IL GIUDIZIO DI DIVISIONE
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IL GIUDIZIO DI DIVISIONE
Il giudizio di divisione Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 15 Capitolo I Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione e sulle principali problematiche ad esso connesse L’istituto Disciplinato dagli artt. 784 e ss. del libro IV del codice di procedura civile dedicato ai procedimenti speciali, il giudizio di divisione, pur presentandosi come un procedimento unitario, riveste la duplice funzione, da un lato, di accertare l’esistenza del diritto alla divisione e, dall’altro, di determinare le concrete modalità della sua attuazione. Questa duplicità funzionale si riverbera, in modo diretto, sulla sua disciplina codicistica, chiaramente incentrata su una prima fase dedicata all’individuazione dell’”an dividendum sit” al cui esito, eventualmente, se ne apre una seconda finalizzata a stabilire il “quomodo dividendum sit”. Entrambe le fasi, poi, sono destinate a concludersi secondo lo schema speculare disegnato dagli artt. 785 e 794 c.p.c., e quindi con ordinanza o sentenza in ragione della condotta contestativa o meno tenuta dalle parti processuali. Riguardato dall’ottica soggettivo – teleologica delle parti che agiscono, il giudizio per lo scioglimento della comunione tende sia all’”effetto strumentale” della cessazione dello stato giuridico della comunione, sia all’”effetto finale” della attribuzione in loro favore della porzione cui abbiano diritto. Nonostante il descritto nesso inferenziale, di tali effetti, però, mentre il primo é strettamente connesso all’esercizio del diritto potestativo alla divisione nelle forme della domanda giudiziale, il secondo, per quanto riguarda l’individuazione dell’oggetto del nuovo diritto del singolo, prescinde dalle richieste delle parti in quanto il giudice provvede in modo autonomo a determinare le porzioni e ad attribuirle ai condividenti, esercitando i propri poteri discrezionali, indipendentemente dalle indicazioni contenute, nella domanda in merito, circa le concrete modalità di attuazione delle operazioni divisionali, ancorché tali manifestazioni possono influire sull’andamento delle operazioni (cfr.. Cassazione civile, sez. II, 08/09/1986, n. 5462). Duplicità funzionale Effetto strumentale e finale 16 Il giudizio di divisione Il quadro generale sommariamente tratteggiato, quindi, mostra come il giudizio in esame sia volto a realizzare l’imprescrittibile diritto potestativo allo scioglimento della comunione riconosciuto a ciascun contitolare dalle norme di diritto sostanziale, precisamente, con riguardo alla comunione ereditaria, dall’ art. 713 c.c. e, con riferimento alla comunione ordinaria, dall’art. 1111 c.c., di talché può dirsi che il risultato finale a cui tende il giudizio di divisione consiste nella trasformazione dei diritti pro quota dei singoli partecipanti in altrettanti diritti individuali di proprietà esclusiva su concrete e determinate porzioni di beni comuni. Fasi di realizzazione dello scopo Fasi della vendita dei beni Tale scopo si attua attraverso tre fasi fondamentali, aventi carattere progressivo ed inderogabile: a) la fase iniziale della c.d. assificazione; b)la fase intermedia della formazione delle quote; c) la fase finale della attribuzione (➲ V. Cassazione civile sez. II, 04 marzo 2011,n. 5266, in Giust. civ. Mass. 2011, 3, 361; Cass. 6 dicembre 1986 n. 7255). Tuttavia, le osservazioni che precedono, trasposte sul piano processuale, inducono ad evidenziare che, fermo restando l’unitario profilo funzionale connotante il procedimento de quo, in realtà, volendo seguire il dato normativo in modo puntuale ed ordinato, s’individuano al suo interno almeno quattro fasi: 1) quella dedicata alla statuizione sul fondamento del diritto alla divisione (art. 785 c.p.c.); 2) quella attinente alla vendita dei beni della massa da dividere (artt. 787 e 788 c.p.c.); 3) quella relativa alla formazione e approvazione del progetto di divisione (artt. da 789 a 791 c.p.c.); 4) quella tesa all’attribuzione diretta delle porzioni ai quotisti ovvero all’estrazione a sorte dei lotti (artt. 789 e 791 c.p.c. nonché art. 195 delle disp. Att. C.p.c.). In particolare, le fasi della vendita dei beni della massa comune e quella dell’estrazione a sorte dei lotti, – entrambe strutturate sullo schema alternativo ordinanza-sentenza in ragione dell’insorgere o meno di contestazioni tra i condividenti -, si aprono, la prima, in presenza di una delle situazioni delineate dal codice civile come idonea a derogare al principio generale in forza del quale ciascuno dei condividenti ha diritto a ricevere in natura la parte di beni corrispondenti alla sua quota ideale; la seconda, viceversa, s’impone allorquando le quote da assegnare ai comunisti siano di uguale entità. Si tratta comunque di fasi soltanto eventuali del giudizio divisorio che, seppure tipiche, possono anche mancare oppure accompagnarsi ad altre vicende comuni ai tipici giudizi di cognizione ordinaria. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Conclusivamente, può dunque dirsi che, nella giurisprudenza della Suprema Corte, é pressoché consolidato il principio secondo cui, nel sistema processuale vigente, il giudizio di divisione – specie quello ereditario -, pur potendo presentare una molteplicità di fasi per la risoluzione delle varie controversie che possono sorgere via via tra i condividenti, presenta tuttavia un carattere unitario e deve quindi considerarsi un processo unico avente per oggetto l’accertamento del diritto di ciascun condividente ad una quota ideale dell’asse ereditario e, quindi, la sua trasformazione in un diritto di proprietà esclusiva su una corrispondente porzione di beni. Da quanto detto discende ancora, come logico corollario, che, fin quando tali scopi non siano stati integralmente raggiunti, le eventuali sentenze che concludono le singole fasi hanno solo carattere strumentale e non possono considerarsi definitive rispetto al giudizio nel suo complesso (➲ cfr., Cassazione civile, sez. II 16/11/1996 n. 10066; sent. 11 maggio 1967 n. 974; 6 luglio 1977 n. 2983; 29 novembre 1983 n. 7165; 23 aprile 1993 n. 4768). Nonostante ciò, comunque, per ognuna delle fasi sopra enucleate si pongono le medesime problematiche che ruotano, sia pure secondo prospettive diverse, intorno alle identiche questioni, sintetizzabili nell’individuazione della natura del giudizio di divisione, nella determinazione del contenuto, decisorio o ordinatorio, dei provvedimenti destinati a concludere ciascuna di esse - con la conseguente disamina del regime d’impugnazione a cui sono assoggettati - nonché, infine, nella ricerca del necessario coordinamento tra l’immutata disciplina codicistica, da un lato, con le novelle che hanno, nel tempo, interessato il giudizio di cognizione ordinaria; dall’altro, con la normativa, di diritto sostanziale, dettata dal codice civile in tema di scioglimento della comunione ordinaria ed ereditaria. Questa peculiare configurazione del giudizio divisorio, come dianzi sinteticamente esposta, costituisce un chiaro indice rivelatore della complessità delle questioni da esso implicate con cui, inevitabilmente, si sono dovute misurare le diverse opinioni esegetiche che hanno costantemente tentato di offrire una ricostruzione unitaria e sistematicamente coerente del giudizio in esame, da cui muovere onde elaborare delle valide soluzioni per i numerosi problemi applicativi che, normalmente, si prospettano allorquando si scelga la via giudiziaria per ottenere lo scioglimento di una comunione ordinaria o ereditaria. Tanto premesso, lo scopo del presente contributo, lungi dall’ affrontare, in chiave critica -problematica, tutte le questioni connesse al complesso fenomeno dello scioglimento delle comunioni, si prefigge il più limitato intento di ripercorrere le diverse fase del procedimento in esame, onde fornire un quadro riepilogativo, quanto più possibile esaustivo ed 17 18 Il giudizio di divisione articolato, dei principali orientamenti giurisprudenziali, nel tempo succedutisi e consolidatisi, in ordine a quegli aspetti del giudizio divisorio che continuano ad impegnare tutti coloro che, intraprendendo la strada della divisione giudiziale, devono confrontarsi con un dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, che appare ancora lontano dall’assestarsi su conclusioni ampliamente condivise ovvero univocamente accettate. La normativa di riferimento ■ Art. 784 c.p.c. Litisconsorzio necessario Le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di qualsiasi altra comunione debbono proporsi in confronto di tutti gli eredi o condomini e dei creditori opponenti se vi sono. ■ Art. 785 c.p.c. Pronuncia sulla domanda di divisione Se non sorgono contestazioni sul diritto alla divisione, essa é disposta con ordinanza del giudice istruttore; altrimenti questi provvede a norma dell’art. 187. ■ Art. 786 c.p.c. Direzione delle operazioni Le operazioni di divisione sono dirette dal giudice istruttore il quale, anche nel corso di esse, può delegarne la direzione a un notaio. ■ Art. 787 c.p.c. Vendita di mobili Quando occorre procedere alla vendita di mobili, censi o rendite, il giudice istruttore o il professionista delegato procede a norma degli artt. 534 ss., se non sorge controversia sulla necessità della vendita. Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio. ■ Art. 788 c.p.c. Vendita di immobili Quando occorre procedere alla vendita di immobili, il giudice istruttore provvede con ordinanza a norma dell’articolo 569, terzo comma, se non sorge controversia sulla necessità della vendita. Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio. La vendita si svolge davanti al giudice istruttore. Si applicano gli articoli 570 e seguenti. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Quando le operazioni sono affidate a un professionista, questi provvede direttamente alla vendita, a norma delle disposizioni del presente articolo. ■ Art. 789 c.p.c. Progetto di divisione e contestazioni su di esso Il giudice istruttore predispone un progetto di divisione che deposita in cancelleria e fissa con decreto l’udienza di discussione del progetto, ordinando la comparizione dei condividenti e dei creditori intervenuti. Il decreto é comunicato alle parti. Se non sorgono contestazioni, il giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile, dichiara esecutivo il progetto, altrimenti provvede a norma dell’art. 187. In ogni caso il giudice istruttore dà con ordinanza le disposizioni necessarie per l’estrazione a sorte dei lotti. ■ Art. 790 c.p.c. Operazioni davanti al notaio Se a dirigere le operazioni di divisione é stato delegato un notaio, questi dà avviso, almeno cinque giorni prima, ai condividenti e ai creditori intervenuti del luogo, giorno e ora in cui le operazioni avranno inizio. Le operazioni si svolgono alla presenza delle parti, assistite, se lo richiedono e a loro spese, dai propri procuratori. Se nel corso delle operazioni sorgono contestazioni in ordine alle stesse, il notaio redige apposito processo verbale che trasmette al giudice istruttore. Questi fissa con decreto un’udienza per la comparizione delle parti, alle quali il decreto stesso é comunicato dal cancelliere. Sulle contestazioni il giudice provvede con ordinanza. ■ Art. 791 c.p.c. Progetto di divisione formato dal notaio Il notaio redige unico processo verbale delle operazioni effettuate. Formato il progetto delle quote e dei lotti, se le parti non si accordano su di esso, il notaio trasmette il processo verbale al giudice istruttore, entro cinque giorni dalla sottoscrizione. Il giudice provvede come al penultimo comma dell’articolo precedente per la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti e quindi emette i provvedimenti di sua competenza a norma dell’art. 187. L’estrazione dei lotti non può avvenire se non in base a ordinanza del giudice, emessa a norma dell’art. 789 ultimo comma o a sentenza passata in giudicato. 19 20 Il giudizio di divisione ■ Art. 792 c.p.c. Deposito del prezzo L’acquirente che ha dichiarato al precedente proprietario e ai creditori iscritti di volere liberare l’immobile acquistato dalle ipoteche deve chiedere, con ricorso al presidente del tribunale competente per la espropriazione, la determinazione dei modi per il deposito del prezzo offerto. Il presidente provvede con decreto. Se non sono state fatte richieste di espropriazione nei 40 giorni successivi alla notificazione della dichiarazione al precedente proprietario e ai creditori iscritti, l’acquirente, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione, deve depositare nei modi prescritti dal presidente del tribunale il prezzo offerto e presentare nella cancelleria il certificato del deposito, il titolo d’acquisto col certificato di trascrizione, un estratto autentico dello stato ipotecario e l’originale dell’atto notificato al precedente proprietario e ai creditori iscritti. ■ Art. 793 c.p.c. Convocazione dei creditori Su presentazione da parte del cancelliere dei documenti indicati nell’articolo precedente, il presidente designa con decreto un giudice per il procedimento e fissa l’udienza di comparizione dell’acquirente, del precedente proprietario e dei creditori iscritti e stabilisce il termine perentorio entro il quale il decreto deve essere notificato alle altre parti, a cura dell’acquirente. ■ Art. 794 c.p.c. Provvedimenti del giudice All’udienza il giudice, accertata la regolarità del deposito e degli atti del procedimento, dispone con ordinanza la cancellazione delle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione del titolo dell’acquirente che ha chiesto la liberazione, e quindi provvede alla distribuzione del prezzo a norma degli artt. 596 ss. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 21 Orientamenti 1. La natura del giudizio di divisione La premessa sopra svolta rappresenta il viatico che conduce ad affrontare le principali questioni sorte nella materia in esame, ad iniziare proprio dalla determinazione della natura del giudizio de quo, dovendosi comunque premettere che tale problematica, sebbene scaturisca direttamente dalla peculiare struttura del procedimento, - destinato a concludersi, in assenza di contestazioni, con un ordinanza non impugnabile (art. 789, comma 3, c.p.c.) -, nonostante la sua portata prettamente teorica, fornisce ben più di uno spunto per affrontare aspetti pratico-applicativi del giudizio divisorio da sempre al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Tanto chiarito, inquadrato inizialmente nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, - stante, da un lato, l’impossibilità di individuare il suo oggetto nella tutela successiva alla lesione di un diritto (che mancherebbe nel giudizio divisorio) e, dall’altro, la qualificazione della comunione come uno status costituito da un complesso di rapporti giuridici -, il giudizio di divisione é stato anche qualificato come processo esecutivo, o come giudizio destinato ad attuare un diritto potestativo ovvero, infine, come un giudizio contenzioso. Se la prima tesi, - fondata sul presupposto dell’esistenza di un obbligo a concludere il negozio divisionale di cui il procedimento in esame sarebbe appunto destinato ad assicurare l’esecuzione in forma specifica, con il logico corollario che i rimedi avverso i provvedimenti emessi potrebbero essere individuati facendo riferimento alle norme sul processo di esecuzione -, appare assolutamente minoritaria in ragione dell’evidente considerazione che nella fattispecie manca un titolo esecutivo, la seconda, invece, giunge ad individuare una categoria autonoma di giudizi attuativi di diritti potestativi di cui il giudizio di divisione costituirebbe la fattispecie emblematica. Per tali ragioni, una nutrita parte della dottrina non ritiene possano esserci dubbi circa la riconduzione del giudizio divisorio nell’alveo degli ordinari processi contenziosi aventi finalità di accertamento costitutivo di una nuova situazione giuridica. Dottrina Tuttavia, l’insuperabile difficoltà su cui si infrange la coerenza sistematica dell’ultima opinione esposta, - vale a dire l’impossibilità di giustificare come un processo di natura contenziosa possa essere definito Giurisprudenza 22 Il giudizio di divisione con un provvedimento avente forma di ordinanza adottato su accordo delle parti, cui occorre attribuire un vero e proprio valore di sentenza - ha indotto la giurisprudenza maggioritaria ad affermare che il giudizio de quo abbia una struttura aperta e composita, destinata, a seconda del concreto atteggiamento, contestativo o meno, assunto dalle parti, a svolgersi secondo le forme contenziose o non contenziose. La tesi di cui sopra sostiene che, secondo l’impostazione strutturale codicistica del procedimento di scioglimento delle comunioni (non rientrante nell’ambito dei giudizi sottoposti a riserva di collegialità secondo l’elencazione ora riportata nell’art. 50 bis c.p.c.), é possibile che esso, una volta introdotto nelle forme tipiche del giudizio di cognizione ordinaria, possa svolgersi ed essere definito in modo diverso, anche con forme non contenziose, in dipendenza del differente atteggiamento che tutti i condividenti possono eventualmente assumere al suo interno. Ed infatti, alla stregua dell’art. 785 c.p.c,. mentre il ricorso alle forme proprie del processo (contenzioso) di cognizione é da ritenersi riservato all’eventualità in cui insorgano contestazioni sul diritto alla dedotta divisione (o, anche, sui criteri e sulle modalità concrete della sua attuazione), é comunque possibile pervenire ad una divisione concordata quando non sorgano contestazioni sul suddetto diritto. Ordinanza n. 13701/2011 Tale ricostruzione, espressa dalla Suprema Corte nella recente ordinanza n. 13701/2011, consacra la tesi che già aveva ricevuto un autorevolissimo avallo dalla decisione delle ➲ Sezioni Unite n. 14109/2006, in forza della quale il diritto potestativo, di cui ciascun partecipante alla comunione é titolare, può attuarsi mediante un’azione qualificabile come contenziosa ove sorgano delle contestazione formulate dagli altri partecipanti alla comunione ovvero di volontaria giurisdizione, qualora sia raggiunto, in modo esplicito o implicito, l’accordo tra quest’ultimi recepito nella prevista ordinanza dichiarativa dell’esecutività del progetto divisorio. Quest’ultima é destinata, per un verso, a rivestire la funzione di mero controllo formale dell’accordo divisionale e, per l’altro, a conferire a quest’ultima efficacia esecutiva (cfr., Cass. Sez. Unite 1 marzo 1995 n. 2317). Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 23 2. La Domanda Introduttiva – Mediazione Conclusa la disamina delle diverse opinioni formulate in merito alla natura del giudizio di divisione, quest’ultimo benché rientri tra i procedimenti speciali, stante il suo possibile esito contenzioso, é introdotto con atto di citazione. A seguito dell’entrata in vigore del dlgs. 28/2010, deve, però, essere preceduto, a pena d’improcedibilità, dal previo esperimento del tentativo di mediazione. La scelta legislativa in questione, ovverosia di includere il procedimento de quo nell’ambito di quelli assoggettati alla mediazione, é stata ritenuta dai primi commentatori fortemente discutibile, poiché il legislatore, da un lato, ha dimostrato di non considerare la natura speciale del giudizio, diversamente da quanto avvenuto per altri procedimenti che deviano dallo schema ordinario delineato per il giudizio di cognizione e, dall’altro, non ha dovutamente valutato che nel giudizio di divisione si cumulano, soprattutto allorquando si verta in tema di scioglimento delle comunioni ereditarie, numerose altre domande, con la conseguente necessità di appurare se anche quest’ultime siano o meno assoggettate alla prescritta condizione di procedibilità con evidenti ricadute sul piano della ragionevole durata del processo [cfr., Rita Lombardi, “Orientamenti giurisprudenziali sul procedimento di scioglimento delle comunioni”, in Corriere Giuridico, n. 9/2011]. La previsione in commento ha innanzitutto comportato che la procedibilità della domanda di divisione presuppone una perfetta coincidenza non solo soggettiva, - fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte -, ma anche oggettiva, nel senso che la domanda formulata dalla parte attrice deve avere ad oggetto un compendio da dividere identico a quello su cui si é svolto il tentativo medesimo o si sarebbe dovuto, comunque, svolgere ove esso avesse avuto luogo (cfr., in materia quanto affermato dalla giurisprudenza con riferimento ai di contratti agrari, Cass. 15802/2005; 10497/2001; 10322/97; 6295/95). Con riguardo al primo degli indicati profili di coincidenza tra la domanda giudiziale e l’istanza di mediazione, considerato che il giudizio di divisione si caratterizza per la necessità del litisconsorzio (vedi oltre), non può prescindersi dalla presenza anche di uno solo dei condividenti, e quindi ove non abbiano tutti partecipato alla mediazione, non può iniziarsi il giudizio ritenendo che vi sia la condizione di procedibilità per alcuni e non per altri. La condizione di procedibilità, infatti, deve ricorrere per tutti. Coincidenza tra domanda giudiziale e istanza di mediazione Coincidenza soggettiva 24 Coincidenza oggettiva Diritti autodeterminati Il giudizio di divisione Ne consegue che, se la mediazione é stata svolta senza la comunicazione della domanda di mediazione e della fissazione del primo incontro ad uno dei litisconsorti necessari, il giudice dovrà ritenere assente la condizione di procedibilità ed assegnare il termine di 15 giorni per proporre il procedimento di mediazione nei confronti di tutti (comprese le parti che già vi avevano partecipato). Si potrebbe, comunque, in alternativa, ipotizzare la possibilità per il giudice di disporre direttamente l’integrazione del contraddittorio per l’udienza successiva, assegnando contestualmente il termine per la nuova proposizione del procedimento di mediazione nei confronti di tutti i litisconsorti. In merito al secondo profilo di coincidenza, qualora la domanda giudiziale di divisione abbia ad oggetto dei beni diversi ed ulteriori non menzionati nel procedimento di mediazione, il tentativo obbligatorio di conciliazione, in ragione di tale non corrispondenza del petitum, non risulta ritualmente esperito ed il giudizio deve quindi essere sospeso con assegnazione del termine per il rinnovo del tentativo. Nell’ipotesi de qua, infatti, non potrebbe sostenersi che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporti la prospettazione di una nuova causa petendi, integrando, per contro, una mera emendatio che, come é ammissibile nel corso del giudizio di primo grado o di appello così, a maggior ragione, dovrebbe ritenersi consentita nei rapporti tra la richiesta come formulata nel procedimento di conciliazione e la successiva articolazione in sede giudiziaria (cfr. Cass. 9266/2010). La soluzione sopra proposta, invero, può essere condivisa soltanto quando la domanda giudiziale abbia ad oggetto un diritto etero determinato, ma non certo quando, come nei giudizi di divisione si verta nell’ambito dei diritti autodeterminati. Nei giudizi in cui vengano in rilievo dei diritti auto-determinati, occorre distinguere, atteso che tali diritti sono individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, cioé del bene che ne costituisce l’oggetto, non essendo la deduzione del fatto costitutivo necessaria ai fini della loro individuazione, ma, per contro, rilevante soltanto per la prova del diritto. Pertanto, mentre, al pari di quanto si verifica nel corso del giudizio di divisione, deve ritenersi procedibile la domanda nonostante l’attore, nel corso del procedimento di mediazione abbia posto a fondamento del suo diritto di comproprietà un titolo diverso rispetto a quello successivamente dedotto al momento dell’instaurazione del giudizio, costituendo ciò soltanto un’integrazione delle difese sul piano probatorio, - integrazione non configurabile come domanda nuova -, non può dirsi altrettanto ove l’indicata divergenza riguardi il bene da dividere. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 25 L’ampliamento dell’an dividendum sit rispetto a quello delineato nell’atto introduttivo del procedimento di mediazione dà ingresso ad una nuova domanda per mutamento del “petitum” (cfr., Cassazione civile, sez. II, 05/10/2009, n. 21257;Cassazione civile, sez. I, 14/05/2007, n. 11001; Cassazione civile, sez. II, 21/11/2006, n. 24702; Cass. 7 dicembre 2005 n. 26973; Cassazione civile, sez. II, 05/11/2010, n. 22598; In senso conforme cfr. Cass. 30 dicembre 2002 n. 18370). É, poi, di solare evidenza che, qualora la domanda di divisione sia proposta da più comproprietari congiuntamente con riguardo a diversi beni, tutte le domande di questi richiedono l’adempimento della condizione di procedibilità, con la conseguenza che se solo per alcune domande sussiste la condizione di procedibilità, le altre, sempre che abbiano ad oggetto diversi beni, possono essere separate dalle prime. Certo, non si potrà procedere alla separazione allorquando la domanda sia congiuntamente proposta da più condividenti con riferimenti al medesimo bene e soltanto alcuni di essi abbiano adempiuto alla prescritta condizione di producibilità, stante l’evidente esistenza del litisconsorzio necessario tra tutti gli istanti. 3. Mediazione, divisione e domande riconvenzionali Più complessa é la questione ab initio prospettata dei rapporti tra mediazione obbligatoria e domanda riconvenzionale, allorquando il convenuto nel giudizio di divisione, a sua volta, proponga una domanda riconvenzionale soggetta al previo esperimento del tentativo de quo. Nessun problema si pone, quindi, quando il tentativo di conciliazione sia stato svolto su tutte le pretese avanzate dalle parti nel successivo giudizio. In tale ipotesi di confronto effettivo e completo tra i litiganti, la procedura conciliativa può, infatti, conseguire la finalità deflattiva cui é preordinata, non sussistendo quindi la necessità del previo tentativo di conciliazione, qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura di conciliazione sperimentata dall’attore . Non potendo, in sede giudiziaria, essere ampliato l’ambito della controversia rispetto a quello interessato dal tentativo di conciliazione, certamente basta che la questione specifica, oggetto di quella pretesa poi formulata in sede giudiziaria in via riconvenzionale, sia stata trattata nel contraddittorio di tutte le parti interessate alla con- Coincidenza delle pretese 26 Il giudizio di divisione troversia in occasione del tentativo di conciliazione, ancorché questo si sia svolto su istanza della sola parte attrice. Pertanto, allorquando in sede di tentativo di conciliazione la questione posta dal convenuto sia stata dibattuta tra le parti, allora, é sicuramente procedibile anche la domanda riconvenzionale. Deve, escludersi, per incidens, che l’onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione possa gravare sulla parte che, convenuta in giudizio, ed al fine di resistere alle altrui pretese, si limiti a spiegare, in sede difensiva, delle mere eccezioni in senso proprio, negando fondamento alla pretesa di controparte. Una diversa interpretazione contrasterebbe con i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che, in tal caso, il giudice dovrebbe, da un lato, dichiarare improponibile l’eccezione del convenuto, in quanto non preceduta dal tentativo di conciliazione, e, dall’altro, accogliere sempre la domanda dell’attore, in mancanza di qualsivoglia difesa di controparte, solo perché quest’ultimo, prima di proporla, ed a prescindere dalla sua eventuale infondatezza, abbia esperito il tentativo di conciliazione. Ne consegue che é certamente da escludere l’onere del previo esperimento del tentativo di conciliazione quando il giudice accerti che le difese svolte dal convenuto non integrino una domanda riconvenzionale, tenendo conto che l’elemento distintivo della eccezione (anche riconvenzionale) rispetto alla domanda riconvenzionale risiede, non già nella natura del diritto fatto valere dal convenuto, ma nel fine che questi si propone, e cioé nel contenuto della sua istanza processuale, dovendosi ravvisare la configurabilità di una domanda riconvenzionale nella sola ipotesi in cui questa tenda ad un risultato concreto ulteriore rispetto al semplice rigetto della domanda avversaria, consistente nella richiesta, con effetto di giudicato, di un provvedimento giudiziale a sé favorevole e sfavorevole alla controparte (cfr., Cass. 10017/03). Assenza di coincidenza delle pretese Più complesso é il caso in cui la mediazione non abbia anche riguardato le pretese (qualificabili in termini di domanda riconvenzionale) del convenuto (ad esempio perché contumace). L’art. 5, comma 1, dlgs. 28/10 prevede che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia” rientrante nella mediazione obbligatoria “é tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione... L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”. La questione é stata affrontata dalla giurisprudenza, prevalentemente di merito, in altre fattispecie in cui il legislatore, analogamente a quanto avvenuto con il dlgs. 28/2010, ha introdotto delle ipotesi di giurisdizione condizionata, senza tuttavia pervenire ad una soluzione univoca. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Se nel rito del lavoro, in presenza di una formulazione simile a quella adottata dal dlgs. 28/2010, in assenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la più autorevole opinione dottrinale nonché la giurisprudenza di merito hanno sempre sostenuto la tesi della non estendibilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali, nelle controversie agrarie la Suprema Corte ha optato per la soluzione opposta. Tuttavia, va osservato che quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alle controversie aventi ad oggetto i contratti agrari non appare decisivo per risolvere la questione esaminata. In tale ambito, infatti, il legislatore prevede, non – come il dlgs. 20/2010 - una condizione di procedibilità della domanda, ma una condizione di proponibilità, con riferimento alla quale la Suprema Corte ha sostenuto la necessità del tentativo di conciliazione anche per le domande proposte in via riconvenzionali. Analogamente, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti ed in relazione all’abrogato art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, si é affermato che la relativa condizione di proponibilità dell’azione risarcitoria trova applicazione, “tenendo conto del difetto di espresse limitazioni e della “ratio” della disposizione medesima (favore per il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze di risarcimento), anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto che assuma a sua volta la responsabilità dell’attore” . Le soluzioni prospettate, dunque, come detto, non appaiono fornire una soluzione pienamente trasponibile alle controversie ricomprese nell’ambito di operatività del dlgs. 28/2010. Entrambe le fattispecie descritte, infatti, individuano delle ipotesi in cui la preventiva attività stragiudiziale volta alla conciliazione é concepita dal legislatore come una condizione di proponibilità dell’azione e non di mera procedibilità della domanda. Né l’art. 46 l. n. 203 del 1982, con riguardo alle controversie agrarie, né l’art. 22 della legge 990/69, con riguardo alla RCA, - norme inderogabili e imperativi -, consentono che il filtro del tentativo di conciliazione possa essere attuato successivamente alla domanda giudiziale. Ne consegue che l’esperimento preventivo del tentativo di conciliazione di cui ai citati articoli costituisce condizione di proponibilità della domanda la cui mancanza, rilevabile anche d’ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità (cfr., Cassazione civile, sez. III, 15/07/2008, n. 19436; Cassazione civile 29 gennaio 2010 n. 2046 sez. III; Cass. 16 novembre 2007 n. 23816). Tanto chiarito sul piano generale ed astratto circa la disomogeneità genetiche tra le fattispecie illustrate e quella in oggetto, tornando 27 28 Il giudizio di divisione all’esame delle domande riconvenzionali formulate nelle controversie divisorie e relative alle materie soggette a mediazione obbligatoria in base al d.lgs. 28/2010, va in primo luogo osservato che sembrerebbe risolutivo il chiaro dettato normativo del primo comma dell’art. 5 del dlgs. cit., imponendo quest’ultimo la condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo in relazione ad ogni domanda che si vuol fare valere in giudizio. D’altronde, nell’ottica dell’estensione della mediazione obbligatoria anche alle domande riconvenzionali, si evidenzia che il tentativo obbligatorio di conciliazione riguarda le domande formulate in giudizio in certe “materie” ed all’interno di queste ultime non può distinguersi in relazione alle modalità di presentazione della domanda. Nonostante ciò, diversi argomenti, tuttavia, inducono a ritenere preferibile la tesi per cui il tentativo obbligatorio di conciliazione non si estenda anche alle domande riconvenzionali. Tesi negativa Si osserva, in chiave critica rispetto alla prima delle proposte soluzioni, che quest’ultima, benché corroborata dall’interpretazione letterale della citata norma, difficilmente si concilierebbe con la ratio sottesa all’innovazione legislativa. Il positivo esperimento della mediazione con riguardo alla domanda riconvenzionale non sortirebbe l’effetto di chiudere il giudizio in corso. La conciliazione stragiudiziale, proprio in quanto stragiudiziale, ha lo scopo - nell’intento deflativo perseguito dal legislatore - di evitare il giudizio, mentre il procedimento di mediazione per la domanda riconvenzionale non é idoneo a porre fine al giudizio e può comportare al più (in caso di positivo esito della mediazione) un accordo solo sulla riconvenzionale. In secondo luogo, imporre il tentativo di conciliazione per la domanda riconvenzionale, traducendosi in un inevitabile allungamento dei tempi di definizione del processo (in contrasto con l’art. 111 della Costituzione), significherebbe limitare il diritto di azione dell’attore che diligentemente si é attivato proponendo il tentativo di mediazione, in evidente contrasto con quanto sancito dalla C. Cost. con la Sentenza n. 276/00, secondo cui il diritto di azione può essere limitato con la previsione di procedure di mediazione se vi é un limite temporale oggettivamente predeterminato. Inoltre, il tentativo di conciliazione, ove fosse ritenuto necessario anche per la domanda riconvenzionale, non avrebbe comunque modo di essere esperito in via preventiva, e quindi sarebbe difficilmente compatibile, da un lato, con una domanda che (come la riconvenzionale) presuppone l’avvenuta instaurazione del processo e, dall’altro, con una Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione procedura che invece ha l’obiettivo di evitare che il giudizio venga mai ad esistenza. Infine, milita contro la soluzione favorevole ad estendere il tentativo di conciliazione anche alla domanda riconvenzionale un pregnante argomento di carattere letterale, peraltro pienamente rispondente con la prospettata ricostruzione della fattispecie in armonia con i principi costituzionali. Invero, appare dirimente osservare che, laddove la Suprema Corte abbia ritenuto estesa anche alla domanda riconvenzionale la necessità di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione pregiudiziale, come nel caso delle controversie agrarie (per la pacifica giurisprudenza, cfr., tra le ultime, Cass. n. 10993/2003, Cass. n. 10017/2003, Cass. n. 408/2002), lo ha fatto sulla base del dettato letterale della norma, atteso che l’art. 46 L. 203/1982 si riferisce inequivocabilmente a qualunque domanda proposta in giudizio, compresa quindi quella riconvenzionale. Viceversa, il dlgs. 28/2010, disciplinando la possibilità per il solo convenuto di eccepire il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, impone di ritenere che tale tentativo riguardi solo la domanda principale, e non anche la riconvenzionale del convenuto, posto che, in tale secondo caso, sarebbe stato necessario prevedere anche la possibilità per il ricorrente di eccepire l’improcedibilità della domanda per l’omissione della procedura conciliativa, a pena di vulnerare la logicità e la razionalità del sistema. Ciò detto, deve necessariamente inferirsi che il legislatore ha ritenuto di prevedere il tentativo di mediazione solo relativamente alla domanda principale, con la conseguenza logica che la necessità della procedura conciliativa non può essere estesa anche alla domanda riconvenzionale, poiché le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (cfr., Cass. n. 967/2004). 