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Il rimborso pro quota delle spese sostenute per il
mantenimento del figlio
Entrambi i genitori naturali - non diversamente da quelli legittimi - sono coobbligati
solidali nei confronti del figlio per tutto quanto gli è dovuto per il suo mantenimento;
pertanto il genitore naturale convivente con il figlio, che abbia prestato l'intero
mantenimento, ha diritto di regresso nei confronti dell'altro genitore sulla scorta delle
regole dettate dall'art. 1299 cod. civ. nei rapporti fra condebitori solidali. Detto diritto al
rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore
che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento del riconoscimento o
della sentenza di accertamento della filiazione, con la conseguenza che detto momento
segna altresì il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso. Il detto
termine prescrizionale è quello ordinario stabilito dall’art. 2946 c.c., pari a dieci anni e
non quello quinquennale, che si applica, viceversa, al credito per il pagamento
dell’assegno mensile di mantenimento.
Lo ha stabilito il Tribunale di Messina – I° sezione civile – con sentenza n.1546 del 13 luglio
2015
Il caso
Un padre naturale conveniva in giudizio davanti al Tribunale la madre naturale esponendo che
con provvedimento reso ai sensi dell’art. 148 c.c. il Presidente del Tribunale aveva posto a
carico del deducente l’obbligo di corrispondere alla madre naturale un assegno mensile a titolo
di contributo per il mantenimento della figlia naturale riconosciuta da entrambi i genitori.
Rilevava che nel lungo tempo intercorso dall’emissione del suddetto provvedimento, anno
1999, la situazione era mutata, in quanto la figlia prestava attività lavorativa quale dipendente a
tempo determinato e che inoltre aveva contratto matrimonio civile.
Concludeva, pertanto, affermando che l’acquisita autonomia economica della figlia aveva
determinato il venir meno dell’obbligo di corrispondere l’assegno. Chiedeva, dunque, che il
Tribunale dichiarasse cessato l’obbligo gravante sul deducente di corrispondere alla madre
naturale un assegno mensile per il mantenimento della figlia.
Le difese della madre
Si costituiva tempestivamente la madre naturale evidenziando che l’obbligo gravante sui
genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessava con il raggiungimento della
maggiore età, ma richiedeva la prova che il figlio avesse raggiunto l’indipendenza economica.
Osservava, poi, che ella aveva sostenuto in via esclusiva le spese per il mantenimento della
figlia dalla nascita sino all’anno 1999, e chiedeva in via riconvenzionale la condanna del padre
naturale al rimborso della quota su di lui gravante delle spese sostenute dalla deducente per il
mantenimento della figlia nel periodo anteriore al 30.11.1999.
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L’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Con memoria depositata il 15.10.2014 il padre naturale eccepiva l’inammissibilità della
domanda riconvenzionale avversaria in quanto avente una causa petendi ed un petitum diversi
da quelli dedotti in giudizio dall’attore, in violazione di quanto previsto dall’art. 36 c.p.c..
Osservava, poi, che la domanda appariva eccessivamente generica, non avendo la parte
indicato l’ammontare delle somme chieste in ripetizione.
Evidenziava, infine, l’infondatezza della pretesa avversaria in quanto egli aveva provveduto al
mantenimento della figlia anche prima del provvedimento presidenziale, e la prescrizione del
credito vantato da controparte.
Nel caso in cui la domanda riconvenzionale avversaria fosse stata ritenuta ammissibile,
chiedeva la restituzione delle somme versate alla madre naturale per il mantenimento della
figlia a decorrere dal raggiungimento della maggiore età di quest’ultima o dal momento in cui la
stessa aveva smesso di coabitare con la madre o dal raggiungimento dell’autonomia
economica.
Quando cessa l’obbligo di mantenimento?
