I benandanti

Transcript

I benandanti
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
IL BENANDANTE
L’attenzione a chi ci sta vicino e la dolcezza reciproca può essere fonte di disagio oggi, può
sembrare cosa d’altri tempi; rifugiarsi in modelli di comportamento più vicini alla natura umana
può essere considerato superato e non consono allo stile di vita moderno.
Se in passato l’uomo aveva architettato un sistema dove benessere e conforto alla persona in
disagio, senza ingannare o circonvenire, lasciava la fantasia libera di operare per la guarigione o
semplicemente per diminuire il dolore, perché non goderne ancora?
Quanto segue non è una volontà ad incensare od essere incensato, ma la ricerca di una risposta ad
una domanda che mi hanno fatto. Il fatto che io non risponda, è perché non so rispondere.
Chiarite queste premesse, raccontiamo una favola dove contrariamente a quanto di solito si dice, i
personaggi ed i fatti sono veri, così come le tradizioni e le credenze. Sono nato dopo il tramonto, a
Milano. Erano tutti felici e stanchi, per l’arrivo di sei chili e quattrocento grammi di neonato; fu
indotto un parto podalico per la calcificazione già avanzata: i fatti mostravano un bimbo di sei mesi,
che si guardava intorno curioso del mondo, non esile e fragile come tutti i neonati.
Gli amici, i parenti e conoscenti parlavano del primogenito del “calzato di lupo”.
Il “calzato di lupo” era mio padre, nato in concomitanza dell’abbattimento di un lupo il 17 agosto
1910. A quei tempi, i lupi presentavano un pericolo per il gregge ed il pollaio; nella vita contadina
un lupo in meno corrispondeva a meno problemi nella conduzione dell’azienda agricola.
Com’era d’uso, la pelliccia di quel lupo fu posta nella culla del neonato anche per rendere più
confortevole il giaciglio di legno, come riconoscimento dell’utilità sociale dell’abbattimento del
lupo, ritenuto dono del neonato alla comunità.
La comunità, secondo le credenze del tempo, si aspettava anche molto altro da lui, perché il bimbo
era predestinato secondo la tradizione a portare giovamento e fortuna alla famiglia ed alla comunità
tutta. Nel crescere si sarebbero manifestate capacità che riconosciute dall’interessato, sarebbero
state poi praticate a beneficio della società. Per mio padre il “dono”, fu il “saper massaggiare” per
lenire i dolori e le contrazioni muscolari: ai bambini massaggiava il ventre liberandoli dai parassiti
ed agli adulti faceva cessare gli spasmi e le contrazioni.
Imponeva le mani con uno sfioramento leggero e cantilenando una nenia appena sussurrata.
Negli anni ‘50, una compaesana (che stava molto male) inserita nella buona società milanese,
pretese che nella clinica privata in cui era ricoverata, intervenisse “Vincenzino”, con un massaggio
sul ventre sotto le lenzuola, alla presenza dei medici increduli per il buon esito; l’intervento sistemò
il disagio, togliendo alla donna i tormenti degli spasmi e dei crampi post operatori.
Mio padre poteva essere un BENANDANTE?
Cercando sull’argomento, ho scoperto un libro:
I benandanti - di Carlo Ginzburg.
Questi personaggi, mi sembra di capire, erano dei “medegun”, maghi o stregoni buoni, a cui la
gente ricorreva per consulti o varie richieste di aiuto. I loro interventi erano sempre positivi e rivolti
alla valorizzazione del bene e della benevolenza, con invito al quieto vivere in amore e concordia.
