Policy di gestione delle partecipate estere: presupposti e

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Policy di gestione delle partecipate estere: presupposti e
Export e investimenti
Internazionalizzazione e tax planning
Policy di gestione delle partecipate
estere: presupposti e metodologia
di redazione
di Salvatore Mattia
Valente Associati, Centro Studi Internazionali Geb Partners
Nel presente lavoro vengono affrontati gli aspetti applicativi e metodologici della elaborazione - in via meramente
esemplificativa - di un rapporto Multi-test.
Il rapporto Multi-test - in sintesi - è diretto alla dimostrazione della effettiva residenza all’estero delle società partecipate da soggetto residente mediante la rappresentazione
della struttura del gruppo, dell’attività svolta dalle singole
società partecipate, dell’organizzazione interna delle stesse nonché delle motivazioni (economiche) della loro costituzione o acquisizione.
Obiettivi della Policy
Il documento, denominato «Policy», esplica le linee guida di una corretta gestione dei rapporti tra la società
capogruppo italiana (nel prosieguo, «X Spa»), e le altre
società del gruppo, con particolare riferimento a quelle
residenti all’estero (1).
La Policy rappresenta un ideale equilibrio tra spirito imprenditoriale, controllo e trasparenza e supporta il successo dell’impresa garantendo la massima efficienza del processo decisionale.
In particolare, la Policy:
– consente di fornire un quadro completo dei rapporti
intercorrenti fra la società X Spa e le società da essa controllate residenti all’estero;
– permette di individuare e controllare i potenziali rischi della gestione del gruppo, conformando la governance societaria/fiscale alle norme vigenti (cd. «conformità alla normativa»).
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Prevenendo eventuali situazioni di illegalità, attraverso la
predisposizione di «modelli di organizzazione» idonei a
soddisfare i requisiti imposti dalle norme di riferimento, la
Policy si fonda sui seguenti rilevanti riferimenti normativi:
– per l’area societaria: artt. 2497 ss. C.c.;
– per l’area organizzativa: dlgs 8 giugno 2001, n. 231;
– per l’area fiscale: art. 73 del Tuir.
Riferimenti normativi
La Policy di gestione delle società partecipate estere deve
prevedere una sezione giuridica, diretta a valutare in relazione al Gruppo X le implicazioni di carattere sostanziale e procedimentale contenute nell’art. 73 del Tuir, il
quale individua i requisiti richiesti per attribuire a società
ed enti esteri la qualifica di soggetti residenti nel territorio
dello Stato.
Come è noto, ai sensi dell’art. 73, co. 3, del Tuir, si considerano residenti ai fini delle imposte dirette le società e
gli enti che, per la maggior parte del periodo d’imposta,
hanno nel territorio dello Stato, alternativamente:
– la sede legale;
– la sede dell’amministrazione;
– l’oggetto principale dell’attività.
Per le società e gli enti residenti, l’oggetto esclusivo o
principale dell’attività è determinato in base alla legge,
Nota:
(1) Il presente articolo è parte del più ampio volume di P.
Valente, «Residenza ed esterovestizione», II Ed., 2010,
Ipsoa.
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all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata
(art. 73, co. 4, del Tuir).
In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale della società o dell’ente
residente è determinato in base all’attività effettivamente
esercitata nel territorio dello Stato. L’art. 35, co. 13, del dl
4 luglio 2006, n. 223 (in vigore dal 4 luglio 2006), convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, ha aggiunto i commi
5-bis e 5-ter all’art. 73 del Tuir.
