comunquefottuto - Basket Café Forum

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comunquefottuto - Basket Café Forum
Esile&Sax
Comunquefottuto
Glorie amori e infamie del basket che non conta.
Qui a Portoland
2025, anno più, anno meno
CAPITOLO 1
" Se vinci sei fottuto, se perdi con un punteggio qualsiasi sei fottuto, se perdi di quattro punti
è O.K. " (click).
Brodetto rimase attonito, col telefono sollevato. Chi cacchio era dall'altra parte? Vincere o
perdere? A cosa?
Lui non era mai stato uno sportivo. Al massimo, da piccolo, aveva corso la campestre per la sua
scuola. Aveva smarrito la strada, era stato inseguito prima da un torello, poi da un cane, era
caduto in una " buazza ", aveva perso una scarpa, aveva fatto pipì controvento, bagnandosi
tutto, si era rotto gli occhiali.
Arrivato a casa sporco, col vestito a brandelli, a sera inoltrata, si era preso due ceffoni dal
padre, ed era stato messo a letto senza cena dalla madre. Niente Tv per una settimana, niente
uscite con gli amici per un mese, niente pizza per un anno.
Al ricordo, Brodetto sospirò. Dopo quell'episodio, la parola " SPORT " era stata bandita dal
suo vocabolario.
Non riuscendo a prendere la patente ( diciassette tentativi a vuoto- all'ultimo ce l'aveva quasi
fatta, ma, mentre l'ispettore stava scendendo,lui, stordito dalla gioia, aveva mollato di colpo
la frizione, dimenticando di avere il motore ancora acceso, ed il funzionario, con una gamba
fuori ed una ancora sull'auto, si era fratturato una tibia ), aveva comprato una bici,
rigorosamente elettrica: pedalava solo per dare l'avvio al motore elettrico.
Brodetto si guardò l'alluce fungato. Guardava sempre quello, quando era preoccupato, perché
così cercava di scordare le altre preoccupazioni. Il sistema gli era stato insegnato da un
amico: " Ricordati: coltivati un piccolo male, con amore: ti servirà da parafulmine per tutti
quelli più grossi. "
Funzionava QUASI sempre...la sua fidanzata l'aveva lasciato, stanca di vederlo levarsi la
scarpa sinistra per osservare l'alluce piagato, ogni volta che lei cercava di avviare una
discussione su un tema delicato. Fra l'altro, Brodetto eseguiva quel rituale rimanendo in
perfetto silenzio, cosa che faceva andare in bestia la ragazza, fatto inevitabile perché, come
tutti i nostri lettori sanno, l'arma del silenzio è TIPICAMENTE FEMMINILE, e viene usata in
attesa che l'uomo incauto chieda " C'è qualcosa che non va?"
Brodetto stava zitto, e non faceva domande; finché una volta lei gli cosparse il piede di
pomata al cloro, e se ne andò sbattendo la porta.
Da quel momento Brodetto, ogni volta che desiderava una femmina, sospirava, e si risolveva al
vizio solitario.
La pratica trovò il consenso dell'urologo, che gli disse: " Bravo, così eviti il cancro alla
prostata. Però stai sotto la doppia cifra, altrimenti mi deperisci e muori."
Il giovanottone - dimenticavo di dirvi che, a ventidue anni, era alto 2,06 metri e pesava
centosedici chili - sospirò, si levò le lenti a contatto, depose l'apparecchio per i denti, e
cominciò a riflettere.
CAPITOLO 2
La voce che aveva pronunciato quella frase, decisa, senza esitazioni, ma allo stesso tempo
suadente tanto da essere quasi biascicata, non gli diceva nulla. Il contenuto ancor meno. Se
vinci sei fottuto, se perdi con un risultato qualunque sei fottuto, se perdi di quattro OK,
continuava a frullargli nella testa come un tormentone. E più passava il tempo più tentava di
convincersi che era stato un errore, che qualcuno aveva sbagliato numero, che qualcun altro
era il destinatario di quell’avvertimento dal significato misterioso, ma dal tono perentorio.
Brodetto viveva ancora con i genitori. Studiare non era stata né una passione, né una missione.
Aveva obbedito al padre, la cui statura stonava con la sua, che lo voleva “studiato “ per
superare la sua frustrazione di non averlo potuto fare lui, anche se lo avrebbe voluto con
tutte le sue forze, ma “ la famiglia non aveva i mezzi “, continuava a ripetere al figlio per non
fargli sorgere nemmeno la minima incertezza.
Duecentosei centimetri, centosedici chili, una bella stazza, ventidue anni, licenza tecnica,
iscritto al secondo anno di ingegneria, non amava lo sport. I suoi interessi erano culturali.
Avrebbe preferito, se era proprio necessario, un liceo. Che il padre scartò immediatamente e
senza lasciare aperto il ben che minimo spiraglio per un ripensamento: una scuola tecnica gli
avrebbe permesso di avere subito un’eventuale occupazione nella fabbrica dove lavorava lui,
ormai da trentacinque anni.
La madre, casalinga, passava il suo tempo ad accudire la casa e a limare gli spigoli nei frequenti
scontri caratteriali tra padre e figlio. Essendo anche lei minuta come il marito, veniva
spontaneo chiedersi che scherzo della natura fosse stato quel figlio così esagerato nelle
forme. L’avevano chiamato Brodetto perché da loro nomi inusuali, arcaici, non contemplati dal
calendario erano abbastanza frequenti e nessuno se ne faceva meraviglia. Solo che non è ben
chiaro per quale motivo fosse stato scelto quello, che ricordava tanto una zuppa di pesce.
Quando nacque non era un gigante. Pesava oltre quattro chili, ma questo non era certamente
un fatto eccezionale. Lo sviluppo abnorme cominciò dopo i dodici anni ed avvenne in maniera
talmente rapida da spaventare i genitori, che lo fecero visitare da diversi specialisti per
sentirsi sempre ripetere che la tiroide lavorava bene, non c’erano disfunzioni genetiche, era la
natura che così si manifestava. Bah! Forse nemmeno loro se lo sapevano spiegare, il perché.
Qualcosa che non funzionava bene però ci doveva essere, se l’alluce fungato si era cominciato
a manifestare proprio in coincidenza con la fioritura esagerata. Poiché questa patologia
colpisce prevalentemente le femmine, ciò apparve strano, e per questo motivo la diagnosi fu
tardiva e la cura inefficace. Chissà perché una malattia prevalentemente femminile si era
aggrappata al suo alluce. A volte il dolore era lancinante, tanto da costringerlo a togliersi
calze e scarpe e a massaggiarsi con forza e ostinazione, per una remissione della sofferenza.
Con una menomazione del genere nessun tipo di sport che prevedesse l’uso di calzature gli era
concesso. E lui non se ne dispiaceva per nulla. Solo il nuoto poteva essere una soluzione, ma si
faceva troppa fatica a fare agonismo. Così la sua adolescenza e prima giovinezza trascorsero
senza sussulti ed emozioni particolari, eccetto che per la scoperta della natura e dell’universo
femminile che, come spesso avviene, non fu esaltante. Molte azioni solitarie, pochi dialoghi,
molte fantasie, poca concretezza. La sua statura non lo aiutava di certo, le sue coetanee erano
talmente minute che non si associavano a lui per timore, intimidite dalla sua possanza. Quando
conobbe Gina, non gli parve vero. Fu sei mesi prima. Con alcuni amici si era trovato nella zona
del palazzetto una domenica pomeriggio, all’uscita del pubblico dopo una partita di basket
femminile. Dopo che gli spettatori si erano dissolti, apparve un gruppetto di ragazze in tuta
azzurra con una borsa sportiva a tracolla. Scherzavano e ridevano soddisfatte per la vittoria.
Brodetto non aveva grandi nozioni di basket e nemmeno dei campionati e quando l’amico gli
disse che le ragazze giocavano in Serie A la cosa lo lasciò indifferente.
Se vinci sei fottuto, se perdi con punteggio qualsiasi sei fottuto, se perdi di quattro ok.
Continuava a riflettere su quelle parole che continuavano a non dirgli nulla. Nulla. Ma un
significato dovevano pur averlo, se erano state pronunciate e se lui aveva inteso bene quella
frase non rinforzata da una ripetizione.
CAPITOLO 3
In realtà l'entusiasmo di Brodetto durò poco.
La ragazza ( alta 1,94 ) non smetteva di parlargli di schiacciate, schemi, tiri da tre.....ma
soprattutto, a letto, assumeva lei tutte le iniziative, tanto che il nostro ragazzone, complice
anche la statura, aveva a volte la sgradevole sensazione di far l'amore con un maschio.
Ecco perché, quando tutto finì, Brodetto non pianse. Anzi: quella spruzzata di pomata ( un
prodotto nuovo ) gli alleviò un poco il fastidio del fungo, tanto che si recò subito in farmacia
per farne una provvista.
Da quel giorno non volle più saperne della pallacanestro. Non sapeva cosa aveva in serbo per lui
il destino.
In realtà, Brodetto custodiva un segreto nel cuore.
Sua madre, sempre molto - troppo - preoccupata per la sua salute, era tuttavia incapace di
curare l'aspetto affettivo.
Ed allora il ragazzo aveva trovato compenso nelle attenzioni che gli rivolgeva la zia Lisa, moglie
di un fratello del padre.
Questa zia, che non aveva figli, gli faceva carezze, e gli domandava della scuola e delle
amicizie.
Poi, a quarant'anni, un incidente le tolse il marito.
Da allora, lei perse la gioia di vivere, e si lasciò andare. Lavorava, guardava un po' di
televisione, dormiva; e basta.
La mamma di Brodetto, benché gelosa dell'affetto che il figlio provava per la zia, mandava
ogni tanto il ragazzo a portarle ora una porzione di pasticcio, ora una fetta di torta.
Lisa faceva domande a quel ragazzone cresciuto così in fretta, e provava un po' di sollievo.
Poi, un giorno, mentre accavallava le gambe, scorse un lampo negli occhi del giovane.
Era solo un lampo, ma bastò a far sì che lei sentisse la vita rinascere. Il giorno dopo, come per
caso, si fece trovare da lui in sottoveste nera corta con pizzo, e si scusò dicendogli: " Scusa
se mi presento un po' trasandata, ma tra parenti...penso che tu non ci farai caso. " Ma intanto
gli lanciava uno sguardo obliquo.
Lui la sollevò senza dire una parola,e, mentre la portava verso il letto, cercò di ripassare
quanto di meglio aveva imparato navigando su internet ( era vergine ).
Lei lasciò fare.
Da quel giorno i loro incontri furono di una felicità indescrivibile, come capita sovente quando
si amano due generazioni diverse.
Brodetto si metteva sulle ginocchia quella donna piccolina, e la accarezzava come lei aveva
accarezzato lui da piccolo. Lisa mugolava come una micetta.
Poi andavano in camera da letto, e non si stancavano mai.
Purtroppo, una sera, alla televisione diedero il film " Grazie zia ", con Lisa Gastoni.
La mamma di Brodetto, anche per l'omonimia della protagonista, fece due più due, ed un
sospetto terribile le passò per la testa.
Spinta dalla gelosia inconscia, e dall'orrore per l'incesto - che non c'era, essendo la zia una
parente acquisita -decise di spiare il figlio mentre dormiva, sapendo che parlava nel sonno.
La sciagurata sentì Brodetto mormorare " Sì zia, ancora, certo....."
Il giorno dopo, a mezzogiorno, quando Brodetto disse: " Vado dalla zia a portarle la torta.", la
madre lo gelò con un'occhiata, e rispose: " No, d'ora in avanti porto io le cose alla zia Lisa."
Privata di quella felicità che l'aveva fatta rinascere, la zia Lisa si fece venire un tumore, e
morì dopo pochi mesi.
Questo è il triste effetto di chi s'insinua nella ( rara ) felicità degli altri, che sia mamma,
precettore, od altro.
CAPITOLO 4
No, mi dispiace, le cose non sono andate proprio così. Quella raccontata è la versione della
mamma che, come spesso accade, propone una visione obliqua della realtà, oserei dire
logaritmica, dove i dettagli dell’evidenza sono amplificati, mentre quelli della sostanza
appaiono sempre sfumati. Non sto a dilungarmi sui motivi che hanno portato alla conclusione
prematura del rapporto con Gina, ma la storia con la zia non è assolutamente vera. E poi non ci
sarebbero i tempi tecnici per una vicenda così complicata nella sua semplicità, perché non si
può, in quattro e quattr’otto, trasformare un sentimento parentale in una laida vicenda di
sesso transgenerazionale. L’affetto nei suoi confronti c’era, è innegabile. La cognata di sua
madre che non aveva figliato, non per colpa sua beninteso, covava repressa la smania di
maternità, badate bene: di maternità, che riversò su Brodetto, coprendolo di attenzioni e di
affetti dei quali il giovine era stato orfano, e perciò molto graditi e attesi. Qualche tenero
abbraccio (che per la differenza di altezza doveva essere profuso sul divano, e dove sennò?),
qualche bacio di commiato o di benvenuto poteva, per effusione, scivolare sulla bocca, ma
senza ostinazione. Giacere qualche volta accanto, quando il ragazzone non si sentiva bene per
l’eccesso di leccornie ed era costretto a distendersi sul letto, doveva fare scandalo? Far
gridare allo scandalo? No, per certo. Solo le distorsioni dei punti di vista prodotti dalla gelosia
materna potevano trasformare un puro sentimento in una storia di sesso da postribolo.
Perché, sia chiaro, tutta questa triste vicenda si basa su prove esclusivamente indiziarie, che
dico, su fantasie di un sonniloquio. Il dormiente, si sa, emette suoni sotto l’impulso di stress
emotivi, ma non solo. Se i manicaretti della zia erano così gustosi è del tutto giustificata la
sua richiesta di volerne ancora..
La cattiveria della madre, la sua invidia, la sua maldicenza avevano accelerato la progressione
della malattia che aveva colpito Lisa poco dopo la morte del marito, portandola ad una fine
immaturamente precoce.
Riprendiamo il discorso laddove lo avevo lasciato e rigettiamo questa triste e falsa vicenda.
Ritorniamo al periodo della frequentazione con Gina. Effettivamente la ragazza era
esuberante. Sana, piacente, slanciatamente atletica, si torturava in un rapporto molto
complicato con un tristo personaggio dell’ambito sportivo che godeva della fiducia della
società, grazie ad una sua pretesa competenza nel mondo satellitare che avvolge le realtà
agonistiche condizionando le loro dinamiche evolutive.
L’uomo, che mi pare si chiamasse Batard, era da un paio d’anni sul libro paga della RealBasket
s.r.l. e dimostrava di essere a suo agio nell’acquitrino del mercato e degli ambulanti che lì
tenevano la loro mercanzia.
Era conosciuto come uno sciupafemmine, pur non essendo fisicamente molto dotato
(centoottantacinque centimetri scarsi, pancetta incipiente nonostante la trentina passata da
poco ed un inizio di calvizie), ma indubbiamente ci sapeva fare. Lo dicevano in tante, alcune
anche nella RealBasket, come Gina.
Brodetto era esattamente l’opposto. Si può dire pacioccone e con ciò averne disegnato il
ritratto? Sì era proprio pacioccone ed ispirava tenerezza e amore filiale, come era accaduto a
Lisa, la zia. Era esattamente l’opposto di quel Batard che imperversava nella tranquilla
mondanità della cittadina posta tra l’acqua e i monti. Gina vide in lui uno spiraglio di serenità,
una ventata di genuinità, di cui sentiva un impellente bisogno. Un ragazzo su cui contare, che
dava affidamento. Tanto per provare ad uscire da quell’impasse, il tempo necessario per
guarire, come un medicamento per il tempo della cura. Poi, poi, chissà.
Il ragazzo era buono, gentile, oserei dire innamorante ed innamorabile. Viveva con gioia e
semplicità questa splendida opportunità che la vita gli offriva su un piatto biondo, gioendo
dell’intimità e nell’intimità senza porsi troppe domande o crearsi troppe aspettative. Eh sì,
perché Batard continuava ad essere presentemente inopportuno, distraendo la bionda Gina
per il solo gusto di sentirsi sempre e comunque il meglio che una donna potesse desiderare. Si
sa, i paciocconi rimangono tali finché non s’incazzano. Succede anche a loro e se pesano
centosedicichili diventano rogne difficili da grattare. Così una sera, quando Gina gli aveva dato
buca per l’ennesima volta ed era certo che la causa non fosse un allenamento supplettivo, ma
più meschinamente il signor Batard, si sedette ad aspettare il rientro di Gina davanti a casa
sua. Tranquillamente? Fate voi.
Se vinci sei fottuto, se perdi con qualsiasi risultato sei fottuto, se perdi di quattro sei OK.
CAPITOLO 5
Cari lettori, il problema di descrivere i fatti secondo una linea OBIETTIVA è evidente. Ma
questo deve essere considerato un servizio alla RICERCA della VERITA', che non è mai
univoca, per il semplice fatto che nessuno storico è in possesso di tutti i dati.
E quindi si va alla ricerca della versione di chi ha più dati possibile e meno preconcetti
possibile.
Detto questo, è evidente che descrivere i rapporti fra zia e nipote come da postribolo
rispecchia la linea della madre.
La tenerezza che si accompagnava al sesso fra zia e nipote testimonia a favore di un rapporto
dolce e ricco.
E' anche vero che non abbiamo prove circa l'attività sessuale fra i due, e che forse, sì, non
c'era molto di più di qualche bacio appassionato. Ma cos'è un bacio ( alla francese ), se non la
più alta manifestazione d'amore? Chi non ricorda con un brivido il primo bacio con la creatura
amata? Credo che nessun orgasmo possa dare sensazioni altrettanto inebrianti.
Ma penso che su questo ogni lettore potrà dire la sua. Quello che è certo è che il rapporto fra
i due era di quelli che segnano la vita, e che la zia, purtroppo, morì.
Dunque, ritorniamo al nostro ragazzone dopo la telefonata.
Ora sappiamo molte cose su di lui, tranne forse la reale capacità della sua intelligenza. Ma
sarà il prosieguo della storia a rivelarcela.
Pur non avendo frequentato più che tanto il mondo della pallacanestro, Brodetto si rendeva
conto che quella frase, che si concludeva con l'ordine di perdere di quattro, si riferiva ad una
partita di basket. Una partita da giocare, e da perdere in un determinato modo.
Si ricordò che Gina aveva parlato con disprezzo della squadra della vicina piccola città, quella
che tutti chiamavano Portoland:
diceva che era senza lunghi, e quindi destinata a sicure sconfitte.
Andò a vedere la situazione su internet.
Effettivamente le cose si mettevano male, per la squadra di Portoland: a due turni dalla fine
del campionato di B2 era sicura penultima, con le due partite da disputare ininfluenti per il
risultato. Oltretutto gli avversari erano la prima e la terza.
Rifletté: difficile che la telefonata riguardasse partite dal risultato così scontato.
Al termine del ritorno, era previsto che l'ultima retrocedesse, e - formula cambiata per
l'ennesima volta - che la penultima aspettasse per lo spareggio la perdente delle due di sopra.
Lo spareggio sarebbe stato con turno secco, in campo neutro.
" Eccola lì - si disse - la partita del meno quattro. Ecco la partita per la quale si uniscono
interessi degli avversari e degli scommettitori."
Se la squadra di Portoland fosse finita in C, sarebbe stata la fine, con la perdita dei già pochi
sponsors.
Esaminò la situazione della squadra, e vide che era tale da mettersi le mani nei capelli: l'unico
giocatore sopra i due metri era K.O. per tre mesi, a causa di guai alla schiena.
Fece un rapido calcolo: la pausa di Pasqua, due settimane di campionato, una di riposo, una dei
playout " di sopra ", un'altra settimana di riposo: mancava circa un mese e mezzo allo
spareggio secco.
Lesse il regolamento: impossibile reclutare un nuovo giocatore a meno che.....
....a meno che non fosse il prodotto del vivaio.
Brodetto emise un respiro profondo.
Si cavò il calzino, ed osservò l'alluce: era quasi guarito, e comunque non gli dava più fastidio.
Si alzò, andò allo specchio grande, e provò ad alzare le mani: Madonna, si faceva paura da solo!
Tornò a sedersi. Non si poteva rimanere tutta la vita legati ai pensieri negativi, alla mamma
intransigente e fredda, ai ricordi della zia.
Sospirò di nuovo rumorosamente
" E andiamo! ", si disse.
CAPITOLO 6
Quella notte non rientrò nessuno e Brodetto se ne tornò pacificamente a casa con i pugni,
ancora serrati, in fondo alle tasche. Ma la cosa non poteva finire lì. Così il giorno dopo, la
mattina dopo, si recò al palazzetto (chissà perché lo chiamavano così, dal momento che a lui
sembrava un tendone da circo) per capire cosa fosse successo a Gina che aveva il telefono
ancora spento. Delle ragazze nessuna traccia, solo tre camper rom e qualche macchina nel
parcheggio e molti birilli ordinatamente disposti sull’asfalto, a disegnare assurde figure
geometriche per aspiranti motociclisti. Ripassò nel tardo pomeriggio, per maggior sicurezza di
trovare qualcuno. Entrò dalla porta piegando automaticamente la testa e, superata la foresta
di scaffalature metalliche (?), si affacciò sul campo di gioco dove sgambettavano le ragazze.
Cercò Gina e non la vide. Così con due falcate si arrampicò sulle scaffalature (=tribuna) e si
sedette a guardare e ad aspettare.
Sul campo le giocatrici si stavano scaldando, facendo esercizi strani, alcune distese per terra
a guardarsi le scarpe, altre a provare la consistenza delle transenne, altre ancora a fissare il
vuoto del soffitto ( si fa per dire).
Tra di loro si aggirava un tipetto, piccolo, capelli scuri, pantaloncini corti e calzini
maniacalmente aderenti ai polpacci. Le ragazze lo chiamavano Seppia, ma non doveva essere il
suo nome. Chissà perché. La sua parlata era scorrevole, leggermente accentata. Non avrebbe
saputo però riconoscere la sua esatta provenienza. Lombarda? Emiliana? Ligure?
-Ma io ti conosco!,- lo apostrofò un tipo appena emerso dagli scaffali.
-Io no-, rispose Brodetto. Abbronzatura da neve o da cielo, pochi capelli, occhi neri brillanti,
petto ostinatamente proteso, vanamente contenuto da un giubbetto di pelle, eloquio sciolto,
molto sciolto, molto disinvolto.
-Tu sei il figlio di L., non è vero?- gli sorrise smascherando una dentatura ineccepibile.
Brodetto annuì con un leggero movimento della testa e con lo sguardo di chi vuol dire: e con
questo?
- Un tipo come te non passa inosservato in una cittadina come la nostra che vive di pane e
basket! “
Sarà, pensò il ragazzone, e sperò ardentemente di essere lasciato in pace.
Ma l’altro incalzò:- E tu non giochi? - - Se mi conosci lo dovresti sapere. - chiuse Brodetto.
- Non ti ho mai visto qui. - il tipo non mollava la presa.- E’ da un po’ che ti osservo e avrei da
farti una proposta. - -Senti, lasciami in pace. Oggi non è giornata. Addio.Si alzò e senza mai voltarsi uscì nel piazzale.
Gina la rivide la sera, quando gli fece il regalo della pomata al cloro, e, grazie alla sua smania di
sapere che cos’era successo la sera prima, si trovò con la porta sulla faccia, nuovamente
impantanato nella palude della solitudine.
L’incontro con quel tipo che non conosceva lasciò il segno e una minima crepa si aprì nella sua
corazza di antisportivo e il tarlo cominciò a farsi strada. Il terreno era comunque fecondo, da
figlio di una terra dove il basket germogliava anche tra i sassi. Il tipo lo rivide tempo dopo,
poco dopo la telefonata. Ma nonostante la sua carica di simpatia non riuscì mai a legare con lui.
La telefonata restava comunque un enigma, non tanto per il suo significato, ma per il
destinatario, lui, che non aveva alcun nesso evidente con l’enigma in essa contenuto. Un
incredibile errore di persona, non c’era alcun dubbio. O un incredibile errore di digitazione del
numero di telefono, del quale l’autore non si era accorto, nella fretta di non lasciare segni che
potessero far risalire a lui. Pensandoci bene, era solo una minaccia, nemmeno tanto definitiva,
visto che non poneva scadenze e aveva un vago sapore di messaggio in codice.
La chiamata non aveva lasciato traccia sul suo telefonino: numero privato, recitava la lista
chiamate ricevute.
CAPITOLO 7
Come forse i cortesi lettori avranno già capito, i due giornalisti - appartenenti a differenti
testate - , che hanno deciso di descrivere questa storia ( vera, accaduta nel 2013 ), si
avvalgono di testimonianze e materiali diversi, per cui a volte si evidenziano contraddizioni
nella ricostruzione dei fatti, che però non inficiano il succo, il nerbo della narrazione.
Proprio per questo, ho deciso di riportare per intero l'intervista al coach della squadra di
Portoland, effettuata lo stesso pomeriggio in cui Brodetto prese la storica decisione di
cambiare vita.
Domanda: "Coach Basilio, vuol rilasciare un commento sulla squadra?"
Risposta: " Purtroppo, la situazione è chiara. Per noi, il campionato è in pratica finito.
Dobbiamo aspettare lo spareggio per salvarci, e la situazione è tragica fino a rasentare la
comicità."
D: "perché?"
R."Lo sanno tutti. Abbiamo iniziato questo campionato, dopo la retrocessione dell'anno scorso,
senza una lira, abbandonati dal principale sponsor, che ha dovuto pensare a salvare la sua
attività. Abbiamo potuto, con una colletta fra i tifosi, confermare solo il play, una guardia ed
un lungo....tutti gli altri sono giovani regionali, che giocano solo per passione. E come se non
bastasse....( all'allenatore scappa una lacrima )
D: " Dica, senza vergogna."
R: " Siamo disperati, perché ci è venuto a mancare per infortunio l'unico pivot. La squadra che
probabilmente dovremo incontrare è attrezzata con tre lunghi. Anche se non ha alcuna
organizzazione di gioco, tutti i rimbalzi saranno presi da loro.
Noi abbiamo dei buoni schemi, ma non siamo competitivi individualmente. Ho paura che non ci
sia niente da fare, e dico questo pur promettendo che i ragazzi ce la metteranno tutta, come
al solito. Adesso, mi scusi, ma devo proprio andare."
Queste erano le tristi parole dell'allenatore. Parole che confermavano ciò che Brodetto aveva
appreso.
Nel preciso momento in cui veniva registrata l'intervista, il nostro ragazzone così si rivolgeva
a sua madre:
" Mamma, ti saluto "
" Brodetto, che intenzioni hai? E cosa vogliono dire quelle borse? "
" E' ora che dia una svolta alla mia vita. Me ne vado."
" Ma dove vuoi andare? Come farai, da solo?"
" Mamma, bisogna pure che impari ad affrontare il mondo."
" Ah, figlio mio, cosa ti abbiamo fatto, perché tu ci abbandoni? "
" Niente, anzi, troppo. Da una parte avete soffocato la mia libertà, dall'altra avete sempre
avuto apprensione per me, un'apprensione soffocante. Devo imparare a rischiare."
" Ah, Dio mio, ci lascerai fra i rimorsi?!"
" Niente rimorsi, mamma. Tu e papà eravate convinti di fare il massimo, per me. Tornerò a
trovarvi presto. Ti do un bacio....salutami il babbo."
Così, con questa scena da libro "CUORE", Brodetto lasciò la casa in cui aveva sempre vissuto,
ed andò ad affrontare la VITA.
CAPITOLO 8
Circa un anno prima, la nota multinazionale della scommessa HSClick aveva manifestato la
volontà di aprire una sala scommesse in una delle vie centrali di Portoland, al piano terra di un
edificio residenziale, sulle superfici che erano state una realtà commerciale da poco chiusa.
Ne seguì una decisa presa di posizione, negativa of course, da parte del condominio, perché
una sala giochi, bisca autorizzata, era una possibile fonte di tensioni e di disturbi della quiete
pubblica e del buon nome della casa. E dei commercianti su quella della via, e dell’integrità
delle loro vetrine.
La documentazione fornita dalla HSClick era tuttavia rassicurante, ma soprattutto completa
ed ineccepibile, tanto da non consentire eccezioni da parte degli uffici preposti a concedere
l’autorizzazione ad operare su piazza.
L’intervento di styling sugli interni era in perfetta sintonia con il bicromatismo aziendale;
numerosi monitor arricchivano la lunga parete di fronte all’office, trasmettendo gli
avvenimenti sportivi, sia italiani che stranieri, oggetto delle scommesse. Un paio di salette
interne consentivano una maggiore intimità per i cultori delle macchinette (mangiasoldi) e per
rilassarsi in attesa degli esiti gustando un soft drink.
Il gradimento non fu dapprima molto elevato, perché gli abitanti di Portoland erano piuttosto
restii a questo tipo di azzardo, preferendo di gran lunga esperienze più tradizionali, quali la
tombola, od altre più stimolanti per l’entità del montepremi, come il bingo o i soffiaevinci, dei
quali ora, però, si è perso il ricordo, dopo il clamoroso crack della società che li gestiva alla
fine del duemiladieci.
Bene, il gradimento salì progressivamente quando si seppe in giro dell’ampio panorama di
eventi su cui si poteva scommettere, e soprattutto della possibilità di puntare anche su realtà
sportive locali, calcio in primis, ma anche sul basket (maschile e femminile) e sul volley.
La squadra di calcio faceva la parte del leone, grazie alla serie di successi che l’avevano
sollevata fino alle soglie dell’olimpo professionistico, forte di una consistente iniezione di
capitali di un imprenditore locale che aveva fatto fortuna nei mercati balcanici.
Il basket seguiva a ruota, anche se quello maschile si può dire che allora vivesse soprattutto
di ricordi, perché abbandonato al suo destino dopo i fasti di serie professionistiche. Quello
femminile, al contrario e non si capisce bene in ordine a quali dinamiche, aveva risalito la china,
ben sostenuto dalla realtà imprenditoriale, fino a raggiungere la serie A dove stazionava in
una posizione di tranquilla classifica.
L., il padre di Brodetto, appare nei documenti dell’epoca, in qualche misura, collegato con la
sala scommesse per un uno scandaletto di città, che per qualche giorno aveva dato fiato alle
voci cronistiche. Una ipotesi di combine su un risultato di una partita di calcio relativa al
girone di ritorno del campionato, quello dell’ultima promozione. Non ci fu alcuna incriminazione
né sportiva, né penale, ma le chiacchiere si sopirono molto lentamente. E il dubbio rimase.
Bene, L. aveva preso a frequentare il locale come spesso avviene, prima per curiosità, poi per
piccole puntate, incoraggiato dai conoscenti che aveva lì incontrato. Vincite di poco conto,
perdite non traumatiche, ambiente piacevole, quattro chiacchiere, una bibita, due parole,
qualche pacca sulle spalle, discorsi buttati lì, ripresi, approfonditi, convincenti: - Suvvia! non ci
perdi nulla e se vinci vinci un sacco, vinciamo di sicuro, abbiamo qualche amico...Da là a lì il passo è breve. E fu lì che incontrò Tizio, quello che tempo dopo avrebbe avvicinato
Brodetto al tendone dichiarando di conoscerne il padre. Aveva conosciuto anche Batard, ma
solo superficialmente, buongiorno, buonasera, come va?. Quest’ultimo di solito si intratteneva
con un tale non del luogo, ed L. li vedeva parlare fitto fitto con gesticolazione molto, molto
contenuta ed impercettibili smorfie dei muscoli facciali. Poi uscivano risalendo la via verso la
chiesa.
La sala scommesse era diventata per L. una seconda casa, talvolta anche la prima, soprattutto
quando rientrava dal lavoro dopo il turno pomeridiano e si rilassava nel salottino, grato al cielo
di non dover sentire la lagne della moglie nel resoconto petulante delle sue disgrazie. Lei non
sapeva esattamente dove il marito passasse il suo tempo non lavorativo ed era convinta, dalla
disaffezione che le mostrava, che avesse una conoscenza femminile. Il fatto le doleva, ma non
eccessivamente, per la menopausa stabilizzata e la progressiva debilitazione della libido, sua.
Il marito non la cercava né di notte né di giorno e lei, ogni volta che ci pensava (poche, molto
poche) tirava un respiro di sollievo. Non sospettava minimamente che la tradisse con le
scommesse.
"Se vinci sei fottuto, se perdi con qualunque risultato sei fottuto, se perdi di quattro sei OK"
Tizio l’abbiamo già incontrato, anche se fugacemente, al tendone a insidiare Brodetto.
Personaggio di rilievo, per colore, nella vita cittadina, sempre presente nelle espressioni di
mondanità, qualunque fossero, amabile, sorridente, compagnone; lo si poteva trovare tutte le
mattine dopo le dieci preferibilmente al bar Maggiore, quello di fianco alla chiesa, sul lato
ovest della piazza. Chi fosse realmente quest’uomo, una cinquantina d’anni ben portati, non
erano in molti a saperlo, e questi si guardavano bene dal farne pubblicità. Di nascita
portolandiano, una ventina d’anni prima era scomparso dalla città e di lui si erano perse le
tracce. I familiari stessi avevano notizie scarne e saltuarie e ciò aveva fatto sorgere nelle
menti più fantasiose, che non mancano mai, la quasi certezza di un suo arruolamento nella
legione straniera, per via di alcune effervescenze giovanili di cui, però, molti ragazzi sono
portatori sani. La milizia francese, tuttavia, non arruolava più nessuno da molto tempo, per cui
quella pista era assolutamente infondata. Le persone più posate e razionali, dopo aver fatto la
somma dei magri indizi, si erano prefigurate un espatrio verso est a cercare fortuna in
qualche attività estemporanea seguendo l’onda globalizzante, come si diceva in quegli anni.
Quando riaffiorò nella pigra quotidianità locale non fu certo in maniera anonima. Automobile di
grossa cilindrata, abbigliamento costoso, ma di dubbio gusto, sorriso eternamente stampato
sul viso lampadato. Si intratteneva affabilmente con tutti i conoscenti di allora, come se gli
anni non fossero trascorsi, e con i nuovi aveva una tale facilità di approdo da lasciare
stupefatti.
Qualche mese prima si era reso irreperibile per più di una settimana. Al suo rientro, tutti
quelli che lo incontravano percepivano un che di inconsueto nel suo portamento, più che
nell’atteggiamento. Camminava un po’ rigido, impercettibili tensioni si disegnavano nei muscoli
facciali e la parola rallentava per un breve istante, senza tuttavia compromettere l’amabilità e
il fascino della parlata. A tutti quelli che gli chiedevano cosa gli fosse successo rispondeva in
silenzio, con un movimento rotatorio del palmo della mano protesa verso l’interlocutore, che
stava a significare la gravità e nello stesso tempo la temporaneità del danno, la cui causa
rimase sconosciuta. I malevoli, che non mancano mai, sommavano la sua condizione di viveur
con quella del nullafacente, in apparenza, giungendo al risultato di qualche losco intrallazzo
con il quale la sua infermità doveva aver a che fare, per forza.
Gli ambienti sportivi non erano esclusi dai suoi interessi mondani, anche per ricordo di un
passato adolescenziale con brevi soste nei campetti di basket e pallonate sulla terra
dell’oratorio (ora irriconoscibile per via di certe speculazioni edificatorie). La sua esuberanza
lo portava, adesso che se lo poteva permettere, a violare i cieli con ampie e voluttuose spirali,
agganciato ad un velo di supertessuto, ed a scendere con coraggio e padronanza tecnica i
ripidi pendii della vita.
Prese a cuore le sorti della squadra di basket maschile che, dopo i fasti degli anni precedenti,
stava mestamente ed inesorabilmente affondando nelle sabbie mobili del fondo classifica.
Il presidente, il dott. Poeti, autentico italiano, se vale il detto che siamo un popolo di santi,
poeti e naviganti, era un signore di età matura, ma brillante e dalla battuta pronta, titolare di
una piccola azienda di sanitari che attualmente sosteneva , quasi da sola, la squadra dal punto
di vista economico, dopo il disamoramento degli sponsor seguito al deficitario andamento dei
risultati sportivi. Preciso, come un ragioniere ed un geometra di una volta, era al timone della
società GSPortoland da quasi quindici anni e vi era approdato per fare il favore ad un amico,
che aveva deciso di finanziarne l’attività per riconoscenza verso la città e per onorare la
tradizione di una società storica. Da quell’anno, ancora nel secolo scorso, si innamorò di questa
disciplina e della società di via dei Platani e resistette con tutte le sue forze ai vani, ma
reiterati tentativi di usurpazione da parte di figure non nobili attratte dai successi che
pubblicizzavano in Italia il nome di Portoland. Imprenditori che si scoprirono mecenati (falsi e
farisei) e che intravedevano un business nella squadra di basket.
Il pubblico, che nei momenti epici scaldava il tendone con le quasi millecinquecento presenze
medie, si era ridotto oramai a qualche centinaio di aficionados che avrebbero sostenuto la
squadra anche in ultima divisione. L’allenatore, il signor Basilio, gran lavoratore, ma non ancora
santificato, per via dell’insufficente numero di miracoli provati, si doveva arrangiare con il
materiale a disposizione, di scarsa qualità, ma di grande cuore, in sintonia con le poche risorse
delle casse societarie. Il problema dei lunghi era quello più doloroso, oramai da un paio d’anni.
Tizio era convinto di poter essere d’aiuto ed era una assiduo frequentatore delle sedute di
allenamento, dove cercava anche il colloquio tecnico con Basilio, abbandonato quasi da subito
dal DS per motivi economici e assunto dalla RealBasket. Non era molto chiaro a nessuno quale
fosse il tipo di soccorso che Tizio avrebbe proposto. Tuttavia, dopo mille insistenze ed
appostamenti antelucani al presidente quando si recava al bancomat o a prendere il caffè al
bar Minore, quello sul lato nord della piazza, i due accettarono l’invito a un incontro tranquillo
nell’intimità di un locale, con la scusa di una cenetta informale.
Il luogo dell’appuntamento che Tizio aveva scelto era da Teso, che gestiva un ristorante tipico
posto ai piedi del Getsemani, come chiamavano i portolandiani il montarozzo carico di ulivi che,
come una macchina scenica, divide in senso nord sud la pianura strappata, dalla natura,
all’acqua.
L’incontro era stato fissato per un lunedì sera, alle otto. Precisi come orologi arrivarono il
dott. Poeti e coach Basilio. Alle otto e trenta di Tizio ancora nessuna notizia, quando squillò il
cellulare di Teso. Pronto? disse lui..
CAPITOLO 9
Una frizzante brezza primaverile accarezzava lago e passanti.
Brodetto scese dalla bici elettrica, e la parcheggiò presso la porta del Palascassaland, come
veniva chiamata la fatiscente palestra in cui si allenava la squadra di basket maschile, ormai
declassata rispetto a quella femminile.
Dalla porta aperta arrivavano pochi suoni amplificati dallo spazio vuoto.
Brodetto entrò, ed andò a sistemarsi vicino alle transenne, evitando di farsi notare.
Era l'unica presenza sulle scalinate. Il clima era surreale, con i tonfi della palla accompagnati
dallo stridio delle scarpe sul parquet.
Brodetto osservava attento, cercando di capire tutto quello che succedeva.
La palla scavalcò le transenne, e si fermò vicino a lui.
Brodetto si alzò, fece due passi e la raccolse.
Rialzò la testa in un silenzio improvviso: undici paia d'occhi sgranati lo fissavano.
Brodetto esitò: " La palla......volevo solo ridarvi la.......
Dopo qualche istante, il ragazzo più giovane gli si avvicinò e disse: " Ciao. Me lo fai un
autografo? In che squadra giochi? Siena? Milano? "
Brodetto rispose: " Con nessuna squadra. Stavo cercando di imparare."
" Come come? - fece il coach - Non sei nemmeno tesserato? "
" No ."
" Ragazzi, per oggi basta così. Potete andare, restano solo Lupo e Gibi."
Erano i due "vecchi", chiamati coi diminutivi popolari: Lupo, da Pizzicalupo, e Gibi, da Good Boy,
in ragione di un carattere di cristallina generosità.
Coach e giocatori si sedettero vicino al nuovo arrivato.
Basilio gli chiese: " Non hai mai praticato il basket?"
" No, signor allenatore."
" Lascia perdere il "signor". Hai mai svolto attività sportiva? "
" Solo fino a quindici anni. Correvo la campestre per la scuola, ma mi persi e....bè, da allora più
niente. "
" Eri in ultima posizione?
" No. davanti a tutti. Di parecchio. Ero solo."
" Nient'altro? Qualcosa durante le ore di ginnastica? "
" In genere saltavo in alto un metro e mezzo."
Basilio si alzò: " Vorresti metterti vicino al Canestro? Tieni la palla: prova a saltare ed a
metterla in cesto. "
Brodetto lo fece con grande facilità.
" Adesso Gibi ti farà dei pallonetti: prova a deviare il pallone al volo. "
Dopo una decina di lanci, il ragazzone era riuscito a deviarne due in cesto. Gibi annuì.
" Vieni pure qui. Ti piacerebbe essere tesserato per la nostra squadra?"
Un lampo di gioia: " E' quello che speravo, signor...ehm, coach."
" Conosci la nostra situazione? "
" Perfettamente, mister."
" Quante ore sei disposto ad allenarti al giorno? "
" Fino allo spareggio? Quanto vuole."
" Stasera o domani parlerò col presidente. Vedrò di farti tesserare subito. Hai meno di
ventitré anni? O.K. Soldi non ce ne sono, ma vedrò di farti avere almeno un centinaio di euro la
settimana.
Lupo aggiunse: " Anche vitto e alloggio sono gratis, tranne una sera la settimana, in cui ognuno
è libero di andare a mangiare dove vuole. Puoi venire a dormire nell'appartamento dove sono
sistemato io, perché il nostro lungo è a casa in Toscana, e gira con le stampelle."
" Dovrai solo abituarti ad un po' di movimento, - aggiunse ammiccando maliziosamente Basilio ma penso che anche tu abbia del movimento da fare......."
" Da qualche tempo i movimenti li faccio da solo, purtroppo."
Gibi intervenne: " Stando in compagnia di Lupo, vedrai che torneranno le occasioni per
qualcosa di più ampio. "
Basilio aggiunse: " Allora mi pare tutto chiaro. Stasera vai a casa da Lupus, che ora ti scrive
l'indirizzo. Domattina, qui alle dieci. Prima passa nel negozio qui vicino a comprarti le scarpe, e
segna a nome della squadra. Al resto pensiamo noi. O.K.? "
" Il nome: - intervenne Gibi - Brodetto non va. Ci vuole qualcosa di grintoso. "
" Propongo BRODAGLIA. - fece Lupo. Incute timore. Ti va? "
Brodetto annuì: " Come no?. Allora, ciao. " Prese il foglietto con l'indirizzo, ed uscì.
Rimasti soli, i tre si guardarono.
" Che ve ne pare? " - chiese Basilio.
" Ha voglia, è forte, e salta bene." - rispose Gibi.
" Sì, però non conosce un piffero della pallacanestro. Bisognerà insegnargli tutto da zero. " osservò Lupo.
Basilio scosse il capo: " Non tutto. Il palleggio, no. Il tiro da lontano, no. Il terzo tempo, no."
Lupo si stupì: " Stai scherzando? "
Gibi era d'accordo con l'allenatore: " Ha ragione Basilio. Sta a noi impiegarlo nel modo giusto.
"
" Vediamo. - esordì il coach -Con lui in campo, solo zona due-tre, lui presso il canestro, pronto
alla stoppata ( da insegnare ) ed ai rimbalzi. Per la difesa occorre che impari il concetto del
cilindro. Se prende palla, la passa subito ad uno di voi due, da vicino, col consegnato o col
rimbalzo a terra.
Palleggio, niente. Passaggi lunghi, niente.
Poi segue la squadra in avanti - e nessuno gli passa palla - fino all'area avversaria, dove
continua a tagliare. Tiri da fuori, niente.
Se riceve, ai bordi o dentro l'area, tira da vicino con tabella, o schiaccia. Prima può anche
mettere palla a terra, ma non occorre saper palleggiare,per questo.
Rimbalzi, tap in, deviazione al volo. Basta un bel po' di esercizio.
E polso....ce l'avevo, un giocatore che tirava solo di polso tenendo le braccia belle alte...."
concluse nostalgico Basilio.
Gibi interloquì: " I personali..."
" Accidenti, non ci avevo pensato. Un bel problema. Tu Lupo, specialista, che ne dici? "
" Sarà dura. Però io conosco un metodo antico di tirarli, che potrebbe fare al caso nostro: si
tiene la palla in presa bassa tra le gambe, e la si lancia come fanno le bimbe verso il muro."
" Il palazzetto crollerà dalle risate. "
" Chi se ne frega. Basta che entri."
Basilio annuì: " E' vero. Bè, non resta che provare...Lupo, quando BRODAGLIA si esercita sui
personali, fai venire quel che resta della "curva", con bandiere, trombe e tamburi, così il
ragazzo si abituerà ad essere disturbato."
" Ottima idea. - Servirà anche a loro per allenarsi...."
Basilio affermò: " Sarà meglio che rimanga un'arma segreta...vuol dire che gli faremo fare un
solo incontro amichevole, a porte chiuse, pochi giorni prima dello spareggio, con Lavinio, tanto
per fargli assaggiare un po' di clima agonistico.
Gibi aggiunse: " Forse potrebbe imparare anche qualche movimento spalle a canestro, per
entrare. "
" Sarebbe un'ottima idea, ma ci vorrebbe un pivot per insegnare...."
" Conosco io un pivot. - fece Lupo - E' Gina, quella che gioca in serie A."
" Ottima! E' alta quasi due metri, e tosta. Ma....non mi dire che anche con lei...."
" No no. - sogghignò Lupo. Mai con le colleghe. E poi, lei ha avuto fino a poco tempo fa una
storia con un tipo, finita male."
" Chissà che, presentandola a BRODAGLIA, non succeda qualcosa..."
" Non si può mai sapere nella vita. - terminò Gibi. E mise dentro un tiro da nove metri.
CAPITOLO 10
Quel lunedì mattina, quando alle quattro suonò la sveglia, L. non mosse nemmeno un muscolo.
Restò con gli occhi aperti nel buio a fissare in direzione del soffitto l’aria pesante che
impregnava la stanza. Era come in un coma vigile, quando nessun movimento ti è concesso,
mentre le viscere si torcono e il dolore ti sale fino al volto che si infiamma, ma non brucia.
Già da alcuni giorni la sua vita era diventata un inferno a causa dei pensieri che si erano
lentamente accumulati in quei mesi, da quando la passione per le scommesse si era
trasformata subdolamente in un morbo che non riusciva più a controllare.
Si sa, si comincia con piccole dosi di adrenalina, la puntata, l’attesa, l’illusione, lo scoramento, i
proponimenti,buoni, la puntata più consistente, l’attesa più fervida,ecc. ecc. Un circolo vizioso,
si suole dire.
Si sa anche che dietro al gioco, quando si supera la riga, c’è sempre un disagio e più questo è
forte, più marcato è il solco che si crea e più profondo è l’abisso nel quale si scivola. Di motivi,
secondo lui, ce n’erano a vagonate, a cominciare dalla situazione coniugale, da quel figlio
mostruoso che gli faceva dubitare della sua paternità, dubbio subito rigettato, a dire il vero,
dall’insoddisfazione professionale (ancora operaio turnista a quasi sessant’anni), senza
interessi culturali e solo vanaglorie di un passato remoto nel quale, se avesse avuto un pezzo di
carta, avrebbe conquistato il mondo (ripeteva spesso, a se stesso e a chi stava intorno).
L. passò un periodo di sfortuna nera e con gli azzardi tentò di raddrizzare le sue finanze
seriamente scarificate. In casa la megera cominciò ad annusare un po’ di puzza, soprattutto
per la tristezza che aveva oramai colonizzato il suo volto e la sua postura.
Nelle sale scommesse bazzicano anche loschi figuri, uno dei quali l’abbiamo intravisto a
colloquio con Batard. Di nome faceva Pino e si faceva chiamare “o’ professore”, in grazia di
chissà quale competenza, sicuramente non culturale o professionale. Costui pare avesse
l’abilità di fiutare l’odore della disperazione, ed il pelo sullo stomaco lo spronava a trarne
profitto. Frequentava anche l’ambiente della RealBasket che portava sulle maglie il nome di
uno sponsor improbabile, Agrumi di Cabiria, ma facoltosamente presente con investimenti di
peso. Si sussurrava più di un milione, forse un milione e mezzo provenienti dalle piantagioni
della fertile campagna che si adagia alle falde del vulcano. Delle persone fisiche, di quelle che
impastavano la farina col sudore degli altri, non si sapeva pressoché nulla. Colui che appariva
era il presidente, ma di costui per ora non ci interessiamo, o almeno non approfondiremo.
Quel lunedì, finito il turno della mattina, come di consueto, L. si era fermato alla sala
scommesse.
- Vi chiamate L.?- sorrise O’professore rivolgendosi, con una forte inflessione dialettale,
all’uomo che, sprofondato in una poltroncina, era apparentemente interessato alla partita di
calcio che un monitor stava trasmettendo.
- Sì, perché? – rispose L. senza nemmeno alzare gli occhi.
- Forse vi potrei essere utile- continuò O’professore
- E in che modo? Dubito che lei lo possa- tentò di chiudere L.
- Se non sbaglio avete qualche problemuccio, come potrei dire... qualche difficoltà con la
buona sorte e io, io ed i miei amici, siamo in grado di offrirvi una prospettiva più positiva, una
sorte più benevola. Eh, amico, bisogna aiutarla, la fortuna- sussurrò O’professore
accucciandosi un po’ per giungere più vicino all’orecchio di L. – certi discorsi è meglio non
gridarli ai quattro venti, non vi pare? Vi andrebbe di continuare questo discorso da un’altra
parte, magari davanti ad un buon bicchiere di vino?- sussurrò il tipo.
- Vi aspetto fuori, decidete voi se accettare o meno- concluse, e si diresse verso l’uscita. La
massiccia figura dell’uomo, berretto di lana in testa, ciuffi di capelli bianchi che gli sfuggivano
da sotto, braccia ciondoloni e passo pesante, scomparve oltre la porta del salottino.
Quell’incontro lasciò L. molto turbato. I suoi occhi continuavano a fissare il monitor, ma i suoi
pensieri erano costantemente catalizzati dalle parole dell’uomo. Le dita si torcevano come un
riflesso condizionato, la gamba sinistra accavallata si muoveva ritmicamente come gli
succedeva sempre quando si trovava sotto pressione. Analizzò brevemente, con un
automatismo circolare, la sua situazione: le perdite ( ammontavano oramai a oltre ventimila
euro ) avevano prosciugato il suo modesto tesoretto, e non gli restava quasi nulla in tasca,
avendo impegnato anche il suo prossimo stipendio.
Certo, la proposta di O’professore non era una soluzione, lo sapeva benissimo. Quando ci si
trova in queste condizioni che si può fare? Ci vorrebbe il coraggio di accettare le proprie
colpe, di subire la redenzione, che voleva dire affossare sempre più la propria immagine. No.
Concluse che questo non poteva accadere, non avrebbe voluto che il figlio pagasse per le sue
debolezze. Fermarsi in quel momento avrebbe significato darsi per vinto (si sorprese di
questa affermazione, lui che era già sconfitto). Voleva sperare nel miracolo a cui si
aggrappano tutti i moribondi che pregano il loro destino di essere benevolo.
No. Puntò entrambe i palmi delle mani sui braccioli della poltroncina e si sollevò con un rapido
scatto. Si stirò la giacca, si rassettò il collo della camicia, passò le dita scarne tra i radi
capelli per ricomporne la piega e, con passo celere, senza guardare nessuno, guadagnò l’uscita.
Fuori dalla porta, appoggiato al muro con la schiena e con la pianta della scarpa destra, ci
stava O’ professore con il viso avvolto in una nuvoletta di fumo, mentre aspirava grosse
boccate dalla sigaretta perennemente appesa all’angolo della bocca.
- Allora vi siete deciso? Vogliamo fare due chiacchiere in pace?- lo salutò
- Veramente no- mentì L., - non riesco a capire, mi scusi- balbettò – Sa, la sua proposta è
troppo semplice. Dov’è la fregatura?- osò.
- Ma quale fregatura. Noi gli amici li vogliamo solo aiutare- mentì, caricando in maniera
pesante la parola amici. – Noi solo gli amici, aiutiamo- rafforzò.
- Sarà anche vero, ma io non sono Suo amico, La conosco solo di vista- protestò L.
- Io invece no, vi seguo da un po’ di tempo e poi mi siete simpatico- controbatté subito l’altro e mi sono convinto che siete veramente sfortunato. Ma siete sicuro di non avere il malocchio
di qualcuno? - insinuò.
L. strabuzzò gli occhi e cominciò a deglutire con il pomo di adamo che si muoveva vistosamente
in su e in giù. – Ma che scemate sono queste? Mi faccia il favore! Lei offende la mia
intelligenza- si risentì.
-Vabbuò, vuol dire che mi sono sbagliato. Vi ho giudicato male. Voi siete solo un perdente. E
perdente resterete-. Si staccò dal muro e si incamminò per la solita strada verso la chiesa.
L. rimase molto scosso da questa conclusione, lui che si era prefigurato di poter tener testa a
quell’uomo. Non si sarebbe aspettato una conclusione così rapida, definitiva e dolorosa per la
sua autostima. In un attimo realizzò che non poteva gettare questa opportunità di riemergere,
anche se di certo non con la fronte alta, di provare a farcela in fretta anche a costo di
affondare ancora una manciata di centimetri nella palude che oramai gli segnava il collo. Poi
avrebbe smesso. Giuro, giuro e giuro. Se ne fosse uscito indenne la sua vita sarebbe
definitivamente e radicalmente mutata.
Si trovò a fare questa promessa con il palmo della mano destra sul cuore. Le sue dita
affondarono nel tessuto fino a forzare la pelle, in una morsa di disperazione. Guardò a sinistra
e vide O’ professore che stava oramai scomparendo dietro l’angolo. Angosciato, tentò di farsi
un’altra volta quella domanda, ma non si diede la risposta. Non fece in tempo. Le sue gambe si
mossero più velocemente, e si trovò a rincorrere, con l’agilità di un sessantenne, la sua àncora
di salvezza.
Raggiunse l’uomo, che non si muoveva in fretta, misurando i passi sulla strada in salita,
ansimando leggermente anche a causa dei polmoni irrigiditi dal fumo.
-Aspetti, professore,- abbreviò L.,- possiamo continuare il discorso?-Vi interessa, allora, avete capito che vi voglio aiutare, davvero?-Sì, Le credo. Ma mi dica qualcosa di più, per favore-Non qui, venite con me-. La sua voce si fece improvvisamente seria e pure gli occhi si
piantarono addosso a L.- andiamo con la mia macchina. Venite-.
- Dove? Se è lecito- osò L.
- Non fate domande, adesso- chiuse O’professore.
Salirono su un’utilitaria dirigendosi verso Tocsoland, una cittadina poco lontana. Si fermarono
davanti al bar dei Piemontesi, in prossimità del vecchio arsenale militare da tempo
riconvertito a struttura civile. Sullo stretto plateatico una decina di uomini parlavano a voce
alta e con sonorità geograficamente lontane, gesticolando in modo molto vistoso. O’
professore fermò la macchina davanti all’entrata, senza parcheggiare, dando subito la
sensazione di qualcuno che conta. Sensazione altrettanto rapidamente confermata dalla
deferenza che quelle persone gli elargivano con ampi e rumorosi saluti di benvenuto.
O’ professore passò in mezzo a loro rispondendo brevemente e con qualche buffetto sulla
guancia degli ospiti più giovani. Varcarono la porta, -Buonasera professore- salutò la giovane
barista – il solito?- chiese, mentre i due uomini si dirigevano verso una sala interna chiusa da
una porta con scritto Privato.
-Certamente, fiore mio. E lo stesso anche al mio amico- decise l’uomo.
La stanza era del tutto anonima, con un tavolo e quattro sedie e un mobiletto insignificante
sulla parete di fronte all’entrata. O’professore si tolse il berretto di lana lasciando in libertà
una folta capigliatura più bianca che nera, ma che non si poteva definire grigia.
-Allora? Possiamo parlare adesso?- chiese L.
-Pazienza, amico, prima dobbiamo bere per festeggiare il nostro incontro. Lia!- chiamò a voce
alta. La giovane entrò con un vassoio e due calici contenenti un liquido ambrato.
-Vino della mia terra. Generoso, forte, profumato. Fedele, che non tradisce-. O’professore
avvicinò il bicchiere al naso, aspirando il profumo con gli occhi socchiusi.-Sentite, odorate,
godete di questo aroma. Poi sorseggiate, lasciando che le papille si inebrino prima di lasciarlo
scivolare in gola ed ospitarlo dentro di voi.L. era esterrefatto. Davanti a lui c’era una persona inaspettata ed insospettata. L’estasi, però,
durò solo pochi minuti. E la realtà riemerse. Cruda e maligna.
- Bene, veniamo a noi. Sentite, qui con noi si scommette, l’avrete immaginato, no?- L. annuì con
un impercettibile gesto del capo – però si scommette con regole nostre. Non solo su chi vince
e chi perde, ma anche sul tipo di risultato. Voglio dire di quanto uno vince e di quanto uno
perde. Maggiore è la difficoltà, maggiore la vincita. Chiaro, fino a qui?- interrogò
O’professore.
