XIII Giornata Ecumenica del dialogo Cristiano-Islamico

Transcript

XIII Giornata Ecumenica del dialogo Cristiano-Islamico
IDENTITÀ CRISTIANA E NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Educare-formare alla vita buona – bella – del Vangelo
Com’è possibile educare alla vita buona – bella – del Vangelo in un tempo di
crisi? Quanto della forza dell’annuncio cristiano viene meno nel nostro stile di
vita? Le Chiese locali hanno ancora qualcosa da dire al mondo e alla società? Si
può parlare di “pretesa” e d’“identità cristiana”?
Se è vero che nella vita non è importante rispondere a tutte le domande, bensì
porsi l’interrogativo giusto, allora le questioni sopra indicate sono giustificabili
per riflettere sulla natura missionaria delle Chiese e sul bisogno di recuperare la
categoria del racconto e dell’esperienza – la testimonianza o la credibilità della
fede – all’interno del progetto educativo della Chiesa non solo italiana. Benedetto
XVI, nel motu proprio La porta della fede (11-10-2011), ha affermato: «Capita
ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le
conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a
pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti,
questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato.
Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario,
largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa
ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo
di una profonda crisi di fede che ha toccato molte persone» (n. 2).
Essenzialmente, la nuova evangelizzazione è la riscoperta del senso vivo della
fede nelle comunità d’antica cristianità che hanno smarrito la forza del Vangelo e
l’efficacia del suo annuncio sia nei contenuti che nei metodi e nelle proposte
operative e pastorali. Annunciare la buona novella della risurrezione non
significa parlare di una dottrina da imparare a memoria o del contenuto di una
sapienza da meditare. Evangelizzare è, innanzitutto, testimoniare una
trasformazione all’interno stesso dell’essere umano: con la risurrezione di Cristo,
tutto è cambiato, anche il senso della nostra vita e il destino del mondo.
1. Una questione di fede e di libertà
La formazione, come, l’evangelizzazione, è questione di fede e di libertà.
Anche la crisi economica, politica, sociale e culturale dei nostri tempi è un
problema di fede e di libertà. Per agire è sempre necessario affidarsi a qualcuno
liberamente. Pedagogo è chi vive un’esperienza gratuita che pienamente gli
cambia l’esistenza e ha, dunque, qualcosa – un contenuto – da raccontare e da
trasmettere agli altri. In questo caso, il Vangelo di Gesù Cristo! Maestro è
soltanto chi fa della gratitudine e della libertà ricevuta l’offerta di sé. Cosa,
1
infatti, noi doniamo agli altri, ai giovani, al mondo, affinché essi possano
riconoscere Gesù Cristo quale Signore della vita? La gratitudine non è una
formula compromissoria del nulla o di un’idea o di un progetto, ma è il
compendio di un’esistenza donata. Pedagogo è chi genera – smuove l’esistenza –
alla gratitudine e alla fede. In tal senso, il cristianesimo è l’esperienza della
gratitudine – il Vangelo donato – e l’imitazione della natura divina (Gesù Cristo).
La crisi è un’opportunità per rinnovare la nostra fiducia in Dio e riscoprire il
senso genuino della fede. Jhwh rivela al profeta Geremia: “Io sono con te” (cf.
Ger 1,8), cioè “Io sono dalla tua parte, sempre vicino a te, sono presente alla tua
vita”. Solamente Dio è colui che ci può rendere stabili. Liberandoci da eccessive
e, a volte, inutili e catastrofiche analisi sociologiche ed economiche, occorre
ripartire dall’esperienza della fede, dal Vangelo come vissuto o forma di vita che
ci rinnova e apre i cuori a una gioia più grande. È stata questa l’esperienza degli
apostoli che, dopo aver incontrato il Risorto, l’hanno annunciato con la vita.
Nell’identità cristiana vige un principio che ci rende fedeli al Vangelo e che al
meglio esprime la natura del cristianesimo: “Siamo nascosti con Cristo in Dio”
(cf. Gal 2-3; Col 3,3). Il peccato consiste in una resistenza passiva innanzi alla
novità di vita suscitata dal Vangelo di Gesù Cristo e indicata dai segni dei tempi.
Nell’annuncio del Vangelo occorre rimanere fedeli alla logica della croce,
liberandoci da ogni sorta di trionfalismo. Spesso parliamo di sklerokardia e
anche di poròsis: sono l’indurimento del cuore e l’indifferenza davanti ai segni
della storia e alla profezia del Signore.
2. La metafora del vetro e del giardino
Ci sono due immagini che aiutano a comprendere come possiamo camminare
in questo mondo che è cambiato: quella del vetro e del giardino. Secondo la
metafora del vetro, dobbiamo essere trasparenti come la realtà che si può vedere
integralmente anche dietro a un vetro che riflette la luce e, quindi, rivela.
