Alla stazione in una mattina d`autunno
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Alla stazione in una mattina d`autunno
Unità 6 L’OTTOCENTO: GIOSUE CARDUCCI Giosue Carducci Alla stazione in una mattina d’autunno Oh quei fanali1 come s’inseguono accidïosi2 là dietro gli alberi, tra i rami stillanti3 di pioggia sbadigliando la luce su ’l fango! Flebile, acuta, stridula fischia la vaporiera da presso4. Plumbeo il cielo e il mattino d’autunno come un grande fantasma n’è intorno. Dove e a che move questa, che affrettasi a’ carri foschi, ravvolta e tacita gente5? a che ignoti dolori o tormenti di speme6 lontana? 1 fanali: i lampioni che illuminano il viale che conduce alla stazione. 2 accidïosi: pigri. 3 stillanti: gocciolanti. 4 la vaporiera da presso: la locomotiva a vapore lì vicino. 5 dove... lontana?: verso dove e a quale scopo si muove questa gente imbacuccata e silenziosa si affretta verso le scure carrozze del treno? 6 speme: speranza. 7 Lidia: la donna amata dal poeta. 8 i ferrei... lungo: i freni di ferro del treno, battuti con la mazza per controllarne il funzionamento, mandano un suono prolungato e tristissimo. 9 tedio: noia, fastidio. 10 ansa: sembra respirare affannosamente. 11 fiammei occhi: i fanali accesi del treno sono simili a occhi sbarrati. Tu pur pensosa, Lidia7, la tessera al secco taglio dài de la guardia, e al tempo incalzante i begli anni dài, gl’istanti gioiti e i ricordi. Van lungo il nero convoglio e vengono incappucciati di nero i vigili, com’ombre; una fioca lanterna hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei freni tentati rendono un lugubre rintocco lungo8: di fondo a l’anima un’eco di tedio9 risponde doloroso, che spasimo pare. E gli sportelli sbattuti al chiudere paion oltraggi: scherno par l’ultimo appello che rapido suona: grossa scroscia su’ vetri la pioggia. Già il mostro, conscio di sua metallica anima, sbuffa, crolla, ansa10, i fiammei occhi11 sbarra; immane pe ’l buio gitta il fischio che sfida lo spazio. Alla stazione in una mattina d’autunno Va l’empio12 mostro; con traino orribile sbattendo l’ale gli amor miei portasi. Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo salutando scompar ne la tènebra. O viso dolce13 di pallor roseo14, o stellanti15 occhi di pace, o candida tra’ floridi ricci inchinata pura fronte con atto soave! Fremea la vita nel tepid’aere16, fremea l’estate quando mi arrisero; e il giovine sole di giugno si piacea di baciar luminoso in tra i riflessi del crin castanei17 la molle guancia: come un’aureola più belli del sole i miei sogni ricingean la persona gentile. Sotto la pioggia, tra la caligine torno ora, e ad esse vorrei confondermi; barcollo com’ebro, e mi tocco, non anch’io fossi dunque un fantasma. Oh qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, greve, su l’anima! io credo che solo, che eterno, che per tutto nel mondo è novembre. Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere, meglio quest’ombra, questa caligine: io voglio io voglio adagiarmi in un tedio che duri infinito. 12 empio: malvagio, perché conduce via Lidia. 13 O viso dolce: il poeta ricorda il viso di Lidia. 14 di pallor roseo: dall’incarnato chiaro. 15 stellanti: come stelle. 16 Fremea... aere: nell’aria tiepida si sentiva palpitare la vita. 17 in tra... castanei: tra i riflessi castani dei suoi capelli.