Jacques Derrida, Gen\350ses, g\351n\351alogies
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Jacques Derrida, Gen\350ses, g\351n\351alogies
Monica Fiorini per www.romanzieri.com Relazione presentata in occasione delle giornate di studi in memoria di Jacques Derrida: Après coup: l'inevitabile ritardo - Bologna 13-14 giugno 2005 “Lignes de partages” Jacques Derrida lettore di Hélène Cixous Il titolo inizialmente propostomi è molto vasto e indubbiamente difficile da affrontare in generale. Delinea inoltre un campo del pensiero di Derrida non tanto esplorato che pure, da sempre, ha articolato logocentrismo e fallologocentrismo nella sua critica decostruttiva e che, in molti luoghi, solleva la questione della differenza sessuale. Non potendo affrontare in generale la questione, che richiederebbe almeno di ripercorrere alcuni testi chiave come Eperons (Sproni), o scritti come Geschlecht e mi porterebbe anche forse un po’ fuori dal tema, ho ritenuto più opportuno parlare di un esempio specifico di relazione tra la riflessione, soprattutto una parte della riflessione più recente di Jacques Derrida e l’opera di una scrittrice, Hélène Cixous, considerata tra le più rappresentative del pensiero femminile della differenza sessuale, e nota per questo non solo in Francia, ma anche all’estero dove è stata letta e analizzata da molte altre studiose. Il rapporto tra Derrida e Cixous è stato da sempre (diciamo per moltissimi anni, a partire dall’inizio degli anni sessanta) un rapporto di amicizia e di reciproca lettura che andrebbe studiato non solo a partire da alcuni testi dichiaratamente in dialogo tra loro, ma anche negli scritti in cui questa lettura reciproca non appare in modo esplicito e non prende la forma di una riflessione aperta su temi e questioni in gran parte comuni anche se senza dubbio affrontati con toni e con modalità diverse (ma sempre attente nel caso di entrambi, alla scrittura).1 1 [Es. testi come Glas e Partie] Entrambi condividono inoltre le stesse origini, essendo nati nell’Algeria francese, da famiglia ebrea e hanno avuto esperienze simili nel corso della guerra e in seguito,2 una volta giunti in Francia e aver riacquistato la cittadinanza francese. Bisogna dire che Hélène Cixous fa riferimento fin dalla sua tesi di dottorato, nella parte dedicata a Finnegans Wake ai testi derridiani, allora appena usciti, e dedicati alla scrittura, la traccia, la différance. In seguito continuerà a farvi implicito o esplicito ricorso. Da parte sua Derrida è meno esplicito, apparentemente, fino agli anni novanta, ma come ricorda anche in una recente intervista apparsa su “Magazine littéraire”, la lettura degli scritti di Cixous comincia per lui con il suo primo volume di racconti che presenterà curandone la quarta di copertina e definirà in seguito una “autobiografia delirante e sublime” frutto di una scrittura che, come in effetti è avvenuto, rischiava a suo avviso di non essere letta o comunque di non trovare, in Francia, un ascolto quale l’opera merita, per le sue caratteristiche specifiche: perché letteralmente “esce dal solco” (delira). Il nome di Hélène Cixous in effetti non è certo ignoto neppure in Italia, per quanto sia stata poco tradotta e a fatica, ma resta spesso legato soltanto a determinati aspetti della sua riflessione che si incarna, come dirà proprio Jacques Derrida nel suo intervento a un recente convegno del 2003 dedicato alla sua opera e intitolato Genèses, généalogies, genres, in una molteplicità di generi e di forme letterarie diverse, la finzione romanzesca (anche se non fa uso del termine “romanzo”), il dramma, il saggio, il breve testo poetico in prosa, l’articolo militante e il seminario pubblico – che la scrittrice porta avanti da anni con il suo insegnamento a Paris8 e al Collège International de Philosophie. La sua opera troppo spesso viene ricondotta, soprattutto nei paesi anglofoni, a una “teoria della differenza sessuale” e, a questo scopo, viene anche drasticamente ridotta poiché vengono lette solo alcune delle sue parti. Hélène Cixous la nominerebbe semmai con un’espressione utilizzata da titolo generale di tutti i suoi corsi: “poetica della differenza sessuale” dove il termine “poetica” deve essere letto in vari sensi o direzioni tutte legate al significato di fare, creare, cioè nel punto di articolazione tra una tecnica e qualcosa che ad essa non si riduce, come quello di finzione che indica tutti i suoi testi narrativi o poetici. Da una parte dice l’elaborazione concreta di una poetica personale e di un opus in divenire in cui non viene mai meno il riferimento, l’indicazione alla differenza sessuale (ma questa affermazione meriterebbe una lunga digressione, perché cosa indichi Cixous con queste parole, “differenza sessuale”, e a volte con le sole iniziali, d.s., che si pronunciano come Simili e diverse, e a questa diversità non è estranea la differenza sessuale (H.C. ha parlato in varie occasioni di come soprattutto con l’arrivo in Francia quella che era la diversità principale, l’essere di religione ebraica, è passata in secondo piano rispetto alle difficoltà di essere una donna, scrittrice, intellettuale, nella laica “Métropole”). 2 déesse, la dea del desiderio, dell’incontro, dell’andare l’uno/a verso l’altro/a dell’essere vivente umano – e non solo umano -, cosa “indichi” dicevo, è complesso e non può essere ridotto a una teoria trasmissibile mediante concetti al di fuori della lettura dei testi e della loro operazione di scrittura in cui prendono forma gli interrogativi suscitati dalla sua fedeltà alla propria incarnazione e alla necessaria reinvenzione dei rapporti, delle relazioni tra differenti a partire da una messa in discussione dell’idea stessa di rapporto che presuppone due termini già costituiti). Dall'altra la poetica di Cixous è anche una poetica della lettura di testi, letterari e non, in cui fondamentale è un incontro con altre scritture che a loro volta coltivano una certa relazione con il mondo, la vita, gli esseri viventi e vanno verso il mondo o sono aperte a esso non per descriverlo, nella pretesa di descriverlo-così-com’è, ma per trasformalo. La poetica della differenza sessuale va alla ricerca di tutte quelle tracce che non (la) riducono semplicemente, secondo l’ordine del discorso dominante, a una opposizione, che giocano della d.s. e del differire, dislocando le leggi e i generi – sessuali e letterari -, che non la danno dunque per scontata e si pongono delle domande sul suo senso senza avere la pretesa di trovare una risposta, dato che essa, la d.s., ha a che fare con il segreto di ogni individuo vivente. Di conseguenza, e Derrida lo sottolinea in molti modi in ogni suo intervento a partire da testi di Hélène Cixous, con la necessità di testimoniarne singolarmente, concretamente, e di non di definire l’altro, ma di fare dell’incontro una domanda – un reciproco domandarsi nell’esperienza di lontananza e di inaccessibilità che (ci) rende inseparabili. Si potrebbe dire che risponda, l’opera e il pensiero di Cixous, ancor prima che Derrida ponga la questione o la affronti esplicitamente, per esempio dietro sollecitazione di un’intervista nel 1981 (Choeographies), all’urgenza di inventare “differenze sessuali inaudite e incalcolabili” che sfidino, dice Derrida, qualsiasi “assegnazione a residenza” – qualsiasi idea che esista o possa esistere un “posto” per la donna o della donna e di conseguenza sfidano qualsiasi definizione essenzializzante del femminile e del maschile.3 Del gioco delle incalcolabili differenze sessuali che può scaturire dallo “scarto abissale” (come dice in Eperons) quando la differenza sessuale non è ridotta a opposizione sessuale, della non comune misura, della non simmetria nell’incontro con l’altro, o meglio con l’altra, si occupa esplicitamente del resto tutto il primo saggio derridiano che si presenta come un cit. in nota Chorégrapies, p. 100 “Pourquoi faudrait-il soumettre à l’urgence de ce souci topo-économique (essentiel, il est vrai, et indéracinablement philosophique) une nouvelle “pensée” ou un nouveau pas de femme? Ce pas ne fait un pas qu’à la condition de récuser une certaine pensée du lieu et de la place (toute l’histoire de l’Occident et de sa métaphysique), et de danser autrement. C’est si rare, sinon impossible et cela ne se présente que sous la forme de l’imprévisible et de la plus innocente des chances. La plus innocente des danses déjouerait les assignations à résidence, comme on dit en français, les résidences surveillées, elle change de place, elle change surtout les places. Après son passage on ne reconnaît plus les lieux » (Points de suspension). 