Sono persone meno note ma che hanno costruito l’Italia a
44
differenza di un interventismo militare molto più arcigno e molto più
accentuato per l’unificazione tedesca. L’Italia è unita nel periodo che stiamo
affrontando ma anche oggi soprattutto per le proprie diversità. Penso che De
Amicis l’abbia intuito dando ne “La vita militare” un messaggio a ogni
persona, quello di dire: “prova a essere soldato della causa italiana, nel tuo
modo di rapportarti alle cose, nel tuo modo di leggerle, nel tuo modo di
proporle, nel tuo modo stesso di essere italiano”. È una causa molto difficile,
che cerca di uniformare, combattere De Amicis, quella della lingua. È vero
anche che l’Italia ha avuto grandissime difficoltà nelle unità linguistiche,
soprattutto, a partire da Federico II, arrivare alle scuole toscane. Si è
determinato che la lingua era la base concreta e fondamentale affinché si
potesse avere un’Italia unita. La lingua nell’ottocento è difficilissima come
problematica da affrontare. L’anno scorso, bicentenario della nascita di
Giovanni Ruffini, che insieme a Giuseppe Mazzini ha cercato e ottenuto
un’azione vigorosissima per il tentativo di unire l’Italia. Nel 1833 tutte e due
fuggono dall’università di Genova e partono in esilio, proprio perché
condannati a morte e insieme a loro c’era il fratello di Giovanni Ruffini,
Agostino, mentre Jacopo è stato preso e trucidato. Si pensa si sia suicidato,
ma in realtà si pensa anche sia deceduto a causa delle torture. Loro
cominciano questo viaggio all’interno di un’Europa che vedevano già unita. Si
fermano, tutti pensano che si fermino subito a Londra, ma, si fermano due
anni e mezzo in una realtà molto diversa che è quella della Svizzera, nel
cantone di Berna, dove otterranno proprio per il messaggio che stanno
portando la nazionalità. In quel periodo la nazionalità è data anche dalla
maggioranza di un solo paesino. Si salvarono in questo modo dall’esilio e poi
portarono la loro azione a Londra e lì, nel 1841 ci fu la grossa separazione tra
Mazzini e Ruffini, che credevano di essere, non solo in azione politica, ma
nell’individualità, fratelli. L’intervento é stato un intervento diretto, mirato,
costruito. Ruffini si separa proprio perché, secondo me, fa un discorso
45
diverso. Si accorge che l’Italia nell’eventualità non era ancora pronta a una
ricettività immediata, così come Mazzini voleva. In quel momento sceglie di
diventare scrittore, da qui il problema della lingua. Ruffini diventa scrittore,
ancora oggi annoverato nelle antologie, scrittore del periodo, ma inglese. Lui
scrive per gli inglesi, in lingua inglese e De Amicis ne avrà merito in questo
senso perché lo giustificherà. Abbiamo dato delle cifre abbastanza aberranti
di quanto potesse essere l’analfabetismo in Italia. Nel 1841, invece, a Londra,
c’era una percentuale di alfabetizzazione maschile del 73,3% e femminile che
superava il 61%, tanto che la rinomata casa assicurativa Loyd si permise di
aprire una rivista, proprio dedicata ai suoi associati, perché chiedevano tutti
assolutamente di leggere. La realtà di Ruffini, che è quella che poi ha portato
a un classico della sua letteratura, cioè il “Dottor Antonio”, ma in seguito altri
romanzi più sconosciuti, un po’ come De Amicis, ma davvero incisivi nonché
obiettivi poter rientrare, per essere efficaci in un’educazione sociale, anche
nel proprio lavoro, nella propria competenza, nel quotidiano ma per poi
espanderla, a valori più ampi.