29 30 Il giudizio di divisione 4. Aspetti peculiari della fase introduttiva I poteri del procuratore Unico procuratore Tanto chiarito in ordine alle recenti innovazioni legislative, ove non si addivenga alla scioglimento della comunione attraverso il procedimento stragiudiziale di mediazione, rendendosi necessaria la proposizione della domanda, l’iniziale posizione paritaria dei condividenti consente che più parti vengano rappresentate dal medesimo procuratore. Tale circostanza, infatti, non determina alcuna nullità delle procure ove solo successivamente si realizzi un conflitto di interessi fra le diverse posizioni delle parti. In tal caso, le procure sono valide per tutti gli atti compiuti in ordine ai quali non sussisteva tale conflitto, mentre, per il periodo successivo, le procure stesse diventano inefficaci per inidoneità al raggiungimento dello scopo (difesa) cui esse sono per loro natura dirette, con la conseguente nullità degli atti eventualmente compiuti e dei provvedimenti adottati (cfr., Cassazione civile, sez. II, 08/04/1983, n. 2493). Facoltà del difensore Inoltre, al difensore investito del potere di rappresentanza tecnica del condividente sono attribuite tutte le facoltà riguardanti le modalità processuali con cui pervenire allo scioglimento della comunione, essendo quest’ultime necessariamente implicate nella stessa domanda divisione, a differenza dei casi in cui venga in rilevo il potere, di natura prettamente sostanziale, di disposizione della propria quota, come tale richiedente che il difensore sia munito di una procura speciale onde poter esprimere la volontà del condividente rappresentato. Per tale ragione, la giurisprudenza, se, da un lato, é unanime nel ritenere che la richiesta di attribuzione dell’intero immobile non comodamente divisibile, rientrando nel contenuto dalla domanda di scioglimento della comunione, non attiene alla disposizione del diritto sostanziale, e quindi ben può essere avanzata dal procuratore della parte rappresentata ai sensi dell’art. 84 c.p.c., senza che occorra a tal fine il rilascio da parte di quest’ultima di uno specifico mandato (cfr., Cassazione civile, sez. II, 21/01/1994, n. 543), dall’altro, evidenzia che il diritto di riscatto nei confronti dell’acquirente di quota ereditaria, previsto dall’art. 732 c.c. a favore dei coeredi, avendo natura di diritto potestativo, viene ad esistenza solo con la manifestazione di volontà che può essere espressa pure con l’atto introduttivo del giudizio, sempre che tale manifestazione sia riconducibile al titolare del potere attraverso la sua sottoscrizione di tale atto, o con il conferimento della procura speciale al difensore, tale dovendosi ritenere anche quella apposta a margine dell’atto o in calce allo stesso (cfr., Cassazione civile, sez. II, 23/04/2010, n. 9744; Cass. 3 settembre 1998 n. 8728). Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 31 Né, in senso contrario, vale addurre che la procura può essere stata apposta a margine prima della stesura della citazione, con la conseguenza che, salvo il caso in cui chi agisca non provi il contrario e cioé di averla apposta dopo la redazione dell’atto introduttivo del giudizio, deve ritenersi che il condividente abbia avuto conoscenza e coscienza dell’atto compiuto dal suo difensore. Invero, essendo la procura apposta a margine della citazione ed essendo con questa un tutt’uno, non soltanto é da presumere che sia stata rilasciata per l’atto in essa già predisposto, ma, anche quando dovesse ritenersi che sia stata apposta prima della stesura dell’atto, poiché il mandato é stato conferito per l’esperimento dell’azione di retratto successorio, con esso si é dato contemporaneamente incarico di manifestare la volontà di esercitare il diritto di riscatto e, di conseguenza, la domanda contenuta nella citazione é direttamente riferibile alla parte ed esprime la volontà del conferente ad avvalersi del diritto alla prelazione. Procura La riportata conclusione é pienamente coerente con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che, sia nella materia del retratto successorio, sia in quella affine dei riscatti agrario e locatizio, ha sempre ritenuto che il mandato alla lite abilita il procuratore a esprimere, in nome dei suoi rappresentati, la volontà negoziale di esercitare il diritto fatto valere in giudizio, e quindi anche il retratto successorio sempre che il giudizio divisorio abbia ad oggetto una comunione ereditaria (cfr., Cass. 27 settembre 2006 n. 20948, 15 giugno 2006 n. 13766, 26 luglio 2001 n. 10218, 3 settembre 1998 n. 8728). La permanenza di tale tipo di comunione segna, dunque, il limite entro il quale può essere esercitato il diritto di retratto, dovendosi all’uopo rammentare che dalla mera divisione parziale di un immobile ereditario non può farsi senz’altro discendere, come automatico effetto, la trasformazione in ordinaria della comunione, per la residua porzione del bene rimasta in comproprietà tra i successori del de cuius. In materia, la giurisprudenza di legittimità é invece univocamente orientata nel senso che “solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle componenti dell’asse ereditario, indiviso al momento dell’apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità del retratto successorio, di cui all’art. 732 c.c. che postula la persistenza dello stato di comunione dell’eredità” (Cass. 19 giugno 2008 n. 16642, 12 ottobre 2007 n. 21491, 6 maggio 2005 n. 9522, 13 settembre 2004 n. 18351, 21 aprile 1997 n. 3424). La divisione parziale, pertanto, non esclude la possibilità del mutamento da ereditaria in ordinaria della comunione sui beni Retratto successorio 32 Il giudizio di divisione residui, ma neppure ne comporta la necessità, come ineluttabile e “ovvia conseguenza”: mutamento che é subordinato alla ricorrenza di un preciso presupposto - la preponderanza dei beni divisi rispetto al resto mantenuto in comune. 4.1. L’oggetto del giudizio L’orientamento da ultimo riportato impone una riflessione sull’oggetto della domanda di divisione, considerato che, nonostante il giudizio di divisione sia improntato al principio di universalità, dovendo lo scioglimento della comunione investire tutti i beni in comproprietà, tale principio non riveste una portata assoluta ed inderogabile. Divisione parziale É, infatti, possibile una divisione parziale, sia quando al riguardo é intervenuto un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’intero asse. Di conseguenza, applicandosi anche alla materia divisionale il principio del doppio grado di giurisdizione e, quindi, il disposto dell’articolo 345 codice procedura civile, una volta accertato che in primo grado la domanda di divisione non comprendeva un bene, non può non considerarsi nuova, e come tale inammissibile in appello, la pretesa di estendere la divisione anche a tale bene (v. Cassazione civile, sez. II, 29/11/1994, n. 10220). La divisione parziale, d’altronde, può essere imposta, non solo dall’iniziativa, giudiziale o negoziale dei condividenti, ma anche dalla mancanza di una chiara manifestazione di volontà delle parti, diretta alla formazione di un’unica massa, allorquando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi sicché non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni. Alla pluralità dei titoli corrisponde, quindi, una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sé stante suscettibile di costituire oggetto di un autonomo giudizio di divisione. Da tanto discende ancora che, nell’ipotesi opposta, ovverosia nel caso in cui il giudizio di divisione venga instaurato con riferimento al complesso dei beni, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti rispetto a questa, al di fuori e indipendentemente dai diritti che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisibilità dei beni immobili che vi sono inclusi. (cfr., Cassazione civile, sez. II, 08/05/1981, n. 3014). Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 33 4.2. Il giudice competente Se quanto fin qui detto descrive gli elementi individuanti la domanda di divisione con riguardo alla causa petendi ed al petitum, per quanto attiene ai presupposti dell’azione, iniziando dalla determinazione del giudice competente, l’art. 12, comma 2° c.p.c. indica il criterio di riferimento nel valore della massa attiva da dividere, al lordo quindi dei debiti e con la precisazione che lo scioglimento della comunione immobiliare é sempre attribuita alla competenza del Tribunale. Ai sensi dell’art. 23 c.p.c. la cognizione delle cause tra condomini é devoluta al giudice del luogo in cui si trova la cosa comune, tenendosi presente che, da un lato, tale criterio deve trovare applicazione non solo alle controversie che si instaurano tra condomini in ordine alla proprietà o ad altri diritti inerenti alla disponibilità e all’uso della cosa comune, ma anche a quelle sulle obbligazioni nascenti “pro-quota” a carico dei singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione, sicché territorialmente competente é sempre e comunque il foro speciale tra condomini, quale norma in deroga rispetto al foro generale di cui agli art. 18 e ss. c.p.c.; dall’altro che la determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ex art. 22 c.p.c. e 456 c.c. con riferimento al luogo di apertura della successione, in cui il de cuius aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione la relazione tra la persona ed il luogo che essa ha scelto come centro dei propri affari ed interessi, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del de cuius in detto luogo (cfr., Cassazione civile, sez. II, 29/03/1996, n. 2875; Cassazione civile, sez. un., 18/09/2006, n. 20076). Sempre in tema di competenza per territorio, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le domande di divisione di eredità di diversa provenienza o di scioglimento di una comunione ordinaria nei confronti di soggetti anche parzialmente diversi non possono, per l’art. 22 c.p.c., essere proposte cumulativamente se appartengono alla competenza territoriale di giudici diversi. Lo spostamento di competenza secondo il criterio del cumulo soggettivo non é possibile perché l’art. 33 c.p.c. riguarda il foro generale delle persone fisiche. A ciò aggiungasi che l’art. 104 c.p.c., nel prevedere che le domande formulate nei confronti della stessa parte (anche non altrimenti connesse) ed appartenenti alla competenza di giudici diversi possano essere proposte davanti al medesimo giudice a causa del vincolo di connessione soggettiva, consente la deroga, per espresso richiamo al comma 2 dell’art. 10 c.p.c., alla sola competenza per valore, con la conseguenza che, se una delle domande appartiene alla competenza territoriale di un Cause tra condomini ed ereditarie Esclusione del cumulo soggettivo 34 Il giudizio di divisione giudice diverso (come nella specie, ex art. 22 c.p.c.), la deroga per soli motivi di connessione soggettiva non é consentita (cfr., Cassazione civile, sez. II, 01/03/2007, n. 4862; Cass. 27 gennaio 2003 n. 1213; in senso contrario cfr. Cass. 21 gennaio 1985 n. 215). Scioglimento di comunioni Infine, benché l’art. 788 c.p.c., comma 2, in tema di vendita di immobili nello scioglimento di comunioni, continui a prevedere che “”Se sorge controversia, la vendita non può essere disposta se non con sentenza del collegio”, la riserva di collegialità nel procedimento di divisione é venuta meno con il D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado) che, con la nuova formulazione della norma - oggi l’art. 50-bis cod. proc. civ. - contenente l’indicazione delle cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione collegiale, ha infatti sottratto il procedimento in esame (al contrario del previdente del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 48 nel testo sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 88) alla detta riserva di collegialità. Ne deriva che, essendo il procedimento di scioglimento di comunioni trattato e deciso davanti al Tribunale in composizione monocratica, nell’art. 788 cod. proc. civ. non c’é più alcuna divergenza, sotto il profilo della composizione dell’organo decidente, tra la pronuncia del giudice istruttore ove non sia sorta controversia sulla necessità della vendita e quella resa dal giudice monocratico ove siano sorte contestazioni al riguardo. Vi siano o meno contestazioni, la vendita, dopo la citata modifica normativa, é disposta comunque dal Tribunale in composizione monocratica, rispettivamente con sentenza o con ordinanza (cfr.. Cassazione civile, sez. II, 22/02/2010, n. 4245;Cassazione civile, sez. II, 08/11/2010, n. 22663; Cassazione civile, sez. II, 24/11/2010, n. 23840). 4.3. L’espropriazione di beni indivisi e giudizio di divisione Per terminare il discorso sull’individuazione del giudice competente a decidere il giudizio di scioglimento della comunione, non può omettersi di affrontare l’ipotesi in cui quest’ultimo origini, incidentalmente, da un procedimento esecutivo avente ad oggetto l’espropriazione di beni indivisi. Inapplicabilità del tentativo di conciliazione In merito, si premetta che difficilmente appare applicabile alla fattispecie in esame la condizione di procedibilità prescritta dal dlgs. 28/2010, poiché il comma 4° dell’art. 5 di tale testo normativo espressamente esclude dall’ambito di applicazione del tentativo di conciliazione i proce- Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 35 dimenti di cognizione che si inseriscono incidentalmente nell’esecuzione forzata, quali l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, le controversie in sede di distribuzione, l’accertamento dell’obbligo del terzo, stante la loro stretta interferenza con l’esecuzione forzata. Consentire o, peggio, imporre la dilazione nella fase processuale in cui la soddisfazione del singolo diritto é più prossima significherebbe, infatti, aprire la strada a manovre dilatorie da parte dei debitori esecutati. Chiarito ciò, l’aspetto sicuramente più problematico, oltreché connesso ai profili ora esaminati, attiene alla portata dell’art. 181 disp. att. c.p.c., come novellato dalla legge 80/2005. In deroga alle ordinarie regole di competenza, il nuovo art. 181 disp. att. attribuisce al giudice dell’esecuzione la competenza funzionale per l’istruzione del giudizio di divisione ai sensi degli artt. 175 e ss., introducendo una coincidenza nella stessa persona fisica tra giudice dell’esecuzione e giudice della cognizione estranea al precedente testo normativo dell’articolo in esame [LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile, 2006, Giuffré, p. 356]. La previsione legislativa induce, dunque, a rimeditare la qualificazione dell’ordinanza di cui all’art. 600 c.p.c., e con essa i poteri del giudice dell’esecuzione (dei quali la medesima indubbiamente costituisce espressione) nonché impone di rivedere i rapporti tra il giudizio di divisione ed il processo esecutivo su beni indivisi, tradizionalmente concepiti sub specie di “pregiudizialità necessaria” [cfr., RENZI, L’espropriazione dei beni indivisi, in “Il nuovo processo di esecuzione” a cura di Cecchella, 2006, Il Sole 24 Ore, 179]. L’opinione pregressa, nettamente dominante, individuava tra i due procedimenti una intrinseca disomogeneità, ancorché il giudizio divisionale fosse instaurato ai sensi dell’art. 601 c.p.c.. In tal senso si esprimeva lo stesso Giudice di legittimità, il quale, muovendo dalla diversità delle forme proprie dei due procedimenti, concludeva nel senso della reciproca “infungibilità ed incompromettibilità”. Affermava, infatti, il giudice di legittimità, inverando quanto da ultimo evidenziato che, qualora, a seguito di pignoramento di un bene indiviso, fosse sospeso il procedimento esecutivo, in attesa della definizione del giudizio di divisione (art. 601 c.p.c.), il giudice istruttore di quest’ultimo, nel dichiarare esecutivo il progetto divisionale, ai sensi dell’art. 789 comma 3 c.p.c., non aveva il potere di attribuire al creditore la porzione spettante al debitore, in ordine alla cui vendita od assegnazione doveva statuire il giudice dell’esecuzione, nell’ambito e con le forme della procedura espropriativa. Pertanto, ove tale attribuzione fosse disposta dall’istruttore, il relativo provvedimento, di carattere anomalo e non altrimenti impugnabile, era Competenza 36 Il giudizio di divisione denunciabile con ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 111 della costituzione, in considerazione del suo contenuto decisorio (cfr., Cassazione civile, sez. II, 27/06/1987, n. 1320). Fermo il nesso funzionale tra l’azione esecutiva e lo scioglimento della comunione, la Suprema Corte, dunque, affermava l’autonomia del giudizio divisionale, ponendosi in linea con la dottrina maggioritaria che procedeva dalla pacifica diversità del giudicante nel processo ordinario di cognizione e in quello di esecuzione. L’ordinanza che sospendeva il procedimento esecutivo, disponendo contestualmente la divisione, non era dunque qualificabile come un provvedimento istruttorio emesso nel corso del processo divisionale e la sua notificazione non poteva sostituire la chiamata in giudizio prescritta dall’art. 1113, co. 3 cc, quale onere gravante ex lege sui comunisti (cfr. Cassazione civile, sez. III, 10/05/1982, n. 2889). Il provvedimento sospensivo aveva dunque una valenza esclusivamente processuale e rinveniva la sua ragion d’essere nella necessità di fornire all’organo decidente le informazioni utili alla individuazione della concreta modalità espropriativa della quota ideale pignorata. Tale vocazione, indubbiamente funzionale al proseguimento dell’esecuzione, scaturiva dalla valorizzazione del termine “interessati” di cui all’art. 181, co. 2 disp. att. c.p.c., quale categoria soggettiva più vasta di quella dei contitolari (questi ultimi già destinatari dell’avviso di cui all’art. 599, co. 2 c.p.c.), comprensiva altresì degli aventi causa del debitore e degli altri contitolari nonché dei creditori iscritti opponenti in data anteriore al pignoramento. Per questo, benché la sua omessa notificazione determinasse l’improcedibilità della intrapresa azione esecutiva su beni indivisi, l’ordinanza altro non era che un provvedimento proprio del procedimento esecutivo. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 37 5. I risvolti applicativi determinati dal dlgs. 80/2005 I nuovi artt. 600 c.p.c. e 181 disp. att. c.p.c. devono però indurre, come detto, ad una radicale rimeditazione della fase introduttiva del giudizio divisionale. Si tratta non solo di individuare il contenuto minimo dell’ordinanza ex art. 600, ma soprattutto di stabilire se, venuta meno la preliminare rimessione al giudice istruttore, le forme tipiche dell’agire esecutivo possano legittimamente incidere sulla fisiologia della fase a cognizione piena, alterandola sensibilmente rispetto all’astratta fattispecie processuale propria del processo ordinario. La quaestio iuris involge proprio il provvedimento prescelto dal legislatore per la proposizione della domanda di divisione, ovvero l’ordinanza resa dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 600 c.p.c.. Che l’ordinanza de qua tenga luogo dell’atto di citazione pare indubbio, visto che, da un lato, il nuovo art. 181 disp. att. non prescrive più il rispetto delle “forme ordinarie” per l’introduzione del giudizio divisionale e, dall’altro, l’atto introduttivo del giudizio di divisione non può essere identificato né con l’istanza di vendita né con quella di assegnazione ovvero di separazione in natura della quota, essendo entrambi tali atti diretti soltanto ad evitare l’inefficacia del pignoramento, e quindi a determinare la fissazione dell’udienza di comparizione ex art. 600 c.p.c. da parte del g.e.. Inoltre, l’art. 181 cit. attribuisce espressamente all’organo decidente il potere di procedere d’ufficio alla relativa istruzione. In tale ottica, si comprendono le ragioni che hanno indotto la prevalente giurisprudenza di merito a considerare l’ordinanza ex art. 600 c.p.c. equivalente alla domanda giudiziale di divisione, come tale idonea ad integrare il contraddittorio tra le parti ai fini della disciplina degli artt. 1113 e 2646, co. 2 cc nonché necessariamente corredata sia dalla citazione a comparire ad udienza fissa, sia dalla esatta individuazione dell’immobile oggetto della comunione e dei dati identificativi delle parti dell’istruendo giudizio divisionale. L’ordinanza diviene atto processuale complesso, insieme esecutivo e sostitutivo della domanda giudiziale, e quindi, come domanda giudiziale, soggiace alla disciplina propria dell’atto di citazione; come atto esecutivo, non può essere revocata dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 487 c.p.c., ma é ancora censurabile nelle forme di cui all’art. 617 c.p.c.. Risulta così superata la precedente giurisprudenza, secondo la quale “… l’ordinanza adottata ai sensi dell’art. 600 c.p.c., con la quale il Quaestio sull’atto introduttivo 38 Il giudizio di divisione giudice dell’esecuzione dispone la vendita della quota indivisa spettante al debitore esecutato - avendo natura di provvedimento esecutivo volto ad assicurare un ordinato svolgimento della procedura in vista del soddisfacimento coattivo dei diritti del creditore procedente - é revocabile dallo stesso giudice che l’ha adottata …” (cfr. Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2003, n. 2624, in Giustizia Civile, Mass. 2003, 372). Ed infatti, sebbene la dottrina più recente sostenga che il giudice dell’esecuzione possa comunque sempre rivedere il proprio provvedimento, perché nessuna norma dichiara immodificabile l’ordinanza di cui all’art. 600 c.p.c., tale notazione non considera la nuova duplice ontologia dell’ordinanza, non avendo il giudice altra possibilità di acquisire diversi ed ulteriori elementi, se non attraverso lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi, una volta maturate le preclusioni di cui al novellato art. 173 bis disp. att. c.p.c... In quest’ultimo senso induce la stessa sequenza procedimentale esecutiva, posto che, come é stato correttamente rilevato, l’adozione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 600 cit. postula il deposito della relazione peritale e, salve le decadenze previste dall’art. 173 - bis disp. att. c.p.c., costituisce necessariamente l’epilogo dell’udienza per l’autorizzazione della vendita. All’ordinanza non può certamente riconoscersi una efficacia dichiarativa sul piano del diritto sostanziale, e resta salva ogni questione attinente al merito, sia ai fini della determinazione del thema decidendum sia del thema probandum, secondo il sistema di preclusioni di cui al novellato art. 183 c.p.c. Struttura bifasica del giudizio divisionale La struttura bifasica propria del processo divisionale non subisce alterazione alcuna e continua a comporsi essenzialmente di due sottofasi: l’una, meramente eventuale, avente ad oggetto l’accertamento del diritto soggettivo di chiedere ed ottenere lo scioglimento della pregressa situazione intersoggettiva di contitolarità; l’altra afferente all’individuazione delle singole quote. Tuttavia, la mancata proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi reca con sé l’effetto di precludere alle parti la possibilità di contestare in sede cognitiva divisionale le doglianze formali che dovessero caratterizzare l’emissione della prodromica ordinanza: si pensi alle contestazioni sulla necessità di procedere alla vendita ex art. 788, co. 1 c.p.c.; alla possibilità di vendere la quota indivisa ad un importo non inferiore al valore di stima. La fase assertiva del giudizio divisionale é adesso destinata a risentire delle preclusioni già maturate in relazione alla sussistenza dei presupposti processuali necessari alla sua instaurazione, perché non fatte valere mediante opposizione; oppure della statuizione resa con la sentenza che Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 39 definisce l’opposizione agli atti esecutivi promossa contro l’ordinanza. Dovendosi precedere alla divisione del bene anche d’ufficio, allora, e se la conclusione del giudizio divisionale incidentale continua a rappresentare la condizione di procedibilità dell’azione esecutiva, deve definitivamente abbandonarsi la teoria della reciproca “infungibilità ed incompromettibilità” dei due procedimenti. Nell’interesse della procedura esecutiva, al giudice dell’esecuzione viene affidato il compito di sostituirsi al creditore procedente nel chiedere la divisione dell’immobile in comproprietà. Il legislatore muove dalla opportunità di affidare ad un unico organo decidente il compito di “definire” ogni questione consequenziale alla azione esecutiva, previo il necessario assolvimento di tutte le formalità altrimenti gravanti sulla parte privata, dovendosi così anche giustificare la trascrizione della ordinanza ex art. 600 c.p.c., atteso che le domande di divisioni sono soggette alla trascrizione ai sensi dell’art. 2646, co. 2 cc, con la conseguenza che, producendosi il relativo effetto processuale dalla pubblicità nei registri immobiliari, a fronte di eventuali cessioni delle quote ideali, il processo divisionale incidentale continua tra le parti originarie ai sensi dell’art. 111 c.p.c.. E ciò in quanto, la circostanza che il bene immobile sia “materialmente comune” non può però indurre a ritenere che nelle more del processo esecutivo l’inopponibilità al creditore della divisione stragiudiziale ovvero degli atti dispositivi dei comproprietari sulle quote di loro spettanza si rinvenga sic et simpliciter nella trascrizione del pignoramento contro la quota indivisa del debitore, dal momento che il giudizio divisorio incidentale ha ad oggetto l’intero bene immobile e non la sola quota indivisa pignorata. I comproprietari non esecutati possono infatti disporre liberamente delle loro quote senza risentire degli effetti previsti dall’art. 2913 cc, atteso che l’avviso di cui all’art. 599 c.p.c. ha il solo scopo di inibire le attività negoziali dirette a sottrarre all’esecuzione la quota indivisa del debitore. Il giudice dell’esecuzione, poi, non può prescindere dalla natura litisconsortile del giudizio di divisione, al quale devono prendere parte anche i creditori e gli aventi causa opponenti e non opponenti di ciascun comunista, i creditori iscritti e coloro che sull’immobile hanno acquisito diritti in virtù di un atto con trascrizione anteriore a quella della domanda di divisione (ovvero dell’ordinanza ex art. 600 cit.), secondo quanto stabilito dagli artt. 784 c.p.c. e 1113 cc. Da quanto detto discende che l’ordinanza in questione deve disporre l’acquisizione e il deposito nel fascicolo della divisione della nota di trascrizione dell’ordinanza e della documentazione ipocatastale o della certi- Natura litisconsortile del giudizio 40 Il giudizio di divisione ficazione notarile sostitutiva delle quote dei comproprietari non esecutati per il ventennio anteriore alla trascrizione del proprio provvedimento. Del pari, appare necessario conferire al perito, già nominato ai sensi dell’art. 569, co. 1 c.p.c., di procedere alla verifica circa l’esistenza di eventuali trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli a carico di tutti i comproprietari. Inoltre, l’ordinanza, nel prevedere la chiamata in causa di tutti i soggetti indicati nell’art. 1113 cc, assolve alla importante funzione di limitare il rischio di impugnazioni e contemporaneamente é finalizzata a consentire al creditore procedente e ai condividenti non esecutati di pervenire ad una divisione efficace anche contro ogni creditore particolare e contro ogni singolo avente causa. In tal modo, la natura complessa dell’ordinanza di cui all’art. 600 c.p.c. comporta che, non potendo la stessa essere più considerata alla stregua di un mero atto esecutivo, ma rivestendo anche la funzione di atto di citazione, deve oramai ritenersi superata la pregressa giurisprudenza che, sotto il vigore della normativa processuale prima vigente, riteneva che l’ordinanza non fosse idonea ad integrare il contraddittorio nel giudizio divisorio incidentale nei confronti del creditore ipotecario già intervenuto nel processo esecutivo immobiliare, la chiamata in giudizio del quale costituiva onere dei condividenti, con l’ulteriore conseguenza del riconoscimento del diritto del creditore ipotecario pretermesso di ottenere dai condividenti il risarcimento dei danni, ove parzialmente insoddisfatto dalla vendita dei beni attribuiti al proprio debitore. La nuova funzione e l’articolato contenuto della ordinanza ex art. 600 c.p.c. evita non solo l’inconveniente da ultimo descritto, ma anche che, considerati i principi regolatori dei limiti soggettivi di efficacia del giudicato, la sentenza di scioglimento sia inutiliter data, perché impugnabile dagli stessi creditori iscritti, da quelli opponenti nonché dagli aventi causa dai condividenti mediante lo strumento dell’opposizione di terzo ordinaria di cui all’art. 404 c.p.c., in tal modo precludendo l’instaurazione di un nuovo giudizio di divisione, a danno della procedura esecutiva. Partecipazione del creditore al giudizio Le surrogazioni legali di cui all’art. 2825 cc postulano infatti la partecipazione del creditore al processo di divisione e, per tale ragione, la costante giurisprudenza di legittimità, da tempo, predica l’obbligatorietà della chiamata in causa del creditore ipotecario con iscrizione anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, pervenendo così a ritenere che la trascrizione della domanda giudiziale non priva di efficacia la ipoteca successivamente iscritta sulla quota del condividente, se non dopo che la divisione sia stata pubblicata mediante trascrizione dell’atto conclusivo. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Dal nuovo ruolo conferito al giudice dell’esecuzione, chiamato a perseguire l’effetto divisorio in funzione della maggiore efficienza del processo di esecuzione su beni indivisi, discende ancora l’affermazione del trascrivibilità dell’ordinanza che dispone il giudizio di divisione incidentale, stante la sua sussumibilità nell’ambito dell’art. 2646 c.c. in quanto sostanzialmente parificata alla domanda giudiziale, sottolineandosi altresì che la relativa pubblicità, oltre ad esonerare i condividenti dall’onere di chiamare in giudizio i soggetti di cui all’art. 1113, co. 3 cc, risulta conforme al principio della continuità delle trascrizioni. L’ordinanza ex art. 600 c.p.c. costituisce, dunque, il momento attuativo della volontà giudiziale della parte creditrice, così come già espressa nel prodromico atto di pignoramento contro la quota indivisa, poiché, se così non fosse, vi sarebbe una palese disparità di trattamento tra due situazioni del tutto analoghe: una quella nella quale il giudizio di divisione consegua ad una procedura esecutiva immobiliare già instaurata; l’altra, quella di un giudizio di divisione instaurato autonomamente dal condividente. Ciò in quanto solo in quest’ultimo caso, senza alcuna giustificazione razionale, chi agisce in giudizio potrebbe beneficiare dei vantaggi processuali di cui all’art. 2626 e 2650 del codice civile. Il creditore procedente e i creditori intervenuti nella procedura esecutiva non dovranno perciò munirsi di una nuova procura alle liti ai fini della valida costituzione nel giudizio di divisione incidentale: ritenere diversamente, infatti, porterebbe a sminuire la ratio e la portata del descritto potere officioso del giudice dell’esecuzione. Logica conseguenza, infine, della riscrittura dell’art. 600 cit. sarebbe una diversa interpretazione della lettera adoperata dall’art. 601 c.p.c.., poiché, ricostruita nei termini sopra esposti la nuova portata della ordinanza introduttiva del giudizio di divisione endoesecutiva, dovrebbe anche ammettersi che, sciolta la comunione, nulla vieti al giudice dell’esecuzione di provvedere immediatamente in ordine alla vendita, con la stessa sentenza che definisce il giudizio di divisione oppure con separato provvedimento (anche in caso di divisione consensuale). Se, infatti, il giudizio divisionale incidentale assurge ora ad una sottofase del sub-procedimento di liquidazione, il processo esecutivo non può considerarsi propriamente sospeso, se non limitatamente alle sole operazioni di vendita, e, in assenza di una diversa istanza, si ritiene che l’ufficio esecutivo debba prescindere dall’impulso di parte. Individuato nell’ordinanza ex art. 600 c.p.c. l’atto introduttivo del giudizio divisionale endoesecutivo, si pongono le questioni attinenti alla iscrizione a ruolo del giudizio di divisione e al regime delle spese processuali. 41 42 Il giudizio di divisione Iscrizione a ruolo Invero, trattandosi di un ordinario giudizio di cognizione, che può concludersi con un provvedimento giurisdizionale destinato a formare giudicato esterno, l’ufficio giudiziario deve ottemperare alla previsione di cui all’art. 9 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, secondo il quale “é dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio nel processo civile, …”. In tal senso inducono inequivocabilmente e la lettera dell’art. 3, lett. O) del D.P.R. cit., il quale definisce processo “qualunque procedimento contenzioso o non contenzioso di natura giurisdizionale”, e la mancata menzione del giudizio di divisione tra le esenzioni di cui all’art. 10 D.P.R.. Per converso, la mancata iscrizione a ruolo nel termine decadenziale di cui all’art. 165 c.p.c. reca con sé la sanzione dell’estinzione del giudizio divisionale incidentale per inattività delle parti e con esso la cancellazione del pignoramento trascritto sulla quota indivisa. Si profila però lo stesso problema al quale si é accennato con riguardo alla trascrizione della ordinanza ex art. 600 cit. ad opera delle parti: il potere conformativo, riconosciuto al giudice dell’esecuzione, é di fatto subordinato ad una attività privata, anche a fronte della nuova ontologia dell’ordinanza, quale “momento attuativo della volontà giudiziale della parte creditrice”. Deve, poi, ammettersi che, nel caso in cui il giudice dell’esecuzione disponga che si proceda alla istruzione del giudizio divisionale ai sensi dell’art. 181, co. 1 disp. att. c.p.c., ovvero alla presenza di tutti gli interessati, il termine di dieci giorni per la iscrizione a ruolo decorre dalla data della udienza medesima, laddove, qualora occorra procedere alla notificazione dell’ordinanza, il termine in questione decorrerà dalla prima notificazione dell’ordinanza ad opera della parte che abbia deciso di farsene carico. Spese processuali Nessuna questione, invece, si pone con riferimento al regime delle spese processuali: secondo l’orientamento assolutamente maggioritario, salvo che il giudice ne riconosca il carattere superfluo ovvero accerti che le medesime conseguano a contestazioni di mero disturbo e risultino comunque prive di fondamento, le spese del giudizio di divisione incidentale al processo esecutivo non soggiacciono al generale principio di soccombenza, ma gravano sulla massa, in considerazione del fatto che gli atti ai quali esse si riferiscono sono sempre compiuti nell’interesse comune di tutti i condividenti. La norma in esame, tuttavia, oltre a prevedere un termine di 60 giorni inferiore rispetto a quelli minimi di comparizione, oggi portati a 90 giorni, lascia però irrisolto il dubbio se l’ordinanza debba o meno essere completa di tutti i requisiti che l’art. 163 c.p.c. prescrive per la validità dell’atto di citazione, ivi inclusi gli elementi necessari alla Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 43 vocatio in ius ( tra i quali spicca l’avvertimento di cui al n. 7), o se invece sia onere della parte che si fa carico di provvedere all’integrazione del contraddittorio, quello altresì di integrare il contenuto dell’ordinanza. Per tale ragione, giova segnalare, appunto, che accanto alle prassi sopra esposte formalmente rispettose del dettato normativo, presso alcuni uffici giudiziari si é preferito sostenere un’interpretazione ortopedica della norma, tale cioé che, ferma restando la competenza dello stesso G.E. a procedere alla divisione, sia onere delle parti introdurre il giudizio medesimo con un atto di citazione dalle stesse predisposto, e ciò anche al fine di vincere le resistenze manifestate da alcuni conservatori dei RR.II., i quali ritenevano non fosse possibile trascrivere l’ordinanza con la quale si disponeva la divisione, reputando invece necessario che vi fosse sempre una domanda della parte nella forma della citazione. 6. L’art. 784 c.p.c. Il litisconsorzio necessario “secundum tenorem rationis” L’art. 784 c.p.c., nel sancire il carattere necessariamente litisconsortile del giudizio di divisione, pone una regola di legittimazione sia attiva che passiva, richiedendo lo svolgimento del processo nei confronti di tutti i contitolari della comunione ordinaria ed ereditaria e, ove ve ne siano, dei creditori c.d. opponenti. Regola di legittimazione attiva e passiva Iniziando dall’individuazione dei litisconsorti necessari, é indubbio che quest’ultima debba avvenire muovendo da una duplice prospettiva, e cioé considerando sia la natura e le caratteristiche della situazione sostanziale oggetto del giudizio, sia il momento in cui la domanda di divisione é stata proposta. In altri termini, il criterio sostanzialistico, - indice tipico in forza del quale va vagliata la necessità del litisconsorzio ricorrendo una situazione soggettiva in contitolarità-, deve coniugarsi con il criterio cronologico, nel senso che, da un lato, la qualità di litisconsorte deve essere determinata in ragione delle masse da dividere, potendo i beni di una comunione provenire da titoli diversi, costituenti, essi stessi, distinte comunioni, da considerare come entità patrimoniali a sé stanti (➲ cfr., Cassazione civile, sez. II, 30/03/1985, n. 2231); dall’altro, il giudizio di divisione ereditaria deve svolgersi necessariamente nei confronti di tutti coloro che partecipano alla comunione al momento della proposizione della domanda, non ricorrendo la necessità di integrare Litisconsorti necessari 44 Il giudizio di divisione il contraddittorio nei confronti dell’acquirente di uno dei beni controversi in pendenza di giudizio. Pertanto, non operando il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso alcun effetto sul rapporto processuale (art. 111 c.p.c.), l’acquirente di un bene ereditario che si sia costituito in giudizio a seguito di chiamata iussu iudicis, sull’erroneo presupposto della necessaria estendibilità del litisconsorzio nei suoi confronti, riveste una posizione processuale analoga a quella dell’interveniente volontario, al quale non é dato opporre alcunché circa la validità e l’efficacia delle prove ritualmente ammesse ed espletate prima del suo intervento (➲ cfr., Cassazione civile, sez. II, 26/04/1993, n. 4891). Orbene, se il criterio cronologico non comporta l’insorgere di problematiche applicative particolarmente rilevanti, non può dirsi altrettanto con riguardo al criterio sostanziale, non essendo sempre agevole individuare, a fronte dell’unicità della situazione sostanziale dedotta in giudizio, i soggetti titolari della medesima. In merito, appare opportuno esaminare più compiutamente alcune ipotesi che hanno destato non poche incertezze sia in dottrina che in giurisprudenza circa l’individuazione delle parti necessarie del giudizio divisorio, atteso che, nonostante l’unicità della situazione soggettiva dedotta in lite, non si può prescindere, ai fini dell’attribuzione dello status di litisconsorte necessario, da una compiuta considerazione delle pretese fatte valere dalle parti nonché dai loro reciproci rapporti come delineatisi sul piano sostanziale. 