2013, Ottobre - Anno IV - Numero 4

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2013, Ottobre - Anno IV - Numero 4
NEWS
periodico per i dipendenti Lucchini RS
anno IV n°4 ottobre 2013
IL SALUTO DI LUCCHINI RS AL
CAVALIERE DEL LAVORO LUIGI LUCCHINI
Si è spento il 26 agosto scorso, all'età di 94 anni, il Cav. Luigi Lucchini, Presidente Onorario di Lucchini RS. Scompare con lui una delle figure più
importanti dell'imprenditoria nazionale del XX secolo.
Per ricordare il profilo di questo imprenditore, è stato realizzato un numero del nostro giornale a lui interamente dedicato, in cui ci piace riportare
quello che la stampa nazionale e locale ha scritto nei giorni successivi alla sua scomparsa. Emblematica anche l'introduzione ed alcuni brani
tratti dal volume “Falco e Colomba” di Roberto Chiarini, nel quale si narra la vita di Luigi Lucchini con un taglio di intervista, composta da più
racconti che si intrecciano tra loro e tracciano la figura umana e imprenditoriale di questo grande uomo.
Si racconta dell'infanzia trascorsa in una famiglia umile, il padre fabbro Giuseppe e la madre Rosina Freddi che per aiutare la famiglia gestiva
un'osteria nel piccolo paese di Malpaga di Casto in Valsabbia. Il piccolo Luigi va a scuola calzando zoccoli di legno, studia dai salesiani a Verona
e si diploma maestro a Brescia, ma insegnamento e studi umanistici non fanno per lui. È il momento della ricostruzione del dopo guerra e Luigi
Lucchini assume la guida dell'officina paterna e in un'Italia piena di residuati bellici e affamata di tondino cavalca le premesse e gli splendori del
boom economico. Da li in poi la scalata verso i vertici di AIB, Confindustria, Comit e Montedison.
Non sono queste poche righe che possono rendere a pieno quello che il Cav. Luigi Lucchini ha rappresentato nel panorama industriale degli
ultimi sessant'anni, ma lasciamo che ogni lettore possa cogliere, attraverso gli articoli di seguito riportati, la correttezza, la lungimiranza e
l'umanità di questo straordinario imprenditore e uomo.
LUCCHINI RS NEWS – Periodico di informazione, cultura e vita aziendale
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Chiuso in redazione il 15 ottobre 2013
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LA STAMPA del 27.08.2013
Addio a Lucchini, il re dell'acciaio
Creò dal nulla un impero della siderurgia
DA “FALCO E COLOMBA”
di Roberto Chiarini
“Questa non è la storia di un'impresa. Non è la storia di un imprenditore. Non è nemmeno una
biografia. È semplicemente la ricostruzione della vicenda umana e professionale di una figura
d'eccellenza dell'Italia economica di questo dopoguerra impostata seguendo lo spartito scritto
dallo stesso protagonista. Una ricostruzione condotta sulla traccia della memoria, di volta in
volta sollecitata dall'intervistatore. Ne emerge una narrazione condizionata necessariamente
dalle amnesie, dalle dimenticanze , dagli oblii e, ancora, dai comprensibili freni nonché dalle
rielaborazioni e riformulazioni di un passato che riemerge in un'ottica sempre rinnovata. […] Nel
condurre il presente lavoro, due sono stai gli intenti che ci hanno mosso, Da un lato, ci siamo
proposti di metter a fuoco anzitutto i caratteri - per così dire – originari che l'ambiente ha
impresso nel personaggio posto al centro del racconto: a partire dalla condizione sociale e dalla
famiglia di provenienza, dall'educazione scolastica ricevuta, dalle prime esperienze di vita
affrontate in privato e nel lavoro, per passare poi alla formazione culturale e al sistema di valori
acquisiti, al tipo di sfide affrontate. Proseguendo, abbiamo cercato di cogliere soprattutto il
vissuto, ossia come sono state interiorizzate le esperienze da parte di un esponente altamente
rappresentativo di quella generazione di imprenditori, nata e cresciuta in una società ormai
persa nei nostri ricordi, Una società ancora sostanzialmente agricola con solo poche isole
manifatturiere, per di più quasi esclusivamente artigianali, ma che in quel torni di anni ha saputo
consumare la trasformazione più rivoluzionaria della sua storia dando corpo all'aspirazione
collettiva al riscatto da una povertà atavica, alla conquista finalmente di un benessere prima
precluso, nonché al legittimo desiderio dei singoli di conseguire una gratificante realizzazione
personale. […] La vicenda umana e imprenditoriale di Luigi Lucchini non è per niente unica nel
panorama italiano del nostro dopoguerra. È piuttosto emblematica di un'intera generazione. Di
quella generazione lanciatasi a testa bassa, ma non alla cieca, all'indomani della catastrofe di
una guerra persa e nel bel mezzo di un paesaggio di macerie, nella corsa al proprio riscatto e, al
contempo, alla modernizzazione del proprio paese.”