Erano personaggi guardati con sospetto dal clero e dai sapienti del tempo: non contrastavano
nessuno e non entravano in competizione con la Chiesa ma quel loro modo di contribuire alla
salute, alla salvezza delle anime ed alla pace, generava curiosità, attenzione ed incomprensione per
temuti abusi. Quel loro fare, di non opporsi ma affiancare anche con rispetto e modestia il lavoro
dei medici, dei farmacisti del tempo e dei preti, anche se svolto senza protagonismi, risultava
inspiegabile e curioso; il loro modo di fare in quanto collaborazione non richiesta e non legittimata
dai professionisti della salute o dal clero, era fonte di disagio soprattutto quando i buoni esiti delle
azioni confermavano la validità del loro intervento.
Persone buone senza malizia: ben disposti verso gli altri. Alcune volte considerati ingenui.
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
1
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
Ricorda Ginzburg, che talvolta si tramandava di benandanti in attività contigue a quelle delle
“streghe buone” o “maghe”: anche queste erano considerate persone positive, l’equivalente
femminile del benandante e che nel sud si identificava con la figura della “bizzoca” (appellativo
popolare dell’odierna “suora laica”), una pia donna dedita alla preghiera, disponibile per il prossimo
allo stesso modo del benandante; questa “strega-fata” organizzava anche momenti di preghiera a
consolazione delle sofferenze maggiori o per eventi particolari, anche per parti e per decessi. La
letteratura riporta che benandanti e le streghe buone (mi verrebbe di chiamarle fate) combattessero
le forze del male con piante di finocchio e canne di sorgo, nelle notti con o senza luna a seconda
delle necessità, spesso intorno ad un fuoco con un calderone ribollente di intrugli magici: più
emozionante pensare a cose sconosciute ed ingredienti impressionanti, piuttosto che ad un vin-brulè
od una tisana, soluzioni troppo scontate per trovare conforto al freddo umido della notte durante una
danza propiziatoria.
La loro diffusione era maggiore in Friuli ed in generale nel nord est ma anche al centro-sud non
mancavano operatori: in Campania, Puglia e Basilicata. L’anomalia per l’Italia rispetto al resto
dell’Europa, era la maggioranza maschile degli operatori: all’estero, erano in maggioranza donne,
spesso riconosciute come streghe, e quindi perseguitate: quando queste figure acquisivano troppa
stima e popolarità presso il popolo e presso i potenti (dato che la loro positività e disponibilità li
faceva avvicinare da tutti senza distinzione di ceto o di censo) anche se il loro operare aveva sempre
carattere benefico e positivo, il potere contemporaneo in disagio (sia politico-amministrativo che
clericale) cercava e trovava il sistema per attribuire al personaggio scomodo attività di stregoneria
con tanto di testimoni falsi, al punto di estorcere sotto tortura, confessioni di aver effettuato raduni
con demoni ed esercizio di fatture e riti malefici con il maligno, per poterli condannare a morte.
Tutte le fonti attribuiscono il riconoscimento del “predestinato” per nascita ed ereditarietà. Tale
modalità è sempre confermata in tutte le culture ed in tutte le civiltà. La capacità di essere
contraddistinti da segni uguali, le caratteristiche benefiche che identificano queste figure, sono
accompagnate dall’idea che è con il tempo che il benandante riconosce il proprio “dono” e con
consapevolezza lo propone ed impara ad usarlo.
Alcuni segni ne individuano la predisposizione: un evento di rilevanza contemporaneo al parto,
rispetto alla normalità della vita; nascere con la placenta (la camicia), che effettivamente già
induceva a minor sofferenza nel parto; il parto podalico che consente al nascituro di essere meno
rincagnato e tormentato nel viso, per lo sforzo minore nel venire alla luce, quasi fosse segno di
benevolenza divina in un tempo in cui il parto cesareo non era pratica diffusa o conosciuta;
ricordiamo sempre che queste credenze si riferiscono ad un tempo in cui i decessi per parto erano
numerosi.
I contemporanei consideravano i benandanti operatori del bene, li riverivano ed ossequiavano. Non
dovevano essere disturbati nel loro sonno per non impedire alla loro anima il rientro nel corpo;
dovevano essere avvicinati solo frontalmente ed in modo gentile, per non alterare la fortuna e la
benevolenza di cui erano portatori incontrandoli. Il tono di voce loro rivolto, doveva essere dolce
come la dolcezza che avrebbero attinto il postulante od il malato, dalla loro attenzione e cura.