La disposizione in commento introduce una presunzione
legale relativa, con conseguente inversione dell’onere della prova, in capo alle società estere il cui controllo risulti
riconducibile, anche indirettamente, a soggetti d’imposta
italiani. Per effetto di tale innovazione normativa, si considera esistente nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, la sede dell’amministrazione di società ed enti non
residenti che detengono direttamente partecipazioni di
controllo in società ed enti residenti, qualora il controllante
non residente sia a sua volta, alternativamente:
– controllato, anche indirettamente, da società ed enti
residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 2359,
co. 1, C.c.;
– amministrato da un Consiglio di amministrazione, o altro organo di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
Per quanto riguarda il controllo operato dalle società
estere nei confronti di società residenti nel territorio dello
Stato, deve trattarsi, in base al disposto letterale della
norma, del solo controllo diretto (non anche di quello indiretto). Di conseguenza, la norma in commento trova applicazione con riferimento a società estere:
– che controllano direttamente società residenti;
– che sono controllate, anche indirettamente, da società
residenti o sono amministrate da soggetti residenti.
Ai sensi dell’art. 35, co. 14, del dl 223/06 citato, la disposizione ha effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto. Si tratta, in
concreto, dell’anno 2006 per i soggetti con esercizio sociale coincidente con l’anno solare.
Ai fini della verifica della sussistenza del controllo, rileva
la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio
o periodo di gestione del soggetto estero controllato (art.
73, co. 5-ter, del Tuir).
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La nozione di controllo richiamata dai nuovi commi 5-bis e
5-ter dell’art. 73 del Tuir è quella dell’art. 2359, co. 1, C.c..
Ai fini dell’applicazione della norma in commento sono
considerate società controllate:
– le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
– le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti
per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
– le società che sono sotto l’influenza dominante di
un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali.
Per le persone fisiche, si dovrà tenere conto anche dei
voti spettanti al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e
agli affini entro il secondo grado (art. 73, co. 5-ter, e art. 5,
co. 5, Tuir).
A completamento della trattazione teorica contenuta nella
sezione normativa della Policy, appare opportuna la citazione delle disposizioni contenute negli artt. 2497 ss. C.c.
aventi ad oggetto la disciplina della direzione unitaria dei
gruppi di imprese.
Modello organizzativo
del Gruppo
Al fine di dimostrare l’effettiva sussistenza all’estero della
sede dell’amministrazione della partecipata estera, è indispensabile fornire prova sull’assenza di un «attendibile collegamento territoriale con l’Italia».
In altri termini, si devono considerare, tra gli altri, i seguenti elementi di fatto:
– l’attività dell’Organo Amministrativo e/o Esecutivo e le
assemblee dei soci della società estera sono svolte con
regolarità;
– le riunioni dell’Organo Amministrativo e/o Esecutivo sono tenute presso la sede sociale (eventualmente con riunioni in tele/videoconferenza) e la partecipazione dei diversi componenti è opportunamente documentata (biglietti
di viaggio, prenotazioni alberghiere, ecc.);
– la maggioranza dei componenti dell’Organo Amministrativo e/o Esecutivo è costituita da persone fisiche residenti in loco, effettivamente coinvolte nella gestione sociale, anche attraverso la realizzazione di studi, progetti e
interventi operativi nell’ambito della società (evitando che
i consiglieri residenti in un paese diverso da quello ove è
localizzata la sede legale della società esercitino il loro
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potere di firma all’interno del territorio di tale primo paese);
– la gestione operativa della società partecipata estera è
effettuata sul posto e le deleghe rilasciate a soggetti terzi
residenti in paesi diversi da quello ove è localizzata la sede della società hanno contenuti non troppo estesi e omnicomprensivi.
Sotto il profilo organizzativo e funzionale, si evidenzia l’opportunità di predisporre (e rappresentare nel corpus della
Policy) adeguata documentazione idonea a provare:
– effettività degli insediamenti produttivi/commerciali all’estero e delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi
(2);
– (eventuale) presenza di soci di minoranza nella catena
di controllo ed esistenza di accordi parasociali (3);
– modello organizzativo e funzionale del gruppo d’imprese del quale le società estere fanno parte, con evidenza della «specializzazione» di queste ultime, non solo in
senso geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;
– descrizione dei flussi informativi e contrattuali intercompany, dalla quale potrebbe desumersi la (pressoché)
totale indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;
– esistenza (o meno) di sistemi di tesoreria centralizzata
(cd. cash pooling), rilevanti ai fini della dimostrazione
dell’autonomia finanziaria delle società estere rispetto
all’ente controllante;
– grado di autonomia gestionale dei soggetti preposti
all’attività d’impresa all’estero (cd. country managers), in
termini di organizzazione del personale, di poteri di spesa
(in ottica finanziaria), di approvvigionamento (acquisti) e
di negoziazione di contratti con i clienti esteri (4).