- Non ci vedo niente di nuovo. Queste possibilità ci sono anche nelle sale scommesse. Dove sta
la differenza? – osservò L.
- Le puntate sono alte e le vincite pure. E poi che se.....se sei un amico, vinci sicuro. Voi dovete
solo seguire i miei consigli. Chiaro?- ripeté O’professore.
L., che già era in stato di ansia, cominciò a sudare realizzando che, con quello che gli era stato
rivelato, non poteva di certo, a quel punto, tirarsi da parte. Si era messo proprio in un casino
maledetto e ne poteva uscire, o sperare di uscire, solo andando avanti. Puntate alte! Lui che
non aveva più un soldo. Si preoccupo' di sapere almeno questo.
Schiarendosi la gola chiese: - Alte quanto? Cinquecento? Mille?O’ professore si lasciò sfuggire una risatina sadicamente divertita. – Almeno dieci volte tantorispose e concluse – non meno di cinquemila. Ma di che vi preoccupate, voi siete un amico.
Puntate cinquemila e sono garantiti cinquantamila, come minimo- rassicurò.
L. non riusciva a capacitarsi, a capire che cosa volesse dire quella sceneggiata. Lui che non era
amico di nessuno sarebbe stato invitato ad un banchetto così ricco agganciato da un
personaggio, come minimo discutibile, mandato da chi non si sa. Miseria, che incubo!
- Io tutti questi soldi non li ho. Neanche molti meno, ne ho. Non lo posso proprio accettare
questo affare- balbettò.
- Suvvia, non dite così. Forse non avete liquidi, ma voi avete qualcos’altro che ci interessa assai
di più- disse O’professore con il tono di chi la butta lì e aspetta la reazione per adeguare la
mossa successiva.
Sconcertato, L. rimase di stucco e immediatamente, dentro di sé, almanaccò le sue sostanze
senza arrivare ad alcun risultato. Casa in affitto, una vecchia auto e la bici elettrica del figlio.
Nient’altro. Oltre ai debiti, ovviamente.
- Sentite – l’uomo si fece serio – a noi interessa vostro figlio-.
L. rimase di stucco, come paralizzato. – Sta scherzando vero? Che c’entra mio figlio. Lui non
scommette, studia, diventerà ingegnere, sarà migliore cento volte di suo padre, lui perché?implorò – Che gli vorreste fare?- Nulla, assolutamente nulla di male. Tutt’altro. Gli vorremmo offrire un futuro diverso dal
vostro. Meno mortificante, se ascolterà i nostri consigli, s’intende. Gli amici sanno il fatto
loro, ed anche quello degli altri.- sentenziò.
- Non se ne parla nemmeno! Io... mio figlio non si tocca. Immagino che tipo di futuro. Non La
voglio offendere... me ne starò zitto, ma mio figlio no! Per favore, lasciatelo fuori!- implorò L.
- Ma che avete capito. Gli amici sarebbero interessati al vostro ragazzone per fargli fare
dello sport, per farlo divertire ed anche guadagnare un bel po’ di piccioli. Che.. vi fanno schifo,
quelli? Mi pare che se siete qui non è per una visita di cortesia, no? E allora, non fate il
difficile. Ascoltate. C’è n’è per tutti, tranquillo.- lo rincuorò. – A Lavinia c’è una squadra di
pallacanestro che sta a cuore ai nostri amici e che si agita in acque non proprio tranquille.
Bisognerebbe aiutare a quella con forze fresche e farci vincere il campionato. E’ molto
importante.Non riuscì a completare il concetto perché L. intervenne – ma mio figlio non ha mai giocato,
non sa nulla di questo sport. Come fa a farmi una simile proposta? Che c’è sotto?- Nulla, nulla- minimizzò O’professore. – loro dicono che si può fare, che non è così importante
saper giocare. Deve solo andare in campo pochi minuti, fare presenza e basta-.
Incredibile, pensò L. Anche se non si intendeva di sport giocato comprendeva chiaramente che
ci stava un imbroglio, che lo volevano prendere in mezzo, lui, anzi no suo figlio. Si stava già
alzando dalla sedia per andarsene (senza sapere a come avrebbe potuto farlo realmente)
quando O’professore gli mise la mano sul braccio e bloccò la sua azione.
- Vabbuò. D’accordo. Per ora ne ne parliamo più. Pensiamo al vostro problema di adesso. Vi
faccio una proposta diversa- lo adescò. – Parliamo allora della partita delle ragazze, di quella
di dopodomani sera. La nostra Agrumi di Cabiria incontra la Supermercati BB. Le nostra è a
metà classifica, l’altra sul fondo, quasi retrocessa. Vabbene? Chi vincerà? Semplice, penserete
voi, la nostra. Sbagliato, invece. Perderà...- .
L. continuò: - Possibile, tutto è possibile. Anche nel calcio a volte succede. Non sarebbe certo
una novità-.
– No, certamente, vi do ragione. Ma noi andiamo un po’ più in là...pensiamo di sapere anche con
quale scarto perderanno. E su quello, punteremo. Quattro punti. Ecco, scommetteremo che le
ragazze perderanno di quattro punti. Anzi sarete voi a farla questa scommessa. Cinquemila
euro per quattro punti. Così sistemerete i vostri debiti. Garantito. Potete immaginare, no, le
quote per un pronostico di questo tipo. Ricco, diventerete, ricco. Ascoltate a me-.
L. non disse nulla a quella proposta. Non aveva la forza di parlare. Era come inebetito da
questa prospettiva malandrina, era affascinato di fronte alla prossimità della resurrezione
indolore. Soffocò i gemiti che il suo animo lanciava alla ragione, si fece violenza e rivolgendosi
a O’professore con la voce che tradiva il suo stato di eccitazione, disse: - E per i soldi, come
facciamo?- Non vi preoccupate, ve l’ho già detto, ma per tranquillizzare la vostra coscienza diciamo che,
se perderete, ma non succederà, ve lo garantisco, ci darete la vostra macchina-.
- Ma non vale tanto- tentò di protestare L.
– E’ solo un proforma! Fra due o tre giorni la cambierete e non penserete più a queste
sciocchezze. Così sarete anche meglio disposto a parlare di quell’altro, non vi pare?- lo
tranquillizzò. – Pensate, cinquantamila euro come minimo. Vi rendete conto? Siete veramente
fortunato ad avere questi amici - disse, caricando volutamente l’accento sull’ultima parola, amici che non dimenticano gli amici...-. Non finì apposta la frase, non voleva lacerare quel
sottilissimo filo di fiducia che era riuscito a tessere.
Ora l’incontro doveva concludersi con quello che avrebbe trasformato il filo in una catena. O’
professore si alzò, mise amichevolemente il suo braccio attorno alle spalle di L. e con estrema
tranquillità sortì: - Adesso provvederò a fare la puntata, la ricevuta la conserverò io e voi non
vi perdete il risultato, mi raccomando. Anzi, sapete cosa vi dico? Gli amici vi invitano alla
partita. Sarà una bella emozione, no? Entrerete povero e uscirete ricco. Splendido!L. aveva perso ormai ogni remora e gioiva già al pensiero. Aveva temporaneamente respinto,
pensava lui, il pensiero del figlio. Una volta superati i problemi economici, avrebbe superato
anche l’altro, ne era sicuro. E nel migliore dei modi, si illuse.
Uscito dal locale, respirò a pieni polmoni la fresca aria primaverile e lanciò lo sguardo lontano,
verso sud, verso la distesa d’acqua che si intravedeva appena da quella posizione. Per la prima
volta, dopo molti giorni, si sentiva ottimista, decisamente ottimista. Si trovò, mentre
camminava lungo la strada che lo portava verso casa, a fare anche progetti, una cosa
esagerata per lui.
Arrivato in viale dei Platani si fermò all’altezza delle strisce pedonali per attraversare la
strada. Fischiettava. Non esattamente. Emetteva un sibilo musicale tenendo le labbra tese e
semiaperte per far uscire l’aria che la lingua comprimeva verso il palato, facendole produrre
un vortice sonoro appena trovava un varco tra la chiostra dei denti. Un po’ per aria, come si
dice famigliarmente a uno che non è propriamente con i piedi per terra, scese dal marciapiedi
limitandosi a osservare la sua sinistra. Non scendeva nessuno. Da destra, tuttavia, non si aveva
una buona percezione per la vicinanza della rotonda che coincideva con un’intersezione ad
angolo acuto con la statale. Un’auto che affrontava il viale in salita, proveniente dalla statale,
giunse all’altezza delle strisce a velocità non certo cittadina, quando L. era quasi arrivato alla
mezzaria. Il guidatore, dando prova di riflessi decisamente efficienti, pigiò a fondo il piede
sul freno e il mezzo, moderato dall’abs, non sbandò e si arrestò a pochi millimetri dall’uomo
che attraversava.
Non ci fu alcun impatto, ma l’evento fu ugualmente traumatico per L. che si accasciò a terra,
privo di sensi. La portiera si spalancò in un attimo ed il conducente prestò il primo soccorso
all’uomo che non dava segni di vita.
Un’ora più tardi L. era disteso su un lettino al pronto soccorso dell’ospedale. Una flebo al
braccio, lo sguardo stanco e sofferente, L. si chiese cosa ci facesse Tizio ai piedi del lettino.
- Ti ho soccorso io. Stavo quasi per investirti. Ma dove avevi la testa? Per fortuna che non è
successo nulla, i medici dicono che hai avuto una crisi ipertensiva e che adesso devi stare
calmo. Ho già avvisato casa. Ti terranno qui per stanotte- disse Tizio senza che L. proferisse
nemmeno un suono inarticolato.
- Ho bisogno di dirti una cosa – sussurrò L. che era ripiombato, con la crisi ipertensiva, nella
disperazione. L’euforia era svanita, dissolta, rimaneva la realtà di cui aveva una perfetta
coscienza ed anche di quello che era successo poco tempo prima. Doveva cercare di scaricarsi
di questo peso e non sapeva nemmeno lui il motivo che lo spingeva verso Tizio, forse il suo
sguardo, la carica di simpatia che traspariva dal suo portamento. Non sapeva, veramente. Un
uomo di cui fidarsi, ecco, ciò che gli parve.
- Ho bisogno di dirti una cosa- ripeté – ti prego ascoltami-. Tizio in verità non ne aveva molta
voglia, doveva andare ad una cena alle otto da Teso con il dott. Poeti e Basilio. Guardò
l’orologio, quasi le sette. C’era ancora un po’ di tempo. – D’accordo, ti ascolto. Ma non agitarti,
altrimenti il medico mi manda via- rispose.
L. raccontò cose che Tizio in parte già sapeva, da uomo vissuto. Ma quando sentì accennare la
storia del figlio, gli si accese una lampadina nella testa e l’idea germinale che gli si era
piantata dentro da qualche tempo, prese finalmente forma. Lasciò che L. finisse il suo
racconto e si accorse che man mano che gli fluivano le parole il suo sguardo si rasserenava.
Intanto Tizio aveva già pianificato tutto dentro di sé e disse a L.- Non ti preoccupare. Ho io la
soluzione, a questo ultimo male, beninteso. Tu mi conosci abbastanza per poterti fidare, no?
Senti.- E gli illustrò il suo progetto di salvamento.
Alle otto e quindici arrivò all’ospedale Brodetto. Parcheggiò la sua bici elettrica ed entrò a
passo veloce nel pronto soccorso preoccupato per le condizioni del padre. Chiese informazione
e gli indicarono la saletta dove il padre stava disteso sul letto, flebo e sguardo ora più sereno.
Tizio stava con lui.
- Come stai? Che ti è successo?- si preoccupo' il figlio.- Nulla, cosa da poco, un po’ di
pressione- lo rassicurò il padre.
- Ciao Brodetto- salutò Tizio – ti ricordi di me? Al tendone, dalle ragazze?- Non ci vuole molto a ricordarsi di un tipo insistente come Lei. Come mai qui?- La risposta fu
rapidamente esauriente.
- Tuo padre devi dirti una cosa. Vi lascio da soli un attimo, faccio una telefonata.- si affrettò
Tizio. Erano le ottoetrenta.
- Pronto? Teso, sono io. Di’ al presidente che fra un quarto d’ora sono lì- Chiuse e rientrò nella
stanza.
Si trattenne ancora cinque minuti. L. gli disse che tutto era a posto, anche per Brodetto che
aveva appena raccontato al padre di aver ricevuto poco prima una strana telefonata:
- Se vinci sei fottuto, se perdi con qualunque risultato sei fottuto, se perdi di quattro sei OKIl padre lo corresse:
- Se vince sei fottuto, se perde con qualunque risultato sei fottuto, se perde di quattro sei
OKOra, anche per Brodetto, era tutto chiaro.
Erano quasi le nove quando Tizio, parcheggiata la sua potente automobile, apriva la porta del
locale di Teso. L’ambiente appariva come al solito accogliente, aromatizzato,quella sera, dalle
raffinate sonorità di un sax tenore laggiù, nell’angolo più lontano dall’ingresso. Il musicista, un
tipo maturo dai vistosi mustacchi bianchi, eseguiva degli evergreen con l’accompagnamento di
una base musicale.
I numerosi avventori che riempivano la sala, anche se era un lunedì sera, testimoniavano
l’elevata qualità della cucina e del servizio. L’arredamento sobrio, ma severo, ricordava un
certo stile neoclassico con richiami vagamente nostalgici. I fruitori erano composti da uno
zoccolo duro di affezionati clienti e da turisti ed operatori commerciali che in alcune
occasioni ripopolavano la piccola cittadina.
Il tavolo che Tizio aveva prenotato per quella sera era in una posizione appartata, tranquilla, a
sinistra dell’ingresso e lontano dalla cucina. I due ospiti, come sapete, erano già lì da quasi
un’ora e senza la telefonata delle ottoemezzo forse se ne sarebbero andati. Tizio si avvicinò
con passo veloce e salutò cordialmente con un ampio gesto della mano, ancor prima di
raggiungere il tavolo. Strinse calorosamente la mano al presidente e al coach.
- Scusate il ritardo- esordì – ma ne è valsa la pena. Credetemi-.
I due si guardarono senza capire attendendo la spiegazione che Tizio si sarebbe
immediatamente accinto a fornire.
- C’è stato un piccolo incidente, nulla di grave. La persona coinvolta, che ho aiutato, mi ha
fatto alcune confidenze che mi hanno permesso di dare una forma concreta al progetto che vi
avevo annunciato per la salvezza, sportiva, della squadra. In un primo momento avevo puntato
su una sponsorizzazione che ridesse un po’ di ossigeno alla società e consentisse di cercare
qualche giovane, potenziale talento, da inserire in squadra per superare questo difficile
momento. Il mio innato ottimismo mi diceva che l’avremmo trovato da qualche parte. E questo
incidente me l’ha fatto trovare. Domani, in palestra, coach, arriverà un giovanottone. Più di
duemetri, poco più di vent’anni, grande fisico, ma nessuna esperienza di basket. Zero assoluto.
Ciò che ti chiedo, coach, è di non far parola con nessuno dei giocatori, e tu stesso dimostragli
di non saper nulla, di questo progetto. Infatti ho lasciato al padre il compito di convincerlo a
questo passo e confido, che dico, sono certo, che domani pomeriggio il pupone si presenterà
come spettatore alla seduta di allenamento.Ci fu un attimo di silenzio. Il presidente guardò Basilio, Basilio lo ricambiò. Entrambi sfidarono
Tizio.
-Tranquilli. State tranquilli, la cosa andrà sicuramente a buon fine. Non è la salvezza
assicurata, ma è la migliore soluzione che potessimo sperare. Coach, adesso hai la possibilità
di dimostrare, a tutti, quanto vali. Una sfida, ti aspetta una sfida veramente difficile. Ma
siamo tutti ottimisti. Ce la farai! Ca.... se ce la farai!Con questo, alzò il bicchiere per un brindisi ed il tintinnio dei cristalli diffuse nell’aria i suoi
armonici. Il dott. Poeti, da buon amministratore osò: - E per i soldi?- No se preocupe, doctor. Esto problema no existe. Cin cin- concluse Tizio invitando i due ad
un altro sorso di vino.
La cena durò più a lungo del solito. Piani, strategie, nuovi orizzonti. Finalmente un po’ di sereno
per il GSPortoland.
Caro lettore, qui si chiude l’antefatto come dedotto dalla documentazione dell’epoca. La
ricostruzione ha richiesto tempo e la tua pazienza nella lettura. Il mio coscrittore, ansioso di
catturare la tua attenzione, ha scelto una strada differente, con qualche colpo ad effetto e
anticipatorio delle future vicende sportive e non.
I dati documentali sono stati quasi totalmente utilizzati. Rimane ancora qualcosa,
relativamente alla verità sulla storia mancante di Tizio e alle vicende della RealBasket che
racconteremo se saranno funzionali per comprendere l’evoluzione dei fatti o se qualcuno di voi
lo richiederà.
CAPITOLO 11
Se i pazienti lettori troveranno qualche contraddizione spaziotemporale fra le narrazioni dei
due giornalisti, ciò è dovuto unicamente alla difficoltà di rilettura ed interpretazione delle
fonti.
Prendiamo ad esempio il diario del padre di Brodetto: la calligrafia è quasi illeggibile, la
sintassi confusa, e tutto è così pieno di cancellature da rendere il compito del mio valido e
paziente collaboratore tanto improbo, da essere paragonabile a quello di un interprete di
geroglifici.
Non si deve dimenticare che scriviamo di fatti accaduti nel lontano 2013, quindi dispersi nelle
nebbie del tempo, eppure importanti per capire tanti aspetti della situazione odierna.
Il grande portale si aprì, e comparve un maggiordomo in uniforme bianca e blu.
" Prego Mister, si accomodi. " fece al coach in attesa, sorpreso per tanta accoglienza. E si
avviò, precedendolo nel grande salone.
Decine di lampadari accesi davano la sensazione di essere in una reggia. I passi percuotevano il
silenzio.
Proseguirono in un lungo corridoio, calpestando meravigliosi tappeti orientali, finché il
maggiordomo si fermò davanti ad una porta, facendo cenno, con un mezzo inchino,
all'allenatore di entrare.
Seduto ad una scrivania, in fondo alla stanza, c'era il presidente della squadra maschile di
basket di Portoland.
Aveva davanti a sé una montagna di carte, e stava fumando un grosso sigaro.
" L'aspettavo, caro Basilio, l'aspettavo. Si accomodi, prego. Gradisce un sigaro? "
" No grazie, Vostra Mae...ehm, Presidente.
" Suvvia, non si faccia pregare. Lo prenda. Vuol dire che lo terrà in serbo per più tardi. "
" A che cosa devo tanto onore? "
Il presidente prese la carta che era in cima alla pila, e la passò a Basilio senza dire una parola.
Basilio prese la lettera, la lesse, e sbiancò in volto.
Il presidente lo stava studiando: " Come, non ha niente da dire? E sì che mi sembra una buona
risposta alle sue richieste. "
Il coach si sentiva mancare. Trovò la forza per dire: " Non è uno scherzo, vero? "
" Via, Lei mi conosce! Non ne faccio mai, io, di scherzi. Mi dica: non le va bene? "
Basilio lesse ad alta voce: " Io sottoscritto (etc), Presidente della squadra di basket della
città di Portoland, ACCETTO la lista dei giocatori di cui sopra, propostami dall'allenatore
Basilio, e m'impegno ad ingaggiare entro il mese di agosto tutti i presenti nella lista, in modo
da avere la squadra pronta almeno un mese prima dell'inizio del campionato 2013 - 2014.
In fede, ( data e firma )."
" C'è qualche nome che non Le va più bene? " domandò il presidente.
" Qualche nome? Ma qui lo spazio per i nomi è lasciato tutto in bianco...."
" Eeeeesatto, mio bravo coach. In bianco, finché Lei non li avrà scritti tutti. "
" Vuol dire...che io potrò scegliere chi voglio....e Lei pagherà tutti gli ingaggi? "
" Ma naturellement, mio caro Basilio. Vede, ultimamente i più grossi imprenditori della zona
hanno capito l'importanza della sponsorizzazione, sia per la loro attività, che per il bene della
città intera. Mi hanno telefonato a gara, chiedendo, addirittura implorando di poter diventare
il primo sponsor. In alternativa, sono disposti a creare un pool di sostenitori - una ventina - a
sostegno del nostro basket maschile."
" E questo vuol dire...."
" E questo vuol dire soldi, una montagna di soldi, caro il mio Basilio, per i giocatori, per lo staff
tecnico, e naturellement per Lei, che avrà finalmente uno stipendio degno delle sue grandi
capacità. Con un aumento del....ma provi Lei, a dirlo."
" Del trenta per cento? "
Il presidente si contorse dalle risate: " Via, non mi prenda in giro! Molto di più. "
" Il ...doppio? "
" Facciamola finita: il quintuplo. Lei lo merita, caro Basilio, ed il merito va ricompensato."
" Non....non ho parole..."
" E allora non dica nulla, mio charmant allenatore! Ed ora mi scusi, ma tutti questi signori indicò le carte - aspettano una risposta. Non voglio farli aspettare. Sa, altrimenti potrebbero
impermalosirsi. Arrivederci a presto, e faccia in fretta a compilare quella lista, prima che la
concorrenza si freghi i migliori. A presto, caro Basilio. "
Il maggiordomo lo aspettava, per riaccompagnarlo fino al portale. Ivi giunti, Basilio venne
salutato con un inchino.
Quando uscì, un applauso scrosciante lo colse di sorpresa.
Migliaia di persone attendevano nella piazza il suo arrivo.
Subito dopo l'applauso, partì la ola.
Al termine, dopo un triplice " HURRA'! ", la folla si aprì, e calò un improvviso silenzio.
Due Re Magi, uno nero ed uno bianco, avanzavano lentamente nel corridoio lasciato libero.
Quando furono vicini, Basilio riconobbe il nero Chiè ed il bianco Tramoggia. Entrambi
s'inchinarono, e gli porsero i doni: una tabella dorata con la scritta " Tiro in sospensione ", ed
un libro con la copertina costellata di pietre preziose, dal titolo: " Correre e rimbalzi: ci
pensiamo noi."
Basilio pianse di gioia, ed abbracciò a lungo i ritrovati pupilli, fra urla di giubilo, accompagnate
dalle sirene dei vaporetti nel porto.
Mentre un soprano duettava con un tenore nell'interpretazione rock di " Adeste fideles
" ( Siate qui con noi, fedeli ), decine di splendide ragazze pon pon, a malapena ricoperte da
gonnellini da lambada, ballavano, ed eseguivano la ruota. Il tutto si ripeté al ritmo dell'antica "
Tequila ".
Basilio riconobbe il solo uomo in mezzo alle fanciulle: Pizzicalupo, che gli strizzava l'occhio,
mentre suonava un tamburo.
Peccato che il tamburo venisse percosso così forte, in modo fastidioso.....molto fastidioso......
Bussavano alla porta: " Basilio! Basilio! Guarda che siamo già tutti in palestra! Manchi solo tu! "
Alzandosi dal letto a fatica, il coach andò ad aprire, e si trovò di fronte il grintoso giocatore:
" Dai Basilio, ma lo sai che ore sono? Hai fatto le ore piccole stanotte, col presidente, eh? Noi
stiamo allenando BRODAGLIA, ma tu devi venire subito! "
Basilio andò a lavarsi in bagno.
Ma che strano, quel sigaro sul lavandino.......
Quando arrivò in palestra, Basilio percepì molta tensione.
I giocatori più giovani erano seduti sulla panca, pronti per l'infermeria. Brodetto si stava
esecitando ai tap-in, con l'aiuto di Gibi.
" Che succede qua dentro? " domandò il coach.
Uno dei disastrati parlò a nome di tutti: " Abbiamo solo riso un po', a vedere come Brodo tira i
personali...e poi, giocando, ogni volta che tentavamo di entrare lui ci menava di santa ragione.
Ti abbiamo aspettato, solo per dirti che con QUELLO LI' non ci giochiamo più, e abbiamo
deciso di andarcene.
Si alzarono in cinque, e si diressero verso la porta.
" Porca puttana "
Era stato Lupo a parlare, in tono sommesso.
Dovete sapere che, quando Lupo mormorava " Porca puttana " in tono sommesso, calava un
silenzio da film horror, i topi svenivano in apnea, e persino le mosche guadagnavano l'uscita...se
ce la facevano; le altre sceglievano il suicidio stampandosi contro i tabelloni.
" Porca puttana - ripeté Lupo dirigendosi verso i miserelli, impietriti come statue bibliche di
sale - QUELLO LI' è l'unico che ci può salvare il culo nello spareggio. Se voi lo avete deriso, ve
le siete andati a cercare. Adesso voltate le chiappe e dirigetevi strisciando verso il coach,
prima che mi venga la tentazione di completare l'opera iniziata da Basilio."
Con le orecchie visibilmente penzolanti verso terra, i rivoltosi si schierarono rispettosi
davanti a Basilio, il quale, con uno sforzo tremendo per evitare di scoppiare a ridere, riuscì a
far finta di nulla, e diede le disposizioni per una partitella cinque ad uomo contro cinque a zona
con Brodetto.
Gibi osservò: " Scusa se mi permetto, coach ( sempre molto rispettoso, il Gibi ), ma non
sarebbe il caso di insegnare prima qualche fondamentale a Brodo? "
" Preferisco fargli provare subito la posizione da tenere in difesa, e qualche tiro da sotto.
Poi, certo, andiamo con i fondamentali. Non ti preoccupare, Gibi, ho il piano di allenamento
bene in testa."
" Non dubitavo. Scusa, Basilio, se mi sono permesso."
" Manca l'inchino, e la musica barocca. - intervenne Lupo - Ci stiamo dimenticando di essere
qui per allenarci duramente? O dobbiamo metterci a studiare il " Galateo " di Monsignor della
Casa? "
Basilio e Gibi si voltarono dall'altra parte, per nascondere un sorriso.
Sapevano entrambi, per esperienza, che, dopo il " porca puttana ", occorreva circa mezz'ora
perché Lupo smaltisse l'adrenalina in eccesso.
Poi cominciò sul serio l'allenamento.
CAPITOLO 12
Il bar dei Piemontesi si trovava (non so se ci sia ancora) all’interno di un pugno di case,
anagraficamente antiche, incise da una stretta via che si slarga solo nel centro dove si
affaccia la vetrata del locale. Cosa abbastanza bizzarra, ma non così tanto come potrebbe
sembrare, è che il nome dell’agglomerato e del vicino torrente, uno dei due che percorrono il
territorio di Portoland, è quello antico del Tevere.
Non è sicuramente difficile comprenderne il motivo viste le preziose e ricche testimonianze di
una presenza romana, decisamente radicata, affiorate, sia dentro che fuori della cittadina,
dopo il duemila, con lo sviluppo edilizio di quegli anni.
L’agglomerato si trova a nordovest del centro urbano, in prossimità dell’Arsenale militare
riconvertito a struttura civile, dopo che era cessata la necessità della difesa dei confini
orientali. Non è ben chiaro perché il bar avesse quel nome che si portava dietro da alcuni
decenni. E forse non è nemmeno così importante saperlo.
Sta di fatto che da alcuni anni la zona era stata “colonizzata” da migranti insulari professanti
una mercantilità nomade di dubbia serietà. Gli interpreti principali venivano definiti
“pataccari” per la loro abilità, in parte genetica e in parte acquisita, a convincere il turista ad
acquistare, per buoni, dei prodotti di bassa qualità, imitazioni di cose belle. Abbigliamento e
orologi, soprattutto.
Per un migrante l’esigenza primaria è quella di formarsi una famiglia, ma non tanto quella
canonica, bensì quella di sangue. Un clan, si direbbe nel mondo anglosassone. Con un capo che
protegge la sua gente e la guida.
O’professore era giunto al nord non molti anni prima e non aveva esercitato mai la professione
mercantile. Si occupava, per l’apparenza si diceva, di un’associazione che mirava al
mantenimento delle tradizioni della terra d’origine e a scambi enogastronomici con la realtà
che li ospitava. Questa era quindi la motivazione principale per i suoi frequenti viaggi al sud da
dove ritornava sì con il furgone carico di prodotti di quella terra, ma anche con la borsa piena
di consigli, suggerimenti, ordini.
Alcuni mesi dopo il suo arrivo affittò, per conto di qualcuno, un ampio interrato all’interno di
un centro commerciale tra Portoland e Tocsoland, dove venivano stoccati gli agrumi ed altri
prodotti agricoli pronti per la distribuzione.
A Portoland, oltre alla squadra maschile di basket, aveva fiorito per molto tempo anche una
compagine femminile che si era sempre sostenuta con le proprie risorse, militando con onore
in campionati nazionali. Le forze economiche, insufficienti, non le permettevano di fare il salto
di qualità che ogni dirigente spera e sogna, pur credendo fermamente nella validità del
progetto sociale ed educativo che la società portava avanti, richiamando a sé un numero
davvero ragguardevole di ragazzine.
Fu così che nel febbraio di tre anni prima O’professore si imbatté, per caso disse sempre lui,
nel rag. Colita, presidente della Rosabasket. Tra i due c’era una debolissima conoscenza dovuta
ad una vicenda di contenzioso fiscale che aveva infastidito uno dei suoi ragazzi.
- Buonasera ragioniere- ossequiò. –Vi ricordate di me? Sono Pino C., ma tutti mi chiamano,
esagerando, O’professore.- No, non mi ricordo- tagliò corto l’altro. Si fermò e scrutò l’uomo, serrando un po’ gli occhi
come fanno i miopi per mettere meglio a fuoco l’immagine. – No, mi dispiace.- Suvvia, ragioniere, non vi ricordate del contenzioso di Pasquale P. e della persona che era con
lui per accertarsi che tutto finisse come avrebbe dovuto finire, senza sorprese?- aggiunse
O’professore.
-Sarà, ma vi assicuro che, anche se dovessi averlo, sarebbe un vaghissimo ricordo....un nulla- Non importa, non importa- minimizzò O’professore . – Sentite, noi due ci dobbiamo vedereproseguì con tono che non lasciava margini.
- Se mi conosce, sa anche dov’è il mio studio. Telefoni alla segretaria e si faccia fissare un
appuntamento- tagliò corto e in maniera risoluta.
- Certamente, si può fare anche così. Ma vi suggerisco di essere un po’ più gentile con me.
Siccome non mi conoscete, dite voi, ve lo ricordo di essere più gentile- disse.
- Si tolga dalle scatole, per favore. Adesso non ho tempo da perdere con i tipi come lei. Buona
sera- e si allontanò con passo svelto.
O’professore seguì, con un accenno di sorriso sulle labbra, ben piantato sulle gambe e mani
sprofondate nelle tasche, l’omino che se ne andava. Ci rivedremo molto presto. Disse tra sé. E
riprese la sua strada con la solita andatura misurata.
Il rag. Colita aveva il suo ufficio in via del Vento, al secondo piano di una palazzina dall’aspetto
severo, ma signorile, circondata da una striscia di prato ben curato che le dava ulteriore
prestigio. Uomo e professionista tutto di un pezzo reggeva le sorti della società femminile in
quel periodo di difficoltà con molto rigore, ma poca passione. Quasi un lavoro di cui occuparsi
negli orari canonici, non in quelli del tempo libero. La gestione sportiva era affidata ad un
giovane ed entusiasta personaggio motivato, oltre misura, dalla paternità di una giocatrice.
Costui, come tutti gli altri collaboratori, svolgeva volontariato sottraendo gran parte della sua
disponibilità temporale alle normali incombenze. Mauro, questo è il suo nome, era il padre di
una ragazzina di quattordici anni alta quasi un metroesettanacinque. Una promessa, dicevano
tutti quelli che la conoscevano e l’avevano vista giocare. E cosa c’è di peggio di un padre che
vuole il successo, sportivo, per la figlia che gioca in una squadretta di provincia e che sogna
per lei la serie A?
Poco.
O’professore aveva voluto seguire il consiglio del ragioniere. Telefonò, prese l’appuntamento e
puntuale si presentò dinanzi alla segretaria. Lei lo fece accomodare nel salottino e dopo pochi
minuti lo avvisò che il rag. Colita lo attendeva.
Quando superò la porta, vide il professionista curvo su un documento, con la fronte sostenuta
dal palmo della mano destra ed il gomito ben piantato sul piano della scrivania.
- Buon giorno, si accomodi- esordì, sbrigativo, senza il minimo movimento del capo – cosa posso
fare per Lei?- Nulla – rispose pacatamente O’professore.- Forse io, cioè noi, possiamo fare qualcosa per
LeiA quella frase il ragioniere sollevò lentamente la fronte e fissò colui che lo fronteggiava con
l’atteggiamento di chi si sta chiedendo il perché di questa presa per i fondelli.
- Sentite un poco di curiosità o preferite che me ne vada- continuò – Non sono qui a farvi
perdere tempo, ma a proporvi un affare. E non da poco-.
Il ragioniere continuava a rimanere zitto e a fissare il suo antagonista per carpirgli
un’anticipazione. Gli occhi dell’altro si mantenevano inespressivi, come inalterati erano i tratti
del volto che nulla lasciavano trasparire. L’altro decise di giocare d’anticipo:
- Persone fidate e onorate sarebbero interessate a investire una somma interessante in una
attività sportiva....- E perché si rivolge a me?- lo interruppe il ragioniere – che interesse ci può essere ad
investire in una squadra di ragazzine?
- Solo quello di essere riconoscente alla città che ha accolto, e bene, molti loro, e miei,
conterranei che qui hanno potuto avviare un’attività lavorativa onesta e serena.- Lasciamo perdere questi argomenti, per favore. Non dica stupidaggini- reagì Colita – non
sono né nato ieri né un povero interdetto. Qui la beneficenza, leggi sponsorizzazione, non la
fanno nemmeno coloro che di benefici ne hanno avuti, eccome, ma hanno la memoria corta e le
tasche cucite e le lacrime sempre disponibili. Mi faccia il favore, lasci perdere questi discorsi,
con me non attaccano-.
- Guardate ragioniere che state rifiutando una offerta che difficilmente potrà ripetersi. Voi
vi permettete, anzi vi prendete la responsabilità di negare un futuro sportivo alle ragazze che
vengono in palestra. Ho ragione di credere che se facessi la stessa proposta al direttivo, voi
andreste in minoranza. Noi non vorremmo che ciò accadesse perché saremmo interessati a che
voi continuiate a dirigere la società e a gestire bene il nostro investimento-.
Ci fu un attimo di silenzio.
- il nostro progetto è serio- tentò di essere convincente O’professore- l’anno prossimo la
promozione in A2....-Ma cosa dice- sbottò il presidente – bisogna prima passare per la B1! Salti non se ne possono
fare, di così lunghi- Allora la cosa comincia ad interessarvi- insinuò – posso proseguire?
- No, no, guardi, lasciamo perdere. Io a questi discorsi non ci credo. Proclami di chi pensa di
ottenere tutto con i soldi. E quando si stufa e se ne va non rimane più nulla. Il deserto. Io sono
convinto che il bene di questa società sarà quello di restare dov’è. Con le ragazzine che
vengono in palestra e che si divertono. Quelle brave, che hanno talento e cuore, la loro strada
sportiva, se vorranno, la troveranno lo stesso. Per favore, se ne vada e mi lasci lavorare che di
tempo ne ho già perso troppo. Cerchi qualche altro ingenuo, o disonesto, per le sue porcherie.
Io non ci sto. Chiaro? E lo dica anche ai suoi amici!- Il ragioniere Colita, presidente della
Rosabasket con questo mise la sua pietra tombale sulla profferta di sponsorizzazione.
- E’ probabile che ci risentiremo, ne sono sicuro- disse congedandosi – noi abbiamo pazienza e
sappiamo essere convincenti-.
- Le solite chiacchiere. Vada, vada. Buona giornata- lo liquidò senza appello.
Pensate che la cosa sia finita lì? Errore.
La partita era appena cominciata ed era una partita importante per il significato che avrebbe
assunto sul tessuto sociale (e quindi anche economico) il radicamento della famiglia in un
settore così sentito dalla popolazione.
Mentre percorreva la via del Vento in direzione della chiesa dell’Ottagono non era per nulla
preoccupato. Avrebbe preferito la soluzione tranquilla, condivisa dal Presidente. Senza intoppi
e complicazioni. Ma se questo non era possibile occorreva un’altra strategia. Che non tardò a
mettere in atto.
Ciro, lo scugnizzo quindicenne di Pasquale B., frequentava la scuola di ragionieri, il primo anno,
a causa di qualche intoppo durante le medie per eccessi di esuberanza. Nella sua classe,
maschi e femmine, alcune di queste giocavano a basket e lui, sfoggiando il motore regalatogli
per la passata promozione, amava fare un po’ il bulletto con le sue compagne. Era un ragazzo
spigliato, guascone come molti suoi conterranei, spiritoso e …sì, benvoluto da tutti per la sua
simpatia.
Niente di strano quindi che conoscesse molte adolescenti, e la cosa era anche decisamente
risaputa in giro, per via di una certa sfrontatezza che lo portava ad esagerare sulla qualità e
quantità delle sue conquiste.
Non fu quindi difficile per O’professore rendersi conto che quella di Ciro poteva
rappresentare l’arma, il cavallo di Troia, per insinuarsi nella Rosabasket partendo dalle sue
viscere.
Incontrò Pasquale al bar e gli offrì da bere. Tra un sorso e l’altro gli accennò che avrebbe
avuto piacere di fare due chiacchiere con Ciro, per un lavoretto, gli disse. Cosa da poco,
aggiunse per tranquillizzare il padre che, comunque, aveva una fiducia cieca nel compare.
Un paio d’ore dopo, il ragazzo si fece vivo con l’uomo che sedeva tranquillamente nel locale
fumandosi una sigaretta e infischiandosene del divieto che compariva, a lettere incerte, sulla
parete proprio laddove era più difficile da notare. E quindi da rispettare.
- Senti un po’ Ciro, tu conosci, no, le ragazzine che giocano a pallacanestro, quelle della tua
scuola...- Anche le altre, se è per questo, e anche quelle che non giocano- si vantò il ragazzo
-Bene, molto bene- continuò O’professore senza dare importanza alla seconda parte della
risposta- a me interessa sapere se è vero che c’è una ragazzina di quelle brave a giocare e che
tu conosciIl ragazzo ci pensò su un attimo e rispose – Ce ne sono un paio che io conosco- Sì, ma a me, io voglio sapere se ce n’è una brava brava, di quelle più brave della sua etàinsistette l’uomo.
- Ho capito, voi vi riferite a Martina, quella spilungona. Che tra il resto è anche carina,
peccato che sia troppo alta per me. Ma quando crescerò....- non finì, lasciando chiaramente
intendere qual era la conclusione che gli premeva fosse recepita.
- Informati a che ora e in che giorni ci sono gli allenamenti, così, poi, mi accompagni, ché mi
interessa vederle, queste picciotte-.
Ciro rimase leggermente sorpreso da questa richiesta, ma non ribatté nulla. Era stato
abituato a fare poche domande in genere e nessuna a certe persone. E O’professore era una di
queste.
Non passò molto tempo prima che giungesse a destinazione l’informazione richiesta.
Efficiente, il ragazzo, concluse O’professore che gli comunicò di farsi trovare lì al bar quella
sera verso le nove.
La palestra dove le ragazze si allenavano era poco lontana. Un edificio parzialmente infossato
nel terreno, con il campo bordato da poche file di gradini in cemento e una balaustra metallica
su quello più basso. Quando entrarono l’uomo e il ragazzo, l’allenamento era già in corso. Una
decina di giovani, alcune decisamente, altre meno, si muovevano sul parquet seguendo le
indicazioni di una signora in tuta azzurra dall’aspetto e portamento atletici. O’professore non
ci capiva nulla di basket e nemmeno gli interessava come sport. Lo faceva solo per dovere e
rispetto di chi gli aveva chiesto questo favore.
Si fermarono alla sommità della gradinata, nello spazio tra due pilastri, appoggiati alla
ringhiera, e osservarono.
- C’è, questa Martina?- chiese l’uomo al ragazzo
- Sì- rispose Ciro – è quella là con la fascia azzurra sulla fronte- e indicò con la mano la
ragazza che appariva nettamente più giovane di tutte le altre, ferma in attesa di ricevere la
palla per andare a canestro.
O’professore osservò con attenzione la scena e cercò immediatamente dei riferimenti visivi,
scrutò le persone presenti ai bordi dell’ immagine, interessato a cogliere qualche elemento che
gli consentisse di associare la ragazza con il padre che non conosceva e che ci doveva essere.
Un po’ dai tratti somatici, da qualche somiglianza che credette di percepire, decise che
doveva essere quello in piedi vicino alla panchina delle giocatrici, un uomo alto e slanciato dallo
sguardo attento, che applaudiva la ragazza ad ogni gesto atletico e tecnico ben riuscito.
Congedò Ciro, ringraziandolo e invitandolo a tornare a casa, senza fermarsi in giro, gli
raccomandò. Uscì nel cortile a fumarsi una sigaretta e a preparare la mossa successiva.
Quando la seduta terminò erano quasi le dieci. Le giocatrici rientrarono alla spicciolata nello
spogliatoio e gli spettatori, tutti in qualche misura coinvolti nella società, si diedero da fare
per riordinare l’ambiente che, la mattina seguente, avrebbe ospitato le lezioni di ginnastica
scolastica.
O’professore attese pazientemente che il padre di Martina risalisse e sulla porta d’ingresso lo
affrontò complimentandosi:
- Brava, la vostra ragazzina. Una futura campionessa- lo adulò
Mauro girò lo sguardo verso l’omone dai capelli bianchi, che gli si era rivolto con un accento
decisamente inconfondibile, con un’aria interrogativa a chiedersi se lo conoscesse.
- Grazie. Ma è un po’ troppo presto per dirlo- tentò di concludere, senza approfondire .
-Ma la stoffa c’è, si vede – mentì O’ professore – lasciatevelo dire da uno che se ne intende.
L’importante è non sprecare questo talento. Oh, quante volte ho visto giovani promesse
scomparire per incapacità dei tecnici e delle società quando sono gestite da dilettanti!
Quando si hanno per le mani giovani così promettenti ci vogliono professionisti per saperle
valorizzare. Non vi pare?Mauro, che già di suo aveva qualche perplessità sulla conduzione societaria così poco
innovativa e poco votata alla valorizzazione dei giovani, e concentrata solo a cercare di
mantenere quel poco che c’era, non poté che assentire perché, in cuor suo, era convinto che la
sua Martina sarebbe diventata una campionessa. Se la sognava in serie A, lui che avrebbe
voluto anche per sé, nel passato, un avvenire di gloria sportiva.
- Le devo dar ragione, ma i soldi sono pochi, troppo pochi per avere uno staff tecnico
professionale e professionista in grado di far crescere le nostre giocatrici e portarle in alto.
E il nostro presidente fa i salti mortale per far quadrare il bilancio e garantire una
permanenza onorevole in un campionato nazionale...-...ma..- aggiunse O’professore- non vi piacerebbe che il vostro sogno si potesse in qualche
modo realizzare?- Eh sì, sarebbe bello... Sognare è lecito e non costa nulla- concluse scoraggiato Mauro –spero
solo che la mia ragazza non si disamori e decida di abbandonare se non vede risultato al suo
impegno..- Sentite, vi andrebbe di fare due chiacchiere, domani, dopodomani, quando pare a voi su
quanto ci siamo detti, perché forse c’è il modo di fare il salto di qualità. Per ora non diciamo
altro. Pensateci e fatemi sapere se la cosa vi può interessare. Anzi no, se permettete vi
contatterò io. Vi va? Due chiacchiere senza impegno, ma con più calma e animo ben disposto in
un ambiente tranquillo- propose.
Mauro restò sorpreso di questa proposta così inattesa e si scoprì a riflettere senza
costrutto, tanto che balbettò una risposta generica:- sì va bene, ci sentiamo.. forse, non so,
non so cosa dire, ci devo pensare..- e si zittì. – Scusi, adesso devo andare, mia figlia di sicuro è
già pronta e mi aspetta-.
- Buona notte. Riposate bene e pensate a quello che vi ho detto. A presto, allora-. Affondò la
mani nelle tasche, rannicchiò la testa dentro le spalle e, sigaretta in bocca, si incamminò verso
la sua tana.
The woodworm rule, la legge del tarlo.
Non passò molto tempo, solo quello sufficiente a far sì che l’ambizione umana, lecita
beninteso, prendesse il sopravvento sul buon senso, la misura, la razionalità.
La questione fu trattata con notevole mestiere da O’professore che aveva subito compreso
con chi aveva a che fare, come spiegò agli amici di laggiù.
- Mi serve del materiale buono, convincente. Foto, ad esempio, di quelle con la squadra, primi
piani, una cosa fatta bene, dove ci sono anch’io, dentro. Non credo che avremo molte
difficoltà. Solo un po’ di pazienza, serve. Bacio le mani- disse e chiuse la telefonata.
Due giorni dopo arrivò il plico con i documenti richiesti. O’professore lo esaminò e si
compiacque della sua figura a fianco di quella di Irina (un fotomontaggio, beninteso, ma molto
credibile). Miezzeca, quant’era alta quella biondona!! esclamò dentro di sé. La squadra...la
squadra con lo staff tecnico... dettagli delle atlete ...primo piano dell’allenatore, il famosissimo
Vladimirov e.. tocco finale, e magistrale, un poster con la dedica a Martina...Perfetto. Si
complimentò, dentro di sé, per la completezza della documentazione.
Fece avere a Mauro un suo messaggio attraverso Ciro (che lo diede a Martina). Gli chiedeva
conferma dell’interesse e gli dava appuntamento per la sera successiva al Ristorante Bellago,
un ottimo locale posto in una posizione centrale, ma riservato e discreto. Poi, in quella stagione
non ancora turistica, c’era posto sempre. E si mangiava bene, il che non guasta mai, anzi.
Il fatto di non aver indicato nel messaggio alcun modo di confermare, tranne quello di andarci
all’ora stabilita, era un trucchetto psicologico per dare quella piccola spinta in più per
accettare l’invito. E poi, una volta lì, se lo sarebbe lavorato lui ! Era sì o no, O’professore!
Minchia, se era O’professore, si disse convinto e soddisfatto di come stavano andando le cose.
O’professore arrivò per tempo al Ristorante, spense la sigaretta ed entrò fermandosi al
bancone del bar, dove una cameriera stava sistemando i bicchieri appena usciti dalla
lavastoviglie. Ordinò un prosecchino guardando l’orologio: le setteeventi, anticipo adeguato per
scegliere bene il tavolo, sedersi, valutare il posto migliore e decidere che il suo ospite, se
fosse venuto, l’avrebbe fatto sedere con le spalle alle ampie vetrate per evitare distrazioni
dello sguardo.... Esperimento concluso, depositò su una delle sedie che sarebbero rimaste
libere il plico che aveva con sé e si rialzò tenendo il calice tra le grosse dita . Si riaccostò al
bancone dove lo depose dopo aver assaporato l’ultimo sorso.
Mani in tasca, come d’abitudine, stette per alcuni minuti in piedi nel locale semivuoto. Riguardò
l’ora: le setteetrentacinque e di Mauro nessuna traccia. Ritornò al bancone dove la cameriera
aveva terminato la sistemazione e scambiò due parole con lei, tanto per dir qualcosa e far
passare il tempo.
Alle setteequarantacinque Mauro, cappotto blu e cravatta, si avvicinò all’entrata e dopo aver
scrutato l’interno e riconosciuto il suo ospite, si decise a superare la porta.
O’professore gli si fece incontro sorridente:
- Bravo, siete venuto. Ne ero certo, ma, vi confesso che mi sono un poco preoccupato quando
ho visto che tardavate- mentì.
- Mi deve scusare, ho avuto un piccolo contrattempo e non sapevo come fare ad avvertirLa- Non fa nulla, credetemi, così ho anche avuto la fortuna di fare due parole con questa bella
fanciulla- disse rivolgendo lo sguardo verso la cameriera che ricambiò il sorriso.
- Vogliamo prendere un aperitivo?- lo sollecitò O’professore facendogli strada verso il tavolo
ed indicandogli il suo posto.
- Volentieri, grazie- accettò Mauro e si sedettero.
I primi discorsi, come è logico, si diressero verso la quotidianità per mettere a suo agio
l’ospite che appariva non ancora rilassato e ben disposto.
Tra il primo ed il secondo, O’professore si insinuò leggermente nella materia portando il
discorso sul basket e facendogli qualche domanda del tipo: conoscete la tal giocatrice? Che ne
pensate? Forte, non è vero?. Così, in maniera subdola, senza enfatizzare il tono gli chiese:
- Avete sentito parlare della Trinacria Petroli? Della squadra, beninteso!- E chi non la conosce? Campione d’Italia e d’Europa, in grado di competere con le squadre
americane. Ha giocatrici siderali...- rispose Mauro prontamente, mentre un lampo di luce gli
illuminava lo sguardo, - il top dei top....In quel momento la cameriera servì loro il secondo ed il discorso si interruppe per poter
gustare la squisita pietanza che veniva proposta dallo chef.
- La Trinacria Petroli è una grande società – riprese poco dopo O’professore – che ha
raggiunto tutti i traguardi possibili, ha un grande parco giocatrici che non riesce ad utilizzare
appieno e che non può vendere ad altre squadre a causa dell’elevato valore del parametro.- Si
tacque per un attimo e osservò Mauro di fronte a lui. Il giovane uomo annuiva con la testa
dando l’impressione di comprendere compiutamente non solo l’argomento, ma anche le
sfumature che si nascondevano nelle pieghe del discorso che si stava dipanando.
- Voi siete un uomo di basket e quindi potete immaginare quale soluzione si potrebbe pensare
per risolvere questo problema...- aggiunse ‘O Professore porgendo all’altro il contenuto del
plico e trattenendo il poster.
- Di che si tratta?- chiese Mauro
- Non vedete? Foto della squadra, dove ci sono anch’io, per farvi capire che non vi sto
raccontando frottole.. Su , guardate, sfogliate...- Masha.... Irina... Sybille...Kristine.. Caspita. Vladimirov, l’allenatore..-recitava a voce alta
Mauro osservando le foto.
- Sentite – riprese le fila O’professore- avrete capito che per risolvere la questione
bisogna...- non finì la frase perché si accorse che Mauro non lo ascoltava ancora intento a
decifrare tutte quelle foto.
Quando la sua attenzione ritornò lucida, riannodò il discorso:
- Avrete capito quale soluzione ci può essere per il nostro problema, no?- Veramente no, sa, io non è che me intenda molto di strategie economiche o fiscali- si difese
Mauro e gli si insinuò il dubbio di essere preso in giro o, peggio. – Non è a me che deve
chiedere queste cose, che ne so io!- protestò.
O’professore intuì che la discussione non stava andando per il verso giusto e così cambiò
decisamente rotta.
- Non vi agitate, vi prego, qui nessuno vi vuole tendere trabocchetti o farvi passare per fesso.
Solo che, sapendo che siete addentro nel mondo del basket, pensavo che la cosa vi fosse già
chiara, come risolverla. Allora, se permettete vi spiego come pensiamo noi di portarla fuoricontinuò O’professore cambiando tono di voce. Deciso.
- Noi vogliamo creare una nuova società dove far confluire le giocatrici che non ci servono e
iscriverci ad un campionato nazionale lontano geograficamente, e di categoria, da quello della
Trinacria Petroli. Però non possiamo partire da zero. Per cui dobbiamo trovare una società
disposta a cederci i diritti in cambio di.... tanti vantaggi. Una squadra professionistica
darebbe lustro alla vostra città, e potrebbe accogliere anche le vostre giocatrici promettenti,
come Martina, ad esempio..- disse O’professore fermandosi proprio sull’ultima frase e
guardando Mauro dritto negli occhi.
Un lampo di beatitudine li illuminò.
-...che sotto la guida di tecnici esperti avrebbero la possibilità, con lavoro e passione, di
raggiungere i traguardi che si meritano. Budget non illimitato, ma non limitato, ambiente
motivato, sogni leciti.. Non vi sembra un bel progetto?- Sì, ma perché noi?- fu la prima frase che gli uscì dalle labbra – perché avete scelto noi?- Perché un posto vale l’altro, ma siccome a me piace questo, perché si sta bene e si lavora
bene, ho pensato a voi. Vi dispiace? Se così è, posso sempre trovare, anche qui vicino, qualche
altra realtà che non rifiuterebbe certamente questa offerta- sentenziò O’professore.
Mauro rimase zitto. Si guardò le mani poggiate sulle gambe, sotto il piano del tavolo, e senza
alzare il viso, come vergognandosi, rispose: - A me interessa, ma bisogna sentire il
presidente...- Con lui ho già parlato e non ci sente. Non capisco quali siano i motivi, visto che non me li ha
detti. E’ per questo che mi sono rivolto a te, ti posso dare del tu?, che sei quello che ha in
mano la squadra e che vuole il suo bene, che la vuol veder crescere e dare una prospettiva
sportiva alle sue atlete.- E cosa posso fare io?- si lamentò Mauro
- Semplice, mettere in minoranza il presidente. Si convoca il consiglio, si sottopone la
questione, la si mette ai voti. Se vincono i sì, il presidente si dimette, protesterà, vi farà
credere che vi state seppellendo con le vostre mani, che ve ne pentirete amaramente, che alla
fine per lui sarà un sollievo, quello di lasciare questo incarico, ecc. ecc. Ma voi non dategli
retta, perché avrete fatto la scelta giusta. Stai tranquillo, perché ti aiuteremo noi, se decidi
di starci. Organizzeremo un altro incontro con il direttivo che sta dalla tua parte e allora ci
saranno anche il comm. Fichi, il presidente della Trinacria Petroli e Vladimirov per darvi prova
della nostra lealtà e che vi spiegherà, nel dettaglio, come vi dovrete muovere per arrivare in
fondo senza titubanze. Poi non ti dovrai più preoccupare della società, a quella ci penseremo
noi, ma solo a veder crescere sportivamente la tua ragazza.O’professore guardò soddisfatto il risultato sul viso di Mauro. Propose un brindisi
beneaugurante, si alzarono e come ricordandosi all’ultimo momento, che sbadato!, consegnò a
Mauro il poster dedicato da Irina a Martina. Il giovane quasi si commosse ed arrivò ad una
stretta di mano che assomigliava molto ad un abbraccio a O’professore.
E fu così che, pochi mesi dopo, l’affare fu concluso. Fu fondata la RealBasket s.r.l., con sede a
Tocsoland, campo di gioco (temporaneo) il tendone, sponsor principale Agrumi di Cabiria.
Obiettivo : salita in A1 in tre anni. Avvio dei lavori per il nuovo palazzetto su un’area concessa
dal comune di Tocsoland nella zona sportiva.
Obiettivo rispettato. Categoria raggiunta, costruzione avanzata.
E Martina ?
Martina chi?..
CAPITOLO 13
PREMESSA
Essendomi pervenute alcune richieste da persone del gentil sesso, tutte finalizzate a
conoscere aspetti del passato di Pizzicalupo, ed essendo io sempre rispettoso del volere
femminile, a causa di un'attrazione e di un'ammirazione per quel misterioso ed affascinante
mondo, che mai ha accennato a scemare, dedicherò la presente puntata ad occuparmi della
grintosa guardia della squadra di Portoland, nei limiti della scarna disponibilità di documenti e
testimonianze di cui dispongo.
Dovete dunque sapere che, da piccolo, Lupo aveva un difetto: era strabico. Non molto, ma
quanto bastava perché una banda di bastardelli della sua età lo prendesse di mira.
Chi l'ha detto che il bimbo è buono? A volte, il bimbo è spietato, nei confronti di chi ha delle
diversità. Non tutti sono così, naturalmente, ma il numero di piccoli sadici è comunque
sufficiente a spiegare perché, all'occasione, ci sono uomini pronti a godere vedendo o
procurando il male altrui.
A Lupo,quando aveva cinque anni, il padre, un giorno, aveva detto: " Se ti tormentano, prova a
cavartela da solo. E' più facile che arrivi a farti rispettare. "
All'età di nove anni, Lupo era aspettato fuori da scuola da quella banda di mariuoli, che lo
canzonava, lo strattonava, lo faceva cadere, gli rovinava cose e vestiti, lo picchiava.
Quando arrivava a casa, e la mamma, notando gli ematomi, gli chiedeva: "Ragazzo mio, ed oggi,
cosa ti è successo? " , il figlio rispondeva: " Caduto dalle scale " " Inciampato " " Sbattuto
contro un palo " " Scivolato sulla ghiaia ".
Le prime volte, la brava donna si era convinta che la causa di tutti quegli incidenti fosse lo
strabismo - ed in un certo senso, era vero! - , ma poi, siccome non era stupida, ne parlò al
marito, una brava persona, ma molto spesso assente par motivi di lavoro.
Così, un giorno, Pizzicalupo senior aspettò nascosto che il figlio uscisse da scuola, ed
assistette al massacro, e per la verità anche ad una bella difesa del figlio, che riuscì a fare un
occhio nero al capobanda..
Poi seguì il suddetto capobanda, per vedere dove abitava.
La sera dopo, suonò e si presentò nella casa del piccolo sadico.
( a questo punto, ci sarebbero due versioni di come andarono le cose. La prima è più verosimile,
la seconda è più cinematografica. Io ve le metto tutte e due, poi scegliete voi )
Prima versione.
Di fronte al padre del capobanda, Lupo senior cercò invano di ottenere ascolto. L'altro uomo,
grezzo tanto nel fisico che nella mentalità, difendeva il figlio ad ogni costo, riversando le
colpe sul piccolo Lupo.
