Trattati di Dublino e Schengen

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Trattati di Dublino e Schengen
IL REGOLAMENTO DI DUBLINO
Il Regolamento di Dublino è stato istituito dall’omonima Convenzione di Dublino, sottoscritta dagli
stati membri dell’UE il 15 giugno 1990 ed entrata in vigore il 1 settembre 1997. Esso è stato
oggetto di revisione nel 2003 (2003/343/CE) e nel 2013 (2013/604/CE). Il regolamento di Dublino
III, sottoscritto il 26 giugno 2013 ed entrato in vigore il 19 luglio 2013, si basa sullo stesso principio
dei due precedenti e stabilisce i criteri gerarchici e i meccanismi di determinazione dello Stato
membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, presentata in uno
degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, un ampliamento, quest’ultimo,
rispetto al 2003. Le disposizioni del regolamento mirano alla creazione di un sistema europeo
comune di asilo (CEAS) che consenta di determinare con rapidità lo stato membro competente. Il
regolamento è strutturalmente diviso in nove capi in cui sono state inserite diverse novità rispetto al
precedente:
Il Capo I definisce l’oggetto del regolamento e introduce alcune nuove definizioni, quali parente
(che comprende gli zii e i nonni), rappresentante del minore non accompagnato (in sostituzione del
termine “familiare”) e rischio di fuga.
Il Capo II definisce i principi generali e le garanzie. In aggiunta al precedente trattato vi è la
disposizione secondo la quale la richiesta debba essere esaminata dagli stati membri anche alla
frontiera, oltre che nei propri territori. E’ stato ampliato e introdotto in un apposito articolo il diritto
di informazione, il quale permette al richiedente di fornire informazioni su parenti o familiari
presenti negli stati membri e di inserire i dati personali nel momento stesso della presentazione della
domanda. Viene introdotto l'obbligo per gli Stati di condurre un colloquio personale al fine di
agevolare la procedura. Il colloquio deve essere condotto da una persona qualificata, in condizioni
che garantiscano al richiedente un'adeguata riservatezza. Particolare attenzione è riservata
all’interesse superiore del minore, il principio base a cui si fa riferimento nel processo decisionale.
Il Capo III rappresenta la parte più importante del regolamento e stabilisce i criteri, applicabili
nell’ordine gerarchico in cui sono presentati, per determinare lo stato membro competente all’esame
della richiesta. Per i minori non accompagnati lo stato competente è quello in cui si trovano o i
familiari, o un altro adulto responsabile in base alla legge o alla prassi dello Stato in cui egli si
trova, una novità, quest’ultima, rispetto a Dublino II. In mancanza di familiari, fratelli o parenti, è
competente lo Stato dove il minore non accompagnato ha presentato la domanda. Non cambiano le
disposizioni riguardanti i richiedenti asilo titolari di titoli di soggiorno validi o visti validi, per i cui
casi è competente lo Stato che li ha rilasciati. L’articolo 13 del Capo III, pur trovandosi al
terzultimo gradino della gerarchia, rappresenta il criterio più importante, rimasto invariato rispetto
ai precedenti regolamenti e dalla cui applicazione continuano a scaturire non pochi problemi. Esso
afferma che quando è accertato, attraverso prove o circostanze indiziarie, “che il richiedente ha
varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la
frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente”; il principio è in linea
con l’obiettivo perseguito dall’Ue di assicurare l’esame della richiesta d’asilo ad uno solo degli stati
membri.
Il Capo IV delinea le clausole discrezionali applicabili nell’esame della richiesta. Esse si
riferiscono all’obbligo, per gli stati membri, di ricongiungere i richiedenti con le “persone a carico”.
Rimangono invariate, rispetto a Dublino II, le situazioni che vincolano gli Stati a tale obbligo:
gravidanza, malattia recente, età avanzata e grave disabilità. Per l’applicazione delle clausole è
necessario che entrambe le persone esprimano il desiderio di ricongiungimento per iscritto.