Più in dettaglio, nell’ambito dei tests sotto individuati, il
contribuente italiano (holding capogruppo) dovrebbe - in
via esemplificativa - fornire i seguenti elementi:
– il modello organizzativo del gruppo evidenzia l’indipendenza delle singole società estere a livello di funzioni
commerciali, finanziarie ed amministrative, a fronte della
quale la struttura di vertice, svolge le necessarie funzioni
di direzione e coordinamento;
– ogni società estera è dotata delle funzioni aziendali necessarie alla conduzione autonoma del business per la
propria area geografica di competenza, prevede la pre-
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senza di un country manager, effettivamente operante
nel paese e responsabile del business locale (anche nei
rapporti con la capogruppo), nonché di un Cfo responsabile delle attività e dei flussi di carattere finanziario, entrambi dotati di ampia autonomia di spesa (ovviamente,
adeguata alle dimensioni di ogni singola società);
– ogni società estera non è stata costituita all’estero
per «puro artificio».
Schema Multi-test
Il percorso logico-probatorio attraverso il quale si articola
lo schema Multi-test verte sulle seguenti circostanze di
fatto:
– esistenza/inesistenza di un’effettiva attività imprenditoriale (industriale, commerciale, di servizi) svolta dalla
società estera partecipata dal soggetto italiano nel luogo
(rectius, nello Stato o territorio) in cui questa è incorporata
(cd. business activity test);
Note:
(2) Come sottolineato dalla Commissione europea nella
COM(2007)785, «per garantire che transazioni e insediamenti effettivi non vengano indebitamente sanzionati è essenziale che, ove si presuma l’esistenza di una costruzione
di puro artificio, il contribuente sia messo in grado, senza
eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi
alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione è stata conclusa».
(3) Come osservato da Assonime nella circ. 31 ottobre 2007,
n. 67, nota n. 62, «nel caso di joint ventures in cui intervengono con rapporti di forza significativi soggetti esteri terzi, è
di per sé dubbio, in generale, che la localizzazione all’estero
sia priva di effettività economica e che si giustifichi, perciò
(…) l’operatività di una presunzione di residenza».
(4) Se il soggetto estero si caratterizza quale holding mista,
vale a dire come impresa che, oltre a detenere partecipazioni di controllo in una società italiana, esercita all’estero
un’attività industriale, commerciale o finanziaria, può ritenersi che la sua sede amministrativa sia situata prevalentemente all’estero, dove si svolge la gestione operativa. In tale ipotesi, la prova potrebbe essere integrata invocando validamente l’effettiva localizzazione dell’attività principale all’estero, la quale è connessa, nella maggior parte dei casi,
all’assunzione in loco delle decisioni gestionali. Analoghe
considerazioni dovrebbero valere nell’ipotesi di società
operative (commerciali/industriali) localizzate all’estero.
Altra ipotesi è quella delle holding estere di gestione, vale
a dire delle holding che svolgono concretamente un’attività di direzione e coordinamento delle società partecipate,
fornendo servizi ausiliari di finanziamento e di amministrazione. In tal caso, sottolinea l’Assonime, la prova può essere fornita facendo rilevare, da un lato, che l’attività svolta
dalla holding è attività economica autonoma rispetto a
quella delle partecipate, dall’altro che il luogo in cui si svolge tale attività è situato all’estero.
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– esistenza/inesistenza di un’effettiva organizzazione di
uomini e mezzi idonea allo svolgimento della predetta attività d’impresa (cd. organization test);
– valutazione delle ragioni economiche che hanno indotto
il soggetto controllante italiano a svolgere attività d’impresa all’estero costituendo specifiche legal entities (cd.
motive test).
