Sulle cause dello tsunami di Messina del 1908

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Sulle cause dello tsunami di Messina del 1908
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ANDREA BILLI * – LILIANA MINELLI **
Sulle cause dello tsunami di Messina del 1908
I. Introduzione
Nonostante gli tsunami (maremoti) siano noti da millenni e siano stati studiati
sistematicamente da alcuni decenni, la loro conoscenza è ancora molto limitata a
causa, soprattutto, dell’irrealizzabilità di un’analisi diretta della sorgente (Geist, 1999).
Gli tsunami si possono sviluppare a causa di uno o più dei seguenti processi:
(1) lo spostamento cosismico del fondale marino in occasione di un terremoto d’elevata energia che avvenga in un’area marina; (2) una grossa frana sottomarina o
subaerea con successiva evoluzione sottomarina; (3) una violenta esplosione vulcanica sottomarina; (4) la caduta di un asteroide di grosse dimensioni in mare. È
ormai ampiamente dimostrato che i quattro processi sopra menzionati generano
tsunami che possono essere differenti, tra gli altri parametri, per altezza, energia,
velocità delle onde, tempi d’arrivo sulle coste, capacità distruttiva e tempi di
ritorno. È quindi chiaro che lo studio e la comprensione delle cause degli tsunami
sono di fondamentale importanza per conoscere meglio il pericolo connesso con
tali eventi (Bryant, 2000).
L’evento catastrofico del 26 dicembre 2004 (terremoto di Sumatra e conseguente tsunami nell’Oceano Indiano) ha dato nuovo impulso alla ricerca sugli tsunami e già oggi, a pochi anni da tal evento, abbiamo nuovi strumenti per la conoscenza e l’analisi di tsunami passati e per la previsione dei pericoli connessi con
eventi futuri (Zielinski, 2006).
Il 28 dicembre 1908, alle 5,20 circa, ora locale, un violento terremoto con epicentro nei pressi di Reggio Calabria (Fig. 1) scosse l’Italia meridionale e rase al
* Dipartimento di Scienze Geologiche, Università Roma Tre, Largo S. L. Murialdo 1,
00146 Roma. E-mail: [email protected] – Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, CNR,
Roma.
** Dipartimento di Scienze Geologiche, Università Roma Tre, Largo S. L. Murialdo 1,
00146 Roma. E-mail: [email protected] – Dipartimento di Scienze della Terra, Sapienza Università di Roma.
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Fig. 1. (a) Mappa tettonica semplificata del Mar Mediterraneo centrale e aree circostanti. Le linee
nere indicano le principali catene orogeniche. (b) Mappa dello Stretto di Messina e aree circostanti. L’accumulo di frana e la relativa nicchia di distacco nel tratto di mare antistante Giardini
Naxos sono interpretati come l’effetto della probabile frana che causò lo tsunami del 1908 (Billi
et al., 2008b).
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suolo numerose città e villaggi ubicati lungo lo Stretto di Messina e sul Mar Ionio.
Alcuni minuti dopo l’evento sismico, una serie di violente onde di tsunami si
abbatté sulle coste del Mar Ionio, aggiungendo ulteriore morte e distruzione all’opera devastatrice del sisma. Gli eventi naturali del 28 dicembre 1908 causarono
non meno di 60.000 morti e ingenti danni in tutta l’area dello Stretto di Messina
(Platania, 1909; Baratta, 1910).
A cento anni circa dalla catastrofe naturale dello Stretto di Messina, la sorgente del terremoto e quella dello tsunami sono ancora molto incerte. Molti studiosi concordano sul fatto che l’area epicentrale sia ubicata nello Stretto di Messina
(Fig. 1), nel tratto di mare antistante Reggio Calabria (Valensise e Pantosti, 1992;
Pino et al., 2000, 2009). Per quanto riguarda lo tsunami, fino a poco tempo fa,
molti studiosi concordavano sul fatto che tal evento fosse da ricollegare direttamente alla dislocazione del fondale marino indotta dal terremoto, presumibilmente
nell’area epicentrale dello stesso. Tale ipotesi però contrasta con studi passati e
recenti in cui sono state ipotizzate aree sorgenti separate per il terremoto e lo tsunami (Omori, 1909; Tinti e Armiliato, 2003) e in cui si è dimostrato lo sviluppo di
una grande frana sottomarina nel Mar Ionio in concomitanza con il terremoto del
1908 (Ryan e Heezen, 1965).