6.1. Una peculiare ipotesi di litisconsorzio necessario: la cessione della quota Caso emblematico degli accennati contrasti interpretativi può rinvenirsi nei giudizi divisori avente ad oggetto una comunione ereditaria, allorquando uno degli eredi abbia, anteriormente all’instaurazione del procedimento, alienato la propria quota. L’orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, ribaltando la precedente opinione che individuava nel cedente il soggetto abilitato rispettivamente a proporre ed a resistere alla domanda di divisione, ha attribuito la qualità di parte necessaria del giudizio divisorio al cessionario anziché al cedente, evidenziando come la disposizione dell’art. 784 c.p.c., secondo cui la domanda di divisione ereditaria deve essere proposta nei confronti di tutti gli eredi, vada coordinata all’altra previsione, contenuta nello stesso articolo, secondo cui, nell’ipotesi di comunione ordinaria, la domanda deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini. Da ciò discende che l’elemento caratterizzante ai fini del liti- Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 45 sconsorzio é la partecipazione alla comunione (con titolarità dei diritti comuni) e non la qualità di erede in sé considerata. Pertanto, nell’ipotesi di cessione di quota ereditaria, litisconsorti necessari nel giudizio di divisione sono i cessionari e non gli eredi cedenti, i quali, essendo usciti dalla comunione ereditaria e non più partecipandovi, sono privi di legittimazione in ordine alla divisione (cfr., Cassazione civile, sez. II, 11/05/1987, n. 4322). L’ipotesi esaminata, con le descritte conseguenze in tema di individuazione dei litisconsorti, ricorre, però, soltanto quando la cessione investa la quota pro indiviso dell’intera comunione ereditaria, distinguendosi, per tale ragione, dalla diversa fattispecie in cui ad essere ceduta sia la quota del comunista su di un singolo bene facente parte della massa. In tal caso, alla cessione deve riconoscersi un’efficacia meramente obbligatoria, essendo i suoi effetti subordinati alla circostanza che il bene preso in considerazione venga poi effettivamente assegnato al cedente all’esito della divisione. Ne discende che litisconsorte necessario resta il cedente, a meno che la comunione si concentri su di un unico bene, in quanto la cessione dei diritti su quel bene equivale a cessione dell’intera quota. Ed infatti, se il bene parzialmente compravenduto costituisce l’intera massa ereditaria, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede - venditore, essendo quest’ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà e potendo di questa liberamente disporre. Di conseguenza, il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune ed assume anche la posizione di litisconsorte necessario nel successivo giudizio di divisione (➲ cfr., Cassazione civile, sez. III, 01/07/2002, n. 9543). Laddove, invece, la cessione di quota intervenga in corso di causa, é destinato ad operare il disposto dell’art. 111 c.p.c. sicché il processo prosegue nei confronti dell’alienante. Tuttavia, ove l’acquirente intervenga nel giudizio, é stata esclusa la possibilità di estromettere il cedente poiché gli interessi dell’alienante e dell’acquirente possono venire a confliggere, potendo il secondo, in quanto portatore di un proprio diritto, autonomo anche in conflitto con la posizione del suo dante causa, proporre domande diverse da quelle avanzate da quest’ultimo sul modo e sulle condizioni della divisione, chiedendo, ove possibile, la realizzazione della propria quota in natura. A tal proposito si é però precisato che la trascrizione della domanda di divisione mira unicamente ad assicurare la continuità delle trascrizioni, con la conseguenza che, anche se effettuata, nulla Cessione di quota su bene singolo Cessione di quota in corso di causa 46 Il giudizio di divisione impedisce ai cessionari della quota, destinati a subire gli effetti della divisione, di impugnarla ove ritenuta lesiva dei propri diritti (Cassazione civile 25 gennaio 2000 n. 821). 6.2. Un’ipotesi problematica di litisconsorzio necessario: l’usufruttuario Proseguendo nella disamina delle ipotesi problematiche di litisconsorzio necessario, se può ritenersi acclarato che il legittimario, prima del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, non assume la posizione di parte necessaria del giudizio divisorio, non può dirsi altrettanto con riguardo alla posizione dell’usufruttuario della cosa comune. Ove il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario, non succedendo “in universum ius” del defunto, non acquista la qualità di erede; nei suoi confronti, pertanto, non sussiste litisconsorzio necessario in sede di giudizio di divisione tra coeredi, pur potendo lo stesso essere chiamato in giudizio ai sensi dell’art. 106 c.p.c., al fine di rendere opponibile nei suoi confronti gli effetti della sentenza di divisione (➲ cfr., Cassazione civile, sez. II, 26/01/2010, n. 1557). Attribuzione dell’usufrutto generale Tuttavia, dalla disamina della dottrina e della giurisprudenza specificamente occupatesi della tematica in oggetto, emerge che l’opinione sopra riferita non possa dirsi univoca, poiché l’attribuzione per testamento dell’usufrutto generale su tutti i beni, comprendendo l’”universum ius” ai sensi dell’art. 588 c.c. e, dunque, conferendo al designato un titolo potenzialmente idoneo ad estendersi ad ogni bene, configura un’istituzione di erede. In altri termini, l’attribuzione dell’usufrutto generale, secondo una parte consistente della giurisprudenza e della dottrina, non costituisce assegnazione di legato, ma istituzione di erede. Invero a norma dell’art. 588 c.c. sono attributive della qualità di erede le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, che comprendono l’universalità dei beni o una parte di essi considerati come quota dell’asse ereditario, mentre ogni altra disposizione é a titolo particolare ed attribuisce la qualità di legatario. La figura dell’erede é contraddistinta dalla potenzialità del suo titolo a raccogliere tutti i beni del defunto (o una quota) e quindi a subentrare in tutti i rapporti giuridici trasmissibili. Orbene l’usufruttuario generale ha un titolo di uguale potenzialità di estendersi ad ogni bene. L’attribuzione dell’usufrutto su tutti i beni comprende l’universalità dei beni (l’universum ius, ai sensi dell’art. 588 c.c.). In effetti, in base all’art. 1010 c.c., l’usufruttuario di un’eredità Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 47 risponde dei debiti, essendo obbligato a pagare le annualità dei debiti e dei legati da cui l’eredità stessa sia gravata. Se fosse legatario non sarebbe tenuto a tanto, ai sensi degli artt. 756 e 668 c.c.. (cfr., Cassazione civile, sez. II, 12/09/2002, n. 13310, in Giur. It. 2003, 644, in Notariato 2003, 580, con nota di Capilli, “Usufrutto generale e qualità di erede”). In tale prospettiva, ove l’usufruttuario acquisti la qualità di erede, non può negarsi la sua necessaria partecipazione al giudizio divisorio. Va poi considerata l’ipotesi in cui sul medesimo bene venga a delinearsi una situazione in cui concorrano il godimento dell’usufruttuario pro quota e del proprietario, instaurandosi così una comunione di godimento o comunione anomala. Anche tale comunione, come tutte le comunioni é suscettibile di scioglimento, con la peculiarità, però che oggetto della divisione non é l’intera proprietà del bene ma il solo diritto di godimento, dovendosi, ove possibile, pervenire all’individuazione di una porzione materiale del bene su cui concentrare i distinti diritti di godimento (Cassazione civile 16 aprile 1981 n. 2309, in Vita not. 1982, 248). Qualora tale ipotesi non sia percorribile la prevalente giurisprudenza ritiene che si dovrà procedere alla vendita all’incanto del solo diritto di usufrutto, avente come termine la vita dell’usufruttuario, ed il cui valore andrà determinato sulla scorta del presumibile periodo di sopravvivenza del medesimo usufruttuario. Per incidens, merita menzione, per concludere il discorso circa la posizione dell’usufruttuario rispetto alla divisione del bene in comunione, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di divisione negoziale, in relazione alla quale fra l’altro non trova applicazione la norma dettata dall’art. 784 c.p.c. - per la divisione giudiziale - sul litisconsorzio processuale, la partecipazione (di natura sostanziale) al negozio da parte del contitolare della comunione ereditaria, é necessaria soltanto se lo scioglimento concerna la contitolarità del medesimo diritto (comunione omogenea) e non invece allorché sullo stesso bene concorrano diritti reali di tipo differente come ad esempio usufrutto e proprietà (comunione impropria). Ne consegue che non é affetto da nullità l’accordo stipulato dai comproprietari per lo scioglimento della relativa comunione nonostante che nella divisione negoziale non sia intervenuto il coniuge superstite titolare del diritto di usufrutto e partecipe - quale legatario “ex lege” della comunione ereditaria dal momento dell’apertura della successione (cfr., Cassazione civile, sez. II, 24/11/2003, n. 17881). Comunione di godimento o anomala 48 Il giudizio di divisione 6.3. La successione di un gruppo di coeredi all’originario condividente Peculiare é la fattispecie in cui un gruppo di coeredi succeda unitariamente all’originario condividente. In tal caso, sebbene il diritto di agire spetta a ciascuno di essi, la formazione delle quote deve avvenire per stirpi e non per capi, intendendosi la stirpe come unico condividente, e quindi occorre procedere alla formazione di tante porzioni, una volta eseguita la stima, quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti, mentre non é prevista l’ulteriore formazione di altrettante sub-porzioni all’interno di ciascuna stirpe, sempre che non si formi al riguardo un accordo fra tutti i partecipanti. Ne consegue che la domanda di divisione all’interno della stirpe deve ritenersi del tutto autonoma, la cui proposizione non possono essere tenuti a subire gli altri condividenti, salvo che non prestino il loro consenso (➲ cfr., Cassazione civile, sez. II, 29/10/1992, n. 11762). Consenso dei condividenti La richiesta del consenso espresso da parte di tutti i condividenti si impone anche in altre ipotesi. In primo luogo, tale consenso si rende necessario allorquando ricorra la cosiddetta divisione a stralcio, riguardante cioé solo alcuni dei beni facenti parte del complesso ereditario o in comunione, essendo la regola generale quella secondo cui la divisione, specie quella ereditaria, deve concernere tutti i beni in comunione. La necessità del consenso espresso dei condividenti discende dall’art.762 c.c., in quanto quest’ultimo, stabilendo che l’omissione di uno o più beni dell’eredità non é causa di nullità della convenuta divisione, ma determina esclusivamente la necessità di procedere ad un supplemento della divisione stessa, sancisce, implicitamente, la indiscutibile validità ed efficacia dell’atto di divisione parziale, subordinandolo però al consenso di tutti i condividenti nonché escludendo ogni possibilità di considerarlo come struttura negoziale non dotata di propria autonomia, tale, cioé, da rendere comunque necessario attendere lo scioglimento della comunione sui residui beni per poter proporre la eventuale azione di rescissione per lesione oltre il quarto, azione che sarà, pertanto, legittimamente esperibile anche in relazione alla sola divisione parziale (cfr., Cassazione civile, sez. II, 03/09/1997, n. 8448). Il consenso espresso dei condividenti s’impone anche allorquando i condividenti, in presenza di una pluralità di masse provenienti da titoli diversi, intendano derogare alla regola dell’autonomia delle varie comunioni, procedendo ad una divisione unitaria. Secondo l’opinione preferibile, poi, l’accordo in oggetto non potrebbe Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 49 essere desunto da facta concludentia, ma richiederebbe una manifestazione di volontà espressa e rivestita della forma scritta ad substantiam (Cassazione civile 21 maggio 1979 n. 2937, cit.). Parimenti, la necessità del consenso ricorre nel caso i cui le parti dell’instaurato giudizio di divisione decidano di estendere l’oggetto di tale giudizio allo scioglimento di un diverso asse ereditario scaturente dall’apertura di successione di un diverso soggetto. Con riferimento alle ipotesi ora esaminate, sul piano processuale si pongono due ordini di questioni, e cioé se il consenso de quo debba essere dato necessariamente in forma esplicita e quali siano le conseguenze della sua mancata prestazione. In ordine alla prima questione, alla tesi della necessaria adesione esplicita degli altri condividenti [cfr., Acone, “Note sul giudizio di divisione per stralcio di quote”, in Riv. dir. proc. 1961, 133 e ss.], si contrappone la tesi secondo cui l’adesione può manifestarsi anche sotto forma di mancata opposizione, come ad esempio sembra ritenere la giurisprudenza di legittimità intervenuta sul profilo in esame, avendo quest’ultima precisato che il principio dell’universalità della divisione ereditaria non é un principio assoluto o inderogabile ed é possibile una divisione parziale, sia quando intervenga un accordo tra le parti, sia quando, essendo stata richiesta tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo a loro volta la divisione dell’inteso asse. (cfr., Cassazione civile, sez. II, 29/11/1994, n. 10220, in Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 11, ed, in dottrina, Schiavone, “Ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di stralcio di quota e giudizio divisorio, in Giur. it. 1960, I, 1, 715). Affinché tale consenso si formi é comunque necessario che l’estensione dell’oggetto del giudizio divisionale, avvenuto ad esempio a seguito della proposizione di una domanda riconvenzionale, sia comunicata anche alle parti non costituite, dovendosi escludere la tesi dell’adesione presunta al predisposto progetto di divisione da parte dei contumaci, in mancanza di esplicite contestazioni, ove l’estensione de qua non sia stata resa nota anche ai non costituiti (cfr., tra le altre Cass. Sez. II n. 6638 del 31.7.87). Ne consegue che la domanda di inserzione nella massa da dividere di cespiti ulteriori va notificata al contumace ai sensi dell’art. 292 cod. proc. civ., senza di che il G.I. non può dichiarare esecutivo il progetto divisionale con l’ordinanza non impugnabile prevista dall’art. 789, comma III, cod. proc. civ.. Diversa da tale situazione é quella che invece si verifica allorché l’omissione di determinati beni non risulti voluta, poiché in tal caso si imporrà una divisione supplementare. Forma esplicita del consenso 50 Il giudizio di divisione Conseguenze della mancata prestazione del consenso Quanto alla seconda problematica evidenziata, ovverosia le conseguenze discendenti dalla violazione della regola in questione, la giurisprudenza della Suprema Corte ha sottolineato la natura abnorme dell’eventuale ordinanza che approvi un progetto di divisione parziale, assoggettandola al rimedio del ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. (cfr., Cassazione civile 12 febbraio 1980 n. 1012, in Giust. civ. 1980, I, 1463; ➲ Cassazione civile 14 giugno 1990 n. 5824, in Arch. civ. 1990, 1139). Merita ancora menzione l’ipotesi del giudizio di divisione avente ad oggetto un bene in condominio. Ed infatti, l’art. 784 c.p.c. é norma speciale rispetto all’art. 1131, comma 2, c.c., con la conseguenza che, malgrado quest’ultima disposizione conferisca all’amministratore di condominio la legittimazione passiva per qualunque azione, se un condomino chieda lo scioglimento della comunione su un bene comune e la conseguente modifica dell’uso di esso, é necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, onde tutelare più intensamente le loro ragioni nella trasformazione delle rispettive facoltà di godimento (cfr., Cassazione civile, sez. II, 08/05/1998, n. 4655). 