fra storia e poesia 24

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fra storia e poesia 24
Luglio 2014
fra storia e poesia
Che cosa è il sorriso
di Don Giovanni Monari
È un raggio di luce che spunta
dal fondo dell’anima umana,
e sale a fiorir sulle gote,
sugli occhi, sul labbro, sul volto.
24
Poi lene svanisce e dilegua
senza lasciar di sé traccia,
come una stella che sorge,
che brilla nel cielo e scompare.
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FANANO
fra storia e poesia
rivista dell’Associazione Culturale
della Valle del Leo
“Ottonello Ottonelli”
n. 24
FANANO
fra storia e poesia
n. 24 - luglio 2014
In copertina:
Pastori fananesi in un paese della Maremma (Boccheggiano, Comune di Montieri))
Direttore Responsabile
Gaetano Lodovisi
La rivista Fanano fra storia e poesia è stata registrata
presso il Tribunale di Modena, in data 6 marzo 2013 con il n. 2131
Direttore di Redazione
Raimondo Rossi Ercolani
Comitato di Redazione
Andrea Ballocchi, Maurizio Foli, Giovanna Franchi,
Gaetano Lodovisi, Raimondo Rossi Ercolani, Valerio Tagliani
Disegno di copertina
Simona Perfetti Pavignani
Hanno collaborato a questo numero
Alessandra Biagi
Giovanni Capucci
Goffredo Cianfrocca
Corrado Ferrari
Giovanna Franchi
Gaetano Lodovisi
Alberto Orlandini
Gioacchino Orlandini
Alfonso Pasquali
Alda Poli
Stampa e grafica:
Debatte Editore - Livorno
www.debatte.it
e-mail: [email protected]
Maurizio Poli
Fausto Renzi
Stefania Roncroffi
Raimondo Rossi Ercolani
Francesco Seghedoni
Valerio Tagliani
Vanni Tagliani
Bruno Turchi
Marco Turchi
Adolfo Zavaroni
ISBN 978-88-6297-178-2
Questa pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo di:
TOSCHI
LEGNAMI
Comune di Fanano
S.R.L.
FANANO
fra storia e poesia
n. 24
2014
INDICE
Posta in redazione...........................................................................................................................................6
In ricordo di Almo....................................................................................................................................... 18
Popolazione e famiglie di Serrazzone ..................................................................................... 22
Uomini e pecore............................................................................................................................................. 55
da Serrazzone e da Fanano alla pianura romagnola e al delta del Po
Cappel Buso e dintorni............................................................................................................................ 63
Qualcosa di Serrazzone.......................................................................................................................... 68
Fontana di Casa del Vento (poesia)............................................................................................. 73
La vecchia chiesa e il parroco di Serrazzone ................................................................... 74
Ricordi da Serrazzone.............................................................................................................................. 77
Rime spontanee di un emigrante (poesie)............................................................................ 82
Iniziative culturali dell'Estate 2014............................................................................................ 85
È tutta da riscrivere la storia degli Ottonelli, ................................................................... 87
dei Tanari e dei Barozzi?
Segni sacri comuni fra il Belvedere e il Fananese ....................................................... 95
Movimenti migratori da Fanano................................................................................................. 103
verso la Maremma Toscana e Laziale
Antichi suoni da rare carte fananesi...................................................................................... 125
Le sei stampe antiche della sagrestia della chiesa di San Giuseppe................ 130
Le antiche incisioni del Frignano............................................................................................... 135
Nuove scoperte e nuove interpretazioni
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Dalla Gazzetta di Modena:................................................................................................................ 144
Salvarono famiglia ebrea. Gli Andreoni tra i Giusti
Lunedì di Pasqua....................................................................................................................................... 147
I racconti del veterinario di Fanano........................................................................................ 154
Quando mia nonna fumava............................................................................................................. 170
Il buon pescatore di Fellicarolo.................................................................................................... 173
Sera nella valle di Ospitale (poesia)......................................................................................... 175
Quella Messa sullo Spigolino.......................................................................................................... 176
Scaffale Fananese..................................................................................................................................... 179
Di là dal ponte (poesia)........................................................................................................................ 186
Popolazione residente a Fanano................................................................................................. 190
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POSTA IN REDAZIONE
a cura di Raimondo Rossi Ercolani
[email protected]
Alla professoressa Sonia Cavicchioli, che attualmente è docente di
storia dell’arte moderna all’Università di Bologna, avevamo chiesto poco
tempo fa un parere “tecnico” riguardante il patrimonio storico-artistico
fananese. Ricordiamo al lettore che la professoressa Cavicchioli è stata
per diversi anni ispettrice della Soprintendenza di Modena e Reggio Emilia competente per il nostro territorio e che, in questo ruolo, si è sempre
fortemente impegnata per la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico.