Accorgendosi che non c'era modo di ottenere ragione, papà Pizzicalupo disse:" Vedo che è
inutile parlare con Lei. Allora Le dirò solo questo: io, per mio figlio, sono disposto a farmi
vent'anni di galera."
L'altro rispose: " E' una minaccia?"
" Non è una minaccia, esattamente come le botte che prende mio figlio sono da lui cercate.
Comunque, se domani quella banda avrà la soddisfazione di picchiare ancora il mio ragazzo, Lei
avrà la soddisfazione di vedermi in galera. Sempre che rimanga vivo per farlo." Ed uscì.
Seconda versione.
Era una serata piovosa. Pizzicalupo lasciò l'ombrello nell' apposito portaombrello, all'ingresso.
Vedendo che con quell'uomo, più piccolo di lui ma più robusto, non c'era modo di aver ragione anzi, l'aspetto dell'altro si era pure fatto minaccioso - mostrò remissività, e si diresse verso
la porta, precedendo l'avversario.
Afferrato l'ombrello, si voltò di colpo, come faceva a basket per tirare in sospensione
cadendo all'indietro, solo che stavolta, invece di tirare la palla, colpì duramente al fianco lo
stronzone, spaccandogli un paio di costole, e poi gli ruppe con un pugno il setto nasale.
Infine, aprì l'ombrello ( porta sfortuna, in casa...) e glielo gettò sopra, a significare
un'eventuale sepoltura.
Bene: qualunque delle due versioni sia quella giusta, l'importante è che, il giorno dopo, Lupo
figlio, uscendo dalla scuola, vide che i soliti prepotenti gli stavano alla larga.
Poiché suo padre non aveva fatto cenno, in casa, dell'episodio, Lupo Junior si convinse di
essere riuscito a scoraggiare i persecutori grazie alla bella difesa del giorno prima, ed il suo
EGO ne uscì molto rafforzato.
In seguito, corretto lo strabismo, crebbe con un fisico atletico, e nessuno gli diede più
fastidio. Ma la grinta gli rimase.
Con il basket, una volta raggiunta la maggiore età, non fu per niente facile.
Finché si trattava di palleggiare, passare, tirare, nessun problema.
I guai nascevano in difesa. Eh sì, perché Lupo rifiutava l'idea che un avversario potesse
scappargli, e quindi, se non ci riusciva regolarmente, lo fermava sempre fallosamente.
Di conseguenza, dopo cinque minuti era fuori per cinque falli.
Il suo procuratore ad un certo punto lo abbandonò. Fu quando, alla metà di un campionato di
serie C, il Lupo venne rifiutato dalla sua società, e si ritrovò con il culo per terra.
Quella sera si diresse malinconicamente al suo alloggio, per fare le valigie.
Era quasi mezzanotte, quando bussarono alla porta. Andò ad aprire.
Entrò Basilio, l'allenatore della squadra incontrata poche ore prima.
" Verrò subito al dunque, ragazzo. Ora come ora sei chiuso, non vai da nessuna parte.
Ti do un'opportunità, e dieci minuti per decidere, non uno di più.
La mia squadra ha perso un effettivo, ed è fuori tempo per tesserare un altro giocatore. Però
ha bisogno almeno di un atleta per allenarsi cinque contro cinque.
Tu vieni da noi, in cambio di vitto, alloggio, ed una manciata di euro per coca e pizza due volte
a settimana.
Seguirai le mie istruzioni come un seminarista segue il Vangelo. Se impari a difendere come un
comune mortale, l'anno prossimo ti prendo con me, perché mi piace la gente grintosa.
Adesso vado a bermi un caffè, nel bar sotto casa, e poi salgo per una risposta. Se sei
d'accordo, parti addirittura in macchina con me stasera, e da domani ti alleni con noi."
Non lasciò a Lupo nemmeno il tempo di aprire la bocca, ed uscì.
Un quarto d'ora dopo, i due viaggiavano insieme. Sei mesi dopo, erano nella squadra di
Portoland, in serie B.
Naturalmente, Lupo volle personificare il modo di difendere: imparò a barcollare ed a cadere,
per farsi dare lo sfondamento. Restando fermo anche quando gli franavano addosso due metri
e cinque per centoquindici chili.
Con le femmine fu più facile, molto più facile.
Lupo era bello, atletico, e soprattutto non mollava mai: una grinta infinita.
Sembrava quindi un Dio. E come ad un Dio greco le ragazze gli si avvicinavano.
In che modo si comporta una femmina di fronte ad una divinità?
Capisce che deve immolarsi. I Numi prendono, non seducono. E le ragazze non cercavano di
essere sedotte.
Quando entravano nel suo alloggio, le femmine si dirigevano subito nervosamente verso la
camera, cercando il letto-altare, e lì attendevano che il lato ferino del Dio si manifestasse.
Un po' come i corpi celesti sono attratti dai buchi neri.
Niente a che fare con il solito rapporto uomo-donna.
Perciò, nessuna invidia, cari lettori maschi che le vostre donne ve le siete sudate.
CAPITOLO 14
Ma chi era in realtà Tizio, che abbiamo visto incontrare a cena Basilio ed il dottor Poeta?
La fantasiosa alea di mistero che mascherava presente, ma soprattutto passato di Tizio, non
era un dato sconosciuto, ma un dato noto solo a pochi. E costoro non avevano bocca, muti
erano.
Lo trattavano con rispetto, anche se non era dei loro, se non faceva affari con loro. Ma era
sempre un uomo di peso, che si era fatto da sé senza compiacere a nessuno, o meglio senza
fare sgarbi a nessuno di quelli che contano. Certamente, un po’ di equilibrismo l’aveva imparato
ma, dove era vissuto e aveva prosperato, la vita non era così difficile e complicata come qui.
Non è ben certa la data (autunno novecentonovantuno o novantadue) quando Tizio scomparve
da Portoland. Il motivo lo potremmo definire non illecito, decisamente non inconsueto, né
misterioso.
Una ragazza, in parole povere.
Una conquista estiva, una bella biondina, giovane, poco più che ventenne, calata dal nord a
rosolarsi al sole nostrano e con la recondita speranza di qualche altro tipo di calore da portare
con sé, al ritorno.
Karine, una giovane, bionda e occhi azzurri come da copione, di poco più di vent’anni veniva
dall’isola di Ameland e più precisamente da Ballum. Quattrocento abitanti di un agglomerato di
forma quadrata a poco più di un chilometro dal mare del Nord. Case basse, alberi intorno come
inerme difesa dalle striglianti folate ventose spesso gelide, che giungevano da settentrione.
Poco più a nord l’areoporto di Ameland, per piccoli vettori, consentiva, oltre alla via per mare,
di raggiungere la terra ferma. Il paese, cresciuto un po’ così, senza un accurato progetto
edilizio, consiste di case per lo più singole avvolte da un terreno erboso, grandi tetti rossi,
dalle falde acute quasi sproporzionate, come superficie, rispetto alla parte in muratura.
Strade non larghe, stranamente sinuose per una terra piatta che saliva leggermente in
direzione del mare. Grandi prati, frequenti canali, cavalli frisi, neri, al pascolo. Mucche.
Un albergo, il Nobel, un paio di cafè, turisti solo estivi ed esclusivamente, o quasi, nazionali. La
grande spiaggia di sabbia bianca, larga fino cinquecento metri con la bassa marea, rifletteva
una luce quasi abbacinante in certe ore del giorno. Passeggiate, escursioni anche motorizzate,
surf sulla sabbia solida e compatta, aquiloni nel cielo, capelli perennemente stravolti dalla
forza del vento, mai caldo.
Karine lavorava all’hotel. Un po’ cameriera, un po’ guardarobiera, un po’ barista in una piccola
realtà turistica che stava a fatica crescendo con l’arrivo di fruitori interessati alla riscoperta
della natura, più che al riposo inattivo.
Con fatica e molta persuasione riuscì a strappare alla padrona, la signora Marjie, il permesso
di una settimana di vacanza in un periodo di alta stagione: desiderava tanto un po’ di caldo, di
sole che scotta, che abbronzi anche la pelle candida dei fototipi uno.
La meta le era stata suggerita dalla cugina Gudj, tornata felice l’anno passato da quel
paradiso, arricchita da una nuova creatura che glielo avrebbe ricordato per sempre. Quando
se ne accorse non fece tragedie, lei che non aveva un fisico da indossatrice, tarchiata e
rotondetta com’era. E nemmeno giovane, per giunta. Qualcosa più di trent’anni. Alla famiglia,
che glielo chiedeva, rispondeva che il padre era un bell’uomo, ma sposato, che non ne sapeva
nulla. Sua moglie stava aspettando un figlio, ma lui era tanto triste e solo. Lei, che se ne era
innamorata, non voleva rovinargli la vita ed era felice di portare dentro di sé una parte di lui.
Qualche mese dopo lasciò Ballum e si trasferì a Ee, sulla terra ferma. Partorì un bel
maschietto e la sorte le fu benigna perché le concesse di incontrare una brava persona che li
accolse e si preoccupo' della loro vita.
Quando Karine giunse a nord di Portoland ed ebbe la fortuna di ammirare un paesaggio
mozzafiato dal balcone naturale che domina la piana, il cuore le si riempì di gioia. Era una
ragazza semplice, abituata a godere delle bellezze della natura, ma non assuefatta, per cui
aveva sempre la gioia di farsi stupire.
Il soggiorno se lo aspettava gradevole: sole, spiaggia, bagni, riposo e, la sera, qualche
digressione in discoteca. Il locale, consigliato dalla cugina, era una rotonda posta proprio in
riva all’acqua, rinfrescata dalla brezza notturna che scivolava dai monti e rendeva la
temperatura quasi freschetta invitando a stringersi al cavaliere di turno che si era proposto
per il ballo.
Il secondo giorno, mentre saliva sulla terrazza dalla stretta scala di accesso, si accorse dello
sguardo insistente di un giovane appoggiato alla balaustra che dava verso sud; per un attimo,
istintivamente, ricambiò e fu sufficiente per apprezzarne le fattezze del viso e subire la
simpatia che trasmetteva. Un piccolo colpo di fulmine, da parte sua. Chissà se per lui...Ma
sapeva che i maschi latini non davano molto affidamento. Quindi, niente illusioni, divertimento
sì, ma con giudizio, come le aveva raccomandato la mamma.
Così trovò un tavolo dove si sistemò assieme alle altre due ragazze che facevano parte del suo
tour. E con la coda dell’occhio cercò il giovanotto dallo sguardo galeotto. Provò un piccolo
tuffo al cuore quando non lo vide. Molto più prepotente fu,invece, quello che la colse quando si
sentì chiedere: - Dansen?- da una voce dietro di lei che la costrinse a girarsi e ad arrossire
vistosamente per la sorpresa.
Abbassò leggermente gli occhi rispondendo:-Bedankt, ja-.
Il giovane, quello dallo sguardo traditore, proprio lui, le prese la mano con dolcezza e la guidò
in mezzo alla pista dove si fermò un attimo, il tempo per cingerle la vita, portare la mano della
ragazza contro il suo petto e accostare il viso ai suoi capelli fino a sentirne il profumo di
lavanda.
Un secondo dopo le sue labbra affondavano nella massa bionda scendendo fino all’orecchio.
-Come ti chiami?- le sussurrò, titillandole il lobo con il moto delle labbra, in perfetto esterese,
la lingua dell’estate, qui a Portoland.
-Karine- gemette la fanciulla visibilmente turbata . Non riusciva a reagire alla dolcissima
pressione delle dita contro la sua schiena, dita che sembravano incollate alla pelle, quasi che
non ci fosse frapposto il tessuto del vestitino bianco.
La ragazza era visibilmente turbata. Il candido incarnato del volto aveva assunto una tonalità
maculata enfatizzando le colpe del sole, modeste, però, perché prevenute dalla generosità
della crema protettiva.
Il contatto con quell’uomo l’aveva visibilmente turbata. Il suo odore, la protettività che
emanava il suo corpo, che non era certo quello di un dio greco, sia chiaro, rappresentavano
un’attrazione fatale per quella giovinetta per la prima volta tentata non dai piaceri del corpo,
bensì da quelli del fascino. Se qualcuno le avesse, in quel momento, chiesto com’era il suo
cavaliere, lei avrebbe risposto:
- Bellissimo!- senza alcuna esitazione.
In realtà l’accompagnatore di quella sera era un esemplare di sana e robusta costituzione,
niente di speciale, insomma. Prossimo ai trent’anni, scapolo incallito, era un abituè delle serate
in balera durante la stagione estiva e vacanziere nei periodi morti, per non perdere
l’allenamento. Sicuramente ci sapeva fare, era tagliato, come si dice, per questa forma di
speculazione attiva nei confronti del genere femminile che conosceva benissimo. E tutta
l’esperienza acquisita, e assimilata, gli conferiva un portamento e un savoir faire che parevano
innati in lui e mortiferi per le sue prede.
- Affascinante!- sarebbe stata, quindi, la risposta più appropriata.
Il suo nome, quello anagrafico, era Luciado. Bizzarro vero?, ma non voluto. Un errore
probabilmente dell’ufficiale dell’anagrafe. Luciano, doveva essere. Ma a lui non sarebbe
piaciuto nemmeno quello per cui, una volta arrivato a un’età ragionevole, cominciò a
manifestare questa sua insoddisfazione. Gli amici, che gli volevano bene, decisero di chiamarlo
Tizio, per via di quel suo intercalare ripetuto che inseriva quel nome improprio di persona
dappertutto, a volte anche a sproposito. Tizio gli piacque e se ne compiacque. Così questo
soprannome gli rimase appiccicato.
Dopo il militare, in un’ arma di coraggiosi, si impiegò in fabbrica a Lavinio, forte del suo
diploma. Ma il lavoro, quel lavoro, non è che gli piacesse così tanto e dentro di sé sperava che
la sorte gli desse l’estro per una svolta radicale e, perché no, trionfale.
Quasi dieci anni di pendolarismo lavorativo. Si può dire che la brocca, in quel
novecentonovantuno, o novantadue, fosse quasi colma e....
- Tizio, che nome strano !- esclamò la ragazza quando, dopo essersi ripresa dalla trance
passionale ed essersi, con lui, accomodata al tavolo, gli chiese il suo nome. Gli sorrise, con
un’espressione dolcissima come per dirgli che a lei piaceva, temendo il suo risentimento.
Ma non fu certamente così. Tizio ne approfittò per nasconderle la mano tra le sue, forti e
scure per la pratica velistica. Le avvolse il viso con lo sguardo che lei sostenne, almeno un
poco.
- Come sei bella...- non mentì, ma molto oltre con le parole non sapeva spingersi. Così, dopo due
o tre balli, quando il contatto dei loro corpi non faceva più scandalo ed i bisbigli assomigliavano
più a segni di affetto che di comunicazione, le propose di accompagnarla all’hotel. La ragazza
salutò le sue compagne ed accettò. Prontamente.
Percorsero la splendida passeggiata che costeggia la spiaggia rinfrescata dalla brezza
notturna . Ottima scusa per cingerle la spalla con la sua mano, allentando od aumentando
leggermente la pressione per dimostrarle rispetto e attrazione. Karine rimase piacevolmente
sorpresa dalla dolcezza degli atteggiamenti del suo accompagnatore, dalle sue attenzioni,
dalle sue premure. Tutto ciò contribuì ad aprire il suo animo e a far cadere tutte le sue paure.
Il tocco magistrale fu però quello di accompagnarla fin sulla porta dell’hotel e di accomiatassi
con un innocente bacio sulla guancia, mentre la mano le scendeva lungo la schiena producendole
un brivido che Tizio avvertì distintamente sulle sue dita.
- Sognami questa notte- le disse- ti verrò a prendere domani, alle otto, aspettami- Che lunga attesa! – gli rispose, sospirando, con gli occhi che le brillavano.
Erano quasi le undici quando risaliva il vialetto verso la gelateria, decisamente soddisfatto
della serata, ma pensando soprattutto alle prossime. Bellina, quella ragazzina, bel corpicino,
educata, un bocconcino da gustare con parsimonia. Preda facile, apparentemente. Chissà,
spero di non sbagliarmi. E se anche non fosse così, tanto meglio.
Non vale certo la pena di raccontare il seguito della vacanza di Karine, lo svolgimento è
scontato, ma il risultato pienamente soddisfacente. Quando si salutarono la ragazza raccontò
a Tizio quello che era capitato alla cugina Gudj, l’anno passato. Forse lui l’aveva conosciuta?
No, non ce l’aveva presente. E quel tale, bello diceva lei, che l’aveva inguaiata, con un figlio in
arrivo?... biasimò. No, nemmeno quello.
Il suo indirizzo ce l’aveva, disse Tizio. Ti verrò a trovare, presto, se riesco a capire dov’è quel
posto in capo al mondo.
Una lacrima spuntò sugli occhi di Karine. Era una bugia, lo sapeva, ma la ricacciò indietro e gli
sorrise, annuendo. Si salutarono affettuosamente. La ragazza provò a disperarsi un po’, ma il
pullman si mosse, curvò quasi subito e i due scomparvero alla loro vista.
Il venti novembre al 12 di Kosterweg il giovane postino in bici consegnò una lettera con
affrancatura straniera indirizzata a Karine Gostwaald. Karine non era in casa e al suo rientro,
quando la madre gliela fece notare, additandola senza parlare, alla giovane venne un tuffo al
cuore. Pensava, sperava che venisse da Portoland. Da allora, infatti, nessuna notizia,
nonostante le promesse. Lei, da parte sua, non aveva perso tempo, ma, dopo alcuni tentativi
infruttuosi, aveva smesso di scrivere. Non di sperare.
Perciò, quella busta con affrancatura straniera le riaccese il cuore. Quando la prese dal piano
del mobile nell’entrata la girò, per vedere se c’era il mittente. No, nulla. I francobolli erano
italiani e sul timbro di partenza si leggeva chiaramente: Poste Italiane – Portoland.
Sollevò con cura il triangolo di chiusura ed estrasse un foglietto con solo tre parole scritte
con una penna blu:
- Arriverò il 28 novembreNessuna firma. Ma chi poteva essere se non lui?
Eh sì, era proprio lui. Quello della fine di novembre era il periodo consueto per le vacanze
invernali, per un’altra botta di calore, esotico questa volta.
Bene. Tizio finì l’estate in bellezza. Chiuse l’attività e si preparò al riposo. Cominciò a pensare
alla prossima mèta e, non si sa perché, gli venne da dire:- E perché no? Andiamo al freddo,
quest’anno. Ma sì, cambiamo!Giustificazione debole e banale per non dover ammettere che quella ragazzina non era stata
solo un’avventuretta. Oddio, niente di speciale, però...
Cercò quel fogliettino...ma dove l’avrò cacciato...Aveva un posto ben preciso dove custodiva i
trofei, o almeno gli ex voto delle sue conquiste. Sparpagliò sul tavolo un grosso plico di
biglietti, bigliettini, foto con dedica, santini...Ah , ecco, esclamò, brandendo un foglietto con
l’intestazione dell’hotel dove era indicato l’indirizzo.
Ballum, lesse e ripeté ad alta voce. Poi con la bocca fece una smorfia tirando gli angoli verso il
basso e dilatò leggermente le pupille come per dire: Booh! Dove c.. sarà mai questo posto?
In quegli anni Internet non era né popolare né diffuso. Tizio non aveva nemmeno il computer. E
a che gli sarebbe servito? Il cellulare era agli albori. Qualche benestante girava con il
telefono in macchina ed un’antenna di due o tre metri sul parafango posteriore per poterlo
adoperare. Dove solo c’era campo. Poco, in mezzo alle montagne.
Si recò, allora, dal suo amico Scartina, tour operator (ma si chiamavano già così gli agenti di
viaggio?) e collega di intenti. Alla richiesta di informazioni, gli rispose:
- Ballun?- No, Ballum!- corresse Tizio.
- E in che nazione sarebbe?- Non lo so di preciso. Non gliel’ho chiesto. In uno di quei paesi del Nord, suppongo. Anzi, son
sicuro- mentì, d’istinto e senza motivo, Tizio schiarendosi la voce.
Siccome non era né un posto turistico, né aveva alcun altro titolo di merito, la ricerca durò
almeno un giorno e gli costò ventimila lire (ca... esclamò a quella notizia, ma te l’avevo detto
che non te lo facevo gratis, replicò prontamente Scartina, sì sì va bene, chiuse Tizio).
Scartina gli sottopose una mappa dell’Europa e gli indico con il dito un punto sul mare del
Nord.
Tizio rimase interdetto esclamando: - E come ca.. ci arrivo fin lassù?- Semplice, con la macchina. Anche col treno, pullman e traghetto, se vuoi. Tre giorni di
viaggio, almeno. No, decisamente meglio la macchina. Vedi- riportò il dito nello stesso posto di
prima- arrivi fino a qui e poi, penso, ci sarà un traghetto o una barca o qualcosa che galleggia
per andare oltre il canale fino all’isola- Isola? Strano, non m’aveva parlato di isola- Certo, per non spaventarti- incalzò Scartina con tono sicuro.
Tizio uscì dall’agenzia un po’ frastornato. Chissà perché si era immaginato che fosse sulla
terra ferma, vicino a qualche grossa città dove fare un po’ di vita notturna. E che ca.. Vacanza,
mica clausura. Con quel tanto se ne stava a casa...E risparmiava.
Tornato a casa - abitava dalle parti del Getsemani - si trovò a riflettere di fronte al dubbio
amletico: andare lì o andare da un’altra parte, dove non avrebbe avuto sorprese, divertimento
assicurato e così via? Pro di qui, pro di là. Non si sapeva decidere. Lui, che da poco tempo si
era scoperto superstizioso, decise di aspettare un segno, un’indicazione che gli dicesse da che
parte andare, che gli togliesse la responsabilità di questa scelta drammatica.
Pensò che se la ragazzina, quella là, l’avesse visto in queste ambasce si sarebbe per lo meno
chiesta: Ma chi ca.. è questo “lul” (stronzo, semplicemente stronzo, niente di così drammatico,
n.d.r.)?! Altro che uomo affascinante, sicuro di sé, conquistador!
Lui era così, aveva dei lati deboli che mascherava il più possibile per non perdere la faccia
abbronzata che portava, uguale, tutto l’anno.
Per fortuna lei non c’era e lui continuò ad aspettare il segno del destino, che arrivò in una
maniera decisamente inconsueta.
Una sera, prima di coricarsi, si recò in bagno per un’operazione salutare. Terminata che fu, si
alzò dalla tazza e casualmente, prima di tirare lo sciacquone, buttò l’occhio sulla sua
produzione.
Rimase di sasso con le braghe in mano e la bocca aperta nel vedere la composizione che si era
generata:
una croce.
Lui preferì vederci una freccia, con la punta rivolta al nord.
Il segno era arrivato. La decisione conseguente e non dubitabile.
Si parte per Ballum!
E con un’ampia sbracciata fece roteare l’arto come se tenesse un brando in mano.
Statuariamente si bloccò quando il braccio fu nella posizione giusta, una copia perfetta
dell'effigie di Alberto da Giussano!
Ritornò ancora un paio di volte da Scartina per studiare bene l’itinerario. Fino a là, bene, è
facile. Poi si sale fino a qui (fermò il dito che seguiva la strada). Si gira verso nord verso.. sì di
qui, ecco devo arrivare a Holwerd e prendere il traghetto. E,in un paio d’ore, a destinazione!
Quella sera stessa scrisse quelle tre parole a Karine. Era il quindici novembre.
Il venticinque di buon mattino, come si suole dire, si mise in viaggio. Il giorno prima salutò
tutti con grande calore, tanto da far sorgere qualche dubbio che fosse realmente in sé. Da
parte sua sentiva, sarà stata la meta inusuale si diceva, percepiva che si trattava di un
momento speciale, anche se non voleva andare oltre, per non cominciare male la giornata.
La tabella di marcia fu rispettata, il percorso gradevole e scevro di imprevisti, il tempo
passabile, per la stagione, l’umore sempre migliore man mano che l’auto macinava chilometri
avvicinandolo alla mèta. I suoi riflessi condizionati lo portavano a ripetere i gesti abituali, per
lui, quando a pranzo o a cena adocchiava qualche ragazza, o signora piacente. Ma si contenne,
solo allenamento leggero, di mantenimento.
Giunto a Holwerd seguì le chiare indicazioni verso la zona dell’imbarco, posta un paio di
chilometri verso nord: una lunghissima piattaforma di cemento e asfalto dove sostavano
automezzi leggeri e pesanti attendendo la partenza.
L’autunno in quelle terre non è molto entusiasmante con la poca luce che ha. Quel giorno, però,
doveva essere speciale, raro, come gli confermò un vecchio signore in attesa. Uno o due in
tutta la stagione buia.
Cielo azzurrissimo (si può dire?), aria limpidissima e calma. Mare di laguna piatto, ma non
grigio, come di solito. Verde azzurro. Profumo tenue di salsedine .
Così il momento per l’imbarco giunse quasi improvviso e la chiamata della sirena lo scosse dallo
stato di beatitudine dove si era nascosto senza volerlo.
La nave attraccò un’ora e mezza dopo, sei sette miglia il percorso, ad un molo molto simile a
quello da dove era partito. Tragitto tranquillo, impreziosito dalla serenità del panorama di
quella laguna nordica.
Quando le ruote della macchina cominciarono a mordere l’asfalto della terraferma saranno
state le due del pomeriggio. C’era ancora luce sufficiente, ma il sole stava ormai affogando
lanciando disperati bagliori rosati nel cielo e sull’acqua. Tizio giunse alla prima rotonda e prese
verso nord, lasciando Nes sulla destra. Dopo poche centinaia di metri arrivò a lambire il
margine meridionale della foresta di Ameland (qualche ettaro alberato). La strada piegava ad
angolo retto e lui proseguì verso ovest seguendo l’indicazione Ballum-Hollum.
Fece un paio di chilometri su questa arteria dritta come una retta prima di incontrare il
cartello che annunciava il paese di Ballum. Fermò la macchina a bordo strada. Abbassò il
finestrino e una folata di aria fredda gli raggiunse il volto scomponendogli i capelli. Osservò
che il paese si estendeva tutto a sud. Mise la mano in tasca ed estrasse il foglietto, ancora
quello che lei gli aveva lasciato con il suo indirizzo: Kosterweg, 12 lesse.
Prese a istinto la prima via a sinistra, una strada stretta che fiancheggiava un fosso. Avanzava
lentamente e, quando incrociò la prima traversa. poté leggere: Kosterweg. Così piegò a destra
seguendo quell’indicazione. Proseguendo quasi a passo d’uomo aveva l’opportunità di osservare
quelle case dai grandi tetti e dai muri bianchi e poche finestre.
Così arrivò al Nobelhotel dove sapeva che Karine lavorava. Spense il motore e scese dall’auto.
Si intabarrò nel suo montone beige con interno candido, non nuovo ma appena ritirato dalla
pulitura (cinquantamila lire! ca...). Sollevò anche il bavero, rabbrividendo un pochettino, e si
avviò lungo il vialetto bordato da siepi infreddolite.
Il locale era chiuso, era da aspettarselo vista la stagione. Suonò lo stesso, attese, nessuna
risposta. Discese lentamente i quattro gradini come convinto che sarebbe successo qualcosa e
infatti:
- Cerca qualcuno?- disse una voce all’altoparlante del citofono
- Siete la signora Marjie?- e subito dopo – Sto cercando Karine, signora- rispose Tizio
avvicinandosi.
La ragazza non c’era perché l’hotel era chiuso, oramai da un mese. Doveva cercarla a casa sua,
cinquanta metri più in là, verso ovest.
Tizio ringraziò e coprì a piedi quella breve distanza, affondando sempre più nel suo montone.
Il berretto di lana, ci voleva, disse tra sé e se l’era dimenticato a casa. Ma il percorso era
veramente minimo e quando giunse davanti a quella grande casa circondata da una staccionata
bianca con il cancello di legno semi aperto si fermò a leggere nella luce incerta del crepuscolo
il nome sulla cassetta delle lettere.
Gostwaald familie, lesse.
Arrivato, concluse.
Speriamo in bene, speriamo che il mio biglietto sia stato consegnato, altrimenti son ca.. amari.
Certo, molto previdente non era stato. Non premunirsi di un minimo di saggezza, che dico
buonsenso, per garantirsi l’accoglienza senza sorprese....E se non ci fosse stata, la ragazza?
Se fosse andata da qualche parte, che so, in vacanza... No. Impossibile. Qui, di novembre non
si va in vacanza! Ah, e lui sì, invece, lui sì poteva andare in vacanza! Povero fesso.
Ma la signora Marjie aveva detto che era a casa.. ma lui aveva capito bene? Non è che invece
la frase era negativa, che non era a casa sua....Che situazione di merda! Tanto spavaldo e
sicuro, prima, così moscio adesso, sul più bello, a viaggio concluso, nella notte artica a morire
di freddo in macchina. Se l’albergo era chiuso chi gli poteva dare ospitalità nel caso (e fece
istintivamente le corna) non l’avesse trovata?
Era talmente immerso in questa discussione con il suo io, in perenne conflitto con la ragione,
che non si accorse di una figura che procedeva velocemente nella sua direzione, anche quella
avvolta in se stessa per il freddo.
I suoi passi non facevano rumore sul ghiaino ghiacciato e così gli giunse alle spalle, inavvertita:
- Chi sei? Che cosa stai cercando?- una voce femminile lo investì. Un leggero sobbalzo lo
scosse, ma ebbe la netta percezione che le sue angosce fossero fugate e concluse.
- Karine !– esclamò abbracciando la ragazza che, in realtà, non si era palesata, così
imbacuccata com’era. Il sesto senso di Tizio era però riaffiorato prepotente cacciando in
maniera definitiva tutti i timori dell’ultima ora.
Dire che la ragazza fosse sorpresa sarebbe stato certamente eccessivo. Lo aspettava. Ma
l’incontro fu comunque forte. Riconobbe immediatamente il suo odore che le risvegliò ricordi
mai sopiti.
Non gli chiese nulla. Lo prese sottobraccio e lo guidò verso casa. Lui non oppose resistenza (e
perché avrebbe dovuto?), lei spinse la porta che li immise in una piccola anticamera quadrata,
calda, accogliente, dove si avvertiva un vocìo arrivare da una stanza sulla destra.
Karine si tolse il giaccone e altrettanto chiese di fare a Tizio, che obbedì senza dire una
parola. Si rassettò il maglione, raddrizzò il colletto della camicia azzurra, con le dita cercò di
dare forma compiuta alla capigliatura, si schiarì la voce (ma in tono sommesso) e fu pronto.
- Mam, pap, Tizio is arrivato!- esclamò felice come una bambina Karine, aprendo la porta dalla
quale proveniva il vocìo, e introducendo l’uomo.
Strette di mano, pacche sulla spalla, un ruscello di parole che Tizio non comprese appieno. In
fondo il suo esterese era strettamente tecnico e il vocabolario ridotto all’osso. Così li guardò,
mam e pap, con espressione scoraggiata chiedendo perdono con gli occhi:
- Sorry, ik spreek weinig en nog minder begrijpen- si scusò, parlo poco e capisco anche meno,
voleva dire loro.
I due sorrisero e il padre cominciò con il linguaggio dei segni, prendendo da una vetrinetta una
bottiglia e versandone il contenuto in due bicchieri. Doveva essere molto alcolico dedusse
Tizio in base alla quantità. Pap lo invitò a bere: - Chin chin – e sollevò il bicchiere ingollandone
il contenuto in un sol sorso.
- Cin cin – rispose Tizio riconoscente per lo sforzo dell’uomo di dimostrarsi ospitale con una
espressione italiana, ma a dire il vero oramai internazionale.
Tizio volle fare la stessa operazione, ma non vi riuscì e si accontentò di scomporre il gesto in
due, salvando così se stesso da sicura convulsione.
Genever. Dell’ottimo genever.
All’invito al bis, Tizio cortesemente e saggiamente declinò l’offerta.
Naturalmente il racconto non può riferire in dettaglio tutto quello che avvenne quella sera e
nei giorni seguenti, ma va subito sgomberato il campo da ipotesi indecorose, tipo sesso senza
amore e cose del genere. Va subito detto che la vacanza fu decisamente gradevole, l’ambiente,
nonostante l’inclemenza del tempo scatenatosi in furiose buriane, stupendamente caloroso.
I genitori della ragazza, di una discrezione fin esagerata, non avevano mai fatto alcuna
osservazione, come se si trattasse di una condizione normale, lecita, condivisa.
Karine, dolcissima, gli mostrava l’affascinante e selvaggia natura della sua isola, la vera
potenza dei marosi quando si scagliavano contro la duna costiera. E contemporaneamente la
calma profonda delle acque della laguna.
L’iperbole della vita.
Gioie e dolori . E medesimo l’autore.
Il padre di Karine faceva l’allevatore di cavalli frisi, quelli neri, e coltivava un vasto
appezzamento per il foraggio invernale. Tizio pareva interessato e accompagnava l’uomo nelle
sue faccende, trovando una intima gratificazione.
Dentro di sé nacque, dapprima latente, poi sempre più vigorosa e prepotente un’idea che, ne
era convinto, anzi straconvinto, avrebbe fatto la sua fortuna, mettendo la parola fine alla
deprimente quotidianità pendolaristica e che gli avrebbe dato ricchezza, gloria...e perché no,
fama.
Il fatto scatenante fu banale. Quella sera, o meglio quel tardo pomeriggio, perché da loro si
cena così nella stagione buia, Mam aveva preparato della carne e una minestra d’orzo e fagioli,
quella tipica del luogo. Una tazza colma di fagioli, quelli nani di varietà brown, era collocata su
un lato del tavolo, a disposizione per un’eventuale integrazione nella minestra. La carne, in
parte già affettata, mostrava il suo cuore rosso violaceo nel tegame di cottura.
Roastbeef, concluse Tizio.
Non si capì mai esattamente la dinamica dell’incidente. Un movimento brusco di Mam, che
stava perdendo l’equilibrio nel sedersi. Fatto sta che carne e fagioli finirono a terra. E il
segno? I fagioli si accostarono al cuore rosso violaceo della carne come per dirgli: - questa è
la soluzione al tuo dilemma!I poveretti si preoccuparono di scusarsi per l’incidente, erano amareggiati, e quando Tizio li
consolò ringraziandoli, costoro ovviamente non capirono. E come avrebbero potuto!
Tizio si riebbe in breve tempo, abituato com’era alle emozioni forti. E in parole povere, come
gli consentiva il suo esterese ancora non perfezionato, descrisse la sua idea e il suo progetto.
Il mattino seguente si recò all’ufficio postale a Nes e inviò un telegramma alla sua ditta a
Lavinio per comunicare il mancato rientro per motivi di salute. Così guadagnò un’altra
settimana. Quindi, con Pap si diresse da Augustin che aveva una stalla con poche vacche da
latte per un consiglio su come procurarsi una bella, e buona, coscia di vitellone per il prototipo,
il test che gli avrebbe dato la misura della forza della propria idea.
Una ventina di giorni di attesa, a condizione che il reperimento degli altri ingredienti,
altrettanto fondamentali come la carne, non si fosse dimostrato difficoltoso.
Li almanaccò facendo la conta sulle dita... i suoi vecchi la preparavano tutti gli anni per il
consumo familiare...se li ricordava perfettamente. Vide qualche problema per l’aglio fresco, ma
non se ne preoccupo' eccessivamente. Per questa volta, ma solo per questa, avrebbe potuto
sostituirlo con quello secco.
Chiese a Karine di accompagnarlo a Holwerd seguendo le indicazioni di Augustin per la
macelleria di un suo conoscente, al quale aveva già annunciato l’arrivo e il taglio che serviva a
Tizio.
Quando salirono in macchina si accorse che la ragazza si era messa in tiro, come per un evento
speciale. Tizio le chiese, un po’ sorpreso, ma comunque soddisfatto, accompagnando le parole
con un fischio da merlo maschio :
-Ca.. come sei elegante!-Ti piaccio? lo dici per davvero?- rispose la ragazza, con un leggero imbarazzo nella voce.
Teneva il viso castamente rivolto sulle ginocchia avvolte dal mantello di pelliccia, ma sterzando
visibilmente lo sguardo verso di lui.
Allora lui le prese la mano, gliela strinse, ma non disse più nulla. Si limitava sistematicamente a
guardarla, concentrando ogni volta gli occhi su un dettaglio differente, quasi che fosse la
prima volta che la vedeva.
Forse la decisione presa aveva trasformato anche il suo rapporto con Karine che aveva perso il
suo fascino di ragazzina per assumere quello di donna. E lei sperava anche di compagna.
Il viaggio a Holwerd si protrasse per tutta la giornata, ma fu fruttuoso. Tutto quello che
cercava Tizio lo trovò, e quindi era pronto per la sperimentazione, la prima, in terra straniera.
Ultimo dettaglio, la sera si accinse a scrivere ai suoi dicendo:- Cari genitori, io qui sto bene
come penso di voi. Adesso non torno, forse tra un po’. Ma vi scriverò prima. Forse il mese
prossimo- e concluse con gli auguri di buone feste.
Ah, dimenticavo, mandò due righe anche al suo amico e compagno di lotta estiva , tale
Ricciolone, avvocato - diceva lui -, lavorante in uno studio legale (Tizio non volle mai
approfondire la questione), alfiere del portolandiano stretto. Gli chiese di occuparsi, per
favore, beninteso, di risolvere il suo rapporto di lavoro. Senza sapere, o l’avrà fatto apposta?,
che ci voleva ben altro per definire la questione.
Comunque lui la storia lui la dava già definitivamente conclusa. Così poté concentrarsi sul suo
progetto.
Scusate, ma devo aggiungere che al Ricciolone chiese anche di mandargli dei soldi, dei suoi
naturalmente, perché dopo gli ultimi acquisti era arrivato agli sgoccioli. A casa aveva lasciato il
blocchetto con degli assegni già firmati, era una sua abitudine. Bastava solo compilarlo, un
assegno mi raccomando, uno solo, e poi andare alla posta e fare un vaglia all’indirizzo ecc . ecc.
L’attesa per il parto gastronomico si concluse il trenta dicembre, quando si convinse,
tastandola con le mani, annusandone il profumo, verificando che la salamoia non si rinnovava
più nella tinozza di legno, che il momento era giunto, quello dell’assaggio e della sua sorte, del
suo destino. Pensò ad alta voce con enfasi declamatoria.
La sua eccitazione fu per un attimo gelata dalla richiesta della famiglia Gostwaald di
posticipare l’avvenimento al giorno successivo, l’ultimo dell’anno, per il cenone. Avrebbero
invitato anche Augustin, la moglie Ana e il figlio Jakob, un ragazzotto di circa ventidue anni,
quasi coetaneo di Karine.
Finalmente arrivò anche il giorno dopo. I preparativi per l’addobbo della sala da pranzo di casa
Gostwaald cominciarono nel primo pomeriggio. I dolci, i famosi “banketletters” e
“chocoladeletters” , i biscotti di marzapane e cioccolato a forma della lettera, già pronti da
Natale, erano riposti nel contenitore di metallo sopra la credenza.
Mam e Karine pensavano alla zuppa di piselli, perché a quella, di sera, non si può rinunciare,
all’insalata di patate e al pudding.
Il piatto forte, sia come entrèe che come pietanza principale, era infatti il frutto della
sapienza gastronomica di Tizio, quello che lui agognava che diventasse anche l’arma vincente
per la sua nuova vita di imprenditore. Quel fagotto violaceo cosparso di pepe e spezie era
quindi soprattutto un simbolo, il segno di una sfida che lui voleva vinta con tutte le sue forze.
Per sé e per la sua terra, Portoland.
Era talmente preso dall’eccitazione della prova imminente, che non si era ancora chiesto come
avrebbe eseguito l’affettatura. E’ sì perché doveva predisporre le fettine per la degustazione
cruda, come antipasto, condite con un filo di olio d’oliva (comperato a Holwerd, ma da
sostituire alla prima occasione con quello di produzione portolandiana, Monte Visto d.o.p.) e
quelle leggermente più spesse per la cottura alla piastra.
I salumi di lassù si tagliavano con il coltellaccio che non andava bene, per nulla, per una
struttura morbida che non si sarebbe lasciata violentare, in silenzio, da una lama di quel tipo.
Avrebbe sicuramente opposto una resistenza assai nociva per la bellezza, omogeneità e
presentabilità della fetta.
Rapido consulto tra i membri della famiglia e conclusione che bisognava rivolgersi alla signora
Marjie che era l’unica che poteva avere uno strumento di quel tipo.
Karine accompagnò Tizio al Nobelhotel, intervistarono la signora Marjie, superindaffarata per
gli impegni gastronomici del suo ristorante, che dapprima diede una risposta negativa. Poi,
come facendo riandare il pensiero lontano nel tempo, si ricordò di una macchinetta manuale
che aveva comperato in Francia una ventina d’anni prima e che aveva nascosto da qualche
parte.
Sia pur di malumore accondiscese agli occhi imploranti di Karine e allo sguardo di disperazione
infuocata di Tizio e andando a colpo sicuro (quindi prima aveva mentito), da dentro un
armadietto estrasse questo aggeggio che a Tizio sembrava, sinceramente, un giocattolo.
Non si disperò, l’uomo. Oramai era giunto alla fine, le sue energie fisiche e mentali al lumicino,
ma raccolse tutto quello che gli restava raspando con attenzione dentro di sé. Si mise sotto
braccio quell’arnese e i due si incamminarono verso casa. Karine era soddisfatta. Non
comprendeva, la poveretta, la criticità della situazione che invece appariva al compagno in
tutta la sua dimensione cosmica.
Entrarono nel ripostiglio dove Pap teneva gli attrezzi. Tizio appoggiò la macchinetta sopra il
tavolo e cominciò a girarle attorno. Poi si fermò, si avvicinò alla lama, la misurò con la spanna,
quindici centimetri, sentenziò. Forse ce l’avrebbe fatta senza dover tagliare contro nervo.
Preveggente, durante la prima fase della preparazione aveva deciso di tagliare in due il pezzo
per provare due soluzioni differenti di preparazione.
Sì, decise che non ci sarebbero stati problemi, per fortuna.
Per non correre rischi di altra natura si armò di cacciavite e smontò lo smontabile, lavò
accuratamente le parti, le asciugò. Tastò il filo della lama sul polpastrello del dito medio.
Insufficiente. Con lo sguardo intorno individuò la mola elettrica e procedette, come sapeva
fare per la sua preparazione tecnica di base, portando il filo ad una condizione più che
accettabile. Riassemblò il tutto e spostò la macchina in cucina. La depose trionfante sul tavolo
invitando con gli occhi Mam ad ammirarla e a congratularsi con lui.
Pap aveva pensato alla birra, al genever come digestivo e anche per il brindisi. Tizio, nel suo
viaggio a Holwerd, al vino, perché non era ancora pronto a questo tipo di imbarbarimento. No,
con la birra ancora no. Aveva trovato solo un fiaschetto di chianti di dubbia genuinità, ma
tant’è, quello c’era.
Sul retro della casa, vicino alla legnaia, c’era il camino dove si soleva cuocere il capretto allo
spiedo o il pesce alla griglia. Tizio aveva pensato ad una piastra di ferro: di pietra lì non ce
n’era nemmeno un po’, dove appoggiare le fettine per una cottura quasi istantanea. Il fuoco
era già acceso e la brace spessa e uniforme, da rinvigorire di tanto in tanto per mantenerne la
vivacità necessaria.
I fagioli, anche se la qualità non era quella più adatta, ma che volete fare tutto e subito non si
può avere, stavano riposando nell’ampia terrina dentro il forno, poco più che tiepido, per non
farne evaporare l’aroma.
Il fiasco di chianti, stappato, campeggiava in centro tavola.
Insomma tutto era pronto. L’emozione alta. L’ansia palpabile e odorabile.
La pendola in anticamera batté le sette, Mam passò dalla cucina alla sala da pranzo per
assicurarsi che tutto fosse in ordine, si compiacque che così fosse, e ne tornò indietro.
Karine era salita in camera a impreziosire la sua figura con un abbigliamento consono
all’occasione (memorabile, senza dubbio). Si era acconciata i capelli con una treccia che aveva
avvolto attorno al capo, a mo’ di nastro al di sopra delle orecchie, e che le conferiva un’aria
fresca e dava luce al viso. Il vestito era quello tradizionale, quello delle ricorrenze. Molto
simile all’abbigliamento della madre che, terminate le incombenze culinarie, si apprestava a
ricevere gli ospiti.
Pap e Tizio sostavano imbacuccati sul retro della casa a controllare la vivacità della brace e a
scambiare due chiacchiere per ammazzare il tempo e rendere umana l’attesa.
Alle setteetrenta la famiglia invitata scampanellò alla porta. Mam aprì e accolse con ampi
gesti di saluto gli ospiti, abbracciando Ana e stringendo la mano a Augustin e a Jakob.
Quest’ultimo portava un vassoio contenente le “oliebollen”, le frittelle ripiene di uva passa.
Dopo i soliti convenevoli Mam li invitò in sala da pranzo e Karine si affrettò a chiamare gli
uomini che stavano fuori al freddo e che, per questo, si sentivano autorizzati a riscaldarsi con
un bicchierino di genever.
Gli ospiti sapevano che quella cena aveva un significato particolare e sentivano sulle loro spalle
(o meglio nei loro palati) tutto il peso di un giudizio che poteva significare il successo o la
condanna di un’idea, le sorti, il futuro di un uomo che qui, a Amelund, da Amelund voleva
esportare in tutto il mondo (eccessiva, ma comprensibile l’enfasi) la sua rivoluzione
gastronomica.
Si accomodarono a tavola, Pap e Augustin a capotavola, Mam e Karine opposte a Ana e Jakob.
E Tizio?
No, per lui, come avrete capito, quella non era una cena, ma un momento topico, una pietra
miliare della sua vita. Si era perciò voluto ritagliare la figura del maitre, di più, quella del
suggeritore, consigliere per quei soggetti che avrebbero dovuto gustare la sua proposta. Li
doveva per questo assistere, verificando che non ci fossero errori, che per qualche inezia,
sbadataggine o imperizia, non si vanificasse tutto il suo impegno.
Bene. Quando tutti si furono accomodati, a loro agio, riparò in cucina. Sentiva le loro voci
scherzose, ma con un filo di preoccupazione, risatine un po’ compresse, qualche voce sopra le
righe. Ma era comprensibile.
Estrasse dal contenitore di legno la prima tranche. La annusò ancora una volta, chiuse per un
attimo gli occhi, scosse il volto leggermente e, quando l’aroma ritornò nelle narici dopo il tour
completo dei polmoni, riprese coscienza di sé e cominciò ad affettare per l’antipasto.
Veli di seta rossastra si adagiavano nel piatto di portata in maniera regale, con un portamento
impeccabile perfettamente accostati l’uno all’altro con piccola sovrapposizione ai bordi. In soli
cinqueminuti l’operazione fu completata. Asperse il tessuto con un filo d’olio, ammirò beato la
composizione, adagiò nel palmo della mano destra il vassoio, un ultimo sguardo d’amore, e
volteggiò leggero verso la sala da pranzo.
Al suo arrivo, le voci, tutte, si zittirono e gli occhi, con lento ma costante movimento,
focalizzarono il nuovo arrivato che si adagiava al centro della tavola.
Ciò che tutti i commensali percepirono immediatamente ed in egual misura fu l’aroma che si
diffondeva da quel vassoio. Un aroma nuovo, forte ma allo stesso tempo gradevole,
ammaliante, sinuoso che percorreva la stanza ebbro di libertà, dopo la lunga costrizione
dentro il contenitore di legno.
Allorché tutti si furono assuefatti a questa nuova condizione e quindi si potevano considerare
pronti ad una nuova esperienza, Tizio riprese a sé il vassoio e si cimentò nel servizio,
pizzicando appena le fettine e deponendole con grazia nel piatto degli astanti. Terminato il
giro, un velo profumato, uno solo, rimase nel vassoio. Lo tenne d’occhio. Quello era per lui, ma
solo dopo che gli altri avessero gustato.
Si udì il rumore della posateria in un silenzio assordante, le bocche si aprirono quasi
contemporaneamente, le forchette adagiarono la prelibatezza sulla lingua, le fauci si chiusero.
Quiete innaturale, tensione alle stelle.
Tizio dalla sua posizione privilegiata osservava i commensali come se al posto degli occhi
avesse un grand’angolo. Il primo fu Augustin che osò riaversi esclamando :
- Ma si scioglie in bocca! Non c’è più niente- disse e, per rafforzare l’affermazione, espose la
sua lingua, in effetti un po’ violacea per il contatto.
- Eccellente, davvero eccellente! Un sapore unico, raro, mai gustato- replicò Pop
- E che delicatezza, un velluto!- aggiunsero le signore
- Se ne può avere ancora?- si limitò a dire Jakob che andava per le spicce.
Karine non disse nulla. Alzò lo sguardo verso il suo eroe e lo trafisse con centinaia di frecce,
tutte dirette al cuore.
Tizio gonfiò il petto, allargò la presa dei piedi sul pavimento e fece l’accenno di un inchino che
voleva essere di gratitudine. Poi, come per avere la certezza che non fosse un sogno, assaggiò
la sua parte e rifece esattamente gli stessi gesti dei commensali. Comprese così che tutto
quello che stava succedendo era proprio vero.
Il primo passo verso il successo era compiuto. Si vedeva già nei titoli del giornale di Portoland,
tratteggiato come colui che aveva portato lustro e nobilità alla terra che gli aveva dato i
natali.
Ma via! Che sciocchezze! Il test non è finito, si disse. Adesso toccava a quella cotta.
Ritornato in cucina, rigorosamente da solo, preparò un’altra portata da servire, questa volta
con pochi sottolii in maniera che il loro sapore non coprisse la delicatezza del fondo.
E si accinse al taglio del secondo trancio per la cottura. Controllò che la brace fosse della
vivacità ottimale, e sollevò la pesante piastra metallica che pose in opera per il
preriscaldamento sui supporti ai lati del braciere.
In cucina adeguò la distanza della lama dell’affettatrice in modo da ottenere spessori non
superiori a tremillimetri (ma che fatica, che tensione nervosa). Estrasse dal forno la terrina
con i fagioli, li salò e pepo', li innaffiò di olio e, questi sì, li assaggiò preventivamente,
masticando anche l’intingolo, alla guisa dei sommellier. Non male, ma nemmeno il massimo,
concluse. La qualità non si sposava al meglio, pasta leggermente ruvida, buccia non
liquefacibile...avrebbe fatto meglio più avanti. Questo non era un problema.
In un salto verificò lo stato della piastra, mattone scuro, perfetto. Brandì il piatto con la
materia prima, diede una voce a Pap che l’avrebbe aiutato a portare il prodotto finito
rapidamente, prima che si raffreddasse, dopo aver posto i piatti nel forno, per mantenerli al
caldo.
Questi accorgimenti erano fondamentali per la buona riuscita, fondamentali, ripeté a Pop che
pareva non approvasse. Ma, d’altronde era comprensibile, non era cultura sua, quella.
Il contatto tra la frescura delle fette e il calore della piastra produceva uno spasmo termico
che dava vita a quei corpicini inermi. Un attimo da una parte, un attimo dall’altra. Con la
paletta Tizio li raccoglieva deponendoli nel capiente vassoio che Pap si premurava di far
giungere rapidamente in tavola.
In sette minuti di orologio l’operazione si compì. In altrettanto tempo si compì anche l’altra
con completa, intensa, memorabile soddisfazione dei commensali, stretta di mano collettiva,
bacio accademico di cinque, bacio d’amore del sesto. Bacio che si prolungò più tardi, quando a
festa terminata con il cuore colmo di gioia, orgoglio, entusiasmo, dopo la passeggiata al gelo
per ridurre la febbre da prestazione, si infilarono sotto il piumone per riacquistare l’equilibrio
termico.
Caro lettore, questa è la vera storia di come è nato lo ZOUTVLESS, sì, proprio quello. Come la
pizza, la cocacola, quello che è diventato un prodotto di larga diffusione e il cui marchio è
stranoto. Ma dai, quello dall’insegna gialla con la scritta blu e rossa! Lo conoscono anche i
bambini...
Adesso forse è chiaro chi è Tizio, vent’anni dopo. Sembra un nullafacente? Se lo può
permettere e se vuole contribuire, con misura, senza spandimenti selvaggi di euri, a salvare la
nostra squadra di basket, ne ha i mezzi, leciti, per farlo. E allora che lo faccia, perdio! Ché,
adesso, di sponsor non se ne vedono neanche all’orizzonte.
Grand’uomo il nostro Tizio, gran cuore, molta passione. Oddio, qualche difettuccio l’ha
conservato, come quello di non rispondere a tono, ma solo quando è stressato. E’ sempre pieno
di risorse.
E non smette di stupire.
Badate bene, non si tratta del passato. Cioè, non precisamente.
Il lettore attento ricorderà che Tizio si era assentato una settimana, senza dir niente a
nessuno e improvvisamente, com’era scomparso, era riapparso.
Sentite un po’..... è una vicenda che ha dell’incredibile...
CAPITOLO 15
Il lettore deve scusarci, se, passando da un capitolo all'altro, lasciamo un argomento in
sospeso per riprenderne un altro.
Del resto, in questo modo tutti i personaggi importanti del racconto recitano, a turno, la loro
parte, così come nella vita.
Avrete certamente visto - o forse abitato - quei casamenti di forma regolare, costruiti
attorno ad un cortile con l'acciottolato, su cui danno i poggioli tutt'intorno, con ringhiere in
ferro.
Sapete che esistono villaggi costruiti con lo stesso sistema?
In effetti, i vantaggi sono molti: tutta la parte interna è ben riparata dal vento, i vicini hanno
occasione di vedersi spesso, si possono stendere i panni anche quando piove, i bambini possono
giocare tranquillamente, lontano dai pericoli, e soprattutto trovano sempre qualche compagno.
Le mamme non si preoccupano, e quando è ora di cena basta che si affaccino alla ringhiera per
chiamare i loro figli, senza doverli andare a cercare chissà dove.
Poiché in tali complessi abitano almeno quindici-venti famiglie, si possono formare gruppi
anche numerosi di ragazzi di varie età, che, con due sassi per porta, giocano a pallone, o, con
uno spago legato a due paletti piantati a terra, imitano la pallavolo.
In un tale favorevole ambiente era cresciuto il nostro Gibi.
Fratello maggiore di una nidiata di cinque figli - tre maschi e due femmine -, Gibi svolgeva
anche funzioni paterne e materne, perché purtroppo il papà era morto in un incidente sul
lavoro quando lui aveva appena dodici anni.
La madre aveva dovuto, per forza, andare a lavorare.
Gibi si era abituato a cambiare i pannolini all'ultima arrivata, a cucinare, ed a governare il
gruppo dei fratelli quando si trattava di combinare una partitella in cortile.
Era anzi così bravo di organizzare, che divenne ben presto il più ricercato fra tutti i ragazzi
che passavano qualche ore al giorno in cortile.
Abituatosi ad avere cento occhi per evitare che i più piccoli si facessero male, allenò in questo
modo quella che era già una sua particolare caratteristica: la visione di gioco.
Quando si formavano le squadre, tutti volevano stare con lui, perché questo voleva dire la
garanzia di ricevere un buon passaggio al momento opportuno.
Era inoltre un capitano comprensivo, e sapeva insegnare con pazienza.
Gli piaceva palleggiare con i piedi, e, durante le ore di ginnastica a scuola, imparò a farlo anche
con le mani.
Quando andò alle superiori, capitò pure a lui, come a Lupo, di dover fare i conti con una banda
di prepotenti.
Appena quelli lo circondarono, Gibi, senza spaventarsi, ed avendo notato che uno di loro aveva
con sé un pallone, disse calmo:" Chi accetta una sfida di palleggio? "
E' difficile che un maschio, di qualsiasi etnia e religione, anche se cafoncello e sadico, riesca a
resistere ad una tale sfida.
Quello che da tutti era ritenuto il più abile si fece avanti, e disse: " Io. Chi perde deve
prendere con le mani quella cacca di cane."
Era sicuro di vincere.
Gibi gli fece cenno di accomodarsi. L'altro arrivò a cinquantatrè, mentre tutta la banda faceva
cenni di schifo verso Gibi, mimando il gesto di raccogliere quanto stabilito.
Gibi prese il pallone, ed iniziò. Lo toccava di piede, di coscia, di testa. Arrivato a cento, nel
silenzio generale, fermò la palla in bilico sul piede, e la alzò per il rivale.
Cominciò ad allontanarsi senza voltarsi, mormorando: " Prendere con le mani una cacca! Ma si
può avere un tale cattivo gusto? "
Era diventato un leader popolare.
Basilio aveva una storia semplice, fatta di piadine romagnole, di tuffi e nuotate, di serate
trascorse al bar a parlare di basket.
Era un bravo play, ma, arrivato alla serie C, si rese conto che, a causa della statura piccola, se
voleva andare avanti avrebbe dovuto diventare veloce come Speedy Gonzales.
Preferiva vivere. Così prese il brevetto di allenatore, mestiere spesso ingrato, ma che lasciava
del tempo libero, per continuare a trovarsi con gli amici davanti ad un buon piatto tris di primi.
Aveva avuto da subito idee molto precise sul tipo di gioco da adottare.
Poiché sapeva che allenare in una squadra " ricca " di alta serie significava avere guai e
proccupazioni a non finire, preferiva le formazioni più marginali, in cui la sua applicazione
poteva diventare decisiva per la salvezza e per l'entusiasmo del pubblico.
In fondo la sua filosofia non era difficile: se non ci sono soldi per i talenti, bisogna difendere
e correre più dei talenti.