I capi V e VI definiscono gli obblighi dello Stato membro competente all’esame della richiesta, le
procedure di presa e ripresa in carico del richiedente e i casi di cessazione delle competenze. Lo
Stato membro competente ha dunque l’obbligo di:


Prendere in carico il richiedente che ha presentato domanda in un altro Stato;
Riprendere in carico a) il richiedente la cui domanda è in corso d'esame, b) il
cittadino di un Paese terzo o apolide che ha ritirato la sua domanda in corso
d'esame, c) il cittadino di un Paese terzo o apolide di cui ha respinto la domanda,
nei casi in cui gli interessati (a, b o c) abbiano presentato domanda in un altro
Stato membro oppure si trovino nel territorio di un altro Stato membro senza un
titolo di soggiorno.
Nel caso di presa in carico di un richiedente o di ripresa in carico di un richiedente la cui domanda è
in corso di esame (a), lo Stato competente è obbligato a esaminare o portare a termine l'esame della
domanda di protezione internazionale. Nel caso invece di ripresa in carico dopo ritiro della
domanda prima di una decisione sul merito di primo grado (b), l'interessato ha il diritto di
presentare una nuova domanda che non sarà trattata come domanda reiterata. Questo caso non era
disciplinato da Dublino II, il che ha dato luogo a prassi negative da parte di diversi Stati che
trattavano le domande in questione come “interrotte” e non concedevano la possibilità di riaprirle ad
un esame sul merito, una volta accettata la richiesta di ripresa in carico. Si precisa dunque che la
domanda presentata dopo tre mesi di assenza dal territorio degli Stati membri o dopo un
allontanamento effettivo dovuto al respingimento della stessa, è considerata una nuova domanda e
dà luogo a una nuova determinazione dello Stato competente.
Il Capo VII è volto a regolare la cooperazione amministrativa. In particolare si occupa dello
scambio di informazioni tra gli Stati membri. Le informazioni sono comunicabili solo con il
consenso scritto del richiedente che è tenuto a conoscerle, ed eventualmente richiederne una
modifica, prima che vengano trasmesse. E’ mantenuta, rispetto a Dublino II, la possibilità per gli
Stati di mantenere o concludere accordi bilaterali al fine di facilitare l’attuazione del regolamento.
Una novità introdotta prevede che gli Stati, su richiesta della commissione, siano tenuti a modificare
l’accordo se questo è incompatibile con il Regolamento.
Il Capo VIII introduce la procedura di conciliazione che prevede la proposta di una soluzione, in
caso di disaccordo preesistente tra gli Stati sull’applicazione del regolamento, da parte di tre Stati
membri estranei alla controversia. Tale situazione non è vincolante per gli Stati che, tuttavia, si
impegnano a tenerla in massima considerazione.
Il Capo IX contiene le disposizioni transitorie e finali. Esse sono volte a garantire la sicurezza dei
dati personali trasmessi e la riservatezza degli stessi, prevedendo sanzioni nel caso di abuso dei dati
trattati. Si obbligano inoltre gli Stati a trasmettere alla commissione una relazione e statistiche
sull’applicazione del Regolamento.
CONSIDERAZIONI
Uno dei pilastri su cui si regge il sistema di Dublino è l’EURODAC (European Dactyloscopie), una
banca dati centrale in cui vengono registrate le generalità, con l’acquisizione delle impronte digitali,
di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro. L’EURODAC consente così
di stabilire dove è avvenuto il primo ingresso in Europa di una persona richiedente asilo e di
attribuire a quel Paese l’onere dell’esame di un’eventuale domanda. Dato che il numero di migranti
che giungono illegalmente negli Stati membri è in costante aumento, i Paesi geograficamente più
esposti al fenomeno hanno riscontrato e riscontrano non poche difficoltà organizzative e gestionali.