Per il Tribunale, l’obbligo gravante sui genitori di mantenere i figli minori non cessa
automaticamente con la maggiore età ma continua invariato finché i genitori (o il genitore
interessato) non diano prova che il figlio è stato da loro posto nelle concrete condizioni per
potere essere economicamente autosufficiente, quand’anche, poi, non ne abbia tratto profitto
per negligenza o per cattiva volontà (Cass. civ. 2.09.1996 n. 7990).
Il concetto di indipendenza economica del figlio.
Il concetto di “indipendenza economica del figlio” non coincide con l’instaurazione effettiva di
un rapporto di lavoro stabile ma occorre il verificarsi di una situazione tale che sia ragionevole
dedurne l’acquisto della potenzialità del conseguimento di autonomia economica
(Cass.23596/06); in particolare, la Suprema Corte ha, anche di recente, affermato il principio
secondo il quale il matrimonio del figlio maggiorenne già destinatario del contributo di
mantenimento a carico di ciascuno dei genitori ne comporta l'automatica cessazione tenuto
conto degli obblighi e dei diritti che derivano dal matrimonio.
L’indipendenza economica ed il matrimonio.
Per il giudice, il matrimonio, infatti, dà vita ad un nuovo organismo familiare distinto, pur se
convivente con quelli di origine di uno dei coniugi, perciò autonomo, una volta che nel suo
ambito questi ultimi divengono titolari del governo della nuova entità e sono legati dall'obbligo
alla reciproca assistenza morale e materiale costituente il necessario svolgimento di
quell'impegno di vita assieme che hanno assunto con le nozze (Cass. 24498/2006; Cass.
1830/2011).
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La domanda di restituzione delle somme versate alla madre naturale.
Viceversa, per il Tribunale, non può, invece, essere esaminata la domanda avanzata dal padre
naturale di restituzione delle somme versate alla madre naturale per il mantenimento della figlia
a decorrere dal raggiungimento della maggiore età di quest’ultima o dal momento in cui la
stessa aveva smesso di coabitare con la madre o dal raggiungimento dell’autonomia
economica.
La reconventio reconventionis
Infatti – prosegue il Tribunale - in base alla disciplina contenuta nell’art. 183/6 c.p.c., la
reconventio reconventionis deve essere proposta dall’attore a pena di decadenza nella prima
udienza di trattazione, mentre nel caso in esame la domanda in questione risulta proposta solo
con la prima memoria ex art. 183 comma 6° c.p.c..
Da quando decorre la restituzione delle somme.
Peraltro, secondo il Giudice, anche nel merito la domanda appare palesemente infondata,
poiché è pacifico che il provvedimento emesso dal Presidente del Tribunale ex art. 148 c.c.
(oggi 316 bis c.c.), quando non venga opposto, acquista l'autorità, intangibilità e stabilità, per
quanto temporalmente limitata ("rebus sic stantibus"), del giudicato e ciò significa che conserva
la propria efficacia, sino a quando non intervenga la sua modifica o revoca, rimanendo del tutto
ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o per la
revoca (Cass. civ. 22/05/2009 n. 1191). Pertanto, la percezione da parte della madre naturale
dell’assegno previsto per il mantenimento della figlia maggiorenne non può ritenersi senza
titolo, fondandosi su un provvedimento giurisdizionale, mai modificato, che attribuiva alla stessa
il diritto alla percezione di detto assegno.
Secondo il Tribunale, appare poi ammissibile e fondata, per quanto di ragione, anche la
domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta diretta ad ottenere la condanna dell’attore
alla rifusione pro quota delle somme spese dalla madre naturale per il mantenimento della figlia
prima del provvedimento presidenziale che ha fissato la misura dell’assegno.
La domanda riconvenzionale e l’articolo 36 c.p.c.