Il cd. business activity test
Descrizione del gruppo
In apposita sezione della Policy, si procede ad una dettagliata descrizione della storia e della configurazione del
gruppo d’imprese (ad es. struttura societaria guidata da
una holding pura o mista (5) di diritto italiano, quotata o
non quotata, che controlla e coordina altre società operative (6) localizzate all’estero).
Appare utile, ai fini della comprensione del concreto atteggiarsi dell’organizzazione interna del gruppo (e, conseguentemente, della funzione svolta dalle singole società
partecipate estere, come singole entità e nell’economia
del gruppo), soffermarsi sulla descrizione delle attività
svolte, per procedere successivamente all’analisi del
modello organizzativo adottato a livello del gruppo e
nelle singole legal entities estere.
La descrizione dettagliata del modello organizzativo adottato dal gruppo è essenziale al fine di (di)mostrare:
– la volontà di presidiare, nella maniera più efficace
possibile, i diversi mercati, come è peraltro consueto in
tutti i gruppi multinazionali;
– che specifiche previsioni normative vigenti negli ordinamenti degli Stati nei quali il gruppo opera, rendono necessaria, al fine di sviluppare l’attività d’impresa su mercati diversi da quello italiano, la costituzione di filiali autonome
e pienamente operative nella forma di società di capitali,
come tali regolate dagli ordinamenti localmente vigenti.
– presenza di idonea struttura organizzativa locale,
nonché di regolari contratti relativi ad utenze;
– amministrazione della società estera da parte di un
soggetto fiscalmente residente nel medesimo Stato di residenza della stessa società o in altro Stato;
– numero di impiegati effettivamente assunti alle dipendenze della società estera e stipulazione di idonee coperture assicurative e previdenziali;
– regolare deposito dei bilanci d’esercizio relativi alle
annualità oggetto di verifica, secondo le regole previste
dall’ordinamento giuridico di appartenenza;
– regolare tenuta della contabilità secondo le norme
dell’ordinamento di appartenenza e regolare presentazione delle dichiarazioni fiscali ai fini delle imposte dirette e
dell’Iva (se prevista nello Stato estero) secondo le regole
tributarie vigenti nello Stato di residenza;
– prevalenza dello svolgimento dell’attività commerciale/produttiva nel paese di residenza.
Il cd. organization test
Per quanto attiene al test in oggetto, si verifica che ciascuna società estera preveda la presenza di un country
manager, effettivamente operante nel paese e responsabile del business locale (anche nei rapporti con la capogruppo), nonché di un Chief Financial Officer (Cfo) responsabile delle attività e dei flussi di carattere finanziario.
Inoltre, si verifica quanto segue:
– (più o meno) ampia autonomia di spesa dei country
managers e dei Cfos locali (ovviamente, adeguata alle dimensioni di ogni singola società), secondo un articolato
sistema di deleghe interne;
– grado di dipendenza della filiale estera sotto il profilo finanziario. Sotto tale profilo rileva la circostanza che il Cfo
Note:
Descrizione della filiale
Successivamente, si procede alla descrizione dell’attività
d’impresa svolta dalla società estera oggetto di indagine,
con proprio patrimonio investito esclusivamente all’estero,
onde verificare le seguenti circostanze di fatto:
– disponibilità di una sede localizzata nello Stato estero, detenuta in base ad idoneo titolo giuridico (contratto di
locazione o contratto di acquisto);
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(5) Ad esempio, la holding svolge, in primis, attività commerciale e/o produttiva per il proprio mercato di riferimento (il mercato italiano), di fornitura di servizi centrali (e di
supporto) nei confronti delle società controllate, oltre alla
funzione di holding di gestione delle partecipazioni nelle
società del gruppo (alcune delle quali, nell’esempio considerato, localizzate all’estero).
(6) Ad esempio, le società operative estere svolgono una
funzione essenziale di presidio commerciale dei rispettivi
mercati e dei prodotti, nell’ambito delle linee guida strategiche indicate dalla holding capogruppo italiana.
