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procedimento amministrativo riforme istituzionali
REDAZIONALI
LA MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO: AMBITO OGGETTIVO ED ECCEZIONI
dell’Avv. Antonio Cordasco e della Dott.ssa Laura Corallo
Attività della pubblica amministrazione: provvedimento amministrativo - motivazione.
Activities of the public administration: administrative measure - motivation.
Sommario: 1. Introduzione. 2.Esame analitico e ambito applicativo della disciplina. 3. Eccezioni
all’obbligo di motivazione. 4. Conclusioni.
1.Introduzione.
Il principio dell’obbligatorietà della motivazione dei provvedimenti amministrativi
rappresenta la più alta espressione e concretizzazione dei principi di trasparenza, correttezza, partecipazione e buon andamento, che
caratterizzano l’azione amministrativa e trovano fondamento nell’art. 97 della costituzione.
La funzione espletata dalla motivazione
costituisce la fase più importante nella formazione del provvedimento amministrativo che
si concretizza nella rappresentazione, ai soggetti terzi investiti dagli effetti del provvedimento, non solo delle risultanze istruttorie
acquisite dalla P.A. ma altresì del fondamento, in fatto e in diritto, del provvedimento finale.
La motivazione, oltre alla funzione conoscitiva appena descritta, costituisce altresì un
penetrante strumento di controllo per i soggetti terzi, al fine di verificare, la correttezza,
logicità, ritualità e veridicità del giudizio espresso dalla P.A. e la completezza dell’iter
istruttorio espletato dalla stessa amministrazione.
La disciplina dell’obbligo di motivazione
dei provvedimenti amministrativi, seppur ha
ricevuto espressa regolamentazione soltanto
nel 1990 con la l. 241 sul procedimento amministrativo, ha origini risalenti.
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La giurisprudenza, muovendo dall’obbligo
di motivazione di cui all’art. 111 costituzione,
sesto comma, relativo ai soli provvedimenti
giudiziali, ha infatti operato un’interpretazione estensiva di tale obbligo, evocandolo
anche per i provvedimenti amministrativi, elaborando quindi, quale conseguenza del
mancato rispetto di tale obbligo motivazionale, le sintomatiche figure dell’eccesso di potere, quale vizio afferente la motivazione del
provvedimento amministrativo.
L’opera interpretativa elaborata dalla giurisprudenza è stata recepita dal legislatore
nella legge sul procedimento amministrativo
(l. 241/90) che all’art. 3 sancisce l’obbligo
di motivazione per tutti i provvedimenti amministrativi.
La materia è stata peraltro disciplinata da
fonti sovranazionali, quali l’art. 41, co. 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E e
l’art 253 del Trattato CE.
In particolare, il citato art. 41, co. 2, nel riprendere quanto previsto già dall’art. 253 del
Trattato CE, impone l’obbligatorietà della
motivazione nei provvedimenti amministrativi al fine di garantire una buona amministrazione, riprendendo un principio già affermato
e noto nella giurisprudenza.
La Corte di Giustizia delle Comunità europee (Seconda Sezione), 1.10.2009, nella
causa C-370/07, ha chiarito che “secondo una
giurisprudenza costante, l’obbligo di motiva-58-
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sfere giuridiche, da un lato infatti si pone a
garanzia del privato cittadino, avendo concesso allo stesso un potente strumento di controllo nei confronti dell’attività della p.a., e
dall’altro lato, in ossequio all’art. 24 cost.,
viene tutelata la P.A., alla quale viene concesso uno strumento di tutela per poter dimostrare agevolmente, nel caso in cui sorgano
controversie o contestazioni aventi ad oggetto
il proprio operato, la correttezza, trasparenza
e ritualità del provvedimento finale e la corrispondenza dello stesso con i fatti dell’iter istruttorio espletato.
zione, sancito all’art. 253 CE, implica che
tutti gli atti di cui trattasi contengano
un’esposizione dei motivi che hanno indotto
l’istituzione ad emanarli, in modo che la Corte possa esercitare il proprio controllo e che
sia gli Stati membri sia i terzi interessati conoscano le condizioni nelle quali le istituzioni
comunitarie hanno fatto applicazione del
Trattato (sentenza 17.5.1994, causa C-41/93,
Francia contro Commissione, Racc. pag.