Ovvero: se non si gioca molto bene a basket, bisogna essere atleti.
Il basket è terribile: spesso una partita viene decisa negli ultimi secondi, dalla squadra che più
ci crede. E, per crederci, non occorre essere dei geni.
Naturalmente, tutto questo vale per i campionati dilettanti: in quelli di alto livello, quasi
sempre un giocatore è insieme bravo tecnicamente ed atleta.
Le società impararono ad apprezzare la sua socievolezza e sincerità.
Gli atleti, anche se " cazziati " duramente in campo, sapevano che fuori lui era un amico.
Il suo problema erano i procuratori, alcuni dei quali riuscivano a convincere dirigenti e
direttori sportivi ad operare scelte convenienti per chi voleva farci due soldi in più, ma
inadatte alle squadre allenate da Basilio.
Egli amava dire: " Piuttosto che un giocatore nel ruolo giusto, ma fermo sul terreno e senza
voglia o capacità di sacrificio, metto in campo un giocatore di altro ruolo, che non molla di un
centimetro fino alla fine. Meglio cinque play votati al sacrificio che cinque giocatori nei ruoli
giusti che fanno pena.
Tuttavia, incontrò sempre resistenza alle sue teorie, trovandosi spesso a far giocare una
squadra in cui solo la metà dei giocatori corrispondeva ai suoi piani.
Il suo incontro con Gibi fu particolare.
Gibi era troppo buono per cercare sotterfugi e compromessi, e pagava per questa sua
caratteristica, finendo per giocare in squadracce senza prospettiva.
Le statistiche non rendevano ragione alla sua visione di gioco. Era come un giocatore di scacchi
che sa sistemare bene tutti i suoi pezzi sulla scacchiera, e vince alla distanza, senza aver
fatto nulla di eclatante.
Gibi era perfetto in difesa, ed agiva come uno stratega in attacco.
Però non eccelleva nel tiro, ed i suoi passaggi erano decisivi per lo sviluppo del gioco, senza
diventare dei veri e propri assist. Quindi, statistiche mediocri.
Soltanto chi ci giocava insieme apprezzava in pieno queste doti.
E, naturalmente, Basilio, che, come lo vide in azione, sentì il cuore balzargli a mille.
Gli si avvicinò dopo aver assistito ad un allenamento, e gli disse subito: " Figliolo, tu sarai la
pietra su cui edificherò la mia prossima squadra."
( parole simili mi sembra di averle già sentite, non so dove )
Così fu impostata la squadra di Portoland.
" Tròvati alle nove nella mia palestra. Guarda che lo faccio solo perché è interesse della
squadra." ( clik )
Brodetto rimase impietrito, col telefono in mano:
" Era Gina, il pivot delle donne ? - fece Lupo - Oh, scusami, mi ero dimenticato di dirtelo: il
coach aveva espresso il desiderio che tu imparassi l'entrata spalle a canestro, e così, dato che
io la conosco, mi sono permesso di chiederle se ti fa da insegnante.
Non dovrebbe dispiacerti: è anche cari.......ma, scusami, perché quella faccia?
"Era la mia fidanzata."
" Era ? Madonna, che pasticcio....."
Brodetto ebbe un lampo negli occhi: " A me piace, il pasticcio."
La palestra era quasi deserta. Quando entrò Brodetto, c'era soltanto Gina.
" Ciao Gina "
" Guarda che non ho intenzione di perdere tempo. Mettiti le scarpe e cominciamo."
Mentre si preparava, Brodetto le lanciò un paio di sguardi. Era evidentemente nervosa.
Buon segno.
" Come va il tuo piede? " fece lei, per rompere il silenzio.
" Guarito. Grazie anche al tuo miracoloso ritrovato."
" Ah. "
" Pronto."
" Allora guarda: prima ti faccio vedere io. Sei sul margine dell'area, vicino al tabellone.
La schiena è rivolta all'area. Il tabellone è alla tua destra."
" Capito. "
Usando come perno il sinistro, sposti la gamba destra, incrociando l'altra, come se volessi
entrare alla tua sinistra. E' chiaro?"
" Chiaro."
" Quando il tuo avversario, che ti marca stretto, si è spostato alla tua sinistra, tu, sempre
facendo perno sullo stesso piede, scivoli verso l'interno alla tua destra, copri con la spalla la
mano, e infili. O.K.?"
" O.K."
" Prova senza marcatura ". Brodetto eseguì alla perfezione
" Adesso prova con l'avversario che ti marca stretto." Gli si mise alle spalle.
" Dunque: tu mi stai addosso, io mi muovo prima sulla sinistra, poi sulla destra, scivolo
DENTRO, ed INFILO definitivamente."
Gina taceva.
" Ti dispiace se riprovo? Io mi muovo a sinistra, poi a destra, scivolo DENTRO, ed INFILO."
Si voltò verso Gina, che gli era addosso, le prese il viso fra le mani, e le mise lentamente la
lingua in bocca, guardandola negli occhi.
Gina si sentì svenire.
Il ballo delle due chiavi.
Ogni cinque anni, a Portoland avveniva la cerimonia commemorativa della consegna delle chiavi
al Podestà. Due chiavi: quella del castello e quella, simbolica, della città.
Era una tradizione che datava dal Medioevo, e che metteva in piacevole agitazione quasi tutti
gli abitanti.
Oltre ai fuochi d'artificio sull'acqua, il momento centrale era costituito dal ballo al castello.
Potevano partecipare coloro che dopo, aver seguito un apposito - e gratuito - corso di danza,
superavano l'esame di ammissione.
Il ballo richiedeva di vestirsi con costumi dell'epoca barocca, ed era la quadriglia
portolandese, uno speciale adattamento della quadriglia classica.
Nel momento in cui la squadra di basket accoglieva Brodetto, a Portoland mancavano appena
tre settimane alla celebrazione.
Basilio radunò gli atleti, e disse: " Ragazzi, è assurdo che, fino alla partita di spareggio, non
facciamo altro che pensare al basket. Io intendo partecipare al grande ballo, e vi consiglio di
fare altrettanto.
Uno dei giovani rispose: " Basilio, poiché il ballo era anticamente destinato alle debuttanti, per
esservi ammessi, oltre ad aver superato il corso, bisogna avere almeno l'età minima che allora
occorreva per essere accolti nelle Corti, e cioè ventun anni. Perciò, oltre a te, ci possono
andare solo Brodo, lupo e Gibi. "
Basilio rispose: " Pazienza. Vuol dire che saremo in quattro."
Lupo sbuffò: " Capo, io odio ballare."
" Hai paura di fare brutta figura? "
" O.K., ci sarò ." La parola "paura" era insopportabile per Lupo.
" Coach, io sono timido come un criceto." disse Gibi.
" E questa è l'occasione per vincere la timidezza. " replicò Basilio.
" Va beeeene. " strascicò Gibi.
Basilio si volse verso Brodo, che lo anticipo': " Vengo, vengo. Spontaneamente, eh! "
Al corso furono tutti promossi.
In attesa della quadriglia, l'orchestra stava suonando classici da films.
Camerieri giravano con vassoi colmi di tartine, o bicchieri di spumante.
Lupo era circondato dalle ragazze più belle nel salone.
Andava avanti a battute, ma era un po' nervoso.
Ad un certo punto, notò, in fondo alla sala, una ragazza sconosciuta.
Aveva qualcosa di particolare, ma non sapeva definire cosa.
Si scusò con le presenti, e si avvicinò alla fanciulla, osservandole il profilo.
Non era bella. Nemmeno brutta, intendiamoci, ma nulla di esplosivo.
I tratti erano irregolari, non spiacevoli. La bocca grande, e così il naso, lasciavano intendere
un carattere deciso. La fronte era spaziosa, e gli occhi azzurri,
Non era molto alta, ma portava con eleganza il vestito d'epoca.
Lupo si sentì improvvisamente imbarazzato nel suo costume, e si fermò ad un passo di
distanza.
" Qualcosa che non va? " chiese la misteriosa creatura, senza voltarsi a guardarlo.
" Ci conosciamo? " rispose esitando Lupo.
" Credo proprio di no. - lei si voltò decisa - Non è un modo un po' troppo scontato per
attaccare discorso? " Lo fissava senza esitazioni.
" Beh, comunque è un modo." ( ma cosa gli stava succedendo?")
" Sei carino. Mi sa che fai parte di quegli uomini che non devono chiedere."
" In effetti, di solito no. " Lupo stava sudando come in un finale di partita.
Lei invece sembrava perfettamente a suo agio, e per niente affascinata. Gli rivolse un sorriso:
" Probabilmente sei un atleta. Gli atleti sono spesso molto sicuri delle loro opinioni. A me,
invece, piacciono gli uomini problematici."
Lupo si sentì mancare le gambe. Scelse di essere sincero: " In effetti, non è che passo molto
tempo a fare ragionamenti."
Lei mosse leggermente le spalle, e Lupo si sentì mancare anche la saliva." Mi chiamo Giulia, e
tu?" disse lei, porgendogli la mano.
" Lupo, mi chiamano Lupo. " Gliela strinse, deciso e rinfrancato dal gesto.
La ragazza annuì: " Dovevo immaginarlo. Si parla molto, di te, fra le donne di questa città."
" E cosa dicono? "
" Grande ammirazione per il fisico. A quanto pare, scopi molto bene. Ma niente di più."
La franchezza della ragazza lo sconcertò. Si guardò in giro, imbarazzato.
La ragazza fece una risatina, poi continuò: " Spero di non aver offeso il tuo senso del pudore.
Ho solo risposto sinceramente alla tua domanda. Sai chi sono io? "
" Non ne ho la minima idea "
" Conosci il presidente della squadra? "
" Certo che lo conosco "
" Ma non sua figlia, immagino. Io sono sua figlia."
Lupo rimase senza fiato. Dopo un silenzio per lui imbarazzante, osservò: "Non ti ho mai vista
alle partite."
" Infatti. Mentre tu giochi, io di solito suono. Musica classica."
" Che strumento? " chiese Lupo, che era un fan della musica rock.
" Il violino." rispose lei, allontanandosi.
" Dove vai? " chiese lui, improvvisamente disperato.
" Perché?"
" Cosa ci faccio io qui, senza di te?" sfuggì detto a Lupo, stupito di se stesso.
" Non vedi che è arrivato il momento? Vado a ballare le quadriglia. E tu? Non sei qui per lo
stesso motivo?"
Lupo la seguì, respirando fondo.
Gibi se ne stava in disparte, con una leggera malinconia, ma senza disagio eccessivo.
Com'era sua abitudine, cercava con lo sguardo di cogliere l'insieme, ed anche i particolari più
significativi.
Vide, con grande stupore, che Lupo aveva abbandonato lo sciame di belle figliole, per recarsi
da una ragazza per niente vistosa. Si ripropose di approfondire la questione.
Ad un certo punto si bloccò: una ragazza, non in costume, aveva attirato la sua attenzione.
Vista da dietro, era identica a sua sorella mediana: era pettinata con lo chignon, aveva il
colletto della maglia alto alla stessa maniera, la gonna svasata, le scarpe con un po' di tacco.
Ma non poteva essere sua sorella: le aveva telefonato la sera prima, ed era a centinaia di
kilometri di distanza.
Decise di avvicinarsi. Quando le fu a fianco, vide che, sì, c'era una somiglianza, ma non era lei.
Però non fu capace di distogliere lo sguardo da quella ragazza.
" Posso fare qualcosa per te? " lei gli chiese.
Gibi arrossì vistosamente: " Scusa, non volevo disturbarti. E' che...."
" Che? "
" Che da dietro eri tale e quale mia sorella. Una cosa impressionante. Pettinatura, vestito,
perfino il portamento, Incredibile."
" Tu sei affezionato a tua sorella? "
" Moltissimo. Eravamo sempre insieme, da piccoli. Giochi, studio....
" E senz'altro anche Cristina ti vuole molto bene."
" Certo.....Cristina? Io non ti ho detto il suo nome."
Ci fu una pausa. Poi la ragazza sospirò, e raccontò:
" Io vengo alle partite, sai. Sei un ragazzo fantastico, un cuore d'oro. I compagni e
l'allenatore ti adorano. Ma ad una ragazza che volesse avvicinarti, non lasci nessuna
possibilità.
Gli spettatori non li guardi. Non esci mai, se non con i compagni di squadra. Sei di una
timidezza esasperante ( aggiunse, quasi con rabbia ).
Cosa potevo fare per avvicinarti? Andare a trovare tua sorella. Lì ho capito quanto tieni a lei.E
le ho chiesto di prestarmi un suo vestito. Un trucco per attirare la tua attenzione.."
Gibi rimase in silenzio. Cercava di riflettere, ma quella confessione lo aveva sbalordito, ed
anche commosso. E poi, accidenti, la ragazza gli piaceva. Quel richiamo a qualcosa che
apparteneva al suo passato, ai suoi affetti, lo aiutava a superare la timidezza.
La ragazza gli disse:" Sta per iniziare la quadriglia portolandese. Non vai? "
" No. Se hai fatto tutto questo per me, devi essere proprio innamorata. E amore chiama
amore." le rispose Gibi, cingendola alla vita. Lei appoggiò sospirando la testa sul suo petto.
Nella quadriglia, le coppie si disfano e si ricompongono senza sosta, con continui passaggi da
movimenti collettivi a movimenti singoli.
Lupo non riusciva a perdere di vista Giulia, e, per questo, faticava a tenere il ritmo giusto.
Giulia ad un certo punto lo fissò, con uno sguardo denso. Lupo era cotto.
Sbadato, pestò il piede del ballerino vicino, e, senza voltarsi, disse. " Mi scusi ".
" Niente niente, ma dammi pure del tu - rispose Brodetto - Stregato, eh? "
Al termine della quadriglia, Basilio uscì all'aperto tenendo per mano la moglie.
La superficie dell'acqua, illuminata dalla luna, era liscia come l'olio.
La temperatura era ideale. Basilio disse: " Ti ricordi il nostro primo bacio? Pioveva, c'era un
vento forte, eppure......"
La moglie lo baciò. Dopo tre minuti di apnea, quando si staccarono, dissero insieme:"A letto "
Risero come matti. Corsero alla macchina, corsero a casa, corsero in camera.
" Lo sai che mi piaci solo tu, bella morettina."
" Sì, Basilio, amore mio Sì....sì..... a......mo.......re..
CAPITOLO 16
Dokkum è una cittadina circondata dall’acqua, ma questa non è un novità in Estéria. Il suo
cuore ha forma esagonale e il canale, largo e navigabile, che lo borda, si insinua e ramifica nel
tessuto urbano attraverso una miriade di vie liquide. Ponticelli in pietra cuciono le tessere
abitate di un gradevole mosaico.
Case per lo più rosse, in tutte le espressione e combinazioni cromatiche, rivestite di mattoni e
di foggia molto differente da quelle di Ameland che, in fondo, non è in capo al mondo anche se
così parrebbe. Due, tre piani al massimo, tetti leggermente più inclinati dei nostri, ma poi non
così tanto, e privi di spiovente. Tutte le finestre incorniciate di bianco ad esaltarne i contorni
e rendere più dinamica l’espressione delle facciate.
Tizio la conosceva bene, quella cittadina. La sua prima terra di conquista dopo la
sperimentazione ed il rodaggio a Ameland. Il suo primo restaurant monomarca, il primo anello
della lunga catena ZOUTVLESS che in pochi anni avrebbe colonizzato praticamente tutta
l’Estéria sino a spingersi oltre il confine occidentale, in Ostéria, per l’appunto.
Questo suo primogenito, amato, senza forse, più di tutti gli altri, si trovava sulla Rondweg
Noord, subito a settentrione del cuore antico, insediato in una “brasserie” un po’ datata che
lui aveva provveduto a rinnovare con il gusto innato dei portolandiani.
E già, il rodaggio ad Ameland. Quando va col ricordo a quei tempi, non lo nega, si commuove
ancora. Passione, ingegno, impegno, arguzia, astuzia, fede, fede incrollabile nel suo progetto.
Scoramenti davvero pochi, insuccessi altrettanti. Ma ciò si dovette esclusivamente a quei
sostantivi sopra elencati che lui sperimentò in maniera sempre positiva.
Annodò una rete solida ed efficace di fornitori, locali, ma soprattutto nostrani, per garantirsi
provviste puntuali e di qualità, cominciando con prudenza ad addestrare Jakob che gli fornì un
valido supporto nelle incombenze routinarie.
La sua prima uscita pubblica avvenne alla fine di febbraio dalla signora Marjie che
accondiscese ad ospitare nel suo menu, per quella domenica, la prelibatezza di Tizio. Per
l’occasione il nostro eroe si fece carico di produrre una carta dei cibi nuova. Principalmente
nella veste grafica, con una saggia impaginazione che favoriva la sua Zoutvless nei confronti
delle consuete proposte gastronomiche della casa.
Il cliente apprezzava e chiedeva informazioni alla padrona di quella novità. Saggiamente
Marjie lasciava la parola a Tizio e Tizio giocava la sua partita con molta convinzione,
inducendone non pochi all’assaggio e alla degustazione.
Soddisfatti? Possiamo dire che tutti quelli che avevano accettato la proposta furono per lo
meno soddisfatti. Qualcuno fin entusiasta e si prendeva anche la briga di fare i complimenti
all’autore.
E Karine? Karine fece un piccolo tratto di strada assieme a Tizio. Lo seguì nei primi
spostamenti tra Ameland e la terra ferma. Quando tuttavia l’impegno divenne più gravoso e le
soste esterne più lunghe e frequenti, alla ragazza venne a mancare il punto di riferimento.
Aveva la sensazione che le radici cominciassero a perdere la presa nel terreno ed ebbe paura
di essere travolta dagli eventi. Sentiva che il suo posto sarebbe stato, comunque, sull’isola.
Riprovò a disperarsi, ma da donna saggia comprese che la vita con quell’uomo sarebbe stata
una vita di sofferenza. La sua impenitenza la si poteva considerare, se non genetica, almeno
patologica. Anche per una donna nordica, meno asfissiata dalla passione di quella latina, esiste
un limite, oltre il quale non sta bene andare. Per rispetto di se stessa.
Come altre volte, se ne fece una ragione e, pur rimanendo legata a Tizio da un sentimento
affettivo mutante, accettò le attenzioni di Gus, allevatore di pecore a nord di Nes, tra il
paese e il mare.
Tizio ritornava a Ballum non in maniera regolare, ma con frequenza. Tappe fisse una visita a
Pop e Mam, alla signora Marjie e una sosta prolungata alla fattoria dove viveva Karine, serena
con Gus. Si rilassava lassù, si trovava a casa, lui che la sua l’aveva quasi dimenticata. Invero
era solo nascosta in un remoto anfratto del suo cuore. Fu una scelta terapeutica in attesa di
un ritorno dantésiano (o edmondiano).
Ci tornò anche quella famosa settimana di vent’anni dopo quando scomparve da Portoland
senza dire nulla a nessuno e che fomentò, nuovamente, un gossip maligno tra i suoi
concittadini.
Si sistemò alla fattoria di Gus, invitato da Karine. La ragazza, oramai donna matura e madre di
due ragazzoni più che adolescenti, si era compiutamente appopriata del suo ruolo nella realtà
produttiva del marito occupandosi della gestione della fattoria.
Durante il piacevole soggiorno Karine ricevette una telefonata di Gudj, la cugina, ricordate?,
colei che a Portoland aveva ricevuto in dono un seme fecondo.
Abitava sempre a Ee assieme al marito, floricoltore, e con i due figli. Il primo, quello del
peccato, un maschio. La seconda, una rotondetta femminuccia.
Ee era un paesetto poco più grande, o forse nemmeno, di Ballum, posto a ovest di Dokkum e a
quello agganciato da un canale, lo stesso che ne borda, inferiormente, il centro antico.
Dokkum è una cittadina che oltre ad avere dimensioni confrontabili con quelle di Portoland, ha
un’altra sostanziale similitudine: la passione per il basket! Lo Sport cittadino! Lo Sport che l’ha
portata ai fasti nazionali grazie alla sua squadra, il De Uilem bv, che gioca nella Promotie
Division, la seconda serie nazionale.
Subito ad est della città antica, sulla sponda del canale è sorta una cittadella dello sport
fantastica: oltre ai rossi campi da tennis, il verde smeraldo dei terreni di gioco per il calcio e
l’hockey su prato, la bicromìa dei campetti di basket, c’è uno stupendo Sportpaleis che ospita
le partite interne della De Uilen. Una cupola leggerissima in acciaio e policarbonato aspirava la
luce del cielo verso l’interno ellittico, irradiandola sulle policrome tribune che incorniciavano il
terreno di gioco.
Il lettore potrebbe chiedersi il perché di questa descrizione così enfatizzata. Per
demoralizzare il popolo baskettaro portolandiano che si deve accontentare di un tendone?
Beh, forse sì, ma non solo. Soprattutto perché in quella squadra di seconda divisione nazionale
giocava stabilmente il figlio, un po’ nostrano, di Gudj. E quindi, suvvia! mi sia concesso un
minimo di orgoglio patriottico, perdio!
Bene, bene. L’invito era quindi motivato dal fatto che il giovedì la De Uilen si sarebbe
scontrata con il Leiden in un match di estrema importanza per la posizione nella griglia dei
playoff. Entrambe le squadre al quarto posto, con una differenza canestri favorevole al
Leiden.
Karine, a quell’invito rimase un po’ freddina. A lei, quello sport non piaceva, al marito e ai figli
neppure, a Tizio....che aveva intercettato il tenore del colloquio sfuggì: - Ottimo!La donna lo guardò interdetta chiedendogli con gli occhi ragione di tanto entusiasmo.
- Karine, questo sport mi affascina. E’ vero, una volta mi lasciava indifferente. Che dico, non
sapevo nemmeno che esistesse. Ma da quando sono tornato, un amico, Bardino, non ti ho mai
parlato di lui? No?, strano! Bardino ha cominciato a farmi una capa tanta (una testa così,
mimando anche con il gesto delle mani) di questo sport. Mi ha convinto ad andare a qualche
partita e, ti devo confessare, me ne sono innamorato. Anzi, ti dirò di più, vorrei tanto fare
qualcosa di concreto per la nostra squadra che se la sta passando malino (o male, non mi
ricordo più)-.
La donna lo guardò interdetta dicendogli con gli occhi che non lo riconosceva più.
L’uomo, anche lui con gli occhi e con il sostegno delle braccia allargate, rispose che forse era
l’età.
Continuando con questa tecnica espressiva lei accondiscese, sia pur di malavoglia. Tizio
ringraziò chinando graziosamente la testa e mostrando, sul cuoio capelluto, pochi alberi sparsi
in fase di rapida decolorazione.
Morale, partirono giovedì verso mezzogiorno imbarcandosi sul traghetto delle quattordici.
Dopo le due ore previste sbarcarono a Holwerd, imboccarono la statale 356 e dopo una ventina
di minuti arrivarono sulla Rondweg Noord. Tizio istintivamente piegò a sinistra. Karine si girò
con lo sguardo a chiedergli il perché e lui non fece altro che indicarle un punto da quella parte
con l’indice della mano sinistra.
Aveva istintivamente imboccato, come aveva fatto mille volte in passato, in direzione
dell’avamposto, della testa di ponte, che proprio lì, anzi da lì, dalla Rondweg Noord, aveva
permesso l’espansione dell’impero ZOUTVLESS.
Quel baluardo ora, nel duemilatredici, non c’era più. Era stato trasferito a Sud in un ampio
compendio moderno, funzionale e...decisamente più produttivo.
Tizio sentì quasi un tuffo al cuore, un’aritmia sorda, strisciante, velenosa condita con un
dolore sordo, strisciante, velenoso e gli occhi gli si inumidirono. Fermò la macchina a lato della
strada, davanti alla reliquia. Posò il capo lentamente sul volante e pianse per lunghi secondi.
Per quel tempo, corto ma eterno, lei rimase in uno stato di commosso e rispettoso silenzio.
Non riuscì a piangere. Con titubanza avvicinò la mano ai suoi radi capelli e con le dita tremanti
gli offrì la sua consolazione.
Lui alzò lo sguardo riconoscente e già più sereno.
Si asciugò il viso. Riavviò il motore e invertì il senso di marcia, prendendo verso sud.
Completarono il tragitto in silenzio. Parcheggiarono negli ampi spazi a servizio della struttura
sportiva. Erano solo le diciassette. Ancora due ore di attesa.
Tizio, di nuovo sorridente, amorevole, fascinoso, dongiovanni ad oltranza, la prese
sottobraccio, le stampo' un bacio sulla guancia destra provocando in lei un gesto di falsa
sorpresa e riprovazione. Non passarono due secondi che lei ricambiò. Con quel movimento finì
tra le sue braccia che già si erano predisposte a riceverla. La strinsero quel tanto che bastò a
creare il contatto, quello che inturgida le forme e che conferma che la vita c’è, dentro di noi,
dentro di loro.
Non ci fu bisogno di parlare, per dire dove andare o che fare nell’attesa. E non ci fu attesa,
tanto che Gudj e suo marito, davanti all’entrata dello Sportpaleis da venti minuti, erano in
perpetuo movimento per scrutare in tutte le direzioni in cerca delle loro figure. Operazione
inoltre estremamente ardua per l’oscurità e perciò ancora più ansiogena.
Mancava forse un minuto alle diciannove quando sorridenti, scherzosi, tenendosi sottobraccio,
si agitarono fin da lontano per palesare la loro presenza alla cugina.
Nessuna spiegazione richiesta, nessuna spiegazione fornita. Ovviamente.
Presentazioni di rito (Tizio non conosceva né lei né lui), frasi di circostanza, domande lecite e
asettiche. Misurazione visiva di lei, misurazione visiva di lui (altezza media? Medio bassa? No,
media. Come lui, Tizio).
Si affrettarono all’ingresso. Gudj aveva già i biglietti per la tribuna centrale numerata. Prime
file, proprio nei pressi della panchina della squadra di casa.
Seggioline rosse, confortevoli, morbide e con schienale. Ottimo per i suoi reumi dorsali.
Si accomodarono, le cugine fianco a fianco, i maschi altrettanto. Sul parquet le squadre nella
fase di riscaldamento con la solita manfrina delle entrate in terzo tempo, tiri da fuori, come
dappertutto, pensò, anche qui in Estéria.
La squadra di casa in divisa verde brillante con bordi gialli. Quella avversaria in tenuta bianca
con una riga trasversale rossa sulla canotta.
Dopo di che lo sguardo di Tizio vagò nell’aria circostante ad ammirare la struttura e,
involontariamente, a fare le solite differenze con la realtà portolandiana. Consolandosi. Noi
siamo senza sponsor. Questi qui invece....Sulle maglie portavano a lettere cubitali un marchio
strafamoso. Qualche milione di euro, giudicò senza esitazione.
Finita l’esplorazione spaziale si concentrò sul campo e naturalmente cercò il figlio di Gudj e di
quel portolandiano. Cazzo, disse, questi qui sono tutti due metri. Dove sarà Hansel (il
giovanotto), forse non è ancora sceso in campo e istintivamente fece la conta dei giocatori.
Dieci, c’erano tutti. Alcuni erano scuri, altri in età non certo imberbe. Il più piccolo, il play,
avrà avuto almeno trent’anni...
Decise di chiedere lumi al marito di Gudj che gli indicò un giovanottone, il numero 11 disse,
alto almeno due metri , duezeroquattro precisò il padre non naturale, con la zazzera biondo
castana.
Due occhi neri tradivano la quotaparte latina.
Dentro di sé quella figura non gli ricordò nella di noto. Solo un ronzio che lo lasciava un po’
inquieto.
Per educazione non chiese alcuna spiegazione all’uomo. Dentro di sé almanaccava quali uomini
della sua età, a Portoland, potessero vantare una statura superiore, di molto superiore alla
media. Concluse negativamente. Oddio, invero uno ce n’era, il droghiere, ma con almeno quindici
anni di troppo. Forse si trattava di qualcuno lì per lavoro, che se n’era andato senza lasciare
traccia. Bah! à savoir, commentò sottovoce prendendo a prestito fonìe francofone.
Fischio dei grigi, lì arancio, uno dei quali, il capo, mostrò tre dita della mano destra rivolte al
cielo. Mancavano tre minuti all’inizio. Raduno dei giocatori intorno al loro coach. Istruzioni di
stampo militare, frasi in codice (il marito gli disse che parlavano in inglese e con ciò si spiegò,
Tizio, la loro incomprensione). Accalcamento centripeto con urlo. Assestamento canottepantaloncini. Discesa in campo, contatti preliminari con gli avversari ed incitamenti: viva il
migliore (balle, vinciamo noi).
Salto a due, palla ai nostri, cioè ai compagni di Hansel. Il giovanottone non era nella
formazione base, formata da tre neri (americani, I suppose), il play già ricordato e una
guardia biondissima.
Partita gradevole. Purtroppo Tizio più di tanto non riusciva a immedesimarsi per cui un po’
guardava, un po’ pensava ai papabili o potenziali padri naturali.
Con una leggera gomitata fu avvertito dell’entrata di Hansel. Si riebbe e dimostrò vivacità
agitandosi sulla poltroncina e gesticolando vistosamente all’indirizzo del ragazzone.
Non ci fu bisogno di alchimie per catturare l’attenzione di Tizio. Un paio di giocate deliziose
per tecnica e genialità con spalle a canestro fecero di lui il primo tifoso straniero di Hansel.
Qualche ingenuità, poco costosa, dei buoni secondi tiri, rimbalzi a due mani (morse, non mani),
grinta da vendere. Un po’ falloso (scusabile per la giovinezza). Giudizio più che positivo ad una
valutazione complessiva che teneva conto anche dell’atteggiamento in campo e non dei soliti
parametri, buoni solo per le statistiche spicciole.
Cazzo.. si disse. Se ce l’avessimo noi..
Brodetto, non c’era ancora.
Bando alle tristezze! Finita la partita, persa dai verdi, gli ritornò in mente Karine. Un momento
irripetibile. Rifarlo avrebbe rovinato tutto, convennero le due anime che albergavano in lui.
Erano circa le nove quando uscirono e come d’accordo si diressero a casa di Gudj per una
cenetta. Poi, vista l’ora tarda, si sarebbero fermati a dormire da loro per rientrare a Ameland
il mattino successivo.
Durante il trasferimento verso Ee Tizio chiese a Karine se la cugina avesse fatto qualche
ricerca per contattare il padre naturale. Solo per dirgli che aveva un altro figlio. Magari
avrebbe avuto piacere ad incontrarlo. E Hansel sapeva qualcosa, sapeva che suo padre non era
quello naturale? La risposta di Karine fu vaga, come se a lei non interessasse quella vicenda,
che per lei il padre, naturale e legale, era il marito di Gudj che questa funzione aveva svolto in
tutti questi anni.
Non approfondì oltre. Cenarono. Parlarono del più e del meno e gli ospiti ebbero modo di
verificare la fascinosità di Tizio, in grado di catalizzare l’attenzione dei presenti con le sue
doti di narratore e.. imbonitore di fanciulle (ora di donne, soprattutto). Gudj capì perché
aveva fatto breccia nel cuore di Karine e un po’ la invidiò.
Prima di ritirarsi per la notte, Tizio percepì un’atmosfera di tensione, leggera, ma palpabile,
provenire da Gudj, che si inventò una scusa miserella per parlare in privato con lui.
Da uomo di mondo comprese subito qual era il motivo. Dopo vent’anni, anzi ventidue, disse la
donna, le montava sempre di più il desiderio di ... non di incontrare il padre del ragazzo, ma di
fargli sapere che aveva un figlio. Non per chiedergli nulla, beninteso. Solo perché Hansel
sapeva e voleva.....
Chiarissimo. Tizio comprendeva e le propose di aiutarla. Però aveva bisogno di qualche
elemento da dove partire. Il nome che lei doveva sapere… o se l’era inventato il bastardo per
non correre rischi? No, no, si affrettò la donna. Ma era strano. Doveva essere un diminutivo,
perché quello vero non gli piaceva, la stessa mia situazione pensò Tizio, si vede che a Portoland
è un’usanza quella di dare ai figli dei nomi del cazzo!
- Belle- disse Gudj – Sì proprio BelleTizio pensò seriamente che l’avesse presa in giro. Anche lui si era cambiato nome, ma mai si
sarebbe affibbiato una ciofeca di nome come quello!
- Ma è da donna o da cane!- esclamò
Lei lo guardò con tristezza. – Questo è quello che lui mi ha dato- Stai tranquilla- la rincuorò – se c’è te lo trovo-. E concluse drammaticamente:- Vivo o morto!I dati erano pochi, i dettagli inesistenti. Ma la promessa era una promessa. Sapeva lui a chi
rivolgersi.
Ricciolone, l’avvocato, l’amico di tante battaglie, uomo dalle mille risorse, ben inserito nella
macchina cittadina, conoscenze a gogò, era la persona alla quale Tizio aveva pensato per
aiutare la povera Gudj e il suo ragazzone.
Caso difficile, molto delicato per la carenza di informazioni, ago in un pagliaio vecchio.
Elementi contraddittori.
L’altezza del figlio. Lineamento somatico certo. Da parte della madre, risalendo anche a
parecchie generazioni indietro, nessun gigante.
Nome presunto del padre : Belle. Diminutivo. Diminutivo di che? Venne passato in rassegna
dapprima tutto il calendario con particolare attenzione ai nomi che cominciavano per B e che
contenessero una o due elle al loro interno. Fatica sprecata, tempo perso.
I nati a Portoland nel novecentonovantuno (Hansel era del novantuno e perciò il fratello pure).
Venticinque. Anno infecondo. Venti femmine (per fortuna, pensò Tizio). Cinque maschi, due
morti anzitempo per incidente (che sfiga, ripensò), tre nel mese di gennaio (troppo presto in
base al racconto di Gudj. La moglie del tipo era gravida di tre mesi, a settembre).
- Adelante Pedro- Tizio incitò Ricciolone, che ovviamente non si chiamava Pedro – sin juiciostorpiò per fargli arrivare il messaggio giusto. Non guardare in faccia nessuno.
Naturalmente Ricciolone non aveva solo quello da fare e si adoperava a questa faccenda con
calma, quando aveva un po’ di tempo e poca voglia di fare dell’altro. Ciò giustifica appieno la
lentezza dell’operazione. Che tuttavia, come ogni cosa, avrà una sua conclusione.
Positiva, o fortunata. O positivamente fortunata. Perché la fortuna c’entra sempre, non
scordàtelo!
Dopo il suo rientro dall’Estéria con quella debole infermità dovuta ai reumi della sua vita
passata vicino all’acqua, avvenne l’incontro con Brodetto al tendone. Ricordate? Quando era
andato ad aspettare Gina che gliel’aveva data buca la sera prima con Batard? Yes? Gli aveva
chiesto perché non giocava lui che che aveva quel fisicone e ne aveva ricevuto il gran rifiuto?
Non dovrò mica rifare il riassunto, spero! Bene, faccio finta di aver sentito No.
Se Brodetto non se ne fosse andato super scocciato perché allora aveva in mente Gina e la sua
presa per i fondelli, avrebbe sentito Tizio che aveva iniziato a dire che la settimana prima
aveva conosciuto un giovanottone come lui che... caz.. un po’ gli assomigliava...
Era solo una sensazione, niente di certo. Brodetto, poi era moro corvino, ma gli occhi, sì gli
occhi erano neri. Quanti qui avevano gli occhi neri? Tanti. Donc...
Per un attimo gli sorse un dubbio e chiese alla ragazza, a Gina, quanti anni avesse quello là. Lei,
senza alcuna esitazione disse: ventiquattro. Troppi. Se poi le avesse chiesto dove era nato, lei
che una volta aveva visto la sua carta d’identità, si sarebbe sentito dire: Lavinio.
Nemmeno quello tornava. Non c’entrava, concluse. Bah, lasciamo che ci pensi Ricciolone e si
disinteressò della vicenda.
Certo che...
Ma non continuò.
Tizio, la mattina dopo la memorabile cena con Basilio e il dott. Poeti si trovava, comme
d’abitude, al bar Maggiore. Sorseggiava il consueto soft drink, uno spriz, mi pare, e osservava
la piazza della chiesa dall’ampia vetrata del locale. Sembrava assorto nei suoi pensieri, lo
sguardo fisso, ma la mente era vigile, perennemente vigile.
Una frase casualmente intercettata la riportò ai livelli operativi consueti mentre stava per
uscire dal bar.
Un tale appoggiato al bancone raccontava ad un altro che gli stava a fianco di quanto era
successo la sera precedente in viale dei Platani quando una macchina aveva quasi investito Elle
o Belle, come cazzo si chiama il padre di quel gigante....
Tizio si appoggiò alla porta a vetri per non cadere, come trafitto da un dardo infuocato.
Si riebbe quasi immediatamente. Uscì di corsa dal bar, si tuffò dentro l’abitacolo, accese il
motore e partì ancora prima che il primo scoppio si fosse propagato a tutti i cilindri, tanti, del
suo bolide. Mèta? Ospedale di Tocsoland, reparto medicina generale, piano primo, stanza
quattro. L.
Quattro minuti dopo varcava l’ingresso del nosocomio, un altro minuto per salire al piano e
affacciarsi alla camera. Un secondo per sparare: - Ti ricordi di Gudj, vecchio bastardo?La stanza prese improvvisamente luce col biancore diafano del viso del malato al quale venne
sottratto anche l’ultimo globulo rosso.
Aveva colto nel segno. Magistrale. Grandioso.
Un gemito uscì da quel cadavere:- Gudj? Ma come fai a conoscerla? Me la ricordo appena io...
son passati trent’anni..- Ventitre, verme ambulante, ventitre. Il pargoletto che le hai regalato ne ha ventidue.
Nemmeno buono a tirarti indietro.. hai fatto fare una figuraccia a tutti noi, uomini di mondo.
Incapace! Al primo colpo, poi.. per giunta- Pietà- sussurrò il cadavere.
Tizio si zittì. Lo spazzolò con lo sguardo facendolo ritrarre come un invertebrato nel suo
guscio.
- Com’è che le hai dato quel nome fasullo? Belle? –
- Io le avevo detto Elle...- si scusò. – Avrà capito male... –
- Ma da dove viene fuori questo accrocchio? Mai sentita una scemenza simile...- Il mio nome vero sarebbe Liocorno... Che potevo scegliere .. Lio? Corno? Se mio padre era
fanatico della mitologia che ci posso fare? Così ho scelto L.....
Tizio si recò davanti allo specchio sopra il lavandino. Si guardò attentamente in viso mentre
pronunciava L.,
Elle per l’appunto, disse scandendo le lettere ad una ad una.
L. = Elle
Elementare Watson! Disse Sherlock, elementare....
Prima di uscire dalla porta si girò, ma solo con la testa. Il corpo rimaneva rivolto al corridoio.
- Hai capito che tuo figlio ha un fratello? Grande come lui, per giunta? Sia di età che di
statura?Due gemelli? Certo.. certo.. e come ho fatto a non pensarci...se po’ fa’. Se po’ fa’. SE PO’ FAAA’
E sparì nella luce evanescente del corridoio lasciando L. (o Elle) in strazianti ambasce.
CAPITOLO 17
Il ballo della quadriglia portolandese si era svolto, per tradizione, il mercoledì.
La domenica successiva, quando si giocò l'ultima di campionato prima dei play out, questo fu lo
score di Lupo: 0/7 al tiro, 11 palle perse, 0 falli fatti e 0 subiti, ed 1 rimbalzo ( la palla gli era
capitata tra le mani).
La squadra di Portoland, nonostante 24 punti di Gibi, perse 97 a 48.
A fine partita, Basilio aveva il colore delle lucertole in autunno.
Negli spogliatoi, il silenzio era così totale, ma così totale, che il vecchio opilione, ospite da
tempo immemorabile dell'angolo in alto a sinistra, disfece la sua tela e traslocò altrove,
cercando di uscire senza dare nell'occhio.
Lupo se ne andò senza salutare nessuno.
Basilio convocò Gibi e Brodetto a casa sua.
" Cosa sta succedendo ? " chiese.
" E' innamorato."
" E' COSA?"
" Innamorato."
" E chi è la fortunata? "
Gibi si agitò sulla sedia: " Se te lo dico, prometti di stare calmo?"
" Prometto."
" E' Giulia, la figlia del presidente."
" NO!! La violinista? "
" Sì."
" Quella che il presidente chiama " Il mio diamante ?"
" E' lei."
" E che non viene mai alle partite?"
" Capo, vuole che le prendiamo le impronte digitali? Quella è."
" E vanno insieme da tanto?"
" Non vanno insieme. Si sono conosciuti al ballo."
" Come non vanno insieme? "
" Lo so che sembra incredibile, ma è così. - disse Brodetto, che, vivendo nello stesso
appartamento di Lupo, ne riceveva le confidenze.- Neanche mai baciati.
Dopo il ballo, Lupo le ha inviato almeno venti SMS al giorno; ha provato a telefonarle, ma lei
non s'è fatta mai trovare. Le ha perfino scritto delle lettere!
E passa il tempo libero ad ascoltare quartetti d'archi che suonano Vivaldi e Mozart.
Quando una ragazza suona alla porta, mi tocca inventare le scuse più assurde, perché non
vuole vedere nessun'altra. E' senza speranza."
Basilio respirò a fondo, guardò i due, e disse: " Bisogna fare qualcosa."
" Io so cosa." fece Gibi."
Giulia entrò nello studio di suo padre. " Mi hai fatto chiamare, papi?"
" Non chiamarmi papi, che già c'è un altro che...."
" Va bene, paparino."
" Come vanno gli studi?"
" Bene. Lo sai che intendo diplomarmi l'anno prossimo."
" Ed esegui qualche concerto?"
" Paparino, lo sai che suono quasi ogni domenica."
" I tuoi rapporti con la mamma sono buoni?"
" Ma se ci vediamo tutti e tre a cena ogni sera! Falla finita, e dimmi cosa vuoi."
" Tu sei la ragazza di un giocatore? "
" Ah, ecco! No."
" Mi dicono che ti manda un sacco di SMS."
" LUI sì. Ma io non gli rispondo."
" Perché, non ti piace? "
Giulia arrossì, esitò, poi confessò: " Mi piace, mi piace. Ma io non sono una femmina da
collezione."
" Lo sai che da mercoledì rifiuta di vedere qualsiasi altra donna ? "
" Ah...."
" E lo sai che, per la prima volta da quando gioca con noi, domenica ha fatto uno schifo totale?
"
" ?! "
" E lo sai che, da quella sera, non fa che ascoltare quartetti d'archi, lui, che è un appassionato
di musica rock?"
" Insomma, mi stai dicendo che è innamorato cotto? "
" Che è innamorato cotto, e che stiamo rischiando di perdere un altro giocatore
fondamentale."
" Ma io, che ci posso fare? "
" Deciditi. Vallo a trovare. Fallo felice."
" In mezzo ad un migliaio di altre donne?"
" Ma se ti ho detto che non vuole vedere più nessuna!"
" Adesso. Poi, quando gli passerà, tornerà come prima."
" Non gli passerà. Non si è mai innamorato. Fidati."
" Paparino, è un donnaiolo impenitente."
" Penitente, penitente. E' come un figliol prodigo: ha molto peccato, ed ora è pronto a
diventare il compagno fedele della tua vita."
" Non ti sembra di esagerare? Non mi dici questo solo per salvare la squadra?"
" Credi che farei questo alla mia bambina? Ascolta: lui ha provato ogni genere di donna. Ha
esaurito ogni curiosità. Gli è mancato l'amore, perché ha avuto solo sesso, senza fare fatica.
Lo conosco bene. E' un bravo ragazzo. Non ha mai ingannato nessuno.
Sarà il più fedele compagno di questo mondo. "
Giulia stette silenziosa, poi disse: " In fondo, è quello che spero."
Lupo aveva le lacrime agli occhi. Stava pensando addirittura al suicidio, mentre scriveva
l'ennesima lettera.
Suonarono alla porta.
" Brodetto!"
" Vado, vado."
Dopo qualche istante, Brodetto apparve sulla soglia: " C'è una visita per te."
" Cristo, Brodetto, lo sai che non voglio vedere nes..su...na."
Era apparsa Giulia. Senza dire una parola, lei lo prese per mano, e lo trascinò in camera.
" Ti amo anch'io da impazzire." - gli disse, mentre si toglieva il vestito.
Sotto aveva una sottoveste nera corta con pizzo.
Fermò con un gesto Lupo, che stava per abbracciarla: " Io sono per sempre, Lupo."
Lupo rispose: " Io nasco adesso per te, Giulia."
Fecero l'amore ininterrottamente fino al mattino dopo.
Quando lei se ne andò, lui le disse:" Ho nostalgia di te."
" Anch'io. - rispose Giulia.
Nella successiva partita amichevole, Lupo fece 7/7 dal campo, prese 11 rimbalzi, ed uscì per
cinque falli dopo aver duramente litigato col pivot avversario, 206 cm. per centoquindici chili.
" E' tornato." disse Basilio, tirando un respiro di sollievo.
Questa volta non era un sogno, e lo si capiva, anche perché non c'era un maggiordomo ad
attendere Basilio.
Nello studio, il presidente stava aspettando: " Si accomodi, caro Basilio. Lei sa che io non sono
tipo da convenevoli, perciò vado subito al dunque.
Il consiglio direttivo si è riunito, ed ha affrontato il tema del prossimo campionato."
" Anche se non sappiamo ancora in che serie ci troveremo? " chiese Basilio.
" Fa lo stesso.. Lei piace, non dico a tutti, ma a quasi tutti, perciò saremmo orientati a
rinnovarLe il mandato, sempre che Lei sia d'accordo."
Il coach rifletté un attimo, poi rispose:" Sinceramente, non mi aspettavo una chiamata, e
neppure una conferma, così in anticipo. Naturalmente mi fa piacere.
Vede, io a Portoland mi trovo bene, molto bene, ed anche - non è un aspetto secondario - mia
moglie.
Quindi, non Le nascondo che mi piacerebbe rimanere a fare l'allenatore di questa squadra.
Tuttavia....."
" Dica pure tutto quello che pensa, senza esitazioni."
" Tuttavia, c'è una premessa indispensabile. Vede, io so benissimo che la squadra di Portoland
dispone di finanziamenti assai ridotti. Ma non mi piace che questa diventi la scusa per impormi
scelte di giocatori inadatti al mio gioco, che è basato su difesa e velocità."
" Insomma, in altre parole Lei vorrebbe carta bianca sulla scelta della squadra."
" Sì. Badi, carta bianca non significa che voglio fare quello che voglio in modo segreto, anzi: è
più che legittimo che la società sia lì a sorvegliare che non si vada contro i suoi interessi.
Ma se la squadra che io propongo rispetta, in linea di massima, il budget disponibile, chiedo
che le mie scelte siano rispettate, e che nessuno si metta di mezzo per antepormi i suoi
interessi, o quantomeno le sue simpatie. Credo di essere stato chiaro. "
" Chiarissimo, mister, e La ringrazio per questo modo di fare. Mi dica, ha già dei nomi in
mente? "
" Sì, ed ho anche parlato con quasi tutti per controllare l'eventuale disponibilità, a costi
accessibili.
Dunque: conferma per Gibi, Lupo e Vetricchio, che in due mesi si rimetterà a nuovo.
Quintetto completato coi miei pupilli Tramoggia e Chiè: quest'ultimo può giocare anche da tre.
L'ultimo senior, ala o pivot, lo lascio scegliere a voi..
Primi rinforzi under il buon Bertizzi, e, dato che ancora per l'anno prossimo è under,
Brodetto. Naturalmente avrà un impiego limitato, una decina di minuti per far respirare i
lunghi titolari. Con lui devo fare solo zona 2-3, e non posso affidargli la palla in transizione, ma
i rimbalzi sono assicurati, perché certo sotto canestro non si risparmia, e ci dà anche quei
cinque o sei punti che fanno comodo. Inoltre, è l'unico che sa giocare spalle a canestro, e
questo serve ad attuare un paio di schemi in più."
" Per il futuro, cosa intende fare Brodetto?"
" Il ragazzone vuole finire velocemente l'università, e trovare lavoro in un paio d'anni. Al
basket desidera giocare ancora, ma in squadre minori, tipo C 2. "
" Gliel'ho chiesto, perché non mi dispiacerebbe trovargli un posto di mio collaboratore."
" Magnifico! "
" E poi potrebbe far parte di una squadra di giovani, che ho in mente di seguire, per vedere se
verrà finalmente fuori qualche onesto atleta per rimpolpare la prima squadra. Lui potrebbe
fare da giocatore esperto e viceallenatore."
" Penso che la proposta gli piacerà."
"Mancano i due under ventenni."
" Basta che corrano. Ho seguito varie partite, sia a Lavinio che nella Tedeschia. Qualcuno c'è.
Ragazzi di statura non eccelsa, ma di buona volontà. E così il quadro è completo."
" Bè, manca qualcosa..."
" Intende riferirsi al mio compenso? Come l'anno scorso. Non chiedo nemmeno l'inflazione."
" Lei è troppo buono. Abbiamo già previsto di darLe 5000 euro in più. E vediamo se ci avanza
qualcosa dai soldi destinati al parco giocatori, anche perché ci sono novità in vista sul fronte
dei finanziamenti, novità di cui, per scaramanzia, preferisco non parlare ancora."
" Allora, è concluso. " disse Basilio, alzandosi e dando la mano al presidente.
" Ancora una cosa. Giulia e Lupo vogliono sposarsi appena finita la gara di spareggio.
Non li tiene più nessuno. Mai visto niente di simile. E mia figlia sarebbe onorata se Lei
accettasse di farle da testimone."
" L'onore è mio, presidente. Accetto senz'altro."
" Grazie, ed a presto, Basilio."
Uscendo, Basilio pensava che, rispetto al sogno, mancavano solo lampadari e tappeti.
Ah, anche l'aumento quintuplicato......ma chi se ne frega, di tutti quei soldi.
Quando Brodetto l'aveva baciata in palestra, Gina era rimasta sconvolta.
Era quello il ragazzo timido ed impacciato, irresoluto, che sembrava incapace di lasciarsi
andare ad una passione travolgente?
L'indeterminato eterno bambino, di cui le piaceva la dolcezza, ma non certo il carattere
indeciso?
Il bacio, con la lingua che era entrata lentamente ma inesorabilmente ad invadere la sua
bocca, trasmetteva molta più sessualità di qualsiasi scopata fatta nel periodo precedente.
Gina si sentiva piacevolmente prigioniera di quel gigante.
Alle donne piace sentirsi prigioniere, però c'è un particolare LEGGERMENTE importante: che
vogliono essere loro a decidere di chi e quando essere prigioniere.
L'uomo deve essere accorto ad avvertire il desiderio al momento giusto, e non è facile.
Brodetto si era basato sui segni di nervosismo di Gina, ed aveva fatto bene.
Il nervosismo denotava l'interesse, certamente non l'indifferenza.
Mentre le due lingue si intrecciavano nella più piacevole delle battaglie, i due sentirono
esclamare: " Oh oh, scusatemi! "
Era Luisa, l'amica di Gina, arrivata, come al solito, in anticipo per l'allenamento del mattino.
Brodetto si staccò con dispiacere, e rispose: " Niente paura, Luisa, stavamo provando il
marcamento stretto."
Gina prese atto anche di quella disinvolta battuta: ma era proprio lui, Brodetto, ad averla
pronunciata?
Il gigante si cambiò le scarpe, ed uscendo le disse soltanto: " Allora telefonami tu. Grazie,
intanto, e ciao." .
Come, " TELEFONAMI TU? " Oltretutto, detto con quella serenità? Il bacio era stato una
finta?
Bella mossa, sostiene il narratore. Bella mossa, mostrare grande passione e coraggio, e poi
andarsene senza prenotare il futuro. Ha ragione chi dice che in amore vince chi fugge.
Perché l'invasione ansiosa genera a sua volta ansia, ed a volte ripulsa, mentre la libertà
concessa quando non la si aspetta genera desiderio, voglia di inseguire.
Fatto sta che per altre due volte i due si ritrovarono in palestra, e non avvenne nulla di simile
al primo giorno.
Gina si torturava con domande senza risposta. Sentiva rabbia e delusione montarle dentro.
La quarta volta sbottò: " Ma che razza di uomo sei, cosa vuoi? Un giorno mi baci come se mi
scopassi, e poi fai l'indifferente! Stronzo, non voglio più vederti! Fatti insegnare queste mosse
del cazzo da qualche altra sgualdrinella, e lasciami in pace! "
E si girò dall'altra parte, versando qualche lacrima.
Sentì le sue mani sulle spalle, e la sua voce che diceva: " Volevo essere sicuro, Gina...e adesso
lo sono." Brodetto la voltò, passò la lingua sulle sue lacrime, le baciò gli occhi, e poi la strinse a
sé, facendole posare la testa nell'incavo della spalla:" Vuoi essere la mia donna, ed in seguito
mia moglie? "
Gina rimase a lungo così, accarezzandogli lentamente la schiena. Allora la felicità esiste!
CAPITOLO 18
Quando si fiondò fuori dall’ingresso, nella luce meridiana di una giornata assolata, Tizio aveva
ancora nelle orecchie l’urlo silenzioso che gli era scaturito spontaneamente alla conclusione
della vicenda. Se po’ fa’.
Quella frase aveva lo stesso significato di un incitamento guerresco. Era uno slogan politico,
di segno non condiviso per altro, proprio di un personaggio cosiddetto innovatore (in realtà
affossatore) che a sua volta l’aveva mutuato, in una traduzione casareccia, da una campagna
elettorale d’oltre mare.
L. giaceva nel suo letto, ancora immobile, incapace di articolare anche il più flebile suono. Nella
sua mente, mentre nel suo corpo infuriava una crisi ipertensiva, si affollavano ricordi,
rimpianti, pensieri generici, pensieri specializzati dominati da un’immagine sfuocata, incerta,
ma prepotente. Suo figlio. Non Brodetto, l’altro. Non ne conosceva nemmeno il nome,
recriminò, né le fattezze...
Era lì che si stava lentamente riequilibrando, anche se la febbre da pressione era ancora alta,
quando una voce dal timbro profondo, ma noto, fece capolino dalla porta socchiusa seguita da
un volto, ahimè altrettanto noto, e da una folta chioma biancastra .
- E’ permesso? Come sta il nostro malato? Ho saputo solo stamattina di quanto vi è capitato
ieri sera. Me ne dispiaccio, ma mi compiaccio che, in fondo, non vi siate fatto nulla di serio. Eh,
voi siete una cosa preziosa per noi- disse O’professore, ma non di getto, con qualche piccola
esitazione dovuta al perdurante silenzio di L.
- Ma state bene, sì?- continuò – Via, su un po’ di allegria. Domani sera sarete ricco!La frase, quest’ultima, arrivò alle orecchie di L. come una sassata. Il timido tentativo del
sangue di riappropriarsi dei propri territori su, nella parte alta del corpo, venne
completamente annientato. Il cadavere tentò di rispondere.
- Eh, mmm.., sì.. lo so....però..-Però che? C’è qualcosa che non va, eh? Non starete mica pensando ad uno sgarbo, no?- la voce
si fece sempre più decisa, mentre l’uomo si accostava al capezzale per vederlo meglio negli
occhi.
- Attenzione, cumpa’. Con noi non si scherza- minacciò mimando con le mani un gesto definitivo
che aveva a che fare con la gola dell’altro.
L. voleva dire qualcosa, tentare di guadagnare un po’ di tempo. La bocca si socchiudeva afona e
O’professore lo fissava con uno sguardo che non lasciava scampo.
I tentativi vani, la paura (il terrore, meglio), il figlio appena annunciato, la crisi ipertensiva
produssero un cedimento strutturale nel cadavere che rischiò seriamente di morire. Gli occhi
rimasero sbarrati, la bocca semi aperta. Immobili gli arti.
O’professore, tenendo una mano, la sinistra, sulla pancia per impedire che la giacca andasse
sul cadavere mentre si piegava verso quello a sentire se la vita l’avesse abbandonato per
davvero, sussurrò, con un tono che avrebbe fatto rabbrividire anche un morto:
- Niente scherzi, chiaro? Ci sentiremo molto presto, cumpa’- pesando l’ultima parola come per
fargli notare che, adesso, il loro legame era divenuto indissolubile. O quasi.
E senza far rumore, sempre con la sua andatura misurata, lasciò la stanza e l’ospedale.
Rimase fuori dall’entrata, con i piedi sull’erba del prato ben curato, per accendersi una
sigaretta e il viso proteso verso il sole a godere di quel calore. Ah, la mia terra, pensava.
Anche lui aveva i suoi momenti di debolezza, ma si consolava, presto, con quello che aveva da
fare.
Era arrivato sì e no alla seconda boccata quando gli suonò il cellulare. Buttò l’occhio sul display
sollevando sulla fronte gli occhiali da sole. Numero privato, lesse.
Attivò la conversazione senza dire una parola, come era solito fare, confermando la sua
presenza con il solo sibilo del suo respiro bronchitoso.
- O’professore?- Chi siete?- Sono Tizio, O’professore. Ho da parlarle.- De che- E’ una questione un po’ delicata.- Venite da me alle cinque- concluse dopo aver scorso la sua agenda mentale. E chiuse la
conversazione senza aver dato tempo al suo interlocutore di dissentire, eventualmente.
Sprofondò entrambe le mani nelle tasche della giacca sbottonata e si avviò al parcheggio con il
capo avvolto in un’aureola di fumo bianco.
