Per il cancro del seno servono centri specializzati
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Per il cancro del seno servono centri specializzati
COME CURARE Breast unit Per il cancro del seno servono centri di cura specializzati Entro il 2016 in tutta Europa questa malattia dovrà essere presa in carico da reparti ospedalieri speciali, interamente dedicati alle pazienti. Così si guarisce di più, si vive meglio e si favorisce l’approccio multidisciplinare a cura di DANIELA OVADIA osì come è già accaduto per gli infarti e per gli ictus, anche per il cancro del seno si è scoperto che gli esiti delle cure sono migliori quando le pazienti possono rivolgersi a un reparto interamente dedicato a questa patologia, dove, fin dai primi momenti, interagiscono figure diverse, con competenze che si integrano tra loro. L’oncologo medico, il chirurgo, il radiologo e radioterapista, il chirurgo plastico e l’infermiere specializzato possono così discutere del caso non appena si presenta alla loro attenzione, prevedere le tappe del percorso che porterà alla cura e al ritorno a un’integrità sia fisica sia psicologica. “È questo che intendiamo quando parliamo di breast unit, cioè di reparti interamente dedicati alla presa in carico delle pazienti con cancro del seno” spiega Alberto Luini, direttore della Divisione di se- C All’IEO di Milano il modello è in uso da tempo 16 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2012 nologia dell’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, dove questo tipo di organizzazione del lavoro esiste già da anni. “Non è necessario chiamarsi proprio breast unit per utilizzarne il modello” specifica. E in effetti, anche se l’espressione non sempre campeggia nella segnaletica ospedaliera, i reparti che cercano di rispondere ai requisiti minimi necessari si moltiplicano: da Reggio Emilia al Policlinico Umberto I di Roma, molti centri hanno capito che il tumore del seno non è proprio una malattia come tutte le altre. Ora sono riuniti in un network europeo, il Breast Cancer Network, nel cui sito internet sono indicati, Paese per Paese, tutti gli ospedali dotati di strutture specializzate (quelli italiani si trovano alla pagina http://www.tinyurl.com/curadelseno). Si ottengono esiti migliori Come in precedenza per altre patologie, ora sono disponibili anche studi che confermano l’utilità di que- In questo articolo: cancro del seno unità specializzate cure personalizzate sto approccio alla malattia: le cure sono più efficaci, le pazienti sono più contente e la qualità della vita è più elevata perché molto dello stress che colpisce i malati di cancro è dovuto alla difficoltà di organizzare le diverse fasi della terapia e di far comunicare tra loro medici che lavorano in reparti diversi o addirittura in centri differenti. Lo conferma uno studio condotto su tutti i reparti di senologia della Gran Bretagna già nel 2007: il Breast Cancer Clinical Outcome Measures Project (BCCOM) ha dimostrato che chi può giovarsi di queste strutture viene curato più rapidamente, con maggiore precisione e con una minore frequenza di recidive. Proprio in seguito a questo tipo di studio, l’Unione Europea ha stabilito una norma in base alla quale entro il 2016 tutti i tumori del seno dovranno essere curati nel contesto delle breast unit e, nello scorso mese di marzo, si sono ritrovati a Genova diversi responsabili di reparti di senologia per capire come arrivare pronti all’appuntamento. Il lavoro da fare è tanto, perché non si tratta solo di cambiare l’organizzazione o la logistica, ma piuttosto di modificare la mentalità degli operatori e di fornire un training adatto a coloro che non hanno mai operato in un contesto superspecializzato. Una vecchia idea L’idea delle breast unit non è nuova: già nel 1998, nel corso della prima Conferenza europea sul cancro del seno, la Società europea di mastologia (EUSOMA), insieme al Gruppo cooperativo per la ricerca e il trattamento del cancro del seno (EORTC-BCCG) e a Europa Donna, aveva preparato un documento che chiedeva a tutti i Paesi europei di dotarsi di tali strutture nella misura di almeno una ogni 250.000 donne, in modo che tutte le pazienti potessero accedervi. La proposta ha avuto tanto successo che molti centri hanno chiamato così reparti che, in realtà, non avevano i requisiti necessari per “fregiarsi” del titolo. Per questo sono state recentemente emesse delle linee guida che definiscono gli standard minimi per questo tipo di servizio. “Il punto qualificante è la specializzazione dei medici” continua Luini. “Bisogna che tutti gli operatori di una breast unit si occupino quasi esclusivamente di cancro del seno (cioè per almeno il 90 per cento del loro tempo lavorativo) e non di altre patologie: in questo modo diventano dei veri esperti e possono garantire l’elevata qualità delle cure”. Le indicazioni delle linee guida sono ancora più precise: per essere una breast unit bisogna trattare almeno 150 nuovi casi di cancro del seno primario (cioè non dovuto a recidive) ogni anno. La diagnosi può anche essere fatta altrove, ma tutto il percorso di