De Amicis in questo caso impara, a guardare le cose per raccontarle per
come sono, non enfatizzarle e non ampliarle. De Amicis è il primo scrittore
che si occupa di romanzi dell’emigrazione. De Amicis parla anche dell’uomo,
De Amicis è un uomo e guarda alla realtà del singolo per un’identità invece di
tutti. Vi vorrei raccontare di due esperienze fondamentali, di due romanzi dei
quali potremmo ricominciare a leggere De Amicis, per poi riavvicinarsi anche
a “Cuore” e altri romanzi più impegnati e sono innanzi tutto “Gli Azzurri” e i
“Rossi,” perché abbiamo visto che lo sport nazionale che ci ha identificato
con Sandro Pertini che si alzava, è il calcio ma in realtà nel periodo di De
Amicis non era sicuramente il calcio lo sport nazionale bensì, quello che noi
ancora nel basso Piemonte e un po’ in Liguria chiamiamo la palla pugno.
Pensate che nel 1860 viene raccontato da De Amicis che il grande stadio di
Firenze della palla pugno, chiamata Palla bracciale conteneva già 5000
46
persone, ma che altre 60000 si riunivano intorno allo stadio proprio per
riuscire dalle grida che arrivavano dall’interno a leggere gli eventi della partita
stessa. Sono momenti di obiettività, sono momenti di racconto sociale di una
vita così come deve essere, proiettata verso il futuro ma che non disdegna
guardare il quotidiano e la verità così com’è. In ultimo e poi concludo vi vorrei
raccontare di un’opera da alcuni intitolata “ Il vino”, ma ripubblicata da una
edizione del 2004 a Torino “Gli effetti psicologici del vino”. È una piccola
edizione, una piccola pubblicazione nella quale De Amicis racconta come
l’uomo si può differenziare anche negli atti di convivialità, di socialità più
quotidiana. Alcuni esponenti della cultura di Torino di quel periodo decidono
di formulare 11 conferenze attorno al vino e lui appunto veicolerà la sua
conferenza sugli effetti psicologici del vino. Invitando a cena le persone e, in
modo
molto
semplice,
senza
quasi
diversificherà, le classificherà e poi ne
annoterà i comportamenti per poter
raccontare dell’uomo intristito dall’effetto
del vino oppure ancora sobrio, oppure
ancora enfatico. Dovremmo attraverso
questa riscoperta, questa breccia sul De
Amicis poter trovare nuovi spunti di
correlazione con tanti personaggi che
potrebbero far rivivere l’Italia di un
passato, affinché ogni volta ci sia una
piccola perla che si aggiunga e alle quali
loro possano ispirarsi. Grazie.
47
farsene
accorgere,
osserverà,
ELIO PECORA
SCRITTORE E POETA
Il mio sarà un intervento breve. Vorrei però cogliere quello che è stato detto
nelle ultime due relazioni, a proposito degli studenti. Io credo che noi non
dobbiamo più giudicare e leggere De Amicis, se non consegnandolo alle
generazioni più giovani e sentendo da loro quello che ne vien fuori, se è
ancora vivo e se vive dentro di loro tutto quello che ha detto. Mi pare che
questo non accada. Anche io sono nato nella prima metà e ho letto alle
elementari il libro “Cuore”, almeno nelle mie elementari, e stava finendo la
guerra quando io lo leggevo, avevo otto anni, quindi la stessa età che De
Amicis attribuisce al suo protagonista, e pare strano oggi che possa inventare
uno scrittore un ragazzino di otto anni che scriva questo diario, anche se poi
lui immagina che sia stato rivisto e riscritto in qualche modo. E invece
accadeva. Siamo in un Italia molto del benessere, molto avanzata, ma i
bambini delle elementari non sono quelli di allora, anche se le elementari
italiane, per mia esperienza – non insegno, ma incontro moltissimi alunni di
vario ordine scolastico – sono infinitamente superiori alle scuole che vengono
dopo. Qui ci troviamo in un Liceo, in un grande Liceo, non ne conosco le
condizioni, però so benissimo, invece, quanto siano decadute le condizioni
della scuola italiana e anche dell’Università. Forse sarebbe il caso di riflettere
su questo, forse qui ci troviamo davanti a qualcosa che è stato molto bello, io
