Mappatura e caratterizzazione degli habitat bentonici mediante

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Mappatura e caratterizzazione degli habitat bentonici mediante
Progetto di ricerca proposto per il Dottorato di ricerca
in Scienze della Terra 28° CICLO, Università degli Studi di Roma Sapienza
Dottoranda: Martina Pierdomenico
Mappatura e caratterizzazione degli habitat bentonici mediante analisi integrata di dati geologici,
geofisici e indagini dirette dei fondali marini: casi di studio dal Mar Mediterraneo e Oceano
Atlantico Nordoccidentale
Obiettivo della ricerca
Il presente progetto propone uno studio mirato all’identificazione, caratterizzazione e mappatura degli habitat
bentonici in differenti contesti fisiografici e ambientali, attraverso l’analisi integrata di dati geofisici (batimetria
multibeam, backscatter, sismica a riflessione ad alta risoluzione) e indagini dirette dei fondali marini (campionamenti,
indagini ROV).
L’obiettivo principale riguarda la creazione di mappe di distribuzione degli habitat potenziali e di definire, in
collaborazione con gruppi di ricerca con competenze biologiche, le comunità che li popolano. Questo fine sarà
perseguito utilizzando un approccio multidisciplinare, comprensivo dello studio delle componenti abiotiche (es.
profondità, morfologie, substrato, idrodinamismo) e biotiche (organismi, comunità) che definiscono e caratterizzano
gli habitat marini. In particolare, si propone di analizzare l’influenza delle dinamiche morfosedimentarie a fondo mare
sulla distribuzione spaziale degli habitat fisici e sulla strutturazione delle comunità biotiche in differenti contesti
ambientali (canyon di Gioia-Mesima e offshore di Pantelleria, banchi Delmarva-USA).
L’analisi e l’integrazione dei dati raccolti in aree tra loro molto differenti consentiranno di:
1) definire a partire dai dati geofisici la distribuzione delle variabili abiotiche per l’identificazione degli habitat
potenziali nelle aree di studio;
2) convalidarne la presenza e i caratteri a mezzo di campionamenti e osservazioni dirette (definizione dei caratteri del
substrato e possibilmente dei popolamenti bentonici associati);
3) esaminare le relazioni esistenti tra facies morfo-acustiche (rappresentative degli habitat potenziali), discriminate
principalmente sulla base della correlazione tra dati batimetrici, backscatter e tipologia di substrato, e le tipologie di
fondale osservate, al fine di valutare l’efficacia dei parametri ambientali ricavati dai dati fisici come indicatori (proxy)
della presenza e distribuzione di determinati habitat.
Obiettivi secondari saranno:
1) valutare le metodologie e le procedure più efficaci per la definizione e mappatura degli habitat bentonici in
relazione ai dati disponibili, alla scala spaziale, al contesto batimetrico, morfologico, geologico ed ecologico;
2) verificare la presenza di habitat di particolare pregio o vulnerabilità e fornire indicazioni utili alla regolamentazione
e ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse biologiche.