“Compiuti i sei anni ho cominciato le elementari. Ogni giorno, al ritorno da scuola, aiutavo mia
madre in osteria. Servivo ai tavoli qualche quartino di vino o una birra. Alla scuola elementare di
Casto, distante circa mezzo chilometro dalla frazione di Malpaga, andavo ovviamente a piedi,
zoccoli di legno per scarpe e libri sciolti in mano. Questa era tutta la mia dotazione di alunno
estate e inverno.”
“La casa era scaldata col fuoco dell'unico camino attivo in cucina. Nel letto mettevamo la
cosiddetta <monaca> uno scaldaletto in legno alimentato dalla brace del camino con cui si
cercava di attutire il freddo pungente delle lenzuola. Ogni mattina mia madre ci portava in
camera un secchio d'acqua che veniva versata in un catino. Questa era la nostra toilette
giornaliera. Più di una volta, d'inverno, dovevamo rompere il ghiaccio che si formava alla
superficie per potersi sciacquare il viso.”
“Il salotto di casa era la stalla. Era l'unico ambiente un po' caldo. Qui, nella stagione fredda, la
sera ci si riuniva. Le donne, per non stare al buio, con una colletta si compravano la lampadina,
che poi si ripagavano sferruzzando la lana.”
Sino a pochi mesi fa ogni mattina, intorno alle 9, si faceva accompagnare nel suo ufficio al
quinto piano del grattacielo di via Oberdan a Brescia, meno di cento metri dalla bella ma non
lussuosa villa dove abitava. Ed è lì che ieri si è spento a 94 anni Luigi Lucchini, già presidente
della Confindustria, dal `75 Cavaliere del Lavoro e decano degli industriali siderurgici italiani.
L'ultima apparizione pubblica, accompagnato dai figli Giuseppe, Silvana e Gabriella, è stata tre
anni fa a Casto (Brescia), dove era nato il 21 gennaio 1919, per la presentazione della sua
biografia. Aveva garbatamente rifiutato di presenziare ai più blasonati incontri a Milano e
Brescia, ma per la sua gente aveva fatto un'eccezione. In fondo, era fatto così: un uomo
semplice, per nulla incline alla mondanità e ai salotti, anche se nella sua lunga vita ha
frequentato per affari tutti i big del Paese: da Enrico Cuccia («Un grande uomo, un maestro») a
Bettino Craxi («Mi ha colpito per intelligenza e brillantezza »), sino a Giulio Andreotti di soli 7
giorni più vecchio («Per lui una grande simpatia»). No, Lucchini preferiva trascorrere quanto più
tempo possibile con l'amata moglie Emilia, scomparsa una ventina di anni fa, o con l'amico
d'infanzia, un farmacista bresciano vicino di casa che sfidava in interminabili partite a carte.
Ecco, per la moglie Emilia si concedeva gli unici strappi a una vita all'insegna della sobrietà.