Contrariamente a quanto ipotizzato in passato, la tesi che si sostiene nel presente lavoro è che lo tsunami del 1908 si sia sviluppato alcune decine di chilometri
a Sud dell’area epicentrale a causa di una grossa frana sottomarina (Fig. 1). Di
seguito sono considerate le evidenze a favore di tale ipotesi così come illustrato in
un precedente articolo (Billi et al., 2008b).
II. I tempi d’arrivo dello tsunami
Nelle settimane e mesi successivi agli eventi del 1908, due studiosi dell’epoca,
M. Baratta e G. Platania, raccolsero una preziosa base di dati sugli effetti del terremoto e dello tsunami nell’area dello Stretto di Messina (Platania, 1909; Baratta,
1910). Sebbene tali dati siano stati per anni oggetto d’intensi studi, una particolare
tipologia di dati (i tempi d’arrivo dello tsunami) è stata trascurata o scarsamente
analizzata. Utilizzando il metodo delle interviste e dei questionari distribuiti tra i
sopravvissuti, M. Baratta riuscì a determinare, con buona approssimazione, i tempi
d’arrivo dello tsunami (ovvero la distanza temporale tra l’arrivo del terremoto e
quello dello tsunami) per circa trenta tra città, villaggi, e piccole località lungo la
costa ionica di Sicilia e Calabria. Questi dati sono stati utilizzati per individuare la
zona origine dello tsunami. In particolare, considerando la batimetria del Mar
Ionio e le leggi che regolano la velocità degli tsunami in mare aperto in funzione
della profondità (Geist, 1999), è stata calcolata una velocità media dello tsunami
nel Mar Ionio di circa 280-300 chilometri l’ora. Assumendo tale velocità (300 chilometri l’ora) come valida per tutta l’area studiata, e assumendo un’origine circa
contemporanea del terremoto e dello tsunami, i tempi d’arrivo dello tsunami in cia-
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scuna località costiera del Mar Ionio sono stati convertiti in distanze dall’area origine dello tsunami. Tali distanze sono state quindi utilizzate per tracciare delle circonferenze aventi, come centro, le località costiere considerate e, come raggio, la
relativa distanza dall’area origine dello tsunami (Fig. 2a). L’intersezione tra tali circonferenze rappresenta, in prima approssimazione, l’area origine dello tsunami. Al
fine di definire meglio tale area, è stata eseguita un’analisi di densità spaziale dei
punti d’intersezione tra le circonferenze (Fig. 2a).
La tecnica utilizzata e sopra descritta è generalmente definita come tracciamento inverso delle onde di tsunami ed è stata utilizzata con successo per altri tsunami storici di cui si conoscono, al pari dell’evento del 1908, i tempi d’arrivo delle
onde di tsunami (Baptista et al., 1998). Nel caso dello tsunami del 1908, il tracciamento inverso delle onde di tsunami evidenzia che la probabile area origine dello
tsunami è sita nel tratto di Mar Ionio antistante Taormina e Giardini Naxos, in
altre parole a circa 30-40 km di distanza dall’area epicentrale nei pressi di Reggio
Calabria (Fig. 1). Tale risultato suggerisce, dunque, che la causa del terremoto e
quella dello tsunami furono differenti perché spazialmente separate.
III. Le quote di risalita dell’onda di tsunami lungo la costa
Dati di fondamentale importanza per la comprensione della causa di uno tsunami e per l’individuazione dell’area sorgente sono le quote di risalita dell’onda di
tsunami lungo le coste investite da un tal evento naturale. È noto, infatti, che il sito
caratterizzato dalla quota massima di risalita dello tsunami costituisce, all’incirca, la
proiezione lungo la costa dell’area sorgente dello tsunami, mentre la distribuzione
delle quote di risalita lungo la costa è sintomatica della causa dello tsunami. Nel
caso, infatti, di uno tsunami da terremoto (cioè causato dalla dislocazione cosismica
del fondale marino), le quote di risalita dello tsunami si riducono significativamente
su distanze molto grandi (anche migliaia di chilometri). Al contrario, nel caso di uno
tsunami da frana, le quote di risalita dello tsunami si riducono significativamente su
distanze di alcune decine di chilometri al massimo (Okal e Synolakis, 2004).