Tema di ricerca e stato dell’arte
La crescente pressione antropica sugli ecosistemi marini, correlata all’intensa urbanizzazione della fascia costiera e al
sempre più intenso sfruttamento delle risorse marine, ha evidenziato la necessità di elaborare ed adottare modelli di
gestione fondati sui principi della sostenibilità ambientale, che tengano conto della conoscenza degli ecosistemi marini
e delle complesse interazioni tra processi biologici, oceanografici, biogeochimici e sedimentari che ne regolano il
funzionamento. L’approccio ecosistemico alla gestione dell’ambiente marino, considerato a livello internazionale tra
gli strumenti più efficaci per la tutela e la gestione sostenibile dell’ambiente (MESH, 2008; Cogan et al., 2009), è stato
promosso dalla Comunità Europea attraverso la direttiva quadro per la strategia marina 2008/56/CE, finalizzata al
conseguimento e mantenimento di un “buono stato ecologico” dell’ambiente marino entro il 2020; esso rientra inoltre
nelle iniziative del VII programma quadro della UE e in quelle di Horizon 2020. In quest’ottica, l’identificazione, la
caratterizzazione e la mappatura degli habitat bentonici assumono un ruolo fondamentale, fornendo una base
conoscitiva di partenza delle caratteristiche biotiche e abiotiche dell’ambiente marino e della loro distribuzione
spaziale. L’habitat, nella sua originale accezione considerato la combinazione delle sole caratteristiche abiotiche
dell’ambiente che supportano una determinata specie o gruppi di specie (Darwin 1859), viene attualmente definito,
secondo una visione ormai largamente diffusa sia in ambito scientifico che legislativo (Green et al., 1999, 2007;
Valentine et al., 2005; Dauvin et al., 2008a, 2008b; MESH 2008), come la combinazione di elementi strutturali
(profondità, luce, substrato, parametri chimico-fisici delle acque, ecc.) e caratteristiche biologiche di specie o gruppi di
specie; esso identifica quindi l’omogeneità composizionale e strutturale delle caratteristiche biotiche e abiotiche di una
porzione di territorio (delimitabile in maniera più o meno accurata a seconda degli scopi della ricerca, della scala
spaziale e compatibilmente alla risoluzione dei dati disponibili), con l’indiscutibile vantaggio di essere oggetto di
cartografia univoca.
I fondali marini sono attualmente tra gli ambienti meno conosciuti; per quel che riguarda gli habitat bentonici, si stima
infatti che solo il 5-10 % dei fondali sia stato mappato con un dettaglio simile a quello delle aree terrestre (Heyman e
Wright, 2011). Inoltre, la gran parte degli studi riguardano la fascia costiera e gli ambienti d’acqua bassa (primi 50-
100 m di profondità, es. fanerogame marine e coralligeno), diversamente dai sistemi profondi, che risultano ancora in
gran parte sconosciuti. In particolare il bacino mediterraneo, che si contraddistingue per l’elevata articolazione dei
fondali, l’alta varietà di habitat e di specie endemiche, risulta in gran parte inesplorato e le conoscenze in termini di
definizione degli habitat, funzionamento degli ecosistemi, biodiversità e risposta ai cambiamenti ambientali, sono
ancora scarse.
Lo sviluppo tecnologico avvenuto nell’ultimo decennio, in particolare delle tecniche di indagine su base acustica
(ecoscandaglio multifascio, sonar a scansione laterale, attualmente considerate la metodologia di indagine indiretta più
diffusa ed efficiente per la mappatura e il monitoraggio dei fondali marini su ampie regioni, (Mayer, 2006; Anderson
et al., 2008; Brown & Blondel, 2009), consente una definizione sempre più dettagliata e precisa degli ambienti marini.
L’individuazione, la descrizione e la mappatura degli habitat attraverso l’integrazione di tecniche geologico-geofisiche
e di analisi bio-ecologiche vengono realizzati da tempo con metodi e strategie variabili in relazione alla scala spaziale,
al contesto ambientale, ma anche per l’approccio (centrato più su aspetti biologici o geologici) e il tipo di dati
utilizzati. Numerosi sono i lavori di mappatura degli habitat bentonici lungo i fondali di tutto il mondo (Diaz et al.,
2004; Brown et al., 2011; Harris & Baker 2012 e referenze citate), nei quali la definizione degli habitat viene
tipicamente condotta integrando dati di natura fisica con osservazioni biologiche al fine di individuare una serie di
combinazioni di caratteristiche ambientali che descrivano in maniera coerente la struttura e le funzioni degli habitat
identificati (Fig.1). Questi vengono spesso classificati utilizzando schemi differenti, talvolta sviluppati ad hoc per
l’area di indagine. La mappatura degli habitat prevede una serie di attività consequenziali di acquisizione e analisi dei
dati geofisici e svolgimento di indagini dirette (fase di ground-truthing) volte a convalidare le evidenze derivanti dai
dati indiretti e fornire indicazioni circa la componente biotica, seguita dall’integrazione dei dati.