I-1829, punto 34). Dalla giurisprudenza della Corte deriva che l’obbligo di indicare il
fondamento giuridico di un atto fa parte
dell’obbligo di motivazione (v., in particolare, sentenze Commissione/Consiglio, cit.,
punto 9, e 20.9.1988, causa 203/86, Spagna/Consiglio, Racc. pag. 4563, punti 36-38).
La Corte ha anche affermato che l’esigenza
di certezza del diritto fa sì che qualsiasi atto
che miri a produrre effetti giuridici debba
trarre la propria forza vincolante da una disposizione del diritto comunitario che
dev’essere espressamente indicata come fondamento giuridico e che prescrive la forma
giuridica di cui il provvedimento dev’essere
rivestito
(sentenza
16.6.1993,
causa C-325/91, Francia contro Commissione,
Racc. pag. I-3283, punto 26). …… Invero, tale obbligo (motivazionale), che è giustificato
segnatamente dal controllo giurisdizionale
che deve poter essere esercitato dalla Corte,
dev’essere applicato ad ogni atto che può
formare l’oggetto di un ricorso di annullamento. Secondo una giurisprudenza costante,
costituiscono atti impugnabili ai sensi
dell’art. 230 CE tutti i provvedimenti adottati
dalle istituzioni intesi alla produzione di effetti giuridici vincolanti, a prescindere dalla
loro forma (sentenze AETS, cit., punto 42;
11.11.1981, causa 60/81, IBM/Commissione,
Racc. pag. 2639, punto 9, e 17.7.2008, causa C-512/06 P, Athinaïki Techniki/Commissione, Racc. pag. I-5829, punto 42). Ne
consegue che, in linea di principio, ogni atto
avente effetti giuridici è soggetto all’obbligo
di motivazione”.
L’impostazione comunitaria è conforme
con l’orientamento assunto dalla giurisprudenza nazionale, dal quale si ricava che la
normativa disciplinante l’obbligo di motivazione è finalizzata a proteggere molteplici
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2. Esame analitico e ambito applicativo
della disciplina.
Ad oggi la disciplina della motivazione del
provvedimento amministrativo è dettata
dall’art. 3 l. 241/90, il quale innanzitutto non
si limita a sancire un generale ed astratto obbligo della motivazione per ogni provvedimento amministrativo, ma detta i presupposti
necessari della motivazione.
Invero l’art. 3 sopracitato, estendendo il
proprio ambito applicativo a tutti i provvedimenti amministrativi, ha superato la distinzione elaborata in dottrina tra provvedimenti
a carattere discrezionale, per i quali si rendeva necessaria una motivazione e provvedimenti vincolati, per i quali, invece, non registrandosi alcuna attività discrezionale da parte
della P.A., non era necessario assolvere
all’onere motivazionale.
Tale ripartizione è stata eliminata dal dettato normativo, che fa riferimento a tutti i
provvedimenti amministrativi ed è stato recepito dal Giudice Amministrativo, il quale ha
avuto modo di precisare che “la natura asseritamente vincolata del provvedimento, facendo venir meno ogni margine di apprezzamento discrezionale, non esonera però
l’Amministrazione dall’obbligo di esplicitare
i presupposti del diniego, corredando l’atto
di un congruo supporto motivazionale la cui
assenza non può essere valutata alla stregua
di mero vizio formale” (Cfr. TAR Piemonte,
sez. I, sen. N. 3501/2005).
Tuttavia si sono registrati orientamenti
contrari che continuano a sostenere la non necessità della motivazione per i provvedimenti
vincolati, essendo sufficiente una mera giusti-59-
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verificazione ed elaborazione del fatto, ne
predispone la valutabilità ai fini della decisione finale.
Per quanto attiene le ragioni giuridiche, la
pubblica amministrazione dovrà riportare le
norme ed i principi di diritto applicati nel caso concreto.