- Gudj? Buongiorno. Sono Tizio. Good news, my dear. L’ho trovato, il bastardo. E’ stata dura,
ma con il mio intuito sono arrivato a lui. E ha confessato, perdio!Silenzio dall’altra parte del filo (una volta si diceva così). Ma non eterno. Solo qualche secondo
per la donna per realizzare il significato di quelle parole.
-Bravissimo, Tizio. Bravissimo. Sono molto felice. Soprattutto per Hansel. Chissà cosa dirà,
questa sera. Non so cosa fare con mio marito. Forse è meglio che, per adesso non sappia nullaE Tizio mise al corrente Gudj di come si erano svolti i fatti, delle vicissitudini fino al colpo di
scena finale che gli aveva permesso di andare dritto e sicuro sul bersaglio.
- Ah, quasi dimenticavo. Cazzo che sbadato. Hansel ha un fratello che, se non fosse per i
capelli neri come l’inchiostro, è la sua copia quasi esatta. Ventidue anni (questo già lo sai) e
duecentoquattro centimetri di altezza!- disse spezzando il discorso in attesa del moto di
sorpresa della donna, che non tardò ad arrivare:
-Eccezionale, unico. Ma come è possibile....- Indagheremo anche su questo- ribatté subito Tizio che oramai si sentiva parte della
famiglia, di quella famiglia così allargata.
Subito dopo chiamò anche Karine. Come stai? Tutto bene? Sai che ho trovato il padre di
Hansel ecc. ecc.
Mentre parlava con Gudj gli salì dal naso fino al cervello un pizzicorino, quel pizzicorino che lui
conosceva bene e che era sempre stato prodromico a qualche iniziativa imprenditoriale
fortunata o felice.
Non inquadrò bene di che cosa si potesse trattare ma sentiva, visto che gli era venuta mentre
parlava con Gudj, che avesse a che fare con lei. Non capiva e non si sforzò nemmeno di farlo
perché sapeva che questa gli si sarebbe palesata da sola, senza forzature. Come quella volta a
Groeninger quando, a causa di questa alchimia, mentre stava percorrendo la Oersterstraat
decise di imboccare la Schlimmerstraat senza apparente motivo. E si imbatté in un edificio
che sembrava fatto apposta per il suo nuovo ZOUTVLESS lì a Groeninger e per il quale stava
cercando da tempo una soluzione. Già finito, per giunta.
Il suo istinto lo indusse a telefonare a O’professore. Cosa si dissero, già lo sapete.
L. non passò a miglior vita. La sorte gli era avversa, pensò. Casualmente un’infermiera transitò
davanti alla sua stanza e non udendo alcun rumore buttò dentro lo sguardo. Vide il cadavere.
Si spaventò e istintivamente lo scosse come per dirgli:svegliati. Non ottenendo risposta
chiamò la caposala, una brunetta rotondetta avanti con gli anni, che comprese immediatamente
il da farsi. Gli sussurrò nell’orecchio, a L.,:
- Non c’è più nessuno, sono andati via tuttiDapprima un impercettibile movimento delle ciglia, poi il dito medio della mano destra si
contrasse. Quindi una alla volta, con pazienza e circospezione, altre parti del corpo tornarono
in vita fino alla voce,che flebilmente disse:
-Davvero? Sicura?Ricevuto un consolatorio assenso, tentò di sorridere e svenne. Per il fatto di essere ancora
vivo.
La caposala gli sentì il polso, gli misurò la pressione. Uscì e rientrò da lì a poco con una siringa
già armata di Paradòxal forte che gli iniettò in vena. Minuti dopo cominciò a riapparire il
colorito e il respiro del cadavere divenne più umano. Finalmente poté riposare.
La sua macchina si arrestò davanti al bar dei Piemontesi. Scese senza parcheggiare, come al
solito. Sul plateatico non c’era nessuno. Saranno state le due. Si accomodò su una sedia a lato
del tavolino, accavallò le gambe e chiamò:
- Lia..La giovane, carina più del solito quel giorno, ebbe modo di commentare O’professore, gli si
parò dirimpetto. Mentre attendeva l’ordinazione, si piegò davanti all’uomo per togliere il
portacenere colmo dal tavolino, lasciando che il suo sguardo potesse vagare all’interno della
scollatura.
L’uomo era maturo e dalle sue parti le picciotte, quelle serie, le rispettavano. E Lia era una di
quelle. Così si limitò a consolare gli occhi impedendo che il brivido si propagasse oltre e chiese
alla ragazza che c’era da mangiare. Quello non era un ristorante, quindi solo stuzzichini e poco
più, lo sapeva, era cosa sua...
- Arancini e panelle- rispose
- Porta- ordinò – e un bicchiere di Nero (d’Avola)Era seduto a ridosso del muro e allora buttò indietro lentamente la testa finché sentì sui
capelli la rugosità dell’intonaco. Rilassò i muscoli cervicali e riassaporò il calore del sole che
stava per nascondersi dietro il tetto della casa difronte. Sentì appena le parole della ragazza:
-Ecco professore-Grazie- rispose
Senza muovere la testa, con la mano destra scandagliò lo spazio alla ricerca degli arancini e
delle panelle. Individuò l’area, definì la posizione degli oggetti e si servì senza distogliere gli
occhi, chiusi, dal sole.
Mangiava lentamente, ma con gusto. Con il dorso della mano si asciugò le labbra prima di
poggiarvi il bordo del bicchiere per aiutare la discesa del cibo e dare nuovo piacere al palato.
Tizio era rientrato a casa. Abitava sempre in quei locali ai piedi del Getsemani, in campagna
cioè. Viveva da solo, non si era mai sposato, lo sapete e nemmeno si era accompagnato in
maniera stabile con qualcuna, dopo il suo rientro a Portoland. Il suo animo vagabondo non lo
aveva tradito, consentendogli di rimanere fedele a se stesso e ai suoi principi.
L’unica donna della sua vita era quella delle pulizie che veniva a giorni alterni, ma solo al
mattino. Per la sua alimentazione si serviva dell’amico Teso, che aveva il suo bel localino poco
lontano. Non aveva molte pretese, anche se la sua condizione economica gliele avrebbe
concesse. Ma questo era il suo stile di vita.
Gli affari. Già, gli affari. Di questo non si sa molto. Lui dice di aver liquidato tutto e che già da
tempo, prima di rientrare, si era dovuto legare con altre realtà esteresi perché sapete bene
che da soli si può andare poco lontani, gli equilibri, i finanziamenti, le tasse (inflessibili lassù),
qualche amicizia consigliata... Morale aveva lasciato perché si sentiva, a cinquantadue anni,
bisognoso di tranquillità.
Si potrebbe chiedere a Ricciolone. Ma adesso anche lui, che, si sa, aveva curato la transazione
finanziaria prima del rientro, aveva poco tempo e voglia di parlare. La politica gli aveva preso
la mano. Che è un modo di dire forte, per un centrista.
Dopo il suo rientro dall’ospedale si era sistemato in giardino, sotto l’ulivo vecchio. Si era
disteso sulla cheise longue, aveva raccolto le braccia dietro la testa predisponendosi alla
ricezione del verbo preannunciatogli dallo spizzicorino.
La brezza, il tepore della giornata e, come no!, la bomba del ritrovamento del padre di Hansel
demolirono le sue difese e morfeo lo accolse tra le sue braccia, in maniera quasi istantanea.
Palazzetto stracolmo. Rumore assordante. Cori. La curva, sì proprio la curva, un tappeto umano
biancoblu. Lo spiccher che annuncia le formazioni: Gibi, Lupo, Brodetto, Hansel..... e così via i
soliti insomma.
Inizia la partita , risultato altalenante. Gli avversari sono tosti. Brodetto ancora acerbo, ma
presente. Fino all’ingresso di Hansel, il biondone. Con lui cambia tutto. Non ce n’è più per
nessuno. Immarcabile.
L’allenatore degli avversari prova a protestare perché secondo lui, quello là non è regolare.
Sberleffi da parte del pubblico al suo indirizzo. Buuuuuu, Buuuuu ecc ecc.
Risultato finale: vittoria schiacciante. Qualche giornalista sicuramente scriverà a titoli
cubitali: Asfaltatura (brutto termine, pensò, da evitare).
Salvezza. Salvezza. E dall’anno prossimo la squadra avrà lo ZOUVTLESS sulle canotte.
Improvvisamente qualcuno lo spinse giù dalla tribuna, o aveva messo per caso un piede in fallo
durante il : chi non salta avversario è. Gli sembrò di svenire.
Sentiva un forte dolore e quando aprì gli occhi si trovò sull’erba del prato e un sasso vicino alla
sua tempia. Girò con difficoltà la sguardo intorno e riconobbe il suo giardino e la chaise longue
dalla quale, ora se n’era reso conto, era caduto per eccitazione da tifo.
Anche questa volta il segno era arrivato, come in tante altre occasioni. Lui lo sapeva e ci
contava.
Erano le sedici di quel martedì.
Rientrò in casa, prese un caffé. Salì di sopra e si fece una doccia. Uscito dalla cabina si
asciugò la pelle e, in un gesto di vanità per lui desueto, si pose davanti al grande specchio per
un’ispezione generale riassuntiva.
Si passò la mano sul volto stringendolo nelle dita che lasciò scivolare verso il mento per
stirare la pelle. Si girò la faccia prima a destra, poi a sinistra. Infine si diede un buffetto:
prova superata. Pelle ancora elastica, qualche ruga sotto gli zigomi, ai lati degli occhi con
accenno di borse, fronte alta, altissima per la calvizie frontale molto avanzata. Ma a questo
era abituato e aveva capito che non danneggiava la sua immagine. Allargò le palpebre per
analizzare il bulbo oculare, ancora bello e bianco, l’iride scura e penetrante (una delle sue armi
letali). Naso un po’ lungo, affilato ma armonicamente inserito nella struttura facciale, labbra
sottili ben disegnate, dentatura ineccepibile, mascella volitiva, collo potente, petto largo e
sodo..pancetta, porca miseria, pancetta. Eh sì, forse un po’ di dilatazione (birra, vent’anni di
birra, pazienza), ventre come sopra, attributi ( a me sembravano normali), gambe non lunghe,
ma forti e muscolose.
Lui si piaceva comunque e con soddisfazione si disse che il suo gradimento non diminuiva. Che
poteva desiderare di più?
Una cosa sola, adesso, era diventata prioritaria. I due fratellastri in campo, assieme e nella
squadra di Portoland, in quel mezzogiorno di fuoco dello spareggio.
Si vestì, pettinata di rito (non ho mai capito perché quelli che ne hanno pochi si pettinino più
degli altri), ultima controllata speculare e via. Destinazione: Bar dei Piemontesi.
Il tempo era poco, pochissimo. Le sue conoscenze in ambito sportivo ridotte. Con la dirigenza
non ne voleva parlare (prematuro, troppo prematuro). Si poteva rivolgere solo a loro. Lui
sapeva che loro potevano.
Quello che lo preoccupava era solo la contropartita. Male inevitabile, ma necessario. Inutile
fasciarsi la testa anzitempo. In ogni caso un atout, che riteneva efficace, ce l’aveva anche lui.
Parcheggiò la sua auto fuori dalle case, vicino al distributore. Si chiuse bene la giacca sul
davanti, faceva ancora freschetto dopo il tramonto, precoce, dietro il monte. Prese la strada
per la mèta, poche decine di metri per entrare nell’agglomerato che custodiva la tana di
O’professore. La via si faceva di colpo stretta appena superate le prime due case di frontiera,
i rumori del traffico si attenuavano per lasciar posto ai suoni popolari, domestici, fanciulleschi
espulsi dalle finestre contrapposte. Erano talmente vicine che si aveva l’impressione che, da
una facciata all’altra, fosse sufficiente aprire il compasso delle gambe per entrare in casa
altrui. Un borgo di mare in terra ferma, si sarebbe potuto definire.
Un minuto fu sufficiente per raggiungere lo slargo, una varice nel tessuto urbano semplificato
di quella realtà, che un’automobile occupava in parte, con il muso verso di lui. Infatti l’uscita
ovest era leggermente più agevole tanto da farsi penetrare anche dai motori, ma solo uno alla
volta.
La piazzetta era velata da una luce smorta, quella del cielo oramai pallido prima che si
accendesse l’illuminazione pubblica. Dalla vetrata del bar, protetta, dall’interno, da una tenda
dozzinale biancastra, provenivano sonorità alloctone con scrosci di risate e assoli inquietanti.
Spinse la porta d’entrata, non ancora adeguata alle norme di sicurezza (ma lì era altro mondo),
e si imbatté in una fumigine spessa che per un attimo gli fece mancare il respiro. Si fece largo
tra i presenti che, in verità, non lo favorirono molto e giunto al banco chiese del suo ospite.
La ragazza, sempre lei, Lia , gli additò la porta con la scritta “privato.” Tizio bussò e all’invito
ad entrare spinse la maniglia per trovarsi in quella saletta anonima che prima di lui aveva
visitato L., proprio il giorno prima, quel lunedì.
L’uomo, seduto al tavolo, si sorreggeva la testa china su un foglio con la stessa mano che,
casualmente ed eccezionalmente, teneva la sigaretta tra l’indice ed il medio. Ebbe modo così
di osservare la persona che l’avrebbe dovuto favorire in quel suo affaruccio che aveva da
sottoporre. Occhiali da lettura inforcati su un naso importante che sovrastava una bocca
carnosa circondata da baffi e barba a pizzo, sopracciglia folte, fronte bassa e pelle
plissettata , gote leggermente rilassate. Gli occhi erano al contrario eccezionalmente vivi,
neri, penetranti. Quasi un’arma di dissuasione, o persuasione. Una voce profonda accompagnò il
moto delle labbra per dirgli:
-Tizio, siete?- Proprio. In persona. E’ già un po’ di tempo che desideravo conoscerla. Si parla molto di lei, in
giro- E adesso l’occasione è arrivata, a quanto pare- proseguì. Poi, per non far vedere che aveva
fretta di sbrigarsi proseguì:
- Ho saputo di quella specie di incidente che ha coinvolto il mio amico L., che sono andato a
trovare stamani all’ospedale. Non mi va di “appizzari ‘u croccu a unu”, di incolpare qualcuno, ma
mi pare che quello che l’ha investito siete voi...- Piano...non so che cosa le abbiano raccontato, ma io, quello, non l’ho neanche sfiorato. M’è
caduto per terra davanti alla macchina. Svenuto. Io non ho nessuna colpa...- Va buono, volevo solo capire perché... perché è sempre meglio sapere come sono andate le
cose. Si possono evitare conseguenze spiacevoli, se si parla troppo e a sproposito-.
O’professore pronunciò questa frase lentamente guardando Tizio dritto nelle palle degli occhi.
Tizio non ci fece caso e ribatté:
- Il disperato m’ha confessato che s’è inguaiato con voi. Che l’avete incastrato, per quattro
euri, per quel suo bamboccione che vi interessa...per la vostra squadra di Lavinio. Intrallazzi?Questa volta toccò al suo ospite dire:
- Piano, piano. Non diciamo minchiate. L’ometto ha liberamente accettato una mia proposta
molto interessante – il pollice e l’indice della mano destra si massaggiavano vicendevolmente. –
Domani sera il quaquaraquà sarà ricco e per giunta anche il figlio potrà farsi un futuro da
professionista nello sport. Con il nostro aiuto. Mi sembra che non ci sia nulla che non va. Tutto
chiaro, accordo con stretta di mano che vale più di cento carte scritte. C’è una chiara
necessità di un tipo come quello a Lavinio. Punto e basta.- completò e sentenziò O’professore.
- Ho capito, ho capito qual’è la vostra idea. Non la sua, ma quella degli altri che stanno sopra di
Lei...Sicuramente da non raccontare in giro, no?- Tizio sfidò il suo sguardo, che non si ritrasse
di mezzo millimetro. – Ma non vi voglio sfidare. Non ho interesse a mettermi in mezzo,
qualunque sia il vostro disegno- proseguì mentre il suo interlocutore faceva debolissimi segni
di assenso con le sopracciglia,- vorrei trovare una soluzione buona per tutti..- Dovete avere un business importante se vi permettete ‘na cosa tanta con noi- Ditemi soltanto se la cosa si può fare o no. Lei mi conosce, immagino. Sa chi sono, da dove
vengo, che cosa ho fatto e che cosa faccio. E anche che gli affari li so fare e che se sono
ancora qui, sano e vegeto, un buon motivo ci deve essere. Quel ragazzo, Brodetto, lo voglio per
salvare la squadra di Portoland da una sicura retrocessione- si stava infervorando Tizio.
- Per così poco... e il business... il business non lo vedo. Forse pensate che sia fesso, o nato ieri.
Non ho ancora conosciuto nessuno che fa qualcosa per niente, in cambio- e muoveva
lentamente la mano nell’aria facendo piccole rotazioni per accompagnare il suo pensiero.
O’professore si interruppe di colpo.
- Scusate amico, permettete che vi chiami così? scusate la mancanza di ospitalità. Mi sono
accorto che non vi ho offerto ancora nulla. E questo non è bene. Almeno per me-. Si alzò e si
diresse alla vetrinetta dalla quale prese una bottiglia con due bicchierini.
- Scusate ancora- disse versando un liquido ambrato,- ficud’innia- aggiunse, -ma non quello che
si compra, ben inteso. Quello speciale fatto con i fichi d’india delle Gole d’Alcantara.
Assaggiate, assaporate. Agli affari penseremo dopo-.
Non appena deposta la bottiglia, O’professore sollevò il bicchierino in direzione di Tizio:
- Alla salute vostra... che di quella ce n’è sempre bisogno...- Minaccia?.. Avvertimento?..Consiglio?- rispose Tizio stringendolo nelle dita, ma sempre ben
appoggiato sul tavolo, piegandosi un pochino in avanti per ridurre le distanze e dare comunque
l’impressione di non essere toccato da quell’augurio. Anzi di essere postivamente stuzzicato,
che dico, motivato..a proseguire .
Gli occhi dell’altro erano ben aperti, dritti verso di lui, in netto contrasto con il tono della sua
voce amichevole che formulava parole dure. Quello che aveva dinanzi, Tizio, non si stava
comportando bene e la cosa grave era che lo sapeva perfettamente. Intendeva intromettersi
in affari che non lo riguardavano così, per sfizio. O per sfida? Ma chi si credeva d’essere, quel
futtuso cornutazzo a venire qui a scassare ‘a minchia..
Tizio stava ancora nella medesima posizione, solo che adesso aveva appoggiato sul tavolo il
gomito sinistro, mentre con l’altra mano continuava a serrare il bicchiere ancora pieno. Pensa
di spaventarmi, ‘sto bastardo. Ma lui non sa quello che so io di lui e se non si calma gli faccio
capire io... che non gli conviene fare il duro..
I due così contrapposti sembravano Kane e Miller in mezzogiorno di fuoco. Senza pistole.
O’professore-Miller e Tizio-Kane.
Nessuno dei due voleva essere il primo a parlare. Entrambi attendevano la mossa dell’altro, ma
O’professore non sapeva di essere nelle mani di Tizio e fece ciò che gli suggeriva l’animo suo
infeltrito dalla consuetudine prevaricatrice.
- Mi pare che non c’è più nulla da dire..La vostra proposta è per lo meno inopportuna. Io direi
anche priva di rispetto se avete il coraggio di venire qui, in casa mia, a propormi uno sgarbo. A
me!
No, non vi siete comportato bene. Ve ne siete accorto, no? Quel ragazzo è nostro e se vi
mettete “in ta i cugghiuni” potreste essere preso in mezzo a qualcosa di non molto
divertente.Tizio continuava a stare zitto e a guardare verso il bicchiere, sempre colmo, stuzzicando la
tovaglia con l’indice, come se la cosa non lo toccasse ed aspettasse solo il momento buono per
sparare..la sua cartuccia. Incruenta, apparentemente, ma letale, in realtà.
Portò lentamente il liquore alle labbra, ne prese un piccolissimo sorso, lo fece navigare dentro
la sua bocca. Socchiuse gli occhi per penetrare meglio nel suo sapore. Li riaprì con calma:
- Ottimo- disse – ottimo liquore. Mi dovrebbe dare la ricetta.. Ah già, che stupido, non si può
fare senza i fichi d’India di Alcantara..ma potrebbe farmene avere lei la quantità
sufficiente..O’professore lo guardava molto preoccupato. Non capiva bene se aveva a che fare con uno
stupido o con uno furbo, nel senso che aveva qualche asso nella manica. Era un po’
soprapensiero, mentre cercava di dare una risposta al suo dubbio, quando fu preso alla
sprovvista dalla pistolettata di Tizio-Kane che lo raggiunse proprio dalle parti del cuore.
- Mi stavo chiedendo: come mai invece dei fichi d’india non m’avete offerto un bicchierino di
lemoncello? Di quello scomparso tre o quattro anni fa, magari. Apparentemente rubato da
qualcuno che la polizia non ha mai trovato.. Se lo ricorda, vero?- E certo che me lo ricordo. Ma questo che c’entra? Che ha a che fare con il vostro
problema?- replicò senza esitazione.- E’ una storia vecchia e prima o dopo lo pigghiu, stu
fetuso. O pensate che io molli così presto, minchia, non mi fate incacchiare, Tizio!Tizio continuava a rimanere calmo e impassibile. Quando sparò il secondo colpo l’uomo cadde
definitivamente.
- Io lo so chi è stato. Lei. O’professore.Il pugno dell’uomo cadde come una mazzata sul tavolo e il liquido dai bicchieri si disperse sulla
tovaglia. Si sporse con tutto il torace molto in avanti verso Tizio che per un attimo temette
per la sua incolumità sentendo l’alito del fumatore investirgli il viso. Ma non si mosse,
nemmeno quando sentì la mano dell’altro serrarsi sul bavero della giacca.
- Non le conviene. E’ meglio che se ne stia calmo. Ho le prove, ben custodite e se i suoi amici
sapessero..-riuscì a dire e non continuò oltre. Tirò un sospiro di sollievo, ma senza darlo a
vedere, quando il suo aggressore allentò lentamente e percettibilmente la presa. Come un
animale che ferito a morte si accorge del suo stato e perde la voglia di lottare sapendo che
sarebbe del tutto inutile.
La storia del lemoncello non era conosciuta ai più, non c’era stato clamore sulla stampa locale e
ciò è perfettamente comprensibile. Bene, un autotreno carico di bottiglie di questo profumato
liquore era arrivato a destinazione e subito dopo scomparso, volatililizzato.
O’professore fece naturalmente il diavolo a quattro organizzando la ricerca nel massimo
riserbo consentito dalla natura e dimensioni dello sgarbo, perché era chiaro che di sgarbo si
doveva trattare.
Non trovarono mai né il colpevole, né la merce. Gli amici di laggiù non parevano troppo convinti
che non c’entrasse qualcuno del posto, ma O’professore aveva garantito, anzi giurato (cosa
gravissima) che nessuno dei suoi c’era di mezzo. Avrebbe messo la mano sul fuoco...
Come si sa bene, con loro non c’è mai nulla di archiviato, tanto per loro è matematico che, se
c’è un colpevole, a galla viene. Prima o dopo. Basta aspettare.
Tizio, che alla data dei fatti era ancora in Estéria, ne era venuto a conoscenza per caso
quando, al suo ritorno, ebbe a che fare con un picciotto che gli aveva chiesto un favore per un
suo piccolo problema di sconvenienza con la famiglia. Per caso, senza volerlo si trovò quindi ad
aiutarlo. Non gli chiese nulla in cambio. Era generoso Tizio. Il ragazzo voleva sdebitarsi in
qualche modo. Così, senza saper il motivo che lo spingeva, pensò di farlo togliendosi un peso
dallo stomaco. Un collaboratore di giustizia , si sarebbe detto un tempo, anche se Tizio la
giustizia non era. Gli raccontò com’era andata quella storia e gli aveva dato, per provare che
non mentiva, anche una foto dove si riconoscevano perfettamente le persone che si
affaccendavano attorno a quel camion. Senza alcun dubbio, concluse Tizio quando l’ebbe per le
mani.
- Ho una foto. Un’istantanea molto bella con tre persone delle quali i suoi amici non avrebbero
nessuna difficoltà a definire le generalità. Di una in particolare nemmeno io avrei dei dubbi..O’professore pareva effettivamente collassato. Dei suoi, sui suoi poteva mettere davvero la
mano sul fuoco, non l’avrebbero mai tradito, per nessun motivo. Costui bluffava, tentava di
convincersi, non è possibile, non si capacitava. Tentò di resuscitare:
-Voi non avete niente in mano, perché prove non ce ne sono. Quel camion è sparito e non so
come. Ma è sparito e se li prendo..- tentò pateticamente di contrattaccare. Ma era morto.
- La prova c’è e ben custodita. La vorrebbe vedere, per caso? Su qualche giornale?Tizio gli tese la mano: - questa brutta storia può rimanere tra di noi. Non c’è proprio nessun
bisogno che si sappia in giro, tantomeno laggiù. Io non ho alcun interesse a danneggiarla. In
fondo, io, a quel tempo, nemmeno c’ero qui. Quindi..Solo un po’ di buon senso. Via!O’professore era accasciato sulla sedia. In silenzio muoveva la testa parzialmente reclinata in
avanti come per dire qualcosa, ma senza produrre alcun suono organizzato al di fuori di un
mesto lamento, come se fosse veramente giunta la sua ora. La fine di un capo, della famiglia,
della vita sua tutta.
- Allora siamo d’accordo? Affare fatto?Gli parve di avvertire un piccolo moto affermativo della testa, appena percettibile, ma
inequivocabile.
- Visto che lei è così gentile ed accondiscendente mi viene il coraggio di chiederle un favore.
Che vorrei ripagare però. Non mi piace essere troppo esoso..- Alzò il bicchirino, vuoto o quasi,
invitando il suo interlocutore al brindisi per il successo del’incontro.
- Non mi sfottete. E non finisce qui- protestò
- Ma quest’altro affaruccio sarà redditizio per lei, o per voi, e così potrà giustificarsi con i
suoi per quello che non è andato per il verso giusto e che poi, scusi, mi pareva un misero
intrallazzo- incalzò Tizio con ottimismo.
Controvoglia, ma pungolato dalla possibile contropartita della quale voleva conoscere la natura,
O’professore si predispose, di malavoglia, beninteso, ad ascoltare, dopo aver ingollato il fondo
del bicchiere ed essersi pigramente affrettato a riempirlo nuovamente. Anche quello di Tizio.
Così si arrivò al problema di Hansel, il fratellastro di Brodetto, e il progetto del suo
tesseramento con Portoland basket, quello del sogno di poco prima, insomma.
In poche parole il nostro eroe tratteggiò la situazione ricevendo, di rimando, continui cenni di
incomprensione. Il poveretto era grezzo e impreparato su questioni di tale portata ed
interruppe quasi subito l’esposizione con:
- Io di ‘sti incavillamenti nu sacci nenti. E nemmeno ne voglio sapere. Mi dispiace,- cercò di
gongolare- ma vi dovete arrangiare da solo- e dando i primi segni di impazienza fece la mossa
di alzarsi.
Tizio lo gelò di colpo: - Stia seduto! Non ho ancora finito. Da lei voglio comunque una risposta.
Non adesso, ma fra poco. Mi riascolti bene e non faccia il fesso!O’professore, a malincuore, tornò a posare le chiappe sulla sedia: -Ma fate in fretta, che non
ho tempu a perdiri.Tizio fece finta di non aver udito e riprese a parlare.
- Chiaro, adesso? Ha capito che cosa voglio?- e scandendo bene le parole aggiunse: - mi deve
mettere in contatto con qualcuno dei suoi, nella capitale. Qualcuno che conti più di lei,
ladruncolo da strapazzo, perché deve riuscire , presto e bene.- E.. per..- Per che cosa? E’ questo che vuole dire? Perché dovrebbero farlo? Faccia presente che ho
molte conoscenze, buone conoscenze, lassù in Estéria dove mi pare cercate di intrallazzare
senza grandi risultati...- Io nulla so di questo- si affrettò O’professore.
- Non si preoccupi, è sufficiente che lei ripeta quello che le ho detto. Qualcuno più
intelligente di lei capirà subito- concluse Tizio e consentì che anche l’altro si alzasse. Restò un
attimo in piedi, mani in tasca, a fissare l’avversario che tentava di recuparare crediti verso se
stesso con un atteggiamento di ripresa emotiva. Fece per aprire bocca, ma Tizio lo prevenne:
- Domani sera, al massimo. Penso non serva ripeterglielo o ricordarglielo. Domani sera. Non
oltreLasciò la sedia obliqua rispetto al tavolo, inforcò la maniglia della porta e si allontanò senza
alcun cenno di saluto esplicito.
Uno o due minuti dopo apriva la portiera della macchina. Inserite le chiavi nel cruscotto, il
quadro, accendendosi, gli segnalava un’anomalia alla pressione dei pneumatici.
Scese e non ci volle molto per accorgersi che le ruote dispari erano tragicamente a terra. Se
lo doveva aspettare ed infatti era accaduto. Incidenti del mestiere. Chiamò il carro attrezzi e
si allontanò con quello.
Il mattino dopo, all’ora canonica del softdrink al bar Maggiore, lo avvicinò un picciotto che gli
consegnò un “pizzino” con un numero. Niente di più. Ma era ciò che si aspettava. Si congratulò
con se stesso. Primo step superato.
Si fece annunciare alla segretaria del suo amico avvocato De Votis, Ricciolone per gli amici.
Saranno state le quindici, o giù di lì. L’avvocato era appena arrivato, gli annunciò la ragazza,
che lui ebbe modo di osservare con attenzione e senza circospezione. Proprio un bel tipino,
con un bel personale e tutte le cosine al loro posto. Il suo amico, constatò, sapeva scegliere
con gusto anche se, voci maligne, lo volevano più votato alla quantità,che alla qualità. Poco
importa. Fatti suoi.
La porta dello studio si aprì e il corpulento leguleio, viso pienotto e sorridente, capelli
abbondanti e ribelli, non arruffati, lo accolse con la mano tesa a stringere la sua:
- Che ci fai qui? Casini? Bambole? Entra, entra accomodati- e gli fece cenno di sedersi sulla
poltroncina di fronte alla scrivania, mentre lui la aggirava per prendere il suo posto.
- Scherzi a parte, problemi?- Beh, problema. Ma non di quelli che pensi tu. Con quelli di lassù mi pare sia tutto a posto,
no?- chiese conferma a Ricciolone che assentì con un chiaro segno della chioma.
- Ti vorrei chiedere assistenza per risolvere la questione di Hansel..- Che? L. lo vuole riconoscere? O vuole negare la paternità?- Niente di tutto ciò. Voglio fare in modo che Hansel venga a giocare con la squadra di
Portoland almeno per lo spareggio...-
Ricciolone lo guardò esterrefatto come per dire: ma ti sei bevuto il cervello?. Tizio non lo
lasciò riflettere più di tanto e continuò.:
- Sono disposto ad agire al limite delle regole perché così deve essere. Fosse l’ultima cosa che
faccio..- Calma, amico, calma. Non perdiamo il lume della ragione. Lo spareggio è fra un mese, o
sbaglio? E tu pensi in un mese di riuscire a... , ma in che modo? Io non vedo alcuna possibilità,
mettitelo nella testa. E’ uno straniero a tutti gli effetti e le regole sono chiare- sentenziò
Ricciolone che, da avvocato, le leggi le conosceva o le doveva conoscere- nel nostro campionato
uno straniero è ammesso solo se ha già giocato nelle squadre giovanili- Ma è un under, come Brodetto e se si può tesserare lui, si potrà fare lo stesso anche con
Hansel. Anzi si deve- Stai dicendo una fila di scemenze. Calmati e ragiona. Non si può, quest’anno. Forse l’anno
prossimo.- Ma se non gioca quest’anno l’anno prossimo nemmeno ci saremo in questo campionato..Ricciolone appoggiò i gomiti sui braccioli della poltrona e si prese la fronte tra le mani nell’atto
di chi riflette per trovare la soluzione. Passò in rivista tutte le possibilità che conosceva e
scartandole una ad una parlò da dentro le mani senza muovere la testa di un millimetro.
- Non c’è niente da fare. Mi dispiace, mettiti l’animo in pace. Bel tentativo, lodevole, te ne
saranno grati tutti. Convinciti. Lascia perdere. A proposito stasera avrei un bel giro su da me.
Poca gente, ma bella gente (bambole sopraffine). Beviamo qualcosa, un po’ di musica, quattro
chiacchiere, due risate e poi... si vede come va. Ci sei?Tizio, come risposta, estrasse dalla tasca il “pizzino” e glielo porse. Lui lo prese e lo lesse. Con
una smorfia della bocca disse:
- Embè, un numero. Un numero di telefono? Di chi?- Componilo e così sapremo. Non lo so nemmeno io. Però deve essere di uno che conta.- disse
Tizio.
- E chi te l’avrebbe dato?- O’professore che ho intervistato ieri sera su un argomento che gli stava molto a cuore e
perciò ha deciso di favorirmi- Cazzo- sibilò Ricciolone- non ti sarai mica messo in qualche casino megagalattico no? Spero,
per lo meno, spero..- Nessun casino- disse secco Tizio e ribadì:- Nessun casino. So benissimo cosa sto facendo- E allora cosa vuoi da me se sai benissimo cosa stai facendo?- Ricciolone ribatté.
- Questa è una partita difficile e non voglio commettere errori. Quindi sei avvisato. Su con le
antenne e se tutto andrà a buon fine anche tu avrai il tuo tornaconto. Adesso io voglio che tu
chiami questo numero. Gli dici che sei il mio avvocato e chiedi se i termini della questione sono
stati compresi. Sentiamo quello che ci risponde e poi, se le cose si ingarbugliano o non ti
sembrano chiare, prendi tempo. Anzi no. Chiedi un incontro a brevissimo. Dove vogliono loro.
Tu logicamente verrai con me.- Calma, calma. Ho i miei impegni, non è che puoi pretendere che... se posso vengo volentieri..- No questions! Poche balle, tu vieni e basta!- Tizio non lasciò scampo all’avvocato che parve
rassegnarsi. Allargò le braccia e mestamente pronunciò: -Se è così che vuoi...- E subito dopo:
- Stasera che fai allora? Vieni?- Fa’ quel numero. Di stasera parliamo più tardi- disse Tizio con un tono che non ammetteva
repliche.
Sollevò il foglietto verso la luce come se avesse bisogno di quella per leggere, girando
leggermente la mano in direzione della finestra. Recitò lentamente la sequenza cifrata.
- Non è un cellulare- concluse come se questo fosse importante.
Tizio tamburellava nervosamente con le dita sui braccioli della sua seggiola.
- Ma che strano prefisso. Mai sentito. Secondo me è straniero. 004........... Sicuro. Transalpia.
Transalpia, senza dubbio. Mi ricordo che una volta..- Fa’ quel numero! E subito!- ringhiò Tizio
- Buono, buono- e finalmente stuzzicò la tastiera del telefono.
- E se parlano transalpiano? Che io non so?- Finiscila. Chiama..Passarono dai trenta ai quaranta secondi di attesa. Dapprima nessun rumore, poi il tono di
chiamata e infine:
-Hallo?Cazzo lo sapevo. E adesso? Che gli rispondo?. Bastò un’occhiata di Tizio.
- Hallo, chiamo a nome di Tizio, sono l’avvocato De Votis. Abbiamo avuto questo numero (da
chi? Chiese con la mano sul microfono a Tizio che rispose O’professore) ...da O’professore ...
sa per quel problema ...ma mi sente?.. Mi capisce?.. Mi risponda per favore..La risposta tarda a venire disse rivolto a Tizio, molto sottovoce.
- Demain à trois heures à Consilia. Hotel des Papillons. Chambre 23 (click).- La conversazione
precipitò di colpo nel nulla.
Ricciolone rimase di stucco con la cornetta in mano e l’aria leggermente ebete…
- Allora per stasera? Ok? Donne e birra?- Ma di che sei fatto? O sei fatto per davvero? Ti pare il momento... Stasera si parte. Ti
passerò a prendere verso le sei. Qui o a casa?- tirò dritto Tizio.
- A casa, a casa. Dovrò pur prendermi qualcosa da portare via, no?Tizio si alzò di scatto.
- L’hai scritto l’indirizzo? Sei certo di aver capito bene? Nessun dubbio?- Ehi, amico, non sono mica rincretinito, ancora. E’ tutto registrato. Vai,vai che adesso devo
mettere ordine nelle mie faccende se fra due ore dobbiamo partire...Tizio aprì la porta, e si girò per un’ultima ispezione sull’uomo che stava seduto alla scrivania.
- Alle sei. In punto. Non mi far innervosire più del dovuto- E se ne andò chiudendo
garbatamente la porta dietro di sé.
Consilia, lo sanno tutti è una città di mare, grande, bella. Come tutti i porti accoglie molta
gente. E molti li nasconde dietro una facciata di onorabilità. Come d’altronde succede a Peloria
o a Vesuvia. Niente di diverso, quindi. Nostria, Transalpia, Columbia.....
L’hotel des Papillons si trova all’estremità sud del porto, dalle parti del parco Pierre Puget. Un
edificio della metà del secolo scorso, di stile anonimo, ma ben conservato e con una grande
insegna luminosa sul tetto.
Quando i nostri varcarono la porta automatica erano le quattordici e quarantacinque. Il viaggio
era stato indubbiamente lungo, ma nel complesso gradevole. Avevano conversato amabilmente
come possono fare due amici di lunga data, con più di qualche interesse in comune, riandando
al passato remoto. Era come una sorta di rimpatriata a due. Piacere del panorama, splendido di
giorno, zero. Viaggio totalmente al buio.
Si erano fermati per la notte in vicinanza del confine in un albergo qualunque ed erano
ripartiti abbastanza presto il mattino per non correre rischi di “bucare” l’appuntamento.
Il concièrge era, ovviamente, al corrente di tutto e non appena i nostri si palesarono
chiedendo dell’ospite della chambre 23, lui prese il telefono e dopo un brevissimo e
monosillabico colloquio con la cornetta, ritornò a loro e con ampio sorriso e simultaneo gesto
della mano disse:
- Je vous en prie, troisième étageI due si guardarono in faccia e sorrisero solo quando il concierge diede loro una
chiarificatrice indicazione con pollice indice e medio staccati dalle altre dita. Terzo piano.
Uscirono dall’ascensore e scrutarono dapprima da che parte crescevano i numeri.
- A destra- sentenziò Tizio ed effettivamente trovarono subito la chambre 23 appena dietro
l’angolo.
Prima di bussare si lisciarono la giacca con le mani, Ricciolone si stirò anche i capelli (vano
tentativo). Si schiarirono la voce mettendo la mano a pugno sulle labbra e Tizio, finalmente,
bussò. Le due e cinquantacinque. Leggero anticipo, ma positivo, giudicò Ricciolone.
Dopo alcuni secondi la porta sia aprì e li accolse un uomo di bella statura, asciutto fisicamente,
elegantemente vestito e accuratamente pettinato con una mascagna di altri tempi che faceva,
dei suoi capelli grigi, una sorta di copricapo attillato.
Fece solo il gesto di : prego entrate. Senza parlare indicò loro due comode poltrone di pelle
beige e lui si preparò ad accomodarsi sul divano a due posti che formava il grazioso salotto di
quell’ampia camera (quasi una suite, pensarono i due) illuminata da una grande porta finestra
dalla quale filtrava la calda luminosità dell’après midi sul mare.
In un perfetto nostriano, ma con una evidentissima presenza di transalpiano (sua lingua madre,
pensaro i due) nella cadenza, Monsiuer Jacques (così disse di chiamarsi) cominciò:
- Conoscete De Groot?Tizio avvertì un piccolo contraccolpo alla bocca dello stomaco sentendo quel nome che lo fece
riendare a qualche anno prima quando aveva cominciato a pensare che sarebbe stato meglio
mollare la sua intrapresa finanziaria. Erano entrati nella società, a seguito di una manovra
spericolata, dei personaggi indesiderati e tra questi c’era appunto De Groot.
Tizio assentì con il capo.
- Bien – proseguì Jacques – noi sappiamo che lei (rivolgendosi a Tizio) ha ancora dei legami
economici e politici, societari ben inteso, con costui che si ostina a boicottare la nostra
penetrazione nel mercato esterese. Badi bene che le nostre attività non sono concorrenziali
con le sue.... Vorremmo trovare una soluzione pacifica....- si fermò puntando lo sguardo contro
Tizio.
- Lei farebbe qualcosa per noi?- buttò là a bruciapelo.
Ricciolone, che si ricordò di essere avvocato, si girò verso l’amico e cercò di fargli arrivare
qualcosa che però non era ben chiaro a Tizio, una sorta di warning, attenzione che ci sta, anzi
ti sta incastrando..
Tizio o non capì o fece finta. Sta di fatto che rispose senza esitazione:
- Dipende... Dipende.. Mi spieghi meglio. Mi faccia capire fino a dove vorreste che mi spingessi.
C’è un limite anche per me..- Niente di speciale. Lo dovrebbe soltanto convincere. Con le parole, s’intende. Penso che lei
sappia anche come...Tizio sapeva come, solo che non... che preferiva non doverlo fare. Non era nel suo stile, ma se
la condizione era quella...non era questo il momento di fare i difficili.
Comprendendo che sarebbe bastato poco per raggiungere il suo scopo, Jacques lasciò
improvvisamente quella canzone per intonarne un’altra, ben più orecchiabile e soprattutto
gradita ai suoi ospiti.
- Il presidente della LDP (Lega per la Difesa della Pallacanestro, n.d.r.) vi aspetterebbe in
questo fine settimana per un incontro preparatorio alla seduta prevista, dal calendario, fra
una decina di giorni, mi pare. Lui sarebbe dalla vostra parte. Se voi saprete essere convincenti
con il signor DeGroot...l’appuntamento sarà nella sua villa di Particola. Se i fatti del futuro
prossimo saranno conformi ai nostri desiderata, riceverete i dettagli, tutti i dettagli
necessari.La conversazione era tecnicamente conclusa. Nei convenevoli (pochi) di commiato va inserito
anche un bigliettino da visita con un altro numero di telefono. Il contatto per la conferma. Ma
solo dopo l’assenso di De Groot.
Tizio e Ricciolone ripresero l’ascensore, raggiunsero il piano terra e rispondendo al saluto
cortese del concièrge guadagnarono l’uscita senza che alcun verbo fosse transitato dalla
bocca di uno all’orecchio dell’altro.
Tizio tirò una ampia boccata dall’ambiente cirtcostante (non eccezionale) e senza girarsi verso
l’amico esordì:
- Svelto, in macchina. Dobbiamo partire subito per l’Estéria.- Che? Sei impazzito? Altri due giorni fuori ufficio? Non posso, davvero, non posso- piagnucolò
Ricciolone.
Dalla sera della cena con il dott. Poeti e Basilio erano passati solo tre giorni, vi rendete conto?
A me sembra un’eternità. Ma è solo giovedì e sabato o domenica si potrebbero incontrare con
il presidente della LDP.
- Non c’è proprio tempo da perdere. Dovremo viaggiare tutta la notte e sperare che quel
bastardo sia ancora là dove so io...Questa parte della storia ci è stata negata. Quale fosse l’arma di convincimento che Tizio
aveva per le mani doveva essere altra cosa del furto del lemoncello. Non volle mai dire niente
di niente. Ricciolone, che poteva essere il cavallo di troia, si rivelò un professionista eccellente
in quanto a deontologia. Non è detto, però, che passato un congruo numero di anni non vengano
a cadere le motivazioni di questa secretazione che ci impedisce di narrare anche questa piega
importante della vicenda baskettara.
Morale, missione compiuta. Questa. Adesso avanti con l’altra, decisamente più complicata e di
esito per niente scontato.
Lotta dura, senza paura.
Questa mi è scappata, scusate. Non è nelle corde del nostro eroe.
Boia chi molla.
Questa è molto più affine. Però a grattare bene è solo facciata, lo si capisce subito dopo le
prime tre parole..E’ buono e generoso. Non può essere di quelli.
CAPITOLO 19
Nella casa del presidente dott.Poeti la pendola stava battendo le otto di sera. Era rientrato
da poco dal lavoro e stava in paterfiliale colloquio con la sua bambina (chiamava sempre così
Giulia anche se, adesso, non sarebbe stato il caso) amenamente sprofondati nel sofficie divano
di piuma. Il padre chiedeva, la figlia rispondeva, ma non a tutto è chiaro, talvolta con sincerità,
talvolta con pietosa astinenza.
Il genitore mostrava un discreto interesse, ma con l’aria di chi non lo vuol dare a vedere,
sull’aspetto sentimentale della storia con Lupo. La madre, troppo sbrigativa (ma che
caratteraccio!) non aveva capacità interlocutorie e si limitava a lanciare messaggi stereotipati,
del genere: lascialo perdere quello là, uno che passa il suo tempo a tirare la palla con le mani
che avvenire ti potrà dare?. Oppure: i giocatori sono come i marinai, una ragazza in ogni porto,
pardòn, campo. La figlia alzava gli occhi al cielo e, con le mani a disegnare un cuore sottosopra,
diceva tra sé e sé: che palle!
Il padre, non era un segreto per nessuno dei familiari ed entourage, sperava in una positiva
conclusione di quel rapporto sentimentale. Benedetta da un matrimonio in abito bianco,
strascico con paggetti, chiesa grande grondante di fiori. Invitati a fiotti, ma non tanto per
far numero. Selezionati con cura e impreziositi dalle autorità amministrative e sportive della
Regione Montana. Arrivava a sognare anche qualcuno dalla Capitale e si chiedeva: ma non sarà
troppo? Lo sposo in tight fumo di Londra , cilindro e guanti di camoscio grigio perla, come la
cravatta. Lui avrebbe accompagnato la figlia all’altare dopo essere scesi da una carrozza, un
tiro a sei..bellissimo, eccezionale.. cosa darei.. gli occhi erano aperti, ma non vedeva e non
sentiva Giulia che si stava lamentando del boicottaggio della madre a questa sua relazione con
Lupo.
- E tu- gli diceva- non insistere più con il matrimonio, chiesa, abito bianco e tutte le tue manie
di grandezza, ospiti....E’ una cosa mia, nostra, e tu non c’entri. Tantomeno la mamma che è
meglio se ne stia rintanata nella sua gabbia-.
Il padre, poveretto, rimase basito. Il risveglio era stato traumatico. Dal sogno all’incubo, in un
attimo.
- Oh papy – sbottò per finire – mi sono spiegata? Capisco che sono tua figlia, che ci tieni a me,
ma sei asfissiante....Se vai avanti di questo passo non vengo più a trovarvi e le mie notizie le
avrai da Lupo, se vorrà. O da Basilio, se gliele vorrò dare io. Chiaro?Il silenzio, in salotto, calò di colpo. Il dott. Poeti si spaventò per la reazione e si trovò,
imbarazzato, a pulire le lenti degli occhiali con gli occhi puntati sulle scarpe accavallate. Giulia,
rossa in volto, era convinta di aver esagerato, ma comprendeva che, come si diceva nella
Capitale, “quanno ce vo’ ce vo’”!. E che caspita! E che diamine! La sua educazione le impediva di
andare oltre.
Il silenzio era solo turbato dalla madre che sferragliava tra cucina e sala da pranzo,
rimproverando, dentro di sé, la figlia che non l’aiutava. Nervosetta, la signora, nervosetta. Ma
non immaginava quanto era successo di là, in salotto.
E allo strillo:
- A tavolaaaa!Non rispose nessuno.
La giovine si alzò con un movimento elastico e flessuoso, frutto del molto esercizio atletico
contorsionistico degli ultimi giorni, che contrastava con quello piuttosto goffo e impacciato
del padre che continuava a maledire la scelta di quel divano così scomodo...per la risalita e la
sua maledetta curiosità inopportuna, sì veramente inopportuna. Però era più forte di lui..
amore filiale, gelosia filiale..ma perché non era stata la moglie a trovarsi qualcuno... così
l’avrebbe lasciato in pace invece di rompergli sempre le scatole con le sue paturnie e manie di
ordine, pulizia e puntualità. Disperato, convenne che questo non sarebbe mai potuto accadere
e una lacrima si affacciò sulla palpebra inferiore dell’occhio sinistro, quello maggiormente
aggredito dalla congiuntivite..
Non appena fu faticosamente in piedi, e mentre ancora ansimava leggermente per lo sforzo,
trillò il suo cellulare che da qualche parte doveva essere ma non si trovava maledetto anche
quello che li facevano sempre più piccoli ecc ecc:
- Pronto – gli riuscì, alla fine, quando oramai stava per perdere le speranze e la telefonata.
- Presidente, buona sera. Disturbo? Sono Tizio-
- Buonasera Tizio, vuole sapere se ci sono novità per Brodetto?- No, presidente, no. Volevo solo sapere se per domenica ha impegni. Domenica sera.- Oddio, no, non mi pare. C’è solo la partita, ma alle otto è finita...- Bene, allora si tenga pronto a partire per Particola. Abbiamo un rendez vous, amichevole,
informale, mondano (si può dire?) con il Presidente..- Ma che presidente..a Particola per giunta...- Massì, con quello grande, quello del LDP... nella sua villa al mareIl dott. Poeti fece un chiaro gesto in direzione della figlia per un bicchiere d’acqua alla svelta
avendo difficoltà a respirare, mentre pensava : ma cosa diavolo si sta inventando ‘sto pazzo.
Quasi quasi mi pento di avergli dato retta..
- Domani verrò a trovarla così le spiego tutto- concluse Tizio rovinando la serata al presidente
e di conseguenza anche alla sua nervosetta signora.
Il bicchiere d’acqua non arrivò. La figlia si era già dileguata.
Particola, lo sanno se non tutti, molti, è il lido della Capitale. Costa bassa, spiaggia di sabbia
calcarea di qualità medio bassa (sporca molto perché il fino rimane incollato alla pelle e alla
peluria), pineta rada e oramai quasi distrutta.
Vantaggi?
Vicinanza alla città (mezz’oretta o poco più) e possibilità di edificazione al bordo della duna
antica. Che vuol dire, in alcuni posti, cinquanta metri dal mare. Ottimo, no? E poi in perfetto
spregio delle norme urbanistiche più elementari. Abuso? No. Tutto in regola. Con le carte che
parlano: bolli tondi, firme e controfirme sulla prima pagina. Se uno si fosse presa la briga di
andare a verificare si sarebbe, però, grandemente sorpreso di vedere come il mare si fosse
mangiato almeno duecento metri di terra ferma..Dinamiche costiere preoccupanti, avrebbero
concluso gli urbanisti, con necessità di interventi immediati per mitigare il rischio di vedere
inghiottiti dalle acque gli investimenti di quei poveretti che quella solo, di casa, avevano.
Bah! Disgrazie. Di pochi. E fortune di molti, amministratori pubblici compresi.
La casetta del comm. Quagliozzi era una di quelle maggiormente minacciate dalla furia dei
marosi. Per questo il proprietario aveva pensato bene, anche per motivi di privacy, di far
erigere, a spese pubbliche, un muraglione di cemento armato tutt’attorno la costruzione. Una
vera e propria diga che gli avrebbe consentito di trasformarla, alla bisogna, in una fortezza
imprendibile. Peccato che il pericolo dei saraceni non ci fosse più...per dimostrarlo.
Il signor Gennaro, così faceva di nome, non abitava lì, ovviamente. Le sue molteplici attività, i
suoi smisurati interessi (economici) lo obbligavano a muoversi parecchio dalla Trinacria.
La villa di Particola gli era comoda per i suoi soggiorni operativi nella Capitale dove doveva
curare la fitta rete di rapporti superficiali e sotterranei con il potere politico centrale sui
quali si basavano gran parte delle sue fortune.
Al momento del patatrac che aveva sconvolto la lega di pallacanestro per via di inciuci,
tramacci, clientelismi che avevano messo a dura prova la saldezza delle istituzioni, il Potente
della lobby che aveva tramato per questa cruenta conclusione aveva visto nel comm.Gennaro
Quagliozzi la persona che, per capacità e fedeltà, si poneva di gran lunga in cima alla lista di
candidati.
Il commendatore sulle prime aveva cercato di declinare la proposta, asserendo di essere già
oberato di impegni, che di questo particolare aspetto non aveva conoscenze bastanti per
svolgere al meglio l’incarico ecc ecc. Le pressanti sollecitazioni e rassicurazioni che la sua
sarebbe stata solo una posizione di facciata, senza carichi di lavoro e con il supporto di
validissimi collaboratori, fidatissimi per giunta, lo convinsero a dire di sì al Potente. Questi,
per ingraziarselo e favorire una sua decisione positiva, gli aveva messo a disposizione, come
benefit, la villa-fortino di Particola.
Alle dieci del mattino di quella domenica, Tizio, fresco e riposato come se fosse appena
rientrato da una vacanza alle Trecelle, spegne il motore del suo bolide dinanzi al cancello del
vialetto privato che conduce alla casa del presidente. Istintivamente avrebbe clacsonato un
paio di volte per avvertire della sua presenza e chiamare a sé il compagno di viaggio, ma questa
volta, si disse, è meglio suonare il campanello.
Detto fatto, preme e attende la risposta. La solita voce dei citofoni gracchia la solita
richiesta di riconoscimento verbale alla quale risponde con i due monosillabi del suo nome.
Clack. Il cancello cede e lascia passare l’uomo. Quando arriva in prossimità dell’ingresso
pricipale la porta si apre e ne esce una figura magrolina e minuta con una sigaretta in bocca e
avvolta in una vestaglia a fiori.
- Che c’è? Chi cerca?- Il presidente...gli ho parlato ieri pomeriggio.. per il viaggio...ma non c’è? Eravamo d’accordo
che sarei passato a quest’ora a prenderlo... Ca...(scusi). Non è in casa?- C’è, c’è- rispose decisa l’antipatica – solo che non sta bene. E’ a letto con la febbre. Troppe
emozioni, lui non se le può permettere. Si stanca. E poi ha anche il lavoro.Poi inviperita:
- Ma chi gliel’ha detto di fare tutto questo casino, chi se ne frega della squadra, campionato,
giocatori. Rottura di palle, tutta una rottura di palle. Non si vive più in questa casa!- e
nell’impetus disputandi le cadde a terra la cicca accesa che aveva voluto a tutti i costi tenere
incastrata tra i premolari sinistri. .
-Anche la figlia, mi avete rovinato. Ragazzi perditempo, senza arte né parte. A tirare una palla
dentro un cestino. Robe da matti! Basta, basta. Via, Rauss!Girò sui tacchi e senza voltarsi:
- Vada al diavolo e non si faccia più vedere. O le arriva qualcosa sulla testa!- sentenziò con
piglio bellicoso.
Dire che Tizio fosse rimasto basito è sicuramente riduttivo. Di merda, scusate, è la locuzione
giusta, di cacca (se si vuol essere meno grossolani). Braccia allungate sui fianchi, spalle
spioventi, piedi a quaranta gradi angolari(per mantenere, comunque, l’equilibrio), sguardo a
dettagliare la ghiaia del vialetto.
Un tintinnìo lo scosse dal suo trip introspettivo. Alzò gli occhi. La tenda della finestra si
scostò per lasciare il posto ad un volto smunto dall’aria sofferente, aggravata dalla
prepotenza delle occhiaie smascherate dall’assenza delle abituali lenti da vista.
Con un moto ripetitivo del capo, che si spostava a destra e poi a sinistra e quindi a destra e
ancora a sinistra, il presidente gli comunicò che non poteva. Non poteva perché ammalato?
Perché l’antipatica non voleva? Perché lui non voleva? Poco importa.
Tizio cercò con l’intensità del suo sguardo di aprire un varco in quella cortina di omertà, di
rompere i lacci dell’impotenza, di scardinare la pavidità o di vincere la morbilità dell’altro, ma
le sue doti soprannaturali erano ancora primitive e a questo livello non gli era ancora stato
concesso di operare.
L’energia intrinseca dell’uomo, quella che si sprigiona quando avviene la fissione del nucleo
primordiale dell’orgoglio, prese forma inarrestabile dentro il petto di Tizio che, stringendo il
pugno destro ( e quale altro sennò?) fino a conficcare le unghie nella carne, esplose:
- Il presidente sono io! –
Logico, elementare. Che serviva quel... quel.. quello là? A niente. Avrebbe trattato lui con il
commendatore a Particola! Nessuno conosceva l’ometto. Quindi...
- Ricciolone!- esclamò ed estrasse il cellulare quale arma di attacco e convinzione. Rubrica,
enter, chiamata, ring...risposta:
- Vaffanc... che cazzo vuoi la domenica mattina?- Oh, amico, piano con gli insulti! Ti è mancata la liberazione corporale? Sei da solo o in
compagnia..- Da solo, da solo, porca p... è andato tutto storto, ‘stanotte. Mi vergogno. Insuccesso
clamoroso.. Tutti ‘sti viaggi, spostamenti, casini mi hanno tolto concentrazione....cazzo! cazzo!
cazzo!- Dai che ne parliamo? Ti vengo a prendere, vuoi?- Per andare dove? Da Teso? Ci facciamo un paio di birrazze con un po’ di affettati misti,
sottaceti... Che ore sono? (silenzio) Le dieci e mezzo... Fra un’ora ci troviamo là? D’accordo...- No, no, passo io, un quarto d’ora, il tempo di arrivare da te..- Piano...piano, amigo. Che cosa stai cercando di dirmi? Fra un quarto d’ora.. per andare
dove...di grazia? Non avrai in mente qualche altra idiozia come quella dell’altro ieri, no? Perché
se è così io non ci sto, chiaro? Stavolta non mi freghi..- Particola. Il presidente si caga sotto e allora il presidente lo faccio io, cazzo! E tu mi
accompagni perché... perché...ci devi venire. E basta!Tattica di O’professore: chiudere la telefonata senza dare il tempo all’altro di dissentire. E
funzionò.