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di gruppo disponga o meno dei poteri di firma e di controllo dei conti correnti bancari delle società partecipate, ovvero si limiti a svolgere solo attività di (necessario) coordinamento finanziario della tesoreria svolta da tutte le società del gruppo;
– esistenza o meno, nell’ambito del gruppo, di un sistema
di tesoreria centralizzata (7) (cd. cash pooling o meccanismi compensativi similari).
La descrizione del modello di sviluppo del gruppo deve
(consentire di) individuare il grado di decentramento
presso le singole società estere delle funzioni commerciali, finanziarie ed amministrative. Inoltre, in presenza di
shared services erogati dalla capogruppo e/o contratti intercompany, occorre verificare il grado di autonomia negoziale, sotto il profilo quantitativo, delle società estere,
vale a dire se esse sono, comunque, sostanzialmente autonome anche nel decidere di approvvigionarsi sul mercato, acquistando da soggetti terzi servizi similari a quelli acquistati dalla capogruppo.
Il cd. motive test
Il test in esame ha ad oggetto la verifica delle motivazioni
economiche che hanno indotto il gruppo a costituire legal
entities in diversi paesi esteri, con particolare riferimento
a:
– legislazione locale;
– regole del mercato in cui il gruppo opera;
– comportamenti dei gruppi multinazionali concorrenti di
quello oggetto di verifica.
In sintesi, occorre verificare, in particolare, che:
– lo Stato di residenza della società estera disponga o
meno di un regime fiscale privilegiato (paradiso fiscale);
– il paese di residenza della società estera sia o meno
Stato membro dell’Unione europea;
– lo Stato di residenza della società estera abbia o meno
in vigore con l’Italia una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni, con scambio di informazioni
senza limitazioni;
– il predetto Stato abbia aliquota fiscale assimilabile a
quella in vigore in Italia per i soggetti IReS.
Con riferimento alla singola filiale estera, vanno valutate
le seguenti circostanze:
– beneficio di tax ruling per la determinazione concordata della base imponibile;
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– riconoscimento o meno di aliquote fiscali effettive di favore, ottenute mediante disposizioni amministrartive individualmente concesse;
– presenza o meno di aiuti di qualsivoglia natura, contributi o sovvenzioni dallo Stato di appartenenza;
– risultato in utile o perdita negli esercizi oggetto di verifica, nonché presenza o meno di perdite fiscali pregresse
riportabili (cd. carry forward losses).
Schema di riferimento
Lo schema di riferimento della Policy di gestione delle
partecipate estere e, quindi, del relativo modello organizzazione adottato dal Gruppo riassume le sezioni nelle
quali si articola il rapporto Multi-test e si compone di tre
diversi chart di supporto:
1) per la capogruppo (X Spa), nel quale si evidenzia:
– la descrizione generale dell’attività del Gruppo,
– la descrizione della struttura organizzativa, giuridica ed
operativa del Gruppo,
– la descrizione generale delle funzioni svolte e dei rischi
assunti dalla capogruppo X Spa,
– la descrizione dei beni (materiali ed immateriali) detenuti dalla capogruppo X Spa;
2) per ciascuna delle filiali estere, il quale sarà rappresentato da apposita scheda-paese illustrativa delle informazioni di dettaglio riferibili alla filiale estera considerata
nonché delle specifiche strategie d’impresa;
3) per la descrizione complessiva dei rapporti contrattuali (agreements) intercorrenti tra la capogruppo e le filiali estere (contratti intercompany) e tra queste e gli operatori del mercato (contratti di business).
Va da sé che la Policy di gestione delle partecipate estere
è in grado di assolvere ad una duplice finalità (dipendenti
dal concreto atteggiarsi dei rapporti del Gruppo X con
l’Amministrazione finanziaria):
– propositiva, in assenza di una verifica fiscale, in considerazione della quale il Gruppo X avverte l’esigenza di
sintetizzare in apposito documento (la Policy) le ragioni
Nota:
(7) L’inesistenza di tali sistemi potrebbe significare che i
flussi finanziari (attivi e passivi) delle società partecipate
sono integralmente ed autonomamente gestiti dai CFOs locali, nei limiti delle correlate responsabilità di spesa e del
necessario coordinamento di gruppo.
