Francesca Catalano LA COMPAGNIA DI SAN TROVASO Circa

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Francesca Catalano LA COMPAGNIA DI SAN TROVASO Circa
Francesca Catalano
LA COMPAGNIA DI SAN TROVASO
Circa quarant’anni fa Michela era una ragazza che frequentava la quarta ginnasio al Liceo Marco Polo di
Venezia. Un metro e cinquantacinque, piccola ma graziosa, stava attraversando il periodo della sua
giovinezza. I capelli a caschetto neri corvini dal taglio mascolino le incorniciavano il viso e il suo
sguardo dagli occhi verdi splendeva di quella luce che solo la spensieratezza dell’età poteva regalare.
Michela amava la vita e le piaceva divertirtisi in compagnia di cari amici, piccole cose come passeggiare
lungo le calli della città tra una risata ed una canzone ascoltata alla radio. San Bartolomeo, come ancora
oggi, era punto di incontro per i ragazzi dell’epoca.
Arrivata alle scuole superiori non mancò di fare amicizia con i suoi coetanei e così non tardò ad arrivare
il giorno in cui iniziò a frequentare una compagnia di ragazzi e ragazze con cui condividere le giornate.
L’amica che la presentò al gruppo si chiamava Cecilia, a quei tempi impegnata con uno dei ragazzi tra i
più conosciuti nella compagnia da poco formatasi, che in breve si sarebbe notevolmente ampliata.
Questa compagnia della quale Michela iniziò a fare parte è conosciuta tra i ragazzi che la animarono
come “La compagnia di San Trovaso”. Quasi tutti i giorni infatti questi studenti, inizialmente solamente
quelli che facevano parte del gruppo di teatro della parrocchia, si davano appuntamento nel patronato
di San Trovaso. Poi man mano che la compagnia si allargava, e cominciavano ad inserirsi persone
esterne alla cerchia, anche i momenti di intrattenimento aumentarono. I ragazzi così passavano i
pomeriggi tra partite a tennis, ping pong e calcio balilla. Un mare di chiacchiere condite dai pettegolezzi
delle ragazze e le considerazioni dei ragazzi sullo sport e le barche che vedevano passare nel rio vicino,
sognando un giorno di possederne una. Michela si inserì facilmente in questo gruppo di amici e ancora
non sapeva le avrebbero lasciato ricordi indelebili e, senza nemmeno accorgersene, dalla piccola ragazza
che era si stava trasformando in quella che poi sarebbe diventata una magnifica donna. Il patronato e il
campo adiacente alla chiesa oramai erano diventati il loro territorio, il loro punto di ritrovo, si scherzava
e si rideva, si parlava dei professori che facevano studiare come dei pazzi ed infatti quando si
avvicinavano interrogazioni e compiti in classe la gente delle case vicine o i commercianti della zona lo
notavano perché il chiacchiericcio, soprattutto nei mesi più caldi durante i quali si tende a stare all’aria
aperta, era più lieve. Poi si andava a passeggiare per la città, una delle mete più ambite erano le Zattere
dove tutti si recavano a mangiare il gelato da Nico, meglio ancora se era il gianduiotto, la sua specialità.
All’interno di questa compagnia si creavano poi amicizie più strette che si iunivano nelle belle giornate a
San Bortolomeo per fare lunghe passeggiate fino a Piazza San Marco o ai Giardini di Sant’Elena.
Quando arrivava l’inverno e le giornate cominciavano a farsi più corte e molto spesso non mancava
qualche pioggia insistente, il ritrovo nel patronato diveniva una routine, monotono solo per chi lo
vedeva da fuori e non poteva neanche immaginare quanto divertimento fosse racchiuso in quelle
quattro mura. Michela si divertiva, conosceva persone nuove, buona gente, proveniente da famiglie
semplici, senza grilli per la testa con cui poteva essere se stessa. Era anche molto corteggiata, all’inizio
non se ne accorse ma col senno del poi non poté fare a meno di ammetterlo, sarà per la sua solarità, il
carattere docile, di quelli che non avrebbe mai fatto del male neanche ad una mosca e per la sua voglia
di andare sempre d’accordo con tutti. Ma c’era una cosa che Michela amava fare nella compagnia di San
Trovaso, una cosa che la divertiva e che le lasciò ricordi meravigliosi, a Michela piaceva ballare, sì
perché nel gruppo da un po’ di tempo si era presa l’usanza, grazie ad alcune conoscenze, di andare la
domenica pomeriggio in qualche palazzo veneziano, dove le stanze erano decisamente più grandi, e di
mettere su la musica ed inventare i balli più strani ed inimmaginabili. Avevano iniziato ad organizzare
anche delle vere e proprie gare di ballo, e lì non vi dico le piroette ed i salti che facevano. In una sala
avevano montato anche delle luci psichedeliche! Ma credetemi se vi dico che era completamente
diverso da come sono ora le discoteche. Fantastiche erano le prese in aria che i concorrenti si
inventavano per rimanere in gara il più possibile, tutte acrobazie che non pochi anni dopo sarebbero
comparse nel film “La Febbre del sabato sera” con il grande John Travolta. E la musica, la musica era a
dir poco stupenda. Le canzoni che Michela ballava furono quelle che segnarono un’epoca. I Beatles, i
Bee Gees, gli Inti-Illimani e le canzoni italiane di Baglioni, Venditti e De Andrè. E poi c’erano i lenti
come la colonna sonora de “Il Tempo delle mele”, dove se ti capitava un ragazzo che proprio non ti
piaceva dovevi tenertelo fino alla fine del ballo!