Fu comunque necessario insistere. Il ragazzo era un osso duro. Dovette dargli una scrollatina,
ma era comprensibile dopo la notte tragica appena trascorsa.
Era quasi mezzogiorno quando imboccarono l’autostrada a Lavinio sud. Seicento chilometri da
fare in una volata da cento all’ora di media. Speriamo che non ci sia traffico sulla Dorsale
Nordest, pensava Tizio. Ricciolone, testa reclinata sul sedile in balìa del rollio dell’auto,
mugugni e gridolini, stava già sognando la rivincita con la bambola che aveva deluso poche ore
prima .
Sosta tecnica all’autopark Etruria per rifornire la macchina e fortificare lo spirito. Dieci
minuti. Poi ripartenza. Silenzio perdurante del navigatore ancora incacchiato con il pilota per
l’ennesima gita fuori programma, l’ultima, giuro,l’ultima diceva a se stesso.
Uscirono a Corte e imboccarono il raccordo in direzione mare. Seguirono le indicazioni degli
apparati elettronici di bordo e raggiunsero senza difficoltà il bunker. Quando si fermarono in
verità furono un po’ perplessi sul fatto che la strumentazione avesse detto il vero: muraglione
grigio di cemento lungo almeno una trentina di metri e alto....quattro o cinque. Di casa
nemmeno il sospetto. Non si immaginavano uno scenario di questa foggia e si meravigliarono
assai quando, come per incanto, si materializzò una breccia che si dilatò fino a dimensioni
sufficienti a inghiottire un’auto. Istintivamente i nostri alzarono gli occhi verso la sommità del
muro ed ebbero modo di rilevare gli occhi elettronici, che avevano segnalato, all’interno, la
loro presenza.
- Tizio e Cajo?- apparve una voce seguita da un uomo di taglia robusta
- Tizio e De Votis, avvocato De Votis- corressero all’unisono.
- Scusate- rispose la voce dell’uomo che, evidentemente aveva un senso dell’umorismo un po’
dozzinale – il commendatore vi aspetta-. Fece loro strada indicando il posto dove parcheggiare
e il sentiero luminoso (erano quasi le otto) che portava dentro casa evitando il campo minato
che la circondava.
Furono guidati in un grande soggiorno rischiarato da luci soffuse. Arredamento di classe con
grande divano ad angolo, da almeno quattro posti, vasta penisola sul lato lungo, due poltrone al
di là del tavolino di cristallo che vi si frapponeva, tavolo in legno duro da dodici nello spazio
compreso tra la vetrata a mare e il salotto.
Nella stanza non c’era nessuno, quando i due vi si affacciarono. Il loro accompagnatore li pregò
di accomodarsi (indicò anche dove) dicendo che il commendatore sarebbe giunto di lì a poco. E
scomparve in una porta posta sul retro della stanza.
Non appena soli, Ricciolone, dopo uno sguardo d’insieme liberatorio, si rivolse a Tizio:
- Ma dove mi hai portato? Che è, un bunker?- Ti confesso che sono un po’ sconcertato anch’io..mi aspettavo qualcosa di diverso. Non so
bene cosa, ma di diverso sì- rispose Tizio – mi pare di essere in una scena di un film. Di quelli
del vecchio WW7, esagerò (film fantaspionisticomiracolistici dei lontani anni ’70 n.d.r.)...Mentre ispezionavano la sala soffermandosi sui dettagli del grande lampadario spento o sulla
qualità dei serramenti, continuando ad elucubrare su quanto stavano vivendo, si aprì la porta
dalla quale era uscito il bodyguard per lasciar entrare un ometto piccolo e tondo vestito in
abito principe di galles con panciotto, che gli stava uno schifo. Lo faceva apparire ancora più
largo e più basso. Il quadro, si sa, non slancia.
Faccia piena, gioviale, occhi nascosti nel sorriso di circostanza, andatura allegra. Impiegò
veramente poco a superare lo spazio che li divideva con la mano già tesa per la stretta dovuta,
come atto di benvenuto indispensabile, per amici di amici.
Si presentarono, piacere Tizio, commendatore Quagliozzi, piacere De Votis, avvocato,
commendatore Quagliozzi.
- Buon viaggio?-esordì l’ospite per rompere il ghiaccio
-Ottimo, grazie, presidente- rispose Tizio per entrare subito in argomento
- Bene, raccontatemi tutto. Vi ascolto con la massima attenzione. Gli amici mi hanno già
anticipato qualcosa, ma voglio sapere da voi con tutti i particolari, mi raccomando. Ho bisogno
di farmi un quadro completo in modo da organizzare una strategia inattaccabile. C’è ancora
qualche fetuso in circolazione..e ci vuole...bisogna usare la massima.. la massima
persuasione...forza di persuasione..la massima forza di persuasione, ecco. Proprio questa ci
vuole- precisò concentrando l’accento espressivo su “forza di persuasione”, che si sarebbe
potuta leggere anche come forza di dissuasione, e avrebbe avuto il medesimo significato.
- Dà fastidio il fumo?- disse estraendo dal contenitore in cuoio marrone un avana di
stupefacente profumo, - scusate ma ne ho bisogno, quando mi devo concentrare- e senza
attendere risposta, come se non ce ne fosse stato bisogno, appiccò il fuoco a quel tizzone di
tabacco avvolgendosi, in un amen, in un’alea di santità.
- Raccontate, raccontate, vi ascolto- disse mentre voluttuosamente aspirava ed espirava dal
tizzone ardente profumato.
Tizio non si fece pregare oltre e prese la parola come presidente in pectore del Portoland.
Ricciolone si stava chiedendo il perché di quella sfacchinata, se doveva stare lì ad ascoltare
Tizio che parlava e basta. Una forza ultramagnetica lo stava attirando inesorabilmente nei
suoi pensieri prediletti, e devo dire che era già arrivato in prossimità del punto di non ritorno,
con esclamazioni di soddisfazione e petizioni di rinnovo, quando una nuvola di fumo cubano gli
arrivò sul volto e, con questa, una data: giovedì prossimo.
Tutte le infrastrutture e gli orpelli fantastici caddero miseramente a terra svanendo come
nebbia al sole, e così lui ritornò nella tragica realtà.
-.....c’è quindi bisogno che l’avvocato.. ( e rivolto a lui gli chiese con gli occhi il nome che non
ricordava:” De Votis “ gli venne risposto).. De Votis, molto bene, De Votis, sia presente alla
seduta del consiglio a presentare l’articolo di legge che abbiamo convenuto. Lo deve fare lui,
capite- disse rivolgendosi a Tizio- perché è avvocato e ha un cognome che si presta bene... che
dice molto..che può convincere, ecco, può convincere i consiglieri sull’opportunità di adottare
un... che è in piena sintonia con la filosofia comportamentale di questo consiglio che si è
stufato di scontrarsi su leggi troppo interpretabili. E perciò fonte di litigi, malumori e perdite
di tempo, con conseguente danno materiale e di immagine di questa nostra Lega che si batte
per la Difesa della Pallacanestro da attacchi pretestuosi, ingiustificati e, soprattutto, in
malafede.Il commendatore Quagliozzi chiuse qui la sua declamatoria. Aspirò profondamente dal sigaro,
troppo profondamente, diede un colpo di tosse, un secondo più forte. Un rantolo gli sgorgò dai
bronchi asfissiati e si sforzò di espellere quel filo di catarro fetuso che ingombrava la via di
risalita al fumo. Finalmente lo rimosse e il suo incarnato paonazzo si stinse progressivamente,
mentre la voce stentava a riacquistare frequenza e intensità consuete.
- Scusate..- gracchiò – scusate, dovrei smettere- disse guardando con odio il sigaro – ma con
tutti i casini che ho, adesso non ho il tempo per farlo. Lo farò, lo farò- come se ai due
importasse qualcosa dei suoi litigi con il cubano.
- Bene- aggiunse ristabilito nei volumi sonori- adesso possiamo anche brindare...- Non è un po’ troppo presto per cantare vittoria?- si espose Tizio a mezza voce.
- In genere sì. Con noi no- sentenziò e – Pasquà! – chiamò – champagne!- ordinò al bodyguard
che evidentemente faceva anche dell’altro- ChampagneDopo il brindisi, il commiato, mi raccomando avvocato giovedì alla sede della Lega, puntuale e
deciso ad essere convincente, dipende molto da voi, (ma lei non ci ha detto che è tutto a
posto? Sì certo ma convincenti bisogna essere lo stesso), i nostri furono accompagnati lungo
il sentiero luminoso nel campo minato fino alla macchina. Piccola manovra e circa un’ora dopo
erano già fuori Particola, sul raccordo.
- Bisogna “fari 'na cosa a sucu 'ì caramela” – sentenziò Ricciolone che si sentiva oramai
trinacrio doc e futuro salvatore della patria .
CAPITOLO 20
Quando la signora Marisa rientrò in casa sbattendo leggermente il portoncino blindato, dietro
di sé aveva ancora le narici fumanti.
La permanente castano scuro le incorniciava il volto smunto e nervoso, dove gli occhi
roteavano come mossi da moto proprio e le labbra ancora le fremevano.
Magra, avvolta nella sua vestaglia a fiori, caviglie ossute emergenti dalle pantofole blu, si
arrestò ad un metro dall’ingresso nella spartana saletta che fungeva da anticamera per tutta
la casa, una villetta monofamigliare che divideva, in maniera diseguale, con figlia e marito.
- Orso!- sbraitò ad una intensità e frequenza tale che la voce avrebbe potuto raggiungere la
famiglia della magione accanto.
- Orso! – ripeté, spazientita dalla mancanza di immediata risposta dalla vicina camera da letto,
distante pochi passi.
Nessun rumore emergeva da quel luogo di riposo. La sua analisi della situazione fu talmente
rapida che continuò:
- Non far finta di dormire, disgraziato. Questa volta ti ho salvato. La prossima ti arrangi. Ah –
aggiunse spalancando la porta a tutto braccio- anzi, non ci sarà una prossima volta....La scena che le si parò davanti, e che le fece morire la frase sulle labbra incartapecorite, non
lasciava dubbi: sul letto, sopra le coperte, giaceva una figura incastrata nel pigiama standard a
righe verticali bianche azzurre blu. Immobile.
Nella penombra provocata della camera, a quella distanza, non si poteva affermare con
certezza se avesse gli occhi chiusi o socchiusi o se celiasse in quella composta rigidezza da
malato grave.
Il recondito senso materno della donna le impose di tacersi per verificare la reale situazione.
Perciò si affrettò al capezzale a torcere un dito dell’infermo per provocarne la naturale e
indubitabile reazione. Questo comportamento, anomalo per un essere umano, le era stato
suggerito da passate esperienze, quando l’uomo si era finto cerebralmente assente. E ciò per
togliersi da contingenze penosamente assurde, quali rimproveri e ramanzine che lui riteneva
esagerate od ingiustificate e che non riusciva a placare con le normali arti dell’eloquio. La
moglie, infatti, una volta attizzata la si poteva spegnere soltanto con poteri forti o poteri
magici. Non avendo disponibilità né degli uni né degli altri, si era ingegnato con questa
pantomima che le prime volte, usandola con parsimonia e criterio, aveva dato risultati
promettenti. Ma l’esagerazione, dovuta al panico, l’aveva portato a perdizione, nel senso che
lei l’aveva beccato e punito.
Da ciò discende quindi questa sua remora nel vedere una persona distesa sul letto ( o a terra,
o in qualunque altro luogo) inerme, apparentemente priva di sensi.
Il test diede un risultato equivocabile. La smorfia sul volto dell’uomo apparve, ma modesta a
fronte dell’intensità della torsione, e poteva essere intesa anche come riflesso condizionato in
quanto, era certo, l’uomo non era morto.
Lo sforzo di simulazione era stato tuttavia notevole, ed ora che il pericolo era quasi scampato
si diede un cinque mentale. Sbatté leggermente le ciglia, ma astutamente si ricompose
nell’immobilità. Solo due o tre minuti dopo, quando la moglie aveva smesso la divisa del
gendarme, intraprese la via del ritorno alla vita.
Costei, quasi convinta della genuina infermità del marito, ammorbidì la sua postura bellicosa e
fece scendere le mani dai fianchi lungo le cosce nascoste dal tessuto fiorato. Lo sguardo
stesso ridusse la sua spigolosità e il taglio degli occhi ampliò le dimensioni della fessura visiva.
Cercò di addolcire la voce dal tono ancora alterato, sparando:
- Come ti senti? Non starai mica facendo il furbo, speroFinalmente anche dal marito arrivò un flebile suono:
- Ti pare che finga? Che possa fingere? Per quale motivo? Per stare peggio di come già sto?Quanti interrogativi!
Una sola risposta:
- Lo so io, perché! Come se fosse la prima volta! Cinque anni fa hai voluto farmi credere che ti
stava per venire un infarto e mi hai anche fatto spaventare (allora me la prendevo, povera
stupida)...Ti ricordi, no?- No... non mi ricordo. Lo sai che non ho molta memoria..- Ma cosa dici! Di memoria, per quello che ti interessa, ne hai, eccome se ne hai...Solo che ti fa
comodo far finta...sei... sei...guarda..mi fermo. Non voglio aggiungere altro.- Sei ingiusta, Marisa, io non ho mai finto. I malanni li ho avuti davvero e se continuerà così, se
continuerai così la mia fine è assicurata. E anche vicina.- Magari! Ma son sicura che non succederà! Guarda tua madre, ha rotto le scatole tutta la vita
e ce l’ho ancora tra i piedi. Quella ci mette sotto terra tutti e due, prima che schiatti lei! E tu,
tu. Farai morire me.. prima. Porca miseria. Avessi mai un po’ di fortuna. Macché. –
Di colpo cambiò tono:
- Adesso alzati, muoviti, che devo dare aria alla camera. Sono le dieci passate e non sono
riuscita a combinare ancora niente a causa di quel disgraziato che è venuto qui a cercarti. Ma
non sei capace di farti intendere? Non sei riuscito a dirgli di no. Che pappamolla che sei.
Invece di un uomo, ho un mollusco per casa...- Sei ingiusta...come puoi dire così...- Posso..Posso. E lo sai che posso. Devo forse ricordarti quella troietta che hai conosciuto in
Nerania? Se quella là ti avesse detto di sì, non negarlo bastardo, adesso saresti già oltre il
mare. Non dire di no! Nessuno ti crederebbe. Avresti abbandonato la famiglia e una figlia nel
momento più critico, senza pensarci un momento. L’hai detto,no? Dimenticato anche questo?
Dopo tante promesse di amore eterno, che la famiglia era tutto per te..Questo è il risultato.
Un rudere, buono a nulla. Un impiccio. Ma non puoi liberarmi l’aria e andartene a vivere per
conto tuo? Sono ancora in tempo per rifarmi una vita, anche da sola. Invece no! Sempre qui,
aggrappato a questi muri....Basta.Mentre parlava mise mano alla tasca della vestaglia per estrarre il pacchetto di cicche, le sue
compagne inseparabili. Per compensare la mancanza di un uomo, vero, al suo fianco. Se ne
accese una e una scia di fumo la seguì mentre usciva dalla stanza.
- Alzati! – concluse prima di svanire con un tono che non lasciava scampo.
Orso si tirò faticosamente seduto. Rimase in quella posa, appoggiato sul braccio destro
sprofondato nel materasso, per alcuni minuti. – Orso- si disse. Che nome stupido! E quanto a
sproposito. La madre, mentre era in attesa, si era invaghita di un famoso attore di quegli anni
che portava questo nome. Un bel fisico, sguardo intrigante, voce fonda e suadente. Dentro di
sé sperava che il figlio che portava in grembo gli assomigliasse. Si sa. Le primipare sono
particolarmente sensibili a queste cose, si invaghiscono, quasi per poter condizionare,
plasmare meglio il frutto del loro grembo.....
Ana. Gliel’aveva ricordata, la malvagia. E al suo pensiero il volto del presidente si rasserenò,
scorgendo nella penombra i tratti di lei. Tempo addietro, durante un viaggio di lavoro in
Nerania, si era imbattuto in questa giovane...signora. La sua frequentazione (esclusivi motivi
professionali) aveva trasformato l’uomo, già maturo, in un giovane...amante (virtuale). Nel
senso che, conoscendola, se ne era invaghito alla stregua di un giovane..innamorato. Durante il
breve soggiorno ( i viaggi di lavoro sono sempre brevi) aveva accumulato talmente tanta
adrenalina amorosa, platonica per giunta, da convincersi che quella avrebbe dovuto e potuto
essere la donna della sua vita.
Della nuova vita che avrebbe intrapreso con lei. Non si può negare che questo sentimento, non
dichiarato, ma chiaramente dimostrato, non le facesse piacere e non se ne sentisse lusingata.
Ma...non se la sentì, oppure il suo interesse verso quell’uomo non era così totale e coinvolgente.
Sta di fatto che si celò dietro pretesi fraintendimenti, sentimenti di amicizia, cose poco
sintonizzate sul rapporto sentimentale vero e reale. Lui non accettò la soluzione amicale e così
tutto terminò. Solo che questo tira e molla si protrasse almeno per un paio di mesi nel corso
dei quali alcune volte lui diede la cosa come fatta e si pronunciò con la moglie, che ne fece una
malattia e gli giurò tremenda vendetta. Quello che avete letto fa parte di questa. Orso si
sentiva troppo stanco per ramazzare le sue risorse e fare un passo fuori casa. Si afflosciò.
L’ultimo urlo di guerra era già stato emesso. Senza successo.
Se ne stava ancora lì in posizione semi triclina sul letto, assorto in questi ricordi, quando la
porta si rispalancò di colpo per far entrare un’altra voce. Un’altra musica, avrebbe detto lui.
Trafelata ed ancora con la giacca color salmone sopra la gonna blu, fece la sua apparizione la
giovane figlia :
- Papy, come stai? La mamma mi ha detto che non stai bene. Cosa ti senti? I soliti dolori alla
schiena (soffriva di reumi)?-
- No, no. Tranquilla. Sto bene adesso. Ho avuto solo una piccola indisposizione (non voleva
spaventarla), ma adesso va tutto bene. Mi sono ripreso e sono pronto ad alzarmi a a farvi
compagnia a pranzo. Contenta?- Ma non dovevi essere in viaggio, oggi? Ieri m’avevi accennato ad un incontro con qualcuno...
nella Capitale? Era per la squadra?- si informò, interessata, la ragazza. Ne andava del suo
uomo, quindi doveva essere importante, quell’incontro.
- Sì è vero, però è saltato tutto. Se ne riparlerà più avanti- mentì.
- La situazione della squadra è pesante. Lupo m’ha detto che senza lunghi non ce la possono
fare. Quel Brodetto lì, quello nuovo, è troppo grezzo ancora...ma non c’è qualche altra
soluzione per non... per aiutare i ragazzi?- Siamo troppo in sofferenza economica. Non ci possiamo permettere nessuno. Brodetto gioca
gratis. Non c’è nessuno in questo campionato, di bravo beninteso, che voglia fare
altrettanto..ho paura che non ci sia nulla da fare. Purtroppo.- biascicò, vergognandosi un po’
della sua pavidità. Che faceva il paio con quella che lo legava a quella casa, a quella moglie, a
quella depressione che lo stava dominando.
Giulia non mollava la presa.
- C’è una voce.... sottovoce, in giro che dice di strane....di contatti con qualcuno in Estéria,
qualcuno che Tizio conosce, o conosceva. Ne sai nulla? – sparò a bruciapelo.
Il padre incespicò nelle parole e così non diede la risposta immediata che avrebbe avuto il
potere di placare la sete di conoscenza della figlia. Lei intepretò correttamente questa sua
cialtronaggine vocale come un assenso e con un diretto al fegato (malandato) lo mise al
tappeto (in senso metaforico).
- Si dice che Brodetto abbia un fratellastro...grande e grosso come lui. E anche bravo, molto
più di lui a giocare a basket...- Ti giuro- rimentì – non so nulla di questo fratellastro, dell’Esteria ancor meno. Io – protestòdevo fare i conti con quello che ho, non con le fantasie di un invasato che si è messo in mente
di fare i miracoli e di rovinarmi la vita..E si rovinò con le sue parole.
Harakiri. Esattamente quello.
La ragazza aveva un potere su di lui. Gli faceva fare, o dire, tutto quello che voleva facesse o
dicesse. In pratica un libro aperto, per lei. Era vero, quindi, che Orso, il dott. Orso Poeti,
industrialetto, presidente del Portoland era in condizioni di sudditanza psicologica nei
confronti del sesso femminile. Segnatamente di quello dal carattere forte o dal carattere
affascinante. Quante sbandate mentali...Di fisico niente. Non si fidava di sé. Ma lasciamo
perdere questo argomento. Ci porterebbe troppo lontano.
- Cosa ..chi dovevate incontrare nella Capitale? Ha a che fare con la storia dell’Estéria?- Ti dirò tutto più tardi, tutto quello che so. E non è molto- ci tenne a precisare – ora lasciami
alzare e preparare per il pranzo- Ma Tizio c’è andato?- affondò di nuovo la figlia
- Ti ho già detto che ne parliamo dopo. Non essere impaziente. In questo sei la copia esatta di
tua madre (quella megera, disse tra sé e sé). Mi viene un nervoso...Ti ho detto dopo.. dopo..per
favore!- Bene, se non posso fare altro aspetterò. A tavola? O subito dopo?- Ma insomma- sbottò il padre – basta adesso, perdio!- e balzò, si fa per dire, dal letto per
dirigersi verso il bagno – ma guarda che roba. Non ti mollano un attimo. E che caspita. Voglio
ben vedere.. se mi fa girare le scatole ancora un po’ non le dico nulla di nulla. Che forse
sarebbe anche meglio. Vedremo come va a tavola- recitò a se stesso mentre si traghettava
verso la zona della purificazione corporale.
La figlia uscì dalla camera, depositò la giacca su una sedia in entrata e mise il naso in cucina
dove la donna, ancora in tenuta floreale, stava spadellando.
- Sono in ritardo pazzesco. A quest’ora dovevo essere già fuori e invece a causa di quello là
sono ancora qui, da lavare e vestire. Stanotte non ti ho sentita rientrare- cambiò discorso la
madre- sempre con quel pallonaro?Le due femmine erano i galli del pollaio. La gallina, adesso, era in bagno.
- Certo. Che ti vada o no, a me piace e non sarai certo tu a farmi cambiare idea. Mettitelo
bene in testa- Fin che vivi qui non pensare di fare quello che ti pare, tutto quello che ti pare. Avrò pure il
diritto di dire la mia. Le cose le vedo meglio di te, perché non ci sono dentro e ascoltami,
quello là non fa per te..- Non osar dire quello là, hai capito? Ma cosa vuoi saperne tu, che di uomini ne hai visto uno
solo in tutta la tua vita!-E chi te lo dice? Adesso non mi va, ma sappi, per tua norma e regola, che nella mia vita ho
avuto molti ammiratori. Anche da sposata. E..- E che! Balle. Solo chiacchiere..- Non ti permetto di parlarmi così. Sono tua madre- cominciò a strillare – e pretendo rispetto- lo stesso che pretendo io, per le mie scelte. Quindi.. decidi tu. Rispetto per rispetto oppure
guerra. Me ne vado di casa..- Vattene, vattene. Non chiedo di meglio. Così poi vedremo come te la cavi, senza l’aiuto dei
genitori. Facile parlare..ti pare tutto semplice, ma poi viene il bello..- Qualunque cosa sia sarà sempre meglio di questa vita. A litigare tutti i giorni. Sentimi un
pochetto: i figli non si scelgono i genitori. Dovevi ingegnarti meglio se volevi un figlio remissivo
e compiacente. Sei stata sfortunata. La testardaggine l’ho presa da te. Quindi devi solo dire
mea culpa.- Che discorsi sono questi! Bisognava fare l’università per fare questi bei discorsi? O trarne il
profitto che ne ha tratto tuo padre che non ha fatto nulla se non mantenere quel poco che il
padre gli ha lasciato..? Ah, se l’avessi avuto io quel pezzo di carta vi facevo vedere..- e il fumo
cominciava ad affacciarsi dalle narici – gli facevo vedere a quel buono a nulla..là- Non ti permetto di parlare così di papà, le tue sono solo chiacchiere. Con i se e con i ma son
capaci tutti..di fare i grandi, i sapienti...La madre, smodatamente innervosita da quella rituale discussione, lasciò cadere nel lavello la
padella che teneva in mano con tutto quello che c’era dentro:
- Così a pranzo mangerete...niente! Cucina tu, cara la mia signorina contestatrice. La cuoca vi
lascia e se ne va. Buon appetito! Io me ne vado- e mentre usciva dalla cucina :- e di’ a tuo
padre che non so quando torno. Anzi che non so se torno!La figlia la guardò con un sorrisetto pensando a quante volte aveva assistito a quella
sceneggiata. Che fosse la volta buona, si disse ?
Sentì aprirsi e sbattere subito dopo il portoncino d’entrata. Si avvicinò alla finestra, scostò
leggermente la tenda per vedere quella figura minuta, ossuta, ancora impaludata nel suo
mantello a fiori con un mano in tasca e l’altra al viso per portare alla bocca la decima sigaretta
del mattino. Troppe, decisamente troppe. E poi si lamenta perché tossisce. Mi stupirei del
contrario, almanaccava in silenzio Giulia.
Sostò al vetro per osservare quella figura ossuta che ora le appariva triste, forse anche
mortificata dalla vita fin lì condotta, senza amore. Sì, era straevidente che anche per lei quel
matrimonio tutto era stato tranne che un’unione di intenti amorosi. Come si potrebbe
definire... di comodo? Di rassegnazione? Ma si può essere rassegnati a trent’anni? Forse sì, se
l’adolescenza e la giovinezza non ti hanno dato nulla che ha una qualche attinenza con il
sentimento condiviso.
Poi le passa, concluse, e si sedette per riflettere, in attesa che il padre si fosse ricomposto in
una foggia di presentabilità urbana. Cercò il cellulare, controllò se ci fosse traccia di messaggi
o chiamate. Lo ripose. Subito dopo lo riprese per scrivere un messaggino in tema :” Ti amo” al
suo lui. Soddisfatta lo richiuse appoggiandolo sul tavolo, in attesa di un’egual risposta.
Il padre si affacciò, mentre si stava ancora sistemando la camicia smanettando con la cintura
dei pantaloni. Stimolato da assenza di fervore culinario si rivolse alla figlia:
- Sciopero, oggi? Non si mangia?- A quanto pare no. E’ andato tutto nel lavandino.- Litigato di nuovo? Cinque minuti di calma non ci possono essere in questa casa, perdio?- si
adirò il padre.
- Da che pulpito viene la predica! Proprio tu parli..Qui per stare un po’ in pace bisogna non
parlare. Ma nemmeno guardarsi, perché è forse anche peggio. Ci sono gli errori di
interpretazione degli sguardi, ci sono... Senti, papy. Dammi una mano ad andare a vivere per
conto mio..per favore..- Con Lupo? Ma avete intenzione di sposarvi, no? Dimmi almeno questo, per favore. Dammi
questa soddisfazione..- Ma come faccio a dirti una cosa simile. Ci conosciamo da poco. Ci amiamo, è vero. Sposarsi è
una parola magica. Bisogna saperla pronunciare bene, al momento giusto, in un certo modo, con
le sfumature appropriate altrimenti diventa un maleficio.. Non è vero papy? Ne sai qualcosa?Che ribattere a siffatta domanda?. Nulla, in cuor suo. Ma per l’apparenza parentale:
- E che ne dovrei sapere? Con tua madre ci sono alti e bassi, lo ammetto, ma siamo insieme da
quasi trent’anni. Non bruscolini!- Certo. Ma solo perché non avete avuto il coraggio di darci un taglio... diciamo.. almeno
venticinque anni fa. Povero papy, povera mamma, mi fate pena. Una vita buttata nel cesso, dal
punto di vista sentimentale.Si zittì sentendo il portoncino che si apriva, si chiudeva, un’altra porta si chiudeva e dopo dieci
minuti una sequenza inversa. Udirono un motore avviarsi, una debole derapata sul ghiaino ed il
rombo allontanarsi nel vialetto.
Guardò il padre e quello ricambiò lo sguardo per confermare che era così come aveva
immaginato lei.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò alla cucina:
- Ci mangiamo una pasta, ti va?Orso annuì. Il pranzo della domenica, commentò sconsolato tra sé e sé. La ragazza mise l’acqua
sul fuoco, cercò la pasta nel pensile, ne dosò la quantità con cura, non perché fosse
importante, ma per far trascorrere il tempo senza dover parlare.
Sembra impossibile pensare che si possa creare una tale voragine famigliare per il distacco di
un membro sia pur esso litigioso, difficile o problematico. Era comunque una sconfitta.
Mangiarono in silenzio ispezionando con attenzione il contenuto del loro piatto. Il padre si
complimentò con la cuoca improvvisata, ma solo per educazione e amore filiale. La ragazza si
schermì con un gesto che voleva dire “Grazie, ma non ce n’era bisogno.”
Dopo aver rassettato la cucina, si dedicò alcuni minuti per rimettersi a posto il trucco ed i
capelli. Indossò la giacca salmone e con la borsetta in mano si accostò al padre da dietro. Gli
accarezzò i capelli ed avvicinò le sue labbra per un bacio silenzioso e carico di affetto.
Batté la mano sulla spalla dell’uomo che se ne stava ancora seduto con la testa tra le mani per
dirgli arrivederci, e se ne andò senza far rumore.
Orso rimase a lungo in quella postura, non si sa per quanto tempo. Quando riaprì gli occhi era
quasi buio fuori. Guardò l’orologio, le diciotto e trenta. La partita era già cominciata, ma non
se ne preoccupo'. Non gli interessava granché, adesso. E ritornò ai suoi, altri, pensieri.
I due eroi, si fa per dire, fermarono la macchina al ristoro sul valico della Dorsale
Nordorientale. Non ebbero difficoltà a trovare parcheggio. Scesi dall’auto si stirarono, o
meglio si strecciarono, in maniera goffa cercando di rimettere al loro posto fasce muscolari,
tendini e sottotendini. Poi fecero il loro ingresso trionfale nel locale. Si avvicinarono al
bancone, si guardarono negli occhi per concordare il menu. Si diedero un cenno di assenso
strizzando l’occhio giusto e Tizio si accodò per ordinare e pagare.
La loro loquacità si era leggermente appassita un po’ per la tensione, un po’ per la stanchezza.
Alzando gli occhi verso il grande orologio a muro scoprirono che erano quasi le dieci. Caspita!
sibilò Ricciolone che già stava pensando al giorno dopo, agli impegni interrotti da completare,
alla ragazza insoddisfatta (madonna, che figura), al vicino giovedì della riunione nella Capitale..
Mangiarono, o meglio si nutrirono, perché non c’era il tempo per gustare. Tizio aveva un paio di
cosette ancora da portare a termine e cominciò dalla prima.
Chiamò Gudj, su a Ee. L’aveva già preavvertita di un possibile viaggio di Hansel in Nostria per
conoscere padre e fratello. Lei gli aveva risposto che il periodo era buono perché il
campionato era finito e quindi Hansel non aveva impegni urgenti. L’avrebbe accompagnato lei.
Non perché ce ne fosse bisogno, chiaro. Solo per rivedere i posti, quel posto
galeotto....Nessun problema aveva aggiunto Tizio. Sarete miei ospiti.
Adesso, dopo che il passo normativo era prossimo a soluzione, doveva azzardarsi a chiedere la
disponibilità di Hansel (come avrebbe reagito il ragazzo? Boh..) e sperare che la madre avesse
il dovuto ascendente sul figlio nel caso...nel caso infausto che.. che non capisse. Non era
infatti semplice proporre ad un giocatore professionista di legarsi, per una sola partita, con
una squadretta semipro in fondo alla classifica..Perciò contava che la madre avrebbe saputo
toccare le corde giuste: il padre naturale, il fratello, quasi gemello, che si era reso disponibile
ad aiutare quella squadretta per amore della sua città.
Chiamò Gudj con una leggera apprensione nella voce che la donna non ebbe difficoltà a
percepire. Parlarono in esterese stretto che Ricciolone non comprese ( ma non era importante,
si disse alzando le spalle. ).
Dopo dieci minuti di conversazione, con l’orecchio in fiamme, finalmente Tizio abbassò il
cellulare, diede un ultimo sguardo al display, schiacciò il tasto rosso e lo ripose nella tasca
interna della giacca.
Rivolto al compagno di viaggio si avventurò in un racconto dettagliato del colloquio. Ricciolone
lo stoppo' subito e con la mano che si apriva e chiudeva a mo’ di stantuffo gli fece capire che
non gli interessava se non... se non la conclusione: yes or not? Yes rispose Tizio in perfetto
anglico. Tutto a posto. Poi ti racconto. In macchina. Sì, sì, va bene si rassegnò l’altro.
Orso alle dieci e trenta era ancora in una posizione similare a quella di quando l’abbiamo
lasciato dopo il primo risveglio. Il trillo del cellulare gli fece appena girare il capo per capire
da che parte si doveva muovere per andarlo a cercare. Dopo il decimo squillo lo reperì nella
tasca della giacca in anticamera. Svogliatamente si accinse a rispondere:
- Pronto?Dall’altro capo:
- Sursum corda. Habemus papam- in perfetto latino.
- Che stronzi a fare scherzi così idioti!- Ma che dice presidente.. sono Tizio. Grandi notizie. Siamo a cavallo. E’ fatta..- Fatta che?- Sta bene? Si sente bene? Volevo dirle che a Particola è andato tutto per il meglio. Ora è
solo una formalità. Potremo tesserare, al 99,9% , il fratello di Brodetto e allora, nello
spareggio, non ce ne sarà per nessuno! Ma non è contento? Caspita, mi sembra una notizia
eccellente...- Sì, sì. Grazie. Buonasera- e rimise il telefono in tasca pensando al suo pollaio che aveva perso
entrambi i galli..era rimasta solo la gallina.
CAPITOLO 21
VERBALE della riunione di primavera dell'anno 2013 della L.D.P.
O.D.G:
Introduzione di nuova normativa
Eventuali e varie.
Prende la parola il Presidente, dott. comm. Quagliozzi Gennaro:
"Stimati colleghi,
questo, è inutile sottolinearlo, è un giorno STORICO!
Quando siamo nati,TRE ANNI FA, per sostituire la vecchia Lega Nazionale Pallacanestro,
abbiamo deciso di chiamarci la
LEGA ( per la ) DIFESA ( della ) PALLACANESTRO.
Qualche invidiosello, qualche malignazzo, qualche pigliainculo, lasciatemelo dire, ha osato
cercare di farsi beffe di noi, ribattezzando indegnamente l'associazione come
LEGA ( per la ) DISTRUZIONE (della) PALLACANESTRO.( rumori, proteste )
Ebbene, noi guardiamo avanti! Nessun fetuso anarchico pidocchioso nemico del vero basket
potrà mai intaccare l'onorabilità di questa nostra associazione.( grida:"mai!")
Ma proseguiamo sulla strada intrapresa.
In passato ci hanno, immeritatamente, accusati di aver perpetuato i difetti della vecchia LNP,
e cioè di aver ereditato una normativa tutt'altro che certa ed inequivocabbbile.
E' spesso citato l'articolo riguardante i ripescaggi.
Orbene, noi oggi diciamo: MAI PIU' leggi ambigue!
A che serve prevedere tutte le varie eventualità, quando poi l'attuazione è sempre destinata
a sollevare obiezioni e lamenti?
Siamo stanchi di sentirci criticare. E c'è una via sola, per far smettere questo giro di
piagnistei.
LEGGI SEMPLICI, SEMPLICISSIME: ecco la soluzioni.
Via tutti i paragrafi. Un solo comma: il ripescaggio è effettuato a discrezione......
( interruzione da parte del vicepresidente, con alzar di sopracciglia :....Mi scusi, signor
presidente, ma la parola "discrezione" non è che..." )
Ha ragione il vicepresidente! Si corregga a verbale: il ripescaggio è effettuato secondo
CRITERI di volta in volta decisi dalla lega per la Difesa della Pallacanestro, tenendo conto
delle situazioni di merito e di altre circostanze. Stop.
Hai voglia, con questa nuova normativa, a criticarci! D'ora in avanti, basterà assumere la
decisione che ci piace - scusassero, che ci sembra più giusta -, e tutti dovranno conformarsi.
E' FINITO IL TEMPO DELLE INTERPRETAZIONI! Semplicemente, perché non c'è più nulla
da interpretare. C'è solo da decidere, e chi deve decidere siamo NOI!
( applausi, grida di " Bravo! Finiamola con scribacchini e cacasotto! ")
Allora: chi è d'accordo con la proposta di adottare un codice di leggi costituite solo da brevi,
concisi articoli? Su la mani! Bene, all'unanimità.
Per le varie ed eventuali, stimati colleghi, c'è una proposta che riguarda il tesseramento di
coloro che, purtroppo ( lacrime ), non hanno avuto la possibilità di avere una patria certa,
perché uno solo dei genitori era italiano.
Ora, cosa abbiamo fatto noi per ovviare a tali condizioni di disagio? Nulla.
Oggi ci si offre la possibilità di rimediare: con una decisione coraggiosa. Ma vi presento il
relatore di questa proposta: uno stimato professionista, un uomo che s'è fatto da solo, ma
sempre rispettando le gerarchie dovute: ecco a voi l'avvocato De Votis! ( applausi - De Votis si
alza e parla )
" Ebbene, cari amici, ed amici degli amici: vi ringrazio della calorosa accoglienza, per la quale
mi dichiaro commosso.
In questa bella, e vorrei dire familiare, assemblea, sono certo che troverà accoglienza una
proposta che definire umanitaria è poco: la nostra patria e la nostra associazione si sono
sempre distinte per lo spirito di uguaglianza e di accoglienza, ma ancora manca una
disposizione che rimedi ad una discriminazione di fatto, quella a danno dei figli di genitori con
due nazionalità diverse.
Ecco perché propongo che da subito entri in vigore una legge della Lega, che consenta alle
società di pallacanestro di tesserare IN QUALSIASI MOMENTO dell'anno un under 23
residente all'estero, purché abbia un genitore italiano, legale, naturale, od autocertificato
come tale.
Sono certo della vostra adesione a questa nobile proposta, e fin d'ora vi ringrazio, anche a
nome degli amici che contano. ( si mette a sedere ).
Presid.:" Allora metto ai voti la proposta: Chi è d'accordo? Tutti meno uno. Approvato a
maggioranza....come dice, scusi? Lei vuole spiegare perché non è d'accordo? Ma se abbiamo
appena votato...( il vicepresidente gli sussurra qualcosa all'orecchio )...amico di chi? della
corrente di? MA VA' ?? ( all'intervenuto ) Prego, si accomodi! Venga qua a parlare al posto
mio, che starà più comodo! " ( gli cede il posto ).
( De Votis : mi sa che si mette male......)
Dissenziente: " Ringrazio il Presidente per l'onore che ha fatto alla mia indegna, insignificante
persona, di cedere il suo posto. Onore che verrà opportunamente ricordato a tempo e luogo.
Colleghi, ma che dico, amici fraterni, la legge che avete tutti votato con spirito di alta carità
l'avrei votata anch'io, sia piricché ne condivido lo spirito, sia piricché è stata proposta da
quell'esempio di uomo accorto e benpensante che risponde al nome di De Votis.
Tuttavia.....( silenzio assoluto in sala )....
tuttavia, io sarò dispostissimo a votarla, se sarà aggiunto un comma piccolo, piccolissimo, ma
pemmia importantissimo."
( voce dalla sala: " Ma non si può rivotare una legge! ")
" Chi ha parlato, bene ha fatto...perché mi permette di ricordare che si è appena votata
un'altra legge, SOVRANA, che così recita, più o meno: tutte le disposizioni saranno
interpretate dalla nostra amatissima Lega. E perciò, se l'articolo sulle votazioni recita che
solo una ne può essere fatta, l'interpretazione corretta della spettabile qui presente
assemblea è che il voto può essere completato da un altro voto, se quest'ultimo si limita ad
una piccola aggiunta.
Dico bene, presidente? "
" Meglio non si potrebbe, Illustrissimo! "
" Ecco. Orbene che ci siamo intesi sulle modalità, ed abbiamo superata l'eccezione che un
qualche signor fetuso ha avuto l'ardire di porre, vado a proporvi l'aggiunta. SARETE VOI, poi,
a decidere se opportuna o no..
Così com'è, la legge si applica da subito, e, guarda caso, andrebbe a favore di una squadra di
un paesino, tale Portoland, che si accinge ad affrontare una finale di spareggio.
Orbene, la squadra avversaria - di cui casualmente il presidente mio cognato è - verrebbe
danneggiata ingiustamente, perché non ha sottomano un giovane, figghio di pottana straniera e
di puttaniere italiano, alto e bravo di giocare a basket.
Ecco allora la mia proposta: si voti la legge, a patto che entri in vigore col prossimo
campionato. Così salviamo le proposta caritatevole, e la giustizia sportiva. Dico bene, signori
dell'assemblea? ( coro: benissimo! )
Ecco. Allora, votiamo. "
Cos'era successo?: I lettori avranno notato che la proposta dell'immediata possibilità di
tesseramento era già stata approvata, quando l'intervento del " personaggio " aveva rimesso
tutto in discussione.
Costui era un " pezzo medio ", che alla riunione, venuto a conoscenza da pochi minuti ( per vie
che rimarranno misteriose ) delle intenzioni dell'avvocato De Votis ( l'amico di Tizio ), aveva
pensato bene di rovesciare il risultato, in forza del potere che gli si attribuiva, e che
soprattutto si attribuiva ai suoi protettori.
Il presidente e l'avvocato De Votis erano stati colti di sorpresa, e si erano convinti che
all'ultimo momento fosse saltato il patto stretto in precedenza. Ecco perché non avevano
reagito.
Ma non era così: il personaggio aveva agito di propria iniziativa, senza consultare i superiori.
Si sa che, in certe associazioni, un tale gesto viene considerato uno sgarro, ed in questo caso a
maggior ragione, in quanto andava contro gli interessi di chi conta.
La mattina di due giorni dopo, qualcuno suonò alla porta del presidente. Egli, andato ad aprire,
non vide nessuno, ma si accorse che per terra c'era un giornale con un biglietto.
Il giornale era aperto alla pagina in cui compariva la fotografia del personaggio, ucciso con due
colpi di pistola..
Il biglietto riportava la semplice scritta: " RIVOTARE ".
E così fu.
Più d'un lettore starà provando un senso di ripulsa, all'idea che, per aiutare la squadra di
Portoland, si fosse ricorso a certi metodi, a certi patti.
Sarà opportuno, allora, dipingere quella che era la situazione dello Stato a cui apparteneva
Portoland.
Nel 2011 lo Stato era ormai ad un livello di debito pubblico del 150% rispetto al PIL.
All'ultima offerta di Buoni del tesoro non aveva partecipato nessuno, e, di conseguenza, i
risparmiatori in possesso dei Titoli di stato, temendo di non essere rimborsati alla scadenza,
avevano cercato di vendere in massa.
Naturalmente, nessuno voleva quei Buoni, e così, tra svalutazione di quelli già emessi, e
mancata vendita via via che quelli nuovi avrebbero dovuto sostituire quelli da rimborsare, lo
Stato si trovò a non poter più contare su una massa di soldi considerevole, ed a non poter
pagare più nulla: debiti, stipendi, pensioni e quant'altro.
Questo significò il fallimento!
Dovette essere venduto tutto il patrimonio fondiario ed immobiliare, a prezzi stracciati ( sia
perché gli acquirenti approfittarono della situazione di crisi, sia perché le aste andarono quasi
deserte ). A quel punto, furono soddisfatti ( in parte ) i principali creditori, e si poté
ricominciare a pagare polizia, personale sanitario, personale scolastico, impiegati, pensionati
etc.
Tuttavia, questo poté avvenire solo con enormi tagli delle retribuzioni, tanto che oltre metà
del Paese scivolò oltre la soglia della povertà.
L'insolvenza dello Stato aveva già fatto fallire molte industrie, che si erano aggiunte a quelle
eliminate in quanto delocalizzate nelle Columbie od in Grandoriente.
Tutti i Corpi con funzione di polizia rimasero appiedati, non potendo né comprare la benzina,
né fare la manutenzione dei mezzi.
Di conseguenza, la malavita - organizzata e no - poté avere carta bianca.
I più ricchi cominciarono a pagare società di difesa personale, mentre i più poveri poterono
solo acquistare delle armi per difesa personale.
Aumentarono i conflitti a fuoco e l'insicurezza.
Poiché nel frattempo era stata approvata una legge che prevedeva di fare processi brevi, ma
non prevedeva né come né con quali mezzi, tutti coloro che subivano torti smisero di vincere
qualsiasi tipo di causa, che invece conveniva ai malfattori, consapevoli che le cause erano
destinate ad andare in prescrizione.
Continuò quello che già era iniziato alcuni anni prima: le strade, le ferrovie, il metrò, tutti i
mezzi di comunicazione reali e virtuali, le linee di energia, le centrali, svenduti a monopolisti
senza scrupoli ammanicati coi politici, smisero di ricevere manutenzione, e videro aumentare in
modo esponenziale gli incidenti, che comunque costavano ai proprietari meno della
manutenzione stessa - grazie anche al funzionamento della giustizia già descritto -.
Scuole ed ospedali continuarono a fornire i servizi in maniera ridotta, e per gli utenti fu
giocoforza contribuire alle spese di funzionamento e del personale con ticket assai onerosi.
Non si poté cambiare la classe politica, perché essa si era da tempo blindata abolendo le
preferenze, e lasciando scegliere i candidati ai direttivi dei partiti.
Gli unici prodotti a basso prezzo erano quelli che attenevano all'elettronica.
Le vetture scelte furono sempre più quelle, a prezzi e qualità stracciati, provenienti
dall'oriente.
Ricominciò l'economia del baratto: un contadino pagava con ortaggi l'idraulico, che pagava le
lezioni per il figlio, o le cure odontoiatricha, con lavoro gratis, e così via.
Chi aveva un pezzo di terreno lo coltivò a verdure - e questa fu certamente una delle poche
cose positive dell'epoca.
L'acqua, privatizzata, diventò imbevibile, in quanto le società di gestione la usavano per
riempire le bottiglie di acqua minerale a monte, e la riempivano di cloro a valle, con la scusa di
renderla potabile.
In questo clima economico, chi cercava di avere un'iniziativa imprenditoriale si esponeva ad
enormi rischi, e si premuniva ricorrendo alla protezione di un " padrino ".
Ecco perché Tizio, con una certa disinvoltura, accettò di venire a patti con un'organizzazione
non proprio pulita, per ottenere lo scopo di salvare la squadra di Portoland ( e certamente non
poteva sapere che ci sarebbe scappato un morto ). Sapeva che, altrimenti, non si poteva
ottenere nemmeno il rispetto dei propri diritti.
Ed a proposito di diritti, sarà bene ricordare un fatto assai spiacevole.
Alla quart'ultima giornata di ritorno, Portoland aveva incontrato la squadra di Midialand, sulla
quale aveva due punti di vantaggio, più la vittoria di stretta misura ( una lunghezza )
all'andata.
Vincere avrebbe significato volare a + quattro, con gli scontri diretti a favore, e quindi
praticamente sicurezza di arrivare davanti, e di giocarsi la semifinale playout.
Successe che venne mandato ad arbitrare ( fu un caso? ) un personaggio assai chiacchierato,
finito nel mirino di due inchieste per corruzione, e sempre prosciolto dall'accusa, non si sa
bene come.
Costui, chiaramente corrotto, fischiò indegnamente a favore di Midialand per tutto l'ultimo
quarto, facendola vincere di cinque punti, e quindi raggiungere Portoland, con il vantaggio della
differenza canestri, che poi risultò fondamentale per disputare la semifinale playout.
In quella partita fu anche acciaccato, con un intervento assassino, il lungo titolare di
Portoland, che dovette stare fuori fino alla fine della stagione ( come già sappiamo ),
L'arbitro, lì vicino, finse di non vedere.
La squadra di Midialand perse poi la semifinale, e si ritrovò quindi come avversario della finale
secca Portoland.
Nonostante questi precedenti, che Tizio ben conosceva ( era sempre informato su tutto ), noi
non siamo affatto d'accordo con il modo di agire di Tizio.
Non stiamo certo affermando che fece bene. Stiamo solo notando che, se non avesse seguito
quella strada, sarebbe andato incontro a delusioni praticamente sicure, e che la voglia di
rivincita sulla squadra di Midialand era grande.
Insomma, pur non condividendole, abbiamo cercato di capire le motivazioni di Tizio.
CAPITOLO 22
Nella saletta d’attesa dell’areoporto di Groeninger, gate 11, madre e figlio stavano
comodamente seduti su due poltroncine adiacenti. Mancava circa un’ora al momento
dell’imbarco, secondo quanto previsto dal tabellone luminoso che si aggiornava continuamente
con gli atterraggi e i decolli, che si susseguivano con frequenza abbastanza elevata.
I due rimanevano in silenzio. Il loro sguardo, tuttavia, era lucido e attento a quanto avveniva in
quel locale, dimostrando una malcelata impazienza che nessuno voleva apertamente dichiarare.
La decisione di prendere quel volo per quella destinazione non era stata certamente sofferta.
Chi per un motivo, chi per l’altro aveva comunque interesse o curiosità , come quando si
affronta una sorta di avventura, dove non c’è ansia, ma solo pericolo di un piccolo brivido.
Ovviamente i pensieri che affollavano la loro mente erano di natura diversa: decisamente più
complessi quelli di Hansel, più stemperati dal tempo quelli di Gudj.
Il padre, il fratello, il basket..tre nuclei emotivi di portata non indifferente, una nuova tappa
nella sua vita affettiva che, a dire il vero, non era stata avara con lui. Madre affettuosa,
patrigno premuroso e protettivo, sorella generosa. Vita famigliare serena priva di difficoltà
( o almeno così era apparsa a lui), ambiente scolastico di qualità, attività sportive multiple
culminate nel basket professionistico, ma con l’ambizione di esercitare una professione
“civile”, per la quale aveva studiato, una volta chiusa l’attività.
Certamente la curiosità filiale di avere notizie del padre naturale, quando la madre l’aveva
messo a parte di quella realtà, gli era maturata progressivamente e qualche anno prima aveva
cercato di forzare la mano alla madre per ottenere elementi concreti di identificazione.
La donna, celandosi dietro non so, non ricordo, forse, può darsi, non aveva di sicuro fornito
motivi per accendere le sue speranze , per cui il tarlo aveva preso a rodere meno e a rendere
più sopportabile questa frustrazione.
La notizia di qualche giorno prima della possibilità di un incontro a brevissimo con la sua altra
famiglia aveva riattizzato il suo desiderio, rendendolo quindi disponibile, di buon grado, a
recarsi a Portoland. Meno entusiasmo aveva esercitato su di lui il progetto sportivo, che aveva
definito immediatamente come una cosa poco seria (o poco chiara). Riflettendo tuttavia che
ciò faceva parte del pacchetto “nuovi affetti in Nostria”, non aveva fatto troppo il difficile,
ritenendolo un piccolo pegno da pagare...
Gudj aveva voluto partecipare a questo evento, come annunciato a Tizio nel corso di quella
telefonata, per un desiderio di rivedere quei luoghi e quella persona che aveva segnato la sua
vita. Ne era rimasta innamorata, o almeno così lei pensava, per diverso tempo, anche dopo la
comunione con l’attuale marito che le aveva dato tutto quello che una moglie poteva aspettarsi
in termini di protezione e affetto. L’amore era però altra cosa, e a lei pareva di non averlo più
provato da allora. Quindi un leggero aggrovigliamento interiore l’aveva presa e di conseguenza
l’impellenza di un suo rapido, e sperava indolore, dipanamento.
La voce impersonale dell’altoparlante annunciò finalmente l’inizio delle operazioni di imbarco in
orario quasi perfetto. Madre e figlio raccolsero gli effetti personali verificando di non aver
dimenticato nulla e, documenti in mano, si avvicinarono al gate 11 (il suo numero di maglia,
pensò) per immettersi nel tunnel appendice dell'aeromobile della Nostriafly , la compagnia di
bandiera, diretto a Mal y Pense, in Nostria.
La notizia dell’arrivo imminente del salvatore della patria cestistica di Portoland, da non
confondere con Ricciolone, altro salvatore, con Tizio, ma di statura (morale) differente, si era
sparsa come una bolla di mercurio in tutta la città ed anche nella Regione Alpina.
Vi chiederete il perché dell’uso del mercurio al posto di un liquido tradizionale. La risposta è
semplice: perché si tratta di un metallo liquido che non si cattura o si frena e si espande con
molta più prepotenza dell’olio, per esempio, o di altro fluido convenzionale.
Molti dei tifosi camminavano, oltre che con testa alta e sorriso stampato, ad alcuni centimetri
da terra per l’emozione che si accomunava con la certezza di un esito virtuoso, oltre che
vittorioso, della imminente disfida con la squadra metropolitana di Midialand.
Altri, in verità pochissimi, nutrivano dubbi sulla correttezza procedurale della nuova
normativa, che conferiva alla squadra di casa la possibilità di ingaggiare un gigante
professionista, casualmente libero contrattualmente, solo per il fatto di avere un padre
nostriano dichiarato, per ora, solo dalla madre . L’imputato, infatti, pareva che nicchiasse
ancora, nonostante le evidenze macroscopiche di natura somatica con il fratellastro e la data
di nascita che faceva risalire il concepimento nella settimana di permanenza a Portoland della
ragazza esterese.
L. venne dimesso dall’ospedale di Toxoland il martedì, dopo una degenza ben più lunga delle
ventiquattr’ore inizialmente previste a causa delle ricadute prodotte dalle visite improvvise e
reiterate di Tizio e O’professore.
L’uomo avrebbe voluto restare ricoverato soprattutto a seguito della notizia bomba che aveva
percorso a velocità incredibile la città, penetrando in tutti gli anfratti delle cose e delle
persone.
Notizia bomba: definizione generica e impersonale, interpretabile variamente a seconda del
tipo di novità considerata. Per molti, i gran più, quella sportiva. Per uno entrambe ( sportiva e
famigliare), per due, con diversi gradi di penalizzazione, la seconda (L. e consorte).
Il caldo ed affettuoso grembo del letto del reparto di medicina generale era oramai off limits
per il malato iperteso che le cure intensive avevano, temporaneamente, trasformato in
normalteso. La quiete delle mura domestiche doveva essere adesso il contenitore adeguato
per la convalescenza.
Mai parole furono più mendaci!
Quando fece il suo ritorno a casa, borsa ginnica con effetti personali in mano…….
- Già qui? Finita la pace, devo concludere..- fraseggiò la moglie dalla cucina, senza girare la
testa dall’asse da stiro sulla quale sbuffava il ferro a vapore. Non una parola sul suo stato di
salute, nessun accenno, per ora, ad altro.
L. tirò un respiro di sollievo pensando:- Meno male, non è peggio di prima. Forse non sa ancora
niente...Poveretto. La quiete precedeva, come da copione, la tempesta che principiò con un tuono
lontano, ma perfettamente percepibile:
- Pensi di dormire qui, stanotte?- E dove dovrei andare, cara (falso)? In fondo pago l’affitto, mi pare..- Intanto ti rifaccio presente che se siamo in affitto è solo colpa tua che non hai avuto il
coraggio, allora.. allora, di fare un piccolo mutuo per comprarla, una casa, quando c’era stata
l’occasione..il mio bel coraggioso, chiacchierone, e basta..- Che c’entra questo discorso, adesso- tentò di protestare l’ometto, lasciando cadere di colpo
la borsa a terra.
- Questo discorso c’entra sempre, per farti ricordare chi sei, chi eri e chi sarai, se non muori
subito..-(Maledetta megera) bell’augurio, ti fa proprio onore. Ah, come sono contento di sapere che
mia moglie è di cuore così generoso...così caritatevole.. affettuosa..- Se sono così è solo colpa tua che mi hai reso la vita insopportabile con le tue frustrazioni,
depressioni, dabbenaggini e ora..e ora scopro che ti vanti anche di essere stato un
dongiovanni, da giovane..-Che? Io mi vanterei adesso di essere stato che?- Un donnaiolo, lurido verme!- urlò
-Ma che ti viene in mente? Cos’è questa cretinata.. scemata..stronzata che vai dicendo? Io
sarei stato uno sciupafemmine?- No, sarebbe troppo per te. Una femmina, una puttanella in calore di quelle che venivano qui
per farsi scopare dai maiali come te, a far perdere la testa agli scimuniti come te.. e restare
anche incinte, ‘ste poverette.Negare sempre, anche l’evidenza (che non c’era infatti):
- Quello che dici è completamente falso, io non mi sono mai permesso di tradirti (col pensiero,
però..). Sono stato uno stupido a rimanerti fedele, dovevo farlo, non te la meritavi, la fedeltà.
Dovevo farlo più di una volta... (cazzo, mi è scappata...spero..)- Ah, ecco che ti sei fregato con le tue mani.. Era tanto grande la smania di sbattermela in
faccia questa tua bravata che, naturalmente, non hai pensato alle conseguenze. Riprendi la tua
borsetta con le tue cosette e fila fuori da questa porta, verme coitatore precoce..(?)-
- Eh no! Eh no! Brutta vecchiaccia, queste cose non me le devi dire, guardati tu, frigidosa orsa
polare...- E’ solo colpa tua se son così. Che non sei mai stato capace di farmi godere, con quel mollusco
che hai in mezzo alle gambe... Basta! Non voglio più parlarne. Fuori di qui. E subitoSi era girata ora verso di lui e lo sfidava con lo sguardo irrigidito dalla tensione, deciso,
prepotente.