Attraverso la metafora del giardino, invece, possiamo comprendere che Cristo è
il nostro giardino o Eden. Il Padre ha collocato l’uomo (Adamo) in Cristo, da
sempre. È questa la lettura di molti padri della chiesa e di autori cristiani antichi:
l’uomo è da sempre collocato in Cristo e non allontanato dal paradiso.
Evangelizzare o educare significa, quindi, continuare l’opera della creazione in
Cristo. Adamo non è cacciato dal giardino, bensì immesso nella storia della
salvezza. Egli è un inviato, un piantato-collocato nel giardino del mondo. La
Chiesa cattolica, dunque, deve prendersi cura di Adamo, cioè orbitare attorno
all’uomo, alle nuove esigenze antropologiche. Evangelizzare e formare vuol dire
imparare a viaggiare intorno all’uomo e conoscere le frontiere antropologiche
dell’umanità. Occorre coltivare il gusto di viaggiare intorno alle persone.
2
La mancanza di fede nelle comunità cristiane è il vero problema dell’annuncio
e della crisi profonda del cristianesimo oggi. La trasmissione della fede è
diventata difficile e complessa per una mancanza di fede. Corriamo il rischio di
diventare un corpo che non parla più di Gesù Cristo ma solo di se stesso. Sono da
prendere in considerazione alcuni mali del nostro agire da cristiani:
l’individualismo, il trionfalismo, il culturalismo e il fideismo. Cristo è stato
maestro e pedagogo perché ha agito con autorità, sapienza e passione. Egli è il
predicatore del Padre, l’esegesi-passione del Dio nascosto, e si è posto sempre
nella prospettiva della croce e dello svuotamento o kenosis. C’è un cammino di
conversione da mettere in atto e da prendere sul serio se vogliamo essere efficaci
nell’annuncio del Vangelo. Perché l’unica cosa che noi possiamo testimoniare è
la nostra esperienza di Gesù Cristo. Il coraggio dell’evangelizzazione e la forza
educatrice nascono dall’esperienza concreta di Gesù Cristo nella vita del
credente. Non è questo più il tempo in cui possiamo pretendere che gli altri
riconoscano la verità del Vangelo. Nel tempo della post-modernità, ove il Tutto
ha ceduto il posto al frammento e al pluralismo delle verità e dei valori, siamo in
grado solamente di testimoniare la verità, cioè di rendere credibile la proposta di
vita di Gesù Cristo con la nostra vita e come scelta dell’esistenza (è la logica del
“se vuoi”).
3. “Essere anti-segno”
La crisi che oggi vive il cristianesimo fu già annunciata da Karl Rahner nel
momento in cui egli individuò una forma nuova di negazione di Dio: l’“ateismo
preoccupato”. Ci vergogniamo di annunciare il Vangelo, di predicare la Parola
della fede in ogni occasione, opportuna e inopportuna, favorevole e non (cf. 2Tm
1-2). La marginalità della fede e la condizione di limite – in cui sono posti
l’annuncio del Vangelo e la proposta educativa cristiana oggi –, obbligano a
riflettere sul tema sempre attuale della testimonianza e della credibilità. Incarnare
i valori del Vangelo nella propria vita significa andare contro corrente e fare
scelte impopolari e poco “seducenti” per la società, allontanandosi quasi
completamente dalla mentalità di questo secolo. Così, l’identità cristiana si
esprime nell’“essere anti-segno”, nell’attraversare tutte le culture senza
assumerne in misura totalizzante alcuna, come anche nel non averne una in
particolare ma tutte. L’annuncio del Vangelo e la formazione ai valori cristiani
restano una grande sfida e si possono affermare solamente come opportunità e
non necessità, cioè sempre secondo la logica evangelica del “se vuoi” (cf. Mc
8,27-35).
La crisi che viviamo è determinata anche dalla nostra incapacità di saper
leggere i segni dei tempi. Non siamo in grado di leggere la nostra storia. La
missione è creatività, genialità, novità. La missione è prassi e non un’idea. Il vero
3
contenuto dell’evangelizzazione è il Vangelo vivo di Gesù Cristo. La missione è
poiesis (creatività). L’evangelizzazione non ha metodi fissi perché ci sono
cambiamenti sempre in atto nella storia. Occorre, nel campo
dell’evangelizzazione, coniugare sempre due termini: Parola (Verbum Domini) e
Historia (come luogo teologico). La crisi dell’evangelizzazione dipende anche
dal mancato processo d’inculturazione delle Chiese. Non possiamo non
considerare due sfide fondamentali: la tecnocrazia e la trasformazione del ruolo
delle religioni. La tecnocrazia ha svilito l’uomo e ridotto il significato dei valori
religiosi a mito. L’unica verità è la scienza, anzi, quella prodotta dalla
comunicazione. Il vero messia è rappresentato dai mezzi di comunicazione
sociale. Sono i mezzi di comunicazione a creare la verità, a fare cultura. Le
religioni oggi svolgono un ruolo importante: si assiste a un loro revival. Il
buddhismo, ad esempio, in Europa è più efficace dello stesso islam. C’è una
nuova e diffusa pratica dei metodi di preghiera orientali che non si deve più
sottovalutare. C’è una rinascita delle religioni orientali in Occidente che non
abbiamo ancora studiato in profondità. L’uomo è alla ricerca di pienezza di senso
perché si sente svuotato dalla tecnica e dalla stessa ragione e dal potere della
scienza. I nostri linguaggi sono diventati metastorici e non hanno più nulla da
comunicare oggi. È sufficiente costatare l’inefficacia delle nostre omelie nelle
celebrazioni liturgiche domenicali.