ho ascoltato per due ore tutto questo, anche l’enfasi che c’è dietro, ma credo
che i giovani non siano più disposti ad ascoltare tutto questo, che siano
disposti anche a rileggere De Amicis in un altro modo, per quel che va riletto,
per quello che non vive più. De Amicis ha scritto un’opera straordinaria e
potremmo annetterla a un’opera che appartiene completamente alla sua
epoca se noi non fossimo in un’epoca di gran ritardo, e quei problemi che ha
posto nei suoi libri valgono a tutt’oggi, vergognosamente però, perché ancora
48
noi dobbiamo pensare ai lavoratori bambini, allo sfruttamento delle donne,
alla violenza sulle donne, etc. Tutto questo era stato visto alla fine
dell’ottocento da De Amicis, ma molto efficacemente. Allora rileggiamo per
tutto questo, vediamo anche come è il viaggio di questo autore nella sua
opera, dai bozzetti militari fino al libro “Cuore”, fino a tutte le sue opere. È
l’opera di un grande giornalista, innanzitutto. È stato scritto efficacemente che
il “Cuore” stesso è un giornale, è strutturato come un giornale. Sono le
giornate del diario di un bambino, a questo diario si assommano
,mensilmente, dei racconti del maestro, che sono i racconti che poi ancora
appartengono a tanta della nostra immaginazione e ci sono poi le lettere del
padre, molte, le lettere della madre, in minor numero, e poi le lettere di una
sorella. Siamo davanti a un documento composito, un documento strutturato
come le pagine di un giornale. De Amicis va avanti in questo modo in tutte le
sue opere, non dimentichiamo quello che fa salendo sul tram di Torino e
scrivendo un libro su quel che vede, sulla gente che vede lì, non gli interessa
certo come oggi interesserebbe a un giornalista quello che c’è dietro, di altro
genere e di contorsioni varie. C’è invece l’umanità, c’è l’umano che viene
raccontato profondamente. Questo lo troviamo già nei bozzetti della vita
militare e poi lui scrive delle novelle che sono già cariche di attenzione
psicologica verso il mondo che ci è vicino, poi un libro agli amici, che in
qualche modo è atteso e non atteso dall’editore Treves, che sarà poi il
grande editore di “Cuore”, perché attende altro. Ha parlato di questo libro che
aveva in mente e Treves immagina già il grande successo, infatti sarà un
successo mondiale. De Amicis però ritarda, poi finalmente lo consegna e il
libro esce fuori nell’ ’86. Non basta questo, perché poi scriverà pochi anni
dopo, nel ’90, “Il romanzo di un maestro”. Oggi andrebbe letto “Cuore”,
tenendo conto di quello che ha scritto dopo “il romanzo di un maestro”. Quello
che nel “Cuore” è in qualche modo messo a tacere, dalla partecipazione
umana, vari eventi che riguardano questi ragazzini eroici o meno eroici, ma
49
sempre tutti toccanti, nel “Romanzo di un maestro” lui guarda la vita della
scuola italiana e la guarda con grande difficoltà. Purtroppo dobbiamo dire che
tutto questo non è superato. Ancora oggi, anzi forse più di prima, la scuola
italiana è in grandi mortificazioni ancora e forse se nei romanzi di De Amicis
l’insegnante aveva un’autorità, oggi l’ha molto meno. È un socialismo nel
senso di amore per la società e di grande pienezza di questo amore e di
questo sentimento, ma applichiamolo oggi. Vorrei che anche in questo liceo
si leggesse De Amicis, leggiamo “Cuore”, almeno delle pagine e ascoltiamo
da parte dei ragazzi, facendo cadere quelle impalcature di eccessiva
partecipazione, della quale io da bambino, forse ero un bambino contorto,
forse ero destinato alla poesia, già non mi convincevano. Se ho avuto dei
terrori gravissimi per il bambino ucciso, per l’assassinio a cui si assiste in quel
racconto, poi le altre cose non mi convincevano da allora, nel senso di una
bontà e di un eccesso che era in una straordinaria ammissione, che era
quella di creare un’Italia unita, diversa, piena, con una lingua pulita, esatta
che era quella di Manzoni, che era quella di Collodi, che era quella toscana.