Quando la domenica, «costretto» al riposo dopo sei giorni dedicati al lavoro, convocava l'amico
Bulgari per acquistare collier e bracciali preziosi da regalare alla consorte. Laureato in lingue
all'Università Cattolica di Milano, con studi di perfezionamento in filologia romanza ad
Heidelberg, dopo una breve parentesi nell'insegnamento, il giovane Lucchini si era buttato nella
siderurgia sviluppando nell'immediato dopoguerra l'attività artigianale del padre, dove al maglio
si forgiavano badili e forconi per l'agricoltura. Finirà per creare uno dei più grandi gruppi italiani
dell'acciaio. Capì la fortuna che poteva scaturire dalle rotaie in disuso per i bombardamenti e dai
rottami di ferro lasciati dagli Alleati, se invece di attrezzi per l'agricoltura si faceva il tondino,
l'anima di ferro da mettere nel cemento armato, richiestissimo da un'edilizia che stava
conoscendo un boom vorticoso in tutto il Paese. I Lucchini fecero soldi a palate. Nella
discrezione più assoluta. Ancora negli Anni 70 di Lucchini si conosceva poco o niente. Molto più
informata l'Anonima sequestri che nel `74 rapirà il figlio ventiduenne Giuseppe. Ormai il «re del
tondino» era diventato suo malgrado un personaggio. Arrivarono gli impianti di Lovere, le
ferriere di Piombino e le acciaierie di Servola, le fabbriche in Francia e Polonia. Lucchini aveva
fama di duro, a Brescia si vantava di «investire in scioperi», poi, però, chiamato a fare per
quattro anni (dall'84 all'88) il presidente di Confindustria instaurò ottimi rapporti con i segretari di
Cgil, Cisl e Uil, Luciano Lama, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto. Sotto la sua presidenza si
giunse al referendum sulla scala mobile.
Cuccia lo volle al vertice della Montedison e della Comit e nei consigli di Mediobanca, Generali,
Gemina ed Eridania Beghin Say. E' stato inoltre presidente del sindacato di blocco prima di Hdp
e quindi di Rcs MediaGroup. Con il nuovo millennio, però, arrivò pure la crisi, durissima,
dell'acciaio. Prima ci fu la cessione di alcuni stabilimenti ai francesi di Usinor, poi, nel 2005, il
passaggio dell'intero gruppo Lucchini alla Severstal. Alla famiglia bresciana rimane oggi,
ricomprata nel 2007, la Sidermeccanica, ribattezzata Lucchini RS: fa acciaio hi-tech destinato
alle ferrovie. Il timone è nelle mani del figlio Giuseppe e del nipote Augusto Mensi (figlio di
Silvana). Ma sino all'ultimo, l'anziano e indomito Cavaliere dell'acciaio, il re del tondino, non ha
mancato di dispensare i suoi consigli. «Era un uomo - dice chi l'ha conosciuto - che sapeva
guardare al futuro».
Teodoro Chiarelli
GIORNALE DI BRESCIA 28.08.2013
L'eredità di un uomo “attento ai giovani”
L'ex rettore Preti ricorda la laurea honoris causa al cavaliere e l'impegno per il collegio
universitario
Il Cavalier Luigi Lucchini e il mondo economico e imprenditoriale bresciano e italiano; Lucchini
e la grande finanza, le banche, la politica.
Ma c'è anche un altro aspetto che lega fortemente la nostra città alla figura dell'ex presidente di
Confindustria, di Montedison e Comit, scomparso lunedì nella sia casa di Brescia a 94 anni.
“Il Cavaliere” è stato sempre molto attento ai giovani e alla loro formazione, in particolare al
mondo universitario. A ricordare questa vocazione è l'ex rettore della Statale Augusto Preti,
amico personale di Lucchini e al suo fianco nella realizzazione del Collegio universitario di
merito. LA struttura sarà inaugurata l'11 novembre e sarà intitolata proprio all'imprenditore
bresciano.
“Tutti a Brescia potevano contare su di lui – racconta il professor Preti – università compresa. È
una persona cui ero molto affezionato, l'ho sempre stimato e più lo conoscevo, più lo stimavo.
Ci siamo voluti bene”.