6.4. Il litisconsorzio nel giudizio di scioglimento della comunione coniugale Deroga al litisconsorzio necessario Infine, allorquando il giudizio di divisione riguardi una comunione coniugale, la precisa e categorica formulazione dell’art. 784 c.p.c., che sancisce la qualità di litisconsorti necessari di tutti i partecipanti alla comunione, nessuno escluso -, non consente di ritenere che essa possa aver trovato deroga nell’art. 180 cod. civ. (come sostituito dalla legge 19.5.1975 n. 151). Quest’ultima norma, invero, nello stabilire al primo comma che l’amministrazione dei beni della comunione legale e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi, significa soltanto che ciascuno, da solo, é legittimato a compiere atti di normale gestione patrimoniale e a promuovere o subire correlativamente azioni giudiziarie, ma non può certamente voler dire, in contrasto con l’espressa previsione dell’art. 784 c. p. c., che uno di essi possa essere validamente costretto, in forza di una pretesa rappresentanza ex lege in capo all’altro, a soggiacere alle statuizioni, quali che esse siano, di una sentenza di divisione pronunciata, poco importa se per iniziativa dell’altro coniuge o di un terzo partecipante alla più ampia comunione sul bene, in un giudizio al quale egli sia rimasto del tutto estraneo. Le contrarie affermazioni, basate su una asserita mancanza di pregiudizio per i diritti del coniuge pretermesso, stante l’impossibilità per Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 51 il medesimo di opporsi allo scioglimento della comunione o di impedire che il bene fosse dichiarato indivisibile o venduto all’incanto, sono chiaramente erronee, poiché il punto qualificante della vicenda é l’intrinseca essenza del giudizio divisionale, indipendentemente dall’esito di esso o dalle questioni che vi possano insorgere. Tale giudizio, lo si riguardi dalla parte di chi lo promuove o dalla parte di chi é convenuto, ha la funzione e lo scopo di sostituire una proprietà individuale ad una indivisa e pro quota, il che implica comunque un mutamento di quello che era l’oggetto originario del diritto e addirittura la possibilità che questo sia definitivamente sottratto nella sua materialità ai condividenti, come quando il bene originariamente in comunione, a causa della sua non comoda divisibilità, debba essere assegnato solo a taluno, con addebito dell’eccedenza, o debba essere venduto all’incanto, con distribuzione del ricavato. Tutto ciò significa, più in generale, che, qualunque natura, costitutiva o meramente dichiarativa, le si voglia attribuire, la divisione, tanto se negoziale, quanto se giudiziale, incide, direttamente o indirettamente, sul patrimonio e sulla sua consistenza, almeno qualitativa e, pertanto, richiedendo nei condividenti la piena capacità d’agire, deve essere annoverata tra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Tale, infatti, la considera espressamente il legislatore allorquando, nel disciplinare la materia della potestà dei genitori e della tutela dei minori e degli interdetti, vieta, tra l’altro, ai primi di “procedere allo scioglimento di comunioni... se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare” (art. 320, comma 3 cod. civ.) e al tutore di “procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi” senza l’autorizzazione del tribunale (artt. 375 n. 3 e 424 cod. civ.). Norma applicabile, dunque, é quella di cui al secondo comma dell’art. 180 cod. civ. secondo la quale “il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi”, la qual cosa, escludendo in radice che un coniuge possa rappresentare ex lege l’altro nel giudizio divisionale dal primo intentato contro di esso promosso da un terzo, fa si che entrambi, ai sensi del ripetuto art. 784 cod. civ, devono essere necessariamente evocati in tale giudizio, con possibilità di interloquire nelle varie fasi di esso, ad esempio chiedendo l’attribuzione pro indiviso dell’immobile ove non comodamente divisibile. Né può condividersi la tesi che la mancata evocazione di uno dei coniugi costituisse un semplice difetto di legittimazione processuale della comunione legale che andava eccepito o rilevato d’ufficio nel giudizio di divisione e il cui esame potrebbe essere ormai precluso ove sulla questione si fosse formato il giudicato interno, poiché é evidente che Divieto di scioglimento della comunione 52 Il giudizio di divisione quel difetto, riferendosi ad un litisconsorte necessario, si traduceva in mancanza di integrità del contraddittorio, con conseguente possibilità di esperire anche l’opposizione di terzo prevista dall’art. 404 cod. proc. civ., avendo quest’ultima proprio lo scopo di neutralizzare gli effetti pregiudizievoli della sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone. Giudizio di esecuzione in forma specifica Parimenti la necessità del litisconsorzio nei confronti di entrambi i coniugi s’impone anche nei giudizio aventi ad oggetto l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. di un “compromesso divisionale” concluso da uno soltanto dei coniugi su un bene rientrante nella comunione. In tal caso, non può sostenersi che il coniuge pretermesso, qualora non abbia impugnato il suddetto “compromesso” entro il termine annuale previsto dall’art. 184 c.c., comma 2, ai fini della particolare azione di annullamento accordata al coniuge non stipulante e dissenziente, essendosi consolidata l’inoppugnabilità dell’ormai “valido ed efficace” negozio divisorio, non ha più titolo per partecipare al giudizio di divisione. L’argomentazione é palesemente infondata, considerato che proprio la succitata inoppugnabilità del negozio, lungi dall’escluderne la legittimazione passiva e l’interesse del coniuge non stipulante a partecipare al giudizio, vertente sull’accertamento e sulla esecuzione del contenuto di quella convenzione, ulteriormente rafforzava la necessità di partecipazione del medesimo, in quanto contitolare di una quota dei beni oggetto delle pattuizioni e tenuto, al pari dell’altro coniuge, all’osservanza delle stesse. La natura del giudizio, invero, é chiaramente rivolta all’accertamento dichiarativo della effettiva portata dei patti relativi alla formazione delle quote e dei connessi diritti ed obblighi delle parti, con le conseguenti statuizioni anche di condanna, coinvolgendo così, inevitabilmente, situazioni soggettive di entrambi i coniugi contitolari di una delle quote della comunione, e quindi comporta l’inderogabile necessità, ex art. 102 c.p.c., della partecipazione di entrambi processo, fin dall’inizio dello stesso. A riprova di ciò, e cioé della sussistenza di litisconsorzio necessario, nei confronti del coniuge in regime di comunione legale, in tutti i giudizi comunque coinvolgenti i beni compresi in tale comunione, la giurisprudenza di legittimità può dirsi fermamente costante (v., tra le altre, ➲ Cass. n. 648/00, con riferimento ai giudizi di divisione, Cass. n. 5191/02, relativamente ai giudizi per l’esecuzione in forma specifica di contratti preliminari). Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 53 7. Il litisconsorzio propter opportunitatem Quanto fin qui detto presenta un comune denominatore: l’identificazione della ratio, che impone il litisconsorzio necessario, nei giudizi divisori nel particolare effetto dell’atto divisionale, consistente nel trasformare i diritti di comproprietà dei condomini in altrettanti diritti di proprietà solitaria su una parte determinata della cosa comune o su singoli beni della comunione. É la spiegazione tradizionale e più frequente dell’istituto, la cui indubbia validità, riconosciuta anche da chi nega l’esistenza del litisconsorzio necessario come categoria generale, é evidentemente circoscritta ai soli condomini [cfr., Giuseppe Tedesco, “Sul litisconsorzio necessario nei giudizi divisori riguardo ai creditori opponenti” in. Giust. civ. 2002, 12, 3258 nonché Pavanini, “Divisione giudiziale”, in Enc. dir., XIII, Milano 1964, 440]. L’art. 784 c.p.c., però, impone di proporre la domanda di divisione anche nei confronti di un’altra categoria di soggetti, che certamente condomini non sono: quella dei creditori opponenti, menzionati dalla norma sotto l’unica rubrica litisconsorzio necessario. A questi soggetti, in virtù del disposto dell’art. 1113 c.c., vanno poi aggiunti anche gli aventi causa, - vale a dire gli acquirenti di singoli beni già facenti parte della massa e che ne siano divenuti proprietari solitari -, i quali devono essere chiamati ad intervenire nel giudizio di divisione, sempreché abbiano fatto opposizione alla divisione e si voglia che la relativa decisione faccia stato anche nei loro confronti. Pertanto, ove tali acquirenti non siano stati chiamati a partecipare al giudizio divisionale, la relativa sentenza non é “inutiliter data”, essendo perfettamente eseguibile, ma é soltanto non opponibile ai detti acquirenti. L’identificazione dei creditori opponenti é operata, dunque, mediante il richiamo all’art. 1113 c.c., in forza del quale, appunto, i creditori e gli aventi causa dei singoli partecipanti possono intervenire a proprie spese nella divisione, ma se essi vogliono avere anche il potere di impugnare la divisione già eseguita hanno l’onere di attivarsi mediante la notifica di un atto di opposizione. Dal comma 2 del citato articolo si ricava che, se si tratti di immobili, l’opposizione, per avere gli effetti sopra indicati, deve essere trascritta prima dell’atto di scioglimento della comunione o della domanda di divisione giudiziale. Il comma 3 contempla infine i creditori iscritti e coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile da dividere, in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale. Intervento dei creditori e degli aventi causa 54 Il giudizio di divisione Litisconsorzio propter opportunitatem Questi soggetti vanno chiamati obbligatoriamente ad intervenire, se si vuole che la divisione abbia effetto nei loro confronti, costituendo requisito d’efficacia della divisione non l’intervento effettivo, ma solo la chiamata dei terzi opponenti o iscritti o trascriventi ad intervenire. Si tratta dunque di un evidente ipotesi di litisconsorzio propter opportunitatem, vale a dire di litisconsorzio che la legge prevede, appunto, per ragioni di opportunità, a prescindere da indagini su natura e struttura dei rapporti sostanziali dedotti in giudizio, in contrapposizione al litisconsorzio (secundum tenorem rationis) giustificato dal fatto che gli effetti della futura sentenza sono tali da potere essere accertati o costituiti solo nei confronti di tutte le parti del rapporto sostanziale. Tale conclusione, però, é stata avversata da una parte della dottrina, [cfr., Branca, “Della comunione, in Commentario del codice civile” a cura di Scialoja e Branca, Libro terzo della proprietà (Art. 1100-1139), Bologna-Roma 1982, 307]. Una prima opinione, svalutando il dato normativo, ritiene di attribuire ai creditori ed agli aventi causa la qualifica di meri interventori, al più necessari, la cui partecipazione al giudizio sarebbe imposta unicamente dalla necessità di rendere loro opponibile l’esito del giudizio di divisione [cfr., Mora, Il contratto di divisione, Milano 1995, 120]. Altra opinione é invece quella che ritiene di dover compiere una differenziazione tra creditori opponenti (i quali cioé prima dell’inizio del giudizio di divisione, abbiano provveduto a notificare un atto di opposizione ed a trascriverlo ), da un lato, e creditori non opponenti ed acquirenti di diritti sull’immobile trascritti prima della divisione, dall’altro, attribuendo la qualifica di litisconsorti necessari solo ai primi, dovendosi reputare i secondi degli interventori necessari ex art. 107 c.p.c. [cfr., Satta, “Commentario al codice di procedura civile”, IV, Milano, 1959, 97]. É invece pacifico che i creditori non opponenti e non iscritti possono al più spiegare intervento volontario nel giudizio di divisione, accettando il rapporto processuale in statu et terminis, soggiacendo in sede di gravame ai limiti posti in linea generale dall’art. 344 c.p.c. Per contro la necessità del litisconsorzio, sia pure propter opportunitatem, può desumersi da due ordini di considerazioni. In primo luogo, i creditori e gli aventi causa devono intervenire perché la divisione é in grado di pregiudicare i loro interessi. Il creditore del singolo comproprietario, persistendo la comunione, può annoverare fra i beni del debitore il valore della quota indivisa. Egli, perciò, ha interesse a verificare che le operazioni divisionali si svolgano correttamente, in specie per non correre il rischio che al proprio debitore, anche senza frode, siano attribuiti beni di valore inferiore. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 55 Per quanto riguarda gli aventi causa é da precisare che, sebbene sia avente causa in primo luogo chi ha acquistato dal condomino l’intera quota di comproprietà sulla cosa o l’intera quota ereditaria astratta, non é a tale ipotesi a cui si riferisce l’art. 1113 c.c.. Chi ha acquistato l’intera quota di comproprietà subentra nella comunione al posto del comproprietario originario, ed é in tale veste di condomino, e non già come avente causa, che deve essere coinvolto nella divisione. In altre parole, avendo la cessione efficacia traslativa immediata, la situazione dell’acquirente, dal punto di vista della legittimazione a promuovere e a partecipare al giudizio di divisione, in nulla differisce da quella degli altri condomini. Tale effetto si verifica anche se il comunista ha trasferito solo una frazione astratta del suo diritto sulla cosa: l’acquirente é un nuovo comunista che si aggiunge al primo e l’uno e l’altro devono essere chiamati alla divisione in virtù del principio che impone il litisconsorzio. L’avente causa al quale la legge riconosce il diritto di intervenire é chi ha acquistato solo il diritto che il partecipante ha su una delle più cose comuni o su una porzione materiale dell’unica cosa comune. Posto che in tal caso l’atto é destinato a divenire efficace o inefficace a seguito della divisione, secondo che l’oggetto del contratto rientri o non rientri nell’assegnazione fatta al compartecipe alienante, medio tempore l’avente causa non entra a far parte della comunione sul singolo bene acquistato e non é pertanto legittimato a chiederne la divisione. Diversamente dal creditore, il cui intervento si giustifica per salvaguardare il valore della quota, egli interviene perché non sia frustrata senza ragione la possibilità che al condividente dante causa sia attribuito il bene sul quale vanta il suo diritto. In secondo luogo, la tesi della natura di litisconsorti di tutti i creditori e gli aventi causa che abbiano trascritto anteriormente può sostenersi dando rilievo al petitum sostanziale, poiché ragioni di pratica utilità consistenti nell’evitare il rischio di rimettere in discussione gli esiti del giudizio divisorio – impongono di ritenere parti necessarie i soggetti di cui sopra [cfr. Costantino, “Contributo allo studio del litisconsorzio necessario”, Napoli 1979, 454 e ss.]. Proseguendo nella delimitazione della categoria dei litisconsorti propter opportunitatem, assume pregnante rilevanza ai fini della loro individuazione l’esame degli atti di disposizione posti in essere dal singolo compartecipe prima dell’instaurazione del giudizio divisionale, in particolare gli atti di costituzione di diritti reali limitati. I diritti reali - di godimento o di garanzia - possono essere costituiti dal compartecipe in due modi: o sulla quota astratta oppure su un bene determinato o su una parte materiale dell’unica cosa oggetto di comunione. Atti di disposizione prima del giudizio 56 Il giudizio di divisione Ipoteca Esempio tangibile di quanto detto si rinviene nell’art. art. 2825 c.c. con specifico riferimento all’ipoteca. Quest’ultima può, innanzitutto, avere ad oggetto la quota astratta di tutto il bene ipotecabile. In tal caso, l’ipoteca, una volta realizzata la divisione, si risolve retroattivamente, vale a dire con il grado determinato dalla data di iscrizione, su tutte le cose ipotecabili comprese nel lotto del compartecipe, come se avesse riguardato quei beni fin dall’origine, senza necessità di una specifica iscrizione [cfr., Gorla, “Delle ipoteche, nel Commentario del codice civile, cit., Libro sesto della tutela dei diritti (Art. 27842899)”, Bologna-Roma 1955, 496]. Il descritto effetto si estende sull’intero oggetto ipotecabile anche se il condividente abbia ricevuto, a seguito della divisione, beni in misura superiore al valore della sua quota. In tal caso, però, l’ipoteca sulla quota astratta non pregiudica l’ipoteca legale spettante agli altri condividenti a garanzia dei conguagli loro dovuti. Nel caso inverso, ossia quando al condividente debitore sono assegnati oggetti ipotecabili in misura inferiore al valore della quota, con attribuzione di un conguaglio, ovvero nel caso in cui l’intero diritto di comunione sia soddisfatto con una somma di denaro senza attribuzione di beni ipotecabili, l’ipoteca si risolve sul denaro, secondo quanto stabiliscono i commi 4 e 5 dell’art. 2825 c.c. L’ipoteca cioé si trasforma in pegno sul credito delle somme di denaro o sui conguagli in denaro (mai colpisce beni non ipotecabili), con prelazione determinata dalla data di iscrizione e nei limiti di valore della quota astratta ipotecata. Incidentalmente, si consideri che, per quanto riguarda il conflitto tra l’ipoteca pro quota iscritta nei confronti di uno soltanto dei condividenti e l’ipoteca iscritta contro tutti i condomini, vale il principio prior in tempore: se tale ipoteca é stata iscritta prima dell’ipoteca sulla quota astratta, essa prevale, in quanto gravando sulle quote di tutti, gravava anche sulla quota astratta di quel condomino; se, invece, l’ipoteca é stata iscritta dopo, prevale l’ipoteca sulla quota astratta di un condomino. Come anticipato, l’ipoteca contro il solo condomino può, però, essere costituita, anziché sulla quota astratta, su uno o più beni determinati dei vari ipotecabili o su una porzione determinata dell’unico bene ipotecabile, con la prospettiva che il bene o la sua parte vengano assegnati nella divisione al debitore. In questi casi può avvenire: a) che in sede di divisione venga assegnato al condividente debitore proprio il bene o proprio la porzione ipotecata, e allora il principio retroattivo della divisione opera senza riserve, nel senso che l’ipoteca si Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 57 considera ipoteca solitaria sul bene o la porzione dell’assegnatario fin dall’origine; b) che nella divisione al debitore sia attribuito un bene diverso, ma pur sempre ipotecabile, ed in questo caso l’ipoteca si trasporta su tale bene, con il grado derivante dall’originaria iscrizione, ma nei limiti di valore del bene in precedenza ipotecato; c) l’ultima ipotesi é quella, già vista a proposito dell’ipoteca sulla quota astratta, in cui al condividente debitore sia assegnato in tutto o in parte un conguaglio o una somma di denaro: l’ipoteca si risolve allora sul denaro secondo le modalità già viste a proposito dell’ipoteca sulla quota astratta [cfr., Giuseppe Tedesco, “Sul litisconsorzio necessario nei giudizi divisori riguardo ai creditori opponenti”, in Giust. civ. 2002, 12, 3258]. L’esposta disciplina consente, in definitiva, di comprendere come la qualità di litisconsorti necessari debba essere riconosciuta anche ai creditori ipotecari, sebbene, secondo la prevalente giurisprudenza di merito, debba escludersi che il creditore ipotecario possa ottenere il soddisfacimento del suo credito nell’ambito del medesimo giudizio di divisione. Invero, il creditore ipotecario, al pari del creditore del compartecipe, interviene nel giudizio divisionale per una finalità del tutto diversa rispetto a quella di conseguire il soddisfacimento del suo credito, identificabile nella esigenza di verificare il quomodo e gli effetti, dal momento che la divisione del bene potrebbe condurre ad un pregiudizio per il patrimonio del compartecipe, e quindi delle sue