Le ragioni di fatto e le ragioni di diritto
devono essere riportare in modo tale da non
lasciare nessun margine di arbitrio, irrazionalità ed illogicità nell’operato della P.A..
Da quanto detto emerge che l’art. 3 fornisce una disciplina puntuale e precisa in materia di motivazione, tuttavia nel caso concreto
non si può addivenire allo stesso modello motivazionale per tutti i provvedimenti amministrativi, non esistendo infatti uno schema rigido, fisso ed immutabile, valevole per ogni
tipo di provvedimento.
Su tale ultimo aspetto la giurisprudenza ha
avuto modo di chiarire che la profondità
dell’impianto giustificativo muta con riferimento al variare degli effetti dell’atto, dei
suoi destinatari, dell’incidenza dell’interesse
pubblico perseguito sugli interessi privati
(Cfr. CdS, VI, 23.11.2002, n. 6444; CdS, V,
4.4.2006, n. 1750).
La necessità di contemperare l’impianto
motivazionale dell’atto amministrativo con le
specifiche caratteristiche del provvedimento
adottato dalla P.A., si accorda con il principio
di speditezza dell’attività della pubblica amministrazione, considerato infatti che non per
tutti i provvedimenti è necessaria una dettagliata motivazione, lasciando quindi alla
Pubblica Amministrazione un margine di valutazione circa l’impianto motivazionale da
adottare nel provvedimento finale.
Invero lo stesso art. 3 al co. 3 prevede una
figura atipica di motivazione, la cosiddetta
motivazione per relationem che non ha le caratteristiche indicate al primo comma. Tale
figura si esplicita allorquando le ragioni della
decisione contenute nel provvedimento finale
si ricavino da atti utilizzati dalla P.A. nella
fase istruttoria purché questi atti vengano allegati nel provvedimento finale o siano comunque conosciuti dal soggetto terzo.
La giurisprudenza si è molto soffermata
sulla ratio di tale previsione, ritenendo che
“la motivazione del provvedimento ammini-
ficazione, ciò in quanto il provvedimento a
natura vincolata “non richiede una specifica
valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con
gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né
una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale” (CdS, IV,
1.10.2007, n. 5049; 10.12.2007, n. 6344;
31.8.2010, n. 3955; V, 7.9.2009, n. 5229).
Premesso ciò è doveroso soffermarsi sugli
elementi di fatto e le ragioni di diritto, espressamente indicati al co. 1 dell’art. 3, che devono essere contenuti nella motivazione del
provvedimento amministrativo.
E’ di immediata percezione quale sia la
differenza tra presupposti di fatto e ragioni di
diritto, i primi infatti attengono ad un fatto,
stabilito e accertato sulla base di elementi informativi, quali le fonti ed i mezzi di prova,
acquisiti dalla p.a. nell’iter istruttorio che
precede il momento dell’emissione del provvedimento finale; i secondi attengono al
complesso normativo utilizzato dalla P.A. a
sostegno della propria decisione finale.
Tuttavia, per quanto i due elementi attengano a due realtà ben distinte tra loro, autorevole dottrina (Carnelutti) ha avuto modo di
precisare che se si considera che il comando
giuridico è un fatto, dal quale occorra che sia
stabilita l’esistenza, la differenza tra ragione
di diritto e ragione di fatto appare alquanto
ridimensionata: la ragione di diritto riguarda
un tale fatto, che è un comando giuridico, la
ragione di fatto riguarda, al contrario un tale
fatto, che non è comando giuridico.
A prescindere dalle disquisizioni di carattere teorico, i fatti, che costituiscono il punto
di partenza dell’attività amministrativa, non
possono essere considerati certi dalla P.A. se
non prima di aver espletato apposito iter istruttorio finalizzato a valutare dapprima
l’esistenza o meno di tali fatti e successivamente la loro conformità alla legge.
