L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLVII n. 33 (47.467)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
venerdì 10 febbraio 2017
.
Il Papa condanna l’antisemitismo e ribadisce l’importanza dell’amicizia tra cattolici ed ebrei
Milioni di persone a rischio nei prossimi mesi
Insieme contro l’odio
In Nigeria
tragedia umanitaria
E nella messa a Santa Marta esalta il ruolo della donna per l’armonia del mondo
«L’atteggiamento antisemitico, che nuovamente
deploro, in ogni sua forma» è «contrario in tutto
ai principi cristiani e ad ogni visione che sia degna dell’uomo»: lo ha ribadito con forza Papa
Francesco ricevendo stamane, giovedì 9 febbraio,
una delegazione dell’Anti defamation league, organizzazione ebraica statunitense che ha rapporti
con la Santa Sede dai tempi del concilio Vaticano
II.
«Il nostro incontrarci — ha detto il Pontefice
nel suo discorso — è un’ulteriore testimonianza,
oltre che dell’impegno comune, della forza benefica della riconciliazione, che risana e trasforma le
relazioni. Per questo rendiamo grazie a Dio — ha
proseguito — che certamente si rallegra vedendo
l’amicizia sincera e i sentimenti fraterni che oggi
animano Ebrei e Cattolici». Un elogio dunque
della «cultura dell’incontro e della riconciliazione» che «genera vita e produce speranza» quello
fatto da Papa Francesco, il quale ha invece messo
in guardia dalla «non-cultura dell’odio» che «semina morte e miete disperazione». E in proposito
ha ricordato la visita compiuta lo scorso anno al
campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, quando di fronte agli «orrori della crudeltà e del peccato» ha pregato «perché tali tragedie non si ripetano. Per questo continuiamo ad aiutarci gli uni
gli altri» ha auspicato Francesco riprendendo il
severo monito di Giovanni Paolo II sull’«indicibile iniquità della Shoah» (12 marzo 1998). Solo così, ha continuato il Pontefice, è possibile costruire
«un futuro di autentico rispetto per la vita e per
la dignità di ogni popolo e di ogni essere umano»
Il dialogo del 25 novembre scorso con l’Usg
La Chiesa
deve rimanere in uscita
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E
soprattutto in questa epoca in cui «purtroppo,
l’atteggiamento antisemitico è ancora diffuso».
Anche perché, ha chiarito, «oggi più che in
passato, la lotta all’antisemitismo può fruire di
strumenti efficaci, come l’informazione e la formazione». E in proposito il Papa ha ringraziato l’organizzazione per la sua opera e perché accompagna «al contrasto della diffamazione l’impegno ad
educare, a promuovere il rispetto di tutti e a proteggere i più deboli». In particolare, ha spiegato,
«custodire il sacro tesoro di ogni vita umana, dal
concepimento sino alla fine, tutelandone la dignità, è la via migliore per prevenire ogni forma violenta. Di fronte alla troppa violenza che dilaga
nel mondo, siamo chiamati a un di più di nonviolenza, che non significa passività, ma promozione
attiva del bene». Del resto, «se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi; solo così si potranno raccogliere frutti di pace». Da qui l’incoraggiamento conclusivo del Papa a promuovere insieme la cultura e a «favorire
dovunque la libertà di culto, anche proteggendo i
credenti e le religioni da ogni manifestazione di
violenza e strumentalizzazione» come «migliori
antidoti contro l’insorgere dell’odio».
In precedenza, durante la celebrazione della
messa mattutina nella cappella di Santa Marta, il
Papa aveva innalzato un vero e proprio inno alle
donne, scaturito dalla riflessione sulle letture del
giorno. «Per capire una donna — ha detto — bisogna prima sognarla»: ecco perché la donna è «il
grande dono di Dio», capace di «portare armonia
nel creato». Tanto che, ha confidato con un tocco
di poetica tenerezza, «a me piace pensare che Dio
ha creato la donna perché tutti noi avessimo una
madre».
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Turchia e Stati Uniti pronti a intensificare le azioni per liberare dall’Is la città siriana
Obiettivo Raqqa
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DAMASCO, 9. «I nostri uomini e i ribelli siriani hanno ottenuto importanti risultati, anche grazie al supporto aereo della coalizione internazionale a guida statunitense. Consolidato il controllo di Al Bab ci concentreremo su Raqqa, per prendere
la quale potremmo impiegare le nostre forze speciali». Queste le parole
usate dal ministro degli esteri turco,
Mevlüt Çavuşoğlu, oggi, per descrivere la situazione militare in Siria e
gli sforzi militari in atto e la rinnovata cooperazione con Washington.
Con la conquista di Al Bab, città
nella provincia di Aleppo prima controllata dal cosiddetto stato islamico
(Is), le forze turche insieme ai ribelli
hanno compiuto un fondamentale
passo in avanti e ora puntano alla liberazione di Raqqa, ultima roccaforte jihadista in territorio siriano.
Le parole di Çavuşoğlu arrivano a
poche ore dal colloquio tra il presi-
Bambini sfollati in fuga da Raqqa (Reuters)
dente turco, Recep Tayyip Erdoğan,
e il presidente statunitense, Donald
Trump. Un colloquio importante,
nel quale i due leader hanno sottolineato la volontà di superare gli attriti degli ultimi anni, dovuti principalmente al sostegno statunitense alle
forze curde impegnate nella lotta
all’Is e al rifiuto della Casa Bianca
di permettere l’estradizione di Fethullah Gülen, l’ex imam in esilio
proprio negli Stati Uniti, considerato da Ankara la “mente” del fallito
golpe del 15 luglio.
«Nella lotta all’Is, noi coopereremo con gli Stati Uniti. Crediamo
che d’ora in poi la lotta sarà più efficace e che riusciremo a liberare sia
la Siria che l’Iraq» ha detto Çavuşoğlu. Nel corso del colloquio con
Erdoğan, Trump ha «ribadito il sostegno degli Stati Uniti alla Turchia
come partner strategico e alleato Nato e ha lodato il contributo della
Turchia alla campagna contro l’Is»
riporta una nota della Casa Bianca.
I due leader hanno parlato anche
delle strette relazioni tra i due paesi
e del loro «impegno comune a combattere il terrorismo in tutte le sue
forme». E a conferma della rinnovata cooperazione, il direttore della
Cia, Mike Pompeo, si recherà in
Turchia oggi per il suo primo viaggio all’estero da quando ha assunto
l’incarico e da quando si è insediato
Trump. L’obiettivo prioritario —
spiegano gli analisti — è quello di
raggiungere una nuova intesa per allargare e rafforzare la tregua in atto
in diverse regioni siriane.
Sul piano militare, come detto, i
combattimenti si concentrano ormai
nell’area di Raqqa. Pesanti scontri
sono stati registrati ieri tra i jihadisti
dell’Is e le forze curde legate ai ribelli siriani, a soli venti chilometri a
nord dalla città. I curdi hanno attaccato le postazioni Is nel villaggio di
Maayzila, martellato anche dai raid
di tre cacciabombardieri della coalizione internazionale a guida statunitense.
Intanto, è di 46 vittime, tra cui 10
minori e 11 donne, il pesante bilan-
cio dei raid aerei compiuti nelle ultime 24 ore nella regione di Idlib, zona fuori dal controllo governativo e
non compresa nella tregua.
È di nove civili rimasti uccisi invece il bilancio degli scontri armati a
Homs. I combattimenti si concentrano a Waar, un sobborgo fuori
dal controllo governativo e assediato
da oltre tre anni. A Waar ci sono
diverse sigle delle opposizioni armate, tra cui membri dell’ala qaidista
siriana.
Campo del Programma alimentare mondiale in Nigeria (Afp)
ABUJA, 9. Tragedia annunciata in
Nigeria. L’Onu denuncia per i
prossimi mesi «condizioni catastrofiche» per oltre 120.000 cittadini e
carenze alimentari per 11 milioni di
persone, a causa del persistere delle
violenze di Boko Haram, che sparge terrore dal 2014. In questi anni
gli estremisti hanno ucciso circa
20.000 persone, oltre ad aver provocato più di due milioni di sfollati. Il governo prosegue la sua battaglia contro il gruppo ma le violenze continuano.
Il rapporto, della Food and
Agriculture Organization (Fao),
prevede che «la più grave crisi
umanitaria in Africa, nel nord-est
della Nigeria, si aggraverà tra
giugno e agosto». Le tendenze — si
legge nel rapporto — mostrano che
la sicurezza alimentare e nutrizionale sta sempre più venendo
meno».
Agenzie dell’Onu hanno già avvertito nei mesi scorsi che molti
bambini stanno morendo e che oltre 500.000 persone potrebbero andare incontro alla morte se non riceveranno aiuti. La malnutrizione
colpisce almeno 400.000 minori
nelle zone dove più alto è il livello
di conflittualità.
Nei tre stati più colpiti, Borno,
Yobe e Adamawa, le attività agricole sono state interrotte e i raccolti
distrutti, le riserve di cibo sono
esaurite e spesso vengono saccheg-
Alla comunità della Civiltà Cattolica
Ponte e frontiera
giate, il bestiame viene ucciso o abbandonato.
Si tratta delle zone dove il gruppo terrorista Boko Haram imperversa da anni. Nel 2009 è stato catturato e giustiziato il fondatore di
Boko Haram, Mohammed Yusuf,
ma il gruppo non ha perso potere
e ha installato basi anche in paesi
limitrofi come il Ciad, il Niger e il
Camerun.
L’impatto sui bambini è già devastante. Se la situazione non cambia, nel prossimo anno la maggior
parte dei minori che già soffrono
di malnutrizione saranno in una
condizione acuta grave che li
esporrà alla morte.
In particolare nel Borno, dove i
combattimenti sono diventati terribilmente violenti, il 75 per cento
delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie e il 30 per cento di tutte le strutture sanitarie sono state
distrutte, saccheggiate o danneggiate. Nello stato di Borno è nato
il gruppo Boko Haram, che ha
l’obiettivo di combattere tutto ciò
che è occidentale e di ripristinare
una sharia senza compromessi con
la modernità.
È emergenza umanitaria anche
nel sud est del Niger, zona di confine con la Nigeria, dove si riversano centinaia di migliaia di persone
che subiscono le conseguenze del
conflitto tra Boko Haram e le forze
armate della Nigeria. Nonostante
gli sforzi delle organizzazioni umanitarie, non c’è una risposta soddisfacente alle sofferenze della gente
e alla carenza di cibo.
Oltre agli attacchi delle milizie
jihadiste dei Boko Haram, il paese
soffre la recessione dovuta alla crisi
dei prezzi del greggio.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza Padre
Arturo Sosa Abascal, S.I., Preposito Generale della Compagnia di Gesù; con Padre Antonio Spadaro, S.I., Direttore de
«La Civiltà Cattolica».
Nomina
di Vescovo Ausiliare
Andrea Pozzo, «Gloria di sant’Ignazio»
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Il Santo Padre ha nominato
Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Hamburg (Repubblica
Federale di Germania) Monsignor Horst Eberlein, del clero
della medesima Arcidiocesi, finora Prevosto di Sankt Anna a
Schwerin e Canonico non-residente del Capitolo Metropolitano, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tisedi.
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venerdì 10 febbraio 2017
Il presidente statunitense
Donald Trump (Ansa)
Cessato l’allarme nell’impianto di Flamanville
Paura in Francia per un incendio
in una centrale nucleare
PARIGI, 9. Cessato allarme a Flamanville, nel nord della Francia, dopo l’esplosione e il successivo incendio avvenuti questa mattina nella
centrale nucleare della compagnia
Edf (Électricité de France), prima
produttrice di energia nel Paese.
In un comunicato Edf ha fatto
sapere che l’incendio è scoppiato alle ore 8.40 locali, nell’impianto del
reattore 1 in una zona definita «non
nucleare». Il reattore è stato subito
spento per precauzione. La compagnia ha aggiunto che «l’incendio è
Il sito della centrale di Flamanville (Ansa)
Trump scrive al presidente cinese
Per una relazione
costruttiva
WASHINGTON, 9. Una «costruttiva
relazione». È quanto auspica Donald Trump tra Stati Uniti e Cina,
in un messaggio inviato a Xi Jinping. E da Pechino il presidente cinese risponde che «la cooperazione
è l’unica scelta corretta».
Il presidente statunitense ha scritto al suo omologo cinese Xi Jinping, ringraziandolo per la missiva
ricevuta in occasione dell’inaugurazione del suo mandato. Trump ha
detto a Xi di «non vedere l’ora di
lavorare insieme e sviluppare una
costruttiva relazione a beneficio di
Stati Uniti e Cina».
La prima risposta è arrivata dal
ministero degli esteri cinese. Il portavoce ha dichiarato: «La Cina attribuisce grande rilievo alle relazioni
Superati gli emendamenti più insidiosi alla camera dei comuni
Rete di tangenti coinvolge diversi paesi sudamericani
Passo decisivo
verso l’avvio della Brexit
Dilaga
il caso Odebrecht
LONDRA, 9. La premessa per la Brexit c’è tutta. Alla camera dei comuni
si è chiusa ieri la pratica della Legge
di notifica del ritiro dall’Unione europea (European Union Notification
of Withdrawal Bill) che rappresenta
proprio il primo passo per l’avvio
formale del negoziato di divorzio da
Bruxelles. Il voto di ieri ha approvato il testo che passa ora alla camera
dei lord, ma lo scoglio più difficile
erano alcuni emendamenti che l’opposizione aveva presentato e che,
invece, sono stati bocciati dalla
maggioranza.
Nuove
forti tensioni
al Comune
di Roma
ROMA, 9. Nuove forti tensioni si
sono registrate ieri al Comune di
Roma, dove l’assessore all’Urbanistica, Paolo Berdini, ha presentato le dimissioni al sindaco Raggi, che le ha respinte «con riserva». La decisione dell’assessore
era arrivata dopo che il quotidiano «La Stampa» aveva pubblicato alcune sue dichiarazioni, fatte
nel corso di un colloquio con un
giornalista, fortemente critiche
nei confronti della stessa Raggi,
definita «strutturalmente impreparata» e colpevole di essersi circondata di una «banda», e contenenti pesanti insinuazioni sulla
sua vita privata. Nonostante una
prima smentita, Raggi ha comunque preteso da Berdini un chiarimento, che è avvenuto appunto
nel corso dell’incontro nel quale
l’assessore ha rimesso il suo mandato nelle mani del sindaco.
Raggi ha comunicato di aver respinto le dimissioni in considerazione delle molte questioni nelle
quali
in
questo
momento
l’assessorato all’Urbanistica è impegnato.
Nella tarda serata di ieri, poi,
il sito in rete dello stesso quotidiano ha pubblicato la registrazione audio contenente tutte le
dichiarazioni dell’assessore.
