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Avv. Ernesto Macrì
Roma, 15 ottobre 2014 Oggetto: Trib. Milano, sez. I° civile, 17 luglio 2014, n. 9693 -­‐ Giudice dott. Patrizio Gattari Il Corriere della Sera, il 13 ottobre 2014, pubblicava, in prima pagina (!) la seguente notizia: “Rivoluzione in corsia. Il paziente deve provare l’errore del medico”. L’articolo fa riferimento ad una sentenza emessa dal Tribunale di Milano, che opera un cambio di rotta sulla responsabilità dei medici: il paziente che si ritiene danneggiato ha tempo cinque anni per richiedere il risarcimento e deve provare la colpa del medico. L'occasione per questa lettura giuridica dell’art. 3, comma 1 della legge 189/2012, deriva dalla richiesta di risarcimento danni di un paziente in un processo intentato al Policlinico di Milano e a un suo medico, accusati della responsabilità della paralisi delle corde vocali. La sentenza, interpretando la legge Balduzzi del 2012, ha stabilito che non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare, appunto, la colpa del medico. Nella ricostruzione in diritto, i giudici stabiliscono che: a) tutte le volte, che un paziente decide di agire in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in “contatto” presso la struttura sanitaria, senza tuttavia allegare la conclusione di un contratto, la responsabilità di quel medico dovrà considerarsi di natura extracontrattuale, con un onere probatorio, pertanto, a carico del paziente ed un termine per agire ridotto a cinque anni, comportando tutto ciò, secondo l’estensore della sentenza, un alleggerimento della responsabilità del medico ospedaliero oggi oberato dai costi assicurativi e spinto alla medicina difensiva; b) l'articolo 3 della legge Balduzzi non incide sulla responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o un’impresa privata non convenzionata). In questi casi la responsabilità della struttura resta contrattuale, ai sensi dell'articolo 1218 del Codice civile; pertanto, l'azione si prescrive in dieci anni e rimane a carico della medesima l’onere probatorio che la dimostrazione del danno non deriva da fatto a sé imputabile; Studio: Via M. Dionigi, 43 - 00193 Roma
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c) altrettanto è da dirsi nelle ipotesi in cui il paziente ha concluso con il medico un contratto d’opera professionale (anche se nell’ambito dell’attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): difatti, in questi casi la responsabilità del medico deriva da inadempimento, ed è disciplinata dall’art. 1218 c.c., con tutto quello che ne consegue in termini di prescrizione e onere probatorio; Osservazioni pratiche e alcuni suggerimenti: Ricapitolando: 1° Ipotesi: Il paziente/danneggiato decide di adire il Tribunale per richiedere un risarcimento a causa di un intervento chirurgico che, a suo dire, gli avrebbe provocato dei danni, agendo sia nei confronti della struttura sanitaria (pubblica o privata) sia del medico dipendente della struttura. Ebbene, sulla scorta di quanto deciso dai giudici meneghini avremo che: 1. nei confronti della struttura sanitaria non vi è alcun mutamento rispetto al passato: pertanto, il termine per agire ai fini della richiesta del risarcimento del danno si prescrive in dieci anni, e per quanto concerne l’onere probatorio, la responsabilità contrattuale implica che spetti al paziente-­‐danneggiato che agisca in giudizio provare il contratto e l’insorgenza o aggravamento della patologia e allegare l’inadempimento, restando a carico della struttura la prova dell’esatto adempimento o, qualora vi sia stato un inadempimento, che quest'ultimo non è stato causa del danno; 2. nei confronti del medico dipendente della struttura l’onere probatorio del paziente danneggiato diverrebbe senz’altro più gravoso, poiché spetterebbe a quest’ultimo provare gli elementi costitutivi del fatto illecito, il nesso di causalità, l’ingiustizia del danno e l’imputabilità soggettiva. Ulteriore rilevante conseguenza sarebbe il dimezzamento della durata del termine prescrizionale (quinquennale anziché decennale). 2° Ipotesi: Il paziente/danneggiato decide di adire il Tribunale per richiedere un risarcimento a causa di un intervento chirurgico che, a suo dire, gli avrebbe provocato dei danni, agendo sia nei confronti della struttura sanitaria (pubblica o privata) sia del medico che ha prestato la propria attività come libero professionista: Studio legale
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1. in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d’opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall’art. 1218 c.c., ed è indifferente che il paziente/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi. Per cui, il termine prescrizionale rimane fermo a dieci anni e l’onere probatorio a carico di struttura sanitaria/medico. Fermo tutto ciò, è necessario, ulteriormente, osservare che: -­‐ si tratta di un orientamento quello del Tribunale di Milano, che, alla luce delle pronunce sin qui emesse, non è seguito dalla Corte di Cassazione: difatti, all’indomani dell’approvazione della Legge Balduzzi, con la sentenza n. 4030 del 19/2/2013, la Suprema Corte ha affermato che <<
L'art. 3, comma I, del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, conv. in L. 8 novembre 2012, n. 189 ha depenalizzato la responsabilità medica in caso di colpa lieve, dove l'esercente l'attività sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. (…) La materia della responsabilità civile segue, tuttavia, le sue regole consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella cd. contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale>>. Indirizzo, successivamente, ribadito con un’ordinanza del 17 aprile 2014, n. 8940; -­‐ altro giudice della medesima Sezione del Tribunale di Milano (Dott.ssa Flamini, Sez. I Civ., 18 agosto 2014), è giunto ad analoga conclusione della sentenza in commento: pertanto, parrebbe potersi affermare che l’orientamento dell’ufficio giudiziario di Milano circa l’interpretazione dell’art. 3 della legge Balduzzi -­‐ <<(…) nel senso di ricondurre la responsabilità risarcitoria del medico (dipendente, ndr) (al pari di quella degli altri esercenti professioni sanitarie) nell’alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne consegue, principalmente in tema di riparto dell’onere della prova, di termine di prescrizione e del diritto al risarcimento del danno)>> -­‐ sia da ritenersi prevalente; -­‐ è troppo presto per dire se tutto ciò porterà, come qualcuno ha già immaginato, ad una diminuzione della cd. medicina difensiva; -­‐ quasi certamente, ciò determinerà uno spostamento del baricentro del contenzioso verso la struttura sanitaria, almeno in tutte quelle fattispecie in cui il paziente/danneggiato non sarà in grado di dimostrare la conclusione di un contratto con il medico; Studio legale
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-­‐ infine, in considerazione di una tale interpretazione giurisprudenziale, sarebbe opportuno che i difensori dei medici, nelle cause in cui quest’ultimi sono convenuti e in cui non è stato stipulato un contratto d’opera professionale con il paziente/danneggiato, portino all’attenzione del giudice il mutamento introdotto dal Legislatore del 2012 in materia di responsabilità sanitaria, con tutto quello che ne consegue sia in merito al riparto degli oneri probatori sia in riferimento al termine prescrizionale, richiamando a tal proposito le sentenze che hanno accolto tale orientamento. Avv. Ernesto Macrì