Ne deriva che, in seno alla motivazione del
provvedimento emesso, la ragione di fatto
non può limitarsi all’indicazione di una mera
raccolta di dati ed informazioni ma deve essere il risultato di un’approfondita valutazione
operata dalla pubblica amministrazione, formata da una sequenza procedimentale logicogiuridica la quale, attraverso l’identificazione,
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ta, ma a condizione che dal complesso degli
atti del procedimento siano evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione,
onde consentire al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall'ordinamento e
al giudice amministrativo, ove investito della
relativa controversia, di sindacarne la fondatezza (CdS, IV, 3.8.2010, n. 5150; id., IV,
23.11. 2002, n. 6444)” (Cfr. CdS, VI, n.
1156/2011).
Per cui la motivazione per relationem,
seppur normativamente riconosciuta e ammessa in via unanime dalla giurisprudenza,
deve essere utilizzata con le opportune garanzie, permettendo quindi sempre al terzo destinatario del provvedimento, di poter evincere
le ragioni di fatto e giuridiche del provvedimento.
strativo è tesa a consentire al cittadino la ricostruzione dell'iter logico e giuridico attraverso cui l'amministrazione si è determinata
ad adottare un dato provvedimento, controllando, quindi, il corretto esercizio del potere
ad esso conferito dalla legge e facendo valere, eventualmente nelle opportune sedi, le
proprie ragioni. Pertanto, la garanzia di adeguata tutela delle ragioni del privato non
viene meno per il fatto che nel provvedimento
amministrativo finale non risultino chiaramente e compiutamente rese comprensibili le
ragioni sottese alla scelta fatta dalla pubblica
amministrazione, allorché le stesse possano
essere agevolmente colte dalla lettura degli
atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il
procedimento, e ciò in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di
motivazione, ma coerente con i principi di
trasparenza e di lealtà desumibili dall'art. 97
cost. (CdS, IV, 30.5.2005, n. 2770; conformemente id., 14.2.2005 , n. 435; id. V,
20.10.2004, n. 6814). Ove quindi la decisione
amministrativa risulti motivata, nel senso
giuridico e nella decisione tecnica, dalla lettura non del solo provvedimento, ma degli atti del procedimento comunque noti o conoscibili dal privato, le doglianze sul difetto di
motivazione dell’atto conclusivo non possono
essere accolte”. (CdS, IV, 30.11.2009, n.
7502). Tale orientamento, avallato dalla giurisprudenza successiva, muovendo dall’esigenza di speditezza e celerità dell’attività
della P.A., esalta l’obbligo motivazionale imposto dall’art. 3, non tanto quale obbligo formale, bensì quale dovere sostanziale, per cui
laddove la motivazione sia contenuta in atti
istruttori utilizzati dalla p.a. e conosciuti o
conoscibili dal terzo, l’amministrazione stessa
può fare rinvio a questi nel provvedimento
finale.
Tuttavia, al fine di evitare un uso improprio da parte della p.a. di tale particolare motivazione, la giurisprudenza ha precisato che
“il provvedimento amministrativo preceduto
da atti istruttori o da pareri può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche
con il mero richiamo ad essi, giacché tale richiamo sottintende l'intenzione dell'Autorità
emanante di farli propri, assumendoli a causa giustificativa della determinazione adottaGazzetta Amministrativa
3.Eccezioni.
L’obbligo di motivazione, sancito dall’art.
3, co. 1, si estende a tutti i provvedimenti
amministrativi, ad eccezione di quelli tassativamente indicati nel successivo co. 2 dello
stesso art. 3.
Per cui sono soggetti all’obbligo di motivazione tutti gli atti della pubblica amministrazione che esprimano il suo potere autoritativo e che possano modificare la sfera del
soggetto privato inciso dal provvedimento
stesso.
Pertanto, sono esclusi dal generale obbligo
di motivazione, gli atti politici, gli atti privatistici e tutti gli atti che non contengono i requisiti qualificanti il provvedimento. Le eccezioni a tale onere, previste dal co. 2 dell’art.
3, riguardano gli atti normativi e a carattere
generale e ciò in quanto tali atti non possono
incidere negativamente su situazioni soggettive o interessi concreti del privato.