Dobbiamo evidenziare il carattere integrale dell’evangelizzazione: Cristo
libera tutto l’uomo. Il cristianesimo è una religione calata nella storia e considera
l’agire concreto o prassi che produce creatività anche nella missione. La vera
risorsa che abbiamo è la potenza del Vangelo. L’evangelizzazione deve operare
anche una lettura critica della storia e del nostro essere comunità di credenti.
4. La chiesa, un corpo inquieto
Per educare alla vita bella del Vangelo occorre, anzitutto, recuperare quel
senso di preoccupazione o d’inquietudine che è la sollecitudine propria delle
Chiese provocata dal Vangelo stesso. Dobbiamo recuperare il respiro del
Vangelo e aprirci al mondo. “Evangelizzare è amore che va fuori”: la chiesa non
esiste per se stessa; essa è il corpo inquieto di Cristo che si lascia mettere in crisi
e purificare dalla croce del Signore risorto. La chiesa è il corpo inquieto di Cristo
che sperimenta sulla propria pelle le attese e le sfide del mondo.
L’immagine vera della missione e della pedagogia cristiana è il Crocifisso che
seduce solamente attraverso il potere dell’amore che si dona e che svincola da
ogni legge. È utile sviluppare anche un senso di gratitudine per il dono della fede
e per l’incontro con il Vangelo di Gesù Cristo. In tal senso, la missione è liturgia,
sacrificio, ma anche debolezza: siamo stati salvati dalla debolezza di Dio che è la
creatività dell’evangelizzazione. Dunque, è indispensabile formarsi alle virtù
4
forti: coraggio, fedeltà, lealtà, trasparenza. Una chiesa che non trova nella Parola
della croce la sua forza non ha nulla da comunicare al mondo. Una chiesa che
ripete al suo interno le logiche del mondo – della corruzione, della competitività,
del trionfalismo, del carrierismo – non ha niente da dire agli uomini e alle donne
del nostro tempo.
C’è da recuperare la prospettiva missionaria ed escatologica della chiesa che
vive relativamente all’annuncio del regno dei cieli e alla manifestazione gloriosa
del Signore risorto. Si tratta di essere chiesa, di vivere, di possedere, “come se
non vivessimo, come se non possedessimo” (cf. 1Cor 7,29-31). La chiesa esiste
solo “nel frattempo”, “fino” alla manifestazione del Signore Gesù Cristo, il
Crocifisso-Risorto. È lo iato esitente tra la parusìa e la nostra storia di uomini a
giustificare la forma della chiesa nel mondo oggi. Non si tratta di finzionefunzione rappresentativa ma di prendere sul serio la categoria della provvisorietà.
La chiesa è al servizio del Regno che viene.
Nessuna espressione dell’esistenza riempie la totalità della vita, perché è solo
un tratto, un momento della vita. L’orizzonte dell’esistenza è più ampio: “vivere
come non”. L’identità cristiana consiste nel non averne alcuna specifica. Si tratta
di un atteggiamento che ci permette di non assolutizzare la nostra particolare
identità. Identità è non averne una ma tutte potenzialmente. Ognuno di noi è il
riflesso della libertà creativa di Dio. Le culture sono l’espressione della libertà
creativa dei popoli. La libertà è il fondo nascosto delle cose e anche del nostro
essere corpo di Cristo.
5. La libertà creativa e amante di Dio
Il messaggio cristiano è l’espressione concreta della libertà amante di Dio.
Non dobbiamo appesantire il discorso sulla libertà attraverso un orizzonte di
senso normativo o giuridico. Il mondo è l’espressione della libertà creativa di
Dio. Nella visione filosofica aristotelica, il mondo è così per sempre: avviene per
il passaggio dall’“Essere all’essere (o all’ente)”. Per noi cristiani, ci ricorda san
Bonaventura, invece, il mondo si forma dal “non essere all’Essere” (ex nihilo). Il
cosmo pagano è il luogo della stabilità e della permanenza o fissità (nulla cambia
e tutto è immutabile). Da qui il senso della legge naturale o anche il senso
kantiano del “tu devi” (“fai il bene ed evita il male”). Nella visione cristiana,
invece, le “leggi della natura” sono norme donate “alla natura” e non
semplicemente “della natura” o insite “nella natura”.