Condividere i locali per mettere insieme le competenze cura deve avvenire nell’ambito di questo centro specializzato, perché è ormai chiaro che la migliore garanzia per i pazienti (e questo vale per qualsiasi patologia) è quella di mettersi nelle mani di persone che abbiano davvero dimestichezza con quanto devono combattere. “Anche il direttore clinico del centro deve essere uno specialista di chiara fama e deve tenere le redini del coordinamento di ogni singolo caso” spiega Robert Mansel, presidente di EUSOMA. Protocolli comuni ma personalizzati Un’importante garanzia per le pazienti è l’esistenza di protocolli scritti condivisi da tutti gli operatori: “È noto che la variabilità nel trattamento di casi simili è all’origine dei fallimenti terapeutici: fare una medicina personalizzata non significa proporre una terapia a caso, ma identificare bene a quale categoria di pazienti appartiene la persona che si ha davanti e quindi OTTOBRE 2012 | FONDAMENTALE | 17 COME CURARE Breast unit “” A SENO NUDO Non basta saper curare bene il tumore: per definirsi breast unit bisogna anche dare il giusto spazio alla chirurgia ricostruttiva e spiegare alle donne che cosa possono aspettarsi dalle diverse tecniche. E infatti la presenza del chirurgo plastico è richiesta fin dai primi incontri, perché l’altro chirurgo, quello che porterà via la neoformazione, possa farlo nel modo più adatto a garantire un buon esito nella ricostruzione. Lo sa bene Cristina Garusi, chirurgo plastico e vicedirettore della Divisione di chirurgia plastica ricostruttiva dell’IEO che ha pubblicato un libro, intitolato A seno nudo, edito da Tecniche Nuove, davvero unico nel suo genere. Si tratta di una raccolta di fotografie in bianco e nero (eseguite da Isabella Balena) che ritraggono donne assolutamente normali, di tutte le età, mentre posano a seno nudo dopo aver subito un intervento per un cancro del seno e una successiva ricostruzione. “L’idea del libro è nata perché mi è capitata tra le mani una raccolta di ritratti di donne che hanno avuto il cancro del seno realizzata da un fotografo belga” spiega Garusi.“Ogni donna che ha posato per il nostro libro ha anche raccontato brevemente la propria storia alla giornalista Anna di Cagno, che l’ha trascritta fedelmente. Io, invece, ho raggruppato le biografie sulla base del tipo di intervento ricostruttivo che abbiamo eseguito, in modo da poter fornire una sorta di “cartella clinica” che possa aiutare altre donne nella stessa situazione. In ogni storia abbiamo messo in luce che cosa le donne si aspettavano dalla chirurgia ricostruttiva e cosa invece pensano oggi dei risultati ottenuti”. In sostanza è una guida visiva che non nasconde nulla alle future pazienti ma che consente loro di avvalersi dell’esperienza di chi ci è già passato. Esattamente ciò che si vorrebbe fare con l’istituzione delle breast unit. 18 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2012 utilizzare un protocollo scientificamente validato e di sicura efficacia”. Per curare bene bisogna anche che i medici imparino a guardare e valutare il proprio operato, cioè a identificare gli eventuali errori commessi, i ritardi e le omissioni. È un processo di autoanalisi che si chiama audit e che, sempre secondo le linee guida, dovrebbe far parte della routine di una breast unit. “Questo è uno dei punti più critici” spiega Mansel. “Tutti abbiamo molto da fare in un reparto dove si curano le persone affette da una malattia complessa, e quindi le riunioni e i processi di autocritica possono sembrare una perdita di tempo. Così non è: diversi studi hanno dimostrato che nei reparti dove si fa audit in modo sistematico (anche raccogliendo i dati sui risultati ottenuti nel corso di un determinato periodo di tempo) cresce la qualità della cura e calano gli errori, sempre possibili come in qualsiasi contesto umano”. La bravura tecnica, però, da sola non basta. Ecco perché le linee guida EUSOMA chiedono anche che si tenga conto di aspetti molto pratici, come i tempi di attesa per accedere a una visita o a un esame. “Un altro punto qualificante è il rapporto con le pazienti: una breast unit deve avere uno psiconcologo nel suo staff e tutti i medici devono essere addestrati nella comunicazione della diagnosi. Raccomandiamo che le infermiere abbiano una preparazione psicologica specifica, perché sono loro il primo filtro con la realtà ospedaliera. Infine le pazienti hanno diritto di conoscere con la massima precisione possibile i tempi e le caratteristiche dei trattamenti che il medico propone e, in genere, devono essere avviate al percorso di cura al massimo entro quattro settimane dalla diagnosi” spiega ancora Mansel. Infine, fra i requisiti fortemente raccomandati (anche se non obbligatori), vi è quello di far parte di network di ricerca e di insegnamento. “Un reparto clinico che non fa ricerca non può innovarsi” conclude Mansel. “E anche l’insegnamento è un modo per restare aggiornati, oltre che per formare nuovi medici sempre più sensibili alle esigenze di una categoria speciale di pazienti”. Non basta la tecnica, serve anche l’umanità