Figura 1. Schema che illustra le principali fasi
nella creazione di una mappa degli habitat
bentonici; esse comprendono l’analisi e
l’integrazione
di
informazioni
sulle
caratteristiche fisiche dei fondali (derivanti da
tecniche di indagine indiretta a copertura
totale) con le informazioni ottenute da
campionamenti e osservazioni dirette (a
carattere puntuale). Gli obiettivi dello studio e
soprattutto la tipologia e la risoluzione dei dati
disponibili determinano la scala spaziale degli
habitat potenzialmente discriminabili.
Secondo Brown et al. (2011) la maggior parte delle strategie utilizzate con successo nell’ultimo decennio per la
produzione di mappe degli habitat possono essere ricondotte a tre tipologie prevalenti: a) potential habitat o seascape
mapping, nel caso in cui le combinazioni di fattori ambientali, relazionabili alla presenza di comunità differenti,
vengono identificati esclusivamente su base fisica (generalmente in studi a larga scala, dove i dati di groundtruth e le
informazioni sulla componente biotica sono scarsi o assenti); b) strategia top-down, la più diffusa ed utilizzata,
prevede la classificazione indipendente dei dati fisici e di groundtruth e la successiva integrazione per stabilire le
relazioni esistenti tra gli habitat definiti su base fisica e le comunità identificate; c) la strategia bottom-up,
diversamente dalla precedente, parte dalla classificazione delle comunità bentoniche, mentre la segmentazione in unità
spaziali dei dati fisici viene effettuata successivamente sulla base della correlazione con le comunità. Sebbene a livello
concettuale quest’ultimo approccio si avvicini maggiormente ad una definizione di habitat che tiene conto
distribuzione degli organismi in relazione ai fattori ecologici, la realizzazione della strategia bottom-up necessita di
una mole cospicua di osservazioni dirette e complessi metodi di analisi statistiche, e allo stato attuale risulta ancora
poco utilizzata.
Ad ogni modo, l’analisi della correlazione spaziale tra le comunità osservate (classificate sulla base di schemi esistenti
o tramite analisi statistiche) e i parametri ambientali ricavati dai dati fisici a copertura totale consente di utilizzare
questi ultimi come validi indicatori (proxy) della presenza e distribuzione delle comunità biotiche associate a
determinati habitat. Lo sviluppo di metodologie integrate per lo studio e la mappatura degli habitat rappresenta un
campo in espansione, soprattutto in relazione alla definizione di standard a livello nazionale e internazionale
applicabili alle diverse situazioni e contesti. Negli ultimi anni numerosi sforzi sono stati realizzati in questa direzione;
alcuni esempi a scala internazionale includono i progetti europei MESH (http://www.searchmesh.net), EuSeaMap
(Cameron et al., 2011) , GeoSeas (http://www.geo-seas.eu), Mareano (http://www.geo-seas.eu) e la collaborazione tra
Stati Uniti e Canada per studi lungo i margini dell’oceano Atlantico nordoccidentale (Noji et al. 2004). Ciò
nonostante, ad oggi non esiste una metodologia univoca per la mappatura degli habitat a varie scale spaziali e in
contesti differenti, così come mancano schemi classificativi degli habitat marini che ne consentano una definizione
univoca da parte della comunità scientifica internazionale e delle varie istituzioni.
Aree di studio e dati disponibili
La scelta delle aree di studio per il presente progetto di ricerca è ricaduta su siti con differenti condizioni
geomorfologiche e oceanografiche, tenendo conto della disponibilità di dati pregressi e della possibilità di acquisire
nuovi dati nell’ambito di progetti in essere.
Per quanto riguarda il Mar Mediterraneo, le aree di studio includono il tratto medio-superiore del sistema di canyon
sottomarini di Gioia-Mesima (Calabria tirrenica) e i fondali circostanti l’isola di Pantelleria (Canale di Sicilia); queste
aree sono già state investigate da numerose campagne oceanografiche condotte dal Dipartimento di Scienze della
Terra e dal CNR IGAG, producendo un vasto dataset a disposizione per la ricerca, comprendente dati
morfobatimetrici, dati di intensità di backscatter, profili sismici monocanale ad alta risoluzione, campioni da bennate,
dragaggi e box corer; inoltre è prevista la realizzazione di campagne oceanografiche nel prossimo biennio per
l’acquisizione di nuovi dati nell’ambito del progetto Bandiera “RITMARE-Ricerca italiana per il mare", sottoprogetto
Mare Profondo (2012-2017).