Questo “affetto” tra l'ateneo di Brescia, guidato per oltre due decenni da Preti, e la Fondazione
Lucchini si è concretizzato nella costruzione del Collegio universitario di merito. La residenza è
stata finanziata da Lucchini (due terzi del budget) e dalla Fondazione Cariplo. L'edificio è stato
ultimato nel luglio 2012 e in autunno ci sarà l'inaugurazione ufficiale. “Era già previsto dallo
statuto che al taglio del nastro della struttura sarebbe stata dedicata a Lucchini – continua l'ex
rettore -, mi spiace che lui non ci possa essere, ma sarà l'occasione per ricordare i suoi meriti.”
Il filo che lega Luigi Lucchini al mondo universitario bresciano ha origini lontane, basti pensare
che la prima laurea honoris causa della Statale era stata assegnata proprio al Cavaliere del
lavoro. Era il 1998: “Il riconoscimento gli fu attribuito a 18 anni dalla nascita dell'università –
spiega Preti - : tutti erano d'accordo, sia dentro che fuori l'ateneo.”
“Ma non dimentichiamo – continua l'ex rettore – che Lucchini è sempre stato molto attento non
solo all'università, ma a tutto il mondo giovanile”. Sono molti gli studenti che oggi ricordano il
dine settimana trascorsi in compagnia di illustri personaggi del mondo della cultura, tra i quali
Margherita Hack, proposti e organizzati per i ragazzi meritevoli delle superiori della Fondazione
Lucchini.
Oggi il Cavaliere non c'è più, ma le le occasioni per trasmettere le sue passioni e il suo stile, a
Brescia come altrove, non mancheranno di certo.
Giuliana Mossoni
CORRIERE DELLA SERA 25.09.2013
Le quattro stagioni di Lucchini
Da Heidelberg all'impero di Brescia
Quelle sfide (vinte) con Bruxelles e
con i giganti del Nord Europa
L’UNITÀ del 27.08.2013
Lucchini, la passione di un “duro”
Da tempo la malattia lo costringeva in carrozzella e gli precludeva la conversazione, eppure un
mese fa, in una calda giornata di luglio, il Luigi raccolse le ultime, povere forze e fece capire a
Giuseppe che voleva visitare lo stabilimento, vedere con i suoi occhi come andavano i lavori sugli
impianti.
Il figlio allora andò a prendere il padre ormai prossimo alla fine alla sua casa in via Oberdan, alla
periferia di Brescia, lo sistemò sull'automobile e lo portò a Lovere, dove, in riva al lago d'Iseo, si
staglia dal 1856 la grande fabbrica di prodotti per le ferrovie che oggi si chiama Lucchini RS (RS
vuol dire Rolling Stock, materiale rotabile) e ieri si chiamava Ilva e più indietro nel tempo Franchi e
Gregorini.
L'automobile fece il suo giro tra i forni e i treni di laminazione. E il vecchio industriale tornò a casa.
Fino a quando ha potuto, Luigi Lucchini ha voluto sapere se i suoi uomini riuscivano a tirar su gli
ordini anche in questi tempi pessimi e se i nipoti si comportavano bene: quei tre su sei che sono
impegnati in azienda, perché di più non servono e l'azienda è l'Azienda, non un rifugium
peccatorum: proprietà privata, certo privatissima ma fonte di sostentamento per quasi 1400
famiglie. Adesso, a 94 anni, aggredito dal Parkinson, il vecchio Luigi poteva solo vedere, ma
quella visita esterna, testimonianza di un attaccamento viscerale alle macchine della produzione,
costituisce il testamento di un uomo e di un epoca. Che ha fatto l'Italia. Nel bene e nel male.
Ieri Luigi Lucchini è morto. Di lui si ricorderanno il quadriennio alla guida della Confindustria
all'epoca del referendum sulla scala mobile e poi la presidenza della Montedison, dopo il crac dei
Ferruzzi e il primo repulisti di Guido Rossi, e in fine la consegna della Comit a Banca Intesa,
quando fu chiaro che la compagnia azionaria organizzata da Mediobanca nel corso della
privatizzazione aveva fatto fin troppo rapidamente il tempo suo. Ma quelle cariche non dicono più
di tanto di questo cavaliere del lavoro che fu per anni il cavaliere, prima che il titolo,
nell'abbreviazione cortigiana di Cav., diventasse appannaggio di Berlusconi.
