Versione italiana - Comitato Bioetico per la Veterinaria
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Versione italiana - Comitato Bioetico per la Veterinaria
Bioetica e scienze veterinarie La cultura della responsabilità verso il vivente e del rispetto del mondo animale si è stabilmente affermata nella società occidentale. L’interesse per le condizioni degli animali è divenuto un fatto diffuso nel sentire collettivo e non è più esclusivamente ristretto ad una elite particolarmente sensibile alle sofferenze animali. Questo diverso atteggiamento non è però scevro da contraddizioni, per cui se da una parte auspica un miglioramento delle condizioni di vita degli animali, dall'altra non crea sempre le condizioni oggettive per la realizzazione pratica e quotidiana di questa evoluzione, anzi talvolta sembrano realizzarsi presupposti del tutto opposti. L’evidente mutamento dell'orizzonte concettuale di riferimento nella riflessione morale rivolta agli animali ha comportato per coloro che più direttamente si occupano di animali un più o meno consapevole ripensamento. La professione veterinaria che è direttamente implicata in tutte le attività umane che coinvolgono gli animali ne sente un particolare interessamento e nei fatti una notevole difficoltà. Il singolo professionista è talvolta drammaticamente coinvolto in situazioni limite che non possono essere trattate come un fatto di coscienza individuale, ma che richiedono un indirizzo generale che solamente la riflessione bioetica può fornire e che potrà trovare esito in una rinnovata deontologia. La bioetica non si è tirata indietro, sono stati costituiti comitati bioetici che si occupano principalmente di animali e di veterinaria e il Comitato Nazionale per la Bioetica ha dato il suo autorevole apporto in una serie di documenti che trattano di questioni riguardanti gli animali (nella sperimentazione, le biotecnologie ecc), la medicina in generale, la bioetica interculturale, i comitati etici e soprattutto le scienze veterinarie in particolare nel documento “ Bioetica e scienze veterinarie. Benessere animale e salute umana” (2001). La medicina veterinaria La medicina veterinaria interviene in quasi tutte le pratiche che gli esseri umani realizzano con gli animali. Il primo articolo del codice deontologico recita: “il medico veterinario dedica la propria opera: -alla prevenzione e alla diagnosi e cura delle malattie degli animali; -alla conservazione e allo sviluppo di un efficiente patrimonio zootecnico, promovendo il benessere degli animali e l'incremento del loro rendimento; -alle attività legate alla vita degli animali sinantropi nonché di quelli da competizione sportiva e di quelli esotici; -alla protezione dell'uomo dai pericoli e danni a lui derivanti dall'ambiente in cui vivono gli animali, dalle malattie degli animali e dalle derrate o altri prodotti di origine animale”. I più di 23000 veterinari italiani (troppi visto che costituiscono un sesto dei veterinari europei) svolgono delle attività più o meno sempre direttamente connesse agli animali o nel caso degli ispettori degli alimenti correlate all'origine animale del prodotto su cui attuano la funzione ispettiva. Per dare un'idea complessiva della distribuzione dei veterinari in una situazione rappresentativa dei paesi occidentali come è quella italiana possiamo prendere in considerazione le statistiche offerte dal Libro bianco della professione veterinaria in Italia recentemente pubblicato dalla Federazione Nazionale degli Ordini Veterinari Italiani (FNOVI): 70,5% liberi professionisti (animali da compagnia, animali da reddito); 23,7% dipendenti pubblici (sanità animale, ispezione degli alimenti, igiene e benessere); 1,8% dipendenti dall'industria; 1,8% pensionati; 1,7% universitari, 0,5% dipendenti da associazioni di allevatori o trasformatori. Nell'immaginario collettivo la figura del veterinario è legata soprattutto alla pratica clinica nell'interesse della vita animale, come avviene nel caso degli animali da compagnia. In effetti, solamente una porzione della professione si svolge in questo settore in quanto una parte di professionisti sono impegnati nelle produzione dove la pratica clinica mira all’incremento della economicità di queste, oppure nel controllo ispettivo degli alimenti e degli ambienti dove l'obiettivo è solo minimamente rivolto alla vita animale, ma soprattutto rivolto al controllo delle condizioni igienico sanitarie. La pratica clinica è in ogni caso quella più diffusa per numero di addetti. Anche in questo settore comunque