3 dialogo pubblico con Cixous, un breve testo intitolato Fourmis, letto a un convegno dedicato alle letture (plurali) della differenza sessuale (Lectures de la différence sexuelle) del 1990 e in cui di quest’ultima si legge: “Né provata né possibile da provare, deriverebbe piuttosto, nel senso più enigmatico di questa parola, dalla testimonianza. La testimonianza eccede ogni esperienza ‘constatativa’, impegna, e impegna, attraverso questo eccesso, nei confronti di ciò che, nella differenza senza bordo, nell’incommensurabilità assoluta o nel senza-rapporto che marca ogni rapporto con l’altro, non ridurrà mai la fede, ovvero un credere senza credulità, la fiducia o confidenza che ‘sa’ rinunciare infinitamente, o, se preferite, che intende – e che si intende a – rinunciare infinitamente a svelare il segreto. Il proprio – e quello dell’altro”. L’occasione del primo testo citato, Genèse, généalogie, genres et le génie (quest’ultimo termine è aggiunto dall’autore al titolo del convegno) è offerta, come già detto, da un altro intervento pubblico, e più precisamente dalla sua collocazione e dalle sue motivazioni, dato che ha coinciso più o meno con la scelta di Hélène Cixous di donare i suoi manoscritti alla Biblioteca Nazionale di Francia. Da questo fatto deriva innanzitutto il sottotitolo, Les secrets de l’archive che richiama tutta la riflessione di Derrida sull’archivio e il mal d’archive, e sulla necessità di pensare i rapporti tra prova e testimonianza, centrale in tutti i testi più recenti per la sua valenza etica e politica, e centrale anche nel testo di Cixous che accompagnava nel 1990 Fourmis là dove l’autrice rilanciava alcune delle affermazioni derridiane sulla differenza sessuale riportandole alla sua esperienza di donna, scrittrice e lettrice sottolineando come innanzitutto, e da questo nasce il problema maggiore, della d.s. si tratta di testimoniare come di un’evidenza impossibile da provare (essa richiede una critica, o meglio una profonda trasformazione, del sapere, di ciò che chiamiamo sapere, del suo rapporto con l’oggetto, e della nostra razionalità – non però come rovesciamento nell’irrazionale). Anche l’elaborazione delle parole che formano il titolo, genèses, généalogies, genres, è legata allo stesso ambito esplorato in molti modi diversi e spesso attraverso il riferimento al legame tra ciò che chiamiamo letteratura o finzione e la testimonianza nel suo riferimento al piano della verità o della veridicità. A queste tre parole Derrida ne aggiunge una quarta, riconducibile alla stessa “famiglia” di sostantivi in “g” perché legata anch’essa etimologicamente alla generazione, e che tuttavia ne disturba l’ordine e si sottrae, mostrandola, alla presunta omogeneità della serie: genio. L’irruzione del genio è l’irruzione dell’opera come evento (in questo caso evento di una firma femminile) che interrompe la genealogia, la tradizione della lingua e della letteratura cui pure “appartiene”, e eccede la legge dei generi nel suo essere qualcosa di “mostruoso” come tutto ciò che è inoltre dell’ordine del miracolo e quindi della straordinarietà anche sul piano della genesi. Con una serie di conversioni successive e di domande che passano dal “che cosa” al “chi” è un genio, il genio (indispensabile, essendo forse per eccellenza indicazione di una singolarità), afferma inoltre la necessità di porsi la domanda della sua declinazione al femminile con lo stesso gesto con cui riconosce la provocatorietà non solo di quest’ultima versione o traduzione, che la lingua corrente ancora non contempla, ma dello stesso ricorso al termine genio, genialità, con tutto ciò che porta con sé e con il disagio che, da tempo, suscita: innatismo creazionista, oscurantismo, complicità verso un qualche naturalismo e con una teologia dell’ispirazione, una