Certo, quelle cariche testimoniano di un self made man capace di uscire dalla provincia
allacciando relazioni importanti. Ala Confindustria lo volle la Fiat romitiana, perché lui aveva
resistito allo strapotere sindacale degli anni 70 ancora prima della marcia dei 40mila. “Investo in
scioperi”, disse per giustificare la sua intransigenza sull'organizzazione del lavoro. Il sindacato si
scandalizzo per l'arroganza padronale , che in realtà era anche coraggio solitario e in ogni caso
rappresentava la superficie della questione . Non si chiese, il sindacato, se stesse facendo un
buon uso del suo potere, che era invece il dato di fondo della questione . E fu così che Lucchini
vinse, e con lui vinse la produzione all'italiana e non alla tedesca.
In Montedison e in Comit Lucchini arrivò su designazione di Mediobanca. E sempre su spinta di
Enrico Cuccia, e più ancora di Vincenzo Maranghi e Cesare Romiti, a Lucchini venne assegnata
anche la presidenza del sindacato azionario di Rcs Mediagroup. Ma il rapporto di Lucchini con
Mediobanca era ambivalente: fedeltà agli gnomi milanesi di via Filodrammatici; liberazione dalle
sudditanze bresciane . Per essere qualcuno nella Brescia degli anni 60 e 70 dovevi far parte del
consiglio della Banca San Paolo , ma a Lucchini non venne mai concesso il gradimento . Troppo
duro, troppo incline a finanziare mensili come il Bruttanome e poi addirittura un quotidiano ,
Bresciaogi, senza chiedere il permesso alla Banca che controllava l'editoria cittadina. E però, nel
2005 , sarà proprio Giovanni Bazoli, banchiere potente in Intesa, ma assai meno nell'antica San
Paolo , a salvare dal tracollo il gruppo Lucchini , schiacciato dall'investimento nelle Acciaierie di
Piombino. Vent'anni prima, il cattolico democratico Bazoli considerava un adoratore estremista
del profitto quell'industriale venuto dalla Val Sabbia senza alcun inferiority complex. La
correttezza mostrata da Lucchini alla presidenza della Comit dischiuse al banchiere anche l'altra
faccia del Cavaliere . Del resto , al dunque, la Mediobanca del dopo Maranghi non era in grado di
sostenere Lucchini ancorché continuasse a farlo con Ligresti. Ma è nelle avversità che si può
ricavare la miglior lezione dalla storia di Lucchini.
L'acquisizione di Piombino, nel quadro della privatizzazione della siderurgia pubblica, si è
rivelata superiore alle forze manageriali e poi finanziarie del gruppo Lucchini . Che già aveva
importanti aziende in Polonia e in Francia. Questo insuccesso segnala la difficoltà di buona parte
- anche della parte migliore - dell'imprenditoria privata italiana a gestire le complessità: gli
altoforni non sono come i forni elettrici con cui i «bresciani» avevano stupito anche il Wall Street
Journal. Il caso Riva, pur avendo una specificità diversa, può anch'esso rientrare in questa
difficoltà a superare la logica d'origine. Ebbene, quando la congiuntura sfavorevole rese
insopportabile il debito , Luigi Lucchini e il figlio Giuseppe contrastarono la naturale tendenza
delle banche creditrici a liquidare, una società alla volta, il gruppo ma ne salvaguardarono la
sostanziale unità cedendo la maggioranza ai russi della Severstal. E poi, anziché ritirarsi a
gestire la propria ricchezza finanziaria attraverso il solito family office, reinvestirono una somma
importante nel riacquisto di Lovere e poi nel suo sviluppo in Gran Bretagna, Svezia, Polonia,
India e Cina.