la professione si svolge con modalità e scopi diversi a seconda del tipo di animali oggetto di attenzioni e delle finalità che si intendono perseguire con l'allevamento. Il clinico veterinario, a seconda che si occupi di animali da compagnia o da reddito, svolge una funzione richiesta dalla società umana e utile a questa ma completamente diversa nei suoi obbiettivi e spesso contraddittoria se rapportata alla vita animale. La veterinaria è stata storicamente improntata alla salvaguardia e alla valorizzazione dell'interesse umano nei confronti degli animali e delle loro produzioni. Senza trascurare completamente le condizioni di vita animale, la società umana ha chiesto principalmente alla professione veterinaria di incrementare i quantitativi di derrate alimentari, di produrre queste merci al prezzo più basso possibile, di rendere sicuri gli alimenti di origine animale e solo negli ultimi decenni di realizzare la più piacevole e priva di inconvenienti convivenza con un animale da compagnia. Questo genere di atteggiamento ha comportato che nei confronti degli animali da reddito, quelli che portano con il loro allevamento alle produzioni zootecniche (in Italia circa 20 milioni i mammiferi tra bovini, ovini, suini ecc. e diverse centinaia di milioni i volatili) si sia nel tempo sempre più industrializzata la filiera per aumentare la redditività degli allevamenti e per renderli competitivi sui mercati mondiali. Questa industrializzazione, inevitabile per permettere la sopravvivenza economica della filiera zootecnica, ha avuto come conseguenza la perdita di una attenzione individuale ai soggetti, cambiando di conseguenza anche il tipo di pratica clinica non più rivolta al singolo animale, il cui valore economico è sempre più scarso, ma solo all'intera mandria che per il suo grande numero di individui riesce a avere un significato economico. A causa di questa varietà di richieste la professione veterinaria si esprime in una notevole diversità di aspetti talvolta messi in pratica dallo stesso professionista in momenti diversi della giornata. Quindi accanto al veterinario che applica le più moderne risorse della ricerca medica per prolungare la vita di un animale da compagnia malato ne troviamo un altro (o lo stesso in un altro momento della giornata) che visita e accerta la perfetta sanità di un animale di una diversa specie che immediatamente dopo, proprio perché sano, potrà essere abbattuto per essere utilizzato nell'industria alimentare. Il veterinario, poi, che sovrintende alle trasformazioni industriali (insaccati, prodotti stagionati ecc.) viene a trovarsi nella condizione di pretendere la più spinta industrializzazione della catena produttiva, per salvaguardare dalle contaminazioni la sua filiera, venendo quasi a considerare l'animale, nelle fasi in cui è ancora vivo, niente altro che uno stadio precedente a quello ormai inerte che potrà portare alla realizzazione del prodotto finito. Tutto ciò non avviene a causa di una sorta di schizofrenia della professione veterinaria ma è frutto della richiesta della società di avere animali a cui rivolger affetto e altri animali da cui ottenere produzioni che il mercato mondiale rende sempre più difficili da realizzare se non a costi molto contenuti. Bisogna però chiarire che lo sviluppo neurologico e la capacità di percezione nelle specie animali considerati in precedenza, con le finalità da affezione o da reddito, non sono affatto diverse e ciò che è diverso è solamente l'uso che si fa di questi animali. Particolarmente evidente e in qualche modo spiazzante è la condizione che si verifica per una specie come il coniglio, al tempo stesso animale da compagnia sempre più diffuso nelle case ma anche da sempre utilizzato nell'alimentazione umana. Fino a quando è stato “l'uso” che si faceva dell'animale a fare la differenza, il problema morale seppur presente non era così evidente. Negli ultimi decenni la percezione di animali come “cosa”, di cui fare l’uno o l’altro uso, è divenuta minoritaria e il sentimento animalista di difesa dei diritti o almeno solo la salvaguardia dalla sofferenza non è più rimasto solamente un concetto elitario. La società ne è stata pervasa e la politica ne ha preso atto tanto da modificare le leggi. Su questa stessa linea sono iniziate le ricerche sul benessere animale (la individuazione di parametri oggettivi per quantificare e qualificare le condizioni di vita degli animali) e la veterinaria ha individuato un nuovo campo di attività professionale che accanto agli studi sul comportamento