scrittura dettata associata a una adorazione davanti all’ineffabile che associa spesso il dono alla nascita e il segreto al sacrificio. Da qui, dall’affermazione che tuttavia non ci si deve affrettare a denunciare il segreto (o termini che riportano al piano del miracoloso o del mistico) e dalla necessità di far ricorso appunto alla parola “mistico” prende le mosse un percorso che esplora nei testi di Hélène Cixous molto di ciò che è in gioco nella famiglia di parole in “g”: una drammaturgia, appunto, della famiglia, dell’origine, della nascita e della filiazione (da sempre al centro del suo pensiero e che non può prescindere dalla questione della differenza come differenza sessuale), una drammaturgia del nome che tutti i testi della scrittrice trasformano in un potente intrigo, capace di dire qualcosa non solo della “sua” famiglia (la quale, bisogna ricordarlo, con le parole della madre Eve, è “son invention” e non è affatto il frutto di un’anamnesi intuitiva che si vuole neutra), ma della famiglia, della filiazione, della nascita, da un punto di vista, o meglio un côté segnato dalla d.s.. E non solo del nome del padre – Georges [Cixous] – ma del “nom-du-père” e del nome, del nome proprio, della sua unicità e insostituibilità così come della sua necessaria e impossibile traduzione, nonché del nome della madre, Eve, appunto, Eva come la prima donna, ma anche Eve, in inglese, omofono di “eve”, la vigilia, e “Eve” come parte di una parola, evento, événemen,t a sua volta insostituibile e offerta (offerto) alla sostituzione. Il punto di partenza della lettura è offerto in Genèses, généalogies, genres et le génie da uno degli ultimi libri di Hélène Cixous, l’ultimo al momento del convegno del 2003, Manhattan in cui Derrida ritrova il “prénom” del padre, Georges, “bon génie” che veglia su tutto e ispira tutto, e una sua traduzione/versione, Gregor. Ma dietro i riferimenti specifici a quelle pagine si ritrovano molti altri testi di Cixous tra cui OR les lettres de mon père che qualche anno prima era stato ripetutamente al centro delle lunghe e pazienti letture derridiane in un altro scritto intitolato H.C. pour la vie, c’est à dire... (dove esplicitamente, in apertura, un frammento ricordava il legame tra “traduzione” e “parricidio”) e dove dietro l’apparente centralità di “Georges” passava tutta una decostruzione della paternità, dell’autorità paterna e si apriva, per restare forse in parte in sospeso (ma si apriva proprio perché in contatto con una scrittura come questa), un riferimento alla “maternità”, e che trova a più livelli nell’opera di Hélène Cixous una potente elaborazione poetica e simbolica non come versione parallela dell’autorità paterna, ma proprio come luogo di riflessione sull’attesa dell’arrivo dell’altro in tutte le sue forme e come “origine originata” che non è l’inizio ma “la suite”, con parole ancora una volta attribuite da H.C. alla madre nel libro successivo a OR, Osnabrück. Sia in H.C. pour la vie che in Genèses généalogies genres et le génie Derrida procede nella sua lettura di “H.C.” (l’opera o l’opus che porta questa firma) seguendo una miriade di fili diversi in modo da mettere concretamente in opera una fitta tessitura, una trama che non si lascia sciogliere senza perdite e che gli permette di passare da un elemento all’altro, di suscitare accostamenti imprevisti, o di proporre un frammento alla lettura senza ricondurlo a un’interpretazione che pretenderebbe di spiegarne totalmente il senso. Non si può percorrere questa trama senza in qualche modo accettare di “perdervisi” e di seguirne le tracce, anche e soprattutto quelle che conducono a tanti altri testi, saggi, interventi derridiani non direttamente legati all’opera di Cixous, ma che sono il luogo in cui prendono forma le principali preoccupazioni del filosofo negli ultimi anni, senza accettare di proseguire in qualche modo questa operazione che mima la tessitura e lo dichiara esplicitamente, per esempio, proprio in un altro scritto, Un ver à soie, pubblicato in un volume dal titolo Voiles insieme a un testo di Cixous, non accostato in maniera esteriore, ma incorporato in