`Cento anni fa nasceva Adriano Olivetti`, di Mario Caglieris

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`Cento anni fa nasceva Adriano Olivetti`, di Mario Caglieris
Cento anni fa nasceva Adriano Olivetti
di Mario Caglieris *
L'opera di Adriano Olivetti non ha bisogno di aggettivazioni: brilla di luce propria.
Fu chiamata paternalismo ed era invece amore per l'uomo; fu chiamata utopia, ma
da chi non ebbe mai il coraggio e la fantasia di imitarla.
Per noi fu esperienza concreta ed è questa che vogliamo ricordare, celebrandosi il
centenario della sua nascita.
Chi era Adriano Olivetti?
Era prima di tutto un grande uomo di industria:
- continuamente aggiornato sulle tecniche della organizzazione aziendale
- ottimo pianificatore
- anticipatore preveggente degli sviluppi del mercato e della tecnologia
- dotato di una visione internazionale del business
- intelligente utilizzatore dello strumento della esportazione e dell'interscambio
- abile selezionatore di uomini, che molte volte sceglieva personalmente, ritenendoli
il patrimonio più importante della impresa
- esperto supervisore del design, della grafica e delle forme pubblicitarie
- esigentissimo nel prescrivere e pretendere la qualità dei prodotti e dei processi
- coraggioso nelle scelte strategiche sino ai limiti del rischio
- attento ai cambiamenti e prontissimo alle innovazioni,
insomma quello che l'Università di Harward definirebbe il modello del manager
perfetto.
Questo manager sapeva benissimo che l'obiettivo principale dell'Azienda è fare
business e creare profitto, senza del quale non ci sono investimenti per il futuro e
quindi non c'è sopravvivenza.
Ma, ecco la novità, la diversità!
A questa Azienda egli assegnava una missione: essere il motore dello sviluppo, oltre
che economico, anche morale, civile e culturale delle persone che vi lavorano e che
le stanno intorno.
Un progetto ben preciso, studiato in tutti i particolari, con le sue regole e le sue
connessioni, che sancisce il primato della fabbrica per la elevazione economica, morale, civile e culturale del territorio nel quale essa opera: la Fabbrica centro della
Comunità.
Una fabbrica verticalizzata e totalizzante, che produce tutto al suo interno, dal tasto
alla macchina finita, alle macchine utensili per fare le macchine, che, oltre a progettare, produrre e vendere, provvede:
- alla istruzione professionale
- ai servizi sociali in senso lato
- al tempo libero
- alla biblioteca e alle attività culturali
- agli asili e ai soggiorni per i bambini
- alla integrazione delle prestazioni sanitarie pubbliche
- ai trasporti
- alle case per i dipendenti
- ai piani regolatori.
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Tutto in base a statuti che stabiliscono diritti ben regolamentati, in modo da escludere
rischi di deviazioni paternalistiche.
Una fabbrica fondata su un preciso codice morale, per il quale il profitto viene
destinato:
- prima di tutto agli investimenti
- poi alle retribuzioni e ai servizi sociali
- in ultimo agli azionisti con il vincolo di non creare mai disoccupazione.
Questo progetto, già di per sé affascinante, viene esaltato dalla eccellenza e dalla
perfezione che erano costantemente ricercate in tutte le sue espressioni e quindi:
- altissima la qualità dei prodotti
- bello il design (Nizzoli-Sottsass)
- bella la grafica e le campagne pubblicitarie (Schawinsky, Persico, Munari,
Veronesi, Pintori, Soavi, Bonfante)
- belli gli stabilimenti (Figini e Pollini: Ico e Fascia dei Servizi Sociali; Vittoria: OMO;
Cosenza: Pozzuoli; Zanuso: Brasile; Gardella: nuova mensa)
- grandi personaggi agli spettacoli e alle conferenze (Gassman, Buazzelli, De Sica,
Pasolini)
- pedagogia moderna nelle colonie (Scuola del Ferrier, Cemea)
- professori alle biblioteche (Geno Pampaloni e Alvise Zorzi)
- Cesare Musatti e poi il prof. Novara al Centro di Psicologia
- Renzo Zorzi alle Relazioni Culturali e alle Edizioni di Comunità
- Libero Bigiaretti al giornale di Fabbrica
- Carlo Ludovico Ragghianti alla rivista SeleArte.
Insomma una concentrazione di personaggi e di eventi artistici (come le mostre
personali dei più grandi pittori italiani del momento) che fecero parlare di Ivrea, tra il
verde della Serra e le facciate di vetro dei suoi stabilimenti, come di un piccolo nuovo
Rinascimento.
Tutte queste attività di servizio sociale e culturale potevano essere considerate dei
veri e propri investimenti e come tutti i buoni investimenti avevano buoni ritorni sul
piano gestionale.