ha notevolmente modificato le prospettive originarie. L'intera legislazione europea sugli animali da reddito (solo a questi si riferiscono le norme comunitarie) realizza direttive, che cercano di essere rispettose del benessere animale venendo incontro al sentimento chiaramente espresso dalla opinione pubblica. Anche in una recente indagine dell'Eurobarometro (Eurobarometer Survey -8 giugno 2005- “Attitudes of consumers towards the welfare of farmed animals”) si afferma che il 55% dei cittadini dell’Unione Europea ritiene che non si faccia abbastanza per il benessere animale. La stessa Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) che fino a poco tempo fa riteneva che le norme sul benessere animale fossero una sorta di artificiose barriere commerciali sta ormai prendendo in considerazione seriamente questo problema. Per quanto riguarda gli animali da compagnia (che non rientrano nella normativa europea), in Italia, si è realizzata una legislazione sempre più “rispettosa” che con la recente modificazione del codice penale (L.189 del 1 agosto 2004) individua e definisce un elenco di delitti nei confronti degli animali per il quale è previsto anche il carcere. In questo stato di cose, che sembra univocamente diretto ad un maggior rispetto degli animali, nel suo lavoro quotidiano il professionista veterinario, con il bagaglio di responsabilità e di impegno che comportano lo scienza e coscienza, non può far a meno di rilevare una quantità impressionante di ipocrisie. A riguardo degli animali da reddito, come si è già detto, accanto ad una legislazione “garantista” che comporta una serie di regole gestionali e strutturali da rispettare nei trasporti, nell'allevamento, nella macellazione ecc. si sono create delle condizioni economiche che impediscono la realizzazione degli obiettivi che ci si è dati sviluppando le leggi; anzi, ormai spariti i piccoli allevamenti assistiamo ad una progressiva evoluzione in senso tecnologico del rapporto con l'animale. La terapia nei confronti del singolo soggetto è sempre meno realizzabile per i costi economici che comporta. Comunque lo stesso rilevamento dello stato di malattia nei grandi allevamenti e di difficile monitoraggio. Sul fronte degli animali più “fortunati”, gli animali da affezione, non è difficile rilevare inquietanti incongruenze tra le affermazioni di principio e le realizzazioni pratiche. I recenti fenomeni di aggressioni da parte di cani sono l'indice della superficialità che specialmente negli ultimi anni si è largamente diffusa rispetto alla convivenza con i cani, gli animali domestici per eccellenza. La razza viene scelta spesso su base estetica e non per le caratteristiche fisiche e comportamentali che questa implica. Gli animali vengono frequentemente abbandonati a se stessi per lunghi periodi di tempo durante la giornata e non più educati, finendo per essere mal integrabili nella vita cittadina. Si evidenzia la tendenza a trattare con i soli psicofarmaci le problematiche di natura comportamentale create da un rapporto alterato con l'uomo proprietario-compagno. Quello che più risulta incongruo è che all'aumentata considerazione morale per gli animali venga accompagnata una diffusa ignoranza per le caratteristiche fisiologiche e etologiche dell'animale che ci si porta in casa, come se non si trattasse d'altro che di un genere di natura commerciale e non di un essere vivente. Ancora più eclatante è quanto avviene con gli animali selvatici sempre più largamente presenti nelle case e frutto di un malinteso amore per la natura che finisce per alimentare, talvolta, uno dei commerci illegali più redditizi. Senza entrare nella complessa questione biologica e culturale della domesticazione: di cosa è, di cosa ha comportato per gli animali e per gli stessi uomini. Non si può far a meno di evidenziare la rilevanza morale, da una parte, dell'aver sottratto all'evoluzione naturale alcune specie, rendendole più dipendenti dalla convivenza con l'uomo e, dall'altra, di imporre una convivenza stretta a delle specie selvatiche che per le loro caratteristiche naturali provano sofferenza sia per lo stato di cattività sia per l'imposizione di un contatto stretto con l'uomo. Questa lunga serie di problemi etici, ai quali se ne potrebbero aggiungere tranquillamente molti altri, viene perlopiù vista dal singolo professionista come una sorta di accidente insito nella professione stessa e che il codice deontologico non riesce chiarire. Specialmente al veterinario libero professionista vengono presentate dalla clientela le