In quella compagnia nacquero le prime storie d’amore, i primi screzi sentimentali e le prime gelosie.
Michela ogni sera, come da abitudine all’epoca, veniva accompagnata a casa da un ragazzo, quando
capitava fosse uno… parchè la maggior parte delle volte erano anche in cinque o sei, naturalmente era
solo per assicurarsi che arrivasse a casa sana e salva, non perché erano affascinati da lei!
Ma nel cuore della dolce fanciulla dagli occhi verdi tra i ragazzi della compagnia solo due fecero breccia
nel suo cuore. Il primo di cui si invaghì durò quel poco che basta per ritenersi una cottarella
adolescenziale, ma il secondo amore rivolto ad un ragazzo poco più grande di lei, beh quell’amore fu
proprio difficile da dimenticare; ogni volta raccontava che questo famoso lui era uno dei ragazzi più
affascinanti agli occhi di tutte le ragazze della compagnia. Gentile, serio e di buona famiglia, era
diventato molto amico di Michela tant’è che poi l’amicizia durò per anni fino a che la vita li portò a
prendere strade diverse, percorsi che conducono lontano dagli amici dell’adolescenza. Michela così nella
compagnia conobbe anche il suo primo e vero innamoramento, assaporò l’ebrezza del corteggiamento
fatto di parole non dette e lasciate a metà, allegra e con gli occhi luccicanti ballava, ballava e ballava e
proprio con questo lui vinse anche varie gare. Ricordava sempre di come la prendesse con forza e la
alzasse in aria, liberandola nel vuoto come una farfalla leggera, per poi riprenderla all’ultimo istante.
Venezia a quei tempi era così, una città fatta di piccoli piaceri, semplici e genuini in cui i ragazzi si
divertivano con niente, dove la fantasia galoppava più veloce della luce, perché solo così si poteva
trovare un modo per divertirsi. Ogni tanto alla sera si usciva a mangiare la pizza, il posto prediletto era
la Taverna San Trovaso, quella ai piedi del ponte delle Meraviglie, una cena che doveva cominciare
presto perché a quei tempi, anche se non sembrano così lontani, bisognava essere a casa entro un certo
orario.
Poi capitava qualche cinemino e allora era abitudine andare al San Marco o all’Accademia.
Nel patronato si organizzava qualche festina e si assisteva alle recite teatrali organizzate da alcuni
componenti del gruppo.
Il ritrovo avveniva tutti i giorni alle 18.30, dopo che si erano finiti i compiti, specialmente per quelli del
liceo classico Marco Polo che per casa dovevano tradurre le versioni di greco e latino date dalla
professoressa Carraro.
E poi mille altri modi di divertimento: le trasferte fuori città per i tornei di tennis a Refrontolo in
provincia di Treviso, dove tutta la comitiva, con al seguito i genitori, organizzava un pullman i cui
tragitti erano animati dal suono delle chitarre e dei canti.
Era abitudine organizzarsi per le ricorrenze festive come Redentore, una delle feste più aspettate della
stagione estiva perché tutti erano ancora a Venezia prima di partire ad agosto per le mete montanare.
Con attesa arrivava il giorno in cui si attraversava il ponte votivo e la notte si festeggiava tra le luci dei
palloni colorati posizionati nelle rive e la magia dei fuochi iridescenti che si riflettevano sulla superficie
lagunare. Attimi di allegria irrinunciabili in cui si respirava il vero spirito veneziano. E poi d’inverno le
feste di carnevale e tutti vestiti in maschera in piazza San Marco dove ti capitava di incappare in qualche
“burlone” che ti lanciava uova e farina. E allora via, meravigliose le corse tra le calli veneziane!
Ma queste qui raccontate sono solo poche delle piccole verità che Venezia possedeva quaranta anni fa.
La compagnia di San Trovaso non è l’unica grande compagnia formatasi in città, ce ne furono molte
altre, come quella creatasi a San Pantalon all’arrivo di Don Ferruccio, il quale seppe raggruppare vari
giovani del circondario ed instaurare anche lì un bel cerchio di conoscenze che lasciarono il segno.
Venezia in quegli anni era vissuta nella sua più profonda interezza, con semplicità si assaporava la
quotidianità di una città a misura d’uomo, ricca di piccole grandi cose.
Michela, Piero, Fabio, Anna, Mauro, Cecilia, Franco e tutti gli altri ragazzi di cui non ricordo il nome,
sono portatori di un pezzo di Venezia ai giorni d’oggi sconosciuto ma bello da rievocare e descrivere.
E se oggi sono qui a raccontare questo piccolo puzzle veneziano, come se cercassi di ricomporre una
fotografia andata in mille pezzi di cui ho ritrovato un ritaglio andato perduto, con la speranza cha anche
altri possano fare altrettanto al fine di ridare all’immagine il suo volto originario, è solo grazie alla
testimonianza di quella dolce ragazza dagli occhi verdi che ha saputo regalarmi grandi emozioni, quella
ragazza di quarant’anni fa che era mia madre.
Francesca Catalano