east 46_Un prete sulla via di Damasco
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east 46_Un prete sulla via di Damasco
68-72 siria dall'oglio copia_Layout 1 13/02/13 18:35 Pagina 68 DOSSIER L’INVERNO ARABO Un prete sulla via di Damasco Padre Paolo si considera cittadino del mondo. Ha appena compiuto un viaggio in Giordania. Prima è stato in Egitto e in molti Paesi europei. Conduce un talk show su Orient Tv, emittente satellitare rivoluzionaria. Romano, 58 anni, sacerdote, ha vissuto in Siria fino a quando il governo di Bashar el-Assad ha emesso un decreto di espulsione. di Antonio Picasso “V i raccontano che l’unica soluzione per frenare il terrorismo in Siria sia Bashar el-Assad. Questa è una men- zogna!” “Mi accusano di essere una banderuola. Perché prima ero con gli Assad, mentre adesso faccio il rivoluzionario”. È vero? Prima era allineato con il regime? “Bisogna fare un passo molto indietro. Io sono arrivato in Siria nel 1982 (anno in cui padre Paolo scopre e inizia il restauro del monastero siro-cattolico di Deir Mar Mussa, trasformandolo in un centro di ritiro spirituale e dialogo interreligioso, ndr). Erano gli anni della Guerra fredda e promuovere la testimonianza cristiana in Siria significava farlo oltre la cortina di ferro. Effettivamente, in passato non mi sono esposto. Ritenevo essenziale essere in Siria per portarvi un messaggio di pace. A Damasco allora regnava Hafez elAssad, il padre dell’attuale presidente. La censura era davvero stretta. Inoltre, durante quel primo periodo ero concentrato sul restauro del monastero e non potevo fare altro. Chi mi accolse laggiù mi fece notare che in Siria anche i muri hanno orecchie e bocca. Quindi era meglio tacere. Per questo scelsi la strada prima del silenzio e poi della cautela. 68 L’importante era essere comunque lì. Portando un messaggio cristiano in un Paese alleato del blocco sovietico.” Poi però le cose sono cambiate. “È stato con la morte di Hafez e la successione di suo figlio Bashar. Su di lui avevamo riposto le speranze per le riforme. Noi siriani (ormai padre Paolo si sente e si percepisce per scelta siriano d’adozione, ndr) lo salutammo come il traghettatore provvidenziale della Siria verso la democrazia matura.” Ma questi presupposti c’erano veramente? “Per molti aspetti sì. L’iniziale libertà di stampa e il risveglio della coscienza civile, soprattutto da parte dei giovani, rappresentarono segnali concreti per un cambio di rotta. Ovvio che non si potesse pretendere di cambiare il Paese dall’oggi al domani. Però il dibattito politico cominciava ad avere sostanza. Si parlava di ambiente, inquinamento, ma soprattutto di confronto confessionale. La Siria pluralistica e armonica non è stata inventata dagli Assad. È così da secoli. All’interno di questo mosaico di fedi, la nostra cristianità è a sua volta testimonianza di un pluralismo ecclesiale autentico e antico.” Padre Paolo, lei vede nelle Chiese di tutto il Medio Oriente, non solo in quelle siriane, un frazionamento virtuoso. Ma i cristiani in Siria la pensano come lei? “Tra le alte sfere ecclesiastiche locali, c’è chi ha chiesto la mia testa. E sono proprio loro che vedono in Assad l’unica soluzione.” Per quale motivo? “I patriarchi (le guide istituzionali grecoortodossa, melchita e siriaca, ndr) hanno individuato nella famiglia Assad una protezione come quella garantita loro dalla Francia in epoca coloniale.” Temono il ripetersi del