richieste più diversificate in base alle differenti interpretazioni dello status morale degli animali e questo costituisce causa di notevole disagio psicologico. Non è infrequente nell'attività ambulatoriale vedersi richiedere una eutanasia per un animale sano ma “ingombrante” (per le più diverse ragioni e con differenti scuse) oppure al contrario vedersi richiedere le terapie più evolute e costose per un animale sofferente e senza speranza di vita. Il tentativo di mettere ordine in questa confusa situazione ha portato l'ordine professionale a costituire nel 1997 un comitato bioetico. Tra le varie pubblicazioni del Comitato Bioetico per la Veterinaria sono particolarmente significative quelle relative “al cosiddetto consenso informato in veterinaria” e “all'eutanasia in veterinaria”, in cui, si è cercato di approfondire la relazione tra uomo ed animale, di fornire mezzi per una decisione condivisa tra professionista e cliente e al tempo stesso tutelare gli interessi dell'animale coinvolto. Bioetica e scienze veterinarie. Benessere animale e salute umana documento approvato il 30 novembre 2001. Il documento prende spunto dalla constatazione che “L'espansione della riflessione etica dalla sfera umana all’ insieme dei viventi rappresenta una delle dimensioni più stimolanti e più controverse del dibattito filosofico e scientifico degli ultimi decenni, e implica anche conseguenze di natura pratica sia nei comportamenti personali, sia nelle decisioni politiche e nell'ordinamento giuridico”. Le questioni etiche relative agli animali, pur precedentemente trattate in altri documenti soprattutto relativi alla sperimentazione e alle pratiche biotecnologiche, in questo documento sono state considerate con una modalità più ampia. Tale da poter comprendere l'intero mondo animale attraverso la lente d’ingrandimento costituita dalla figura professionale sempre presente nel rapporto tra uomo ed animale: il veterinario. Come dice il professor Berlinguer nella sua presentazione, la sollecitazione più forte all'espansione dell'interesse del CNB verso le altre specie viventi è venuta proprio dalla professione veterinaria che già si era dotata di uno specifico comitato bioetico. Il CNB decise nell'ottobre del 2000 di avviare un gruppo di lavoro sul rapporto tra bioetica e scienze veterinarie, considerato prevalentemente dal punto di vista della conservazione del benessere animale e delle sue relazioni con la salute umana. Il coordinamento del gruppo fu affidato alla professoressa Luisella Battaglia per la particolare competenza e per il fattivo impegno sulle questioni dell'etica animale. Del gruppo fecero parte il professor Mauro Barni e il professor Francesco d'Agostino membri del CNB, la segreteria scientifica fu affidata a Giovanni Incorvati e come esperti parteciparono ai lavori Laura Canavacci, Gianluigi Giovagnoli, Aldo Grasselli, Donato Matassino, Sergio Papalia, Pasqualino Santori e Augusto Vitale; furono inoltre richiesti materiali preparatori e pareri a diversi specialisti di varia formazione ed orientamento. Il lavoro del gruppo fu abbastanza intenso e la impostazione del lavoro fu discussa in due occasioni in riunione plenaria dal CNB. Il 30 novembre del 2001 furono approvate all'unanimità le sintesi e raccomandazioni. Le riflessioni che hanno costituito lo sfondo alle sintesi raccomandazioni si possono ricondurre alla valutazione che: “la crescente attenzione con cui si coinsidera oggi in ambito bioetico la” questione animale” può considerarsi risultato, insieme, di una nuova cultura del rispetto che richiede un più responsabile atteggiamento della specie umana nei confronti delle altre specie e della crescente consapevolezza, nell'ambito delle varie scienze, dei problemi etici connessi alla ricerca scientifica”. Il CNB consapevole della complessità delle questioni etiche, e più in generale filosofiche, non si è posto l'obiettivo di risolverle ma solo impostarle correttamente. Il problema di fondo in qualche modo cruciale è costituito dalla definizione dello status morale degli animali, con le diverse dottrine che intendono definirlo, e dall'argomento connesso che concerne la natura e la valutazione della sofferenza animale. Una analisi sia delle dottrine storiche riguardo gli animali sia di quelle moderne relative all'utilitarismo (nelle sue varie forme), alle teorie dei diritti naturali e al contrattualismo ha fatto preferire “una riflessione alternativa, più articolata e complessa, più vicina l'esperienza relazionale col mondo animale e in grado di fornire criteri