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della sua strutturazione internazionale, gli obiettivi dell’impresa nel medio periodo, la tipologia dell’attività economica svolta e la struttura organizzativa di cui si è dotato a livello Gruppo e a livello filiale-paese;
– difensiva, in presenza di una verifica fiscale mirata al
tentativo di (ri)qualificazione delle legal entities estere come fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano.
In tale ipotesi, la Policy, redatta secondo un più mirato approccio «case by case», può assolvere alla funzione di
supporto probatorio-documentale delle argomentazioni
del contribuente sottoposto a verifica (la capogruppo X
Spa e la società partecipata estera).
– procedura di approvazione dei budget annuali (procedura approvazione budget);
– procedura di redazione ed approvazione dei bilanci
annuali (o dei report periodici in caso di gruppi d’imprese
quotati);
– procedure di selezione, assunzione ed incentivazione del personale dipendente e non (procedure Hr);
– procedura avente ad oggetto proposta, esame ed esecuzione degli investimenti (procedura M&A).
Descrizione dei principali processi
Nella medesima sezione relativa all’organization test vengono descritti i principali processi (8) operativi del Gruppo
Gestione dei mercati locali
Nella sezione dedicata alla descrizione della business activity svolta dal Gruppo, in generale, e dalle filiali estere, in
particolare, si procede alla rappresentazione dei mercati
locali e/o esteri serviti dal Gruppo preso in considerazione
e dalle filiali estere dello stesso.
Nel dettaglio, vengono illustrati:
– la tipologia di beni e/o servizi, alla cui produzione e
scambio è diretta l’attività d’impresa del Gruppo;
– la localizzazione dei mercati serviti dalle filiali del Gruppo.
In stretta relazione con la descrizione degli aspetti sopra
indicati, viene fornita la rappresentazione del numero delle legal entities operanti all’estero e dettagliati:
– il numero delle risorse impiegate, in relazione al numero complessivo delle risorse impiegate, a diversi livelli, dal
Gruppo e, in particolare, dalla capogruppo italiana (descrizione della struttura della filiale);
– le modalità attraverso le quali la struttura estera viene
gestita (descrizione e riproduzione dell’organigramma funzionale).
Schema dei flussi informativi
In apposita sezione della Policy dedicata alla descrizione
del cd organization test vengono rappresentati i principali
schemi di riferimento dei flussi informativi (decisionali ed
operativi) tra ciascuna filiale e la capogruppo italiana.
La Policy, in particolare, deve rappresentare (ed eventualmente riprodurre in allegato) le principali procedure,
le quali disciplinano in concreto i rapporti tra la capogruppo e ciascuna legal entity non residente, quali (a titolo
esemplificativo):
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Nota:
(8) Ogni impresa o istituzione ha una propria mission e organizza, sviluppa e coordina la propria struttura in funzione
sia degli obiettivi costitutivi generali, che di obiettivi più
specifici, legati alle esigenze di un particolare periodo.
Un’organizzazione è in genere costituita da diverse unità (o
unità di business) e si fonda su un insieme di risorse e di
processi che vengono sviluppati e utilizzati per la corretta
ed efficiente gestione dell’insieme.
Una risorsa è tutto ciò - di materiale e immateriale - con cui
la azienda opera per raggiungere gli obiettivi prefissati. Sono risorse interne i prodotti e i servizi offerti, i materiali utilizzati, gli immobili, il capitale e i collaboratori. Sono esterne le risorse con le quali l’azienda entra in contatto ed esercita un influsso indiretto: il mercato, l’ambiente sociale, gli
operatori economici, ecc..
Un processo è l’insieme delle attività - sia decisionali sia
operative - che l’organizzazione svolge per gestire le singole risorse o i gruppi omogenei di risorse secondo un processo costituito da tre fasi principali: pianificazione, acquisizione e gestione.