Quanto alla eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale – prosegue il Tribunale
- è sufficiente osservare che in dottrina, tradizionalmente, si discute se l’art. 36 c.p.c. (a norma
del quale la domanda riconvenzionale è quella domanda che dipende dal titolo dedotto in
giudizio dall’attore ovvero da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione),
sia una norma di portata generale, volta a disciplinare i presupposti di ammissibilità della
domanda riconvenzionale, ovvero una disposizione sulla sola competenza. In giurisprudenza,
però, è pacifico che la regola posta dall’art. 36 c.p.c. trova applicazione esclusivamente quando
la domanda riconvenzionale appartenga alla competenza territoriale di un diverso giudice,
mentre non trova applicazione quando non si ponga un problema di spostamento di
competenza. Conseguentemente – prosegue il giudice - si ammette la possibilità di proporre
domande riconvenzionali non connesse ai sensi dell’art. 36 c.p.c., purché sia ravvisabile un
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collegamento obbiettivo tra le pretese, tale da giustificare il cumulo processuale, ed entrambe le
domande appartengano alla competenza del medesimo giudice (Cass. 9656/1999; Cass.
4696/1999; Cass. 9313/1997; Cass. 6103/1994; Cass. 4837/1994; Cass. 1431/1990).
L’omessa indicazione della somma pretesa nella domanda.
Il Tribunale chiarisce che deve escludersi, infine, che la domanda riconvenzionale sia nulla per
la mancata indicazione dell’importo del quale la convenuta ha chiesto il rimborso. Infatti l’onere
di determinazione dell’oggetto della domanda è validamente assolto anche quando la parte
ometta di indicare esattamente la somma pretesa, a condizione che, come nel caso in esame,
abbia indicato i titoli posti a fondamento della pretesa, ponendo in tal modo l’altra parte in
condizione di formulare le proprie difese (Cas. civ. 28.05.2009 n. 12567).
L’obbligo dei genitori di mantenere i figli
Nel merito il Tribunale premette che il codice civile, conformemente ai principi costituzionali (art.
30 Cost.), pone a carico dei genitori l'obbligo di mantenere i figli per il solo fatto di averli
generati, disciplinando il concorso negli oneri relativi (art. 316 bis c.c.). Già prima della entrata in
vigore del D.Lgs. 154/2013, che ha parificato la posizione dei figli nati nel matrimonio e di quelli
nati fuori dal matrimonio, il legislatore aveva, comunque, stabilito all’art. 261 c.c. che “il
riconoscimento comporta da parte del genitore l'assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che
egli ha nei confronti dei figli legittimi”. Ciò significa – prosegue il Tribunale - che, già nel
previgente sistema normativo, occorreva assicurare ai figli naturali un trattamento uguale a
quello riconosciuto ai figli legittimi anche per quel che riguarda il diritto al mantenimento. Il
mantenimento, infatti, mira a rendere omogeneo lo standard di vita dei genitori e dei figli,
integrando in una comune condizione economico-sociale le persone legate dal rispettivo diritto
e obbligo; ciò spiega anche perché il diritto al mantenimento sorga al momento stesso in cui
nasce il rapporto familiare su cui si fonda, tenuto conto che il fatto stesso della procreazione
determina l’impegno e la responsabilità del genitore verso la prole.
I genitori sono coobbligati solidali al mantenimento
La giurisprudenza di legittimità ha, quindi, chiarito, sin dalla fondamentale pronuncia n. 4273 del
20.04.1991, che entrambi i genitori naturali - non diversamente da quelli legittimi - sono
coobbligati solidali nei confronti del figlio per tutto quanto gli è dovuto per il suo mantenimento;
pertanto il genitore naturale convivente con il figlio, che abbia prestato l'intero mantenimento, ha
diritto di regresso nei confronti dell'altro genitore sulla scorta delle regole dettate dall'art. 1299
cod. civ. nei rapporti fra condebitori solidali.
Il diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio.
Per il Tribunale, il diritto al rimborso pro quota delle spese sostenute dalla nascita del figlio,
spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento del
riconoscimento o della sentenza di accertamento della filiazione, con la conseguenza che detto
momento segna altresì il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso (Cass.
civ. 11.07.2006 n. 15756).