Si fa sempre più concreta la possibilità che a marzo il premier Theresa May faccia scattare, come previsto, la procedura invocando l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona. Il
testo base del governo è stato confermato in terza e ultima lettura con
uno schiacciante voto favorevole
(494 a 122). Per il governo conservatore britannico, orientato verso un
taglio netto con l’Ue — mercato unico incluso — è stato un passaggio
decisivo.
A votare contro sono stati tutti i
rappresentanti del Partito nazionale
scozzese (Snp) e il piccolo gruppo
europeista dei liberal democratici
guidati da Tim Farron, i Libdem,
oltre a pochi Labour.
Ora la palla passa alla House of
Lords, la camera dei non eletti, al
cui interno la Brexit non è sicuramente popolare. Ma in caso di modifiche inserite dai lord, la parola
dovrà tornare alla camera bassa, dove i giochi, alla luce dei numeri di
questi giorni, sembrano fatti.
Già la prima approvazione del testo nella lettura introduttiva della
settimana scorsa aveva tracciato la
strada. E nel terzo voto è stata determinante la bocciatura (326 no,
293 sì) di una proposta chiave laburista che avrebbe obbligato il governo a sottoporsi a un nuovo scrutinio
vincolante di Westminster sui contenuti dell’accordo con Bruxelles, dopo i due anni negoziali previsti. A
fine percorso il voto a Westminster
ci sarà di nuovo, ha promesso con
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un impegno verbale May, ma sarà
un pronunciamento che licenzia o
no l’accordo e non un dibattito che
potrà cambiare qualcosa.
Erano pochi i Tory disposti a votare a favore dell’emendamento. Tra
i Labour non sono mancate le spaccature, ma ha prevalso la linea di
non ostruzionismo indicata dal leader Jeremy Corbyn, in nome del rispetto della volontà popolare
espressa nel referendum del 23 giugno 2016. Anche se le perplessità
sono state espresse da figure di primo piano della sinistra, come Clive
Lewis e Diane Abbott, critici nei
confronti della linea scelta da Corbyn.
È stato bocciato anche l’emendamento che mirava a fissare per
iscritto a priori gli impegni del governo a tutelare anche in futuro i
cittadini Ue residenti nel paese. A
questo proposito, nel question time
ieri pomeriggio, May ha ribadito
che tutti i diritti dei cittadini
dell’Ue saranno garantiti a patto
che vi sia «reciprocità» per i cittadini britannici, i cosiddetti «british
expats».
Intanto, oggi Theresa May riceve
il presidente del consiglio dei ministri italiano, Paolo Gentiloni. La visita era prevista a gennaio ma a causa del malore che ha costretto Gentiloni al ricovero in ospedale è stata
rimandata. Tra i temi, non c’è solo
la Brexit ma anche questioni di rilievo internazionale come, ad esempio, la situazione in Libia.
BRASÍLIA, 9. «Uno tsunami di corruzione che coinvolge tutta l’America latina». Il titolo della prima
pagina di «El País» del 9 febbraio
lascia poco spazio all’immaginazione. Proprio come uno tsunami,
la maxi-inchiesta sulla rete di tangenti legate al colosso brasiliano
delle costruzioni Odebrecht si sta
allargando a tutta la regione sudamericana, con risvolti politici a dir
poco inquietanti.
Odebrecht, con la sua controllata petrolchimica Braskem, è la prima multinazionale edilizia e ingegneristica dell’intero subcontinente. Queste due aziende «usavano
un’occulta ma altamente funzionale unità di business che sistematicamente pagava centinaia di milioni di dollari a corrotti funzionari
governativi» si legge in un comunicato del dipartimento di giustizia
statunitense, che lavora al caso insieme alla magistratura brasiliana.
La rete di corruzione si estende
anche alla Colombia, dove oltre
quattro milioni di dollari sarebbero
stati versati dalla multinazionale a
un senatore per ricevere in cambio
favori. Secondo «El País», almeno
un milione di dollari potrebbe essere finito nella campagna per la
rielezione, nel 2014, del presidente
Juan Manuel Santos. Questi, premio Nobel per la pace 2016, ha
negato qualsiasi coinvolgimento
nel caso e ha chiesto che venga
fatta luce il prima possibile.
Il governo romeno
va avanti malgrado le proteste
BUCAREST, 9. Il governo romeno resta in carica, nonostante l’ondata di
proteste contro la corruzione.
Il parlamento ha infatti respinto
ieri la mozione di sfiducia presentata dal centrodestra contro l’esecutivo, guidato dal premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, che negli
ultimi giorni è stato contestato con
forza dalla piazza per avere presentato un contestato decreto — poi ritirato — sulla depenalizzazione
dell’abuso di ufficio e di altri reati
di corruzione. La mozione non ha
ottenuto i 233 voti necessari a co-
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sotto controllo, non vi sono vittime
e non esiste alcun rischio di contaminazione ambientale». Poco dopo
la pubblicazione del comunicato
dell’azienda, la locale prefettura ha
dichiarato «conclusa l’emergenza».
Sono state dunque confermate le
rassicurazioni precedentemente diffuse da Olivier Marmion, direttore
di gabinetto della prefettura della
Manica, che aveva parlato di «cinque persone lievemente intossicate»
ma nessun ferito in modo grave.
In un primo momento i vigili del
fuoco accorsi avevano parlato di
un’esplosione e di un incendio «nel
cuore della centrale», forse causato
da un corto circuito in sala macchine, ma «fuori dalla zona dove si
trovano i reattori» stando alle prime
dichiarazioni.
I due reattori della centrale, ciascuno da 1300 megawatt, sono stati
costruiti nel 1980. La Edf sta erigendo nel sito un terzo reattore, anche
in questo caso in un’area estranea
all’incidente.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Tredici arresti per terrorismo
in Belgio e in Germania
stringere Grindeanu a rassegnare le
dimissioni.
Prima della votazione in parlamento, il primo ministro ha detto
che il suo governo «ha degli obblighi nei confronti del popolo, che gli
ha dato fiducia in occasione delle
elezioni» legislative dell’11 dicembre
scorso.
Intanto, le manifestazioni di protesta continuano a Bucarest e nelle
principali città romene, sia pure con
una partecipazione minore rispetto
alla scorsa settimana.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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C’è anche l’Argentina nel mirino
delle indagini. Negli ultimi anni
Odebrecht avrebbe versato almeno
35 milioni di dollari a funzionari
del governo per ottenere gli appalti su importanti progetti infrastrutturali. E infatti l’azienda ottenne
contratti per l’ampliamento di gasdotti in quindici province. Nel giro di mazzette sarebbero coinvolti
alcuni alti funzionari.
Il giro più consistente di tangenti riguarda però il Venezuela.
Nel paese di Nicolás Maduro —
secondo la giustizia statunitense —
gli emissari della Odebrecht avrebbero versato fino a 98 milioni di
dollari per rafforzare i contatti con
le principali imprese pubbliche. Lo
scopo: ottenere informazioni confidenziali su progetti e appalti.
Il Perú è sicuramente il paese in
cui lo scandalo ha avuto le ripercussioni più gravi con tre ex presidenti coinvolti, oltre agli annessi
collaboratori. Secondo le accuse,
Odebrecht avrebbe in un occasione pagato 20 milioni per ottenere
appalti di progetti infrastrutturali.
Basti pensare che il costo dell’autostrada tra Perú e Brasile è aumentato in poco tempo da 800
milioni a 2,3 miliardi di dollari.
Finora Odebrecht ha accettato
di pagare una multa di 3500 milioni di dollari. Le conseguenze politiche del caso sono però ancora
tutte da calcolare.
BRUXELLES, 9. La polizia belga ha
fermato ieri undici persone a Bruxelles nell’ambito di una vasta
operazione dell’antiterrorismo legata agli jihadisti tornati dalla Siria. I fermi, ha reso noto un comunicato della procura federale, sono
giunti durante nove perquisizioni
condotte in diversi quartieri della
capitale belga. Non sono stati trovati esplosivi o armi. La procura,
riferisce il sito di «Le Soir», ha
spiegato che si tratta di un’operazione distinta dalle inchieste sugli
attentati di Bruxelles e Parigi.
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Un algerino e un nigeriano sono
invece stati arrestati in Germania
con l’accusa di pianificare un attentato. I due — catturati a Göttingen, in Bassa Sassonia — sono stati
definiti dall’intelligence «pericolosi
e pronti a commettere in qualsiasi
momento atti di terrorismo».
Un operaio italiano originario
dell’Albania di 35 anni, residente
nel barese, è stato fermato stamane
con l’accusa di inneggiare al cosiddetto stato islamico (Is). Sul pc e
sullo smartphone aveva condiviso
video di azioni terroristiche.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
con gli Stati Uniti e apprezziamo
molto gli auguri fatti dal presidente
Donald Trump al presidente Xi Jinping e al popolo cinese». Trump nel
suo messaggio ha espresso gli auguri e il buon auspicio per il Capodanno lunare, la principale festività
cinese. E da Pechino hanno sottolineato che è maturata «una stretta
comunicazione» dopo l’insediamento di Trump del 20 gennaio e che la
cooperazione è «l’unica scelta corretta».
Sul piano delle relazioni internazionali, il nuovo segretario di stato,
Rex Tillerson, ha incontrato ieri i
ministri degli esteri di Messico e
Canada, rispettivamente Luis Videgaray e Chrystia Freeland, cioè a dire le controparti dei paesi partner
del Nafta, l’accordo di libero scambio che il presidente Trump ha annunciato di voler rinegoziare.
Trump ha ventilato la possibilità di
imporre tariffe sull’import di prodotti negli Stati Uniti da questi Paesi oltre a reclamare che siano i messicani a pagare per il muro al confine. La Freeland, durante una conferenza stampa al dipartimento di
Stato dopo l’incontro con Tillerson,
ha messo in chiaro che Ottawa «risponderà in modo appropriato» se
gli Stati Uniti decideranno di tassare i prodotti canadesi. Il capo della
diplomazia messicana ha ribadito
quanto asserito dal presidente Enrique Peña Nieto, escludendo che il
Messico pagherà per il muro con gli
Stati Uniti anti-immigrati e che la
questione «non è negoziabile».
Intanto, per quanto attiene alle
questioni interne degli Stati Uniti,
Jeff Sessions è il nuovo ministro
della giustizia. Il senato lo ha confermato con 52 voti a favore e 47
contrari, al termine di un dibattito
acceso. Sessions è un conservatore,
particolarmente contrario all’aborto.
Durante la sua audizione sono stati
arrestati due membri del Ku Klux
Klan e allontanati due afroamericani che lo contestavano. All’audizione, Sessions ha detto di capire
«l’impatto che nella storia la discriminazione sistematica e la negazione dei diritti di voto ha avuto sugli
afroamericani».
Sciopero
della polizia militare
brasiliana
BRASILIA, 9. Resta critica la situazione in tutto il Brasile a causa dello sciopero della polizia militare,
proclamato sabato scorso. Sono almeno 87 i morti registrati ieri a Vitória, capitale dello Stato di Espírito
Santo, a causa delle proteste e dei
disordini. L’assenza degli agenti —
dicono i testimoni locali — ha scatenato bande di criminali che hanno
assaltato centri commerciali e negozi
e hanno causato un’ondata di omicidi. Tali gravi atti di violenza sono
proseguiti
nonostante
l’arrivo
dell’esercito nella città, che si trova
sull’oceano Atlantico a nord di Rio
de Janeiro. Scuole e università sono
chiuse, così come gran parte delle
attività commerciali. Nelle ultime
ore hanno ripreso a funzionare alcune linee di trasporto pubblico, ma
la situazione resta tesa.
All’origine delle agitazioni della
polizia vi sono rivendicazioni salariali. Stando a quanto riporta la
stampa locale, i poliziotti, inquadrati secondo uno status militare, ufficialmente non possono scioperare,
ma i loro familiari hanno bloccato
le caserme, impedendo a chiunque
di entrare e uscire. I rappresentanti
sindacali della polizia e i familiari
hanno chiesto un incontro con il
governatore dello stato, Paulo César
Hartung, per cercare di avviare il
dialogo.
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I seguaci di Moqtada Al Sadr
durante le manifestazioni a Baghdad (Ap)
Rappresaglia al lancio di razzi dal Sinai
BAGHDAD, 9. Migliaia di sciiti iracheni sono scesi di nuovo in piazza
ieri a Baghdad, rispondendo all’appello del loro leader, Muqtada Al
Sadr, per sollecitare le riforme politiche e protestare contro il dilagante
fenomeno della corruzione. Le manifestazioni antigovernative si sono
svolte senza incidenti. In precedenza
— ha riferito una fonte parlamentare
alla emittente televisiva irachena Al
Sumaria — la sede del parlamento
era stata fatta sgomberare.
La decisione di procedere a un
programma di riforme — rilevano gli
analisti politici — era stata promessa
dal primo ministro, Haider Al Abadi, nel 2015, a seguito di una serie di
manifestazioni e proteste con l’obiettivo di combattere la corruzione,
particolarmente diffusa nei vari apparati governativi del paese.
Anche se Al Sadr non ha incarichi
di governo, da anni ha un ampio seguito popolare ed è considerato una
delle personalità più importanti
dell’Iraq. Dopo l’invasione americana del 2003, Al Sadr guidò un’insurrezione contro le forze occupanti e
contro l’allora governo provvisorio.
Tra il 2003 e il 2008 le sue milizie —
il cosiddetto “esercito del Mahdi” —
si scontrarono spesso con l’esercito
statunitense e quello regolare iracheno. Nel 2008 Al Sadr sciolse la milizia trasformandola in un partito politico, il Movimento sadrista, al quale appartengono trentadue parlamentari dell’attuale legislatura.
Raid israeliani
sulla striscia di Gaza
Per le riforme e contro la corruzione
Manifestazioni antigovernative
a Baghdad
Intanto, i combattimenti a Mosul
non si fermano. Almeno venti jihadisti del cosiddetto stato islamico
(Is) sono stati uccisi ieri nel corso di
una battaglia contro la milizia sciita
delle Pmu, le filo-governative Unità
di mobilitazione popolare, protrattasi per alcune ore intorno al villaggio
di Hayef, a sudovest di Mosul. Lo
hanno reso noto in un comunicato
le stesse Pmu, secondo cui i jihadisti
hanno lanciato due distinti attacchi
ma, grazie anche all’intervento delle
truppe regolari irachene, sono stati
respinti in entrambe le occasioni.
Tra le vittime anche quattro uomini dell’Is che indossavano cinture
esplosive, molto probabilmente destinate ad attentati suicidi con i quali aprire la strada ai complici. Distrutti tre blindati.
Varie formazioni paramilitari sciite e sunnite sono coinvolte da mesi
nell’offensiva
per
riconquistare
Mosul, ma è loro vietato entrarvi direttamente. Alle Pmu spetta, in particolare, la liberazione dei distretti
che si estendono a occidente rispetto alla città contesa.