Per processo si intende quindi un insieme di attività tra loro interrelate, finalizzate al conseguimento di un obiettivo
preciso e misurabile (il prodotto/servizio interno o esterno)
che contribuisce al raggiungimento della missione dell’organizzazione e che genera valore per il destinatario del servizio (il cliente interno o esterno).
Un processo è caratterizzato quindi da un prodotto o da un
servizio e da un insieme di attività interrelate (il flusso operativo del processo, le sue attività e le loro relazioni). È il caso della produzione di prodotti/servizi, che in genere coinvolge una o più unità organizzative, e che avviene attraverso la distribuzione di compiti e di responsabilità, spesso codificate in regole o procedure che definiscono il processo
stesso. Diviene, quindi, fondamentale il coinvolgimento ed
il coordinamento di più strutture organizzative: se le singole
strutture organizzative operano con proprie risorse umane caratterizzate da quantità, distribuzione e caratteristiche
professionali - e utilizzano per le attività altre risorse - finanziarie, logistiche, materiali e strumentali, tecnologiche - tutte queste dovranno essere integrate per il raggiungimento
dell’obiettivo del processo. Il processo in questa accezione
è quindi elemento di omogeneizzazione dell’organizzazione.
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di riferimento e della filiale estera, mediante illustrazione
della catena del valore (cd. value chain) del Gruppo e delle funzioni operative affidate alla filiale.
In linea teorica, lo studio della value chain consente di
rappresentare il valore complessivo creato dall’impresa, mediante l’individuazione di due elementi principali:
– le attività che generano valore;
– il margine di profitto.
Le attività primarie, che aggiungono valore all’output dell’azienda, sono:
– logistica inbound, attività di approvvigionamento e gestione magazzino;
– produzione, che comprende i processi di assemblaggio,
di lavorazione e manutenzione, e la gestione degli impianti;
– logistica outbound o distribuzione fisica, che include il
magazzinaggio dei prodotti finiti, la gestione dei distributori, la programmazione delle spedizioni;
– marketing e vendite, che comprendono le attività di controllo dei canali distributivi, la gestione della forza vendita
e del marketing mix;
– servizi post-vendita, ovvero i servizi accessori per il miglioramento o il mantenimento del valore del prodotto, come le installazioni, le riparazioni, la fornitura di pezzi di ricambio o accessori.
Le attività secondarie o di supporto ai processi primari
sono:
– gestione dell’infrastruttura aziendale: pianificazione e
controllo, contabilità, finanza, organizzazione, informatica,
servizi generali;
– gestione delle risorse umane: il reclutamento e la selezione del personale, l’addestramento e la formazione, la
mobilità, le politiche retributive, i programmi di carriera e
sviluppo e la negoziazione sindacale e contrattuale;
– sviluppo tecnologico: le attività di ricerca e sviluppo finalizzate al miglioramento dei prodotti/processi aziendali;
– acquisti, settore che si occupa della problematica degli
approvvigionamenti delle risorse fisiche impiegate nella
catena del valore.
Contratti intercompany
In apposita sezione della Policy dedicata alla dimostrazione del cd. business activity test, vengono analizzati i contratti intercompany, rappresentati per lo più da:
– contratti per la fornitura di servizi;
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– contratti per lo svolgimento di attività di consulenza e
assistenza;
– contratti di licenza;
– contratti di agenzia e/o di collaborazione commerciale,
ecc..