La terza area di studio è rappresentata dai Delmarva Reefs, localizzati lungo la piattaforma continentale dell’Oceano
Atlantico nordoccidentale, a largo delle coste del Delaware, Maryland e Virginia. Per quest’area è prevista, durante il
2013, la realizzazione di due campagne oceanografiche per l’acquisizione di dati morfobatimetrici, video ROV e
sonde CTD, nell’ambito di un progetto del NOAA Northeast Fisheries del New Jersey (con il quale la scrivente ha già
collaborato per la realizzazione della Tesi di Laurea Magistrale e collaborerà durante lo svolgimento del dottorato)
finalizzato allo studio del Black Sea Bass (Centropristis striata), una specie ittica di notevole interesse commerciale.
Le aree di studio rappresentano siti differenti sui quali testare le metodologie attualmente utilizzate per l’habitat
mapping, sia per la varietà e l’eterogeneità dei dati disponibili (in termini di strumentazioni utilizzate, risoluzione e
tipologia dei dati), sia per le condizioni fisiografiche oceanografiche e ambientali presenti nei diversi contesti,
favorevoli allo sviluppo e alla diversificazione degli habitat. Il fatto che queste aree siano incluse in progetti di ricerca
con chiave multidisciplinare assicura la disponibilità di competenze complementari (in primis oceanografiche e
biologiche) per la definizione completa degli habitat.
Il sistema di Canyon Gioia-Mesima, si sviluppa lungo il margine tirrenico per circa 60 km fino alla convergenza con il
Canyon di Stromboli. Il Canyon di Mesima si apre a una distanza dalla costa di circa 1500 m con una testata ad
anfiteatro, proseguendo con andamento rettilineo e poi, a partire da circa 800 m di profondità, meandri forme fino al
congiungimento con il vicino Canyon di Gioia; quest’ultimo ha una doppia testata posta a circa 10 metri di profondità
e ad una distanza variabile dalla costa di 175 m, per il ramo meridionale, ed appena 90 metri per quello settentrionale.
Le zone di testata e la parte prossimale del sistema di Canyon sono caratterizzate dalla limitata presenza di sedimento
lungo il thalweg, rappresentando quindi una zona di bypass sedimentario per il carico solido proveniente dai fiumi
Mesima e Petrace (Colantoni et al., 1992).
L’isola di Pantelleria rappresenta la porzione emersa (circa il 20%) di un edificio vulcanico la cui base è localizzata
fino a circa 1200 m di profondità. Le porzioni sommerse dell’edificio vulcanico sono caratterizzate da numerosi
lineamenti legati all’attività vulcanica (es. esteso campo di coni vulcanici ubicato a NW dell’isola e centri eruttivi
secondari localizzati lungo la piattaforma) e forme erosive che ne determinano lo smantellamento.
Intense dinamiche sedimentarie, in genere controllate dall’interazione delle correnti con il fondale, caratterizzano le
porzioni bacinali e di scarpata circostanti l’edificio vulcanico (Martorelli et al., 2011). L’azione delle correnti ha
probabilmente favorito la formazione di un esteso campo di mound colonizzati da coralli bianchi, potenzialmente di
grande interesse ecologico.