disastro iracheno. Nel 2003, la caduta di Saddam Hussein ha fatto da stura allo scontro confessionale. Sono paure fondate le loro? east european crossroads 68-72 siria dall'oglio copia_Layout 1 13/02/13 18:35 Pagina 69 DOSSIER BRYAN DENTON/THE NEW YORK TIMES//CONTRASTO SIRIA “La volontà di persecuzione non è propria dei ribelli siriani. D’altra parte i rischi sono ben vivi. Io stesso, quando sono entrato clandestinamente nel Paese, ho visto i miliziani ceceni per la strada. Attenzione, a me non sta bene che si arrivi a centomila morti tra gli alawiti e tra i cristiani (le due etnie fedelissime del regime, ndr) alla fine degli scontri. Ecco quindi necessario uno sforzo comune. Perché la morte dei giovani siriani non risulti inutile.” Lei ammette che il pericolo dello scontro confessionale c’è? numero 46 marzo/aprile 2013 “Bisogna fare un distinguo tra l’elemento qaedista, esplicitamente anti-cristiano, e il mainstream della rivoluzione. Ma l’ho già detto: è vergognoso che in Occidente venga raccontata solo una parte della crisi siriana. Cioè la prima.” Nel senso che i ribelli combattono per una causa giusta. “I ribelli, i rivoluzionari, altro non sono che giovani siriani qualunque che hanno scelto di morire per non perdere la dignità. Sono scesi in piazza per chiedere libertà e diritti. Solo per questo.” \ Padre dall’Oglio arriva in Siria in occasione del restauro del monastero sirocattolico di Dier Mar Mussa che trasformerà poi in un centro spirituale. 69 68-72 siria dall'oglio copia_Layout 1 13/02/13 18:35 Pagina 70 BRYAN DENTON/THE NEW YORK TIMES//CONTRASTO DOSSIER L’INVERNO ARABO Siria Indicatori politici AREA: 185.180 Km2 POPOLAZIONE: 22.530.746 massimo rischio RELIGIONE: Musulmana sunnita 74%, altri musulmani (alawiti e drusi) 16%, Cristiana 10%. FORMA DI GOVERNO: repubblica sotto un regime autoritario SUFFRAGIO: Universale (18 anni) CAPO DI STATO: Bashar al-ASAD (Luglio 2000) 50 minimo rischio 0 $ 43,2 mld (nominale, stima 2013) INFLAZIONE: 34,7% (stima 2013) 89 89 Corruzione Indipendenza della giustizia 144 109 su 176 Paesi su 144 Paesi CAPO DI GOVERNO: Wael al-HALQI (Agosto 2012) PIL: Political Risk & Country Analysis - UniCredit Sicurezza 22,3 anni 90 Efficacia governativa ETÀ MEDIA: 100 Stabilità politica \ Beirut, 18 giugno 2012. Paolo dall’Oglio nel monastero gesuita di St. Joseph. Il rischio politico è fortemente deteriorato a causa dei disordini iniziati a marzo 2011. Valori di riferimento: primo paese Norvegia, ultimo paese Somalia Qualità della burocrazia minimo rischio 3 massimo rischio EIU, ONU, WB,WEF, Heritage Foundation, Transparency International, Global Peace Index 70 east european crossroads 68-72 siria dall'oglio copia_Layout 1 13/02/13 18:35 Pagina 71 SIRIA DOSSIER Testimonianza da Damasco L a mia è una storia come tante a Damasco. Mi hanno arrestato nel 2011 all’inizio della rivolta. Avevo partecipato alla prima manifestazione contro il regime, nel suk al Hamidiyya. Il vecchio suk di Damasco, quello che tutti i turisti conoscono, pieno di negozi di spezie, tappeti, stoffe e venditori di succo di melograno. Ora è vuoto. Mi hanno arrestato quattro giorni dopo la manifestazione, sono venuti a prendermi a casa di mia sorella. Ero andato lì per festeggiare il giorno della mamma, ma gli uomini del Mukkhabbarat (servizi segreti) hanno buttato giù la porta a calci, sapevano che ero lì, mi hanno imbavagliato e portato via davanti agli occhi della