In città rimane grave la situazione
dei civili. Il generale iracheno Kazim Al Maksusi, parlando con
l’agenzia di stampa turca Anadolu,
ha dichiarato che i terroristi dell’Is
hanno ucciso a sangue freddo 20
uomini che cercavano di fuggire da
Mosul. Altri 55 civili sono invece
riusciti a scappare da Mosul ovest,
verso aree orientali riconquistate
dall’esercito iracheno.
TEL AVIV, 9. Due palestinesi sono
stati uccisi e altri cinque feriti in alcuni raid aerei condotti nella notte
dall’esercito israeliano a sud della
striscia di Gaza, al confine con
l’Egitto. I bombardamenti sono stati una risposta al lancio di razzi avvenuto ieri sera dalla vicina penisola del Sinai. Gli ordigni hanno colpito la città di Eilat. Almeno tre sono stati intercettati dal sistema di
difesa Iron Dome. Questa mattina
è arrivata anche la rivendicazione
dei razzi da parte di una branca
egiziana del cosiddetto stato islamico (Is). Sull’attendibilità della rivendicazione, tuttavia, non c’è consenso tra gli analisti.
Intanto, non si ferma la polemica
sul provvedimento israeliano, approvato dalla Knesset, che ha introdotto una sanatoria per circa 4000
case in diversi insediamenti ebraici
in Cisgiordania. Varie organizzazioni non governative hanno fatto ricorso ieri alla Corte suprema israeliana chiedendo la bocciatura del
provvedimento perché contrario al
diritto internazionale. Una mossa
seguita dall’intervento del presidente palestinese, Mahmoud Abbas,
che da Parigi ha minacciato di sospendere la cooperazione sulla sicurezza con Israele se questi continuerà ad andare avanti nella costru-
zione degli insediamenti. «Siamo
impegnati sulla strada della pace e
della sicurezza — ha detto Abbas
parlando nel senato francese — ma
c’è un limite» e se Israele va avanti
con gli insediamenti «abbiamo già
delle decisioni per sospendere la
cooperazione sulla sicurezza, ma ne
ho bloccato l’applicazione finora».
Nel ricorso alla corte le ong affermano che la legge non solo contrasta con il diritto internazionale e
umanitario, ma è anche incompatibile con lo stesso sistema legale
israeliano. Quella legge — sostengono — viola gravemente il diritto di
proprietà dei palestinesi residenti in
Cisgiordania. «Questi — si legge
nel testo del ricorso — si trovano alla mercé altrui, privi di difese legali
ed esposti al rischio di essere privati
delle loro proprietà. Lo scopo dichiarato ed evidente della legge è la
volontà di preferire gli interessi di
un gruppo», ovvero il movimento
dei coloni.
Sulla sanatoria c’è stato un lungo
e complesso dibattito politico, anche all’interno del governo israeliano. Non sono stati pochi i commentatori a sottolineare che il provvedimento, per la prima volta nella
storia, applica la legge civile israeliana all’interno dei Territori palestinesi.
Sospese le attività dopo l’uccisione di sei operatori
Le Nazioni Unite chiedono due miliardi di dollari per fronteggiare la carestia nello Yemen
Croce rossa sotto attacco
in Afghanistan
Dodici milioni di vite a rischio
KABUL, 9. Il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha
deciso di sospendere le sue attività
in Afghanistan dopo l’uccisione di
sei suoi operatori avvenuta ieri nella provincia settentrionale di Jawzjan. Lo ha annunciato lo stesso Cicr, sottolineando la necessità che
venga fatta luce su quanto accaduto
prima di riprendere le operazioni.
Secondo il governatore della provincia, Mawlawi Lutfullah Azizi, gli
operatori sarebbero stati attaccati
da sospetti miliziani affiliati al cosiddetto stato islamico (Is) mentre
erano al lavoro nel distretto di Qushtepa. «Confermiamo che sei operatori del Cicr sono stati uccisi e
due sono dispersi», ha riferito la
Croce Rossa in un tweet nel quale
si dice «scioccata e devastata»
dall’accaduto. Il governatore, citato
dall’agenzia Dpa, ha precisato che i
corpi dei sei operatori sono stati recuperati grazie alla mediazione di
leader tribali locali e che è in corso
un’operazione per ritrovare i due
dispersi. Circa un mese fa un operatore spagnolo della Croce Rossa è
stato rapito nella provincia settentrionale di Kunduz e liberato dopo
19 giorni di prigionia.
E intanto, la Casa Bianca ha condannato nei termini più forti l’attentato suicida alla Corte Suprema
di Kabul che ha causato venti morti
e ha ribadito l’appoggio statunitense al governo afghano.
Sempre nella giornata di ieri almeno due anziani tribali sono morti
e un agente di sicurezza è rimasto
ferito in un altro attentato suicida
realizzato nella provincia orientale
di Paktia. Qadir Gul Zadran, capo
della polizia provinciale, ha precisato che l’attentatore ha cercato di
entrare nel distretto di Dand-e-Patan in un edificio dove era in corso
una riunione di anziani tribali. «I
servizi di sicurezza — ha ancora detto Zadran — hanno identificato
l’aggressore all’ingresso dell’edificio
ma questo è riuscito ad attivare la
carica esplosiva».
SANA’A, 9. Le Nazioni Unite chiedono oltre due miliardi di dollari per
evitare l’esplodere di una terribile
carestia nello Yemen e per fornire cibo e altre forme di assistenza salvavita a dodici milioni di persone.
«La situazione nel paese è catastrofica e in rapido deterioramento»
ha detto il coordinatore umanitario
dell’Onu, Jamie McGoldrick. «Quasi 3,3 milioni di persone, tra cui 2,1
milioni di bambini, soffrono di malnutrizione acuta». Secondo i dati
diffusi dall’Onu, a causa del conflitto in corso nel paese 19 milioni di
yemeniti, pari a oltre i due terzi della popolazione, hanno bisogno di
assistenza e protezione immediate.
Inoltre, l’Unicef ha precisato che
l’anno scorso sono morti circa
63.000 bambini nel Paese per cause
prevenibili.
Il conflitto yemenita vede opporsi
due schieramenti: i ribelli huthi sostenuti dalle milizie fedeli all’ex presidente Saleh e la coalizione a guida
saudita alleata del presidente Hadi,
riconosciuto dalla comunità internazionale. Al Qaeda e il cosiddetto
stato islamico (Is) hanno approfitta-
L’Onu accusa il Myanmar
Oltre mille rohingya uccisi in pochi mesi
NAYPYIDAW, 9. Nuovo atto di accusa
dell’Onu al Myanmar sulla vicenda
dei rohingya, la minoranza etnica
musulmana discriminata. Da quando, nell’autunno scorso, è iniziata
una vasta offensiva militare, oltre
mille rohingya sono stati uccisi. Lo
hanno confermato ieri all’agenzia di
stampa Reuters due alti funzionari
del Palazzo di Vetro, precisando che
potrebbe trattarsi di cifre sottostimate, e che, quindi, le vittime sarebbero
molte di più.
D all’inizio delle operazioni militari contro i rohingya nella parte settentrionale dello stato occidentale di
Rakhine, oltre 70.000 persone sono
state costrette a fuggire. Il portavoce
presidenziale del Myanmar Zaw
Htay, interpellato dalla stessa Reuters, ha dichiarato che sulla base dei
rapporti dei comandanti militari che
operano nella zona, le vittime sarebbero non più di cento, uccise in
un’operazione di contrasto alla guerriglia, seguita a un attacco di non
meglio specificati militanti rohingya
contro un posto di polizia, lo scorso
ottobre.
Musulmani, di lingua affine al
bengalese, i rohingya sono più di un
milione e vivono nel nord dello stato
occidentale di Rakhine. Le organizzazioni umanitarie denunciano la
privazione di ogni loro diritto, e la
grande maggioranza della popolazione del Myanmar li considera immigrati irregolari provenienti dal vicino
Bangladesh. Il governo di Naypyidaw li accusa di avere prodotto una
milizia terrorista.
In autunno è iniziata l’operazione
militare che, secondo un recente rapporto dell’Unhcr, l’agenzia Onu per
i rifugiati, si configura come una vera e propria pulizia etnica. Quello
dei rohingya rischia di essere il tallone d’Achille della giovane democra-
zia del Myanmar. Un macigno sulle
spalle anche del Nobel per la pace e
ministro degli esteri, Aung San Suu
Kyi, che sulla vicenda è rimasta a
lungo in silenzio, prima di dichiarare, il mese scorso, che avrebbe fatto
«indagini».
E già ai ferri corti per la vicenda
dei rohingya, Myanmar e Bangladesh hanno inasprito le tensioni frontaliere. Secondo fonti governative di
Dacca riprese dall’agenzia Afp, una
sparatoria da parte del Myanmar si
sarebbe verificata sulla linea di confine segnata dal fiume Naf e avrebbe
causato la morte di un pescatore
bengalese. È la seconda volta in poche settimane — rilevano gli analisti
politici — che soldati del Myanmar
aprono il fuoco su pescatori del paese confinante. Il ministro degli esteri
di Dacca, in una nota ufficiale, ha
espresso «profonda preoccupazione»
per quanto accaduto.
to del caos per estendere la propria
influenza in particolare nel sud e nel
sud-est del paese. A ciò si aggiungono i combattimenti tra i gruppi tribali locali.
Il conflitto ha causato finora oltre
seimila morti, 2,5 milioni di sfollati,
abusi, crimini di guerra. Ospedali,
scuole, fabbriche e campi profughi
sono stati bombardati. Oltre mille
bambini — stando ai dati delle Nazioni Unite — sono stati uccisi nei
raid e oltre 740 nei combattimenti.
Tutto questo nel più completo oblio
da parte dei principali media internazionali.
Intanto, ieri il governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen
ha negato di aver chiesto agli Stati
Uniti di sospendere le loro operazioni nel paese dopo un raid contro
un gruppo di Al Qaeda in cui, il 28
gennaio scorso, erano morti anche
Auspicata
una svolta politica
nella crisi libica
NEW YORK, 9. «Stiamo cominciando
a vedere un crescente consenso tra le
parti. Il 2017 deve essere l’anno delle
decisioni e della svolta politica in Libia». Lo ha detto ieri sera l’inviato
speciale delle Nazioni Unite per la
Libia, Martin Kobler, durante una
riunione del Consiglio di sicurezza
sul Paese nordafricano.
«I libici non sono in grado di affrontare le cause profonde delle divisioni», ha ammonito Kobler, sottolineando che devono essere prese alcune decisioni importanti, anche riguardo a eventuali modifiche all’accordo
politico, su come formare un esercito
forte e forze di polizia, e sul modo
migliore per utilizzare i proventi delle
esportazioni di petrolio e gas a beneficio di tutta la popolazione e per
porre fine alla disastrosa situazione
umanitaria nel paese».
I membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno ribadito la loro «grave preoccupazione per
il traffico di migranti nel Mediterraneo, in particolare al largo delle coste
libiche, e hanno invitato tutte le parti
a migliorare l’accesso umanitario nel
paese»: è quanto è emerso al termine
della riunione del Consiglio. Inoltre, i
membri del Consiglio hanno riconosciuto una preoccupazione crescente
tra i libici per una soluzione politica
più inclusiva nel quadro dell’accordo
politico e condannato ogni forma di
violenza tra gruppi armati nel paese,
ribadendo la necessità di essere uniti
nella lotta contro il terrorismo.
diversi bambini e donne, oltre a un
militare statunitense.
Il ministro degli esteri yemenita,
Abdul Malik Al Mekhlafi, citato
dall’Associated Presse, ha precisato
che il suo governo «ha solo chiesto
un riesame congiunto dell’attacco
compiuto», ma allo stesso tempo lo
Yemen «continua a cooperare con
gli Stati Uniti e continua a rispettare gli accordi relativi alle operazioni
antiterrorismo».
Farmajo eletto
presidente della Somalia
Farmajo subito dopo l’annuncio dei risultati del voto (Afp)
MO GADISCIO, 9. La Somalia ha
un nuovo presidente. Sotto
stringenti misure di sicurezza, i
parlamentari hanno infatti eletto
ieri come capo dello stato l’ex
primo
ministro,
Mohamed
Abdullahi Farmajo. «Questa
vittoria rappresenta l’interesse
del popolo somalo. Questa vittoria appartiene al popolo somalo ed è l’inizio dell’era dell’unità
e della democrazia in Somalia e
l’inizio della lotta contro la corruzione», ha dichiarato a caldo
Farmajo. Il presidente uscente,
Hassan Sheikh Mohamud, ha
ammesso la sconfitta. Le votazioni si sono svolte in un clima
di grande tensione. Per motivi di
sicurezza, a causa del sempre
alto rischio attentati nel travagliato paese del corno d’Africa,
le due camere riunite del parlamento hanno svolto la sessione
di voto in un hangar dell’aeroporto internazionale di Mogadiscio, difeso da imponenti forze
di sicurezza e militari, che hanno
completamente circondato lo
scalo per prevenire azioni dei
terroristi islamici qaedisti di Al
Shabaab.
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 10 febbraio 2017
venerdì 10 febbraio 2017
Il colloquio del 25 novembre scorso tra Papa Francesco e l’Unione superiori maggiori
Lo scorso 25 novembre il Papa ha incontrato
nell’aula del Sinodo i membri dell’Unione
superiori maggiori riuniti per l’ottantottesima
assemblea generale sul tema «Andate e portate frutto. La fecondità della profezia» e dopo i saluti del presidente, il cappuccino
Mauro Jöhri, e del segretario generale, il
comboniano David Glenday, ha dialogato
per oltre due ore con i religiosi. Di seguito
pubblichiamo le domande e le risposte secondo la trascrizione che esce nel numero
4000 della Civiltà Cattolica.
Santo Padre, noi riconosciamo la sua capacità
di parlare ai giovani e di infiammarli per la
causa del Vangelo. Noi sappiamo anche del suo
impegno per avvicinare i giovani alla Chiesa;
per questo ha convocato il prossimo Sinodo dei
vescovi sui giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Quali motivazioni l’hanno spinta a
convocare il Sinodo sui giovani? Quali suggerimenti ci offre per raggiungere i giovani oggi?
Alla fine del Sinodo scorso ogni partecipante ha dato tre suggerimenti sul tema da
affrontare nel prossimo. Poi sono state consultate le Conferenze episcopali. Le convergenze sono andate su temi forti, quali gioventù, formazione sacerdotale, dialogo interreligioso e pace. Nel primo Consiglio post-sinodale è stata fatta una bella discussione. Io ero presente. Ci
vado sempre, ma non parlo.
Per me importante è ascoltare
davvero. È importante che io
ascolti, ma lascio che siano
loro a lavorare liberamente.
Che cosa si aspetta dalla
vita religiosa nella preparazione del Sinodo? Quali speranze Lei ha per il prossimo
Sinodo sui giovani, alla luce
della diminuzione delle forze della vita religiosa in Occidente?
Michelangelo
«Il profeta Gioele»
(Cappella Sistina)
In questo modo capisco come emergono le
problematiche, quali sono le proposte e i nodi, e come si affrontano.