ragioni creditorie. In altre parole, non spetta al creditore del condividente alcuna facoltà di impedire, sospendere o interrompere il giudizio di divisione attivato dal proprio debitore, atteso che il diritto alla generica garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore cede (non solo rispetto agli atti di alienazione, ma anche) nei confronti del diritto alla divisione spettante al debitore. Al creditore é riconosciuto, per converso, il diritto di partecipare volontariamente al detto giudizio onde verificarne il quomodo e gli effetti, comportando il relativo procedimento peculiarità risolventesi in una serie di valutazioni di fatto potenzialmente idonee a pregiudicare il patrimonio del condividente e, di riflesso, il suo creditore (cfr., Cassazione civile, sez. II, 21/05/2004, n. 9765). Creditori ipotecari Al pari del creditore ipotecario, la condizione di litisconsorte necessario va riconosciuta anche a chi abbia acquistato da uno dei condividenti un diritto di usufrutto pro quota. Anche in tal caso, al pari di quanto visto con riferimento all’ipoteca, Usufrutto pro quota 58 Il giudizio di divisione l’usufrutto investe o beni o la porzione assegnati al condividente nella divisione. A principi in parte diversi si ispira, invece, la soluzione per il caso di usufrutto costituito su bene determinato. Se questo bene é attribuito nella divisione al condividente che l’aveva costituito, l’usufrutto grava su di esso, come avviene per l’ipoteca. Se la cosa va ad un compartecipe diverso, la surrogazione di cosa a cosa, consentita per l’ipoteca, non opera; é ammessa invece l’estensibilità all’usufrutto dei commi 4 e 5 dell’art. 2825 c.c.. Ipotesi di procedura esecutiva Esecuzione su beni indivisi Atti su uno o più beni comuni Il litisconsorzio propter opportunitatem opera anche nei giudizio divisionale che nasce dalla procedura esecutiva esperita nei confronti di uno dei condividenti, dovendosi anche in tal caso integrare il contraddittorio nei confronti del creditore pignorante o ipotecario del condividente diverso da quello esecutato nonché nei confronti di chi ha acquistato da quest’ultimo un usufrutto pro quota. In presenza di tale peculiare fattispecie, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, con cui sia stato sospeso il processo e sia stata disposta la divisione, non può essere valutata alla stregua di un provvedimento istruttorio emesso nel corso dell’ordinario processo cognitivo divisionale, né l’avviso di tale ordinanza può sostituire la chiamata in giudizio prevista dall’art. 1113, comma 3 c.c., la quale costituisce un onere per i comunisti, sui quali grava l’obbligo di salvaguardare il diritto d’intervento dei creditori iscritti e dei cessionari opponenti o trascriventi. E tanto deriva dalla constatazione che, nell’esecuzione su beni indivisi, il giudizio cognitivo diretto allo scioglimento della comunione, pur subordinando alla sua conclusione la procedura esecutiva, rimane da essa soggettivamente ed oggettivamente distinto e conserva la propria autonomia e disciplina, senza che, malgrado il collegamento strumentale con il giudizio esecutivo, possa essere tecnicamente considerato una continuazione ovvero una fase di quello (cfr., Cassazione civile, sez. III, 10/05/1982, n. 2889). Non ricorre, invece, l’esigenza di integrare il contraddittorio allorquando gli atti posti in essere dalla totalità dei compartecipi ha ad oggetto uno o più dei beni comuni o la totalità dell’unica cosa oggetto di comunione. Tali atti non sono pregiudicati dalla divisione ed i diritti che ne derivano continuano a gravare sulla cosa come avveniva durante lo stato di comunione. Così, per esempio, se tutti i condividenti avevano costituito un usufrutto in favore di un terzo, il diritto continua a gravare sull’immobile per l’intero, nonostante l’avvenuto frazionamento del bene fra vari compartecipi. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 59 Allo stesso modo nessun pregiudizio subisce il terzo in caso di assegnazione della cosa intera ad uno dei condividenti o di vendita ad uno un estraneo ai sensi dell’art. 720 c.c.. Egualmente deve dirsi per l’ipoteca contro tutti i condomini. Tale tipo d’ipoteca ricorre quando quest’ultima é iscritta contro il comune dante causa prima che si determini lo stato di comunione ovvero quando essa é costituita da tutti i condomini posteriormente per un debito di un terzo, di uno dei condomini o di tutti. Ricorrendo tali fattispecie opera il principio della indivisibilità dell’ipoteca sancita dall’art. 2809 c.c.. Di conseguenza, se l’espropriazione avviene prima della divisione, non sono applicabili gli art. 599-601 c.p.c., ma il bene va venduto per intero; se, invece, la divisione é fatta prima del pignoramento, non é di regola necessario chiamare il creditore ipotecario ad intervenivi, perché l’ipoteca contro tutti i comunisti non é mai pregiudicata dall’esito della divisione, qualunque sia la soluzione divisoria prescelta nel caso concreto. Ciò significa che l’ipoteca continua a gravare per l’intero credito su tutta la cosa, se questa é assegnata ad uno solo dei condividenti (anche a seguito ad incanto, art. 757 c.c.), mentre se la cosa é divisa materialmente, il creditore non sarà costretto a vendere all’asta le varie porzioni del fondo come entità separate, ma, promuovendo l’esecuzione contro i vari comproprietari, potrà procedere sempre sull’intero, come se la divisione non fosse avvenuta. É controverso se l’ipoteca contro tutti comunisti permanga anche se il bene comune é venduto a terzi ex art. 720 c.c. ovvero se la vendita ad estranei estingua sempre l’ipoteca, risolvendola sul prezzo. In realtà é stato chiarito che la divisione operata mediante vendita a terzi non ha l’efficacia tipica prevista nell’art. 757 c.c., ma assume la comune efficacia traslativa degli atti di compravendita. Il terzo é avente causa di quei compartecipi così come se avesse acquistato da un unico proprietario. La cosa, pertanto, dovrebbe passare nelle mani dell’estraneo con tutti i pesi che la gravavano quand’era nella collettività dei comunisti é perciò anche con l’ipoteca costituita contro tutti gli ex comproprietari del bene indiviso [G. Tedesco, “Sul litisconsorzio necessario nei giudizi divisori riguardo ai creditori opponenti” cit.]. Ipoteca contro tutti i condomini 60 Il giudizio di divisione 8. Le conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio Venendo alle conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio in violazione dell’art. 784 c.p.c., va subito detto che la qualità di litisconsorti necessari di tutti i condomini rispetto alla domanda di scioglimento della comunione permane in ogni grado del processo, indipendentemente dall’attività e dal comportamento di ciascuna parte. Ne consegue che, se, in fase di appello, l’appellante non provveda alla citazione di uno o più condomini, il giudice di secondo grado é obbligato a disporre l’integrazione del contraddittorio in ottemperanza al precetto dell’art. 331 c.p.c., ancorché, già disposta in primo grado la divisione ex art. 789 c.p.c., debba soltanto pronunciare sulle spese, in quanto la causa accessoria sulle spese condivide il carattere di inscindibilità della causa principale (cfr., Cassazione civile, sez. II, 05/12/2001, n. 15358). La necessità del litisconsorzio, quindi, permane fin quando lo stato di comunione non venga meno attraverso l’attribuzione dei beni ai singoli condividenti, cosicché, definito il giudizio di divisione con l’ordinanza che ha dichiarato esecutivo - in mancanza di opposizioni - il progetto di divisione, nel giudizio di opposizione al precetto intimato da un coerede per conseguire il rilascio dei beni attribuitigli, sono litisconsorti necessari soltanto i coeredi che abbiano la detenzione di detti beni (cfr., Cassazione civile, sez. II, 21/04/1988, n. 3098). Tanto premesso, l’individuazione delle conseguenze connesse alla mancata integrazione del contraddittorio vede la dottrina distinguere a seconda dei casi in cui il vizio de quo riguardi le ipotesi di litisconsorzio secundum ratione materiae ovvero in quelli in cui si sia in presenza di un litisconsorzio propter opportunitatem. Ipotesi di litisconsorzio propter opportunitatem Nelle ipotesi di litisconsorzio propter opportunitatem, infatti, il vizio della pronunzia sarebbe meno grave ed andrebbe fatto valere unicamente con lo strumento dell’appello a pena del passaggio in giudicato della sente [così Verde, “Profili del processo civile”, Jovane, Napoli 2005, 321]. Anche la giurisprudenza sembrerebbe seguire all’apparenza tale distinzione, ritenendo che l’omessa partecipazione del creditore litisconsorte determinerebbe unicamente l’inefficacia relativa della pronunzia (cfr., Cassazione civile n. 4703/1981). Più precisamente, la violazione del litisconsorzio riguardo a creditori e aventi causa non inciderebbe sull’efficacia dell’atto nei confronti dei comproprietari, ma produrrebbe conseguenze di diversa natura, consistenti nel potere di impugnativa della divisione, se la violazione é incorsa in danno dei creditori opponenti, ovvero nel potere dei creditori Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 61 iscritti e degli aventi causa trascriventi di disconoscerne direttamente l’efficacia senza necessità di attivarsi con una impugnativa giudiziale. Ricorrendo, dunque, una ipotesi di litisconsorzio necessario propter opportunitatem, la violazione del contraddittorio rimarrebbe sanata dal passaggio in giudicato formale della sentenza e, anziché comportare l’inefficacia della sentenza anche nei confronti delle parti, ne comporterebbe soltanto l’inefficacia nei confronti dei litisconsorti pretermessi [cfr., Proto Pisani, “Appunti sul litisconsorzio necessario e sugli interventi”, in Riv. dir. proc., 1994, 360]. Deve, conclusivamente, osservarsi che le ragioni di opportunità che impongono il litisconsorzio nei confronti di creditori ed aventi causa devono coordinarsi con la disciplina della trascrizione della domanda. Dall’art. 1113 c.c discende che, per identificare i creditori e gli aventi causa coinvolti nella divisione, occorre fare riferimento, da un lato, all’iscrizione o alla trascrizione del terzo, dall’altro, alla trascrizione della domanda giudiziale di divisione. Se la domanda é stata trascritta opera il normale effetto di prenotazione previsto dall’art. 2652 c.c., adattato alla particolarità del fine di opponibilità per il quale la legge richiede la trascrizione della divisione. Sul piano del processo ne deriva che, una volta trascritta la domanda, i successivi atti di disposizione posti in essere dai singoli condividenti, sebbene pienamente validi sul piano del diritto sostanziale, non impongono la chiamata nel giudizio dei terzi acquirenti e dei creditori, i quali non hanno il potere di disconoscere l’efficacia della divisione compiuta in loro assenza. Viceversa, se la domanda non viene trascritta, é necessario riferirsi, sul piano del confronto temporale, alla futura trascrizione della sentenza o del decreto di approvazione del riparto (art. 195 disp. att. c.p.c.). Da ciò consegue che coloro i quali hanno iscritto o trascritto dopo l’avvio del processo divisionale ma prima che sia stato trascritto il provvedimento conclusivo, si trovano nella stessa condizione di chi ha iscritto o trascritto in precedenza e non sia stato chiamato ad intervenire. Gli uni e gli altri potranno disconoscere l’efficacia della divisione già compiuta e costringere i condividenti ad una nuova divisione. Naturalmente l’impugnativa travolge il risultato divisorio in toto, sia nei confronti dei condomini e sia nei confronti dei creditori e degli aventi causa che, su iniziativa di uno degli interessati o d’ufficio, erano stati sollecitati ad intervenire nelle operazioni divisionali. Così, per esempio, tutte le volte in cui la domanda non sia stata trascritta, il creditore ipotecario di uno dei condividenti, nonostante la mancanza di iscrizioni o trascrizioni anteriori alla sua ipoteca, potrà essere certo di poter compiere l’espropriazione sul bene assegnato al proprio Trascrizione della domanda 62 Il giudizio di divisione debitore solo dopo che sia stata trascritta la divisione, e sempre che, prima di tale trascrizione, non siano state iscritte ipoteche o trascritte opposizione o acquisti da parte di altri creditori o aventi causa. In definitiva, tirando le fila del discorso fin qui svolto, stabilire se una parte rivesta o meno la qualità di litisconsorte necessario incide direttamente sulle conseguenze derivanti dalla sua mancata partecipazione al giudizio nonché in merito ai rimedi previsti dall’ordinamento per far fronte a tale possibilità. Pertanto, qualora la pretermissione di un litisconsorte sia rilevata, anche d’ufficio dal giudice, nel corso del primo grado di giudizio, in forza dell’art. 102 c.p.c., ne dovrà essere ordinata la chiamata in causa, assegnando alle parti un termine perentorio la cui inosservanza implica l’estinzione del giudizio ove eccepita ex art. 307 c.p.c., anche se, dopo la riforma del 2009, l’estinzione dovrà essere dichiarata anche d’ufficio. Prima della riforma del 2009 Con riferimento ai giudizi instaurati anteriormente alla citata novella, occorre distinguere l’ipotesi della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario dalla diversa fattispecie in cui l’integrazione sia effettuata ma con ritardo rispetto al termine fissato dal giudice. In quest’ultima ipotesi, in difetto di tempestiva eccezione di estinzione proveniente dalla parte interessata, il giudizio può legittimamente proseguire senza che la sentenza sia “inutiliter data”. Per contro, in caso di mancata integrazione del contraddittorio, questa deve essere rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, anche quando la parte interessata non abbia proposto l’eccezione di estinzione, con la conseguenza che, in tal caso, il rilievo, pur non potendo tradursi in una dichiarazione “ex officio” d’estinzione del processo, implica il potere dovere del giudice di prendere una decisione di mero rito, ricognitiva dell’impossibilità di prosecuzione della causa in mancanza di una parte necessaria del processo (➲ cfr. Cassazione civile, sez. III, 28/01/1994, n. 878). Se il vizio della non integrità del contraddittorio viene rilevato in grado di appello, dovrà farsi applicazione dell’art. 354 c.p.c., disponendosi, previo annullamento della sentenza appellata, la rimessione della causa al giudice di primo grado . Può, tuttavia, verificarsi che il vizio in oggetto non sia rilevato nel corso del giudizio conclusosi con sentenza, ovvero con ordinanza. Nell’ipotesi in cui il giudizio é stato definito con ordinanza che ha recepito l’accordo raggiunto dai condividenti benché a quest’ultimo abbiano partecipato soltanto alcuni dei condividenti parti del giudizio, la divisione stessa é nulla per un vizio della causa. Tale nullità può essere fatta valere in un autonomo giudizio di Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione 63 cognizione nei confronti di tutti i condividenti. Se invece l’accordo si é formato nonostante alcuni condividenti sia riamasti estranei al giudizio per un vizio della domanda introduttiva o della sua notificazione, la tesi più accreditata in dottrina professa l’inefficacia dell’accordo, come tale accertabile in un ordinario giudizio di cognizione. Nella diversa ipotesi in cui il giudizio sia stato definito con sentenza, la pretermissione di uno o più condividenti comporta l’inefficacia della sentenza nei confronti dei condividenti rimasti estranei al giudizio i quali potranno far valere tale inefficacia nei loro confronti mediante l’esperimento dell’opposizione di terzo ordinaria. La mancata partecipazione al giudizio di uno dei condividenti può essere dovuta ad un vizio della notificazione o della domanda, con la conseguenza che tale vizio non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, fatta salva però l’impugnazione da parte dei soggetti non intervenuti svincolata dai limiti temporali ai sensi dell’art. 327 comma 2° c.p.c.. Infine, ove senza escludere l’esistenza di altri condividenti, la sentenza sia stata emessa solamente nei confronti di alcuni di questi, la sentenza deve ritenersi come inutiliter data, con la possibilità di farne rilevare l’inefficacia con l’opposizione di terzo ovvero con un’autonoma azione di cognizione. I rimedi ora descritti operano, come sopra detto, sempreché la pretermissione abbia riguardato un litisconsorte necessario sostanziale. Laddove non abbiano partecipato al giudizio i litisconsorti a carattere processuale, alla luce del tenore dell’art. 1113 c.c., che impone la loro presenza per rendere opponibile nei loro confronti la sentenza, si ritiene che, in caso di definizione su accordo o su sentenza, questi ultimi potranno agire per far dichiarare l’inefficacia dell’esito del giudizio nei loro confronti, chiamando in causa tutti coloro che vi hanno partecipato, ovvero seguendo il procedimento di cui all’art. 599 c.p.c. . Giova infine segnalare che il litisconsorzio necessario opera solo per la causa di divisione in senso stretto, ancorché il giudizio verta solo sulla quantificazione delle spese di lite , ma non si estende a quelle domande autonome, eventualmente cumulate nel giudizio di divisione (si pensi per tutte alla domanda di rendiconto). Ipotesi di litisconsorzio processuale 64 Il giudizio di divisione MEMO Note processuali e adempimenti per la pratica forense ■ L’ordinanza con la quale il Giudice dell’Esecuzione provvede ad istruire il giudizio divisionale ai sensi dell’art. 181 disp. att. c.p.c., quale provvedimento sostituivo della citazione, tiene luogo degli oneri processuali altrimenti gravanti sull’attore, ivi compreso l’avvertimento ai convenuti delle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. per la mancata costituzione secondo le forme disciplinate dall’art. 166 c.p.c., e deve essere resa pubblica con lo strumento della trascrizione, si da non pregiudicare, nel rispetto dell’art. 1113 cc, i diritti soggettivi di intervento e di opposizione dei creditori particolari e degli aventi causa dei comproprietari non esecutati, con il conseguente dovere dell’organo decidente di verificare preliminarmente anche l’esistenza e la natura delle iscrizioni e delle trascrizioni pregiudizievoli eventualmente gravanti sulle quote ideali non esecutate, a pena di improcedibilità della azione esecutiva. ■ Competenza: il procedimento di scioglimento di comunioni é trattato e deciso davanti al tribunale in composizione monocratica del luogo di apertura della successione, e cioé del luogo in cui il de cuius aveva, al momento della morte, l’ultimo domicilio qualora la divisione riguardi beni ereditari; nelle altre ipotesi la cognizione delle cause tra condomini é devoluta al giudice del luogo in cui si trova la cosa comune, tenendosi presente che tale criterio deve trovare applicazione non solo alle controversie che si instaurano tra condomini in ordine alla proprietà o ad altri diritti inerenti alla disponibilità e all’uso della cosa comune, ma anche a quelle sulle obbligazioni nascenti “pro-quota” a carico dei singoli condomini dalla loro partecipazione alla comunione, sicché territorialmente competente é sempre e comunque il foro speciale tra condomini, quale norma in deroga rispetto al foro generale di cui agli art. 18 e ss. c.p.c.. ■ Mediazione: Il giudizio divisorio deve essere preceduto dal tentativo obbligatorio di conciliazione rientrando nelle materie di cui al comma 1 dell’art. 5 D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28. ■ Domanda: Va proposta nei confronti di tutti i contitolari della comunione ordinaria ed ereditaria e, ove ve ne siano, dei creditori c.d. opponenti, degli aventi causa, - vale a dire gli acquirenti di singoli beni già facenti parte della massa e che ne siano divenuti proprietari solitari -, dei creditori iscritti e di coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile da dividere, in virtù Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell’atto di divisione o della trascrizione della domanda di divisione giudiziale, i quali devono essere chiamati ad intervenire nel giudizio di divisione, sempreché si voglia che la relativa decisione faccia stato anche nei loro confronti. ■ Onere allegazione attore: Pur non essendo richiesto a pena di nullità, l’attore dovrà premurarsi di depositare la documentazione volta a dimostrare l’attuale titolarità dei beni in capo ai condividenti e la libertà da eventuali pesi o iscrizioni. ■ Conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio: occorre distinguere a seconda che il vizio de quo riguardi le ipotesi di litisconsorzio secundum ratione materiae ovvero ipotesi in cui si sia in presenza di un litisconsorzio propter opportunitatem: nella prima ipotesi la sentenza pronunciata é inutiliter data; nella seconda ipotesi, invece, il vizio della pronunzia sarebbe meno grave ed andrebbe fatto valere unicamente con lo strumento dell’appello a pena del passaggio in giudicato della sentenza. 