mia famiglia. Mi hanno portato a Tartus, la prigione dove portano tutti i detenuti politici. Mi hanno legato le mani dietro la schiena e bendato. Prima ero seduto su una sedia e loro mi picchiavano, poi mi hanno lasciato per terra, e mi hanno gettato addosso una coperta. Volevano sapere nomi e volevano farmi confessare piani sovversivi. Sono un giornalista e forse la mia professione li ha resi più gentili. Non ho subito torture insopportabili come altri miei amici. Mi hanno rilasciato 26 giorni dopo, il 26 aprile 2011. Quando sono tornato a casa tutti hanno pianto dalla gioia, ma poi ci siamo guardati in silenzio. Sapevano che ora nulla sarebbe stato più come prima. Nel 2011 pensavamo di vincere, ci aspettavamo un aiuto dall’estero, ci aspettavamo che il regime crollasse, come in Tunisia, come in Egitto, ma non è PAOLO PELLEGRIN/MAGNUM PHOTOS/CONTRASTO Ballare a Damasco successo. I nostri vicini e tutto il quartiere all’inizio erano pieni di compassione, la gente si confidava, si aiutava, c’era una silenziosa intesa. Appena arrivavano i soldati, le porte delle case si aprivano, affinché trovasse rifugio chi si doveva nascondere. Jamila, la mia vicina, un’insegnante. Ha ospitato per settimane una famiglia di profughi da Homs. “Mi hanno fatto pena e poi dobbiamo aiutarci tra di noi...” mi aveva detto all’inizio. Alcune settimane più tardi ho incontrato Jamila, dimagrita, le rughe sulla fronte erano scavate... “Non potevo più tenerli a casa, li ho dovuti mandare via...” mi confessa. Jamila ha perso il proprio lavoro, sfamare una famiglia di cinque persone era troppo. Ha dovuto confessare al padre e a se stessa che quando gli aveva offerto una casa, non aveva tenuto conto dei costi economici. Non era più in grado di sostenere la propria generosità. La sconfitta l’aveva piegata. Le sono venute due rughe profonde sulla fronte che le ricordavano di non essere riuscita a rispettare le proprie aspettative. Ora Jamila è triste. In autobus, la gente a Damasco chiacchierava ad alta voce, da un anno parlano tutti sottovoce. Hanno paura. Le spie del governo sono ovunque, hanno il volto del nostro vicino, del panettiere sotto casa, del farmacista. Gli uomini camminano veloci, ormai non nascondono i kalashnikov, le pistole. Forse sono guerriglieri, forse shabbiya (uomini di Assad), forse poliziotti, o forse solo uomini impauriti. Tutti hanno paura ma nessuno ne parla. I cristiani si parlano tra di loro, hanno paura dei sunniti, gli alawiti si nascondono. Tra noi amici proviamo a ricordare a noi stessi e agli altri che non dobbiamo perdere la nostra umanità, la nostra forza. Noi non siamo la nostra collera. Gli uomini della guerriglia hanno tutti visto morire un loro compagno, un loro amico, un soldato. I lutti creano rabbia e la rabbia diventa vendetta. In occasione del giorno del Natale cristiano abbiamo appeso le foto dei martiri su un albero di natale, e l’abbiamo chiamato l’albero della libertà. Era un albero pieno di fotografie di sunniti. Forse le parole aiutano a riconquistare la nostra libertà, non lo so ancora. La sera tutti ci chiudiamo in casa e si comunica su Facebook su Twitter, guardiamo le foto, i video delle manifestazioni, della guerra, dei morti. Ci chiediamo “Vai a ballare domani?” Vuol dire. “Domani vai alla manifestazione?” Ma ormai sono sempre meno i balli organizzati. Ormai è guerra. 