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Il termine prescrizionale del diritto al rimborso
Inoltre – chiarisce il Tribunale - nel caso in esame il termine prescrizionale è quello ordinario
stabilito dall’art. 2946 c.c., pari a dieci anni e non quello quinquennale, che si applica,
viceversa, al credito per il pagamento dell’assegno mensile di mantenimento.
L’eccezione di prescrizione è una eccezione propria
Nel caso in esame – afferma il giudice - non è consentito, tuttavia, esaminare la questione
relativa alla eventuale prescrizione del credito, poiché l’eccezione di prescrizione è una
eccezione “propria” ex art. 2938 c.c. e ciò significa che essa avrebbe dovuto essere sollevata
alla prima udienza di trattazione, mentre il padre naturale ha eccepito per la prima volta la
prescrizione del credito di controparte tardivamente, con la prima memoria ex art. 183/6 c.p.c.,
nella quale avrebbe potuto solamente precisare o modificare eccezioni già in precedenza
ritualmente proposte.
La determinazione della somma dovuta dal padre naturale per il mantenimento della
figlia.
Per quanto riguarda, poi, la determinazione della somma dovuta dal padre naturale per il
mantenimento fornito alla figlia dalla madre naturale, risulta evidente – afferma il Tribunale - che
detta somma non può essere determinata in un importo corrispondente al mantenimento che il
convenuto ha dovuto versare in base alla sua capacità economica al momento della pronuncia
che, prendendo atto dell’avvenuto riconoscimento, ha determinato l’importo dovuto dal padre a
titolo di contributo per il mantenimento della prole, né in una somma che, prendendo a base
detto importo, venga calcolata attraverso la sua devalutazione in relazione all’epoca in cui il
padre natural avrebbe dovuto prestare il mantenimento.
Infatti, trattandosi di un debito restitutorio, l'ammontare dovuto trova il proprio limite negli esborsi
presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore che ha per intero effettuato la spesa (Cass.
04.11.2010 n. 22506), anche se non si può prescindere né dalla considerazione del complesso
delle specifiche e molteplici esigenze effettivamente soddisfatte o notoriamente da soddisfare
nel periodo in considerazione né dalla valorizzazione delle sostanze e dei redditi di ciascun
genitore quali all'epoca goduti ed evidenziati, eventualmente in via presuntiva, dalle risultanze
processuali, né infine dalla correlazione con il tenore di vita di cui la figlia aveva diritto di fruire,
da rapportare a quello dei suoi genitori.
Secondo il Tribunale, nel caso in esame, occorre muovere dai bisogni della figlia, rapportati al
tenore di vita che avrebbe potuto ricevere anche con il contributo del padre e dalle somme in
concreto spese dalla madre per soddisfare tali bisogni e provvedere al mantenimento della
figlia. Dall’esame del provvedimento presidenziale, risalente al 1999 emerge, invero, che
all’epoca di emissione di detto provvedimento la madre naturale era disoccupata mentre è
pacifico che il padre era militare.
L’elemento di valutazione per la determinazione dell’ammontare da restituire.
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Per il Tribunale l’elemento di valutazione più importante per la decisione della presente
controversia non è, però, costituito dal reddito del padre naturale, che non è, peraltro, noto nel
suo preciso ammontare, bensì dalle risorse economiche di cui poteva disporre la madre
naturale, reddito cui va commisurata l’obbligazione restitutoria, tenendo conto, comunque, che
ciascun genitore ha il preciso dovere di adoperare tutte le proprie energie anche per supplire
alle mancanze dell'altro, poco importa se volontarie o dovute a forza maggiore.
Orbene, per il Tribunale, la madre naturale non ha fornito elementi di prova relativi alla propria
condizione economica, ma è presumibile che la stessa, anche prima del 1999, versasse in
ristrettezze economiche, sicché il mantenimento che verosimilmente ella poteva offrire alla
figlia, attraverso l’impiego di tutte le proprie energie, era comunque di importo modesto. Non
costituisce, invece, un ostacolo alla liquidazione delle somme dovute dal padre naturale alla
madre naturale la circostanza che non sia possibile oggi determinare con certezza quali somme
quest’ultima abbia speso per la figlia tanti anni fa. Infatti – continua il giudice - costituisce
principio consolidato in giurisprudenza che in simili casi è possibile utilizzare il principio
equitativo, avendo il rimborso delle spese spettanti al genitore che ha provveduto al
mantenimento della prole fin dalla nascita, natura in senso lato indennitaria.