M. Baratta e G. Platania osservando, indipendentemente l’uno dall’altro, le
tracce lasciate dal mare (cioè dallo tsunami) sulla costa ionica di Sicilia, stabilirono,
per numerose località costiere, le quote di risalita dell’onda di tsunami (Platania,
1909; Baratta, 1910). Tali dati sono riportati sull’asse delle ordinate del diagramma
di Fig. 2b, dove l’asse delle ascisse è costituito dalla distanza lungo la costa siciliana
(traccia A-A’ in Fig. 2a). Il diagramma mostra che le quote di risalita dello tsunami
del 1908 si riducono significativamente (da circa 10 m a circa 1 m) su una distanza
parallela alla costa di alcune decine di chilometri. Tale distribuzione è sintomatica
di uno tsunami generato da frana e non di uno tsunami da terremoto (Okal e Synolakis, 2004).
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Fig. 2. (a) Tracciamento inverso delle onde di tsunami del 1908 ottenuto considerando i tempi di
arrivo dello tsunami sulle coste siculo-calabresi. L’area probabile di origine dello tsunami è quella
contrassegnata in grigio scuro. (b) Distribuzione lungo la costa ionica di Sicilia (traccia A-A’) delle
quote di risalita dello tsunami del 1908. Figure modificate da Billi et al. (2008a, 2008b).
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IV. Le evidenze batimetriche e sismiche
Al fine di individuare la causa dello tsunami del 1908, la carta batimetrica del
Mar Ionio, elaborata e pubblicata da Marani et al. (2004), è stata utilizzata per
indagare il fondale del Mar Ionio (Fig. 3a). Nel tratto di mare antistante Giardini
Naxos e Taormina, tale carta mostra un evidente accumulo di sedimenti al piede
della scarpata continentale siciliana. A monte di tale accumulo, la scarpata continentale è caratterizzata da una profonda incisione (nicchia). Queste evidenze, cioè
l’accumulo di sedimenti e l’incisione della scarpata a monte dell’accumulo stesso,
possono essere interpretate come generate da un processo franoso sottomarino.
Al fine di comprendere meglio la natura dell’accumulo di sedimenti e dell’incisione osservati sulla carta batimetrica del Mar Ionio e sopra discussi, è stata analizzata una porzione della sezione sismica a riflessione CROP-M31 (Fig. 3b). In tale
sezione, il fondale marino è ben visibile ed è costituito dal primo (cioè quello più
in alto) tra i riflettori (linee nere) rappresentati nella sezione. La linea sismica
CROP-M31 è ubicata esattamente in corrispondenza dell’accumulo di sedimenti e
dell’incisione osservati sulla carta batimetrica (traccia O-E in Fig. 3a). La linea
sismica conferma le deduzioni basate sulle evidenze batimetriche mostrando un
corpo caotico non stratificato al piede della scarpata sottomarina antistante Giardini Naxos ed interpretabile come un accumulo di frana. Le informazioni disponibili non permettono di datare tale accumulo, ma la sostanziale assenza di sedimenti
al di sopra dello stesso suggerisce che si possa trattare di un accumulo di frana
recente. È tuttavia necessario rendere noto che la linea sismica CROP-M31 è uno
strumento idoneo all’identificazione della transizione crosta-mantello (mediamente
ubicata a circa 30-35 km di profondità in aree continentali) e, come tale, scarsamente valido per lo studio del fondale marino. Ciononostante, una sezione sismica
ad alta risoluzione, e dunque idonea allo studio del fondale marino e dei corpi geologici più superficiali, è stata recentemente acquisita in corrispondenza dell’accumulo di sedimenti osservato sulla carta batimetrica (Argnani et al., 2009). L’analisi
preliminare di tale sezione ha confermato le deduzioni tratte dalla sezione CROPM31, cioè che l’accumulo di sedimenti osservato in Fig. 3 è interpretabile come una
frana recente.
V. L’interruzione dei cavi sottomarini
Dall’avvento del telegrafo nel XIX secolo, l’interruzione dei cavi telegrafici o
elettrici sottomarini ha costituito la prova regina per dimostrare l’occorrenza di
eventi franosi sottomarini e delle correlate correnti torbide. Tale prova è ancora più
robusta nel caso in cui l’interruzione dei cavi sottomarini avvenga in un’area di
piana batiale (settore marino pianeggiante ad una quota compresa tra circa -2000 e
-4000 m e ad una distanza di almeno alcune decine di chilometri dai continenti),
dove una corrente torbida innescata da una frana lungo una scarpata continentale
adiacente costituisce l’unica spiegazione per la rottura di cavi sottomarini.
Fig. 3. (a) Mappa batimetrica del Mar Ionio. Si noti la nicchia di distacco ed il materiale di accumulo franato nel tratto di mare antistante Giardini Naxos. (b) Sezione sismica a riflessione CROPM31 (traccia O-E). Una sezione sismica a riflessione è simile ad una TAC umana ed è in grado di
mostrare molto bene il fondale marino e la struttura della crosta terrestre fino ad alcune decine di
chilometri di profondità. Si noti, nella parte superiore della sezione, la scarpata ed il materiale di
accumulo franato. Figure modificate da Marani et al., (2004), Scrocca et al. (2004), e Billi et al.