Per entrambe le aree mediterranee, l’ampia varietà di substrati, la morfologia articolata e l’estensione lungo un
considerevole intervallo batimetrico, e le particolari condizioni oceanografiche (forti correnti di fondo nel Canale di
Sicilia, fenomeni di upwelling e downwelling nel canyon) rappresentano condizioni favorevoli al potenziale sviluppo
di habitat diversificati e di particolare interesse ecologico. Tipicamente infatti, le aree con morfologia articolata
rappresentano importanti nursery, e/o rifugio per numerose specie di pesci e invertebrati. La ricchezza specifica di
questi ecosistemi è favorita da una serie di fattori quali ad es. l’elevata produttività, la coesistenza di differenti
comunità in uno spazio ristretto, l’elevata percentuale di specie endemiche. Tra le comunità di maggiore interesse vi
sono numerosi filtratori sessili ed in particolare le bioherme a coralli profondi che supportano microhabitat specifici
con biodiversità elevata (Rogers, 1994). Le pareti acclivi originate dai processi erosivi attivi all’interno dei canyon
lasciano in affioramento substrati duri. Grandi quantità di sedimento e di materia organica vengono trasferite nelle
aree bacinali attraverso i canyon che inoltre possono rappresentare aree di transito o concentrazione degli inquinanti.
Molti canyon sono percorsi da correnti di upwelling e di downwelling, di grande importanza rispettivamente per la
risalita di acque fredde ricche di nutrienti e per l’inabissamento di acque dense, e svolgono inoltre un importante ruolo
per la biodiversità sia sulla piattaforma continentale che in ambiente batiale (De Leo et al., 2010).
In ambiente oceanico, i Delmarva reef si sviluppano lungo la piattaforma continentale a largo delle coste del
Delaware, Maryland e Virginia a profondità comprese tra 10 e 40 m circa, a distanza di 40-70 km dalla costa. Gli
affioramenti di substrato in questo tratto di piattaforma supportano comunità di coralli di acque temperate oltre a
differenti specie ittiche di interesse commerciale, e costituiscono un ulteriore esempio di area ad elevata complessità
fisica e strutturale dell’ambiente che promuove lo sviluppo e la diversificazione degli habitat.
Attività previste e metodologie
Le attività verranno condotte nei tre anni di durata del progetto utilizzando un approccio strettamente
multidisciplinare, che prevede l’integrazione di conoscenze e dati riguardanti gli aspetti biologici, geologici e
oceanografici, sia pregressi che di nuova acquisizione. Questi ultimi verranno acquisiti nell’ambito del progetto
“RITMARE-Ricerca italiana per il mare"(http://www.ritmare.it ), il più importante dei "Progetti Bandiera" selezionati
dal ministero dell'Università e della Ricerca come prioritari nel nuovo Programma Nazionale della Ricerca per il
triennio 2011-2013, le cui linee portanti riguardano le tecnologie marittime, della pesca e della gestione sostenibile
dell’ambiente marino; nel progetto è prevista un’azione dedicata alla mappatura degli habitat in ambienti di mare
profondo, che coinvolge tra i migliori specialisti italiani nei campi biologico, geologico ed oceanografico.
Dopo una prima fase di revisione della letteratura e di raccolta dei dati pregressi, il primo anno di dottorato sarà
dedicato all’elaborazione ed analisi preliminare dei dati geofisici disponibili e all’acquisizione di nuovi dati.
I dati pregressi nelle aree di studio del Mediterraneo (Canyon di Gioia e fondali circostanti l’isola di Pantelleria)
comprendono un set di dati morfobatimetrici acquisiti con vari modelli di sonar multibeam, dati da sonar a scansione
laterale e profili sismici monocanale (acquisiti con sorgente chirp e sparker). Ove necessario i dati batimetrici
verranno ri-elaborati alla massima risoluzione possibile; parallelamente verrà realizzata, su porzioni di dataset
selezionate, l’elaborazione dei dati di intensità di backscatter. A partire dal dato batimetrico, verranno inoltre calcolati
i principali parametri morfometrici (terrain variables) dei fondali che includono: pendenza, esposizione, curvatura,
rugosità, oltre a vari indici comunemente utilizzati per la discriminazione delle caratteristiche geomorfologiche dei
fondali (es. BPI - Bathymetric Position Index). L’analisi integrata delle informazioni derivanti dai dati geofisici
consentirà di definire nel dettaglio la morfologia del fondale (batimetria, pendenze, articolazione e forme), i suoi
caratteri litologici (tipo di sedimento, presenza di blocchi o di affioramenti rocciosi), la presenza di aree con strutture
biologiche particolari (es. mound a coralli, build-up a coralligeno), di lineamenti legati all’attività antropica (es. tracce
di pesca a strascico, cavi e condotte), e di pervenire quindi alla definizione di facies morfo-acustiche, rappresentative
delle differenti tipologie fisiche di fondale. Successivamente, e compatibilmente con i tempi di realizzazione delle
campagne oceanografiche, le facies morfo-acustiche che identificano gli habitat potenziali verranno caratterizzate sia
in termini di tipologia di substrato che di comunità bentoniche presenti, mediante rilievi diretti di taratura rappresentati
da indagini e campionamenti sia fisici che visivi (ground-truthing), realizzati in maniera puntuale o lungo transetti.