Allo stesso tempo però un’Italia esemplare, dove non ci sono mezzi termini,
dove c’è il bene e c’è il male. C’è una straordinaria capacità di interessarsi
della società e degli altri. Certo in De Amicis c’è,per la prima volta, in Italia un
giornalista e un uomo che si occupa del mondo intero, in quanto viaggia.
Sono tanti i suoi libri di viaggio, va a Costantinopoli, poi c’è il barocco, c’è
l’Olanda, c’è la Spagna, c’è un libro su Parigi, c’è “Sull’Oceano”che è il
viaggio che fa partendo in nave e raggiungendo poi il Rio della Plata e
raccontando tutto quello che incontra su questa nave, tutto l’elemento umano
che c’è intorno, con una straordinaria commozione. Direi questo c’è in De
Amicis che bisogna restituire; ma con quali parole restituirle senza
l’esaltazione, senza le retoriche, facendo del socialismo vero? Ma di oggi,
non di ieri; non il socialismo che faceva mio padre, mio nonno, i miei zii, che
io sentivo già falso, già una maschera che nascondeva una realtà molto più
50
misera. Invece troviamo le parole più scarne per dire qualcosa che dentro De
Amicis c’è fortemente, che apparteneva agli uomini migliori dell’Italia. Ho
sentito il nome di Pertini – nella nudità e nella scabrezza, fuori da ogni
retorica ed enfasi. Lo ripete sentitamente il Pontefice, lo ripetono i nostri
politici ma noi dobbiamo applicarlo. Ora per applicarlo dobbiamo parlare ad
un’Italia intera. Leggiamo De Amicis, lo leggiamo nelle sue parti più vive.
Questo capita a tutti gli autori attraverso il tempo. È stato dato a De Amicis
uno straordinario posto da un grande letterato storico, da Alberto Asor Rosa,
il quale ha posto De Amicis accanto al melodramma italiano, come grande
messaggio dell’Italia nel mondo, come vita intensa di un tempo, con tutti i
suoi sentimenti. lo stesso.
Quello che possiamo non
rimproverare
assolutamente
Amicis oggi, da lettori
attenti
l’abbellimento, è la falsa
eleganza, questo non lo
possiede. Mi pare che
questa
straordinaria
per
una
scrittura che debba essere
restituita
futuro.
Io
spero soprattutto che si
legga
al
di
questo,
ma
è
a
De
l’eccesso,
sia
soprattutto
una
è
dote
facciamolo
leggere, altrimenti sarà un
gruppo di persone di una
certa
dentro
età,
che
porta
nostalgie dell’infanzia,
di
sé
certe
comprese quelle di un’epoca che sembrava
straordinaria, perché eravamo ancora chiusi e nostalgici e poi non lo diamo
agli altri, a quelli che vengono dopo. Un convegno deve essere questo. Noi
siamo qui per dire che questo signore è ancora vivo, i suoi libri devono
essere letti ancora. Un autore possiamo assolutamente applaudirlo per una
parte di quello che ha detto. In questo autore che festeggiamo oggi, qui, e
che ricordiamo, mi pare che ci sia una gran parte che è pressata da un’etica
molto forte, un’etica che questo Paese in questo momento ignora
completamente. Grazie.
51
MAURIZIO NICOLIA
SEGRETARIO GENERALE DELL’UNIONE NAZIONALE SCRITTORI E ARTISTI
Per una migliore comprensione dell’uomo socialista De Amicis è utile seguire
un doppio binario, ossia considerare sia il contesto artistico dell’epoca che il
contesto politico in cui operò.
Si intende offrire qui alcuni spunti di riflessione.