In particolare, tra gli atti di contenuto generale devono essere menzionati gli atti di
pianificazione urbanistica, per i quali la giurisprudenza ha precisato che “Le delineate caratteristiche delle scelte urbanistiche escludono, d’altronde, la necessità di una specifica motivazione che tenga conto, anche solo
eventualmente, delle aspirazioni dei cittadini,
essendo al riguardo sufficiente il semplice riferimento alla relazione di accompagnamento
al progetto di piano” (ex pluribus, CdS, IV,
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ripartizione delle risorse, ecc.- ricadono
nell’ambito della giurisdizione del giudice
amministrativo” (Cfr. TAR Lombardia n.
2426\2003).
La distinzione è di fondamentale rilevanza
sotto il profilo della motivazione, soprattutto
a seguito della privatizzazione del pubblico
impiego, ciò in quanto per gli atti di microorganizzazione, la motivazione si è resa necessaria “ai fini della individuazione del giudice
competente, in seguito all’introduzione del d.
lgs. n.80/1998, sulle controversie in materia
di pubblico impiego, giacchè, mentre la loro
presenza non incide ai fini della devoluzione
della giurisdizione al Giudice Ordinario”;
mentre i cd atti di macroorganizzazione sono
esenti dall’obbligo di motivazione in quanto
“emanati nell'esercizio di un potere caratterizzato da ampia discrezionalità e finalizzati
al raggiungimento degli obiettivi programmatici e delle finalità proprie dell'Amministrazione non necessitano di puntuale e specifica motivazione, ricadendo nell’ipotesi di esenzione di cui al co. 2 dell’art. 2 della l.
n.241/90” (Cfr. TAR Lombardia n.
2426/2003).
A ciò si aggiunga che la privatizzazione
del pubblico impiego ha comportato, tra le
varie conseguenze, anche la sottrazione dei
provvedimenti emessi dalla p.a. in qualità di
datore di lavoro agli oneri motivazionali. Ed
infatti, esclusa l’ipotesi in cui la p.a. emetta
atti o provvedimenti di carattere amministrativo, per gli atti di gestione del personale o di
organizzazione del datore di lavoro pubblico
non si applicano le regole sancite dalla L.
241\90, tra cui, per quel che qui ci interessa,
l’obbligo di motivazione di tali atti, essendo
qualificati come atti di diritto privato anche se
provenienti da un soggetto pubblico.
A conferma di quanto detto giova menzionare quanto previsto dalla l. n. 165\2001, la
quale all’art. 5 co. 2 sancisce espressamente
che “le determinazioni per l'organizzazione
degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i
poteri del privato datore di lavoro”.
Tuttavia l’esigenza di chiarezza e di trasparenza che contraddistingue l’attività della
P.A. da quella del privato ha consentito di bi-
14.12.2002, n. 6297; 6.2.2002, n. 664;
17.1.2002, n. 250; 19.1.2000, n. 245;
8.2.1999, n. 121; 9.7.1998 n. 1073).
Ne deriva che l’attività di pianificazione
urbanistica, non potendo ledere la sfera privata, è svincolata dall’obbligo di motivazione,
pur tuttavia nei casi in cui tale attività pianificatoria si incontri in qualche modo con la sfera privata dei cittadini, incidendo sulle c.d.
aspettative qualificate, allora i provvedimenti
necessitano della motivazione secondo le regole previste dall’art. 3 co. 1, l. 241\90; su tale punto il Giudice Amministrativo specifica
che “l’obbligo di una puntuale motivazione è
stato ritenuto sussistente, ai fini del legittimo
uso del jus variandi quando, le nuove scelte
incidono su aspettative qualificate del privato” (CdS, A.P. 22.12.1999, n. 24; IV,
9.7.2002, n. 3817; 27.5.2002, n. 2899;
20.11.2000, n. 6177; 12 marzo 1996, n. 301)”
(CFr. CdS, n. 2827/2003).
Per cui rimangono soggetti all’obbligo di
motivazione: la stipulazione di una convenzione di lottizzazione; una sentenza dichiarativa dell’obbligo di disporre, la convenzione
urbanistica; un giudicato di annullamento di
un diniego di concessione edilizia; la decadenza di un vincolo preordinato all’espropriazione, e anche la variante di un piano urbanistico; l’onere di motivazione per le citate
ipotesi si rende necessario per rendere noto al
privato le ragioni di interesse pubblico che
prevalgono sugli interessi privati e che possano giustificare la riqualificazione urbanistica.