(2008a, 2008b).
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M. Baratta scrisse che, nel 1908, circa dieci ore dopo il sisma, i cavi telegrafici
che collegavano Malta a Zante (Grecia) si interruppero (Baratta, 1910). Nei primi
anni sessanta, due ricercatori americani, W. Ryan e B. Heezen, approfondirono tale
tema con metodi oceanografici (Ryan e Heezen, 1965). Acquisendo dati batimetrici
nell’area marina compresa tra la Sicilia orientale, le Isole Maltesi e la Grecia, i due
ricercatori americani compresero che i cavi telegrafici erano stati interrotti in una
piana batiale, in corrispondenza di alcuni canyon sottomarini che si estendono
dallo Stretto di Messina e dalla costa orientale di Sicilia verso la Cirenaica (Fig. 4).
Fig. 4. Mappa batimetrica del Mar Ionio e Mar Mediterraneo centrale (da Ryan e Heezen, 1965).
Si noti l’ubicazione dei cavi telegrafici sottomarini che furono interrotti in occasione del terremoto
del 1908 e la presenza di canyon sottomarini tra lo Stretto di Messina e la piana abissale del Mar
Mediterraneo centrale.
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Al fine di comprendere cosa poteva aver spezzato i cavi telegrafici, furono prelevate
alcune carote di sedimento superficiale nell’area dove era avvenuta l’interruzione a
quote comprese tra -2000 e -3000 m circa. Si trovò che la parte sommitale e
dunque più giovane delle carote era costituita da circa 2 m di materiale sabbioso
grossolano, la cui deposizione in una piana batiale non può avvenire se non tramite
una frana originatasi lungo una scarpata continentale adiacente, cioè quella della
Sicilia orientale nel caso in esame (Fig. 4). Le analisi mineralogiche condotte su tali
sedimenti suggerirono come area d’origine proprio la Sicilia orientale, a causa della
compatibilità tra i minerali individuati nei sedimenti contenuti nelle carote e quelli
caratteristici dei Monti Peloritani in Sicilia orientale (Messina). L’ipotesi di una
frana sottomarina quale causa dell’interruzione dei cavi telegrafici sottomarini fu
inoltre corroborata dai documenti compilati dagli operai che provvidero alla sostituzione dei cavi, segnalando il ritrovamento di sedimento sabbioso all’interno dei
cavi laddove gli stessi erano stati interrotti.
VI. Conclusioni
Le evidenze riportate e discusse nel presente articolo indicano che la causa
principale dello tsunami del 1908 non fu la dislocazione cosismica del fondale
marino nell’area epicentrale, ma una grossa frana sottomarina sviluppatasi alcune
decine di chilometri a Sud dell’epicentro. Tale tesi è supportata, in particolare, dai
dati riguardanti i tempi di arrivo dello tsunami (Fig. 2a), le quote di risalita lungo
la costa delle onde di tsunami (Fig. 2b) e l’interruzione dei cavi sottomarini telegrafici tra Malta e Zante (Fig. 4). La frana che generò lo tsunami deve essere ancora
individuata con certezza. Ciononostante, i dati batimetrici e sismici a riflessione
(Fig. 3) permettono di individuare un grosso accumulo di sedimenti al piede della
scarpata continentale nel tratto di mare antistante Giardini Naxos e, a monte di tale
accumulo, una marcata incisione della scarpata stessa. Tali evidenze suggeriscono
un evento franoso sottomarino che potrebbe anche spiegare lo tsunami del 1908.
La causa dell’evento franoso è senz’altro da attribuire al terremoto così come dimostrato in precedenza tramite modelli numerici (Billi et al., 2008a). L’influenza della
dislocazione cosismica del fondale marino sullo sviluppo dello tsunami non è
ancora stata determinata con esattezza, ma recenti modelli numerici (Okal e Synolakis, 2004) suggeriscono che tale influenza dovrebbe essere stata piuttosto limitata
a causa della ridotta dislocazione (1 m circa; Valensise e Pantosti, 1992).
Si ringrazia il Prof. A. Mottana per aver stimolato la stesura del presente
lavoro e per averlo commentato criticamente. Questo lavoro è dedicato al Prof. R.
Funiciello, nostro maestro d’arte e di scienza.
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