quelle pagine straordinariamente legate alla sua esperienza incarnata e singolare. Sarebbe dunque impossibile sviluppare, seguendo anche solo alcuni degli spunti offerti fin qui, un percorso che mostri in tutta la sua complessità in che modo riemergono e vengono rilanciati, proprio tramite le letture proposte, tutti quei nodi che formano la lista aperta in cui si legano traduzione, impossibile, dono, perdono, ospitalità e naturalmente evento in tutte le sue valenze etiche nel va e vieni tra le due opere. Si possono però sottolineare alcuni aspetti che caratterizzano specificamente la lettura dei testi di Hélène Cixous, o almeno è quello che vorrei cercare di fare non per concludere ma per indicare un percorso aperto. Jacques Derrida sottolinea che l’opera geniale che porta il nome di Hélène Cixous, la sua firma, è frutto di una straordinaria alleanza tra il più rigoroso calcolo della scrittura e l’apertura, l’abbandono (se rendre: abbandonarsi, arrendersi, andare incontro, come nell’espressione francese rendez-vous) al sogno. È il sogno innanzitutto il luogo, se si tratta di un “luogo”, lo spazio intorno al quale, nel suo rapporto con il sapere (Sapere è il titolo del testo di Hélène Cixous in Veli), potrebbe raccogliersi una lettura più approfondita dell’incontro fra Cixous e Derrida. L’apertura al sogno o del sogno, l’interruzione “onirica” che non coincide con la realtà data, è apertura a ciò che arriva o accade sullo sfondo di un non-sapere o di un sapere altro, di un non ancora visto, un evento e un inizio che assume il carattere di una conversione o di una rivoluzione, quella rivoluzione, tra l’altro, che fa dell’opera molteplice qualcosa di più grande di ogni biblioteca che volesse contenerla; portatrice di un eccesso, di una “dismisura della memoria” che disturba gli spazi di archiviazione, le indicizzazioni e tutte le classificazioni. Il disagio, però, l’inquietudine provocata dall’opera di Hélène Cixous, presso molte lettrici e lettori e lo stesso Derrida in alcuni passaggi, è dovuta al fatto che la sua scrittura, scrittura poetica, non filosofica (ma è chiaro che questo confine non resta intatto, sano e salvo), come afferma fin dal titolo uno dei testi in questione, è una scrittura “pour la vie”, orientata verso una “vita” che non si scrive (e si vive) in contrapposizione con la morte. In pagine molto belle, complesse e inquiete, in cui Derrida si pone tra l’altro numerose domande sulla sua posizione di lettore – non so, dice spesso, “où placer ma voix” – sulla impossibilità di credere e di sapere ciò che credere può voler dire dall’altro lato, da quello dell’altra, a cui si rivolge nel suo dialogo, la locuzione “pour la vie” (e qui si può allora individuare una altro punto di articolazione) e, con le parole di Derrida, di “incomprensione”, fertile incomprensione che apre degli interrogativi sulla lettura della nostra eredità, una lettura che possa tener conto della differenza profonda introdotta dalla differenza sessuale. La scrittura di Hélène Cixous mette in opera “de son côté” una meditazione etica e poetica insieme sull’evento, il credere, e il segreto come ingredienti della vita del soggetto umano incarnato attraverso un’operazione che, come sempre in un’opera letteraria, scuote la differenza tra luogo pubblico e privato, tra finzione e realtà (o autobiografia) perché si radica in un certo modo nella vita, passa “par” e “pour la vie” offrendosi non come un sapere costituito, ma come un luogo di metamorfosi: metamorfosi per chi scrive e metamorfosi per chi legge. (È così che leggo la puissance della letteratura e della scrittura di Cixous su cui si sofferma Jacques Derrida riprendendo una definizione della scrittrice che parla di “lettres de toute puissance” per metterla in rapporto con la sua iniziale domanda sul credere: “Puisse-je la croire”, potessi credere, crederle, credere che la vita sia il solo “lato”, che la morte sia un “non-lato”, e con il senso di questo congiuntivo, puisse che appare essere un altro nome della différance, come tempo dell’ipotesi e di un accadere non- o pre-performativo in cui scompare a velocità vertiginosa la differenza