65 66 Il giudizio di divisione FORMULE IL GIUDICE DELL’ESECUZIONE a scioglimento della riserva di cui all’udienza del . . . , rilevato che con pignoramento trascritto in data . . . é stata pignorata la quota pari a . . . di proprietà di . . . del seguente bene in . . . via . . . riportato in NCEU . . . partita . . . fol. . . . mapp . . . . cat r.c. . . . ; che comproprietari di detto bene sono anche . . . , nato a . . . , . . . , nato a . . . e . . . , nato a . . . ;rilevato che l’avviso di pignoramento é stato notificato ai comproprietari ai sensi dell’art. 599 secondo comma c.p.c. e art 180 disp, att, rilevato che non é/sono comparso/i il/i comproprietario/i . . . rilevato che non può precedersi alla separazione in natura della porzione spettante al debitore, e ciò sia, perché né il creditore pignorante né i comproprietari hanno proposto istanza al riguardo, sia perché essa non sarebbe comunque possibile, considerata la conformazione e la natura del bene come risultante dalla perizia in atti; rilevato che nessuno dei comproprietari ha manifestato la volontà di acquistare la quota pignorata; ritenuto che, in assenza di una volontà di acquisto da parte dei comproprietari, non appare opportuno procedere ad un esperimento di vendita della quota, considerato che ben difficilmente é possibile reperire un acquirente per un bene indiviso, se non a un prezzo di molto inferiore a quello di stima; ritenuto pertanto, al fine di evitare il rischio di aste deserte e di vendita del bene ad un prezzo non congruo, di dover procedere a giudizio di divisione ai sensi dell’art. 600 secondo comma c.p.c.; ritenuto necessario fissare udienza ex art. 181 secondo comma disp. att. c.p.c., non essendo comparsi tutti gli interessati, ritenuta la necessità di incaricare il perito già nominato di procedere alla verifica circa l’esistenza di eventuali trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli a carico di tutti i comproprietari relativamente ai beni sopra indicati; ritenuto che la presente ordinanza, in quanto atto idoneo a integrare il contraddittorio tra le parti, presenta un contenuto sostanziale equiparabile alla domanda giudiziale ai fini della disciplina degli artt. 1113 e 2646 cc, Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione P.Q.M. I. Dispone precedersi a giudizio di divisione in relazione ai beni sopra descritti; II. Fissa l’udienza del . . . ore . . . innanzi a sé quale giudice istruttore della divisione, per la comparizione delle parti, dei comproprietari e dei creditori iscritti e di coloro che hanno acquistato diritti sull’immobile come previsto dall’art 1113 c.c. terzo comma; con termine alla parte più diligente almeno 90 giorni prima dell’udienza per la notifica del presente provvedimento ai soggetti sopra indicati; con l’invito alle parti a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza suindicata, a mezzo dì difensore, ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c. ed a comparire all’udienza indicata, con l’espresso avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c., segnatamente la decadenza dalle domande riconvenzionali, dalla chiamata di terzo e dal sollevare eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio; III. manda alla parte più diligente per la tempestiva ( in data antecedente la prima udienza ) trascrizione del presente provvedimento a favore e contro ciascuno dei comproprietari, compresi in esso il debitore, ai sensi degli artt.1113 e 2646 cc.; IV. dispone che il creditore procedente provveda alla iscrizione a ruolo della causa; V. sospende il presente procedimento fino alla definizione del giudizio di divisione; VI. incarica il perito già nominato di procedere , entro 30 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, alla verifica circa l’esistenza di eventuali trascrizioni ed iscrizione pregiudizievoli a carico di tutti i comproprietari relativamente ai ben sopra indicati; VII. avvisa le parti che in caso di mancata instaurazione di quel giudizio la presente procedura sarà dichiarata estinta; VIII. dispone che la parte più diligente provveda alla acquisizione nel presente procedimento della CTU e della relazione integrativa, in copia semplice; IX. dispone altresì che tutte le parti costituite attestino la esistenza della procura alle liti, anche quella (in copia) eventualmente già depositata nella procedura esecutiva. 67 68 Il giudizio di divisione 1° Esempio: Atto introduttivo per lo scioglimento di una comunione volontaria ex artt. 1111 c.c. e 784 c.p.c. TRIBUNALE DI . . . DOMANDA DI SCIOGLIMENTO DI COMUNIONE Il sottoscritto Avv. . . . , del foro di . . . , codice fiscale n. . . . , con studio in . . . , via . . . , n. . . . , in qualità di procuratore e domiciliatario del Sig. . . . , codice fiscale n. . . . , in forza di procura stesa in calce al presente atto (oppure) a margine del presente atto (oppure) . . . PREMESSO - che il Sig. . . . con contratto in data . . . ai rogiti del Notaio dott. . . . iscritto al Collegio Notarile di . . . , ha acquistato, insieme al Sig. . . . , in comunione, il seguente immobile: . . .; - che la quota spettante a ciascun condomino é del 50% dell’intero; - che a seguito di . . . la predetta comunione non può più continuare e il ricorrente intende avere la proprietà solitaria della sua quota; tutto ciò premesso CITA il Sig. . . . residente a . . . via . . . n. . . . a comparire innanzi al Tribunale di . . . , all’udienza del . . . , ore di rito, dinnanzi al Giudice Istruttore che sarà designato ai sensi dell’art, 168-bis cod. proc. civ., con l’invito a costituirsi nel termine di almeno venti giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 cod. proc. civ., con l’avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 167 e 38 cod. proc. civ. e che, in difetto di costituzione, si procederà in sua contumacia, per sentir accogliere le seguenti conclusioni: voglia l’Ill.mo Tribunale di . . . così provvedere: IN VIA ISTRUTTORIA: - nominare un consulente tecnico d’ufficio per la formazione delle singole quote; NEL MERITO: - ordinare lo scioglimento della comunione dell’immobile sopra descritto con attribuzione ai singoli partecipanti della quota ad ognuno spettante; - porre le spese a carico dei condividenti stessi e in caso di opposizione condannare l’opponente alle spese, diritti ed onorari del giudizio. Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Offre in comunicazione e deposita in cancelleria: contratto di compravendita datato . . . . . . , lì . . . (Avv. . . .) (PROCURA ALLE LITI) (RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE) 2° Esempio: Formula da utilizzare per chiedere lo scioglimento di una comunione ereditaria ex artt. 713 c.c. e 784 c.p.c. TRIBUNALE DI . . . DOMANDA DI DIVISIONE EREDITARIA EX ART. 713 C.C. Il Sig. . . . , codice fiscale n. . . . , nato a . . . , Via . . . , n. . . . , residente a . . . , Via . . . , n. . . . , codice fiscale n. . . . e domiciliato a . . . , Via . . . , n. . . . presso lo studio dell’Avv. . . . , codice fiscale n. . . . , che lo rappresenta e difende per procura . . . PREMESSO - che ha ereditato dal padre unitamente ai suoi tre fratelli e in comunione tra loro i seguenti beni: fondo rustico costituito da . . . ettari di terreno, contraddistinto in catasto alla partita n. . . . , foglio n. . . . , particella n. . . . , confinante: . . . e appartamento composto da . . . vani e servizio, contraddistinto in catasto alla partita n. . . . , foglio n. . . . , particella n. . . . , confinante: . . .; - che la quota spettante ad ognuno é la seguente: . . .; - che il ricorrente intende chiedere la divisione dei predetti immobili in quanto . . .; tutto ciò premesso CITA il Sig. . . . , residente a . . . , Via . . . , n. . . . , il Sig. . . . , residente a . . . Via . . . , n. . . . e il Sig. . . . , residente a . . . Via . . . , n. . . . , a comparire innanzi al Tribunale di . . . , all’udienza del . . . , ore di rito, dinanzi al Giudice Istruttore che sarà designato ai sensi dell’art. 168 - bis c.p.c. con l’invito a costituirsi nel termine di almeno venti giorni prima della suddetta udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 c.p.c., con l’avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. 69 70 Il giudizio di divisione e che, in difetto di costituzione, si procederà in loro contumacia, per sentir accogliere le seguenti conclusioni: voglia l’Ill.mo Tribunale di . . . , così provvedere: - nominare un consulente tecnico d’ufficio per la formazione della massa che dovrà essere divisa e delle singole quote; - ordinare la divisione dei cespiti con attribuzione ai singoli partecipanti della quota ad ognuno spettante; - porre le spese a carico dei condividenti e, in caso di opposizione, condannare gli opponenti alle spese, diritti ed onorari del giudizio oltre ad IVA e CNAP come per legge. Offre in comunicazione e deposita in cancelleria: n. 2 estratti catastali e denuncia di successione. Ai fini del versamento del contributo unificato per le spese di giustizia dichiara che il valore della causa é di Euro . . . Il sottoscritto difensore dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero di fax . . . o all’indirizzo di posta elettronica certificata . . . . . it. . . . , li . . . Avv. . . . (PROCURA ALLE LITI, SE NECESSARIA) (RELAZIONE DI NOTIFICAZIONE) Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione Riferimenti giurisprudenziali ➲ Quando i beni in godimento comune provengono da titoli diversi, non si realizza un’unica comunione, ma tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza dei beni, corrispondendo, quindi, alla pluralità di titoli una pluralità di masse, ciascuna delle quali costituisce un’entità patrimoniale a sé stante. Pertanto, in caso di divisione del complesso, si hanno, in sostanza, tante divisioni, ciascuna relativa ad una massa e nella quale ogni condividente fa valere i propri diritti indipendentemente da quelli che gli competono sulle altre masse. Nell’ambito di ciascuna massa, inoltre, debbono trovare soluzione i problemi particolari relativi alla formazione dei lotti e alla comoda divisione dei beni immobili che vi sono inclusi (Cassazione civile, sez. II, 30/03/1985, n. 2231). ➲ Il giudizio di divisione ereditaria deve svolgersi necessariamente, a norma dell’art. 784 c.p.c., nei confronti di tutti coloro che partecipano alla comunione al momento della proposizione della domanda, mentre non ricorre la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’acquirente di uno dei beni controversi in pendenza di giudizio, non operando il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso alcun effetto sul rapporto processuale (art. 111 c.p.c.). Pertanto, l’acquirente di un bene ereditario che siasi costituito in giudizio a seguito di chiamata iussu iudicis, sull’erroneo presupposto della necessaria estensibilità del litisconsorzio nei suoi confronti, riveste una posizione processuale analoga a quella dell’interveniente volontario, al quale non é dato opporre alcunché circa la validità e l’efficacia delle prove ritualmente ammesse ed espletate prima del suo intervento (Cassazione civile, sez. II, 26/04/1993, n. 4891). ➲ La vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata all’assegnazione del bene al coerede - venditore attraverso la divisione; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a far parte della comunione e, finché essa perdura, il compratore non può ottenerne la proprietà esclusiva. Peraltro, se il bene parzialmente compravenduto costituisce l’intera massa ereditaria, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede - venditore, essendo quest’ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà e potendo di questa liberamente disporre, conseguentemente il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune (Cassazione civile, sez. III, 01/07/2002, n. 9543). ➲ Ove il testatore attribuisca il solo diritto di usufrutto, il beneficiario non succede “in universum ius” del defunto e, pertanto, non acquista la qualità di erede; nei suoi confronti, pertanto, non sussiste litisconsorzio 71 72 Il giudizio di divisione necessario in sede di giudizio di divisione tra coeredi (Cassazione civile, sez. II, 26/01/2010, n. 1557). ➲ Per il combinato disposto degli art. 469 e 726 c.c., la divisione ereditaria, quando vi é rappresentazione, avviene per stirpi, procedendosi alla formazione di tante porzioni, una volta eseguita la stima, quanti sono gli eredi o le stirpi condividenti, mentre non é prevista l’ulteriore formazione di altrettante subporzioni all’interno di ciascuna stirpe, sempre che non si formi al riguardo un accordo fra tutti i partecipanti (Cassazione civile, sez. II, 29/10/1992, n. 11762). ➲ Qualora nel corso del procedimento divisionale, i termini della divisione vengano modificati mediante inclusione nella massa da dividere di beni non compresi al momento della proposizione della domanda, la presunzione legale di adesione dei condividenti al progetto di divisione predisposto dal giudice istruttore non può operare nei confronti di chi, rimasto contumace, non abbia potuto avere conoscenza delle modifiche alla domanda iniziale introdotte nel corso del giudizio. Ne consegue che la domanda di inserzione nella massa da dividere di cespiti ulteriori va notificata al contumace ai sensi dell’art. 292 c.p.c., senza di che il giudice istruttore non può dichiarare esecutivo il progetto divisionale con l’ordinanza non impugnabile dell’art. 789, comma 3, c.p.c. Tale ordinanza, se emessa egualmente, va qualificata come provvedimento anomalo di contenuto decisorio, in quanto impone anche al contumace una divisione non ricollegabile sotto alcun profilo ad una sua presunta accettazione del progetto, ed é pertanto soggetta al ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cassazione civile, sez. II, 14/06/1990, n. 5824). ➲ Il coniuge in comunione legale dei beni é litisconsorte necessario nel giudizio relativo alla natura giuridica, l’efficacia e l’esecuzione di un contratto, definito «compromesso divisionale», relativo ad immobili appartenenti in comproprietà con terzi all’altro coniuge (Cassazione civile, sez. II, 21/05/2008, n. 12849). ➲ La divisione di un bene comune va annoverata tra gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Pertanto, ai sensi dell’art. 180, comma 2, c.c., come sostituito dalla l. n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia, qualora del bene da dividere siano comproprietari, assieme ad altri, due coniugi in regime di comunione legale, la rappresentanza spetta congiuntamente ad entrambi, con la conseguenza che entrambi sono litisconsorti necessari, ex art. 784 c.p.c., nel giudizio divisionale da chiunque promosso (Cassazione civile, sez. II, 21/01/2000, n. 648). ➲ La mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso - che é soggetta a diversa disciplina rispetto al caso dell’integrazione effettuata con ritardo rispetto al termine fissato dal giudice, atteso che tale inosservanza non esclude la partecipazione al processo del detto litisconsorte e che, in difetto di tempestiva Osservazioni generali sulla natura del giudizio di divisione eccezione di estinzione, il giudizio può legittimamente proseguire, senza che la sentenza risulti inutiliter data - deve essere rilevata di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, anche quando la parte interessata non abbia proposto siffatta eccezione, con la conseguenza che, in tal caso, il rilievo stesso, se non può tradursi in dichiarazioni ex officio di estinzione del processo, implica nondimeno il potere-dovere del giudice istruttore di rimettere la causa al collegio per una decisione di mero rito, ricognitiva della impossibilità di prosecuzione della causa in mancanza di una parte necessaria, che determina, quando in tal senso non abbiano provveduto i giudici del merito, la cassazione senza rinvio sia della sentenza di appello, impugnata in sede di legittimità, sia di quella di primo grado (Cassazione civile, sez. III, 28/01/1994, n. 878). ➲ Nel giudizio di divisione di una comunione di beni, il terzo acquirente di un diritto su uno degli immobili comuni, per atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale, non é parte necessaria del giudizio, ma, se non chiamato ad intervenirvi, non gli può essere opposta la sentenza che lo definisce, con la conseguenza che egli, ove danneggiato dalla ripartizione, potrà pretendere che si proceda a nuova divisione (Cassazione civile, sez. I, 28/06/1986, n. 4330). 73