Il criterio equitativo nel caso di indennizzo
Il Tribunale ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha, in particolare, sottolineato che il
criterio equitativo può essere utilizzato non solo in ipotesi di responsabilità extracontrattuale, ma
anche quando la legge si riferisce in genere ad indennizzi o ad indennità e, di conseguenza,
nulla osta ad utilizzare tale criterio nel caso in cui occorre determinare le somme dovute ad uno
dei genitori a titolo di rimborso delle spese sostenute per la prole (Cass. 01.10.1999 n. 10861;
Cass. 19.02.2010 n. 3991). D’altronde – ricorda il giudice di merito - il genitore richiedente deve
adempiere l'onere della prova di aver mantenuto la prole in modo “adeguato”, ma non deve
provare a quanto ammontano le normali spese sostenute, che vanno, pertanto, calcolate dal
giudice con equitativa approssimazione, mentre occorre dare specifica prova delle spese che
non rientrano in questa “normalità”. Nel caso in esame – conclude il giudice - si deve, allora,
solamente prendere atto del fatto che la madre naturale si è fatta carico di mantenere la figlia
sin dalla nascita. Quest’ultima circostanza non è stata contestata, mentre è dibattuta la
questione relativa alla sufficienza degli aiuti forniti in detto periodo dal padre per il
mantenimento pro quota della figlia. In particolare, il padre naturale ha dimostrato, con il
deposito in giudizio delle relative ricevute, di avere versato alla madre naturale mediante vaglia,
tra il 1984 ed il 1999, la somma complessiva di £ 18.450.000, corrispondente ad € 9.528,63.
Tale somma non può, però, ritenersi sufficiente per assicurare pro quota, anche solo nella
misura minima, il soddisfacimento delle normali esigenze di una figlia per quindici anni. Di
conseguenza occorre determinare le somme che il padre naturale deve corrispondere alla
madre naturale detraendo dall’importo astrattamente da lui dovuto l’importo complessivo di
quanto da lui versato.
La condanna alle restituzioni
Alla stregua delle superiori considerazioni – conclude il giudice di merito - considerato il lungo
periodo temporale cui si riferisce l’obbligo di mantenimento dalla nascita della figlia sino al
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provvedimento del Presidente del Tribunale, appare equo condannare il padre naturale a
corrispondere alla madre naturale, a titolo di rimborso delle spese sostenute da quest’ultima
per il mantenimento della figlia nel suddetto periodo, la somma complessiva di € 10.000,00,
comprensiva degli interessi sino ad oggi maturati, cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla
presente decisione sino al soddisfo.
Una breve riflessione
La sentenza in rassegna è di notevole interesse perché affronta una serie di temi di attualità
che vanno dalla cessazione dell’obbligo di mantenimento gravante su entrambi i genitori alla
richiesta di rimborso delle somme spese per il mantenimento del figlio. Nell’affrontare tali temi,
il giudice si sofferma anche sui termini di prescrizione delle relative pretese e sulle preclusioni
processuali.
Una sentenza che merita di essere letta perché affronta, come sopra detto, dei temi di grande
attualità.
La sentenza, attraverso l'esame di una vicenda reale, fa comprendere al meglio come l'obbligo
di mantenimento sorga per il fatto stesso della procreazione; e che tale obbligo è solidale. Di
conseguenza, ciascun genitore che abbia provveduto al mantenimento, può esercitare il suo
diritto di "regresso" nei confronti dell'altro genitore entro il termine decennale di prescrizione.
avv. Filippo Pagano ([email protected])
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