Il 20 luglio del 2006, su nostro invito, tenne qui a Fanano una conferenza su “Ascanio Magnanini e Giovanni Gherardini: due magistri fananesi fra Cinque e Seicento”, che è stata pubblicata nel n.16 della nostra
rivista (luglio 2007) e il cui contenuto, assieme ad ulteriori studi, è confluito in un importante saggio di recente pubblicazione.1 Il quesito posto
alla professoressa riguardava proprio i Gherardini, che in quel periodo
intagliarono e decorarono le ancone lignee probabilmente più belle del
nostro Appennino. “È possibile attribuire a loro la realizzazione dell’ancona che Ottonello Ottonelli volle per l’altare della chiesa di Santa Chiara (attualmente spostata sulla parete laterale sinistra), così come ad essi sono
state attribuite le cinque ancone originarie della chiesa di San Giuseppe e
almeno un paio di quella di San Silvestro?”.
Ecco la risposta, pervenutaci il 26/ 7/2013:
Ho riguardato le ancone che credo spettino a Gherardini (e ai Gherardini), ossia al padre, e verosimilmente ai figli, i fratelli: continuo
a pensare che abbiano una marcia in più, che non ritrovo in Santa
Chiara. La grammatica è la stessa: edicole, timpani spezzati, colonne solcate di decori dorati, plinti. Ma due sono le differenze che io
vedo: il ‘gruppo Gherardini’ mostra una consapevolezza nell’intaglio
che non vedo dall’altra parte (esempio fra tutti: i capitelli), e presenta
una qualità di proporzioni che, di nuovo, è assente dall’altra parte.
1
Il saggio è contenuto nel libro “Storie di confine: Appunti e ricerche su un territorio montano (Frignano, secoli VIII-XXI)”. Si veda in proposito lo “Scaffale fananese” in questo
numero della rivista.
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Le ancone della chiesa di Santa Chiara (a sinistra) e dell’altare di San Giuseppe
Calasanzio, nella chiesa di San Giuseppe Sposo di Maria (a destra)
Da una parte un classicismo che sa prendere le misure, dall’altra
rapporti proporzionali (vedi il rapporto altezza larghezza) un po’ sbilenchi. Lo stesso allungamento che vedo negli altari della chiesa di
Olina, e forse anche ad Acquaria (ma questi dovrei riguardarmeli).
Il 27 luglio dell’anno scorso abbiamo
avuto – come Associazione “Ottonello Ottonelli” – l’ormai consueto e graditissimo incontro annuale con gli amici del Rugletto dei
Belvederiani (la loro “escursione nel fananese”). Alla mattina, visita alle bellezze storiche
e artistiche del nostro paese: dalla Madonna
del Ponte al Poggiolo (piazza Ottonelli), passando per piazza Corsini, Villa Severi-Burchi,
palazzo Lardi e le chiese di San Colombano,
San Silvestro, San Giuseppe e Santa Chiara;
e, dopo un pranzo al sacco consumato nella splendida cornice del “giardino dell’Ebe”
(messo a disposizione dalla sempre genti-
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lissima nipote Franca Galassi), tutti a festeggiare il nostro grande Almo
Pasquali in occasione della presentazione del suo ultimo libro, bellissimo
e commovente: Ultime ore di Gondar italiana: memorie di guerra e prigionia.
È stata una giornata molto piacevole e intensa, nella quale comunque
non ci sembrava di avere fatto nulla di speciale; ed è quindi con grande
sorpresa che il giorno seguente è arrivato al nostro indirizzo di posta
elettronica un poetico “Ringraziamento” che qui di seguito trascriviamo:
benché indirizzato in particolare a due di noi, è in realtà rivolto a tutti i
fananesi che hanno partecipato all’incontro.
A Giovanna e Raimondo di Fanano
Ci hanno insegnato ad amare Fanano,
a gustare le sue innumerevoli bellezze.
Cultura e preparazione regalate senza risparmio.