più appropriati di riflessione e deliberazione, che muovendo da un principio generalissimo di precauzione ambientale e da un principio generale di responsabilità nei confronti dell'intero mondo animale si concentra, in ordine alla questione animale concernente le scienze veterinarie, su una prospettiva scientifica e operativa incentrata sul tema della cura, uno dei temi principali della tradizione occidentale a partire dalle sue radici ebraico cristiane”. Rifiutata la cultura del dispotismo nei confronti degli animali si segue il paradigma della cura ispirato a una prospettiva di antropocentrismo riflessivo che vede la responsabilità etica estesa anche agli altri esseri viventi o, in una visione teocentrica, che vede la natura in una condizione di cui l'uomo è solamente custode e non padrone. Riassunta sinteticamente l'etica della cura: a. insiste sui bisogni (e non solo sugli interessi); b. attribuisce un valore cruciale alla compassione; c. pone al centro il tema della dedizione (rispetto a quello della prestazione): d. fa leva sul concetto di responsabilità (e non su quello di diritto); e. non comporta la reciprocità (di contro alla correlazione diritti/doveri). “Per questi motivi sembra particolarmente idonea a costituire un paradigma bioetico di relazioni col mondo non umano”. Si tratta di elaborare un’interpretazione forte e costruttiva del concetto di cura, non come semplice appello ai buoni sentimenti o come visione idilliaca che non tenga conto della "natura lupesca" dell’uomo, ma come impegno responsabile verso gli altri esseri, umani e non umani, attento alla questione ineludibile dei conflitti interspecifici, capace di stabilire i necessari e invalicabili limiti etici, atti a orientare e a regolare il nostro rapporto col mondo vivente. Sintesi e raccomandazioni Il CNB riconosce al veterinario un ruolo centrale nelle svariate condizioni in cui si realizza un rapporto tra uomo e animale: “garante del rispetto delle leggi che mirano a salvaguardare il benessere degli animali, portavoce dei loro bisogni, punto di riferimento di tutti coloro che hanno a che fare con gli animali, sia di affezione che da reddito, il medico veterinario è sicuramente una figura di elezione. Lo è in particolare per quanto riguarda la definizione degli interessi specifici dell’animale in condizioni di normalità eto-fisiologica, e l’indicazione delle linee di intervento in caso di alterazione dello stato di salute”. Questa visione, che può sembrare per certi versi ottimistica in quanto il veterinario è spesso coinvolto nelle situazione più che esserne artefice, può essere realizzata attraverso una costante opera di sensibilizzazione per la condizione animale in tutti i casi in cui viene richiesta una consulenza. Un compito che viene quindi richiesto alla professione veterinaria è quello di definire delle linee guida sulle buone pratiche in medicina veterinaria, in modo da poter, il più possibile, abbandonare la condizione di una eccessiva limitazione di mezzi, che talvolta si realizza, per poter agire al contrario secondo livelli standardizzati. Anche se questo non significa che in tutti i casi si potrà usare il livello di prestazione più alto, si dovrà mirare ad utilizzare quello che garantisce all'animale il miglior livello di risultato nel contesto in cui ci si trova ad operare. Questo auspicio, rivolto la professione veterinaria, che nel suo insieme sicuramente l'accoglie favorevolmente, deve poi poter trovare la sua realizzazione pratica in una scelta dell'intera società umana più disponibile in questo, come in altri casi, a rinunciare ad alcune sue prerogative (per esempio nel costo al consumo dei prodotti d'origine animale, o nei tempi dedicati nella vita casalinga alla relazione con animali da compagnia) per poter realizzare una migliore condizione della vita animale. Nella seconda raccomandazione il CNB prende in considerazione la particolare condizione derivata all'animale dal processo di domesticazione. Con il conseguente abbandono della selezione naturale e la creazione nel tempo di uno stato di antropodipendenza. Alla gestione da parte degli esseri umani di questo stato animale viene attribuito una attenzione morale con dei conseguenti obblighi di rispetto per le caratteristiche etologiche e fisiologiche degli animali al momento della terapia, dell'allevamento, della ospitalità e della conduzione. Da queste considerazioni il CNB fa derivare la necessità di disincentivare la zootecnia di scala altamente industrializzata. Sempre nella stessa ottica si esprime