L’analisi dei dati di ground-truth prevede principalmente l’analisi dei sedimenti (granulometria, composizione) e dei
filmati ROV (visual census) e si svilupperà a seguito di fasi di raccolta dati mediante rilievi condotti su navi
oceanografiche o su natanti di minori dimensioni. Lo studio delle comunità (che saranno caratterizzate con un livello
di dettaglio variabile funzione della qualità e quantità dei dati raccolti in relazione alla scala spaziale), verrà affrontato
grazie ad una collaborazione in fase di definizione con l’Università di Ancona o con l’Università di Bari. Le comunità
osservate potranno essere classificate utilizzando schemi esistenti o tramite cluster analysis.
Durante il primo anno si prevede inoltre di affrontare un periodo di studio all’estero presso i laboratori del NOAA
Northeast Fisheries del New Jersey, per la partecipazione alle campagne di acquisizione dati nell’area di studio
Atlantica. Verrà quindi effettuata l’elaborazione e l’analisi dei dati morfobatimetrici e l’analisi dei dati di groundtruth,
condotte secondo l’approccio sopra descritto.
Il secondo anno di progetto (durante il quale è previsto lo svolgimento di campagne per l’acquisizione di ulteriori dati
nelle aree di studio mediterranee) verrà dedicato essenzialmente all’interpretazione integrata dei dati, condotta in
ambiente GIS e attraverso analisi statistiche, volta a definire le discontinuità ambientali di significato ecologico che
circoscrivono habitat differenti. La caratterizzazione degli habitat sarà realizzata sulla base delle informazioni
derivanti da:
a) parametri morfometrici dei fondali (da multibeam e sonar a scansione laterale)
b) facies sismiche delle unità affioranti o sub affioranti (da Chirp ed eventualmente Sparker);
c) tipologie di substrato presenti a fondo mare (sabbioso, fangoso, litoide, ecc, da dati acustici e campionamenti);
d) comunità bentoniche (dai campionamenti e dalle immagini ROV);
Attraverso la stretta integrazione dei dati si perverrà ad una definizione delle caratteristiche biotiche (organismi,
comunità) ed abiotiche (ambiente fisico, dinamiche sedimentarie, idrodinamismo) degli habitat e delle loro relazioni
spaziali.
In funzione della natura, risoluzione e distribuzione dei dati nelle diverse aree, si tenterà di valutare l’approccio più
efficiente per l’integrazione dei vari dataset. L’intenzione, compatibilmente alla qualità e quantità di osservazioni
dirette disponibili, è di testare una strategia combinata di tipo top-down e bottom-up (descritte nel paragrafo “Tema di
ricerca e stato dell’arte”). In tal modo, l’individuazione degli habitat potenziali permetterà di indirizzare le indagini
dirette alla caratterizzazione di tutti (o del maggior numero possibile) gli habitat presenti nelle aree. Successivamente,
l’analisi delle relazioni esistenti tra le variabili abiotiche e la distribuzione delle comunità osservate permetterà di
discriminare le combinazioni di fattori ambientali (descritti dai vari layer informativi forniti dai dati fisici a copertura
totale) che corrispondono a determinate comunità, permettendo di estendere la mappatura degli habitat all’intera area
di studio. L’analisi della distribuzione delle comunità sebbene secondaria rispetto alla definizione della componente
fisica degli habitat, fornirà un contributo essenziale per il passaggio da habitat potenziale a habitat reale; è infatti
possibile che a seguito delle evidenze derivanti dal ground-truthing le classi di habitat si discostino dagli habitat
potenziali identificati esclusivamente su base fisica.