tra passività e attività.) La temporalità di Hélène Cixous indica che siamo esseri viventi fatti di tempo e dunque in continua e irreversibile trasformazione. Irreversibile, scrive Derrida, è la vita, il lato della vita per Cixous, che dunque sembra essere il solo lato anche se la morte non viene negata o denegata: “se la vita non ha altro lato, se ha un solo lato, quello della vita vivente, allora questa resta indecidibile, certo, perché non c’è niente da decidere, non si può più decidere tra due bordi o due lati opposti, ma questo indecidibile è il luogo della decisione che, per quanto grave sia, non può essere che per la vita. Poiché è indecidibile si può decidere solo per la vita. Ma la vita è indecidibile anche perché nella sua stessa finitudine è infinita. Ciò che ha un solo lato – un solo bordo senza bordo opposto, è infinito. Finito perché bordato da un lato, ma infinito perché senza bordo contrapponibile”. Questo “côté unique” in cui sono centrali la vita (con la sua potenza affermativa non contenuta nel concetto filosofico di possibilità) , la singolarità (messa anche in evidenza dal riferimento al genio), e i “commencements” come segno di rinascita, di nascita mai conclusa (indagata in tutta la sua complessità da Hélène Cixous) è “côté unique” di ognuno e ognuna e per questo dissimmetricamente rivolto verso l’altro, “exposé ou tenu par l’autre”. Attraverso l’esercizio di un’arte della sostituzione (di un “art du remplacement”) che lascia “en place” il vivente singolare, l’altra ci offre allora, per Jacques Derrida una riflessione sulla “vita” che è insieme finita e infinita. Riflessione che non coincide con il suo sentirsi sempre “rivolto verso il lato della morte” ma neppure semplicemente vi si oppone e sconvolge innanzitutto, facendolo vibrare e tremare, ogni margine e confine e lato a partire dal significato stesso di “côté”, di costa, di riva, di bordo. Si tratta di un’arte in cui la temporalità non scorre verso la morte (o meglio: sì, ma non è orientata a/da essa) ed è disseminata di inizi (commencements, o, come lo scrive Cixous “comme en semant”), di nascite, di nuove partenze che H.C. pour la vie in qualche modo mima nel suo presentarsi come una serie di inizi, ma che anche sposta, modificandone il senso, in quanto è una palinodia fatta di ritorni e di ritrattazioni (sulle proprie letture e difficoltà di lettura). E anche questa necessità di una palinodia richiederebbe un’indagine che forse potrebbe partire, per interrogarsi ulteriormente sul différand irriducibile e fecondo che si trova nel cuore di questi testi, dal diverso tono della scrittura di Jacques Derrida di fronte al segreto di una singolarità incarnata esposta alla morte (la necessità di rinunciare a “lever le secret”, a sollevare il velo e prima ancora la difficoltà nel fare il lutto del velo come dice in Un ver à soie), rispetto all’amore per i segreti – amore per l’altro, per il mondo, penser-aimer come diceva il titolo di uno dei suoi seminari a metà degli anni novanta – che Hélène Cixous esprime anche citando un’altra scrittrice, Clarice Lispector, maestra nell’esercizio della pazienza e dell’attenzione necessarie per guardare e ammirare la vita nelle sue manifestazioni più piccole, e apparentemente insignificanti, che dice, in un libro significativamente intitolato, in italiano, il segreto: “lei amava i segreti ferocemente come se appartenessero alla sua stessa specie”. Bibliografia: Jacques Derrida, Fourmis, in Lectures de la différence sexuelle, Des femmes, Paris 1994 Jacques Derrida, H.C. pour la vie c’est à dire..., Galilée, Paris 2002 Jacques Derrida, Genèses généalogies genres et le génie. Les secrets de l’archive, Galilée, Paris 2003 Jacques Derrida, Un baco da seta, in Veli, Alinea, Firenze 2004 (Galilée, Paris 1998) Si veda anche : l’intervista a Hélène Cixous e Jacques Derrida, Du mot à la vie. Un dialogue entre Jacques Derrida et Hélène Cixous, « Magazine littéraire », 430, avril 2004 e per leggere, invece, un testo di Hélène Cixous dedicato alla lettura di Jacques Derrida : Hélène Cixous, Portrait de Jacques Derrida en jeune saint juif, Galilée, Paris 2001