Coccolati e riveriti com’erano, credo che tolto il pericolo di essere indagati per stregoneria, la loro
vita dovesse essere invidiabile, per quei tempi.
POCHE STREGHE IN ITALIA
Mi sono interrogato circa la scarsità delle “streghe” in Italia e forse sono riuscito a trovare una
spiegazione plausibile. Considerando la società contadina sino al 1600/1700, si riconoscono molti
aspetti che fanno pensare ad una civiltà matriarcale e considerando che gli uomini si dedicavano
prevalentemente alle arti ed ai mestieri, che in campagna il lavoro era prerogativa dei maschi, la
cura della prole e del focolare restava alle donne, considerate “le regine del focolare”, a conferma di
tale atteggiamento di delega incondizionata, molti detti quali “non si muove foglia che donna non
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
2
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
voglia” oppure “sposta più un pelo di donna che un tiro di buoi”, confermano l’ipotesi della cieca
fiducia e della delega incondizionata alla donna “governatore della famiglia”.
Quando al ritorno dal lavoro, una donna si prendeva cura del lavoratore, massaggiando le membra
stanche, il fatto era normale e normale quindi che nella corte contadina e nella masseria la persona
più importante fosse la “massaia” che curava gli anziani, il marito ed i figli trasmettendo il suo
sapere alle figlie; mentre l’uomo (nessuno ha mai sentito dire del massaio, ma del mezzadro o del
fattore sì) si dedicava ai campi, alla caccia od alle arti e professioni, maniscalco o mugnaio,
artigiano o professionista o tecnico del caso. L’anomalia quindi esce dalla regola: la donna sola che
si arrangia per tirare avanti, magari già ragazza madre per un abuso subito, che lavando i panni o
facendo lavori saltuari per mantenere da sola la famiglia, era considerata “diversa” e pur se d’animo
buono e generoso tanto da aiutare tutti come poteva, era additata non come strega buona ma come
“fattucchiera” dalle persone invidiose o da quelle scontente per non aver avuto i suoi favori.
La posizione di distacco dal villaggio, che poteva far comodo per essere lasciata in pace,
sottoponeva al rischio di vendette da parte di chi avesse interesse nuocerle, agevolato in questo
senso proprio per il distacco e la distanza della vittima dalla comunità.
Il dramma umano era maggiore quando la malcapitata era vedova con figli: chi odia non ha limiti in
cattiveria e bollare come “strega” una donna emarginata o le sue figlie; a quei tempi era facilissimo
creare maldicenze per una donna, mentre era quasi impossibile indicare come stregone od operatore
del male un uomo, ancor più se ritenuto da tutti “benandante”.
IN BREVE
Massimo sviluppo del fenomeno “benandanti” nel periodo tra la fine del XVI e la metà del XVII
secolo in Veneto ed in Friuli. Si trattava di uomini e donne dediti ad aiutare il prossimo come
potevano, ma anche ingegnandosi per la loro sopravvivenza grazie ai doni offerti dai beneficiati per
compensa delle attenzioni ricevute. I combattimenti di cui si riporta nelle tradizioni, non si crede
fossero tenuti davvero: si trattava forse di semplici rituali, danze rituali propiziatorie legate ai
tentativi di assicurare alla comunità la fertilità della terra o la prosperità per chi si rivolgeva a loro
con speranza per contrastare le avversità.
I riti scaramantici contrastano le paure e nella civiltà contadina e lo stretto legame tra uomo e natura
consente largo spazio per contemplare ogni possibilità di aumentare la sicurezza nella speranza,
contro la depressione della paura più profonda.