Hanno scelto i giovani. Ma alcuni sottolineavano l’importanza della formazione sacerdotale. Personalmente ho molto a cuore il tema del discernimento. L’ho raccomandato
più volte ai gesuiti: in Polonia e poi alla
Congregazione Generale. Il discernimento
accomuna la questione della formazione dei
giovani alla vita: di tutti i giovani, e in particolare, a maggior ragione, anche dei seminaristi e dei futuri pastori. Perché la formazione
e l’accompagnamento al sacerdozio ha bisogno del discernimento.
Al momento è uno dei problemi più grandi che abbiamo nella formazione sacerdotale.
Nella formazione siamo abituati alle formule,
ai bianchi e ai neri, ma non ai grigi della vita. E ciò che conta è la vita, non le formule.
Dobbiamo crescere nel discernimento. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è
andare avanti nel grigio della vita secondo la
L’incontro con i superiori generali
nell’aula nuova del Sinodo
(25 novembre 2016)
La Chiesa
deve rimanere in uscita
volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca
secondo la vera dottrina del Vangelo e non
nel fissismo di una dottrina astratta. Ragionando sulla formazione dei giovani e sulla
formazione dei seminaristi, ho deciso il tema
finale così come è stato comunicato: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».
La Chiesa deve accompagnare i giovani
nel loro cammino verso la maturità, e solo
con il discernimento e non con le astrazioni i
giovani possono scoprire il loro progetto di
vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e
al mondo. Dunque ho scelto questo tema per
introdurre il discernimento con maggior forza nella vita della Chiesa. L’altro giorno abbiamo avuto la seconda riunione del Consiglio post-sinodale. Si è discusso abbastanza
bene su questo argomento. Hanno preparato
la prima bozza sui Lineamenta che si dovrà
inviare subito alle Conferenze episcopali.
Hanno lavorato anche religiosi. È uscita una
bozza ben preparata.
Questo comunque è il punto chiave: il discernimento, che è sempre dinamico, come la
vita. Le cose statiche non vanno. Soprattutto
con i giovani. Quando io ero giovane, la moda era fare riunioni. Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno bene. Si deve lavorare con i giovani facendo cose, lavorando,
con le missioni popolari, il lavoro sociale,
con l’andare ogni settimana a dar da
mangiare ai senzatetto. I giovani trovano il Signore nell’azione. Poi, dopo
l’azione si deve fare una riflessione.
Ma la riflessione da sola non aiuta:
sono idee... solo idee. Dunque due
parole: ascolto e movimento. Questo
è importante. Ma non solamente
formare i giovani all’ascolto, bensì
innanzitutto ascoltare loro, i giovani stessi. Questo è un primo
compito importantissimo della
Chiesa: l’ascolto dei giovani.
E nella preparazione del Sinodo la presenza dei religiosi è davvero importante, perché i religiosi lavorano molto con i giovani.
Certo, è vero che c’è una diminuzione delle forze della vita
religiosa in Occidente. Certamente è collegata al problema
demografico. Ma è anche vero
che a volte la pastorale vocazionale non risponde alle attese dei giovani. Il prossimo Sinodo ci darà idee.
La diminuzione della vita religiosa in
Occidente mi preoccupa.
Ma mi preoccupa anche un’altra
cosa: il sorgere di alcuni nuovi
Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non
debbano esserci nuovi
Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni
casi mi interrogo su che
cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano
tanti e poi... falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose... Ci
sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che
dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne
sono altre che nascono non da un carisma
dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per
le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, «restaurazioniste»: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha
un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti
giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che
sono fedelissimi. E io mi dico: «Benissimo:
vedremo se è il Signore!».
Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e
di buoni costumi... e poi scoppia lo scandalo
del fondatore o della fondatrice... Noi sappiamo, vero? Lo stile di Gesù è un altro. Lo
Spirito Santo ha fatto rumore il giorno della
Pentecoste: era all’inizio. Ma di solito non fa
tanto rumore, porta la croce. Lo Spirito Santo non è trionfalista. Lo stile di Dio è la croce che si porta avanti fino a che il Signore
non dice «basta». Il trionfalismo non va bene d’accordo con la vita consacrata.
Dunque, non mettete la speranza nel fiorire improvviso e massiccio di questi Istituti.
Cercate invece l’umile cammino di Gesù,
quello della testimonianza evangelica. Benedetto XVI ce lo ha detto molto bene: la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione.
Perché ha scelto tre tematiche mariane per le
prossime tre Giornate mondiali della gioventù
che condurranno alle Giornate mondiali di Panamá?
I temi mariani per le prossime tre Giornate
mondiali non li ho scelti io! Dall’America
Latina hanno chiesto questo: una forte presenza mariana. È vero che l’America Latina è
molto mariana, e a me è sembrata una cosa
molto buona. Non ho avuto altre proposte, e
io ero contento così. Ma la Madonna vera!
Non la Madonna capo di un ufficio postale
che ogni giorno manda una lettera diversa,
dicendo: «Figli miei, fate questo e poi il
giorno dopo fate quest’altro». No, non questa. La Madonna vera è quella che genera
Gesù nel nostro cuore, che è Madre. Questa
moda della Madonna superstar, come una
protagonista che mette se stessa al centro,
non è cattolica.
Santo Padre, la sua missione nella Chiesa non è
facile. Malgrado le sfide, le tensioni, le opposizioni, Lei ci offre la testimonianza di un uomo sereno, di un uomo di pace. Qual è la sorgente
della sua serenità? Da dove viene questa fiducia
che la ispira e che può sostenere anche la nostra
missione? Chiamati a essere guide religiose, cosa
ci suggerisce per vivere con responsabilità e pace
il nostro compito?
Qual è la sorgente della mia serenità? No,
non prendo pastiglie tranquillanti! Gli italiani danno un bel consiglio: per vivere in pace
ci vuole un sano menefreghismo. Io non ho
problemi nel dire che questa che sto vivendo
è un’esperienza completamente nuova per
me. A Buenos Aires ero più ansioso, lo ammetto. Mi sentivo più teso e preoccupato.
Insomma: non ero come adesso. Ho avuto
un’esperienza molto particolare di pace profonda dal momento che sono stato eletto. E
non mi lascia più. Vivo in pace. Non so spiegare.
Per il conclave, mi dicono che nelle scommesse a Londra ero nel numero 42 o 46. Io
non lo prevedevo affatto. Ho pure lasciato
l’omelia pronta per il Giovedì santo. Nei
giornali si diceva che ero un king maker, ma
non il Papa. Al momento dell’elezione io ho
detto semplicemente: «Signore, andiamo
avanti!». Ho sentito pace, e quella pace non
se n’è andata.
Nelle Congregazioni Generali si parlava
dei problemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto a san Giuseppe e
lo metto sotto una statuetta che ho in camera
mia. È la statua di san Giuseppe che dorme.
E ormai lui dorme sotto un materasso di biglietti! Per questo io dormo bene: è una grazia di Dio. Dormo sempre sei ore. E prego.
Prego a mio modo. Il breviario mi piace tanto e mai lo lascio. La Messa tutti i giorni. Il
rosario... Quando prego, prendo sempre la
Bibbia. E la pace cresce. Non so se questo è
il segreto... La mia pace è un regalo del Signore. Che non me la tolga!
Credo che ciascuno debba trovare la radice
dell’elezione che il Signore ha fatto su di lui.
Del resto, perdere la pace non aiuta affatto a
soffrire. I superiori devono imparare a soffrire, ma a soffrire come un papà. E anche a
soffrire con molta umiltà. Per questa strada si
può andare dalla croce alla pace. Ma mai lavarsi le mani dai problemi! Sì, nella Chiesa ci
sono i Ponzio Pilato che se ne lavano le ma-
L’arcivescovo Becciu per l’anniversario di Sant’Egidio
Una presenza vivace
ni per stare tranquilli. Ma un superiore che
se ne lava le mani non è padre e non aiuta.
Santo Padre, nei suoi interventi ci ha detto spesso che ciò che specifica la vita religiosa è la profezia. Ci siamo confrontati a lungo su cosa significhi essere radicali nella profezia. Quali sono
le «zone di sicurezza e di conforto» da cui siamo chiamati a uscire? Lei ha parlato alle monache di una «ascesi profetica e credibile». Come
la intende in una prospettiva rinnovata di «cultura della misericordia»? Come può la vita consacrata contribuire a tale cultura?
Essere radicali nella profezia. A me questo
importa tanto. Prenderò come «icona» Gioele. Mi viene spesso in mente, e so che viene
da Dio. Dice: «Gli anziani avranno sogni e i
giovani profetizzeranno ». Questo versetto è
un nocciolo della spiritualità delle generazioni. Essere radicali nella profezia è il famoso
sine glossa, la regola sine glossa, il Vangelo sine glossa. Cioè: senza calmanti! Il Vangelo va
preso senza calmanti. Così hanno fatto i nostri fondatori.
La radicalità della profezia dobbiamo trovarla nei nostri fondatori. Loro ci ricordano
che siamo chiamati a uscire dalle nostre zone
di conforto e sicurezza, da tutto quello che è
mondanità: nel modo di vivere, ma anche nel
pensare strade nuove per i nostri Istituti. Le
strade nuove vanno cercate nel carisma fondazionale e nella profezia iniziale. Dobbiamo
riconoscere personalmente e comunitariamente qual è la nostra mondanità.
Persino l’ascetica può essere mondana. E
invece deve essere profetica. Quando sono
entrato nel noviziato dei gesuiti, mi hanno
dato il cilicio. Va bene anche il cilicio, ma attenzione: non deve aiutarmi a dimostrare
quanto sono bravo e forte. La vera ascesi deve farmi più libero. Credo che il digiuno sia
una cosa che conservi attualità: ma come faccio il digiuno? Semplicemente non mangiando? Santa Teresina aveva anche un altro modo: mai diceva cosa le piaceva. Non si lamentava e prendeva tutto quello che le davano. C’è un’ascesi quotidiana, piccola, che è
una mortificazione costante. Mi viene in
mente una frase di sant’Ignazio che aiuta a
essere più liberi e felici. Lui diceva che per
seguire il Signore aiuta la mortificazione in
tutte le cose possibili. Se ti aiuta una cosa,
falla, anche il cilicio! Ma solamente se ti aiuta a essere più libero, non se ti serve per mostrare a te stesso che sei forte.
Cosa comporta la vita comunitaria? Qual è il
ruolo di un superiore per custodire questa profezia? Quale apporto possono dare i religiosi per
contribuire al rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa?
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cordia non entra nella comunità, non va bene. Per i religiosi la capacità di perdono deve
spesso iniziare nella comunità. E questo è
profetico. Si comincia sempre con l’ascolto:
che tutti si sentano ascoltati. Ci vuole ascolto
e persuasione anche da parte del superiore.
Se il superiore rimprovera continuamente,
non aiuta a creare la profezia radicale della
vita religiosa. Sono convinto che i religiosi
siano in vantaggio nel dare un contributo al
rinnovamento delle strutture e della mentalità della Chiesa.
Nei consigli presbiterali delle diocesi i religiosi aiutano nel cammino. E non devono
avere paura di dire le cose. Nelle strutture
della Chiesa entra il clima mondano e principesco, e i religiosi possono contribuire a distruggere questo clima nefasto. E non c’è bisogno di diventare cardinali per credersi
prìncipi! Basta essere clericali. Questo è
quanto di peggio ci sia nell’organizzazione
della Chiesa. I religiosi possono contribuire
con la testimonianza di una fratellanza più
umile. I religiosi possono dare la testimonianza di un iceberg capovolto, dove la punta, cioè il vertice, il capo, è capovolta, sta in
basso.
Santo Padre, noi abbiamo speranze che attraverso la sua guida si sviluppino migliori relazioni
tra vita consacrata e Chiese particolari. Che cosa ci suggerisce per esprimere in pienezza i nostri
carismi nelle Chiese particolari e per affrontare
le difficoltà che a volte sorgono nei rapporti con i
vescovi e il clero diocesano? Come vede la realizzazione del dialogo della vita religiosa con i vescovi e la collaborazione con la Chiesa locale?
Da tempo si chiede di rivedere i criteri circa i rapporti tra i vescovi e i religiosi stabiliti
nel 1978 dalla Congregazione per i religiosi e
dalla Congregazione per i vescovi nel documento Mutuae relationes. Già nel Sinodo del
1994 ne se era parlato. Quel documento risponde a un certo tempo e non è più così attuale. Il tempo è maturo per il cambiamento.
È importante che i religiosi si sentano appieno dentro la Chiesa diocesana. Appieno.
A volte ci sono tante incomprensioni che non
aiutano all’unità, e allora bisogna dare un
nome ai problemi. I religiosi devono essere
nelle strutture di governo della Chiesa locale:
consigli di amministrazione, consigli presbiterali... A Buenos Aires i religiosi eleggevano
i loro rappresentanti nel consiglio presbiterale. Il lavoro va condiviso nelle strutture delle
diocesi. I religiosi devono essere nelle strutture di governo della diocesi. Da isolati non
ci si aiuta. In questo si deve crescere tanto. E
così anche il vescovo è aiutato a non cadere
nella tentazione di diventare un po’ principe...
Ma anche la spiritualità va diffusa e condivisa, e i religiosi sono portatori di forti correnti spirituali. In alcune diocesi i sacerdoti
del clero diocesano si riuniscono in gruppi di
spiritualità francescana, carmelitana... Ma
che lo stile di vita possa essere condiviso: alcuni preti diocesani si chiedono perché non
possano vivere insieme per non essere soli,
perché non possano vivere una vita più comunitaria. Il desiderio viene, ad esempio,
quando si ha la buona testimonianza di una
parrocchia retta da una comunità di religiosi.
Dunque, c’è un livello di collaborazione radicale, perché spirituale, di anima. E stare vicini spiritualmente in diocesi tra il clero e i religiosi aiuta a risolvere le possibili incomprensioni. Si possono studiare e ripensare
tante cose. Tra queste anche la durata del
servizio come parroco, che mi sembra breve e
si cambiano i parroci troppo facilmente.
Non nascondo che poi ci sono tanti altri
problemi a un terzo livello, legato alla gestione economica. I problemi vengono quando si
toccano le tasche! Penso alla questione
dell’alienazione dei beni. Con i beni dobbiamo essere molto delicati. La povertà è midollare nella vita della Chiesa. Sia quando la si
osserva, sia quando non la si osserva. Le conseguenze sono sempre forti.
Santo Padre, come la Chiesa anche la vita religiosa è impegnata ad affrontare le situazioni di
abusi sessuali sui minori e di abusi finanziari
con trasparenza e determinazione. Tutto ciò è
una contro-testimonianza, suscita scandali e ha
anche ripercussioni sulla proposta vocazionale e
sull’aiuto dei benefattori. Quali misure ci suggerisce per prevenire tali scandali nelle nostre Congregazioni?
Forse non c’è il tempo per una risposta
molto articolata e faccio affidamento alla vostra sapienza. Fatemi dire però che il Signore
vuole tanto che i religiosi siano poveri.