Dall'acciaio alla acciaio , dunque. Ma in mezzo ci sono state un'Italia e un'America e un'Europa
che hanno creduto nel postindustriale, nella società della finanza e dei servizi, del consumo più
che della produzione. Luigi Lucchini se ne va. Con la sua scomparsa, ha termine l'epoca di un
uomo, ma con la sua passione per la fabbrica l'epoca dell'industria ricomincia. E la riscoperta
della manifattura da parte dell'intero Occidente ci dice che gli uomini come Lucchini, anche con i
loro errori , non hanno seminato invano.
Massimo Mucchetti
La scomparsa, a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro, di due patriarchi della siderurgia italiana
(Luigi Lucchini, il 26 agosto a 94 anni d'età, Steno Marcegaglia il 10 settembre scorso a 83 anni)
assume un valore simbolico nel momento più buio per il settore, con il caso Ilva ancora aperto,
la crisi del gruppo Riva sotto i riflettori, Piombino al capolinea. La vicenda dei patriarchi ha il
sapore di una lezione postuma a chi cerca una bussola, se non una ricetta. La parabola umana
e industriale di Lucchini, in particolare, risulta emblematica. « È stato il Bill Gates dell'acciaio
italiano», ha detto di lui il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato. Giudizio da cui il
cavaliere si sarebbe schermito con malcelata soddisfazione.
La vita di Lucchini è stata scandita da quattro stagioni che messe insieme descrivono
un'esperienza inimitabile eppure esemplare, che forse merita di essere accostata più a Steve
Jobs che a Bill Gates. Come il padre della Apple Lucchini era «affamato», non solo in senso
metaforico. Veniva da una famiglia umile, con radici a Lumezzane e la casa annidata a Malpaga
di Casto, un paesino di mezza montagna. Antenati carrettieri, nonno e papà fabbri forgiatori, la
madre che per arrotondare i magri proventi familiari gestiva un'osteria. Il piccolo Luigi va a
scuola calzando zoccoli di legno, come in un film di Ermanno Olmi: studia dai salesiani a
Verona, si diploma maestro a Brescia, affina il tedesco a Heidelberg. Ma insegnamento e studi
umanistici non fanno per lui: dopo la guerra assume la guida dell'officina paterna e in un'Italia
piena di residuati bellici e affamata di tondino lui cavalca premesse e splendori del boom
economico. E' l'epos della ricostruzione. Lucchini è il prototipo del self made man di periferia,
ignora gesti snobistici («perché volere un castello se non si è nobili?») ma culla uno strepitoso
spirito di rivalsa verso le blasonate dinastie imprenditoriali: «Certe mete raggiunte - confessava
- hanno per me il sapore del riscatto: mia madre vendeva al banco qualche bicchiere di Wührer
e io della Wührer sono diventato proprietario. Antonini forniva il ferro a mio padre e io mi sono
comprato la sua azienda. Il mio primo stipendio l'ho guadagnato dagli Gnutti e della Eredi Gnutti
mi sono preso una quota del 25%». Luigi Lucchini, secondo i dettami di Jobs, non era solo
affamato ma anche «folle ». Quando il successo arride già alle sue imprese ingaggia battaglie
fino ad allora impensabili: alla guida dei «tondinari» bresciani, che costruiscono fortune con
piccoli forni elettrici e gagliarde trafilerie fatte in casa, sfida Bruxelles e i colossi della siderurgia
da altoforno del Nord Europa. Alla guida di un management ristretto ma coeso sfida lo
strapotere sindacale degli anni Settanta, «investe in scioperi» secondo una sua celebre
espressione, rompe le liturgie delle mediazioni democristiane. È l'unico presidente di
un'organizzazione territoriale di Confindustria a complimentarsi con Romiti e Agnelli dopo la
marcia dei quarantamila che chiude la vertenza Fiat e inaugura la riscossa dell'impresa.