Per le esperienze negative, la causa si imputava nel diverso e nello sconosciuto; fattori che
richiamano anche oggi la marginalità di alcune figure sociali, la capacità di additare il diverso come
nemico o fattore ostile nella comunità.
Sull’aspetto della loro attività, oggi quelle funzioni sono state riconsiderate e riconosciute in diverse
figure professionali di rilievo come il Tecnico Erborista, lo psicologo, il fisioterapista, il
massaggiatore, il consulente, il conciliatore, l’esperto di comunicazione ed immagine e tante altre
ancora. Nessuno si sognerebbe di dire oggi a questi professionisti, che sono ciarlatani o truffatori.
PORTATORI DI SPERANZA
Persone disponibili, che si adoperavano per vivere lenendo le asperità della vita del prossimo.
Cercavano di individuare le cose semplici che potevano essere lo strumento più immediato per
offrire la speranza di cambiare in meglio le paure del popolo, per contrastare fame, carestia,
sofferenze. La “camicia” della nascita, la membrana amniotica del neonato, quando presente poteva
identificare il predestinato capace di passare dal mondo reale a quello degli spiriti buoni; chi meglio
degli spiriti buoni potevano aiutare i tribolati dalle avversità? Costoro da adulti, secondo le credenze
popolari, sarebbero stati avvisati da un’angelo, che in sogno li avrebbe chiamati all’utilità sociale;
loro compito rendersi visibili e contribuire al miglioramento della qualità della vita di tutta la
comunità.
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
3
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
Questa attività doveva essere un’azione di generoso altruismo, che la collettività avrebbe saputo
compensare con gratitudine: viaggi extra corporei, secondo gli antropologi, sono ancora praticati
dagli Shona nello Zimbabwe ed ancora in Africa ed in America.
Ci sarebbe da parlare a lungo della capacità di dare sicurezza e serenità ai fini di una guarigione:
una laurea non basta per conseguire questa capacità rasserenante ed il potere di confortare
intimamente. Si tratta di un dono che si ha o non si ha: alcune figure carismatiche sono un esempio
ma l’elenco completo sarebbe lungo. Senza distinguere e senza voler essere blasfemi, scriveremo in
primis gli esempi di figure indicate dalle religioni ed ancora Madre Teresa di Calcutta, Gandi, Papa
Giovanni XXIII, Papa Giovanni Paolo II, aggiungendo le persone serene che ci sono state guida
nella formazione, alcuni medici che hanno intrapreso la professione con dedizione e passione,
alcune infermiere, i benandanti e le fate.
La Confraternita
Al diffondersi di queste figure riconosciute dal popolo e non solo, la Chiesa a cavallo del 16001700 fece nascere le CONFRATERNITE, per controllare il fenomeno e le persone, inglobando
nelle Parrocchie gli operatori del bene riconosciuti ed allargando la partecipazione ad altri pii
parrocchiani volontari che si dessero disponibili a collaborare per le necessità di conduzione della
Parrocchia e delle sue attività; si regolavano di fatto sia l’intervento agli eventi e le incombenze
nelle partecipazioni degli intervenuti, nei ruoli e nelle modalità di svolgimento.
Molte Confraternite sono ancora oggi presenti in alcune parrocchie del sud Italia, con un codice di
comportamento ed un elenco di attività che vanno dall’organizzazione della festa del paese alle
processioni, dal coordinamento delle attività all’assistenza dei bisognosi, alla raccolta fondi
necessari anche per l’esecuzione dei lavori di manutenzione della chiesa e dei beni parrocchiali.
In Italia, sotto la pressione degli inquisitori, i benandanti non convenuti nelle Confraternite furono
assimilati alle streghe ed ai demoni: riferendosi ai loro presunti convegni, li indicarono come
organizzatori di orge e festini sacrileghi, per sterminarli definitivamente.