L’insostenibilità di questa situazione ha fatto sì che tali paesi abbiano favorito il passaggio dei
migranti senza provvedere all’identificazione, per fare in modo che potessero inoltrare la richiesta
nel Paese in cui volevano davvero risiedere: una chiara violazione del Regolamento, da sempre
sostanzialmente tollerata dagli Stati firmatari. Paradossalmente, i paesi attualmente più interessati, e
cioè quelli più vicini alle coste africane o a quelle del medio oriente, si dimostrano più flessibili
nell’accogliere le persone che cercano rifugio in Europa rispetto ai paesi nord-occidentali, i quali,
spesso, fanno di questo criterio il fulcro delle loro politiche, traducendole nella pratica in uno
scarico continuo e inadeguato di competenze e responsabilità. Il Regolamento di Dublino, in base
alle finalità per cui è nato, dovrebbe interessare esclusivamente i richiedenti asilo, cioè persone che
hanno presentato domanda di protezione internazionale e sono ancora in attesa di conoscerne
l’esito. Tuttavia è prassi, in molti Stati dell’Ue, applicarlo anche a coloro che hanno già ultimato
con successo la procedura, talvolta subendo i tempi lunghissimi delle procedure burocratiche, e che
hanno conseguito una qualche forma di protezione internazionale. Quest’uso improprio o se
vogliamo, opportunista del Regolamento non ha altro effetto che ostacolare l’integrazione dei
rifugiati in Europa e la loro ricerca di una miglior condizione di vita.
https://www.unhcr.it/sites/53a161110b80eeaac7000002/assets/53a164130b80eeaac7000104/Regola
mento_Dublino_III.pdf
GLI ACCORDI DI SCHENGEN
Con gli accordi di Schengen si fa riferimento a un trattato, sottoscritto dagli Stati membri dell’UE e
da alcuni Paesi terzi, che ha come oggetto il controllo delle persone e la creazione della cosiddetta
“area Schengen”, della quale i controlli doganali sono stati aboliti il 1 gennaio 1993, permettendo
così la libera circolazione dei cittadini europei all’interno degli stati membri. Allo stesso tempo i
Paesi dell’area Schengen hanno rafforzato la cooperazione in materia di controllo delle frontiere
esterne. Le disposizioni del trattato furono inizialmente sottoscritte nel 1985 dal Benelux (Paesi
Bassi, Belgio e Lussemburgo), Francia e Germania. L’abolizione delle frontiere interne entra in
vigore nel 1995 e, dal 1999, l’accordo di Schengen è integrato nel quadro istituzionale e giuridico
dell'Unione europea in virtù di un protocollo allegato al trattato di Amsterdam. Tra gli Stati
dell’UE, soltanto il Regno Unito e l’Irlanda non fanno parte dell’area; tra i paesi terzi invece, ne
fanno parte la Norvegia e L’Islanda, in virtù di accordi di cooperazione sottoscritti con i Paesi
membri dell’Unione.
CONSIDERAZIONI
Anche se il trattato mira in prevalenza ad un rafforzamento territoriale e cooperativo dell’Unione
europea, il sistema ha risentito dell’eccezionale ondata migratoria degli ultimi anni e degli attentati
terroristi avvenuti in territorio europeo. Dalla sua entrata in vigore sono stati molti i casi in cui uno
Stato membro ha sospeso il trattato di Schengen, ripristinando i controlli alle frontiere interne;
generalmente le sospensioni sono state varate in concomitanza con manifestazioni particolarmente
significative, o per l’allerta terrorismo. Un caso, quest’ultimo, che ha toccato in particolare la
Francia: dopo il passo indietro della Germania che ha sospeso il trattato nel settembre 2015 e
ripristinato i controlli al confine con l’Austria cercando di ridurre gli impatti dei flussi migratori,
anche la Francia ha attuato la sospensione, all’indomani degli attacchi che hanno colpito Parigi il 13
novembre. Nell’attuale contesto internazionale, in particolare in vista degli ultimi dolorosi
avvenimenti, salvaguardare la sicurezza interna dei Paesi è di certo un fattore molto importante. Ciò
che bisognerebbe evitare, però, è vedere negli attacchi terroristici una spinta in più alla chiusura
dura nei confronti del fenomeno migratorio. La strumentalizzazione a fini politici e propagandistici
del fenomeno e la sua estrema generalizzazione accrescono, in modo sempre maggiore, sentimenti
xenofobi e di reazione intollerante, specie nei paesi del nord-est, facendo distogliere lo sguardo
dall’analisi dei caratteri profondi del fenomeno.
http://www.esteri.it/mae/normative/normativa_consolare/visti/acquis_di_schengen.pdf