De Amicis era figlio del suo tempo: il contesto artistico italiano della fine
dell’Ottocento risentiva indirettamente ma segnatamente degli echi della
rivoluzione industriale in Inghilterra attraverso la costituzione di una classe
operaia e l’emersione del proletariato. Ulteriori impulsi provenivano dalle
innovazioni introdotte dal sistema elettorale inglese (una testa, un voto) e
dalle sollecitazioni connesse con le scoperte scientifiche. La scissione della
luce, per esempio, svelò la complementarietà dei colori, la macchina a vapore
di Watt con la sua capacità di risparmiare all’uomo la fatica ed aumentare a
dismisura la produttività obbligò le menti più sensibili ad immaginare il mondo
futuro, intuito come diverso e migliore. Non di meno fece l’arte con il suo
distacco dal neoclassicismo, con l’affermazione dell’impressionismo, dell’art
nouveau, etc.
In Italia la questione sociale visse un eccesso di idealizzazione con effetti di
distorsione dovuta ad una superficiale conoscenza del fenomeno, diffuso nel
Nord Europa e rimbalzato in Italia con gli scritti di Bakunin e poi di Marx.
L’icona di queste idee non è a caso il capolavoro di Polizza da Volpedo,
“Fiumana Quarto Stato”. In questa tela la disposizione dei personaggi è
sintomatica di un approccio esterno elitari, ma anche timoroso di qualcosa
che è forte potente ma di cui non si conosce l’esatta portata e nemmeno la
natura. Sullo sfondo una moltitudine di diseredati che procede avanzando
(sembrano essere convinti della loro esistenza), ed esibendo i loro problemi
52
ma indubbiamente senza sapere come risolverli. Due passi più avanti ci
sono: il leader, il suo portaborse, una donna scalza con bambino che si
rivolge supplicante al capo perché lui e solo lui sa come e a chi porre la
questione per risolvere i problemi.
Si può così sostenere che questo è grossomodo la percezione che il mondo
artistico e intellettuale di De Amicis ha della questione sociale: un misto di
pietà e di paura, di soggezione ed ammirazione, ma – si badi bene – non solo
delle miserie umane ma anche della potenziale portata
innovatrice e
destabilizzante dei suoi capi, dove i fantasmi del banditismo italiano evocano
le teste rotolanti della Rivoluzione Francese. Si tratta quindi di intellettuali che
percepivano la questione sociale in forma lontana da sé, quasi spettatori
davanti alla tela che videro in quelle masse un calesse da usare, onde
assumerne, in loro vece, la rappresentanza. E mirando ad una carriera
politica facilitata dalla inconsistenza culturale politica e organizzativa dei
rappresentati.
Precedentemente, con l’Unità d’Italia. I garibaldini che guardavano questa
tela le erano estranei per la loro quasi totalità: pochi erano della prima fila,
nessuno dell’ultima. Infatti, quando ci furono le prime elezioni fu loro detto
“voi non votate
perché non sapete scrivere”. Le donne furono invece
rimandate al 1946, anno in cui furono per la prima volta ammesse al voto.
Non si dimentichi che anche il primo socialista entrato in parlamento, Andrea
Costa, non era rappresentato né nella seconda fila né nella prima. Era una
splendida, onorata persona che guardava la tela.
De Amicis, anche lui, era, come tutti, un “guardatore di tele” e anche lui salì
sul calesse della rappresentanza degli ultimi e fu eletto in Parlamento. Però in
cosa si distingue, cosa lo fa diverso?
Sicuramente la sua capacità di ascolto.
Sceglie la fede socialista a
quarantanove anni, durante un viaggio in nave verso il Sudamerica.
53
E’ già famoso scrittore e rimane prima incredulo e poi folgorato dai racconti di
vita degli emigranti. Da allora si butterà anima e corpo nella politica tanto da
essere meritarsi il titolo di “socialista romantico”.