Il legame alla cultura pagana contadina precedente a quella cristiana, al culto dei morti intesi come
Lari del focolare o Spiriti benefici, era ben radicato non solo per le popolazioni di quei luoghi ma in
tutta la penisola come in tutto il mondo; la continua associazione tra microcosmo contadino e il
tema della morte sembrerebbe sottolineare una stretta unione tra questi due aspetti: consideriamo i
rituali legati al pianto funebre e al cordoglio nelle tradizioni agricole. Morte e rinascita in un ciclo e
riciclo che vede le ceneri fertilizzare il raccolto, nella ricchezza delle messi.
Questi temi sembrerebbero legare il mondo agrario alle antiche tradizioni pagane.
Le forme estatiche, i rituali di fertilità ed in particolare l’incontro con i morti sembrano essere filo
conduttore di una cultura mai del tutto scomparsa. Per conoscere il legame che c’è tra le tradizioni
legate alla morte e i rituali di fertilità dei campi dobbiamo addentrarci tra i ricordi friulani e lucani,
due regioni distanti e profondamente diverse tra loro che però si riavvicinano nel paganesimo
silvano non a caso, entrambe simili in tradizioni conservate dall’isolamento e nella paura del
negativo della vita quotidiana, nelle angustie della povertà agricola. Questo ha permesso di
tramandare il ricordo di molti rituali fino al secolo scorso.
Ancora oggi si arde l’ultimo covone e gli sterpi, per propiziare il prossimo raccolto; nel pensiero
religioso-sciamanico non si uccide più il viandante o altra figura sacrificale, come primitiva
richiesta di un sacrificio a favore della divinità. Si conservano strane tradizioni come l’usanza (nel
caso di recenti lutti in famiglia) di occupare tutti i posti a sedere durante feste o banchetti, in modo
che il morto non possa trovare posto con la possibilità di continuare la sua presenza a scapito di un
vivente; in contrasto vediamo che in Lucania, Puglia o Calabria si usa porre del cibo sul davanzale
delle case nel giorno dei morti (Di Nola, 2003) per nutrire la loro benevolenza.
Lo spirito arboreo doveva morire per poi risorgere, ma è nella “buona morte” che si assicura la
rigenerazione: è una visione arcaica completamente differente da quella introdotta dal
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
4
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
Cristianesimo, che vede il bene nel quotidiano, il sacrificio del Redentore nel perdono dei peccati di
tutti e trasforma il lutto legato alla divinità naturalista in visione malefica e demoniaca.
Superstizione e magia simpatica; desiderio di allontanare miseria, dolore e tristezza.
Questi sono gli ingredienti che avevano portato alla necessità di concepire la figura del benandante:
una figura che si adopera per il bene di tutti.
Servono persone generose ed altruiste, oneste e probe, in Italia e nel mondo, in ogni campo: anche
oggi sevono benandanti e bizzoche.
Con piacere penso a Marcella P. (cliente - amica) ed alla sua domanda: “Ma tu sei un Benandante?”
È dal 1998 che non so rispondere, ma mi fa piacere essere apprezzato come erborista.
Buona tisana a tutti. Giuseppe Giordano, erborista
Bibliografia:
De Martino E. , Morte e Pianto Rituale, Universale Scientifica Boringhieri, Torino 1977
De Martino E. , Sud e Magia, Feltrinelli Editore, Milano 1959
di Nola A. M. , La Nera Signora, Antropologia della morte e del lutto, Newton Compton, Roma 2003
Frazer J. , Il Ramo d’Oro, Studio sulla Magia e sulla Religione, Bollati Boringhieri, Torino 1995
Ginzburg C. , I Benandanti, stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1996
Romanazzi A. , La Dea Madre e il culto Betilico: Antiche tradizioni tra mito e folklore”, Levante Editore, Bari 2003
Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste - www.ccatrieste.it
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
5
Una favola vera: la storia del “calzato di lupo”
Note, considerazioni ed appunti di Giuseppe GiordanoDiritti riservati a norma di legge
Piccola storia vera, di fatti di una volta. Giuseppe Giordano.
6