il parere di promuovere le “filiere etiche” dalla produzione al consumo e di certificarle attraverso un sistema di etichettatura che permetta la riconoscibilità al consumatore. Ancora a proposito degli animali domestici e in particolare dagli animali d'affezione, viene rilevato quanto sia importante, non solamente, soddisfare i bisogni fisiologici, etologici e comportamentali ma si debba tener conto, nei confronti degli animali, della possibilità di godere di una relazione equilibrata e rispettosa con gli esseri umani. E’ preoccupazione del CNB che l'animale non venga considerato meramente “strumento” ma che in questo si possa individuare una condizione di alterità rispetto all'uomo, di una propria specifica dignità che lo salvaguardi “dalle due opposte e inaccettabili prospettive dell'antropomorfismo e della reificazione”. In alcuni casi, si afferma, che possa essere addirittura possibile individuare una “soggettività attiva” che fa delineare un rapporto di partnership con gli animali; caso che è particolarmente auspicabile che si realizzi, per esempio, nei progetti di pet therapy. La realizzazione di questo ambizioso progetto esige dal veterinario di arricchire la sua professionalità approfondendo le conoscenze in ambiti finora non tradizionali per la professione come gli studi sul benessere, sul comportamento e di zooantropologia. Con questa formazione più ampia il veterinario può divenire il referente per fornire: -consulenza finalizzata a un affidamento responsabile degli animali da affezione, in modo da poter dare indicazione sulla scelta della specie, della razza, del sesso dell'animale che ci si appresta ad inserire nel nucleo familiare, in rapporto alle caratteristiche, alle disponibilità e alle legittime aspettative dei nuovi proprietari; -informazione ed educazione relative alle caratteristiche fisiologiche e etologiche degli animali; nozioni sul comportamento in generale e nel contesto specifico di una vita familiare e cittadina al fine di prevenire condizioni di malessere per l'animale coinvolto ma anche disagi e pericoli per gli esseri umani; -informazioni e consulenze sulla educazione dei giovani animali e sulle tecniche di addestramento, sulla reale utilità di queste, sulla loro corretta effettuazione e sulla garanzia che queste lungi dall'essere effettuate con pratiche tali da produrre sofferenza fisica e psichica agli animali inducano, invece, a vivere un rapporto più pieno è consapevole con il proprio animale; -attività di terapia per i problemi comportamentali, qualora fossero insorti, individuandone le cause, definendone la prognosi, fornendo le terapie comportamentali e nel caso farmacologiche, con la finalità di evitare ulteriori difficoltà e pericoli per le persone e il rischio di abbandono e eutanasia per gli animali; -opera di coordinamento di progetti tesi a valorizzare l’interazione uomo/animale di tipo assistenziale (pet therapy), zootecnico e didattico (attraverso, ad esempio, l'apertura di luoghi dedicati all’incontro con gli animali domestici e la creazione di aree apposite in ambito urbano ed extraurbano, come le fattorie didattiche). Nell'ultima raccomandazione si esprime l'auspicio che, sempre più, la professione veterinaria si confronti con i temi di bioetica animale anche per avviare un dibattito a livello sociale sulle scelte di orientamenti che guidano la condotta umana nei confronti delle altre specie. Si richiama il Protocollo d'intesa tra il Ministero della Sanità e il Comitato Nazionale per la Bioetica (2 marzo 2001) per quanto riguarda il fornire una formazione bioetica a tutto il personale sanitario. Viene quindi formulato l'auspicio: -di promuovere la formazione e l’attività di comitati multidisciplinari per la bioetica animale con lo scopo di favorire la transizione (culturale) in atto; in vista sia di un’interpretazione in senso evolutivo delle leggi vigenti in tema di protezione del benessere animale, sia di un approfondimento della riflessione etica e deontologica da parte dei veterinari. Adeguando e valorizzando la professione veterinaria che, accanto al tradizionale ruolo terapeutico, sempre più deve acquisire la consapevolezza di possedere, nella molteplicità delle sue funzioni, un ruolo protagonistico, per ciò che concerne la cura del benessere animale; -di promuovere la costituzione di comitati multidisciplinari di “animal care” operanti per la tutela del benessere degli animali impiegati nella sperimentazione biomedica (in analogia con i comitati etici per la valutazione dei protocolli sperimentali