Terremoto nella mafia di Bagheria. Si è pentito Sergio

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Terremoto nella mafia di Bagheria. Si è pentito Sergio
PROVINCIA MAFIOSA
Terremoto nella mafia di Bagheria. Si è pentito
Sergio Flamia
Martedì 19 Novembre 2013 - 00:05 di Riccardo Lo Verso
Dai traffici di droga al pizzo, dagli omicidi ai contatti con la
mafia italo-americana: il braccio destro del potente e ricco
clan di Bagheria, nel Palermitano, vuota il sacco.
PALERMO - Trema la mafia di Bagheria e quella d'oltreoceano. Tremano i clan di una grossa
fetta della provincia palermitana. Quelli che per anni hanno offerto protezione a Bernardo
Provenzano. Quelli che hanno imposto il pizzo a tappeto e hanno sporcato di sangue le strade.
Quelli che hanno fatto affari con i narcos della Cosa nostra canadese.
Si è pentito Sergio Flamia, braccio destro del capomafia bagherese Gino Di Salvo.
Dell'importanza del suo pentimento, avvenuto quasi in contemporanea con quello di Giovanna
Galatolo, figlia del boss dell'Acquasanta, si è discusso nel corso delle riunioni della Direzione
distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Una ventina di giorni fa, superata la soglia dei
cinquant'anni, Flamia ha deciso di saltare il fosso. Trasferito in una località protetta ha iniziato a
raccontare i segreti della mafia di cui è stato protagonista. Nel 2008 era già a disposizione dei
vecchi padrini. Erano sue le case dove il capomafia Giuseppe Scaduto incontrava i mafiosi di
Palermo che si erano messi in testa di riconvocare la commissione provinciale di Cosa nostra.
Cinque anni dopo, nel maggio 2013, la scalata di Flamia era ultimata. C'era lui al fianco di Di
Salvo. Braccio operativo del capo, come Carmelo Bartolone. Tra i due, però, Flamia era quello che
godeva di maggiore rispetto. Forte com'era di un piccolo esercito che imponeva il pizzo a tappeto.
Flamia è stato al fianco degli ultimi tre capimafia di Bagheria. Prima di Scaduto, arrestato nel
2008, il cui posto venne preso da Antonino Zarcone, giovane e rampante capo della famiglia di
Altavilla Milicia. Anche lui finirà in manette nel 2011, aprendo una stagione di crisi. A quel punto
sarebbe toccato all'anziano Di Salvo. Dall'inchiesta dei carabinieri del Comando provinciale di
Palermo e del Ros, che nel maggio scorso portò in carcere ventuno persone, su richiesta del
procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dei sostituti Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli,
venne fuori lo spaccato di una mafia arroccata nelle tradizioni (dalla punciuta durante il rito di
affiliazione alla presentazione dei nuovi picciotti agli anziani), ma che guardava al futuro
investendo fiumi di denaro - la gran parte arriva dal traffico di stupefacenti - nell'apertura di
imprese edili, supermercati, agenzie di scommesse e locali notturni.
Una mafia imprenditrice di cui Flamia conosce i segreti. I suoi metodi violenti erano temuti. “…
mettigli una bella briglia...”, diceva parlando dei nuovi affiliati. Per chi non pagava il pizzo non
bisognava avere pietà: “Questa la prendo e te la faccio ingoiare... se non porti ventimila euro di
acconto... ah?… hai finito perché mi hai preso troppo per il culo... ed io questa (la pistola ndr) la
prendo e te la faccio ingoiare... grandissimo cornuto e indegno che sei... ”.
Flamia conosce anche i rapporti perversi fra la mafia e la politica. Un avviso di garanzia è stato
notificato a Giuseppe Scrivano, sindaco di Alimena, che nell'ottobre 2012 si era candidato alle
regionali nella lista Musumeci presidente e poi alle politiche con la Lega Nord.
Le sue dichiarazioni serviranno soprattutto per fare luce sulla guerra di mafia esplosa di
recente nel bagherese. All'indomani del blitz di maggio i carabinieri del Ros scoprirono i corpi di
Juan Ramon Fernandez e Fernando Pimentel, crivellati di colpi, bruciati e abbandonati nelle
campagne di Casteldaccia. La faida canadese era ed è sbarcata in Sicilia. Fernandez era
l'ambasciatore a Toronto di don Vito Rizzuto, leader del clan nato come costola di due famiglie
newyorkesi (Bonanno-Gambino), ed erede di Nicolò Rizzuto, l'anziano patriarca partito da Cattolica
Eraclea per diventare un potente boss a Montreal. Il dominio dei Rizzuto negli ultimi anni è stato
messo in discussione da Raynald Desjardins. Quando Rizzuto è stato scarcerato, nell'ottobre 2012,
la guerra è esplosa più feroce che mai. Fernandez si è trovato in mezzo al conflitto e non ha saputo
o voluto scegliere con chi schierarsi. Da una parte il suo padrino, don Vito Rizzuto, e dall'altro
Raynald Desjardins che assieme a Fernandez, nel corso della stessa cerimonia, era stato affiliato alla
famiglia mafiosa canadese.
Una volta arrivato in Sicilia, Ramon Fernandez si è creato una schiera di picciotti e si è messo
in affari con la droga. Con il benestare dei boss locali, naturalmente. A cominciare da Sergio
Flamia, che lo spagnolo chiamava “il capo”. Flamia potrebbe sapere chi sono i mandanti del delitto.
Un altro pentito, Giuseppe Salvatore Carbone, ha fatto ritrovare i corpi e arrestare i presunti killer, i
fratelli Pietro e Salvatore Scaduto. Flamia potrebbe aprire uno squarcio di verità sul livello
superiore. D'altra parte, due giorni dopo la scomparsa, sua era la frase sibillina: “Vedi che sempre i
migliori amici hanno portato a morire”. E forse sa pure perché Carmelo Bartolone prima ha deciso
di scappare dalla Sicilia e poi di consegnarsi al psoto di polizia di un ospedale.