Si è detto che il Socialismo è come un cappello che se posseduto e posato
sul marciapiede si riempirà di voti. Per lungo tempo così è stato: i candidati
disponibili a fare un giro in calesse hanno affiancato alla parola socialismo
una infinità di altre parole. Così è nata anche quello romantico, il socialismo
scientifico, quello rivoluzionario. Quello liberale, quello democratico, quello
socialdemocratico, quello interventista, il non interventista, il riformista, il
comunista, ecc..
L’importante non è definirsi, non è essere, ma esserci, essere visibili,
distinguersi.
Edmondo De Amicis, a suo tempo, che con gli ultimi ci aveva almeno parlato
davvero, ha dimostrato nelle sue opere “sociali o socialiste” che lui si li aveva
capiti.
La dice lunga il fatto che dopo essere stato eletto al Parlamento si dimise:
scese dal calesse, lo riteneva troppo pieno e troppi erano quelli rimasti a
terra.
54
MASSIMO DI MENNA
SEGRETARIO GNEERALE DELLA UIL SCUOLA
Le belle relazioni che abbiamo ascoltato hanno messo in luce la figura e
l’opera di Edmondo De Amicis da diverse angolazioni.
Celebriamo il centenario di un autore, di uno scrittore che nel nostro paese ha
rappresentato un’importante fase letteraria, ma con uno strano destino:
grande diffusione di uno dei suoi testi “Cuore” che forse alla fine lui non ha
neanche tanto amato, probabilmente per l’eccessiva pressione a concluderlo
da parte dell’editore che aveva individuato un sicuro successo di pubblico.
Il libro “Cuore” ha infatti rappresentato una lettura insostituibile per
generazioni di giovani lettori.
Al contrario il resto delle sue opere, una grande produzione letteraria, ha visto
una conoscenza alquanto superficiale. In tal modo il suo pensiero non ha
avuto la diffusione che meritava.
Quando l’approccio alla lettura e quindi la conoscenza di tanti messaggi è
legata al sistema della diffusione, capita che aspetti importanti si “scoprano”
con il superamento di dogmi o di scelte editoriali.
Oggi, nella società della conoscenza, con un sistema informativo complesso,
da internet alla televisione, la questione è ancora più delicata.
Il richiamo, anche se un po’ pedante, che facciamo è quello di avere con gli
autori, con i testi, direi con tutta la complessità che ci circonda un approccio
che punti su curiosità, amore della ricerca, in sostanza un approccio laico.
Ciò consente di farsi proprie opinioni, di non legarsi alla massificazione di
conoscenze predeterminate. L’approccio laico è alla base del principio di
libertà; sembra cosa semplice, in realtà andare controcorrente significa
spesso non essere compresi, molte volte anticipare i tempi, richiede fatica in
quanto occorre leggere, studiare, capire, avere ed elaborare idee. In questo
55
senso la riflessione che oggi la UIL ha promosso in occasione del centenario
di De Amicis, è particolarmente attuale.
Mi ha colpito la riflessione del poeta E. Pecora quando ci ha ricordato che
vedere la validità e la attualità di un autore significa leggere il testo alla luce
del momento in cui si legge e si vive la problematica trattata. Non sempre la
storicizzazione del messaggio ci aiuta.
Oggi celebriamo De Amicis, in un prestigioso liceo, il Tasso di Roma.
Ringraziamo il preside prof. Acciavatti e tutta la scuola per la stupenda
ospitalità.
Anche grazie a questa aula magna l’iniziativa assume il prestigio che merita.
Può apparire strano che la celebrazione del centenario sia stata promossa da
un sindacato; nell’accezione comune quando si pensa ad un sindacato si
pensa alla attività di contrattazione, di protesta, agli accordi.
Invece è per noi normale che un sindacato, in particolare la UIL dedichi
energia ed impegno per un’attività culturale, e in particolare sull’opera e
l’azione di E. De Amicis. E’ molto attuale la riflessione che De Amicis ci
propone. Da una parte l’importanza, il valore, il funzionamento la
modernizzazione del sistema di istruzione.