Quando non lo sono, il Signore manda un
economo che porta l’Istituto in fallimento! A
volte Congregazioni religiose sono accompagnate da un amministratore ritenuto «amico»
e che poi le fa fallire. Comunque, criterio
fondamentale per un economo è quello di
non essere personalmente attaccato ai soldi.
Una volta accadde che una suora economa
svenne e una consorella disse a chi la soccorreva: «Passatele sotto il naso una banconota
La vita comunitaria? Alcuni santi
l’hanno definita una continua
penitenza. Ci sono comunità in cui la gente si spella
e si spiuma! Se la miseri-
Statua di san Giuseppe dormiente
e certamente si riprenderà!». C’è da ridere,
ma anche da riflettere. Importante poi verificare come le banche investono i soldi. Non
deve mai accadere che ci siano investimenti
in armi, ad esempio. Mai.
Circa gli abusi sessuali: pare che su 4 persone che abusano, 2 siano state abusate a loro volta. Si semina l’abuso nel futuro: è devastante. Se sono coinvolti preti o religiosi, è
chiaro che è in azione la presenza del diavolo
che rovina l’opera di Gesù tramite colui che
doveva annunciare Gesù. Ma parliamoci
chiaro: questa è una malattia. Se non siamo
convinti che questa è una malattia, non si
potrà risolvere bene il problema. Quindi, attenzione a ricevere in formazione candidati
alla vita religiosa senza accertarsi bene della
loro adeguata maturità affettiva. Per esempio:
mai ricevere nella vita religiosa o in una diocesi candidati che sono stati respinti da un
altro seminario o da un altro Istituto senza
chiedere informazioni molto chiare e dettagliate sulle motivazioni dell’allontanamento.
Santo Padre, la vita religiosa non è in funzione
di se stessa, ma della sua missione nel mondo.
Lei ci ha invitato ad essere una Chiesa in uscita. Dal suo punto di osservazione, la vita religiosa nelle diverse parti del modo sta operando
questa conversione?
La Chiesa è nata in uscita. Era chiusa nel
Cenacolo e poi è uscita. E deve rimanere in
uscita. Non deve tornare a chiudersi nel Cenacolo. Gesù ha voluto che fosse così. E
«fuori» significa quelle che io chiamo periferie, esistenziali e sociali. I poveri esistenziali
e i poveri sociali spingono la Chiesa fuori di
sé. Pensiamo a una forma di povertà, quella
legata al problema dei migranti e dei rifugiati: più importante degli accordi internazionali è la vita di quelle persone! E proprio nel
servizio della carità è pure possibile trovare
un ottimo terreno per il dialogo ecumenico:
sono i poveri che uniscono i cristiani divisi!
Queste sono tutte sfide aperte per i religiosi
di una Chiesa in uscita. L’Evangelii gaudium
vuole comunicare questa necessità: uscire.
Vorrei che si tornasse a quella Esortazione
apostolica con la riflessione e la preghiera.
Essa è maturata alla luce dell’Evangelii nuntiandi e del lavoro fatto ad Aparecida, contiene un’ampia riflessione ecclesiale. E infine ricordiamolo sempre: la misericordia è Dio in
uscita. E Dio è sempre misericordioso. Anche
voi uscite!
Continuare a lavorare tenacemente
«per la pace, la riconciliazione, il
dialogo fraterno con i membri delle
varie religioni»: è quanto ha raccomandato l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, alla comunità di Sant’Egidio, nel
quarantanovesimo anniversario della
fondazione.
Nella circostanza il presule ha celebrato la messa nella basilica di San
Giovanni in Laterano alla presenza
soprattutto di studenti, lavoratori,
anziani e senza fissa dimora, profughi, immigrati, volontari, amici e
collaboratori della Comunità, guidati dal presidente Marco Impagliazzo
e dal fondatore Andrea Riccardi.
«Presenza vivace e creativa nella
Chiesa di Roma» — ha ricordato
monsignor Becciu — Sant’Egidio
«gradatamente si è diffusa in tante
altre Chiese nel mondo» dilatando il
raggio d’azione «non soltanto geograficamente, ma anche nella molteplicità delle iniziative e delle opere».
Non è stato, ha spiegato, «un progetto programmato a tavolino. Con
apertura e generosità vi siete lasciati
guidare dallo Spirito che, attraverso
Andate avanti su questa strada
preghiera, poveri e pace
E camminando così aiutate
a far crescere la compassione
le circostanze più varie, vi ha aperto
strade sempre nuove, dilatando i vostri orizzonti su quelli stessi della
Chiesa».
Commentando le letture della liturgia, il celebrante ha ricordato come la comunità di Sant’Egidio fin
dagli inizi si sia «rivolta verso chi è
in situazione di emarginazione e in
stato di abbandono. Si è lasciata
guidare dalla grande lezione del libro della Genesi: uomo e donna sono creature di Dio, plasmate dalle
sue mani; portano in sé l’immagine
e la somiglianza con Dio. Quale dignità della persona umana!». Del resto, ha fatto notare, «lo sguardo del
Creatore non è discriminante, non
divide in categorie i suoi figli e le
sue figlie: sono la sua creatura, amata, per la quale è pronto a sacrificare
il Figlio amato, perché l’ama come
ama suo Figlio. Davanti all’uomo e
alla donna egli stesso mostrò la sua
meraviglia ed esplose in un grido di
gioia». Per cui «secondo questa pagina della Scrittura, non ci sono persone ai margini: ogni persona è al
centro, è il centro».
Da qui l’invito affinché lo sguardo
del Creatore diventi «il nostro sguardo: ogni persona che incontro è
“molto” buona, è “carne della mia
carne, ossa delle mie ossa”. Di ogni
persona mi “ricordo” e “prendo cura”. Mi è stata affidata dall’amore di
Dio, come Eva è stata posta davanti
ad Adamo che l’ha riconosciuta e accolta come un altro sé; diversa da sé
e insieme simile a sé. È la ricchezza
della complementarietà che ognuno
offre all’altro e dall’altro riceve. L’altro è il dono che Dio mi fa perché la
mia vita sia completa, perché non sia
solo».
Inoltre, ha proseguito monsignor
Becciu, «da quando Dio si è incarnato e si è identificato con ogni persona, l’uomo e la donna hanno acquistato un valore davvero inestimabile». Anzi «l’altro, per piccolo che
sia, è davvero Gesù! Devo amarlo
come amo Gesù». Anche perché lo
stesso «Papa Francesco continua a
ripeterci che l’amore cristiano non è
una idea astratta, ma si rende concreto nell’aiutare gli altri, cominciando dai deboli e i poveri, che sono
“la carne di Cristo”». Di conseguenza «il valore dell’altro non si misura
dal reddito e dall’efficienza. Che i
poveri siano sempre il vostro tesoro
— ha esortato il sostituto della Segreteria di Stato — e possiate continuare a toccare in loro la “carne di
Cristo”, con l’amore e la cura con
cui si vive l’Eucaristia».
In particolare l’arcivescovo ha voluto fare riferimento «all’integrazione di immigrati e rifugiati, di cui le
nostre società hanno bisogno» incoraggiando la comunità «a continuare
a costruire ponti, legami, perché si
affermi una civiltà del vivere insieme, una civiltà dell’amore, anche se
non sempre questo è l’orientamento
del mondo, soprattutto in questi
tempi».
Ricordando poi come il cammino
di Sant’Egidio abbia «preso origine
da un gruppo di liceali che, invece
di progettare un futuro pensando
esclusivamente al successo e alla carriera professionale, ha deciso di dar
vita a una scuola popolare per i
bambini emarginati delle baraccopoli romane, lasciandosi interpellare
dalle audaci esigenze del Vangelo»,
il celebrante ha rimarcato gli inizi
dell’esperienza nelle «periferie, ben
prima che questa parola fosse impiegata in maniera programmatica da
Papa Francesco». Dunque oggi la
missione della Comunità «è andare
in tutte le periferie, dove vi sono
conflitti, dove le persone non sono
riconosciute nella loro dignità, dove
le diversità sono vissute come esclusione e conflitto invece che come arricchimento» per portavi «la presenza di Cristo», rigenerare la fraternità
e far sì che «le periferie, tornino a
essere “al centro”» rendendole «consapevoli della loro dignità, attive e
protagoniste nel tessuto sociale e
nella vita della Chiesa».
Quindi l’arcivescovo Becciu ha
commentato l’episodio proposto dal
Vangelo di Marco (7, 24-30): «Sento
forte la suggestione di questa donna:
— ha detto — viene dalla regione della Siria e chiede pietà per la figlia.
Non rappresenta — si è chiesto — le
mamme siriane che chiedono aiuto
per i figli? le mamme che assistono
in varie parti del mondo allo strazio
della guerra?». E poiché «la donna
trovò sua figlia guarita, tornando a
casa», il presule ha chiesto ai membri di Sant’Egidio, con l’aiuto di
Dio, di contribuire «ad alleviare le
sofferenze di tante madri!».
Infine si è soffermato sul luogo
della celebrazione: «Questa chiesa di
San Giovanni in Laterano, che la
tradizione vuole “madre e capo di
tutte le chiese”». In proposito ha ricordato come la comunità sia nata
nella Chiesa di Roma e ne sia «tuttora un’espressione vitale». Per questo, ha affermato, occorre amare la
città e cooperare per «renderla ancora più bella e ospitale. Il legame con
il vescovo di Roma — ha sottolineato
— deve continuare a caratterizzarvi,
non soltanto qui, ma anche nelle altre parti del mondo dove giunge la
vostra carità». Anzi, «la vostra “romanità” faccia di voi altrettanti collaboratori di Papa Francesco, che dilatano il suo cuore e le sue braccia,
giungendo là dove non può arrivare
fisicamente. Facendo così concorrerete a riportare ogni persona al centro e a fare di ogni periferia un nucleo di vita e di umanità nuova. Solo così cambierà anche la geopolitica
mondiale e il seme del Vangelo produrrà frutti abbondanti di pace».
In conclusione l’arcivescovo Becciu ha riproposto la consegna di Papa Francesco quando il 15 giugno
2014 visitò la comunità: «Andate
avanti su questa strada: preghiera,
poveri e pace. E camminando così
aiutate a far crescere la compassione
nel cuore della società — che è la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza — a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi
dell’inimicizia e dell’indifferenza».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 10 febbraio 2017
Alla comunità della Civiltà Cattolica il Pontefice chiede che la rivista continui a navigare in mare aperto
Ponte e frontiera
Alla scuola di tre patroni con inquietudine, incompletezza, immaginazione
Restate in mare aperto: è questa la consegna
che Papa Francesco ha affidato al collegio
degli scrittori della Civiltà Cattolica ricevuti
in udienza giovedì mattina, 9 febbraio, in
occasione della pubblicazione del numero
4000 della rivista dei padri gesuiti.
Cari scrittori del Collegio della Civiltà
Cattolica, cari collaboratori laici,
sono contento di incontrarvi insieme agli
altri gesuiti della Comunità, alle suore e a
tutti coloro che collaborano con voi nella
vita della rivista e nell’amministrazione
della casa nella quale abitate. Saluto anche gli editori che da questo momento
pubblicheranno la vostra rivista in spagnolo, inglese, francese e coreano. Sento
qui presente anche tutta la ampia famiglia
dei vostri lettori. Vi ritrovo tutti insieme
volentieri in occasione della pubblicazione
del fascicolo numero 4000. È un traguardo davvero unico: la rivista ha compiuto
un viaggio nel tempo di 167 anni e prosegue con coraggio la sua navigazione in
mare aperto.
Il saluto
del generale dei gesuiti
Con un grazie al Papa per la sua «affettuosa vicinanza personale» e per il suo «appoggio» la
comunità di lavoro della «Civiltà Cattolica» ha
voluto celebrare «oltre un secolo e mezzo di impegno editoriale a servizio della Chiesa e in un
modo tutto particolare del Romano Pontefice».
A dar voce a storia e progetti della rivista è stato il preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal. «In verità — ha
detto a Francesco — questa è un’occasione
straordinaria, in quanto la “Civiltà Cattolica” arriva in questi giorni al suo Quaderno numero
4000». E «questo significa più di 166 anni di
impegno nel comunicare la lieta notizia e la lettura delle vicende storiche, politiche, sociali e
culturali alla luce di essa, in modo fedele e creativo». Si tratta, ha fatto presente, di «un periodo di storia nel quale l’umanità ha sperimentato
profondi e rapidi cambiamenti in tutte le dimensioni della vita: oggi siamo consapevoli di
essere entrati nella cosiddetta epoca della conoscenza, dopo l’epoca industriale». Proprio «in
questa nuova epoca, la comunicazione globale
ha un ruolo assai importante» e «si aprono tante possibilità per rendere presente la parola del
vangelo e la sua inculturazione nell’oggi in tutto il mondo». Così «la cattolicità della Chiesa
acquista un nuova profondità» e la rivista «ha
preso consapevolezza delle sfide proposte
all’evangelizzazione di questa nuova tappa della
comunicazione globale e cerca il modo sia di integrare collaboratori da diverse parti del mondo
che di moltiplicare le lingue con cui si fa presente ai lettori, anche con l’utilizzo intelligente
delle nuove tecnologie ideate per una comunicazione più efficace».
In realtà, ha affermato il preposito generale,
«non vogliamo altro che far presente, in tutti i
modi a nostra disposizione, la figura del Cristo
che ha donato al sua vita sulla croce perché tutti gli esseri umani abbiano la vita e l’abbiano in
abbondanza». Certo, ha aggiunto, «ben sappiamo che è solo la sua grazia che rende questo
possibile: noi mettiamo in Lui tutta la nostra
speranza e speriamo di continuare la sua presenza nella nostra vita e nella vita del mondo, la
nostra casa comune».
Ecco: restate in mare aperto! Il cattolico
non deve aver paura del mare aperto, non
deve cercare il riparo di porti sicuri. Soprattutto voi, come gesuiti, evitate di aggrapparvi a certezze e sicurezze. Il Signore ci chiama a uscire in missione, ad andare al largo e non ad andare in pensione a
custodire certezze. Andando al largo si incontrano tempeste e ci può essere vento
contrario. E tuttavia il santo viaggio si fa
sempre in compagnia di Gesù che dice ai
suoi: «Coraggio, sono io, non abbiate
paura!» (Mt 14, 27).
La vostra navigazione non è solitaria. I
miei Predecessori, dal beato Pio IX a Benedetto XVI, incontrandovi in udienza,
hanno riconosciuto più volte come la vostra navigazione sia nella barca di Pietro.
Questo vincolo al Pontefice è da sempre
un tratto essenziale della vostra rivista.
Voi siete nella barca di Pietro. Essa, a volte nella storia — oggi come ieri — può essere sballottata dalle onde e non c’è da
meravigliarsi di questo. Ma anche gli stessi marinai chiamati a remare nella barca di
Pietro possono remare in senso contrario.