in medicina umana); -di incentivare le ricerche, per quanto di competenza veterinaria, sui metodi alternativi all'uso degli animali nella sperimentazione; -di promuovere e incentivare la ricerca sul fenomeno della domesticazione, sul benessere animale e sulle capacità cognitive delle varie specie animali, nonché degli studi sull’etica del rapporto tra esseri umani e animali; -di operare, nelle scelte che riguardano la gestione delle attività produttive con animali, con il fine di bilanciare le esigenze economiche e le istanze di tutela del benessere e di cura dei bisogni degli animali (etica della biocultura); -di incentivare le ricerche sulle problematiche della gestione della fauna selvatica a vita libera e in cattività e sull'uso, eventuale, di biotecnologie per il ripopolamento di animali in via di estinzione; -di promuovere l’attivazione delle attività formative (seminari, corsi professionali, master, specializzazioni, convegni, ecc.) mirate all’accrescimento del livello di consapevolezza e di professionalità di tutti coloro che sono coinvolti nelle attività produttive e di ricerca con gli animali. A tal fine sembra opportuno inserire nei curricula formativi dei veterinari gli studi riguardanti la bioetica; - di favorire l’integrazione e l’intesa tra ministeri competenti (in particolare Sanità, Istruzione, Ambiente, Politiche Agricole) al fine di incentivare la formazione e sensibilizzazione delle nuove generazioni, e della società in generale, verso le problematiche riguardanti il benessere animale, la salute umana e la ricerca di un rapporto di armonia e di rispetto nei confronti del mondo vivente. Gli altri documenti del CNB In diversi altri documenti si possono rilevare elementi che coinvolgono la professione veterinaria, sia come professione medica sia come professione che costituisce un punto di snodo tra le attività umane e la vita animale. Il documento “ Scopi, limiti e rischi della medicina” (2001), chiaramente rivolto alla medicina umana, contiene notevoli spunti di riflessione anche per la medicina veterinaria, in quanto medicina. Seppur rivolte agli animali e quindi, per questo, con implicazioni morali e legali del tutto differenti le considerazioni sulla storia e l'epistemologia della medicina devono essere considerate importanti nel bagaglio culturale del veterinario. Molti sono i documenti in cui il CNB ha trattato la questione animale in relazione al mantenimento della biodiversità e alla attenzione e al rispetto dovuto alle possibili sofferenze animali. Nel “ Rapporto sulla brevettabilità degli organismi viventi” (1993), nel documento “ La clonazione” (1997), nel documento “Sperimentazione sugli animali e salute dei viventi” (1997), nel “Parere sulla proposta di moratoria per la sperimentazione umana di xenotrapianti” (1999), nel documento “ Considerazioni etiche e giuridiche sull'impiego delle biotecnologie” (2001) e nel documento “Bioetica in odontoiatria” (2005) il CNB ha sempre espresso chiaramente la necessità di salvaguardare il benessere animale nell'ambito della ricerca scientifica. La figura del veterinario è direttamente implicata sia nella sperimentazione, come previsto dal decreto legislativo 116 del 1992, sia in tutte le condizioni di detenzione di animali in stabulari. In questo caso la funzione del professionista consiste nel garantire condizioni di benessere all'animale. Per certi versi la stessa funzione di tutela dell'animale viene attribuita al veterinario anche nel caso della pet therapy (argomento di lavoro di un gruppo di studio attualmente in attività sul tema “ Problemi bioetici relativi all'impiego di animali in attività correlate alla salute e al benessere umani”). Nel caso della pet therapy il veterinario viene ad avere anche un secondo compito; quello di partecipare attivamente al lavoro di équipe: selezionando gli animali, considerandone le caratteristiche comportamentali e fornendo elementi per un rapporto uomo-animale più profondo, sentito e fruttuoso. Anche nel documento “ Orientamenti per i comitati etici in Italia” (2001) il CNB ha voluto prendere in considerazione le particolarità della Veterinaria auspicando la formazione comitati bioetici appositi. Il documento che probabilmente ha avuto più riscontro nella categoria suscitando anche alcune polemiche è sicuramente “ Macellazione rituale e sofferenza animale”(2003). Questo lavoro nato nel gruppo di bioetica interculturale afferma: “ Considerando che la particolare tutela costituzionale riconosciuta nel nostro ordinamento alla libertà religiosa