Sia nel libro “Cuore” che nel romanzo “Il Maestro” De Amicis opera una
denuncia delle disfunzioni di un sistema; d’altra parte ora come allora si
ripropone il valore sociale e democratico della scuola.
Nell’affrontare la questione sociale, si pensi alla immigrazione, ora come
allora, una scuola che funzioni rappresenta la vera ricchezza del paese.
Questa consapevolezza oggi non c’è; è nostro compito, impegno della UIL
renderla attuale e proprio ricordando De Amicis, richiamare tutti a superare i
tanti ritardi.
Parlando di De Amicis ricordiamo la migliore tradizione umanitaria, socialista,
riformista che ha visto porre al centro la questione sociale. A tale proposito
desidero ricordare, perché la facciamo nostra, una frase che un altro grande
56
riformista e socialista Sandro Pertini scrisse alla UIL in occasione della
cerimonia di inaugurazione del bel monumento di Attardi che si trova in via
Lucullo a Roma, nell’ingresso della sede UIL, ex sede di tribunale nazista.
“Dobbiamo ricordare la resistenza per rafforzare nell’animo nostro le perenni
verità; quando la libertà è perduta tutto è perduto, perché essa è un bene
essenziale come l’aria per vivere; la libertà non può essere mai disgiunta
dalla giustizia sociale, se si vuole che sia da ognuno goduta in tutta la sua
pienezza.”
La questione sociale diviene principio di affermazione delle tante libertà; le
libertà delle persone.
Per risolvere la questione sociale le persone devono essere tutte libere, e
quindi devono avere consapevolezza, conoscenza. I cittadini devono essere
partecipi, soggetti attivi affinché ci sia equa distribuzione del reddito,
creazione di opportunità, riconoscimento del merito.
Tali concetti sono di grande attualità, parte della storia della nostra letteratura
oltre che della nostra storia stessa.
L’approccio riformista ci guida nella gradualità dei risultati anziché alle
messianiche aspettative.
Il problema di oggi è come modernizzare il sistema di istruzione, come
valorizzare la scuola pubblica.
Ciò vuol dire anche recuperare allo studio autori, come De Amicis, che la
storiografia prevalente non ci ha fatto conoscere nella sua reale dimensione.
De Amicis ha anche affrontato nel “Il Romanzo di un maestro” le difficili
condizioni degli insegnanti, è stato l’antesignano del sindacalismo scolastico.
Il mondo della scuola deve trovare consapevolezza dell’alto valore civile della
sua azione.
Gli insegnanti hanno bisogno che il mondo della cultura, della politica
partecipino ad uno sforzo per far comprendere i tanti sforzi che si fanno. Da
sola la scuola non ce la può fare. La UIL Scuola è parte di questo sforzo:
57
occorre sburocratizzare il sistema; la scuola rischia di annegare nelle carte,
nelle discussioni, nelle norme, nelle procedure.
Va ridata centralità all’azione educativa, che il libro “Cuore” ricorda a noi tutti.
La UIL Scuola ha affrontato la questione della libertà, dell’uomo, dell’essere
in importanti incontri culturali, su Vico, Pirandello, Ariosto, Galilei, Deledda,
De Amicis. Oggi nel convegno riproponiamo la questione sociale.
Rileggendo De Amicis si apre per tutti noi un altro versante di
approfondimento: la dimensione europea.
Proprio nel Liceo Tasso di Roma, alla presenza di importanti relatori,
desidero evidenziare come la UIL Scuola è impegnata per fare in modo che
la dimensione sociale e culturale del nostro paese abbandoni i rischi di
provincialismo e sappia rappresentare
parte essenziale ed integrante
dell’Europa dei cittadini che auspichiamo si realizzi molto presto.
58
IL CENTENARIO DELLA MORTE DI
EDMONDO DE AMICIS
1908
2008
ROMA, Liceo Tasso 6 maggio 2008
59