L'Avvocato gli rivelerà di aver preso a esempio proprio la sua conduzione delle vertenze
bresciane e gli spianerà la strada alla presidenza di Confindustria dove Lucchini, smessi i panni
del falco e vestiti sapientemente quelli della colomba, raggiungerà con i sindacati confederali
l'accordo sui decimali dei punti di scala mobile e inaugurerà la sua terza stagione: quella
dell'imprenditore e finanziere di rango nazionale, di uomo di sistema. In un legame di fiducia e di
riservatissima amicizia con Enrico Cuccia diviene presidente della Banca Commerciale Italiana
e di Montedison, entra nei consigli di Generali, Mediobanca, Abi, è presidente del patto di
sindacato di Rcs Mediagroup mentre il suo gruppo si internazionalizza e cresce con le
acquisizioni dell'acciaieria di Nowa Huta in Polonia, Servola a Trieste, Piombino. Il suo under
statement non cambia neanche all'apice del successo: «Sono un maestro elementare che ha
fatto strada».
Con lo stesso spirito, anche se con una punta di amarezza e una vena di disincanto, ha
affrontato anche la quarta stagione della sua vita di imprenditore: zavorrato dal peso delle
acquisizioni, non sostenuto dal sistema finanziario com'egli sperava, deciso a non accettare lo
spezzatino del gruppo, il vecchio cavaliere ha preferito aprire le porte a un socio ingombrante
come la russa Severstal e poi farsi da parte, salvo ripartire con le forze della sola famiglia da
Lovere, dalla Lucchini Rs che produce materiale rotabile. Lì un Lucchini ormai malandato in
salute ha ottenuto di essere portato dal figlio Beppe per un ultimo bagno di emozioni, fra l'odore
della morchia delle officine, i clangori del laminatoio, i movimenti da orologeria colossale che
solo un occhio allenato sa leggere in una grande fabbrica. La voglia di emergere, la capacità di
battere strade inedite, l'intelligenza nell'interpretare il sistema economico-finanziario, la forza di
rinascere nella fedeltà alla fabbrica: sono questi i quattro pilastri della saggezza imprenditoriale
di Lucchini. Non sufficienti ma necessari, per una siderurgia italiana in crisi di idee e prospettive.
Massimo Tedeschi
GIORNALE DI BRESCIA del 28.08.2013
Al figlio Beppe “ Portami a vedere ancora Lovere”
“Portami a vedere Lovere”. Era qualche mese fa, l'anziano Cavaliere manifestava in pieno i sintomi della malattia. Ma un giorno – ricorda il figlio Giuseppe, Beppe come lo chiamava il Padre e gli amici – mi
dice che gli piacerebbe rivedere Lovere, il nostro stabilimento, andare a vedere i nipoti all'opera. “Credo – dice il figlio che porta il nome del nonno – sia l'ultima volta che lui è uscito dal cancello di casa”.
“E siamo andati a Lovere, racconta Beppe. “ Lui già sofferente, io in apprensione perché sapevo bene della fatica che mio padre si imponeva in qualche modo. Eppure, insistette per andare a Lovere, alla
Sidermeccanica, oggi Lucchini RS. Siamo entrati in macchina, lui già faceva fatica a parlare, ma aveva sempre gli occhi attenti. Guardava i capannoni, spostava gli sguardi, assentiva nel vedere i nuovi
investimenti. E ha voluto fare un giro praticamente completo della fabbrica. I forni, i laminatoi.
“E poi – racconta Giuseppe Lucchini, che da anni ormai ha raccolto il testimone imprenditoriale del padre – ha voluto vedere i tre nipoti che operano in azienda. Ed era soddisfatto: stanco ma soddisfatto
nel vedere – racconta il figlio del Cavaliere – come quelli che considera i pilastri del mondo fossero apposto: la famiglia e l'impresa”.
6 maggio 2006 - Si festeggiano i 150 anni dell’allora Lucchini Sidermeccanica con la
presentazione del volume ’’Onde d’acciaio’’ realizzato per l’occasione.
Il Cav. Luigi Lucchini taglia la torta di «compleanno»
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1 maggio 2010 - Si inaugura a Lovere il nuovo laminatoio.
è il più importante investimento del Piano che vedrà il completo rinnovamento impiantistico
della linea dedicata ai prodotti ferroviari.
Il Cav. Lucchini accompagnato dal nipote Augusto Mensi attuale Amministratore Delegato di
Lucchini RS, visita con soddisfazione e orgoglio l’impianto.
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