Orbene, oltre alle ipotesi normativamente
indicate dal co. 2 dell’art. 3 L. 241\90, vi sono taluni tipi di provvedimenti amministrativi
i quali anche se non indicati, non sempre sono
soggetti all’obbligo di motivazione, tra questi
sono ricompresi gli atti organizzativi.
Per tale tipologia di atti la giurisprudenza
ha delineato una distinzione tra “atti di “microrganizzazione”, riferibili all’area della cosiddetta gestione dei rapporti di lavoro ed assunti dagli organi preposti alla gestione dei
rapporti di lavoro” e gli atti di ““macroorganizzazione” che hanno “la funzione di delineare le linee fondamentali dell’organizzazione degli uffici e di indirizzo politico amministrativo, di definizione degli obiettivi e
dei programmi da attuare, di individuazione e
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- riforme istituzionali
lanciare la libertà riconosciuta all’amministrazione quale datore di lavoro e le garanzie
di trasparenza e buon andamento dell’attività
della P.A.. Ed invero l’art. 19, co. 1 bis introdotto con la Legge Brunetta ha previsto che
“L'amministrazione rende conoscibili, anche
mediante pubblicazione di apposito avviso sul
sito istituzionale, il numero e la tipologia dei
posti di funzione che si rendono disponibili
nella dotazione organica ed i criteri di scelta;
acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta”.
Tale norma ha avuto effetti di non poco rilievo, avendo in alcuni casi determinato la
nullità dell’atto di conferimento dell’incarico
dirigenziale per non aver rispettato tale dettato normativo.
A prescindere da tale considerazione, rimane invariata la circostanza secondo cui gli
atti adottati dalla P.A. in qualità di datore di
lavoro, non sono soggetti alle norme sul procedimento amministrativo.
l’ipotesi del silenzio, per le quali è riconosciuta la giurisdizione sul comportamento
della P.A.. Tali ipotesi sono del tutto eccezionali, essendo infatti individuate dalla legge e
non derogano la regola appena espressa che
limita l’oggetto dell’indagine, da parte del
Giudice, agli atti della P.A..
In siffatto contesto la motivazione, elemento essenziale dell’atto amministrativo, riveste un ruolo centrale ai fini della valutabilità, da parte del giudice, della liceità o meno
dell’operato della p.a., costituendo un ausilio
per lo stesso Giudice al fine di emettere il
giudizio.
Tuttavia, come sopra analizzato, la disciplina indicata dall’art. 3 l. 241/90, per quanto
possa apparire analitica e dettagliata, permette alcune deroghe all’obbligo motivazionale,
verificandosi infatti non poche ipotesi in cui
taluni provvedimenti amministrativi, seppur
non rientranti nelle eccezioni dell’art. 3 co. 2
l. 241\90, non assolvano all’obbligo motivazionale (basti pensare alla controversa questione dei provvedimenti vincolati).
Tra l’altro anche la giurisprudenza talvolta
ha giustificato, confermandone la validità, atti
con evidenti lacune motivazionali.
Pertanto, sarebbe auspicabile una regolamentazione delle diverse tipologie di provvedimenti, accordandosi con i principi di speditezza dell’azione amministrativa che possa
maggiormente garantire l’obbligo di motivazione, prevedendo altresì sanzioni che, oltre
che invalidare il provvedimento, possano
fungere da deterrente per la P.A. all’elusione
di tale onere.
4.Conclusioni.
L’istituto della motivazione è divenuto ancor più importante a seguito della sentenza
costituzionale n. 204/2004, la quale ha ristretto i confini dell’indagine da parte del Giudice
Amministrativo ai soli atti amministrativi.
Tale sentenza ha avuto effetti dirompenti
atteso che ha determinato l’insidacabilità, da
parte del Giudice Amministrativo, dei comportamenti della P.A., limitando quindi l’indagine giudiziale ai soli atti amministrativi.
E’ doveroso precisare che rimangono escluse
fattispecie tassativamente previste, quale
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