In ragione delle peculiari condizioni geomorfologiche ed oceanografiche e delle dinamiche sedimentarie attive e
complesse che caratterizzano tutte le aree di studio, si propone di valutare l’influenza dell’eterogeneità ambientale nel
promuovere lo sviluppo di comunità ricche e ad elevata biodiversità, anche mediante confronti con studi simili
effettuati in altre zone del globo.
Il terzo anno di progetto sarà infine quasi esclusivamente dedicato alla sintesi dei risultati ottenuti, alla realizzazione
dei prodotti cartografici e alla stesura della tesi.
Risultati attesi
L’applicazione di metodologie per la mappatura degli habitat in contesti ambientali mediterranei ed atlantici molto
diversi tra loro permetterà di valutare le strategie più efficaci per la definizione degli habitat in relazione al contesto
batimorfologico e alle differenti tecnologie a disposizione. La presenza di un dataset consistente assicura che
l’identificazione degli habitat potenziali venga realizzata sino alla massima risoluzione possibile tramite tecniche
avanzate di elaborazione e interpretazione dei dati morfoacustici. Inoltre, si cercherà di evidenziare potenzialità e
limiti dell’utilizzo dei metodi di indagine su base acustica per la discriminazione degli habitat. L’integrazione con i
dati di ground-truth consentirà di chiarire le relazioni esistenti tra facies morfo-acustiche e tipologia di fondale e
valutare quindi l’affidabilità degli habitat potenziali come indicatori della reale distribuzione degli habitat.
Possibili punti di criticità per le attività della ricerca riguardano la tempistica delle campagne di acquisizione dati e
l’integrazione dei dati geologici e biologici. Per quanto riguarda la tempistica esatta delle attività, eventuali variazioni
potranno dipendere dalla realizzazione delle campagne programmate per il biennio 2013/2014 e dagli esiti delle stesse
(es. condizioni meteo-marine avverse). In caso di esito negativo delle campagne oceanografiche a Pantelleria e Gioia,
si potenzieranno i rilievi in acqua bassa con mezzi di minor dimensioni, che consentiranno di pervenire ad una
definizione degli habitat per i settori costieri delle aree di studio, mentre gli habitat potenziali potranno essere
caratterizzati in termini di tipologia di substrato (escludendo quindi la componente biotica) utilizzando i campioni già
raccolti nelle precedenti campagne. L’integrazione tra le componenti geologiche, biologiche verrà invece supportata
dalla partecipazione al progetto “Ritmare” e dal periodo all’estero presso i laboratori del NOAA.
Ad ogni modo la conoscenza di dettaglio della distribuzione degli habitat (reali e/o potenziali) e l’identificazione di
aree di particolare pregio avrà ricadute sia in termini di approfondimento delle conoscenze (ad oggi scarse o assenti
soprattutto per le aree di studio Mediterranee), sia nella restituzione di prodotti utili per la gestione dell’ambiente
marino.
Attività didattiche che si intende seguire
L’approfondimento delle conoscenze riguardo tematiche inerenti lo studio degli habitat durante i tre anni di
svolgimento del dottorato include la frequentazione dei seguenti corsi di studio:
- Applicazioni statistiche alle Scienze Naturali. Laurea magistrale in Conservazione e Divulgazione Naturalistica
- Ecologia e Statistica Applicata. Laurea magistrale in Ecobiologia
- Struttura e funzione degli ecosistemi marini. Laurea magistrale in Ecobiologia
Si intende inoltre seguire il corso del prof. Battaglia M. per il Dottorato di Ricerca in Scienze della Terra “How to
write a scientific paper”.
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