Sarebbe troppo poco il nostro agire morale per il bene. Ciò significa che Dio è,
in un certo senso, “mutevole” (cf. Fil 2,5-11: “non considerò un tesoro geloso la
sua uguaglianza con Dio…”). Fino a due secoli fa, la natura dominava attraverso
l’energia delle braccia, dei venti, del carbone… Poi è sopraggiunta la rivoluzione
5
industriale che ha smosso la natura. Ha fatto seguito la rivoluzione biologica (da
qui il post-umanesimo), fino a oggi, con il sopravvento delle scienze o del sapere
tecnico che controlla la natura. Il cristiano ha una propria sensibilità per stare
nella storia ed è contro ogni sorta d’immobilismo e di conservatismo, ma altresì
d’efficentismo. Il cristiano è uno che vive il suo tempo, inserito nella storia e
attingendo dalla sorgente della libertà amante e donante di Dio-Trinità.
Il Vangelo è la nostra risorsa, una creatività inesauribile. In tal senso, la
comunità dei credenti è spazio-luogo di condivisione, è cum-munera, cioè
partecipazione dei doni ove il senso della libertà, della trasparenza e della
gratuità si afferma pienamente. La forza immunizzante e coesiva della chiesa è
Gesù Cristo. Egli è l’umanissimo Dio. La comunità dei credenti allude, così, al
“non essere”: si sta assieme perché ci manca qualcosa, perché attendiamo la
manifestazione del Signore risorto (la parusìa). Non siamo i diffusori o gli
amministratori della ricchezza divina o dei ministeri ricevuti come dono. C’è da
recuperare, per meglio comprendere l’inquietudine della chiesa, il senso del
vuoto e della mancanza.
Nella chiesa dobbiamo sviluppare la coscienza della provvisorietà e del limite:
“Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa
della tua venuta”. C’è crisi nelle comunità cristiane perché manca la coscienza
del senso del limite e viene meno l’indole escatologica della chiesa (cf. LG 48).
D’altronde, la provvisorietà è nel nostro statuto di battezzati e di creature viventi.
6. Entrare in tutte le culture
Compito del cristiano è entrare in tutte le culture per ammorbidirle senza
assumerne nessuna in misura totale. Il cristianesimo è tendenzialmente
ecumenico e liberante e non può ammettere alcuna ideologia o totalitarismo. Non
sempre siamo consapevoli delle nostre immense energie. Dobbiamo, perciò,
riscoprire il senso del limite come risorsa e non come chiusura. È il recupero
della nostra capacità creativa e volitiva.
La globalizzazione è il tentativo di riunire i frammenti del mondo almeno dal
punto di vista economico, sociale e culturale. Con l’incarnazione del Verbo, Dio
recupera, invece, il contributo di ciascuno. Non dobbiamo andare dietro a una
cultura ma assumerle tutte e trascenderle, nella consapevolezza che non esiste
una supercultura. Perché il cristianesimo non s’identifica in nessuna cultura o
forma storica. Il discepolo di Gesù Cristo è il testimone della pluralità e del
contributo che ognuno può dare nella diversità. Il cristiano sa che la pluralità è
espressione dell’unità di cui ogni cultura è portatrice. È come lo specchio
dell’acqua che separa e unisce allo stesso tempo le diverse isole sparse nel mare.
Occorre recuperare il sano realismo dell’incarnazione che apre all’accoglienza
6
delle diversità senza troppi conflitti. Si tratta di cogliere le esigenze di tutti.
Questa è la proposta giovanile e convincente della fede e dello stesso Vangelo.
7. Riconoscere dai frutti
La pedagogia della libertà cristiana propone una “morale autonoma” che
permette di giudicare-riconoscere dai frutti. È la pedagogia della libertà e della
creatività che stenta a prendere forma nelle Chiese. Il cristiano arriva a Dio non
per ciò che non c’è ma per ciò che c’è e vuole. Il cristiano esalta la vita come
dono e sa bene che non gli appartiene una concezione lacrimosa del Vangelo
bensì la percezione positiva e bella della realtà. La missione, dunque, è il nostro
impegno nel tempo affinché Adamo – tutto l’uomo e ogni essere vivente – sia
collocato definitivamente, per quello che è possibile, cioè liberamente, in Cristo,
Figlio di Dio e nuovo Adamo.
Il cristianesimo ha dato una nuova qualità all’esistenza umana, riscoprendone
il carattere gratuito, liberante, creativo e amante.
[Edoardo Scognamiglio]
7