Ero lo scolaro più svogliato e irrequieto di tutta la

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Ero lo scolaro più svogliato e irrequieto di tutta la
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R A P P O R T I C O N G L I A LT R I : A S C U O L A
Carlo Collodi
Ero lo scolaro più svogliato e irrequieto
di tutta la scuola
1. Mille anni fa: tanti
anni fa.
TEMI
2. bislunga: allungata.
3. ricorrevano: c’era-
no uno dietro l’altro.
4. portamenti: compor-
tamenti.
5. bossolo: legno du-
ro.
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Mille anni fa1, avevo, su per giù, la medesima vostra età, vale a dire
fra gli undici e i dodici anni.
E, com’è naturale, anch’io andavo a scuola, ma non saprei dirvi se la
mia scuola fosse elementare o ginnasiale, o liceale, perché mille anni
fa, ossia ai miei tempi, la scuola si chiamava semplicemente scuola,
e quando noi altri ragazzi si diceva scuola s’intendeva parlare di una
stanza piuttosto grande e quasi pulita, nella quale eravamo costretti
a passare circa sei ore della giornata, e dove qualche volta s’imparava
anche a leggere, a scrivere, a far di conto.
La scuola, alla quale andavo io, era una bella aula di forma bislunga2,
rischiarata da due finestre laterali, e con un grande finestrone nella
parete di fondo; il quale rimaneva nascosto dietro una grossa tenda
di color verdone cupo. Presso le due pareti, a destra e a sinistra della cattedra del maestro ricorrevano3 due lunghissimi banchi per gli
scolari.
Gli scolari seduti a destra si chiamavano Romani e quelli a sinistra
avevano il soprannome giocoso di Cartaginesi. Tanto gli uni che gli
altri erano capitanati da un imperatore: per la dignità d’imperatore
si capisce bene venivano scelti i due scolari che, nel corso del mese,
avevano ottenuto un maggior numero di meriti, sia per buoni portamenti4, sia per lodevole prova fatta nelle lezioni giornaliere.
Una volta, me lo rammento sempre, il posto d’imperatore dei Romani toccò anche a me: ma fu una gloria passeggera. Dopo due ore
appena di regno, per una delle mie solite birichinate, il maestro mi
fece scendere dal mio seggio imperiale e fui riconfinato in fondo alla
panca. Si vede proprio che, fin da ragazzo, io non ero nato per fare
l’imperatore.
E ora indovinate un po’ in tutta la scuola, chi fosse lo scolaro più svogliato, più irrequieto e più impertinente? Ero io. Non passava giorno
che non si sentisse qualche voce gridare:
«Signor maestro, che fa smettere Collodi?».
«Cosa ti fa Collodi?»
«Mangia le ciliege e poi mi mette tutti i nòccioli nelle tasche del vestito.»
Allora il maestro mi faceva sentire il sapore acerbo delle sue mani
secche e durissime, come fossero di bossolo5, e mi ordinava di cambiar posto.
Dopo un’ora che avevo cambiato posto, ecco un’altra voce che gridava:
«Signor maestro, che fa smettere Collodi?».
Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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6. a tocco di penna:
TEMI
con la punta della penna.
7. sul gambale davanti: sul davanti della
gamba dei calzoni.
8. bozzetto: schizzo, di-
segno.
«Che ti fa Collodi?»
«Acchiappa le mosche e poi me le fa volare dentro gli orecchi.»
Allora il maestro, dopo avermi dato un altro saggio della magrezza e
della durezza delle sue mani, mi faceva mutar posto un’altra volta.
Fatto sta che a furia di mutar posto tutti i giorni, sulla panca dei Romani non c’era più romano che voleva accettarmi per suo vicino.
Fui mandato, allora, fra i Cartaginesi; e mi trovai accanto al più buon
figliuolo di questo mondo, un certo Silvano, grasso come un cappone
sotto le feste di Natale, il quale studiava poco, questo è vero, ma dormiva moltissimo, confessando da se stesso che dormiva più volentieri
sulle panche di scuola che sui materassi del letto.
Un giorno Silvano venne a scuola con un paio di calzoni nuovi di
tela bianca. Appena me ne accorsi, la prima idea che mi balenò alla
mente fu quella di dipingergli sui pantaloni un bel quadretto, a tocco di penna6.
Tant’è vero, che quando l’amico, secondo il suo solito, si fu appisolato
con i gomiti appoggiati al banco e con la testa fra le mani, io, senza
metter tempo in mezzo, inzuppai ben bene la penna nel calamaio e
sul gambale davanti7 gli disegnai un bel cavallo, col suo bravo cavaliere sopra. Confesso la verità: ero contento di me. Più guardavo quel
mio bozzetto8, e più mi pareva d’aver fatto una gran bella cosa.
Così, però non parve al mio amico Silvano: il quale, svegliandosi dal
suo pisolino e trovandosi sui calzoni bianchi dipinto coll’inchiostro
un soldato e un cavallo, cominciò a piangere e a strillare con urli così
acuti, da far credere che qualcuno gli avesse strappato una ciocca di
capelli.
«Che cosa ti hanno fatto?», gridò il maestro rizzandosi in piedi e aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Ih!... Ih!... Ih!... Quel cattivaccio di Collodi mi ha dipinto tutti i
calzoni bianchi!...» E dicendo così alzò in aria la gamba, mostrando
il disegno fatto da me con tanta pazienza e, oserei dire, con tanta
bravura.
Tutti risero, ma il maestro disgraziatamente non rise. Anzi, invece di
ridere, scese giù dal suo banco, tutto infuriato, e senza perdersi in
rimproveri e discorsi inutili... Basta... rinuncio a descrivervi i diversi
argomenti maneschi che egli pose in opera per farmi guarire dalla
strana passione di dipingere i calzoni dei miei amici.
(da Storie allegre, Giunti Marzocco, Firenze, rid. e adatt.)
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Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education