induce a ritenere giuridicamente lecita la macellazione rituale, il CNB la ritiene bioeticamente ammissibile ove sia accompagnata da tutte quelle pratiche non conflittuali con la ritualità stessa della macellazione che minimizzino la sofferenza animale” La professione veterinaria è da tempo sensibile a questo argomento e anche al livello di Federazione Veterinaria Europea (FVE) ha espresso la convinzione, che il dissanguamento in assenza di stordimento che si pratica nelle macellazioni rituali costituisca un aumento significativo delle sofferenze per l'animale coinvolto. Le conclusioni del CNB sono state frutto non della insensibilità verso la sofferenza animale a cui viene attribuito un grande significato etico ma del particolare significato attribuito alla libertà religiosa. In questo documento emerge l'attribuzione di una chiara importanza alla professione veterinaria nell'individuare, insieme con le comunità religiose, il significato della nozione di “integrità” dell'animale sottoposto macellazione per poterla salvaguardare ai fini del rito e nel contempo poter individuare forme di stordimento ritenute accettabili. In qualche modo, ai veterinari viene affidato l'importante compito di eliminare, nel nostro contesto sociale, una causa di possibili tensioni interculturali. L'ultima raccomandazione è di notevole impatto sul sistema industriale di allevamento, trasporto e macellazione, infatti, il CNB afferma “.. le osservazioni svolte a proposito della macellazione rituale costituiscono lo spunto per una riflessione più generale che conduca ad un rapporto maggiormente responsabile tra gli esseri umani e gli animali, affrontando anche il problema dei maggiori costi economici per il consumatore che una impostazione bioeticamente corretta di tale rapporto implica.” Prospettive per la veterinaria A mio parere, la professione veterinaria, per quanto riguarda la componente della sua attività che la designa a garante degli interessi animali, si trova, già fin d'ora e probabilmente si troverà sempre più in futuro, nella scomoda posizione di osservatore con poche possibilità operative. Il ruolo di spettatore privilegiato impedisce, però, di non notare, come una vita sempre più coinvolta nella tecnologia allontani gli animali dalle sole condizioni che saprebbero gestire direttamente: quelle della naturalità. Come si è detto, gli animali da reddito, allevati per le produzioni, sono sempre più coinvolti nella condizioni di merci in un mercato globale, malgrado le normative che ne tutelano il benessere. Questa situazione di apertura dei mercati è sicuramente utile al consumatore per la sua capacità di contenere i prezzi e favorire i consumi, ma, al tempo stesso, bisogna dire che non si può gestire allo stesso modo la produzione e il commercio di merci inerti, come le automobili o i telefonini, e quella di merci viventi e sensibili come gli animali. Nei confronti degli animali da affezione risulta l'impressione che siano sempre più inglobati in un meccanismo di consumo: per cui l'acquisto dell'animale stesso, anzi dell'esponente di una razza, e di tutto ciò che serve al suo mantenimento, compresi programmi di educazione, allontani dalla considerazione della individualità animale che è l'unica forma di rispetto reale. Nella operatività quotidiana cosa “altro” può fare la professione veterinaria? Nella prospettiva dell’adozione di una visione unitaria della salute animale, deve cercare di elaborare principi guida e valori deontologici di riferimento al fine di rendere coerenti le scelte, gli orientamenti e i comportamenti pratici adottati in veterinaria nei confronti dei soggetti animali “da affezione” rispetto a quelli adottati invece per gli animali “da reddito”. Incentivare l’adozione nella pratica veterinaria di procedure di decisione clinica da condividere con chi ha la responsabilità degli animali: tali procedure devono intendersi come finalizzate alla piena e circostanziata informazione sul benessere animale e alla problematizzazione etica delle pratiche che li riguardano. Fornire un impegno concreto affinché non vengano diffusi messaggi, soprattutto mediante i mezzi di comunicazione di massa, tesi alla banalizzazione delle problematiche del rapporto tra esseri umani e animali. Nel rapporto con la collettività deve, spingere a considerare le discordanze tra il pensare e l’agire presenti nella nostra società, fino, forse, a far riflettere su una diversa modalità di sviluppo se si intende realmente prendere in considerazione il benessere animale. Pasqualino Santori