Due in particolare:
- la elevata motivazione dei dipendenti e la loro consapevole partecipazione al
processo aziendale che aveva come obiettivo la vendita di intelligenza in un
mercato sempre più competitivo;
- la cattura dell'opinione pubblica e quindi del cliente che con la macchina Olivetti
acquistava non solo un prodotto bello ed efficiente, ma aderiva ad un'idea, si
portava a casa o in ufficio un simbolo.
E tuttavia sarebbe riduttivo e storicamente inesatto ricondurre quella complessa
vicenda soltanto ad una, sia pure raffinata, filosofia gestionale.
Il giudizio su Adriano Olivetti sarebbe incompleto se non lo si integrasse con altri due
aspetti della sua ricca personalità: l'ispirazione etico-religiosa e la sua visione politica.
L'ing. Adriano aveva un concetto altissimo dei ruolo dell'imprenditore che egli vedeva
come investito di un superiore dovere verso le persone che la Provvidenza gli aveva
affidato e il cui destino poteva dipendere, nel bene e nel male, dalle sue azioni
positive o dai suoi errori.
L'interesse privato era subalterno all'interesse collettivo che l'imprenditore aveva la
responsabilità di assicurare mediante la osservanza di tre comandamenti:
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- alleviare la fatica dei lavoro, organizzandolo in ambienti il più possibile sereni, con
ritmi e modalità sopportabili;
- favorire, insieme al benessere economico del dipendente, la sua crescita civile e
culturale;
- affrancare il dipendente e la sua famiglia dalla paura della perdita del posto di
lavoro.
Nello schema politico di Adriano Olivetti la Fabbrica alimentava lo sviluppo materiale
e sociale della Comunità, e le varie Comunità - ognuna ben delimitata nei suoi confini
fisici, storici e culturali - erano i mattoni di uno Stato Federale che attuava il
decentramento amministrativo e quindi la democrazia reale, sostituiva la logica delle
competenze alla logica della partitocrazia e
tendeva a superare il contrasto tra socialismo e capitalismo che si erano dimostrati
incapaci, separatamente, di rispondere ai bisogni dell'uomo.
Come si vede, uno schema anticipatore dei temi che vengono dibattuti oggi.
Dopo aver collaudato il suo esperimento nella piccola Comunità del Canavese,
confortato dai risultati raggiunti, decise di portare la sua proposta a Roma, per aprire
un dibattito a livello nazionale, e scese nell'agone politico, partecipando alla
competizione elettorale dell'anno 1958: non per mire di potere, conoscendo egli
benissimo la esiguità dei suoi mezzi e delle sue forze, ma per costringere il sistema a
confrontarsi con le nuove idee e promuovere un generale esame di coscienza.
Forse sarebbe stato più opportuno scegliere la formula di un Centro di Ricerca o di
una Fondazione di Studi.
Di fatto il confronto politico divenne uno scontro molto aspro.
Il sistema, disturbato nei suoi privilegi e nelle sue comodità, la considerò una
provocazione ed ebbe una reazione durissima e generalizzata (dalla DC al Partito
Comunista, dai Sindacati alla Confindustria), tanto aspra da spiegare forse (anche se
non lo si può giustificare) l'oblio che tutti d'accordo (destra - centro - sinistra organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori) stesero su di lui, dopo la sua morte.
Il Movimento di Comunità ottenne un solo deputato e la reazione negativa,
soprattutto del mondo industriale (circolare Confindustria), fece temere anche per le
fortune commerciali della Olivetti, per cui egli decise di mettersi un po’ in disparte,
lasciando la Presidenza della Società.
Tornò nel gennaio del 1960 per riprendere il suo progetto, affidandone questa volta la
esecuzione ad una Fondazione da intitolare al nome del padre ing. Camillo, liberata
da ogni complicazione di tipo politico e alimentata con i profitti di un gruppo di piccole
e medie aziende del Canavese, operanti nel settore agrario e industriale e coordinate
da una holding autonoma (l'I-RUR).
Qui la testimonianza diventa diretta essendo stato io, oltre che a collaborare a quel
progetto, ad essere indicato come il responsabile amministrativo della iniziativa
(mentre Giancarlo Lunati ne sarebbe stato il direttore operativo).
La nomina ci fu comunicata nel pomeriggio del giorno di venerdì 26 febbraio 1960. La
domenica giungeva ad Ivrea la notizia che l'ing. Adriano Olivetti era morto sul treno
Milano-Losanna alle ore 22 del giorno di sabato 27 febbraio 1960.
(…)
* Articolo pubblicato sul Notiziario Spille d’Oro Olivetti, n. 26 - 11 aprile 2001
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