È sempre accaduto. Voi di Civiltà Cattolica
dovete essere «“rematori esperti e valorosi” (Pio VII, Bolla Sollicitudo omnium Ecclesiarum): remate dunque! Remate, siate forti, anche col vento contrario! Remiamo a
servizio della Chiesa. Remiamo insieme!»
(Omelia nei Vespri con Te Deum, 27 settembre 2014). Questo è il vincolo tra me e
voi. Ed esprimo il mio «vivo desiderio che
questo vincolo non solo si mantenga, ma
si rafforzi» (Giovanni Paolo II, Discorso
agli scrittori de “La Civiltà Cattolica”, 19
gennaio 1990). Andiamo sempre avanti
nella nostra navigazione, spinti dal soffio
dello Spirito Santo che ci guida.
4000 fascicoli non sono una raccolta di
carta! C’è una vita dentro, fatta di tanta
riflessione, di tanta passione, di lotte sostenute e contraddizioni incontrate. Ma
soprattutto di tanto lavoro. Ho saputo che
i vostri antichi predecessori amavano chiamarsi semplicemente «lavoratori». Non
«intellettuali», ma «lavoratori». Mi piace
molto questa definizione che è umile, modesta e molto efficace. Sant’Ignazio ci
vuole lavoratori nella vigna mistica. Io lavoro in un modo, voi lavorate in un altro.
Ma siamo insieme, accanto. Io nel mio lavoro vi vedo, vi seguo, vi accompagno con
affetto. La vostra rivista è spesso sulla mia
scrivania. E so che voi nel vostro lavoro
non mi perdete mai di vista. Avete accompagnato fedelmente tutti i passaggi fondamentali del mio Pontificato a partire dalla
lunga intervista che ho concesso al vostro
direttore nell’agosto 2013: la pubblicazione
delle Encicliche e delle Esortazioni apostoliche, dando di esse una interpretazione
fedele; i Sinodi, i Viaggi apostolici, il Giubileo della Misericordia. Vi ringrazio di
questo e vi chiedo di proseguire su questa
strada a lavorare con me e a pregare per
me.
Quante cose sono accadute in 167 anni
di vita della rivista e raccontate nei vostri
4000 quaderni! Ad ogni millesimo fascicolo avete incontrato il Papa: Leone XIII,
Pio XI, Paolo VI hanno celebrato i precedenti. Adesso eccovi con me. E con voi
c’è il padre Generale della Compagnia di
Gesù perché il beato Pio IX volle che il
Collegio «dipendesse completamente e in
tutto» da lui (Breve ap. Gravissimum supremi). Io confermo questo affidamento
della Civiltà Cattolica al Padre Generale
proprio a causa del compito specifico che
la vostra rivista svolge al servizio diretto
della Sede Apostolica.
E più in generale confermo gli Statuti
originari della vostra rivista, che Pio IX
scrisse nel 1866 istituendo La Civiltà Cattolica «in modo perpetuo». A leggerli oggi
notiamo un linguaggio che non è più il
nostro. Ma il senso profondo e specifico
della vostra rivista è ben descritto e deve
rimanere immutato, cioè quello di una rivista che è espressione di una comunità di
scrittori tutti gesuiti che condividono non
solamente una esperienza intellettuale, ma
anche una ispirazione carismatica e, almeno nel nucleo fondamentale della redazione, la vita quotidiana della comunità. La
varietà degli argomenti che voi trattate va
scelta ed elaborata in una consultazione
tra voi che richiede uno scambio frequente
(cfr. Leone XIII, Lett. Sapienti consilio). E a
voi spetta il confronto non soltanto sulle
idee, ma anche sul modo di esprimerle e i
mezzi adatti per farlo. Il centro della Civiltà Cattolica è il Collegio degli Scrittori.
Tutto deve ruotare attorno ad esso e alla
sua missione.
Questa missione — per la prima volta in
167 anni — da oggi si allarga oltre i confini
linguistici dell’italiano. Sono lieto di poter
benedire le edizioni della Civiltà Cattolica
in spagnolo, inglese, francese e coreano.
Si tratta di una evoluzione che già i vostri
predecessori, ai tempi del Concilio, ebbero
in mente, ma che mai fu messa in opera.
Già da molto tempo la Segreteria di Stato
la invia a tutte le Nunziature nel mondo.
Adesso che il mondo è sempre più connesso, il superamento delle barriere linguistiche aiuterà a diffonderne meglio il messaggio a più ampio raggio. Questa nuova
tappa contribuirà pure ad ampliare il vostro orizzonte, e a ricevere contributi scritti da altri gesuiti in varie parti del mondo.
La cultura viva tende ad aprire, a integrare, a moltiplicare, a condividere, a dialogare, a dare e a ricevere all’interno di un popolo e con gli altri popoli con cui entra in
rapporto. La Civiltà Cattolica sarà una rivista sempre più aperta al mondo. Questo
è un nuovo modo di vivere la vostra missione specifica.
E qual è questa missione specifica? È
quella di essere una rivista cattolica. Ma
essere rivista cattolica non significa semplicemente che difende le idee cattoliche,
come se il cattolicesimo fosse una filosofia. Come scrisse il vostro fondatore, p.
Carlo Maria Curci, La Civiltà Cattolica
non deve «apparire come cosa da sagrestia». Una rivista è davvero «cattolica» solo se possiede lo sguardo di Cristo sul
mondo, e se lo trasmette e lo testimonia.
Nel mio incontro con voi tre anni fa vi
ho presentato la vostra missione in tre parole: dialogo, discernimento, frontiera. Le
ribadisco oggi. Nel biglietto augurale che
vi ho inviato per il numero 4000 ho usato
l’immagine del ponte.
Mi piace pensare alla
Civiltà Cattolica come
una rivista che sia insieme
«ponte»
e
«frontiera».
Oggi vorrei aggiungere qualche riflessione per approfondire
quello che i vostri fondatori, ripresi poi da
Paolo VI, chiamarono
il “disegno costituzionale” della rivista. E vi
darò anche tre “patroni”, cioè tre figure di
gesuiti alle quali guardare per andare avanti.
La prima parola è
INQUIETUDINE.
Vi
pongo una domanda:
il vostro cuore ha conservato l’inquietudine
della ricerca? Solo
l’inquietudine dà pace
al cuore di un gesuita.
Senza
inquietudine
siamo sterili. Se volete
abitare ponti e frontiere dovete avere una
mente e un cuore inquieti. A volte si confonde la sicurezza della dottrina con il sospetto per la ricerca.
Per voi non sia così. I
valori e le tradizioni cristiane non sono
pezzi rari da chiudere nelle casse di un
museo. La certezza della fede sia invece il
motore della vostra ricerca.
Vi dò come patrono san Pietro Favre
(1506-1546), uomo di grandi desideri, spirito inquieto, mai soddisfatto, pioniere
dell’ecumenismo. Per Favre, è proprio
quando si propongono cose difficili che si
manifesta il vero spirito che muove
all’azione (cfr. Memoriale, 301). Una fede
autentica implica sempre un profondo de-
siderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo
grandi visioni e slancio? Siamo audaci?
Oppure siamo mediocri, e ci accontentiamo di riflessioni di laboratorio?
La vostra rivista prenda consapevolezza
delle ferite di questo mondo, e individui
terapie. Sia una scrittura che tende a comprendere il male, ma anche a versare olio
sulle ferite aperte, a guarire. Favre camminava con i suoi piedi e morì giovane di fatica, divorato dai suoi desideri a maggior
gloria di Dio. Voi camminate con la vostra
intelligenza inquieta che le tastiere dei vostri computer traducono in riflessioni utili
per costruire un mondo migliore, il Regno
di Dio.
La seconda parola è INCOMPLETEZZA.
Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci
sorprende sempre. Per questo dovete essere scrittori e giornalisti dal pensiero incompleto, cioè aperto e non chiuso e rigido. La vostra fede apra il vostro pensiero.
Fatevi guidare dallo spirito profetico del
Vangelo per avere una visione originale,
vitale, dinamica, non ovvia. E questo specialmente oggi in un mondo così complesso e pieno di sfide in cui sembra trionfare
la “cultura del naufragio” — nutrita di
messianismo profano, di mediocrità relativista, di sospetto e di rigidità — e la “cul-
Pietro Favre in un’incisione cinquecentesca
tura del cassonetto”, dove ogni cosa che
non funziona come si vorrebbe o che si
considera ormai inutile si butta via.
La crisi è globale, e quindi è necessario
rivolgere il nostro sguardo alle convinzioni
culturali dominanti e ai criteri tramite i
quali le persone ritengono che qualcosa
sia buono o cattivo, desiderabile o no. Solo un pensiero davvero aperto può affrontare la crisi e la comprensione di dove sta
andando il mondo, di come si affrontano
le crisi più complesse e urgenti, la geopolitica, le sfide dell’economia e la grave crisi
umanitaria legata al
dramma delle migrazioni, che è il vero nodo politico globale dei
nostri giorni.
Vi dò dunque come
figura di riferimento il
servo di Dio padre
(1522Matteo
Ricci
1610). Egli compose un
grande Mappamondo
cinese raffigurando i
continenti e le isole fino ad allora conosciuti.
Così l’amato popolo cinese poteva vedere raffigurate in forma nuova
molte terre lontane che
venivano nominate e
descritte
brevemente.
Tra queste pure l’Europa e il luogo dove viveva il Papa. Il Mappamondo servì anche a
introdurre ancora meglio il popolo cinese alle altre civiltà. Ecco,
con i vostri articoli anche voi siete chiamati a
comporre un “mappamondo”: mostrate le
Hans Memling, «Ritratto di donna»
scoperte recenti, date
un nome ai luoghi, fate conoscere qual è il
significato della “civiltà” cattolica, ma pure fate conoscere ai cattolici che Dio è al
lavoro anche fuori dai confini della Chiesa, in ogni vera “civiltà”, col soffio dello
Spirito.
La terza parola è IMMAGINAZIONE. Questo nella Chiesa e nel mondo è il tempo
del discernimento. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore,
guardando i segni, ascoltando le cose che
accadono, il sentire della gente che conosce la via umile della cocciutaggine quotidiana, e specialmente dei poveri. La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita. Ma bisogna penetrare l’ambiguità, bisogna entrarci, come
ha fatto il Signore Gesù assumendo la nostra carne. Il pensiero rigido non è divino
perché Gesù ha assunto la nostra carne
che non è rigida se non nel momento della morte.
Per questo mi piace tanto la poesia e,
quando mi è possibile, continuo a leggerla. La poesia è piena di metafore. Comprendere le metafore aiuta a rendere il
pensiero agile, intuitivo, flessibile, acuto.
Chi ha immaginazione non si irrigidisce,
ha il senso dell’umorismo, gode sempre
della dolcezza della misericordia e della libertà interiore. È in grado di spalancare
visioni ampie anche in
spazi ristretti come fece nelle sue opere pittoriche il fratel Andrea
(1642-1709),
Pozzo
aprendo con l’immaginazione spazi aperti,
cupole e corridoi, lì
dove ci sono solo tetti
e muri. Vi dò anche
lui come figura di riferimento.
Coltivate
dunque
nella vostra rivista lo
spazio per l’arte, la
letteratura, il cinema,
il teatro e la musica.
Così avete fatto sin
dagli inizi, dal 1850.
Alcuni giorni fa meditavo sulla pittura di
Hans Memling, il pittore fiammingo. E
pensavo a come il miracolo di delicatezza
che c’è nella sua pittura rappresenti bene la
gente. Poi pensavo ai
versi di Baudelaire su
Rubens lì dove scrive
che «la vie afflue et
s’agite sans cesse, /
Comme l’air dans le ciel
et la mer dans la mer».
Sì, la vita è fluida e si
agita senza sosta come
si agita l’aria in cielo e
il mare nel mare. Il pensiero della Chiesa
deve recuperare genialità e capire sempre
meglio come l’uomo si comprende oggi
per sviluppare e approfondire il proprio
insegnamento. E questa genialità aiuta a
capire che la vita non è un quadro in
bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri
vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature. Ed è questo lo spazio del discernimento, lo spazio in cui lo Spirito agita il
cielo come l’aria e il mare come l’acqua. Il
vostro compito — come chiese il beato
Paolo VI — è quello di vivere il confronto
«tra le esigenze brucianti dell’uomo e il
perenne messaggio del Vangelo» (Discorso
in occasione della XXXII Congr. Gen. della
Compagnia di Gesù, 3 dicembre 1974). E
quelle esigenze brucianti le portate già
dentro voi stessi, e nella vostra vita spirituale. Date a questo confronto le forme
più adeguate, anche nuove, come richiede
oggi il modo di comunicare, che cambia
col passare del tempo.
Mi auguro che La Civiltà Cattolica, anche grazie alle sue versioni in altre lingue,
possa raggiungere molti lettori. La Compagnia di Gesù sostenga quest’opera così
antica e preziosa, anzi unica per il servizio
alla Sede Apostolica. Sia generosa nel dotarla di gesuiti capaci e la diffonda lì dove
è più opportuno. Penso soprattutto ai centri di formazione educativa e alle scuole,
in particolare per la formazione di docenti
e genitori. Ma anche nei centri di formazione spirituale. Ne raccomando particolare diffusione nei seminari e nei centri di
formazione. I vescovi la sostengano. Il suo
legame con la Sede Apostolica ne fa, infatti, una rivista unica nel suo genere.
Concludo questo nostro incontro ringraziandovi per la testimonianza che date.
Affido voi tutti qui presenti all’intercessione della Madonna della Strada e di san
Giuseppe, impartendovi la mia Benedizione Apostolica. Grazie.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 10 febbraio 2017
pagina 7
Alla plenaria della Congregazione per l’educazione cattolica
Una grammatica
per seminare speranza
«Le scuole e le università cattoliche danno un
grande contributo alla missione della Chiesa
quando sono al servizio della crescita in
umanità, nel dialogo e nella speranza»: lo ha
detto il Papa alla plenaria della Congregazione
per l’educazione cattolica ricevuta in udienza
nella tarda mattinata di giovedì 9 febbraio
nella Sala Clementina.
Cari fratelli e sorelle,
ringrazio il Cardinale Prefetto per le parole di introduzione a questo incontro e saluto
cordialmente i Membri della Congregazione
per l’Educazione Cattolica nominati di recente, tra i quali anche lo stesso Prefetto,
che per la prima volta presiede l’Assemblea
Plenaria. Saluto i componenti della Fondazione Gravissimum educationis, da poco costituita per rilanciare i contenuti della Dichiarazione conciliare.
In questi giorni avete preso in considerazione molti argomenti, per fare un bilancio
del lavoro del Dicastero negli ultimi tre anni
e per tracciare gli orientamenti degli impegni futuri.