71 68-72 siria dall'oglio copia_Layout 1 13/02/13 18:35 Pagina 72 DOSSIER L’INVERNO ARABO Lei parla di uno sforzo comune per il bene della Siria… “Io parlo di uno sforzo per risolvere una crisi che riguarda la Siria, ma anche tutti noi. Quanto è accaduto finora invece nasce dall’omissione di soccorso da parte della comunità internazionale.” Anche da parte della Chiesa? “Il silenzio assordante della diplomazia vaticana è la cosa più grave che potesse capitare ai cristiani locali.” A suo giudizio quali sono gli interlocutori con i quali si dovrebbe aprire un confronto? “L’attenzione va concentrata sulla Russia e sull’Iran. Bisogna rilanciare l’iniziativa diplomatica e umanitaria, avendo a mente un progetto federale che possa garantire alle minoranze la loro futura partecipazione alla ricostruzione del Paese, ma soprattutto la loro sicurezza.” Torniamo alla Chiesa. Lei parla di inoperosità da parte di Roma e di allineamento per quanto riguarda invece i patriarchi siriani. È possibile superare questi ostacoli? “Vede, ho più volte sottolineato il grande Le otto chiese S ono otto le chiese cristiane presenti in Siria: Armena (cattolica e ortodossa), caldea, greco-cattolica, greco-ortodossa e siro-cattolica e siro-ortodossa, latini, che fanno direttamente capo a Roma, e i maroniti, tradizionalmente legati al Libano. Dei 22milioni di cittadini siriani, i cristiani sono circa il 16%. Ma si tratta di una stima da prendere con beneficio di inventario. Non soltanto a causa dell’odierno stato di conflitto, che sta destabilizzando i già precari equilibri etnicoconfessionali del Paese. difetto delle Chiese mediorientali. Vale a dire l’avanzata età dei loro leader. Molti dei patriarchi hanno più di ottanta anni, inevitabilmente compromessi con gli Assad. Il ricambio generazionale al vertice delle istituzioni ecclesiastiche, definendo un limite di età, sarebbe un passo avanti. L’Occidente dovrebbe dare il buon esempio. Ottant’anni per tutti.” Disordini sociali ra vi 1° S 1° R zz e a ua nd a nd 1° Is la 1° Fin la nd a ve gi or Business Environment ia Indicatori sociali 1° N In generale è difficile tracciare una panoramica del cristianesimo siriano. Nei secoli si sono avvicendati momenti di pacifica convivenza ad altri di dura repressione da parte della maggioranza musulmana. La Siria è la terra di Paolo di Tarso, l’apostolo delle genti. Nella moschea degli Omayyadi, a Damasco, sono custodite le spoglie di San Giovanni Battista. Spoglie peraltro venerate dagli stessi musulmani. L’intreccio tra cristianesimo e Islam in Siria è antico di secoli. minimo rischio 4 144 massimo rischio Facilità nel concludere affari su 185 Paesi (1° Singapore, 185° Rep. Centrafricana) Continua la guerra civile. Maggiori difficoltà: accesso al credito, rispetto dei contratti Popolazione in carcere 105 119 110 molto basso 132 176 (ogni 100.000 abitanti) 135° Yemen 142° Algeria Distribuzione della ricchezza Tasso di alfabetizzazione (indice Gini) 83% 179° Eritrea 187° Congo 72 190° Qatar, Arabia Saudita, Vanuatu Sviluppo umano % di seggi Libertà di stampa occupati da donne nei Parlamenti nazionali Disparità di genere molto alto 1 Fuga di cervelli 35,8 1° Seyshelles (19) Ultimo Comore (64,3) 98 Competitività globale su 144 Paesi (1° Svizzera, 144° Burundi ) Abbonamenti a telefoni cellulari 63 (ogni 100 persone) Saldo migratorio (netto) Utenti di internet -55.877 22,4 (ogni 100 persone) 139 Libertà economica su 179 Paesi (1° Hong Kong, 179° Corea del Nord) east european crossroads