Gli parve di svenire un’altra volta. Pensò: forse ritorno all’ospedale. Ma non svenne. Così la
donna ne approfittò per l’affondo finale:
- Neanche quello sei capace di fare. Solo di fingere. Vai a fingere da un’altra parte, vai da
quella là a farti consolare. Vediamo se ti prende..- e scoppiò in una risata satanica: un misto di
acidulo e di velenoso che gli corrose l’animo già profondamente provato dalle recenti vicende.
Provò un senso di vuoto incredibile. Di abbandono. Non pensò più al figlio ritrovato, ma che non
sapeva di avere, a Brodetto, a Gudj (ma che diritto aveva infatti di pensare a lei?). Pensava
solo a se stesso e alla sua imminente fine. Perché così doveva essere. Vissuto infelice,
vivendo.. altrettanto.
Raccolse penosamente la sua sacca e si mosse con lentezza esagerata, sperando in una voce di
richiamo. Che non venne. Non gli aveva chiesto nulla del figlio. E già, ma lui che cosa avrebbe
potuto, casomai, risponderle, visto che non ne sapeva praticamente nulla. Gli altri erano di
sicuro più informati di lui.
Così aprì la porta e cominciò a scendere le scale.
Brodetto e Gina stavano pigramente seduti sul plateatico del bar Maggiore a godere del
tepore del sole a mezzogiorno. Si fronteggiavano, i due, uno a favore e l’altro opposto al raggio
luminoso. Non parlavano. Si guardavano. Si cercavano. Si capivano. Senza dire nulla,
ovviamente.
L’uscita di casa del giovanotto per meriti sportivi lo aveva decisamente trasformato,
rendendolo consapevole del suo fisico e padrone delle sue reazioni. Gina ne era rimasta
colpita, eccome. Ricordate, no,l’allenamento? il bacio profondo, repentino e inatteso, goduto..
Da allora il loro sodalizio, interrotto tempo prima per inadempienze reciproche, si era
rinsaldato e, complice la palla a spicchi, era maturato in un frutto succoso e decisamente
gradevole.
I due si contrastavano in una schermaglia che pareva soddisfarli. Lui, in controluce, faticava
un po’ a sostenere i bagliori emotivi dei suoi occhi temporaneamente velati della massa bionda
che si faceva scendere sul viso come un pudico sipario per spazzarla subito via con un rapido
movimento del capo. Lui, non potendo rispondere in egual maniera per la luce accecante del
sole, faceva parlare il suo corpo abbassando con attenta lentezza il ginocchio della gamba
accavallata e aprire così il compasso in modo da esaltare altre forme.
Lei giocava con le punte dei capelli che, sciolti, le sfioravano il seno trattenuto da un fasciante
tessuto tecnico che ne esaltava il rilievo. Con gli occhi guardava verso il basso, verso le dita
che blandivano il bordo della coppa.
Lui la osservava attento a cogliere il suo linguaggio e a rispondere a tono. Il suo petto ogni
tanto pareva scosso da un brevissimo tremito, che risaliva velocemente verso il volto per
essere completamente assorbito dagli occhi con leggerissimo contraccolpo delle sopracciglia.
Dopo circa una mezz’ora di questo dialogo serrato decisero che era giunto il momento di
tacere. Così si alzarono e si incamminarono verso via degli Alunni, in direzione
dell’appartamento che Brodetto divideva con Lupo. Che non c’era. O almeno così doveva essere.
Hansel? Ah già, sarebbe arrivato la sera. La cosa, adesso, non lo toccava più di tanto. Forse
più tardi..
Tizio, il deus ex machina della situazione era oramai votato, anima e corpo, alla causa
portolandiana. Aveva accuratamente predisposto la scaletta delle operazioni, procedure
comprese. Dunque oggi è venerdì, si ricordò la mattina appena bevuto il caffè (prima sarebbe
stato impossibile) , devo subito contattare il presidente ( speriamo che si sia un po’ ripreso, il
poveretto) per preparare tutta la documentazione da presentare in Lega (LDP) ancora il
giorno stesso per fare in modo che l’indomani, sabato, ci fosse il nullaosta al tesseramento di
Hansel. A mezzogiorno doveva mettersi in macchina per spostarsi all’areoporto di Mal y Pense
(che razza di nome!) distante quasi trecento chilometri per andare a ricevere i suoi ospiti, e
che ospiti!, rientrare, cena, sistemazione in casa sua. Si era prodigato inoltre per organizzare
l’incontro con gli affetti (si fa per dire) e con l’ufficialità (presidente). Unico inconveniente :
la lingua. Avrebbe dovuto sobbarcarsi anche il ruolo di interprete. Ma quello era il meno, si
disse.
-Presidente, buon giorno- salutò appena introdotto nel suo ufficio
- Sempre allegro,lei eh-Bisogna- concluse e riprese – sono venuto a ricordarle, se del caso ce ne fosse bisogno
(espressione dialettale accettata), che entro mezzogiorno bisogna spedire tutto
l’incartamento. Passa il corriere a ritirarlo alle undici e trenta. E’ pronto, no? Io le ho fatto
avere tutto quanto era necessario dall’Esteria. Mancava niente? Conferma che è tutto ok?- Sì, sì, tutto a posto. E stia un po’ calmo, caspita. Ma lei è sempre così...così..assillante? Io,
sono sincero, mi innervosisco se uno continua a pressarmi con le domande. Io- ci tenne a
puntualizzare- sono una persona a posto, corretta, che sa quello che deve fare e perciò si
prende per tempo. E non ho bisogno che ci sia sempre uno che viene qui a ricordarmi di fare
questo e quello. Che mi rompe anche le scatole, caspita!- si innervosì alzando anche la voce.
(Poveretto, dopo la batosta di domenica, deve ancora riprendersi, pensò Tizio che aveva
saputo del dramma domestico, senza però avere la piena conoscenza di antefatti e misfatti
vari).
-Bene, bene – tagliò allora corto Tizio – la saluto, perché devo partire fra poco per l’areoporto
ad accogliere il salvatore della patria e relativa madre- Vada, vada, non perda tempo in chiacchiere – lo schernì con leggerissima soddisfazione
l’uomo anziano- che la strada è lunga..e c’è sempre traffico in quelle ore..- Ok, la saluto allora. Vado- mise mano alla maniglia della porta ed era già mezzo fuori quando
si bloccò e retrocedette per:
- Caspita, quasi dimenticavo.. Stasera..- Stasera che?- Stasera avrei organizzato l’incontro con i nostri ospiti. Vediamo..- e si interruppe come per
raccogliere le idee- vediamo...mi pare che ho fissato per lei e sign...(si tacque di colpo
mettendosi la mano alla bocca) per lei (si corresse) avrei pensato alle dieci...minuto più minuto
meno. Le può andar bene?- Ma chi si crede di essere, lei a.. a..dirmi quello che devo fare..No, alle dieci non posso. E’
troppo tardi- Presidente, non vorrà mica che la metta prima della famiglia...suvvia, sia ragionevole..Potrei
venirle incontro ed anticipare di un’oretta? meglio? se riesco a fare in modo che il rendezvous con padre e fratellastro si faccia per cena. Uhm, sì forse è meglio. Beh, le farò sapere
più tardi, devo fare qualche telefonata, ma è quasi sicuro. Sì, sì. Diamolo per certo. Allora è
tutto a posto. Stasera alle nove.Il presidente lo guardava con aria inebetita (o rassegnata?) ed ebbe la forza d’animo di
fermarlo per chiedergli:
- Dove?-Ma da me, e dove se no?- e come un turbine di polvere e foglie secche sparì dalla sua vista.
L’uomo anziano e psicologicamente provato si avvicinò alla finestra e, mani in tasca, rivolto al
vetro gli disse, convinto:
- Dopodomani sarà tutto finitoIl vetro non rispose. Per compassione?
Il landing dell’aeromobile avvenne con il consueto cronico ritardo che distingueva le
aviosuperfici nostriane dopo il crack economico, politico ed etico (la questione morale? Non se
la ricorda più nessuno adesso. Sembra passato un secolo, non pochi anni).
I due migranti per affetto, sfiniti per la lunga permanenza in volo e l’assenza di conveniente
ristoro a causa delle ristrettezze economiche nelle quali si dibatteva la compagnia di
bandiera, furono oltremodo felici di incontrare il loro salvatore. Erano quasi le sedici e
l’attesa per il recupero dei bagagli non prometteva niente di buono. Ma il nostro anfitrione si
fece carico di rallegrare i due con racconti, aneddoti, aforismi e anche qualche barzelletta
(che non riscosse molto successo per le forzature della traduzione). Tant’è che alla fine, e con
loro sorpresa senza la lunga peregrinazione attesa, recuperarono il bagaglio e abbordarono
l’ammiraglia di Tizio.
La luce del giorno era ancora buona, per cui gli ospiti ebbero l’opportunità di ammirare
l’autostrada intasata e gradire i rallentamenti continui per i cantieri eterni. Così, quando era il
momento per vedere, finalmente, qualcosa di meritevole, era,oramai ed inesorabilmente, buio.
Durante il tragitto, dapprima il dialogo fu abbastanza ben distribuito, poi si trasformò in un
monologo ed infine nel silenzio. Ma erano quasi arrivati. Le venti e trenta. Che tardi.. concluse
Tizio ancora carico per affrontare il resto della serata. Gli affiorò qualche dubbio, che
provvide a spazzare via immediatamente.
Le luci della sua magione erano accese a festa. La donna delle pulizie, quella a part time tre
volte la settimana, era stata pregata di prestare, eccezionalmente, la sua opera anche in
quella sera topica. Tizio le aveva spiegato ciò che si aspettava da lei. – Non preoccuparti- gli
rispose – ghe penso mi, sta tranquilo. Me racomando, va pian. No sta corer, come te fai
semper- con l’atteggiamento materno di tutte le zie (si fa per dire).
Il giardino illuminato, molto ordinato, tavolo sedie chaise longue al loro posto in bella armonia
strutturale, la casa apparecchiata a festa con uno swing suadente che scivolava fuori dalla
porta aperta per guadagnare immediatamente il cielo non ancora nero nero, l’accoglienza
premurosa della donna che aveva assunto il ruolo della governante, tutto ciò fece una grande
impressione sui due nordici che restarono almeno per un minuto fermi a guardarsi intorno e a
respirare il profumo di quella terra.
Riavutisi, seguirono docilmente il loro ospite, che li fece accomodare al piano di sopra, dove
aveva fatto apprestare due camere. Per quella di Hansel aveva avuto parecchi problemi per il
letto che si era fatto prestare dal lungo falciato in maniera innaturale, ed ora in cura altrove,
e quindi disponibile.
Si rimisero in sesto nel giro di un quarto d’ora. Le otto e quarantacinque e non si vedeva
ancora nessuno. Tizio si batté la mano sulla fronte:- Ca... il presidente! Lo devo avvertire di
venire più tardi. Le dieci? No..no.. meglio le undici. ‘Gelicaaa (la domestica)! – chiamò – fammi
un favore telefona a questo numero...... e di’ al presidente che purtroppo... trova tu una scusa,
che le donne sono sempre brave a trovarle, va là, e digli che venga alle undici. Ma fallo subito
perché se no, quello là, che è sempre puntuale, mi capita qui fra poco. E adesso non è il
momento.-Pronto? Brodetto? Ma dove ca.. caspita sei? Qui sono arrivati e dovevi farti trovare almeno
un’ora fa.- al di là del filo una voce brontolò qualcosa. – Oh, ragazzo! Alza le chiappe e muoviti.
Mi raccomando. Cinque minuti!- Pronto? L.? Ma devo rincorrevi tutti, stasera? Si può sapere perché non sei ancora
qui?.....Non vuoi venire? Ti tremano le chiappe?....Ah, la pressione? Ehi, non mi sarò mica fatto
il culo per niente, no? Basta cretinate. Ohu, c’è qui tuo figlio, non so se mi spiego, e anche sua
madre... Non vuoi vedere nessuno? Stai male? Sai cosa ti dico? Vai a farti fottere...dovevo
lasciarti nella merda dov’eri finito...vergognati!... Ah ...adesso avresti cambiato idea? Come
mai? Coscienza sporca?.... Cinque minuti, anche per te. E non venire qui come un cadavere. Vedi
di essere presentabile! – e sbatté la cornetta del fisso sulla base facendola rimbalzare e
cadere per terra. Tu tu tu tu tu. Ma lui non se ne curò e volò in cucina a sovrintendere.
Il rumore di una macchina che scivolava nel cortile lo distolse dalla sua attività; si avvicinò
alla finestra scostando la tenda per vedere.
- Ca..il presidente! ‘Gelicaaaa! – gridò- Sa ghè! No ghe miga bison de zigar, no so miga sorda, madoia!- Ma non hai telefonato...?- Sì, mi ò ciamà. Ma no à rispondest gnissum. Gh’era na vos che diseva na sciapotada come che
el telefono l’era smorzà o na roba cussì..- Bon, la frittata è fatta, oramai. Cerchiamo almen de non deverla butar nel cesso- sentenziò
Tizio che, asciugatosi le mani nello strofinaccio, uscì incontro al nuovo arrivato.
- Presidente, mi dispiace...- Di cosa? Forse che non è arrivato nessuno? E’ andato tutto a monte? Non mi faccia fare
l’infarto..sono già malandato abbastanza. Anche senza di quello.- ansiò (non ansimò, ansiò)
l’uomo.
- Tranquillo, tutto al meglio. Solo che c’è stato un piccolo ritardo dell’aereo, molto ritardo
sull’autostrada, padre e fratello non si sono ancora fatti vivi, ‘sti disgraziati, la cena ancora da
incominciare...ma a tutto c’è rimedio. Un posto a tavola in più c’è sempre. Donc..Nessun
problema. Venga pure con me..- Ma io..in verità..avrei già mangiato..sarei già a a posto e vorrei, se possibile, coricarmi
presto..- Non se ne parla nemmeno! Questa è e dovrà essere una serata storica. Indimenticabile..- Eh sì, credo proprio che non me la dimenticherò..soprattutto la notte, in piedi e misurare la
stanza per il mal di stomaco..-disse un po’ ad alta voce, un po’ sottovoce (molto sottovoce per
vergogna).
Tizio fece finta di non aver sentito, cogliendo lo spunto per un nuovo raid in cucina.
In quel momento il presidente stava in piedi vicino alla porta finestra che dava sul giardino.
Mani in tasca della giacca grigia del completo di fresco lana, guardava verso l’esterno senza
veder nulla, peraltro, data l’ora. In realtà, come gli succedeva spesso in quei giorni, pensava.
Pensieri generici, non impegnativi. Se qualcuno gliene avesse chiesto conto avrebbe risposto
con un banale : non so, a niente, probabilmente. Sentì un passo cadenzato scendere le scale a
cui dava la schiena. Istintivamente avrebbe voluto voltarsi, ma si impegnò a rimanere nella sua
riservatezza dando modo, così, al proprietario del passo, di acquisire una positiva
considerazione sul suo conto. Manie stupide, all’antica. Retaggio di un’educazione sorpassata.
Non seppe quale fosse stata la ragione, ma fu costretto a voltarsi da una forza magnetica.
Forse un sesto senso. Fatto sta che..
Rimase a bocca semi aperta, occhi spalancati dietro le lenti, mani sempre affondate nelle
tasche, piedi leggermente divaricati per maggiore stabilità strutturale. Lo sentiva, perché un
percettibile morso al fegato gliel’aveva annunciato. Una donna, la propietaria di quel passo
inquietante, l’aveva strappato al suo nulla e ora gli magnetizzava la volontà.
Così, ebete di fronte a Gudj, volto disteso da cinquantenne esterese, bene in carne
(rotondetta, più esattamente) bassina (alta come lui, si disse l’uomo), non seppe nemmeno
spiaccicare una parola di saluto (l’ostacolo intrinseco della lingua non scusava tutto). Ma
nemmeno in nostriano, per giunta. Muto, anzi afono. Muoveva soltanto le labbra, proprio come
un pesce. Ma lesso.
Lei gli rivolse un sorriso, di cortesia, che non si sa bene perché lui interpretò in modo
differente, arrossendo. Dire che fosse rimasto colpito dalla sua apparizione è certamente
riduttivo. Dire che ne fosse rimasto rapito è forse leggermente esagerato. Sta di fatto che
era convinto che si fosse trattato di un colpo di fulmine. Un coup de foudre, come si dice in
Transalpia.
Superato lo smarrimento amoroso dello sguardo fatale, provò a muoversi verso di lei per
offrirle la sua devozione. Appena si mosse si dovette immediatamente bloccare per l’entrata
in scena di Tizio:
- Ah bene, vi siete conosciuti? Presentati?- In verità, no. Non ne ho ancora avuto il tempo. Per favore mi presenti lei perché non so
l’esterese. Sa non ho frequentato a suo tempo la scuola giusta.. – facendo lo...
-(spiritoso l’ometto) Nessun problema. Gudj questo è il dott. Poeti, il presidente. Poeti, questa
è Gudj, la mamma di Hansel-enchanté madame. Vous etes merveilleuse…- fu l’incipit
La donna guardò verso Tizio interrogativamente.
- Una frase di cortesia, niente più- la rassicurò
-Eh no- intervenne Poeti- non è di cortesia, ma di ammirazione. Glielo dica, glielo dica, per
favore..- E va bene- e rivolto alla donna disse in esterese:- un complimento Gudj. Hai fatto colpo
sull’ometto. Ma che ci fai tu ai maschi nostriani?- Sempre voglia di scherzare, tu...- ma non ne rimase indifferente e rivolse uno sguardo di
ringraziamento al presidente.
Passi ben più pesanti gravarono sui gradini della scala e con quattro balzi atterrò il gigante
biondo che rispondeva al nome di Hansel. Il presidente comprese immediatamente di chi si
trattava e con la mano aperta rivolta verso Tizio lo stoppo' facendogli capire che gli era tutto
chiaro.
Per completare la bella figura ed impressionare ulteriormente la madre si rivolse al gigante:
- Good evening sir. I am the Portoland team president. How are you? Nice?- senza aspettare
la risposta. Nice toccava dirlo al ragazzo, caspita. Ma nelle lezioni di anglico su cassetta non
era previsto che ci fosse uno che rispondeva.
- Thank you, president. I ‘m very happy to meet the Portoland team and I hope to be usefull
to gain the next match..Il presidente non si aspettava una risposta così articolata e, non avendo compreso appieno il
significato, si limitò a farfugliare: Yes, yes e a sorridere solo con la bocca, senza convinzione.
Tizio tolse tutti dall’imbarazzo invitando gli ospiti ad accomodarsi in sala da pranzo dove
campeggiava una tavola perfettamente imbandita. Invitò i commensali a prendere posto
appena prima che facesse capolino la cuoca:
- Alora, mi sarìa anca pronta. Go el risot ch’el va en cola se speté ancora en poc. L’è en pecà
magnar mal, sol perché do moni no i è rivai- Hai ragione ‘Gelica. Servi pure. Quando arriveranno (sperente ch’ei ariva, però) faremo i
conti..L. aveva dovuto passare a prendere Brodetto perché lui aveva solo la bici elettrica, scarica, ed
era in clamoroso ritardo a causa di.. de.. dell’allenamento, si convinse. Siccome
l’appartamentino del figlio non era raggiungibile con l’auto perché in zona pedonale, si fermò in
piazza davanti all’Albergo Grande. Spense il motore, guardò l’orologio (le nove e dieci, caspita)
e tamburellando nervosamente le dita della mano sinistra sul volante cercò l’ispirazione oltre il
parabrezza. La zona era oramai buia e guardando a sud, conformemente all’orientazione della
vettura, aveva davanti a sé il mastio del Castello e, oltre a quello, l’acqua.
Di Gudj si era dimenticato da tempo. Non si ricordava nemmeno la sua fisonomia. Aveva solo
dei vaghi singulti che gli facevano affiorare qualche particolare troppo sfilacciato per
costituire una valida traccia per la ricostruzione dell’immagine. Non sentiva neanche il morso
del richiamo atavico, che si sviluppa in prossimità della bocca dello stomaco, per la paternità
che gli era indifferente. O così a lui pareva. E aspettava, senza fretta, quasi desiderasse che
Brodetto non si presentasse. Invece lo fece dieci minuti più tardi. Scardinò la portiera con
una semplice presa della maniglia e si incastrò nell’abitacolo rimanendo prigioniero delle
lamiere.
-Andiamo, muoviti, che sto troppo stretto, qui dentro!- Ah, adesso fai il difficile. Fino a pochi giorni fa, non succedeva però! Che è, ti sei montato la
testa perché vivi fuori casa e scopi quella biondona?-Ehi vecchio, guarda come parli. Taci e metti in moto ‘sta carretta che siamo già in ritardo-Sì, ma non è certo colpa mia- protestò il padre –hai saltato anche l’allenamento e son qui da
una mezz’ora che ti aspetto. Uehi, non sono mica l’autista, ricordatelo bene, sono tuo padre,
porco mondo..-Taci e guida. Siamo in ritardo, te lo devo ripetere?-Embè e con questo? E se anche si arriva in ritardo, che succede? Casca il mondo? Si
prosciuga il mare? Va a fuoco il cielo?..- No. Facciamo solo una figura di merda più grande. Ti basta? E’ perché hai paura di incontrare
quella donna, che veda come sei conciato adesso? Che si chieda: ma come ho fatto a mettermi
(per modo di dire) con uno così? E il figlio? Di’, che cosa può pensare anche lui di te? Secondo
me non ci crede, che tu possa essere il padre..- E tu allora? Come avrei fatto con te?..
-Infatti non lo so. Me lo sono chiesto spesso, una volta. Adesso non me ne importa granchéconcluse facendo spallucce come poteva per l’angustia del luogo.
Fortunatamente la casa di Tizio non era lontana e in qualche minuto la raggiunsero. L.
parcheggiò in strada, senza entrare nella corte. Non desiderava che il rumore del motore
mettesse sul chi va là i presenti, gli attendenti.
Ci pensò Brodetto a stravolgere la sua strategia tirando una tal legnata sulla portiera, che non
si voleva chiudere amabilmente, da svegliare la comunità del pollaio lì vicino con conseguente
strarnazzamento degli (delle) occupanti che stordirono il silenzio della campagna.
- Caz..Brodetto, fai piano, me la vuoi distruggere?- protestò il padre
- Ma va’..- rispose Brodetto guadagnando ad ampie falcate l’ingresso di casa.
- Oh, alla buon’ora (reminiscenze letterarie della scuola media)- esclamò Tizio prevenendo il
moto di sorpresa di Gudj all’apparizione del giovine – da solo? L. non c’è?-C’è, c’è- rispose Brodetto scartando lateralmente e denudando cosi la figura minuta, un po’
ridicola per la prominenza ventrale e la spettralità del volto ancora segnato dalla recente
sofferenza, che stava dietro lui – è quiCi fu un attimo di silenzio quando l’amante di un tempo vide l’amato di un tempo. Gli anni erano
passati per tutti, è certo, ma per L. lo avevano fatto molto più in fretta. Guardò la donna che
si sforzava di ricordare e la cosa che lo ricolpì fu la fossetta del mento. Un dettaglio poco
importante, si direbbe, ma non per lui che partì da lì per riscoprire il suo passato remoto
sepolto sotto un metro di angoscia.
Per sciogliere la tensione montante cercò il volto degli altri due e prima che dal figlio fu
colpito dallo sguardo assassino del presidente che l’avrebbe ucciso solo per il fatto di essersi
presentato lì a rovinare la sua manovra di assedio alla dea esterese. La situazione peggiorò
quando udì L. rivolgere una frase in lingua esterese alla dama, alla quale ella rispose con una
grazia e una semplicità sconvolgente . Chiamando a sé il figlio glielo presentò.
-Buonasera,L.- disse il ragazzo- sono molto felice di incontrarla. E’ da tempo che volevo
conscere il mio padre naturale, ma non mi è stato possibile perché non sapevo come fare ...-E cosa dovrei dire io, che non sapevo nemmeno di avere un figlio, un altro figlio oltre a
Brodetto- e con la mano prese il braccio di lui – sù, stringetevi la mano e abbracciatevi. Per voi
è più facile che per me..è più naturale.. e vi assomigliate così tanto, vero Gudj?- E’ proprio vero. Non come due gocce d’acqua, ma si vede subito che c’è qualcosa di familiare
nei loro tratti- aggiunse Gudj guardando prima l’uno e dopo l’altro con convinzione.
Tizio batté le mani un paio di volte per dire : via via, a tavola che se no la ‘Gelica s’arrabbia.
Il buon Poeti se ne stava educatamente seduto al suo posto, piluccando la mollica di un pezzo
di pane, apparentemente assorto in pensieri astratti, ma dentro roso da una assurda gelosia
per la signora esterese che gli pareva favorire il suo involontario antagonista.
In maniera più o meno rumorosa i commensali guadagnarono il loro posto. Tizio a capotavola, il
presidente, già seduto, suo contrapposto, Gudj e Hansel da una parte, L. e Brodetto dall’altra.
La conversazione si avviò con qualche sussulto perché c’era bisogno che il motore si rodasse e
si riuscisse a superare l’inevitabile difficoltà di carburazione.
Dopo l’ottimo risotto con i funghi annaffiato da un eccellente vinello fresco (mi pare una
schiava gentile), si sciolsero anche le lingue più impacciate, come quella del presidente che,
superato l’ostacolo linguistico con un: e che me ne frega, io mi butto, approffittò della sua
prossimità posturale per raccontarle del posto, della sua vita, delle sue disgrazie domestiche
e della simpatia che provava per lei. Lei, che non aveva capito quasi nulla, gli rispose parlando
della sua vita, della sua città, della sua serena tranquillità familiare e della sua contentezza
per l’incontro di Hansel con il padre. Nemmeno lui capì nulla. Ma nel racconto si era
infervorata e con naturalezza gli aveva sfiorato la mano con un gesto amicale che a lui parve
altra cosa.
Vicino a loro il mondo era differente, viveva di altra luce della quale voleva godere anche Gudj
che perciò girò il capo verso destra per partecipare alla discussione che si stava generando,
con qualche difficoltà espressiva, tra i due fratelli in tema di palla a spicchi. Parlavano in
anglico che Hansel, come tutti gli esteresi conosceva perfettamente, mentre per Brodetto
era tutta un’avventura irta di ostacoli. Tizio si trovava un po’ a disagio, non conoscendo
l’anglico e allora tentava di interloquire con Gudj, che doveva quindi dividersi tra questo e L.,
che principiava ad essere decisamente più disinvolto. Un’altra persona, si sarebbe detto.
Persino spiritosa con certe battutine che anche Tizio faticava a comprendere,mentre Gudj
apprezzava la mimica, decisamente più eloquente del verbo.
Il presidente era inevitabilemente tagliato fuori, soprattutto per la sua collocazione defilata,
capotavola di seconda scelta. Il povero provò a introdursi nella conversazione, ma la difficoltà
espressiva era evidente anche a lui che, per evitare di compromettere ulteriormente la sua
posizione con Gudj, si alzò da tavola:
- Scusate , io vado..-Ma come! Stia qui ancora un po’..c’è il dolce. Prenda almeno un caffè!- intervenne Tizio
-No, no, grazie- si schermì- devo proprio andare. Ho ancora delle cose da fare. Grazie, grazie,
della bella serata e- rivolto a Gudj- spero che domani sera vorrà farmi l’onore di essere mia
ospite- sparò tutto di un fiato invitando con lo sguardo ansioso Tizio a tradurre.
Gudj, sorrise e rispose gentilmente:
-Mi dispiace, ma domani sera non è proprio possibile..- Allora domenica.. ci conto. Ci posso contare?- Domenica sera, no! Caspita. Ci sarà la festa per la vittoria..e che diamine!- sparò Tizio
attirandosi l’applauso dei due fratelli e di Gudj. L. fece solo la mossa.
- Ehhh – sospirò il presidente molto deluso- eh.. speriamo che sia così, che si possa vincere.
Ma la palla è rotonda (banalità che gli fece perdere almeno dieci punti di considerazione) e poi
ci sono gli avversari... non bisogna dimenticarlo..Mai frase fu più deleteria all’immagine di un uomo.
- Ma lei è proprio un menagramo, dopo tutto quello che ho fatto, le palle che mi son rotto, i
rospi che ho dovuto ingoiare..ci può essere un dubbio sull’esito finale?- esclamò Tizio rivolto
agli astanti e chiamando apertamente l’applauso. Che venne, ovviamente.- Vada a casa, vada e
dorma bene, caro il mio, il nostro presidente...-concluse afferrando il calice e alzandolo, con
invito agli altri di seguire il suo esempio.
- Per il Portoland, hip hip hurrà...- e trangugiò il liquido rosato in un sol sorso. Poeti infoderò le
mani nelle tasche della giacca, salutò a testa bassa e uscì nel cortile. Ma, pensarono tutti,
credo, quest’uomo rema a favore o rema contro..perché sembrerebbe che della vittoria non gli
interessi granché. O forse è di una vittoria come questa che non sente il bisogno..che non si
può sentire molto onorato..?
Bah! Ai posteri l’ardua sentenza (altra citazione da scuola media, superscontata). A noi,
adesso, non ci tocca la questione morale che rammento, nel duemilatredici, era stata
completamente rimossa dopo il crack di due anni prima. Qualche nostalgico, qualche persona
deviata poteva tuttavia essere rimasta..
Le schegge impazzite sono un pericolo reale. Ci sono e vanno disinnescate con chirurgica
meticolosità da esperti del settore.
Bando alle tristezze, dunque. Si tratta di una serata di festa, una rimpatriata speciale che
precede una festa di sport, di grande sport. E di una vittoria storica..
- Scusé, mi vago, parché l’è vegnù tardi e go som. Lassé tut lì che ghe penso mi doman de
matina presto a spareciar e a meter ordine. Capì Tizio? Note a tuti!- e con la mano ‘Gelica
salutò la compagnia, perfettamente agghindata “dale feste”, stringendo la sua borsetta di
finto coccodrillo .
- Grazie, ‘Gelica. Ne sentim doman, alora, note anca a ti- rispose Tizio con l’approvazione dei
restanti che a loro modo si accomunarono ai saluti e ai ringraziamenti.
Tra una chiacchera e l’altra si erano fatte oramai le undici e molte bocche cominciavano a
spalancarsi vanamente coperte dai palmi delle mani.
- E’ meglio che andiamo anche noi- aggiunse L. rivolto a Brodetto- Gudj, ti saluto e conto di
rivederti ancora. Domani magari..ti andrebbe una passeggiata, se fa bel tempo?-Eh, magari, vediamo.. sì vediamo domani che tempo fa.. ci sentiamo- nicchiò e si avvicinò
all’uomo per salutarlo stringendogli la mano e porgendogli la guancia per un bacetto molto
veniale.
- Allora ci sentiamo- concluse L., comprendendo che non era il caso di insistere.
I fratelli si strinsero con forza la mano e si diedero un abbraccio sincero condito con pacche
sulle spalle e un arrivederci alla mattina successiva, al tendone. Era stato un incontro
decisamente positivo e gradito, convennero. Si erano subito trovati simpatici e sintonizzati
sulle medesime frequenze. Il caso fortuito di quella partita aveva prodotto molto di più di un
semplice sodalizio sportivo.
Quando Tizio restò solo in sala da pranzo gli venne spontaneo riflettere sulle cose fin lì
accadute.
- Siamo alla stretta finale,- si disse.- E’ stata dura, davvero dura e non so se lo rifarei.
Una volta nella vita basta e avanza. Non son fatto per...Ma non volle completare il concetto temendo che qualche scrupolo coscienzale si facesse largo
tra il pelo (dello stomaco) per venire a galla.
Ingollò l’ammazza caffè d’un fiato. Ripose la tazzina sul tavolo, chiuse la porta, spense le luci
e si ritirò. Nella casa, e fuori, era tutto silenzioso. Anche la sua coscienza si era sopita.
Sabato mattina, ore dieci. Il fatto era ovviamente di dominio pubblico e la curiosità, di
conseguenza, elevata. Capannelli di persone sostavano nel piazzale nell’attesa che arrivasse
l’ospite e si aprissero le porte. Hansel arrivò con Tizio, che oramai vestiva i panni del general
manager della società, il vero attore- salvatore di questo disastroso finale di campionato con
la squadra, colpita dalla sfortuna e dagli infortuni, sull’orlo della retrocessione. Il momento più
basso della sua storia sportiva.
I nuovi compagni, già in canotta da allenamento, ammazzavano l’attesa tirando a canestro
senza apparente impegno, tanto per tener calda la muscolatura.
Hansel venne guidato nello spogliatoio e fu pregato da Tizio di non commentare la fatiscenza
del luogo. – Tanto- gli disse- è solo per oggi. Domani al PalaEsse sarà tutta un’altra cosaHansel assentì con la testa e si sbrigò a indossare la tenuta da allenamento della De Uilen,
verde e oro. In un attimo fu pronto a entrare sul parquet dove i giocatori si erano radunati
all’uscita del tunnel degli spogliatoi. Sorse spontaneo un applauso all’indirizzo di Hansel, al
quale tutti si affrettarono a porgere la mano per un cinque beneaugurante e di ringraziamento
per il suo bel gesto. A Brodetto, il biondo fratellastro riservò un nocche contro nocche ed un
buffetto sulla guancia.
Il presidente, in disparte come sempre, fu invitato dai giocatori e dalla stampa locale a
pronunciare le due parole rituali, compito che assolse come un dovere e non con l’entusiasmo
che i cronisti, e i giocatori, si sarebbero aspettati. Fatto emblematico, avrebbero il giorno
dopo riportato nei loro pezzi.
Ben altra enfasi ed entusiasmo trasudò dal benvenuto che Basilio volle porgere al nuovo
arrivato. Sfoggiando un anglico inaspettato, per fluenza e correttezza di pronuncia :
- Hansel, siamo felici che tu abbia accettato la nostra proposta di darci una mano per
concludere positivamente questa sfortunatissima stagione. I ragazzi ce l’hanno messa tutta, si
sono allenati con tenacia ed assiduità, ma gli infortuni e arbitraggi scandalosi ci hanno
sottratto anche i punti che ci eravamo guadagnati sul campo. Ma ora non è più tempo per
recriminare. Ciò che è stato è stato. Domani abbiamo la partita della vita e la dobbiamo fare
nostra con l’impegno, la grinta. Le palle, in poche parole. Il tuo arrivo ci consentirà di
irrobustire il gioco da sotto che ora è molto carente e Brodetto, da solo, non ce le può fare.
Abbiamo visto le registrazioni di alcune tue partite e così ho avuto modo di inquadrare il tuo
gioco e studiare qualche schema aggiuntivo, in grado di metterti nelle condizioni di utilizzare i
tuoi movimenti migliori spalle a canestro.
Bene! Adesso basta parole e andiamo con i fatti!
Ora, dài ragazzi, mettiamo in pratica quello che abbiamo provato nei giorni scorsi e vediamo
come si inserisce Hansel, ok?Nessuno disse di no, ovviamente, e allora Basilio, tenendo il pallone sottobraccio, esplicitò gli
schemi studiati che ora avrebbero dovuto provare. Cose ovvie, per Hansel.
Blocchi, passo d’incrocio, scivolamenti, pick&roll, taglia fuori, tiro in sospensione: il ragazzo
sciorinò un repertorio completo che infuse nei compagni una ventata di entusiasmo che ebbe
l’effetto di migliorare anche le loro abituali, modeste, performance di quel periodo. Hansel
mostrò a Brodetto alcune semplici astuzie difensive, roba di mestiere che l’imberbe
(cestisticamente parlando) fratellone non aveva ancora nelle sue corde. Così Gibi faceva
girare la palla ad una velocità impressionante e Lupo infilava canestri da distanza siderale,
Vetrilli saltava come un grillo fino a sfiorare la sommità del tabellone. I giovanetti, i
panchinari, non gli toglievano gli occhi di dosso e continuavano a lanciare fischi di ammirazione.
Dopo una mezz’oretta la seduta si concluse. Basilio radunò i giocatori al centro del campo,
organizzò il capannello e insieme fecero salire alto l’urlo di guerra. Un largo applauso venne
anche dalle tribune dove, nel frattempo, il popolo baskettaro si era assembrato. Intonò anche
un coro dopo mesi di silenzio. Doveva essere un buon segno, un fausto presagio, pensò il
presidente che in quel momento rientrava con un foglio in mano.
Finalmente lo sventolò con un piccolo entusiasmo. Meglio di niente.
- Tutto a posto- disse a voce alta – è tesserato. Adesso è tutto in regola (?)- Si lasciò andare
anche ad un magro sorriso. La coscienza lo mordeva decisamente meno, ora.
Hansel era fermo in mezzo al campo e guardava verso la curva sud dove stava seduta una bella
ragazza bionda, che gli faceva un gesto di saluto con la mano, sorridendo. Lui stava per
risponderle ricambiando sorriso e saluto quando si sentì battere sulla spalla. Si girò e gli
apparve Brodetto:
- Calma fratello, quella è roba mia. Se mi prometti di stare al tuo posto, te la faccio
conoscere.-
CAPITOLO 23
E' doveroso narrare un antefatto.
Quando aveva saputo della terza votazione, favorevole all'applicazione immediata della regola
a favore dei figli di un italiano e di una straniera, il presidente di Midialand aveva fatto fuoco
e fiamme.
Pur non sapendo esattamente in che modo la legge sarebbe stata sfruttata da Portoland, egli
intuiva che la sua squadra ne sarebbe stata svantaggiata.
Perciò, convocò una conferenza stampa, in cui parlò di " favori " concessi ad una squadretta di
mezza tacca, di legami mafiosi, di trame sottobanco, ed in particolare si lamentò per il fatto
che quella era chiaramente una legge " ad personam ":
L'intervista fu pubblicata il venerdì prima della partita.
Lo stesso venerdì, nel pomeriggio, fu recapitato al presidente un pacchetto, su cui non
compariva il nome del mittente.
Il pacchetto conteneva, nell'ordine:
copia della ricevuta del soggiorno di una settimana alle Bananas dell'arbitro che aveva favorito
la squadra di Midialand nella partita di ritorno: copia del referto medico che attestava gravi conseguenze alla schiena del lungo messo fuori
combattimento nella medesima partita da un intervento assassino del pivot di Midialand copia delle votazioni di quindici leggi " ad personam " col voto favorevole dell'allora
parlamentare ed oggi presidente di Midialand, leggi che favorivano un politico molto popolare
fino al 2011 copia della foto sul giornale che ritraeva l'ammazzatina del cognato ( ricordate? il "
personaggio " che si era opposto all'immediata applicazione della legge ).
un biglietto su cui era scritto semplicemente: PAR CONDICIO.
Fu tale lo spavento del presidente di Midialand, che convocò per la sera stessa una nuova
conferenza stampa, in cui:
si scusava per l'errata interpretazione data all'approvazione della legge affermava l'opportunità di un immediato provvedimento a favore di persone di origine
parzialmente italiane, indegnamente trascurate fino a quel momento lodava il comportamento della società di Portoland, che aveva accettato senza fare ricorso il
risultato della partita di ritorno, " chiaramente falsato da un arbitraggio inadeguato ".lodava la linea fino allora tenuta dalla LDP, senza alcuna eccezione.
A mezzanotte ricevette una telefonata: " Bravo ". E la faccenda fu definitivamente chiusa.
Il chiasso derivato dalla pubblicazione delle due conferenze, pubblicate il venerdì ed il sabato,
aveva sortito il risultato di un'incredibile pubblicità alla partita.
Poiché la gara si sarebbe tenuta la domenica alle ore 18 in un palazzetto molto vicino a
Midialand ( altro favore preventivato a suo tempo per la squadra suddetta ), con ben 15000
posti tutti numerati, cominciarono a fioccare richieste di prenotazioni.
Il telefono del palazzetto diventò rovente: gruppi di cinque - dieci persone provenienti anche
da centinaia di chilometri di distanza chiedevano biglietti alla media di tre - quattrocento
l'ora.
Le prenotazioni furono chiuse domenica mattina alle ore 11,30, col palazzetto mezzo
prenotato, e la previsione dell'arrivo di altre migliaia di persone.
Ci fu un altro effetto di tanta pubblicità.
La società imbottigliatrice di acque minerali : " Zoutvless " si offrì di diventare il principale
sponsor per Portoland con la cifra di 250000 euro, molto più di quello che la squadra di Basilio
aveva avuto a disposizione per l'ultimo anno.
Il presidente fece un salto, a quella notizia, anche se la figlia Giulia si affrettò a
raffreddarne i bollori osservando gelida: " La ditta Zoutvless ? Quella che ci frega l'acqua
buona e ci costringe a spendere trecento euro l'anno a famiglia per le sue maledette
bottiglie? ".
Sempre chirurgica, la ragazza.
E VENNE IL GRANDE GIORNO
Purtroppo ci furono dei disordini.
Riportiamo la notizia, come venne data dal quotidiano di Midialand: " Parole, non fatti ".
Le annotazioni fra parentesi sono di chi scrive.
" Solito attacco teppistico dei soliti trappisti ( ovviamente non era questo il vocabolo usato,
ma lo scrivente, per non dare riferimenti politici, ha preferito scomodare i poveri frati la cui
denominazione ha due caratteristiche in comune con quella sostituita: non c'entra nulla con la
realtà, e finisce in " isti." )
Ancora una volta, quella che doveva essere una festa dello sport è stata funestata da
incidenti, provocati ad arte da gente che voleva approfittare della circostanza per colpire chi
governa.
Una folta schiera di rudi teppisti armati fino ai denti ( una ventina di ragazzini fra i nove ed i
quattordici anni, con cannucce di penne biro e pallottoline di carta tenute in bocca per
compattarle ), provenienti da Portoland ma anche da chissà quante altre località ( Toxoland ),
appena i loro mezzi ( un pullman da quaranta posti ) sono arrivati nella zona di Midialand, prima
della partita, hanno imperversato, compiendo atti vandalici ( due o tre cartacce gettate per
terra ).
Venuti in contatto coi mezzi usati dagli inermi tifosi della squadra avversaria, hanno dapprima
innalzato striscioni razzisti ( con scritta: " Vi odiamo un po', ma ci piace ancor meno la
minestra di verdura "), poi intonato cori con parole irripetibili ( " Aver la fica è dura, ma ci
proviam senza paura " ) ed infine si sono scagliati con tutto il loro armamentario contro gli
agenti anti-disordini, cinque dei quali sono rimasti contusi a terra ( feriti dalle pallottoline di
carta ).
A quel punto è stato inevitabile, per il responsabile delle forze dell'ordine, suonare la carica.
Al termine dei tafferugli, alcuni dei facinorosi, con lievi contusioni ( vedi conti dei dentisti e
referti dei traumatologi ) sono stati condotti in carcere, e poi rilasciati ( intervento delle
mamme in lacrime ).
Si può ben dire che si è ripetuta la stessa situazione verificatasi in una città di mare vari anni
fa, in occasione di una riunione internazionale. ( appunto. Si può ben dire ).
CAPITOLO 24
Dopo un frugale spuntino in un bar del centro, il dott. Poeti rientrò a casa nel primissimo
pomeriggio di quel sabato. Ripeté i soliti gesti, i soliti riti. Pensò alle solite cose, anzi no. Quel
pomeriggio, oltre ai soliti pensieri la sua mente rimase occupata dal macigno della questione
morale. Lui solo, in tutta la nazione credo, era gravato da quella cappa, dopo che con il crack
del duemilaundici si era dissolta ogni parvenza di ritegno. Perdendo la faccia e oscurando la
coscienza, tutto era diventato lecito, possibile, fattibile e giustificabile.
Che senso aveva tutta la manovra oscura, strisciante, velenosa per arrivare a vincere una
partita....vittime di una società assurda che ti chiedeva un comportamento immorale per
combattere altri atteggiamenti immorali ed evitare di soccombere. Anche nello spettacolo e
nello sport tutto stava per essere inghiottito in quel putridume del quale la gente stentava a
riconoscere la puzza, ritenendolo di odore non sgradevole.
Ma le leggi, le regole del rispetto, la giustizia, quella generale, uguale per tutti, dov’erano
finite? Come si erano potute calpestare le norme più elementari del vivere civile pur di
soddisfare il demone della prevaricazione, del successo e della violenza? La tranquillità
personale era direttamente proporzionale al grado di sottommissione al Potente del luogo e di
quello al Potente della regione e di quello ancora al Potente Supremo. Ci eravamo dimenticati
di quanto tristemente successo nel secolo passato, delle sue conseguenze...
Verrebbe da dire che la gente non ha memoria storica. Badate bene, non solo per quanto
riguarda la politica. Qualunque vicenda negativa tende ad essere obliterata il più in fretta
possibile, perché il popolo vuol dimenticare al più presto, vuole pensare al futuro personale,
lasciando marcire le proprie radici. Anzi rinnegandole. Perché a “loro” questo non potrà e non
dovrà accadere.
Si era sprofondato nel divano troppo morbido (se ne lamentava spesso) e i pensieri e la
digestione e il tepore della casa formavano un mix soporifero che lentamente, ma
inesorabilmente, lo stavano sollevando per adagiarlo nelle braccia di morfeo.
Sentì distintamente una porta aprirsi, davanti a lui. Tre figure entrarono, tre persone a lui
sconosciute gli si posero davanti. Un giovane e due fanciulle. Sarebbe più corretto definirle
una bambina ed un’adolescente, che stavano ai lati dell’uomo e a quello davano la mano. I loro
abiti poveri, e non certo di qualità, avevano una foggia inusuale. Antichi, molto antichi. Tuniche
grezze legate alla cintola con una corda di cuoio, calzari consunti ai piedi. La loro pelle era
scura, temprata dal sole. La fanciulla più grande portava sul volto i segni di una devastazione
prepotente, la bambina stava dritta e ferma con la bocca chiusa. Il giovane parlò rivolgendosi
all’ospite in una lingua sconosciuta, ma il senso delle parole affiorava dal tono della sua voce,
dall’espressione del volto e dalla forza del gesto. Era chiaramente un monito, dallo sguardo
che lui rivolgeva frequentemente verso l’alto, un monito superiore. Dalla durezza dei suoi
occhi, un monito severo, potente. Dalla direzionalità dei gesti verso la fanciulla deturpata, un
segno della punizione.. L’ospite cercava di sollevarsi dalla trappola nella quale stava
sprofondato, voleva interloquire con il giovane, ma dalla sua bocca non uscivano suoni e questo
lo metteva in uno stato di profonda inquietudine, perché l’altro lo copriva di parole incomprese
che lo stavano travolgendo. Con uno sforzo immane cercò la disperazione dentro di sé,
scavando nel profondo per estrarre un grido che lo aiutasse ad allontanare il terrore che
provava. Alla fine un rantolo spasmico eruttò dalle sue labbra e si sparse nell’aria. Il giovane si
staccò dalle ragazze e lo prese per le spalle scuotendolo con forza, mentre gli occhi dell’uomo
si chiudevano rintanandosi nel profondo dei seni oculari..
- Papà! Papà! Che ti sta succedendo, oddio, oddio. Aiutatemi- implorava Giulia, mentre
prendeva per le braccia il padre che si torceva nella soffice gabbia come in preda ad uno
spasmo.
Madido di sudore, ansimava come se la crisi che lo affliggeva fosse di natura morbosa e non
soltanto la conseguenza di un sogno. Di un incubo.
- Papy, ti prego, svegliati. Non farmi stare in pensiero. Ma cosa ti prende! Per favore, apri gli
occhi, parlami, di’ qualcosa...tiprego tiprego tiprego..!Con grande difficoltà il presidente si ricompose e rivolse lo sguardo smorto alla figlia che gli
stava di fronte aspettando che si riprendesse.
- Ho sbagliato- esordì amaramente. – Ho permesso che si perpetrasse una fatale
disubbidienza. Il sogno me ne ha reso finalmente coscienza..-
Giulia lo guardava sbigottita, non comprendendo il motivo di tanta disperazione.
- Ma di cosa stai parlando- chiese – di che sogno..- Un giovane con due fanciulle e l’ira del cielo..Pazzesco, pensò. Forse gli è veramente capitato qualcosa. Non deve star bene. Una settimana
pesante, stressante. La mamma che se ne è andata, gli avvenimenti di questi giorni.
Probabilmente covava qualcosa da tempo e non me... non ce ne siamo accorte. Mi dispiace, mi
dispiace..
- Tu non puoi capire. Cioè potresti capire se i tempi fossero altri..quand’ero giovane io si
riusciva a vedere oltre i propri occhi, a sentire oltre le proprie orecchie, scegliere,
comprendere, giudicare. Partecipare e lottare. Adesso la gente ascolta, assente e consente.
Addirittura applaude e inneggia al salvatore, alla star che guida questo misero, povero popolo
con le logiche dello spettacolo. Va tutto bene. Siamo tranquilli, sereni, abbiamo davanti a noi
un futuro di benessere. Produciamo, consumiamo, facciamo felici coloro che producono e siamo
orgogliosi di consumare per il benessere di altri. E anche di noi stessi. –
- Ma papy, cosa stai dicendo..chiamo il dottore..- e con la mano gli toccò la fronte che era solo
madida di sudore. Lui non si accorse nemmeno di quel tocco e continuava a parlare, oramai tra
sé e sé.
In quel mentre il portoncino d’ingresso s’aprì. Giulia si girò di colpo un po’ spaventata e fu
grandemente sorpresa di riconoscere le frequenze del passo della madre nel corridoio.
- Mamma- chiamò e la donna apparve sulla soglia della porta, ben vestita e per nulla sciupata,
anzi, con un aspetto decisamente fresco.
- Mamma, per fortuna che sei qui. Il papà sta male, straparla. Deve aver avuto un incubo
tremendo. Ma cosa crede di aver fatto di tanto male da meritarsi una punizione dal cielo?..- Stai tranquilla cara. Tuo padre è così. Ha spesso questi cali di umore. Per lui la vita è
sofferenza, quasi tutta. Solo quando incontra una donnetta che lo ispira, si rianima e per
qualche giorno sembra un altro. Lo conosco bene. Poi gli passa, perché non intravede nessuna
corrispondenza e si affloscia nuovamente. Lascialo lì, che tanto non gli succede niente.
Lascialo dormire, che poi gli passa. Un caffè?- Volentieri, mamma- disse guardando l’orologio – fra una mezz’oretta ci troviamo in piazza per
passare un paio d’ore in compagnia...- Sempre con quel pallonaro?..- Sempre uguale? La stessa musica? Sì con lui e anche con Gina e una ragazza che ho già visto
qualche volta, una che si interessa a Gibi..e che si chiama Greta- Ma solo di quelli là vi interessate? Con tutti i ragazzi che ci sono, magari già a posto con un
buon lavoro e ottime prospettive, voi perdete i vostri anni migliori con dei ragazzini che non
sanno nemmeno cosa voglia dire lavorare, faticare, avere delle responsabilità. Ma che futuro
vi possono offrire...- e scuotendo per l’ennesima volta la testa, ma non rassegnata
definitivamente, si avvicinò al fornello per spegnere il gas. Giulia preparò le due tazzine che la
madre riempì di fumante caffè.
- Senti mamma, come mai qui? Non ti sei trovata bene dalla zia?- Ho pensato molto in questi giorni e dalla zia non ci resto perché è peggio che con tuo padre.
Che almeno per dieci ore al giorno sta fuori casa. Tua zia è un lamento continuo. E poi non
vuole che fumi in casa. Uscire sul poggiolo ogni volta che mi viene voglia di fare un tiro è
decisamente troppo... adesso vediamo. Spero che questa settimana di solitudine l’abbia fatto
riflettere “l’omenaz”. Poi vedremo. Per ora non faccio altri programmi..Sorseggiarono in silenzio il caffè. Tutt’ e due con lo sguardo rivolto verso la finestra. Avevano
lo stesso pensiero. Quella non era la soluzione, di certo.
- Ciao mamma a stasera. Bisogna fare un po’ di spesa, se vuoi cenare in casa. Il frigo è
vuoto..CiaoSi sentì la porta chiudere con un leggero scrocco. Adesso era da sola. L’uomo dormiva, come
ebbe occasione di constatare gettando l’occhio in salotto. Mi faccio un bagno, mi
rilasso...magari mi sistemo i capelli, concluse guardandosi allo specchio in corridoio. La casa
era in totale silenzio, se si eccettua il ronfo aritmico dell’uomo affondato nel divano.
Quando Giulia giunse in piazza, gli amici la stavano aspettando e il suo arrivo completò
l’armonia delle coppie prima spaiate.
Hansel aveva approfittato del pomeriggio per stare con la madre e Tizio e fare un breve trip
attorno alle amenità locali in un clima totalmemente defatigante.
Greta venne presentata a Giulia e in breve tempo si creò tra le due un clima di buon
sentimento vuoi per la vicinanza di età, vuoi per la normalità del fisico che nulla aveva a che
fare con la giunonicità di Gina. Anche nei discorsi si concretizzò una significativa sintonia.
Argomenti leggeri come si usava allora quando la discussione accesa, la polemica, il contrasto
erano stati dapprima banditi poi istintivamente rigettati come si fa con la merce scadente. In
onore della logica del consenso propugnata e instillata a piccole dosi, ma con perversa
continuità, dalle onnipresenti bocche della propaganda della nuova classe dirigente.
Il futuro roseo dell’economia era l’argomento principe dei giovani bene; le auto, le moto, i beni
di largo consumo, la musica, la tv, la fiction tenevano banco in ogni luogo di ritrovo,
soprattutto in quelli frequentati da gente comune, quella che riteneva superfluo dover
conoscere oltre l’apparenza.
Così le tre coppie passarono in allegria un paio d’ore. Si salutarono e le ragazze si diedero
appuntamento per l’indomani. Non avrebbero di certo mancato l’avvenimento clou e stavano
ancora dissertando se approfittare del pullman che la società aveva organizzato per
l’occorrenza, o se spostarsi con l’auto per avere maggior scelta, a gara conclusa, sul da farsi.
Giulia rientrò in casa nel momento in cui il padre si stava coricando con grande fatica.
- Non sta bene- sussurrò la madre – vediamo se disteso migliora. Gli ho appena dato le sue
gocce (benzodiazepina). Dopo dormirà. Se no chiamo la guardia medica...Sono un po’
preoccupata..La donna aveva perso la sua rugosità caratteriale per assumere i panni della badante motivata,
ma non eccessivamente. Era pur sempre un lavoro, per loro.
Visioni oniriche stavano affollando la mente del marito, provocando nel suo corpo reazioni
sussultorie e agonie nella voce.
Gli stava seduta a fianco del letto e con la mano gli teneva la sua sperando di dargli forza, di
creare, attraverso quel contatto, una risorsa vitale. Le gocce pareva non facessero effetto ed
aveva oramai deciso di telefonare al medico per un consulto, quando il corpo del marito si
quietò di colpo, le membra si distesero rilassandosi. Anche i lineamenti del volto adesso erano
quasi sereni. Muoveva ritmicamente le labbra in maniera impercettibile come chi prega,
biascicando la litania in maniera automatica.
Marisa attese ancora qualche minuto poi si decise ad alzarsi e senza far rumore uscì dalla
stanza con l’animo decisamente sollevato. Si recò in cucina dove mise sul fuoco un po’ d’acqua
per una tisana.
Tizio entrò senza bussare e Orso alzò appena gli occhi, come soleva fare con le persone
importune e non seguì con attenzione quello che gli andava dicendo a causa del tono di voce
molto sommesso. I tre di prima se ne erano andati da poco ed aveva bisogno di ricompattare le
sue idee e prendere la decisione più saggia. Non la più opportuna. La più giusta, quella degna di
lui che adesso si sentiva un giusto. Riflettendo in questa direzione gli parve che tutta la
tensione accumulata con l’apparizione dei suoi ospiti si fosse attenuata fino a dissolversi e che
una pace interiore finalmente si diffondesse in tutte le sue membra. Certo, doveva dire di no.
Opporsi alla legge del meretricio. In fondo era o non era il presidente? Caspita, lo era, si
disse.
-...si parla per il prossimo anno di grandi investimenti a favore della squadra. Ho convinto,
oltre alla Zoutvless, anche un altro marchio eccellente interessato a mettere radici in Nostria
e, sapendo dei nostri buoni, anzi ottimi rapporti con gli amici avrebbe scelto Portoland come
rampa di lancio...In due anni saremo tra i professionisti. Garantito. Poi, se sapremo muoverci, e
a questo ci penso io che oramai mi sono fatto le ossa, nel giro che conta...ci resteremo per un
bel po’. Ma ci pensa? Serie A, Eurolega e altro ancora. Un palazzo nuovo, finalmente un palazzo
di quelli seri..Giocatori americani, i migliori. Saremo il punto di riferimento per tutta la
Regione Alpina. E poi comincerà a girare denaro, sarà la fortuna anche per la città e Lei sarà
un presidente famoso...-Adesso ho capito chi sei, veramente. Chi si nasconde sotto le vesti di un benefattore. Ah ho
capito, ho capito. Ma questa volta non ci casco. E lo dirò apertamente, senza giri di parole,
senza sottintesi. Lo urlerò, che tu vuoi la mia rovina, che mi hai teso un diabolico tranello. Ho
trascorso tutta la mia vita alla luce del sole. Dovevo giungere alla mia età per cadere in
questa imboscata..maledetto, dalla quale non posso uscire.. disgraziato me? E tu ridi, stai
ridendo di me, della mia stupidità, contento di avermi raggirato col sorriso sulle labbra e di
aver raggiunto il tuo sporco risultato. Nooooo..noooo- urlò a squarciagola.- Pronto, dottore, buona sera. Sono la signora Poeti. Mio marito sta male...è in uno stato di
delirio da questo pomeriggio...come? perché non ho chiamato prima?..perché con le gocce si
era quietato, ma adesso urla come se gli strappassero il cuore...venga subito, per favore.