I settori del vasto campo educativo che
sono di competenza della vostra Congregazione vi hanno impegnato nella riflessione e
nella discussione su diversi aspetti importanti, come la formazione iniziale e permanente
dei docenti e dei dirigenti, anche in considerazione della necessità di un’educazione inclusiva e informale; o come il contributo insostituibile delle Congregazioni Religiose,
nonché il sostegno che può venire dalle
Chiese particolari e dalle Organizzazioni di
settore. Buona parte del vostro lavoro è stato dedicato alle istituzioni universitarie ecclesiastiche e cattoliche per l’aggiornamento
della Costituzione apostolica Sapientia christiana; alla promozione degli studi di Diritto
Canonico in relazione alla riforma dei processi di nullità del matrimonio; nonché per
sostenere la pastorale universitaria. Avete
inoltre considerato l’opportunità di offrire le
direttive per incrementare la responsabilizzazione di tutti quelli che sono coinvolti
nell’impegnativo campo dell’educazione.
Come ho richiamato nell’Esortazione
Evangelii gaudium, «le Università sono un
ambito privilegiato per pensare e sviluppare
[l’]impegno di evangelizzazione»; e «le
scuole cattoliche [...] costituiscono un contributo molto valido all’evangelizzazione
della cultura, anche nei Paesi e nelle città
dove una situazione avversa ci stimola ad
Con il linguaggio del cuore
La diversità di situazioni rende auspicabile che le
Conferenze episcopali a livello continentale promuovano iniziative a sostegno di quanti sono impegnati
nell’insegnare alle nuove generazioni il linguaggio
della testa, del cuore, delle mani. Lo ha detto il cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, nel saluto rivolto a
Papa Francesco all’inizio dell’udienza. Illustrando i
temi trattati dalla plenaria del dicastero, il porporato
ha riconosciuto gli sforzi che stanno compiendo le
congregazioni religiose e le diverse organizzazioni
del settore per un maggiore coordinamento. Ha poi
spiegato che i partecipanti hanno valutato il necessario aggiornamento della costituzione apostolica Sapientia christiana e delle sue ordinationes circa le università e le facoltà ecclesiastiche sulla base del parere
di esperti. Ciò per rispondere alle esigenze del tempo presente, come a esempio le convenzioni accademiche continentali e la situazione dei rifugiati e profughi che vogliono studiare nei centri ecclesiastici. Il
cardinale ha anche fatto riferimento all’urgenza di
promuovere una pastorale universitaria in dialogo
con le altre dimensioni del progetto educativo.
usare la creatività per trovare i percorsi adeguati» (n. 134).
In questo orizzonte di evangelizzazione
sento di condividere con voi alcune attese.
Anzitutto, di fronte ad un invadente individualismo, che rende umanamente poveri e
culturalmente sterili, è necessario umanizzare
l’educazione. La scuola e l’università hanno
senso pieno solo in relazione alla formazione
della persona. A questo processo di crescita
umana tutti gli educatori sono chiamati a
collaborare con la loro professionalità e con
la ricchezza di umanità di cui sono portatori, per aiutare i giovani ad essere costruttori
di un mondo più solidale e pacifico. Ancor
di più le istituzioni educative cattoliche hanno la missione di offrire orizzonti aperti alla
trascendenza. Gravissimum educationis ricorda che l’educazione è al servizio di un umanesimo integrale e che la Chiesa, quale madre educatrice, guarda sempre alle nuove generazioni
nella prospettiva della «formazione della persona umana sia in vista del suo fine
ultimo sia per il bene delle
varie società, di cui l’uomo è
membro ed in cui, divenuto
adulto, avrà mansioni da
svolgere» (n. 1).
Un’altra attesa è quella
che cresca la cultura del dialogo. Il nostro mondo è diventato un villaggio globale
con molteplici processi di
interazione, dove ogni persona appartiene all’umanità
e condivide la speranza di
un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli.
Nello stesso tempo, purtroppo, ci sono tante forme di
violenza, povertà, sfruttamento,
discriminazione,
emarginazione, approcci restrittivi alle libertà fondamentali che creano una cultura dello scarto.
In tale contesto gli istituti educativi cattolici
sono chiamati in prima linea a praticare la
grammatica del dialogo che forma all’incontro e alla valorizzazione delle diversità culturali e religiose. Il dialogo, infatti, educa
quando la persona si relaziona con rispetto,
stima, sincerità d’ascolto e si esprime con
autenticità, senza offuscare o mitigare la
propria identità nutrita dall’ispirazione evangelica. Ci incoraggia la convinzione che le
nuove generazioni, educate cristianamente al
dialogo, usciranno dalle aule scolastiche e
universitarie motivate a costruire ponti e,
quindi, a trovare nuove risposte alle molte
sfide del nostro tempo. In senso più specifico, le scuole e le università sono chiamate
ad insegnare un metodo di dialogo intellettuale
finalizzato alla ricerca della verità. San Tommaso è stato ed è tuttora maestro in questo
metodo, che consiste nel prendere sul serio
l’altro, l’interlocutore, cercando di cogliere
fino in fondo le sue ragioni, le sue obiezioni, per poter rispondere in modo non superficiale ma adeguato. Solo così si può veramente avanzare insieme nella conoscenza
della verità.
C’è un’ultima attesa che vorrei condividere con voi: il contributo dell’educazione al
seminare speranza. L’uomo non può vivere
senza speranza e l’educazione è generatrice
di speranza. Infatti l’educazione è un far nascere, è un far crescere, si colloca nella dinamica del dare la vita. E la vita che nasce è la
sorgente più zampillante di speranza; una
vita tesa alla ricerca del bello, del buono,
del vero e della comunione con gli altri per
una crescita comune. Sono convinto che i
giovani di oggi hanno soprattutto necessità
di questa vita che costruisce futuro. Perciò,
il vero educatore è come un padre e una madre che trasmette una vita capace di futuro.
Per avere questa tempra occorre mettersi in
ascolto dei giovani: il “lavoro dell’orecchio”.
Mettersi in ascolto dei giovani! E lo faremo
in particolare con il prossimo Sinodo dei
Vescovi dedicato a loro. L’educazione, poi,
ha in comune con la speranza la stessa “stoffa” del rischio. La speranza non è un superficiale ottimismo, nemmeno la capacità di
guardare alle cose benevolmente, ma anzitutto è un saper rischiare nel modo giusto,
proprio come l’educazione.
Cari fratelli e sorelle, le scuole e le università cattoliche danno un grande contributo
alla missione della Chiesa quando sono al
servizio della crescita in umanità, nel dialogo e nella speranza. Vi ringrazio per il lavoro che fate per rendere le istituzioni educative luoghi ed esperienze di evangelizzazione.
Invoco su di voi lo Spirito Santo, per intercessione di Maria Sedes Sapientiae, perché
renda efficace il vostro ministero a favore
dell’educazione. E vi chiedo, per favore, di
pregare per me, e di cuore vi benedico. Grazie!
Le proposte dell’incontro in Vaticano sul traffico di organi
Come
fermare i criminali
Undici raccomandazioni concrete «per
contrastare le pratiche illecite e immorali del traffico di organi» che governi nazionali, regionali e municipali, ministeri
della salute, magistrature e ogni realtà
sociale nel mondo dovrebbero mettere
subito in atto. È la proposta concreta
scaturita dal summit svoltosi in Vaticano, il 7 e l’8 febbraio, su iniziativa della
Pontificia Accademia delle scienze. E
presentata, nei dettagli, nella dichiarazione firmata da tutti i partecipanti e resa nota a conclusione dei lavori.
Anzitutto, viene rilevato, è fondamentale «che tutte le nazioni e tutte le culture riconoscano il traffico di esseri
umani ai fini dell’asportazione di organi
e il traffico di organi, che comprendono
l’uso di organi di detenuti giustiziati e il
pagamento ai donatori o ai parenti
prossimi di donatori deceduti, come crimini che devono essere condannati in
tutto il mondo e perseguiti legalmente a
livello nazionale e internazionale». E se
questa è la raccomandazione di partenza, il summit ha auspicato anche «che i
leader religiosi incoraggino la donazione etica degli organi e condannino il
traffico di esseri umani ai fini
dell’asportazione di organi e il traffico
di organi».
Propositivo il terzo punto, con l’invito a tutte le nazioni a fornire «le risorse
per raggiungere l’autosufficienza nella
donazione degli organi a livello nazionale — con una cooperazione regionale,
secondo le esigenze — riducendo il bisogno di trapianti attraverso misure preventive e migliorando l’accesso a programmi di trapianto nazionali in modo
etico e regolamentato».
La quarta raccomandazione è rivolta
ai governi affinché stabiliscano «un
quadro giuridico che offra una base
esplicita per la prevenzione e la persecuzione di crimini collegati ai trapianti
e protegga le vittime, a prescindere dal
luogo in cui il reato è stato commesso».
Non manca — è il punto numero cinque
— l’appello agli operatori sanitari a svolgere «un controllo etico e medico dei
donatori e dei riceventi, che tenga conto
degli esiti a breve e a lungo termine».
La sesta richiesta riguarda l’istituzione
di «registri di tutte le acquisizioni e i
trapianti di organi» e la comunicazione,
da parte dei singoli governi, «a banche
dati internazionali». È stata inoltre rilevata, al punto sette, l’opportunità di sviluppare «un quadro giuridico perché gli
operatori sanitari e gli altri professionisti possano trasmettere informazioni su
sospetti casi di crimini collegati a trapianti, nel rispetto dei loro obblighi
professionali nei confronti dei pazienti».
Mentre è indirizzato espressamente alle
«autorità responsabili, con il sostegno
del sistema giudiziario», il suggerimento di indagare «su trapianti sospettati di
coinvolgere un reato».
Al punto numero nove sono chiamati
in causa anche «i fornitori di servizi assicurativi e le organizzazioni caritative»
chiedendo che «non coprano i costi delle procedure di trapianto che coinvolgono il traffico di esseri umani ai fini
dell’asportazione di organi o il traffico
di organi». E la decima raccomandazione prevede «che le organizzazioni di
operatori sanitari che si occupano di
trapianti promuovano tra i loro membri
la conoscenza e il rispetto degli strumenti legali e delle linee guida internazionali contro il traffico di organi e il
traffico di esseri umani ai fini
dell’asportazione di organi».
Infine, al punto numero undici, il
summit chiede «che l’O rganizzazione
mondiale della sanità, il Consiglio
d’Europa, le agenzie delle Nazioni Unite, compreso l’Ufficio delle Nazioni
Unite contro la droga e il crimine, e gli
altri organismi internazionali, cooperino
per consentire una raccolta completa di
informazioni su crimini collegati ai trapianti, per avere una maggiore comprensione della loro natura e portata e
dell’organizzazione delle reti criminali
coinvolte».
La questione è semplice, fa presente
la dichiarazione: si tratta di «combattere questi crimini contro l’umanità attraverso sforzi comprensivi che coinvolgano tutte le parti in causa nel mondo».
Una presa di posizione, si legge nel testo, assunta «in conformità alle risoluzioni delle Nazioni Unite e dell’Assemblea mondiale della sanità, del summit
dei sindaci delle maggiori città del
mondo, ospitato in Vaticano nel 2015,
della dichiarazione comune dei leader
religiosi contro le moderne schiavitù del
2014 e del magistero del Papa che, a
giugno 2016, al vertice di giudici e magistrati contro il traffico delle persone
umane e il crimine organizzato, ha affermato che il traffico di organi e il traffico degli esseri umani ai fini dell’asportazione di organi sono “veri e propri
crimini di lesa umanità che devono essere riconosciuti tali da tutte le autorità
religiose, politiche e sociali, e sanciti
dalle leggi nazionali e internazionali”».
«La povertà, la disoccupazione e la
mancanza di opportunità socio-economiche — afferma la dichiarazione — sono fattori che rendono le persone vulnerabili al traffico di organi e al traffico di
esseri umani ai fini dell’asportazione di
organi». E così proprio «le persone indigenti diventano preda di macchinazioni per il traffico di organi quando
vengono indotte a vendere i propri organi nella ricerca disperata di una vita
migliore». È la stessa disperazione che
porta persone ammalate «a pagare
grandi somme e a recarsi in destinazioni
estere come turisti dei trapianti per ottenere un organo che possa tenerle in vita, dimentichi delle conseguenze a breve
e a lungo termine dei trapianti commerciali sulla salute».
Questo crimine, denunciano i partecipanti al summit, è reso possibile da «intermediari e operatori sanitari privi di
scrupoli» che ignorano «la dignità degli
esseri umani». Tanto che «le procedure
chirurgiche vengono svolte in strutture
non autorizzate, clandestinamente». Ma
«il traffico di organi — rende noto la dichiarazione — può avvenire anche in
strutture regolari, in situazioni in cui
persone disposte a vendere i propri organi si presentano ai centri trapianti come parenti o amici altruisti del ricevente». Da parte loro «i media — viene riconosciuto — hanno dato un contributo
importante alla conoscenza pubblica,
mettendo in evidenza la piaga delle persone vittime di questo traffico, pubblicando le proprie indagini indipendenti
sui crimini collegati ai trapianti e su
operatori sanitari corrotti e strutture
abusive».
Ci sono, ricorda la dichiarazione, «diversi strumenti giuridici internazionali»
che «definiscono, condannano e criminalizzano queste pratiche: il protocollo
delle Nazioni Unite contro il traffico di
esseri umani (protocollo di Palermo), la
convenzione del Consiglio d’Europa
sulla lotta contro la tratta di esseri umani e la convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico di organi umani».
Dal summit è arrivato un nuovo «appoggio» a «questi documenti», in grado di affermare «che gli operatori dei
trapianti che commettono o favoriscono
questi crimini devono essere chiamati a
risponderne legalmente».
«Gli strumenti giuridici del passato
recente — si legge nella dichiarazione —
costituiscono un importante collegamento con l’innovativa politica emergente per combattere la disuguaglianza
sociale». E così «il traffico di esseri
umani ai fini dell’asportazione di organi
e il traffico di organi vanno contro
l’Agenda 2030 dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile come questione di diritti umani e giustizia sociale, poiché i poveri
vengono sfruttati per i loro organi, ma
non riescono a ricevere un trapianto se
sono loro ad averne bisogno».
Riconoscendo i passi avanti compiuti,
la dichiarazione non manca di denunciare che «continuano a esserci diverse
destinazioni per il turismo dei trapianti
nel mondo dove non esiste, o viene mal
applicata, una legislazione atta a limitare questi crimini e a proteggere i poveri
e gli indifesi».
È urgente, conclude il documento, rispondere «alla direttiva di Papa Francesco di combattere la tratta di esseri
umani e il traffico di organi in ogni loro
forma condannabile». Con la consapevolezza «degli obiettivi di sviluppo sostenibili delle Nazioni Unite, del protocollo di Palermo delle Nazioni Unite
sulla tratta di esseri umani, delle risoluzioni dell’Assemblea mondiale della sanità (2004 e 2010), della convenzione
del Consiglio d’Europa contro il traffico
di esseri umani, della convenzione del
Consiglio d’Europa contro il traffico di
organi umani, della risoluzione di Madrid sulla donazione e il trapianto di
organi e della dichiarazione di Istanbul
per ridurre il traffico di organi».