Al fine di evidenziare l’effettiva autonomia delle società
partecipate estere, i contratti intercompany dovrebbero:
– essere stipulati sulla base di un master contrattuale che
corrisponde allo standard utilizzato tra società indipendenti;
– avere ad oggetto la prestazione di servizi (dalla controllante alla controllata) ovvero lo svolgimento di attività dal
carattere meramente accessorio/ausiliario rispetto all’attività caratteristica di impresa della filiale estera;
– non produrre l’effetto di usurpare attività e funzioni proprie della controllata;
– non avere ad oggetto la prestazione di servizi o lo svolgimento di attività - da parte della controllante - indispensabili per lo svolgimento - da parte della controllata - dell’attività caratteristica d’impresa di quest’ultima;
– avere ad oggetto la prestazione di servizi o lo svolgimento di attività le quali denotino la sussistenza, presso la
controllata, di una struttura personale e materiale adeguata allo svolgimento dell’attività caratteristica di impresa;
– non evidenziare la sussistenza di un rapporto di dipendenza funzionale della controllata nei confronti della controllante;
– denotare che gli eventuali servizi prestati o le attività
svolte dalla controllante nei confronti della controllata sono espressione della funzione di direzione e coordinamento fisiologicamente esercitata dalla prima nei confronti
della seconda (ex art. 2497 ss. C.c.).
Contratti di business
In apposita sezione della Policy dedicata alla dimostrazione del cd. business activity test, vengono altresì analizzati
i contratti di business strategici, i quali dovrebbero:
– essere interamente ed autonomamente negoziati dalla
filiale estera con i soggetti del mercato nel quale essa
opera. È possibile che - nella fase di negoziazione - la filiale estera sottoponga alla casa madre quelle clausole
contrattuali il cui contenuto può essere ritenuto strategico per il Gruppo. Dal momento che è del tutto naturale
che le clausole dal contenuto strategico siano sottoposte
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all’approvazione della casa madre, ciò non inficia il carattere autonomo della negoziazione contrattuale condotta
dalla controllata estera;
– denotare capacità ed idoneità della controllata estera
di concludere validamente contratti vincolanti con i terzi,
per lo svolgimento dell’attività caratteristica di impresa.
Tale requisito è in realtà insito nel fatto stesso che la
controllata estera sia direttamente parte contrattuale
di un contratto di business strategico concluso con un
terzo;
– non evidenziare la sussistenza di un rapporto di dipendenza funzionale della controllata nei confronti della controllante. Tale dipendenza funzionale consegue al fatto
che attività strettamente connesse all’attività caratteristica
d’impresa (quale è l’attività di negoziazione e stipula di
contratti di business strategici) della controllata sono
svolte da personale della casa madre o sotto la responsabilità ovvero sulla base di direttive dettagliate specifiche
impartite da quest’ultima;
– essere negoziati, redatti, stipulati nella lingua locale,
nonché essere disciplinati dalla legislazione locale;
– essere negoziati e stipulati sulla base di un master/formulario predisposto e generalmente utilizzato dal terzo,
controparte contrattuale;
– essere conservati in originale presso la filiale estera,
con rilascio di copia alla capogruppo su richiesta di quest’ultima per specifiche esigenze amministrative (ad es.,
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revisione contabile, motivazioni tecniche e tecnologiche
particolari, ecc.).
Conclusioni
La sezione conclusiva della Policy di gestione delle partecipate estere riporta le argomentazioni derivanti dalle sezioni che precedono. In particolare, le società estere possono essere considerate fiscalmente residenti nello
Stato italiano ai sensi dell’art. 73, co. 3, del Tuir in considerazione delle seguenti ragioni:
– ciascuna delle società partecipate estere ha la «sede
dell’effettiva direzione» nel luogo in cui l’attività di amministrazione viene in concreto esercitata;
– la sede della direzione effettiva di ciascuna società
estera è situata nel paese in cui essa ha la sede legale e
dallo stesso promanano gli impulsi volitivi inerenti l’attività
della società, nonché i conseguenti atti gestionali;
– i componenti degli Organi Amministrativi e/o Esecutivi di
ciascuna società estera risiedono nel paese ove la società estera ha la sede legale.
Ne consegue che i redditi rivenienti da attività d’impresa
effettivamente svolta sul territorio di ciascuno Stato da
parte delle consociate del Gruppo sono fisicamente caratterizzati da strutture materiali (cd. active income), che li
ancorano ad un determinato territorio (attività commerciale effettiva), nel senso in cui correttamente la interpreta
l’Agenzia delle Entrate (cfr. circ. 28/E/2006).
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