Grazie, grazie. Allora l’aspetto. Grazie ancora.Midialand si trova nel Tentacolo numero Cinque di Megalopolis, in quello della Comunicazione e
dell’Informazione. Questa era infatti la struttura suburbana seguita alla riorganizzazione
territoriale dell’area extrametropolitana della Capitale del Nord, dopo l’insediamento
“democratico” della dittatura del Potente Supremo.
Megalopolis era assurta a centro di dominio economico della nazione, come voluto dal suo
grande Figlio dopo la rinascita e la cui effigie parlava ai cittadini sudditi da ogni angolo di ogni
strada, blandendo ed accusando, incitando e reprimendo, sempre uguale, sempre immortale.
In realtà la definizione di piovra non era sua. La struttura aveva ufficialmente una definizione
stellare, una stella a cinque punte, un raggio per ogni branca del potere. Quella della bestia
era dei dissenzienti, di quei pochi sopravvissuti alla pulizia culturale.
Midialand era quindi la città dalla quale fluiva la verità in migliaia di rivoli per bagnare e
rivitalizzare tutta la nazione con le cronache dettagliate sulla vita, opere e azioni che
riguardavano il Potente Supremo. Le notizie dei TG erano improntate all’ottimismo: costante
crescita economica, tranquillità dei cittadini sicuri di essere protetti da uno sguardo amico,
sempre presente, serenità famigliare.
La squadra di basket di Midialand, una delle tante della Nuova Urbe, era nata per un moto
collettivo e spontaneo, anterestaurazione, di alcuni lavoratori di un centro di produzione
televisivo. Tanto per passare un po’ di tempo libero, per fare dello sport, senza pretese di
grandi risultati. Per qualche anno lo spirito dei fondatori rimase tale, fin quando non le si
avvicinò qualcuno a cui piaceva più vincere che perdere, anche a costo di non divertirsi.
Insistette con sue conoscenze per avere dei fondi, impose la sua ideologia ai giocatori e a
quelli che non accettarono subentrarono nomi nuovi, qualcuno buono, molti brocchi che fecero
carte false per farsi ingaggiare sentendo profumo di guadagni facili.
La scalata delle categorie inferiori fu ovviamente facile e rapida, ma l’avventura nel
campionato semipro si rivelò ben più complicata e infruttuosa. Eccessivi furono gli errori di
valutazione e conduzione compiuti dallo staff tecnico, impreparato e inadeguato, imposto dallo
sponsor, quella TeleSud che, dopo aver acquisito una bella fetta di mercato nel meridione,
cominciava a espandersi anche al Nord. Con il beneplacito del Supremo che ci teneva a
dimostrare che c’era spazio per tutti (solo per quelli fedeli, però).
In che modo e perché si sia arrivati alla giornata fatidica, quella domenica lì, lo sapete tutti.
Lo spareggio per la permamenza in serie B era stato deciso dai risultati sul campo. Non forse
tutti limpidi, però... Il luogo della tenzone, al contrario, era stato individuato in maniera molto
benevola e partigiana in tempi sospetti. Il PalaEsse era l’immenso palazzetto, quindicimila
posti a sedere, che avrebbe ospitato la sfida e che si trovava molto vicino alla reggia del
Potente Supremo, nel Raggio (Tentacolo) 1, quello nord, quello dell’Economia.
Vi è già stato annunciato il clima di spasmodico interesse che riscuoteva questa partita per le
intrinseche implicazioni politiche, un valido test per misurare l’affidabilità e la tenuta
dell’Organizzazione, in vista del ben più importante match in programma di lì a qualche mese
tra la squadra del Potente Supremo e quella della Famiglia Unita, il vero avversario, orgoglioso
della sua autonomia che Qualcuno voleva minare.
Per esigenze televisive la partita era prevista per le quindici e trenta. Già alle tredici la gente
midialandiana si accalcava ai cancelli per potersi accaparrare i posti migliori ed evitare di
doversi accomodare negli anelli superiori, molto lontani dal parquet. I tifosi portolandiani,
dopo i clamorosi tumulti di piazza di cui erano stati protagonisti, furono scortati al PalaEsse
dalla forza pubblica; a loro era stata riservata una angusta tribuna in prossimità della
copertura, ad una distanza assurda dal campo di gioco. Una macchiolina biancoblu in un mare
azzurro con l’inno della squadra di Midialand sparato a migliaia di decibel ed in grado di
stordire anche le volontà più agguerrite dei portolandiani con il volto maquillato con cerone dei
colori sociali.
Non tutti i sostenitori erano però relegati nell’infero superiore, solo gli ultras. Gli altri, i
moderati o più smaliziati, si erano trovati una collocazione più consona per gustare lo
spettacolo sportivo, sempre sperando che di questo si trattasse. Così le tre fidanzate, o
amiche o quelchesivuolechesiano, si erano potute accomodare nella tribuna centrale, un po’ su
in realtà, ma ancora accettabile, come posizione.
Erano piacevolmente eccitate per lo spettacolo che si apprestavano a gustare, confidando che
di quello si sarebbe trattato e che l’immensità dello spazio chiuso di quel monumento non si
sarebbe trasformato in una tomba per le speranze della loro squadra, desueta a siffatti
contesti.
- Gibi è in forma, soprattutto mentale- esordì Greta – l’ho sentito bello carico e soprattutto
sereno. L’ho abbracciato forte e mi sembra d’aver capito che m’avesse detto anche una cosa
molto carina..su di me..Ma lo stringevo troppo ... Non vorrei che avesse pronunciato qualche
parola di aiuto..invece che..- Anche Brodetto si sente bene, almeno fisicamente. La sua esperienza è però men che zero e
quindi...forse non risente nemmeno della tensione emotiva. Lui sa quello che può dare e sa
anche che molto di più non gli si può chiedere. Conta, come tutti, su Hansel, che può essere
effettivamente l’uomo determinante. Caspita, quel ragazzo è proprio forte, e anche carino per
giunta...quasi quasi ci faccio un pensierino...- scherzò Gina e rivolgendosi a Giulia :
- Lupo? Che ci dici di lui?- Giulia parve non sentire e Gina dovette farle un buffetto per
ottenere la sua attenzione.
- Scusate, cosa m’hai chiesto? Di Lupo? Ah sì, sta bene anche lui- concluse laconicamente la
ragazza.
- Ma che c’è Giulia, non ti senti bene?- No no, io sto bene. Sono invece preoccupata per mio padre, che ha passato tutta la notte
sull’agitato, quasi in delirio. Il medico ha detto che bisogna aspettare per vedere come evolve
la situazione. Adesso è sotto sedativi. Ho telefonato poco fa e la mamma mi ha tranquillizzata.
Ma non so, c’è qualcosa che non mi convince...- Dai, su, non pensare al peggio! Cosa vuoi che sia.. E’ un uomo sano, è sempre stato
bene..sicuramente lo stress..una brutta bestia lo stress – la consolò Gina che continuò – anche
a mio zio mi pare sia successa una cosa del genere e in qualche giorno si è risolto tutto. Vedrai
che sarà così..Erano quasi le quindici e i giocatori avevano fatto il loro ingresso sul parquet per le operazioni
di riscaldamento. Da quel che le ragazze potevano vedere, i nostri parevano tranquilli,ma si sa,
in quel momento si riesce ancora a mascherare la tensione che, ad un occhio esperto, era
tuttavia possibile apprezzare. Bisognava però essere sul parquet e poter guardare bene i
ragazzi negli occhi.
Tra lo staff tecnico di Portoland, quelli che siedono sulla panchina, Giulia aveva notato la
presenza di Tizio. Strano, pensò. Non ha nessuna carica societaria. Avrà avuto una deroga,
concluse, date le sue conoscenze..Giulia fece però notare a Gina e Greta qualcos’altro e le due
la guardarono con l’aria di chi non ha capito o di non ha notato nulla, nulla di insolito, per lo
meno. Non so, Giulia era rimasta colpita dal fatto che i suoi occhi, quelli di Tizio ovviamente,
brillavano in maniera esagerata rispetto a quelli dei suoi vicini, come se fossero stimolati da
una energia innaturale. Scosse la testa come per scaricare l’immagine e, ripresa la mira,
effettivamente non notò alcunché di anomalo. Fu subito dopo, quando le loro visuali ottiche si
incontrarono, che avvertì il medesimo disagio che l’aveva spinta ad interrogare le due amiche.
- Ci siamo, caro presidente. Comincia la sfida della nuova era, quella dei successi radiosi per la
nostra squadra, finalmente. Non si metta di traverso per favore! Lasci che le cose seguano il
loro corso, quello prestabilito da molto tempo. Molto prima del suo tempo, caro amico...-Eh no! Scordatelo. Non mi arrendo..Non ti lascerò il campo liberoIl presidente si rese conto solo allora di non essere più nel suo ufficio. Si trovava sulla
sommità rocciosa del Getsemani, proprio a ridosso dell’orlo della grande parete strapiombante
dove, da adolescente con altri adolescenti, aveva commesso le prime disubbidienze. Lassù
d’estate tirava un vento fortissimo che soffiava da sud e ti dava la sensazione che avresti
potuto esporti nel vuoto ed esserne ricacciato indietro in un amen, senza precipitare. Non
l’avevano mai provato, naturalmente, anche se a qualcuno questo prurito mortale poteva essere
venuto, quando si era disubbidito molto più del lecito.
Tizio si trovava proprio di fronte a lui, nella posizione dei tuffatori pronti per il salto indietro
rovesciato. Sguardo di sfida, certezza di immortalità? Coscienza del dominio assoluto delle
proprie emozioni? Provocazione mortale? Sta di fatto che sorrideva alle rimostranze
puntigliose per la giustizia tradita del presidente che, a due passi da lui, sentiva nello stomaco
la prossimità del grande vuoto.
Gli arbitri avevano fischiato i tre minuti indicando ai giocatori la loro panchina. La folla tifante
creava un’atmosfera di maestosa sonorità che l’enorme struttura dilatava temporalmente,
sovrapponendola alle variazioni timbriche che si generavano in continuazione.
I coach nascosti tra i loro atleti impartivano le ultime direttive. Puntavano soprattutto a
rinforzare la base emotiva, ricordando loro quanto avevano accuratamente preparato durante
la settimana e come, quindi, dovevano essere pronti ad affrontare l’avversario nelle migliori
condizioni mentali.
Dopo l’urlo di autoincitamento, i capannelli dei giocatori si dipanarono e lo spiccher recitò il
rosario delle formazioni. Quelle ampiamente previste. Per Portoland scendevano in campo Gibi,
Lupo, Vetrilli, Lievito e Hansel. Per Midialand, Moro, Biondini, Chiari, Ombra e Lucy.
Nel salto a due Hansel contro Lucy e primo possesso per i nostri. Gioco molto nervoso e carico
di tensione con numerosi errori (banali e non provocati) da una parte e dall’altra. Arbitraggio
decisamente insufficiente, soprattutto per il metro di giudizio nettamente discordante: falli
chiarissimi non fischiati, carezze severamente punite. Il primo quarto, molto contratto,
metteva in evidenza Lievito per un paio di bombe e Hansel per la difesa. Lupo pareva poco in
partita, nervoso e punito dall’arbitraggio molto fiscale nei suoi confronti. Forse avevano
studiato a video il suo gioco e la sua tendenza alla provocazione dell’avversario. Vetrilli
faticava con il suo uomo, molto veloce anche se non convincente nelle conclusioni.
Basilio dalla panchina non si stancava di fornire indicazioni ai suoi, ma la sua voce era
sommersa dal frastuono del palazzetto che pareva una bolgia dantesca. Lo strapotere sonoro
dei midialandiani era talmente schiacciante che, ad un certo punto, Basilio fece un gesto di
stizza e si accasciò, muto, in panchina.
Il primo parziale indicava la squadra di casa avanti di quattro punti, ma la cosa più grave era
Lupo e Hansel gravati di due falli a testa. Uno a Vetrilli e uno a Gibi. Lievito per fortuna
nessun fallo, ma il suo avversario aveva messo dentro quattro punti più di lui.
Le tre ragazze non si stancavano di sostenere la squadra, come d’altronde facevano anche gli
ultras, la cui voce, purtroppo, non riusciva a giungere sul parquet, tanto che sembrava che gli
spettatori fossero tutti degli altri(com’era anche la verità, peraltro). Solo il rullo dei tamburi
riusciva a superare la cortina sonora e far capire ai giocatori che non erano soli.
Il secondo quarto vedeva in campo Cortez al posto di Lupo e ci si rese subito conto che le cose
avevano preso una piega differente. Hansel inoltre aveva preso le misure a Lucy e,
degnamente servito dentro, dimostrava tutto il suo valore. La partita stava decollando per i
nostri colori tanto che il clamore degli astanti era decisamente scemato, lasciando quindi
percepire con nettezza il sostegno degli ultras portolandiani. Una iniezione di grinta per i
nostri che parevano volare, adesso. I falli tuttavia rischiavano di compromettere il regolare
prosieguo della partita. Erano state fischiate complessivamente quindici penalizzazioni ed
entrambe le squadre avevano dovuto ricorrere pesantemente alla panchina, e quella di
Midialand era decisamente più lunga. Brodetto aveva fatto la sua apparizione a tre minuti dalla
fine del secondo quarto a seguito del terzo fallo di Hansel. Un urlo si levò dalla tribuna in un
attimo di silenzio, tanto che tutti (si fa per dire) si girarono in direzione della ragazza bionda
dalla quale era partito. Non fu il migliore degli inserimenti, con un paio di palle perse
malamente e un attacco deficitario. Lievito, per fortuna continuava il suo bombardamento,
consentendo che Portoland mantenesse la testa avanti di dieci lunghezze. Merito anche della
difesa arcigna di Vetrilli e Cortez, mentre Gibi, nemmeno lui brillava quel pomeriggio.
Il fischio della sirena sentenziò la fine del secondo quarto e l’inizio dell’intervallo lungo. Le
squadre imboccarono il tunnel degli spogliatoi e gli spettatori ne approfittarono per alzarsi,
sgranchire le gambe e scaricare la tensione.
Giulia colse il momento per chiamare casa e sincerarsi delle condizioni del padre. Gli avrebbe
voluto dare anche il risultato positivo fino a quel punto, anche se la partita non era certo
terminata e l’esito non scontato.
La madre le rispose che il papà era stazionario e alternava momenti di quiete ad altri di
concitazione e soffocato delirio. Aveva risentito il medico che le aveva ripetuto di aver
pazienza, che non c’era altro da fare che aspettare fino alla sera, quando si sarebbe potuto
avere un quadro più preciso della situazione.
Giulia era anche tentata di riferire alla madre della presenza di Tizio in panchina, ma poi si
rese conto che da lei non poteva avere alcuna risposta o spiegazione. Chiuse la telefonata e
rimase a guardare il telefono come sperando che quello le chiarisse la situazione. Sentiva che
qualcosa non stava andando nel verso giusto. Ma cosa, si chiedeva. Le due amiche si erano
dirette al bar chiedendole se desiderava una bibita o altro. Così dopo il telefono si trovò a
cercare la panchina e a ripercorrere le immagini che l’avevano colpita. Tizio non c’era. Se lo
spiegò senza difficoltà. Quando cominciarono a rientrare in campo gli atleti per il mini
riscaldamento, e la panchina riprese la sua versione definitiva, era evidente il posto vuoto
accanto al fisioterapista fin lì occupato da Tizio. Presa da una smania di certezza si rivolse
alle compagne chiedendo conferma e loro, stranamente, confessarono di non averlo visto, mai
visto in quel pomeriggio. Sicuramente in panchina non c’era mai stato.
-E che motivo poteva avere per esserci?- le chiesero.
- Ma..all’inizio.. prima dell’inizio della partita vi ho fatto la stessa domanda, cioè no, non
proprio la stessa, e voi non m’avete detto che non c’era...- Scusa, ma con la bolgia che c’era forse non abbiamo capito bene la tua domanda, ci dispiaceammise Gina – No, Tizio non c’è. Perché, tu l’hai visto? dove?- No, no..probabilmente avete ragione voi. Mi sono sbagliata di sicuro- mentì, certa di quello
che aveva visto e soprattutto di quegli occhi innaturali..
- Oramai è fatta. Si è incattivito il sangue per nulla. Caro il mio presidente, il destino è
segnato.. vede? Io mi posso sollevare da terra- e per un attimo restò sospeso, senza alcun
aiuto esterno, per ritornare poi nella primitiva posizione, quella del tuffo rovesciato carpiato.
Il vento impetuoso gli agitava e gonfiava la camicia, ma lui non traballava, mantenendo un
aplomb perfetto. Il presidente, al contrario, non appena faceva il gesto di alzarsi dal sasso sul
quale era seduto rischiava seriamente di perdere l’equilibrio.
- La partita sta andando bene. Si vince di dieci a metà tempo. Ma vuole rovinare tutto? La
fatica mia e quella dei miei amici non conta nulla? Anche il mio Signore che si è speso per
farmi questo favore, anche lui deve essere mortificato?- Perché dici tante scelleratezze, parli di Signore, di amici..per me di Signore ce n’è uno solo e
non è certo quello dei tuoi amici.. anche se penso che si sia dimenticato di me. E io di Lui- Ah ah ah ah- sghignazzò Tizio che cominciava a sentire aria di vittoria su tutti i fronti.
Questa volta fece un passo avanti e si parò a meno un metro dall’uomo seduto sul sasso il cui
capo non superava la cintola di chi stava in piedi.
L’uomo seduto con un movimento repentino si avvinghiò alle gambe dell’altro che, sorpreso da
questa reazione inattesa, cadde a terra incastrandosi con la testa tra due sassi.
Il terzo quarto non iniziò nel migliore dei modi. Dopo meno di un minuto a Hansel fu fischiato il
quarto fallo e Basilio fu costretto a richiamarlo in panchina. La sua assenza si fece
immediatamente avvertire e Lucy ne approfittò per spadroneggiare sotto i tabelloni
prendendo preziosi secondi tiri. In poco tempo il vantaggio accumulato da Portoland svanì e,
sostenuta da un tifo esagerato, Midialand cominciò a volare portandosi sul più otto. Diciotto a
zero, il parziale. Basilio fu costretto a chiamare due time out nei primi cinque minuti per
cercare di mettere ordine mentale tra i suoi. Ispirato dalla pazzia gettò sul parquet il giovane
Figuri, arrivato a Portoland con la fama del cecchino, ma mai dimostratosi tale in tutto il
campionato. Lievito aveva le polveri bagnate, come spesso gli era accaduto nel secondo tempo
e le sue percentuali erano cadute vertiginosamente. Così lo fece rifiatare. Anche Cortez aveva
perso lo smalto difensivo e Gibi galleggiava, mentre Lupo..purtroppo quella non era la sua
giornata, maledizione.
Tizio si riprese lentamente dal duro colpo subito in testa contro i sassi e minacciò
apertamente il suo antagonista di buttarlo di sotto, ben sapendo che non era questo il suo
obiettivo. Ma la testa doleva molto, anche a lui, anche se lui...Infatti era ancora un incerto. In
termini lavorativi si sarebbe definito uno in prova e quindi senza tutti i diritti di quelli assunti
a tempo indeterminato. E ci contava di poterlo essere presto, magari quel giorno stesso.
La mossa di Basilio diede i suoi frutti e il ragazzo, Figuri, non considerato dagli avversari sulla
base delle statistiche, inquadrò il canestro per tre volte di fila riducendo in un amen il passivo
e soprattutto spostando l’inerzia della partita a favore di Portoland che riuscì a chiudere il
quarto a più sei. Basilio, al rientro dei suoi in panca per il riposo breve, dimostrò loro tutta la
sua soddisfazione e la netta convinzione che ce l’avrebbero fatta. Anche i ragazzi se lo
sentivano. Certo che Midialand non era di sicuro la squadra remissiva e menefreghista che si
era fatta trascinare nel gorgo della retrocessione. Chissà cosa era stato promesso ai giocatori
per la vittoria, se adesso si battevano come dei leoni. Un vero spareggio tra due squadre
toniche e motivate, con giocatori di assoluto valore. E questo era il commento dei telecronisti
di Tele Sud che irradiava la partita in diretta per gli abbonati.
Quarto e ultimo quarto (si spera). Hansel ritornava in campo con la formazione iniziale e con
Lupo schiumante di rabbia per la brutta prestazione di quel giorno.
Sembrava proprio che il risultato fosse oramai segnato. Da più sei di passò a più dieci e fino a
più dodici al quarto minuto. Poi successe il patatrac. Quinto fallo di Hansel, autore di una
prestazione maiuscola, intristita dalle vessazioni arbitrali che non gli avevano fischiato
praticamente nulla a favore nonostante le clamorose trattenute di Lucy e del suo cambio Grey
(un nero naturalizzato l’anno prima, non si sa bene come e perché).
Lupo si riscosse e infilò un paio di canestri da due. Brodetto fu consigliato dal coach a stare
staccato dall’uomo per non dare motivo ai grigi di fischiargli contro, avendo anche lui quattro
falli. Ma gli esterni di Midialand cominciarono a bombardare la retina e a due minuti dal
termine avevano solo quattro punti da recuperare.
Tizio, rimessosi in piedi e in sesto continuava nella sua opera passeggiando avanti ed indietro e
istigando e provocando l’uomo seduto davanti a lui. Inavvertitamente gli girò le spalle e
percepì l’aggressione solo quando oramai il vuoto era sotto i suoi piedi. I due avvinghiati
stavano precipitando nel baratro e toccarono il suolo, trecento metri sotto, dopo pochi, ma
interminabili secondi.
Un urlo straziante partì dal petto di Giulia quando vide ricomparire Tizio e sedersi sorridente
al suo posto in panchina. Ruotare la testa verso di lei e colpirla con quegli occhi innaturali, che
emanavano una luce violenta che si insinuò in lei come un dardo infuocato.
Le amiche la guardarono, ma non si sorpresero più di tanto perché gli avversari avevano
segnato il canestro del meno due a dieci secondi dalla fine e i nostri avevano sbagliato la
rimessa da fondo campo. Poteva anche finire male, nonostante tutto.
Solo Tizio sorrideva.
Nel letto di casa l’uomo finalmente si era quietato.
ULTIMO CAPITOLO, PRIMA DELL'EPILOGO
Avanti Portoland di due punti.
Mancavano cinque secondi: il play di Midialand, ricevuta palla, andò in serpentina, fece
l'arresto e, ad un secondo dalla fine, tirò da tre.
La sorte. La sorte, che si diverte a beffare i migliori.
Il tiro era corto: la palla prese il primo ferro, e si innalzò a candela.
I diecimila spettatori intuirono quello che stava per accadere.
Col fiato sospeso seguirono la palla che, dopo essere salita fin oltre il tabellone, cominciava
inesorabile a scendere dritta nel canestro.
Giù, giù, verso la vittoria di Midialand.
Però non tutti accettano il destino senza rassegnarsi.
Quando la palla stava per entrare, si vide Brodetto alzarsi come mai aveva fatto, e la sua
mano spazzarla via.
Sirena.
Vittoria per Portoland?
Prima che i suoi tifosi potessero esultare, si vide il primo arbitro alzare le due mani, con le
dita a segnare il canestro da tre dato valido per interferenza illecita.
Si scatenò la bolgia. Tutti i presenti, esclusi naturalmente i cinquecento tifosi di Midialand,
intonarono il coro: " Venduto! Venduto! "
Cerchiamo di capire cosa successe allora presso il tavolo.
Mentre il primo arbitro segnalava la validità del tiro, il secondo la negava.
Fra i due si evidenziò una contesa feroce.
Il secondo arbitro diceva: " La palla ha colpito il ferro, e poi è stata allontanata. Quindi,
interferenza valida. "
" Il primo ribatteva: " E' stata toccata prima che battesse sul ferro nella discesa. Quindi tiro
valido."
" Ma cosa c'entra? Dopo che ha toccato una volta il ferro, può essere spazzata via."
Vistosi contraddetto a ferrea norma di regolamento, il primo arbitro ricorse ad un turpe
espediente: " Il difensore si è appoggiato alla struttura, e questo non è concesso. Canestro
valido da tre."
Impossibile, per l'altro grigio, smentire l'affermazione del collega, anche se menzognera.
Ma a quel punto scattò un lampo di genio, per colui che si rifiutava di diventare complice di un
furto evidente.
" Un momento - disse infatti il secondo arbitro: - Il tiro era da due, perché ho visto un piede
sull'arco."
Tombola! Se non poteva smentire l'altro, che affermava di aver visto un appoggio non lecito,
nemmeno lui poteva essere smentito quando affermava di avere visto il piede sull'arco.
Bugia contro bugia, a fin di bene.
Certo, significava tempo supplementare. Ma almeno era evitata una sconfitta immediata ed
ingiusta a Portoland.
Le tifoserie delle due squadre avevano intuito cos'era successo, ed iniziarono ad insultare
ognuna l'arbitro che era avverso.
Le cose si stavano mettendo male assai: c'era il pericolo di scontri fra le tifoserie opposte.
Fu allora che il presidente di Portoland ebbe un'idea geniale.
Andò verso la tribuna dove si erano sistemati i RAVANELLI, una fazione che univa al tifo il
gusto per i piaceri carnali, e pregò loro di esporre uno striscione fino a quel momento tenuto
arrotolato proprio su sua richiesta.
I ravanelli si consultarono, ed accettarono il contrordine.
Sullo striscione c'era la scritta " GNOCCA PURA SENZA PAURA - NOI VOGLIAM LA FICA
OGNORA."
Ci fu un attimo di silenzio.
Poi, improvviso, esplose il boato dei diecimila presenti, e le due tifoserie eseguirono in
perfetto accordo la ola.
Il pericolo dello scontro era passato..
Finalmente, tutto fu pronto e sufficientemente tranquillo.
Cosa pensavano intanto i due arbitri?
Il primo: " Se il mio collega crede di fermarmi, si sbaglia. Fischierò tecnico per ogni fallo su
Midialand, ed una serie di infrazioni di passi, palla accompagnata e secondi in area."
Il secondo: " Quel corrotto schifoso fischierà ogni serie di falli inventati. Quindi, per amor di
giustizia, devo essere ingiusto e fare altrettanto, a costo di rimetterci la carriera. "
Da quel momento, iniziò il supplementare più assurdo della storia della pallacanestro.
Ogni volta che un giocatore palleggiava, gli veniva fischiata un'irregolarità.
Ogni volta che uno difendeva, gli veniva dato tecnico.
Fra i sostenitori di Portoland, si distinguevano i METEORITI.
Si chiamavano così, dal nome del loro capo e fondatore.
La loro specialità era quella di fiondarsi giù per le scale come un sol uomo ad ogni fischio
arbitrale palesemente assurdo contro la squadra di Portoland.
In quel tempo supplementare, fecero complessivamente ventisette discese.
Benché fossero tutti ancora abbastanza giovani e ben allenati, verso la ventesima volta
cominciarono ad avere il fiatone.
Dopo la ventisettesima, non facendocela più, decisero che era meglio fotografare la
situazione. Ecco perché abbiamo testimonianze così precise del finale.
Nel giro di due minuti, la squadre si ridussero a tre giocatori ciascuna.
Uscito Lupo per cinque falli - dopo aver messo a segno cinque personali su sei - erano rimasti
Gibi, Brodetto ed un giovanissimo.
L'altra squadra aveva solo due giocatori, ma anche Gibi dovette uscire.
Punteggio in parità, a rischio di ulteriore supplementare.
Palla da rimettere, a due secondi dalla fine, in mano al giovanissimo di Portoland.
Ora, pochi sapevano che il ragazzo era stato due anni negli U:S:A. Lì aveva giocato in una
squadretta di football americano, nella quale aveva il compito di effettuare i lanci lunghi della
palla ovale, in cui era bravissimo..
Brodetto corse verso il canestro avversario. Partì il lancio, altissimo, sopra il canestro.
Brodetto si alzò ancora una volta, arpionò la palla, fece la finta di schiacciarla,e, dopo il salto
a vuoto dell'avversario, l'appoggiò al tabellone, con la sirena che suonava mentre la palla
toccava il ferro e ANDAVA DENTRO.
F I N E DELLA PARTITA
NOTA D'AUTORE
Forse avrete detto: ha vinto Portoland.
NO: ha vinto la mafia.
La mafia, che è arrivata di soppiatto nella cittadina, sviluppando attività agricolo-commerciali,
la mafia, che ha allungato la mano sul basket femminile, la mafia, che prima ha corrotto un
arbitro in campionato per far vincere Midialand, poi ha favorito Portoland in cambio di un
favore per agevolare l'espansione internazionale, e nella finale ha di nuovo corrotto un arbitro
per favorire di nuovo Midialand.
La mafia, che ha vinto DUE volte, se è riuscita a far sembrare normale anche ad una persona
sostanzialmente onesta come Tizio tutta la manovra per avere una legge a favore, con la
compensazione che sappiamo.
Perciò, se il cittadino in veste di tifoso può essere soddisfatto, il cittadino in quanto tale
dovrebbe essere inorridito: la MAFIA è entrata nella quotidianità come le particelle sottili
sono entrate nelle città, avvelenandoci senza che le possiamo vedere ( o che le VOGLIAMO
vedere).
Il dottor Poeti, presidente della squadra di Portoland, venne chiamato al telefono dalla figlia
Giulia:
" Paparino, ce l'abbiamo fatta! Brodetto ha messo dentro la palla della vittoria! Siamo salvi! "
Dall'altra parte, silenzio.
" Ma papy, non mi dici nulla? Non sei contento? "
" Contento? Beh, sì, certo che sono contento...." il presidente non voleva deludere il suo
tesoro.
" Ma paparino, mi sembra di averti dato la notizia di una disgrazia."
" No, no, è che....vedi, comincio a riprendermi appena adesso....fai le congratulazioni a tutta la
squadra, a Basilio, al tuo Lupo......"
" Non te la senti di venire di persona? Qui ci sono due o trecento tifosi che stanno
inneggiando anche a te."
" Venire lì? No, scusami Giulia, ma mi reggo appena in piedi."
" La mamma è ancora con te? Non potrebbe aiutarti? "
Il papy rispose sottovoce: " La mamma è sotto la doccia. Mi tratta gentilmente, sai?
Forse.....non voglio dire altro, ma, chissà.....però non mi sento di chiederle di
accompagnarmi...Conosci anche tu le sue opinioni sulla squadra...e poi, prima di un paio d'ore
non potrei essere lì."
" Va bene, papà, hai ragione. Preparati per la conferenza stampa di domani, allora."
" La conf.....eh, già, bisognerà fare anche quella.....va bene, Giulia. festeggia tu, intanto."
" Ci puoi scommettere! A stanotte, allora...anzi, a domani mattina....dai Lupo, aspetta un
attimo, non vedi che sto parlando? Sì, lo sai che muoio per te....."
" Pronto, pronto, cosa dici? Non capisco."
" Niente, papy, c'è qui Lupo che.....a domani, ciao." Giulia spense il telefonino. " Ma dai, Lupo,
cosa vuoi fare? Ci guardano tutti! No, le mani sotto la gonna, dopo.....mi fai morire...ti prego,
amore, sai che non resisto se mi fai così...RAGAZZE! Ci vediamo più tardi....Noi andiamo in
albergo a fare una doccia.....( Lupo, basta! Sono tutta bagnata! ) "
Mentre cercava invano di resistere alle avances di Lupo, Giulia si ricordò improvvisamente
degli occhi di Tizio......che occhi....si sarebbe detto che...ma no, stava sognando....eppure, c'era
qualcosa di......ah, ecco, adesso ricordava...un paio d'anni prima aveva letto " Il maestro e
Margherita ", di Bulgakov, in cui il demonio scendeva sulla Terra sotto mentite spoglie......ed
anche in un altro libro, " La trilogia del riscatto ", di cui non ricordava l'autore, il diavolo
cercava di inserirsi nelle vicende umane..
Improvvisamente collegò quelle sensazioni con il misterioso comportamento del padre:
possibile che....no, ma cosa le veniva in mente...eppure, il presidente si era comportato proprio
come se avesse visto il demonio. Ma che c'entrava con la squadra?
E se invece ci fosse stato un nesso?
EPILOGO
La conferenza stampa inizialmente prevista per la tarda mattinata fu posticipata, all’ultimo
momento, alle diciotto a causa dell’indisponibilità della sala del Palazzo delle Fiere, che da
sempre aveva ospitato la presentazione della squadra ad inizio stagione e tutti i momenti
ufficiali.
Il presidente (ma ancora per quanto? Pensava lui e anche la Marisa che ne aveva le scatole
piene di quell’agonia prolungata, risolta per il rotto della cuffia sul tardi del giorno
precedente) fu estremamente contento di quell’insperato contrattempo che si augurava molto
egoisticamente fosse non superato (ma perché? Tanto non si poteva evitare...oddio in verità
sì, ma necessitava, per quanto lo riguardava, la sua dipartita e, dopo la paura del giorno prima,
non era per nulla il massimo. Una morte rapida,indolore, se fosse stato proprio necessario..).
Il riposo dell’ultima parte della notte l’aveva un tantino rinfrancato, anche moralmente. In
fondo la squadra aveva vinto, si era battuta e aveva superato la prova contro tutto e...tutti....
Si bloccò arrivato a quel punto del ragionamento, perché un rivolo malsano gli si stava
riversando addosso sporcandogli nuovamente l’animo. Con un gesto della mano sul risvolto della
giacca cercò di pulire questa lordura che gli emergeva dal petto, cercando di convincersi che i
sogni possono, al massimo, essere incubi, ma nulla più.
- Che storia assurda, meglio che non la racconti a nessuno, se no mi prendono per matto. Sono
convinto che si è trattato solo di un segno, per confortarmi che faccio bene a mollare. Non fa
per me inciuciarmi con gente che non conosco, sponsor magari stranieri...ma che sto dicendo,
porca eva, nessuno mi ha detto di sponsor stranieri... eppure lo so...il sogno..Tizio..ecco dove
l’ho sentito. Meno male. Niente di vero, quindi. Ma è lo stesso, comincio a straparlare, meglio
che il mio impegno si chiuda oggi. Ecco, scriverò la lettera di dimissioni che annuncerò proprio
stasera. E farò anche bella figura! Mollare quando è stato raggiunto il risultato. E’ il massimo ..
Noblesse oblige..(anche se non c’entrava nulla gli piaceva quell’espressione così esotica..).
Perfetto. Proprio così.Gonfiò il petto in un respiro rotondo di piena soddisfazione per le camere d’aria personali e si
sedette al tavolo da lavoro per assolvere a questa fondamentale incombenza.
Giulia, rientrata prestissimo la mattina di lunedì, ebbe solo il tempo di un succinto riposo
restauratore prima di subire l’ennesimo rimprovero non pronunciato dalla madre che, già da un
paio d’ore, stava smacchinando in casa per porre rimedio alla settimana di incolpevole assenza.
Spinse sul tavolo la tazzina del caffè nella sua direzione riuscendo, non si sa come, a non farla
rovesciare (i miracoli non sono solo quelli che riguardano la sfera della salute) e non aggiunse
nemmeno un sibilo, anche se era ritornata velenosa come una serpe. Non era cambiato
veramente nulla, pensò la ragazza. Per fortuna o per sfortuna?
In città la performance sportiva era la notizia del giorno, ovviamente, per il risalto mediatico
offerto dalla ripresa televisiva, anche se criptata. La gente era convinta che ormai in tutta la
Nostria si parlasse di Portoland, mentre non sapeva che ben pochi erano stati gli spettatori
televisivi a sud del Rubicondo. Si trattava, come già anticipato, di un test per un affare di
stato di cui il popolino suddito non poteva e non doveva nemmeno intuire l’importanza.
Un modo di valutare, questo, che stava prendendo sempre più piede nella nuova Dirighentzia,
una prova tecnica in scala reale.
Il cellulare del presidente suonò diverse volte quella mattina. Tizio. Lo spense, non voleva
parlargli, nemmeno sentire la sua voce. La cosa lo metteva a disagio. Ma non riusciva a
scacciare quelle visioni, quell’incubo..Era davvero un tarlo che gli si era insinuato dentro e che
lo risvegliava continuamente. La sensazione di benessere che l’aveva accolto al risveglio si
stava inesorabilmente consumando, per lasciar posto alla sofferenza che lo faceva riandare a
ritroso, e questo viaggio gli dava dolore continuo.
Era riuscito, dopo lunga fatica, a concretizzare la lettera di dimissioni, che altro non era che il
suo testamento morale. L’aveva riletta con attenzione apportando le inevitabili limature,
ripensamenti, sinonimie, neanche si trattasse di una questione di vita o di morte, caspita.
Uscì in strada e si incamminò verso casa, lontana non più di mezzo chilometro, come faceva
d’abitudine. Si sentiva inquieto. Forse la batosta del giorno addietro non era stata superata
ancora ed era quella la causa della leggera vacuità di testa che si sentiva, tanto da temere di
perdere l’equilibrio. Oltre a questo aveva la netta sensazione che qualcuno o qualcosa lo
seguisse. Ma la strada era deserta e, siccome era anche dritta, poteva essere certo che non vi
fosse alcuno dietro di lui. Alzò persino la testa per guardare in alto, in aria, con risultato
ovviamente negativo.
Era oramai arrivato a poca distanza da casa quando notò Tizio appoggiato al muro qualche
decina di metri davanti a lui, sul medesimo lato del marciapiede.
Di colpo, istintivamente, si bloccò e gli venne una sorta di paralisi momentanea del tronco
superiore. L’uomo gli sorrideva. Non si muoveva. Non diceva nulla. Sorrideva soltanto. E lo
fissava, mentre sorrideva.
Il presidente si sentì mancare e per non cadere si aggrappo' alla recinzione metallica al bordo
interno del marciapiede, mentre la vista gli si oscurava. Riuscì a non mollare la presa.
Riacquistò lentamente padronanza di sé, ma evitò di sollevare la testa. Quando si sentì
rinfrancato abbastanza osò alzare lo sguardo con trepidante lentezza e vide, sì vide, che
davanti a sé non c’era nessun Tizio né nessun altro.
-Che sia come con gli ufo?- Si chiese.- Visioni. Ora però sto esagerando tra incubi onirici e
visioni a occhi aperti. Non sto bene. No. Per niente.E rimase in quella posizione, fermo, fino a quando non fu assolutamente certo che nessun altro
Tizio gli intralciasse la strada verso casa.
Ma la via crucis non era ancora conclusa perché il folletto(?) se lo trovò di nuovo davanti,
seduto sul pilastro del cancello del suo vialetto.
- Questo pomeriggio ci sarà da divertirsi- attaccò – non le anticipo nulla, ma si tenga prontocontinuò – Dai, provi adesso a buttarmi giù, se ce la fa, dai ci provi. Ieri mi sono distratto,
ma ora sono in vigile attesa, non ce la farà. Mai- lo provocò.
L’altro questa volta non abboccò. Strinse i pugni, mantenne la testa bassa, abbrancò la
maniglia del cancelletto pedonale, stronzo stronzo stronzo stronzo ripeteva dentro di sé
mentre si allontanava dalla tentazione.
- Ehi, ehi, amico, un po’ di rispetto. Ma che parole..lo sa che non si dicono, vero?-lo schernì. Il
presidente non si girò. Con la mano mimò efficacemente il concetto che voleva esprimere nei
confronti di lui, ma va’...
Appena entrato in casa corse alla finestra della cucina per controllare se il pilastro del
cancello fosse single o meno. Era single, e la cosa lo infastidì ancora di più.
La Marisa notò immediatamente la cera appassita del marito e, collegandola con il malessere
del giorno precedente, non gli chiese nulla. Nemmeno lui ne voleva parlare e perciò non
profferì verbo su quegli avvenimenti persecutori di difficile spiegazione in termini razionali.
Non voleva passare per visionario e cioè carente di salute mentale.
Allora si ingegnò altrimenti per placare sul nascere ogni eventuale prurito di curiosità. Le
parlò delle dimissioni e volle a tutti i costi, e contro la sua volontà, leggerle la lettera che
aveva preparato.
Ne ottenne un risultato non proprio lusinghiero per lui, in quanto, contravvenendo ad ogni
logica, lei biasimò, senza mezze misure quel colpo di testa, come ebbe a definirlo.
Il marito rimase basito e interdetto. Possibile che avesse frainteso il significato di tutte le
rimostranze e rimproveri rovesciatigli addosso in quegli anni con cadenza giornaliera?
No, non aveva frainteso. La Marisa aveva però realizzato che ce l’avrebbe avuto tra i piedi
molto più a lungo e quindi aveva deciso per il male minore. Il mantenimento dell’incarico.
Questa volta, tuttavia, il marito volle dimostrarsi fermo, finalmente autodecisorio e concluse
con un pugno sul tavolo ed una parolaccia. Basta. L’avrebbe finita lì, quella sera stessa. Oh!
La sala riservata per questi avvenimenti, considerati dall’Amministrazione come “minori”, avrà
avuto sì e no un centinaio di posti costituiti da comode poltroncine di velluto azzurro che
cominciavano a mostrare qualche segno di stanchezza, soprattutto sugli schienali. Le hostess
del Palazzo delle Fiere aprirono le porte verso le diciassette e trenta e in un batter d’occhio i
posti disponibili, quelli non riservati cioè, furono occupati da una folla festante, ansiosa di
conoscere le grandi novità che qualche sconsiderato aveva preannunciato, con la preghiera, mi
raccomando, di non dirlo a nessuno..
Il tavolo delle autorità societarie era professionalmente apprestato con bicchieri e
bottigliette d’acqua, sia naturale che gasata. Non era tuttavia stato previsto nessun sistema
di amplificazione per gli oratori, come di consuetudine, ma era stata sottovalutata la
partecipazione popolare e soprattutto la sua disubbidienza al silenzio. Speriamo in bene,
concluse la responsabile poco prima delle diciotto. Ma dovette ricredersi quasi subito e
procurare un microfono.
Le prime due file si potevano definire un “parterre de roi”: Autorità, civili e militari, religiose
e sanitarie, tra le quali dovevano trovare posto anche i personaggi di rilievo societario, ma
fuori organigramma. Ricciolone, Tizio e un altro tipo, mai visto prima, ma di grande
bellezza ..che emanava grande bellezza, anzi. Infine i giocatori e l’allenatore, più
fisioterapista e preparatore atletico.
Nei due corridoi laterali presero posizione le telecamere delle tv locali e i cameraman stavano
settando i parametri per l’ottica.
Sul tavolo degli oratori erano previste quattro sedie: presidente, vice presidente anziano,
sponsor e ...il quarto non era stato occupato. Evidentemente era disponibile qualora qualcuno
del pubblico avesse voluto prendere la parola, avendone titolo o avutane facoltà.
Il presidente, che si era intrattenuto nel foyer con il sindaco, lo sponsor avvocato Della Carta,
e il Comandante, mostrava chiaramente il suo stato di tensione non giustificato con la natura
dell’avvenimento, ma con il malanno ancora fresco, come spiegò con dovizia di particolari. Ma
loro, gli altri, non potevano minimamente immaginare il suo travaglio interiore.
-Finalmente-. si disse-, si comincia, sono le sei. Dai che facciamo in fretta, una mezzoretta e
poi posso tornare a respirare. Basta casini, basta visioni. ‘Affanculo tutti. Le mie dimissioni
saranno la vera sorpresa!- concluse con malcelata soddisfazione.
Si accomodò al suo posto e nell’attesa che la sala si equilibrasse e si assestasse ebbe il tempo
per un giro d’orizzonte sul pubblico. Riconobbe molte persone, quelle maggiormente attaccate
alla squadra e alla società. C’era persino un affezionato sostenitore che veniva da Lavinio, ben
conosciuto per la sua brillante ”vis retorica” e soprattutto per l’ottimismo che sapeva
trasmettere.
In fondo alla sala, tra una marea di teste ondeggianti, ebbe per un attimo la netta sensazione
di aver visto ‘O professore, quel farabutto maneggione, intrallazzatore della peggior risma..ci
sarà di sicuro anche Batard, quei due son sempre assieme..chissà se son qui solo per curiosità
o per altro...c’è sempre da aspettarsi il peggio, da quei due.. e il secondo lo conosco bene.. se lo
conosco, quell’avido..disonesto pronto a vendere sua madre per un giocatore..
Notò anche Teso e la giovane compagna che teneva in braccio un piccolino, di meno di un mese.
Di lui, gli venne in mente, gli aveva parlato Giulia circa una settimana prima. Circolava una voce
che quell’ esserino fosse un predestinato, in campo cestistico, e chi l’aveva messa in giro era
stato..Tizio..cazzo, scusate, porca miseria, sempre lui. E la sua ansia riprese a galoppare,
soprattutto quando vide proprio Tizio che, piegato su quella testolina , con la mano faceva dei
segni strani sulla fronte del bimbo.
E la mamma non dice nulla! Si spaventò grandemente e preso da un panico controllato si piegò
lateralmente verso il suo vice. Coprendosi la bocca con la mano lo pregò di guardare in quella
direzione e verificare cosa stesse facendo Tizio. Quasi cadde dalla sedia quando si sentì
rispondere, con molta meraviglia da parte di quello, che davanti al bambino non c’era nessuno e
che Tizio stava seduto in prima fila. Ovviamente non insistette, perché non aveva ancora perso
il lume della ragione ed aveva capito che era meglio non far trapelare nulla. Tizio infatti era
tranquillamente seduto due file avanti alla mamma con bimbo. Grossi occhiali neri sugli occhi e
un sorrisetto sardonico stampato sul viso.
I giocatori e lo staff presero finalmente posto e così terminò l’agonia del presidente, o almeno
così pensava lui.
Lo spiccher del tendone, quello con la voce cavernosa da Franco Sinatra, aveva avuto l’incarico
di tenere un po’ d’ordine negli interventi, e prese la parola per introdurre, dopo aver
ricordato, qualora ve ne fosse stato bisogno, il motivo di quella conferenza stampa, dando la
parola al presidente.
- Autorità, tifosi, cari amici, ci troviamo qui per festeggiare il grande risultato agonistico
della nostra squadra, che è riuscita nell’intento di salvarsi quando tutti la davano già per
spacciata. Dobbiamo ringraziare l’allenatore e i ragazzi per averci creduto, aver lottato e
combattuto con tutte le loro forze. Il mio grande rimpianto è quello di non poter esser stato
in quel tempio del basket che è il PalaEsse, perché sono stato colpito da un’improvvisa
debilitazione, come alcuni sanno….i giocatori e l’allenatore, almeno, di questo sono certo.
Che dire a questo punto! Non mi resta che chiedere per loro l’applauso nostro e quello dei
tifosi e simpatizzanti.. Ragazzi, su, alzatevi e via, un grande applauso... bravi, braviI giocatori, evidentemente raggianti si erano girati verso la sala, e sorridenti ringraziavano
per il tributo di affetto e simpatia da parte degli astanti. Con modestia si misero a sedere
quasi subito e, ritornata la calma, lo spiccher riprese il microfono per integrare lo scarno
discorso del presidente ricordando i nomi dei giocatori. Soffermandosi sui due fratelli fece
rilevare il risvolto affettivo della vicenda, ricordando per sommi capi la storia dei due con
applauso finale. Citò uno per uno i ragazzi, anzi li chiamò ad alta voce: - Così, se qualcuno, per
caso ( ma non voglio nemmeno pensarlo) non li dovesse conoscere, questa è la volta buona
perché se li stampi in maniera indelebile nella memoria..uahu e attiverò anche l’applausometro,
caspita.. Se non è questa l’occasione giusta, perbacco!-. E cominciò:
- Gibi , the chief!- applauso prolungato
- Lupo, Pizzica(lupo), dai pizzica- applauso esagerato
- Vetrilli, che brilli- applauso sostenuto
- Lievito B. – applauso effervescente
- Cortez, el conductor – applauso convinto
- Brodetto, il concentrato – applauso fragoroso
- Hansel, l’esterese- applauso dirompente
- Figuri L., il talento emergente- applauso con sirena (una clac improvvisata, ma efficace che
voleva il premio per lui)
- Tango, vuoi danzare con me?- applauso incoraggiante
- Vitamina, per volatili soli- applauso divertito
- E per non dimenticare, perché non sarebbe giusto, gli infortunati, eroi per caso:
- Poimen, il gigante buono- applauso
- Baby, il pupone- applausino
- E come è giusto che sia, alla fine viene il meglio, il nostro piccolo grande coach, il mastino
buono, l’amico di tutti quelli che hanno gli attributi al posto giusto, ecco a voi ..... coooaachhhh
Basilioooooooooooooo – applauso sospeso per eccesso di decibel. Fuori categoria.
- Escluso dalla tenzone per mio giudizio insindacabile. Per il potere conferitomi dal presidente
nomino vincitore.. dico vittoria mai fu più meritata...mai giovine più affascinante e ricercato
dalle ragazze (e signore) per argomenti di cultura varia... vado quindi a pronunciare il suo
nome.. vince la gara con un applauso esagerato...Luuupooooo Pizzica...ma che pizzichi, ragazzo
mio, davanti a Figuri L. ( ma spiegaci cosa vuol sottintendere ‘ sta L., sei per caso parente di
Brodetto? Battutaccia...scusatelo, cortese pubblico) che ha barato per via della
sirena..complimenti comunque. Come secondo premio, una settimana di vacanza sul Gestemani,
en plein air (altra battutaccia che però fece molto male allo stomaco del presidente, ma lui
non poteva saperlo, era un segreto..suo e di Tizio). Primo premio.. niente coppa, niente
medaglia, nessun attestato, ma un bacio prolungato e profondo da parte di miss Portoland,
eletta ieri sera tra cento fanciulle, una mejo de l’altra, al Poseidon...La declamazione si interruppe di colpo perché lo spiccher fu abbattuto da una borsetta
lanciata dal fondo della sala, con invidiabile perizia balistica, da una non ben identificata
giovine che, evidentemente, aveva i suoi buoni motivi e non era di certo Miss Portoland.
La sceneggiata non si chiuse nel modo sperato dai più. Fu meglio così, altrimenti si rischiava,
andando avanti di questo passo, di buttare tutto in vacca, come si suol dire in buon nostriano.
Massaggiandosi la fronte passò quindi la parola al rappresentante dello sponsor, l’avvocato
Della Carta che ci tenne a puntualizzare una volta di più il significato del sostegno che la sua
azienda forniva alla società e che tutti avevano già avuto modo di sentire almeno una volta,
visto che il sodalizio durava da tempo immemorabile (quindici anni almeno). Poi fu la volta del
vice, il noto professionista, il sig. Delampi:
- Ritengo giusto e doveroso, visto che il presidente non lo ha fatto, lasciando a me questo
gradito incarico, di porgere il nostro grazie all’uomo della provvidenza, senza il quale non so se
saremmo qui, questa sera, a festeggiare. Un uomo che in maniera disinteressata si è
prodigato, e anche di più, molto di più, per far sì che si potessero superare difficoltà
considerate insormontabili e impossibili anche per squadre di grande blasone e potenza
economica. Un uomo che ci ha portato in squadra un talento assoluto e un principiante che con
il suo gesto atletico ha determinato il risultato. Ebbene signori, avrete tutti capito di chi sto
parlando, di quel grand’uomo e concittadino, il nostro Tizioooooo. Un grande applauso anche
per lui... Su vieni qui e dicci due parole, dai...Tizio si alzò, si tolse gli occhiali, rivolse lo sguardo verso il pubblico. Ringraziò educatamente e
avvicinandosi al tavolo ebbe l’occasione di dirigere i suoi occhi, ora non più protetti dalle lenti
scure, verso il presidente che, vanamente, cercò di evitarli. – Sei mio- gli disse- e fottuto.Avuto il microfono esordì con una nota di dispiacere per non aver potuto godere in diretta del
magnifico spettacolo:
- Cari amici, un impegno improrogabile, assolutamente improrogabile, ma importantissimo per
l’esito finale della partita, mi ha tenuto lontano dal PalaEsse. Ma la mia mente, il mio animo era
là con loro, con i magnifici ragazzi che hanno saputo porre una pietra miliare per la rinascita di
questa società che amo, come se ne fossi io il presidente- e guardò verso l’ometto che teneva
la testa bassa temendo l’aggressione.
- Ho saputo, perché me l’ha confidato lui- mentì spudoratamente – che il presidente ha in
animo di mollare-. Dalla sala si levò un mormorio di disapprovazione. Tizio tenne la parola:
- Il dott. Poeti ha amministrato la società in maniera impeccabile, mi pare, no? Adesso che
nuovi orizzonti, nuovi finanziatori sembrano interessati, anche stranieri..- e attese l’applauso
del pubblico per continuare, - .. adesso più di prima c’è bisogno di un uomo oculato, preparato,
ma soprattutto onesto, uno professionista serio come lui..( bastardo, ruggiva il presidente
dentro di sé, lurido bastardo)..Tizio continuava il suo show mediatico, ma il presidente non lo ascoltava più. La sua attenzione
era stata catturata dall’uomo bello e sconosciuto che stava proprio davanti a lui, quella
persona che non conosceva e che sedeva tra le autorità, quello di età indecifrabile, sicuro,
tranquillo che infondeva positività, solo a guardarlo. Gli ricordava l’ambient, la new age, si
sentiva leggero ben disposto sereno, ottimista. Nessuna parola. Era una sorgente di energia
tonica che lo rinfrancava. La tensione finalmente si scaricava e si rivide sulla vetta del
Getsemani, ancora con Tizio. Questa volta però seduti entrambi sulla panca a guardare
serenamente oltre il ciglio...
-...vi voglio infine annunciare- stava concludendo Tizio- il primo tassello della nuova realtà
tecnica della squadra. Il nuovo direttore sportivo, la pedina fondamentale per rifondare
(scusate il bisticcio), un nome strafamoso, un uomo che voi conoscete bene e del quale avete
avuto modo di testare le sue qualità professionali. Ebbene costui ha accettato di buon grado
questo incarico perché crede fermamente nella bontà e serietà del nostro progetto e
soprattutto nella futura forza economica del gruppo che sosterrà dal prossimo anno la nuova
società. Signore e signori ho il piacere di presentarvi....Batard.. via, un grande
applauso...direttamente da El Diablo City, mister..... Baaaaaaaatard..dai vieni qui, fatti vedere
fatti applaudire... Per gli altri tasselli dello staff è ancora presto parlarne adesso. Fra una
decina di giorni sarà sciolto anche l’altro nodo, quello dell’allenatore....–
Dalla sala si levò un urlo unanime:
-Basilio, Ba si lio, Ba si lio, Ba si lio..Tizio calmò la folla con la mano :
- Vedremo, vedremo.. nulla è ancora deciso. Certo siamo tutti grati al coach per quello che ha
fatto, per il suo contributo preziosissimo, per il suo valore.. vedremo, vedremo, certo, anche
lui è in pole position..Il presidente, ancora sereno nonostante il bell’uomo non lo guardasse più (caspita dov’era
finito?) capì, come gli aveva trasmesso Tizio poco prima, che era fottuto. Il suo progetto
pure.. Duck, Basilio..fottuti anche loro.
Ma siamo sicuri?
Il presidente, senza guardare in faccia nessuno, approfittò di un momento di rilassamento del
vincitore per estrarre la spada dalla roccia. La cosa gli venne anche bene, con naturalezza.
Si impadronì del microfono e nel silenzio generale che era sceso in sala, perché tutti avevano
capito che stava succedendo qualcosa di più del previsto.
- Sì, è vero, - disse - volevo dare le dimissioni, perché la nuova società non sarà quella che io
avrei voluto, non avrebbe dentro gli ideali che avrei voluto io. Non ho la forza per
contrappormi al male che avanza- e si interruppe per fulminare, lui questa volta, il suo
avversario – ma c’è un giovane che ha le capacità per farlo, la voglia di farlo, l’entusiasmo per
risorgere...Signori, finché questa società si chiamerà GSPortoland e io sono il presidente- e
qui batté con decisione il palmo della mano ( o il pugno?)- non si farà nulla che vada contro
l’onestà e la passione per lo sport. Perciò, ben vengano le forze nuove , ben venga un nuovo
presidente. E io, io sono orgoglioso di proporre l’uomo giusto per il nuovo, vecchio corso della
società. Signori, qui in questa sede non ufficiale, non istituzionale vi chiedo di esprimere il
vostro consenso, informale fin che si vuole, ma sempre consenso, al futuro presidente. Alzati,
fatti vedere, vieni qui di fianco a me...- aspettò che il giovane prendesse posizione al tavolo
- Ecco, cari signori, vi presento il mio candidato. Vi presento.....Duuuuuuuck...- e gli strinse la
mano. Dopo un attimo di smarrimento in sala, l’ospite di Lavinio fu il primo ad applaudire e il
suo fu un applauso contagioso, una investitura ufficiosa, ma di quelle che contano, eccome.
- Orso Poeti, a testa alta, sfidò Tizio
- Stavolta il fottuto sei tu, serpe!- Staremo a vedere..- Intanto ingoia questo rospo..bastardo-
Di fottuto ce n’è sempre uno, comunque.