Lutto nell’episcopato
Monsignor Patrick Mumbure Mutume, vescovo titolare di Are di Mauritania, ausiliare di Mutare in Zimbabwe, è morto mercoledì 8 febbraio.
Il compianto presule era nato a
Mutare, il 31 ottobre 1943, ed era stato ordinato sacerdote il 3 settembre
1972. Eletto il 15 marzo 1979 alla
Chiesa titolare di Are di Mauritania
e nel contempo nominato ausiliare
del vescovo di Umtali — il 25 giugno
1982 la diocesi ha poi cambiato nome in Mutare — aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il 17 giugno dello stesso anno.
†
La Segreteria di Stato comunica che è piamente deceduta la
Signora
ISABELLE FITZPATRICK
madre di S.E. Mons. Paul Russell, Nunzio
Apostolico in Turchia.
Nell’esprimere a S.E. Mons. Russell sentita partecipazione al suo dolore, i Superiori e gli Officiali della Segreteria di Stato e
del Servizio Diplomatico della Santa Sede
assicurano la loro preghiera di suffragio e
invocano dal Signore conforto per lui e per
gli altri familiari della cara defunta.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 10 febbraio 2017
Messa a Santa Marta
La donna è l’armonia
del mondo
«Per capire una donna bisogna prima sognarla»: ecco perché la donna è «il grande dono di Dio», capace di «portare armonia nel creato». Tanto che, ha confidato Papa Francesco con un tocco di poetica
tenerezza, «a me piace pensare che Dio ha
creato la donna perché tutti noi avessimo
una madre». È un vero e proprio inno alle
donne che il Pontefice ha proposto nella
messa celebrata giovedì mattina, 9 febbraio, nella cappella della Casa Santa
Marta. È la donna, ha riconosciuto Francesco, «che ci insegna ad accarezzare, ad
amare con tenerezza e che fa del mondo
una cosa bella». E se «sfruttare le persone
è un crimine di lesa umanità, sfruttare una
donna è di più di un reato e un crimine: è
distruggere l’armonia che Dio ha voluto
dare al mondo, è tornare indietro».
Per la sua meditazione, Francesco ha
preso le mosse dalle letture odierne, tratte
dal libro della Genesi (2, 18-25) e dal Vangelo di Marco (7, 24-30). La liturgia «continua la narrazione della creazione del
mondo» ha detto subito il Papa, facendo
anche notare come sembri «che con la
creazione dell’uomo tutto sia finito», tanto
che «Dio si riposa». Però «manca qualcosa: l’uomo era solo» e di quella «solitudine Dio stesso se ne accorse: “Non è bene
che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto
che gli corrisponda”» si legge, appunto,
nella Genesi.
Ana Pardo, «La creazione di Eva»
Così «il Signore artigianalmente — ma
questa è una forma letteraria per dirlo —
“plasmò dal suolo ogni sorta di animali
selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li
condusse all’uomo, per vedere come li
avrebbe chiamati”» ha affermato il Papa
rileggendo il passo biblico. E «Dio disse»
all’uomo: «questa sarà la tua compagnia.
dalle un nome». Da parte di Dio, ha proseguito Francesco, «questo è un mandato
di dominio». In pratica dice all’uomo:
«Tu sarai il padrone di questi, quello che
dà il nome, quello che comanda”». Ma
«per l’uomo non trovò un aiuto che gli
corrispondesse» si legge nella Genesi. Così «l’uomo era solo, con tutti questi animali: “Ma, senti, perché non prendi un
cane, fedele, che ti accompagni nella vita,
poi due gatti per accarezzarli: il cane fedele è buono, i gatti sono carini, per alcuni,
per altri no, per i topi no!». Però l’uomo
«non trovava in questi animali una compagnia» e, in sostanza, «era solo».
Francesco ha proseguito riproponendo
punto per punto il passo della Genesi:
«Allora il Signore — continua il racconto
— “fece scendere un torpore sull’uomo”: lo
fa dormire. Un uomo solo, la solitudine,
adesso l’uomo viene addormentato, il sogno dell’uomo: si addormentò». E «artigianalmente — questo è scritto letteralmente — gli tolse la costola e fece “una
donna e la condusse all’uomo”. L’uomo,
quando la vide, disse: “Ah, questa volta sì!
Questa è ossa dalle mie ossa, carne dalla
mia carne. La si chiamerà donna — dà un
nome — perché dall’uomo è stata tolta”».
Insomma, ha affermato Francesco, per
l’uomo «è una cosa differente da tutto
quello che aveva, era quello che gli mancava per non essere solo: la donna, la scoprì, la vide». Ma «prima di vederla, l’ha
sognata». Infatti, ha detto il Papa, «per
capire una donna è necessario sognarla,
prima; non la si può capire come tutti gli
altri viventi: è una cosa differente, è una
cosa diversa». Proprio «così Dio l’ha fatta: per essere sognata, prima».
«Tante volte — ha fatto notare il Pontefice — quando noi parliamo delle donne,
parliamo in modo funzionale: la donna è
per fare questo, per fare, no! Prima è per
un’altra cosa: la donna porta qualcosa
che, senza di lei, il mondo non sarebbe
così». La donna «è una cosa differente, è
una cosa che porta una ricchezza che l’uomo e tutto il creato e tutti gli animali non
hanno». Anche «Adamo, prima di vederla, l’ha sognata: c’è qualcosa di poesia, in
questa narrazione». E «poi il terzo passo,
quando Adamo dice “Questa è ossa dalle
mie ossa e carne dalla mia carne”: il destino di tutti e due». Si legge, infatti, nella
Genesi: «Per questo l’uomo abbandonerà
suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie, e i due saranno un’unica carne».
Sì, «un’unica carne».
«Adamo — ha affermato ancora Francesco — non poteva essere un’unica carne
con gli uccelli, con il cane, con il gatto,
con tutti gli animali, con tutto il creato:
no, no! Solo con la donna e questo è il
destino, questo è il futuro, questo è quello
che mancava». E «la donna viene così a
incoronare il creato, di più: porta armonia
al creato». Perciò «quando non c’è la donna, manca l’armonia». Anche «noi diciamo, parlando: questa è una società con un
forte atteggiamento maschile. Manca la
donna». E magari si dice pure che «la
donna è per lavare i
piatti, per fare». Invece
«no: la donna è per
portare armonia; senza
la donna non c’è armonia». L’uomo e la donna «non sono uguali,
non sono uno superiore
all’altro, no. Soltanto
che l’uomo non porta
l’armonia: è lei che porta quella armonia che ci
insegna ad accarezzare,
ad amare con tenerezza
e che fa del mondo una
cosa bella».
«Tre passi», dunque,
ha rilanciato il Pontefice. Anzitutto «l’uomo
solo,
la
solitudine
dell’uomo senza la donna; secondo, il sogno:
mai si può capire una
donna senza sognarla
prima; terzo, il destino:
una sola carne».
«Mi è capitato alcuni
mesi fa — ha confidato
Francesco — in una delle udienze, quando andavo salutando la gente
che era dietro le transenne, una coppia di sposi che celebrava il
sessantesimo di matrimonio: non erano
tanto anziani perché si erano sposati giovani, andavano sull’ottantina, ma stavano
bene, sorridenti». Vedendoli il Papa ha
domandato loro — perché, ha sorriso,
«sempre domando qualcosa, scherzando,
alla gente che fa gli anniversari di matrimonio» — chi dei due avesse avuto «più
pazienza» nei sessant’anni di matrimonio.
E «loro che mi guardavano, si sono guardati negli occhi — non dimentico mai quegli occhi — poi sono tornati e mi hanno
detto, tutti e due insieme: “Siamo innamorati”». Ecco, ha aggiunto Francesco, «dopo sessant’anni, questo significa una sola
carne e questo è quello che porta la donna: la capacità di innamorarsi. L’armonia
al mondo».
«Tante volte — ha riconosciuto il Papa
— sentiamo dire: “È necessario che in questa società, in questa istituzione, che qui ci
sia una donna perché faccia questo, faccia
queste cose”». Ma «la funzionalità non è
lo scopo della donna: è vero che la donna
deve fare cose e fa — come tutti noi facciamo — cose». Però «lo scopo della donna è
fare l’armonia e senza la donna non c’è
l’armonia nel mondo». Sì, ha insistito il
Pontefice, «sfruttare le persone è un crimine di lesa umanità, è vero, ma sfruttare
una donna è di più: è distruggere l’armonia che Dio ha voluto dare al mondo». È
veramente «distruggere, non è solo un
reato, un crimine: è una distruzione, è tornare indietro, è distruggere l’armonia”».
«Questo è il grande dono di Dio: ci ha
dato la donna» ha affermato il Pontefice.
E nel passo del Vangelo di Marco, proposto oggi dalla liturgia, «abbiamo sentito di
che cosa è capace una donna» ha fatto
notare Francesco, riferendosi alla donna la
cui figlia era posseduta da uno spirito impuro. Una donna «coraggiosa» che «è andata avanti con coraggio, ma è di più, è di
più: la donna è l’armonia, è la poesia, è la
bellezza». Al punto che «senza di lei il
mondo non sarebbe così bello, non sarebbe armonico».
Un momento della visita di Papa Francesco a Birkenau (29 luglio 2016)
Il Papa condanna l’antisemitismo e ribadisce l’importanza dell’amicizia tra cattolici ed ebrei
Insieme
contro l’odio
«Di fronte alla troppa violenza che dilaga
nel mondo, siamo chiamati a un di più di
nonviolenza» puntando invece su
informazione e formazione nella lotta
all’antisemitismo: è l’appello lanciato da
Papa Francesco durante l’udienza a una
delegazione dell’Anti Defamation League,
svoltasi giovedì mattina, 9 febbraio, nella
Sala dei Papi.
Cari amici,
vi do un caloroso benvenuto e vi ringrazio per le cortesi parole che mi avete
rivolto. Già i miei predecessori san
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ricevuto delegazioni della vostra organizzazione, che intrattiene rapporti
con la Santa Sede dal tempo del Concilio Vaticano II. Sono grato che questi
contatti siano andati intensificandosi:
come avete ben sottolineato, il nostro
incontrarci è un’ulteriore testimonianza,
oltre che dell’impegno comune, della
forza benefica della riconciliazione, che
risana e trasforma le relazioni. Per questo rendiamo grazie a Dio, che certamente si rallegra vedendo l’amicizia
sincera e i sentimenti fraterni che oggi
animano Ebrei e Cattolici; così con il
Salmista possiamo anche noi ripetere:
«Ecco, com’è bello e com’è dolce che i
fratelli vivano insieme! […] Perché là il
Signore manda la benedizione, la vita
per sempre» (Sal 133, 1.3).
Se la cultura dell’incontro e della riconciliazione genera vita e produce
speranza, la non-cultura dell’odio semina morte e miete disperazione. Lo scorso anno mi sono recato al campo di
sterminio di Auschwitz-Birkenau. Non
ci sono parole e pensieri adeguati di
fronte a simili orrori della crudeltà e
del peccato; c’è la preghiera, perché
Dio abbia pietà e perché tali tragedie
non si ripetano. Per questo continuiamo ad aiutarci gli uni gli altri, come
auspicava il Santo Padre Giovanni Paolo II, ad «abilitare la memoria a svolgere il suo necessario ruolo nel processo
di costruzione di un futuro nel quale
l’indicibile iniquità della Shoah non sia
mai più possibile» (Lettera introduttiva
al documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 12 marzo 1998): un
futuro di autentico rispetto per la vita e
per la dignità di ogni popolo e di ogni
essere umano.
Purtroppo, l’atteggiamento antisemitico, che nuovamente deploro, in ogni
sua forma, come contrario in tutto ai
principi cristiani e ad ogni visione che
sia degna dell’uomo, è tutt’oggi ancora
diffuso. Ribadisco che «la Chiesa cattolica si sente particolarmente in dovere
di fare quanto è in suo potere, insieme
ai nostri amici ebrei, per respingere le
tendenze antisemite» (Commissione
per i rapporti religiosi con l’ebraismo,
Incontro con la commissione
per i rapporti religiosi con i musulmani
Perché i doni e la chiamata di Dio sono
irrevocabili, 47).
Oggi più che in passato, la lotta
all’antisemitismo può fruire di strumenti efficaci, come l’informazione e la formazione. A questo riguardo, vi ringrazio per la vostra opera e perché accompagnate al contrasto della diffamazione
l’impegno ad educare, a promuovere il
rispetto di tutti e a proteggere i più deboli. Custodire il sacro tesoro di ogni
vita umana, dal concepimento sino alla
fine, tutelandone la dignità, è la via migliore per prevenire ogni forma violenta. Di fronte alla troppa violenza che
dilaga nel mondo, siamo chiamati a un
di più di nonviolenza, che non significa
passività, ma promozione attiva del bene. Infatti, se è necessario estirpare l’erba del male, è ancora più urgente seminare il bene: coltivare la giustizia, accrescere la concordia, sostenere l’integrazione, senza mai stancarsi; solo così
si potranno raccogliere frutti di pace. A
questo vi incoraggio, nella convinzione
che mettere a disposizione i mezzi per
una vita degna, promuovere la cultura
e favorire dovunque la libertà di culto,
anche proteggendo i credenti e le religioni da ogni manifestazione di violenza e strumentalizzazione, sono i migliori antidoti contro l’insorgere dell’odio.
Vi sono grato anche per il dialogo
che, a vari livelli, alimentate con la
Chiesa Cattolica. Sul comune impegno
e sul nostro cammino di amicizia e di
fiducia fraterna invoco la benedizione
dell’Onnipotente: nella sua bontà ci accompagni e ci aiuti a portare frutti di
bene. Shalom alechem!
Nomina episcopale
in Germania
La nomina di oggi riguarda la Chiesa
in Germania.
Horst Eberlein
ausiliare di Hamburg
Prima delle udienze di giovedì mattina, 9 febbraio, il Pontefice ha salutato i consultori della Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani, istituita nel 1974 come organismo distinto ma collegato al Segretariato per i non cristiani, oggi Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.
Nato il 25 ottobre 1950 a Walsleben/Altmark, oggi appartenente all’arcidiocesi di Berlin, ha compiuto gli studi filosofici e teologici a Erfurt. È stato
ordinato sacerdote il 16 aprile 1977 a
Waren/Müritz, nell’odierna arcidiocesi
di Hamburg, incardinandosi nella diocesi di Osnabrück, alla quale allora apparteneva il relativo territorio. Ha svolto successivamente il ministero di viceparroco a Wittenburg e Neubrandenburg, prima di diventare parroco di
Sankt Norbert a Friedland nel 1985.
Nel 1990 è stato trasferito alla parrocchia di Sankt Elisabeth ad Hagenow e
poi nel 1996 alla Christusgemeinde di
Rostock. Dal 2009 era prevosto di
Sankt Anna a Schwerin. E nel 2015 è
stato nominato anche canonico non-residente del capitolo metropolitano di
Hamburg.