Siete generosi e ospitali, due belle persone
per noi ormai inscindibili dal vostro Paese.
All’Osteria dell’Amicizia
ci avete offerto Lambrusco spumeggiante e dolci
in un ombroso giardino incantato,
dove ogni notte sotto le stelle
per certo io credo fanno rugletto
elfi e fatine,
ognuno assiso sulla sua corolla,
trono prezioso profumato.
Oh fortunata e generosa padrona
di tanta bellezza, anche a te vada
il nostro sentito grazie,
insieme ai cari e venerabili (per esperienza di vita)
Alfonso e Silvio,
unici e acclamati canterini.
Con affetto, un caldo abbraccio
Stefania Casalini Felicori
Sempre alla fine del luglio 2013 il professor Francesco Barbieri, nostro socio (fondatore) e autorevole collaboratore, ci ha segnalato, come
negli anni scorsi, alcuni interessantissimi “ritrovamenti fananesi” da lui
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effettuati in quella grande fucina di cultura
che è l’Accademia di Scienze Lettere e Arti
di Modena (una delle più antiche d’Italia). In
particolare, ci ha trasmesso un estratto del
Bollettino della Società Medico-Chirurgica di
Modena del 1963 dal titolo Il contributo di
tre grandi modenesi (Berengario, Falloppia e
Folli) all’otologia (cioè, allo studio dell’orecchio e delle sue funzioni), redatto dai professori M. Gioffrè e P. Di Pietro.
Ebbene, chi è questo “Folli”, vissuto nel
XVII secolo? Le distorsioni dei cognomi erano in quei tempi piuttosto frequenti, anche
per il continuo passaggio dall’italiano al latino e viceversa: in questo caso, ad esempio, il “Folli” di cui si parla non è
altro che il nostro Cecilio Foli, di cui abbiamo spesso parlato nella nostra
rivista (ad esempio nel n. 13, pag. 103 e segg. e nel n.22, pag. 57 e segg.).
Non potendo, ovviamente, riprodurre l’intero testo, riportiamo solo alcune delle frasi più significative riguardanti il nostro famoso conterraneo:
Alla metà del secolo successivo un altro modenese apportava un
contributo di notevole importanza all’anatomia dell’orecchio: nel
1645 veniva pubblicata ad opera di CECILIO FOLLI (1614 -1682)
da Fanano una semplicissima tavola con sei figure e relative
didascalie, sotto il titolo di “Nova auris internae delineatio”. L’operetta è mirabile per l’esattezza della descrizione iconografica
dell’orecchio medio ed interno, per la chiarezza dell’esposizione, per l’apporto di nuovi reperti [cioè nuove scoperte scientifiche, N.d.R.], sì che si può affermare che la descrizione del Folli
è completa e tuttora valida. … L’opera divenne ben presto rara
e ricercata e lo stesso MORGAGNI non riuscì a procurarsela,
pur avendola cercata per l’interesse che a suo giudizio presentava. … Con sei figure e poche parole di commento il Folli ha
saputo darci una descrizione completa ed esatta dell’anatomia
dell’orecchio e giustamente il PORTAL nella sua “Storia dell’anatomia e della chirurgia” commentava che, se tutti gli Autori
seguissero tale esempio, si avrebbero meno voluminose, ma non
minori conoscenze. Giudizio sul quale non possiamo che concordare e che vorremmo applicare anche al tempo presente.
Il professor Barbieri ci ha anche trasmesso il testo di una “lettera
inedita” (pubblicata solo nel 1851) nella quale il nostro Giulio Ottonelli
parla di sé, delle sue controversie coi critici letterari del tempo e di vari
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argomenti di storia fananese. Probabilmente il professore potrà anche
metterci a conoscenza del ricco epistolario intercorso fra il grande matematico (e medico) modenese Paolo Ruffini (1765-1822) e i medici fananesi del tempo (a cominciare, immaginiamo, dai Pasquali). Se le nostre
forze e l’interesse dei nostri lettori continueranno a sorreggerci, di tutto
questo parleremo ampiamente nei prossimi numeri della presente rivista.
Da un altro socio fondatore, l’amico Alfonso Pasquali, riceviamo (dicembre 2013) il seguente messaggio:
Una precisazione: nella mia nota del precedente numero della Rivista in ricordo della Signora Albertina Falconi, ho scritto che il fratello Carlo era rimasto schiacciato da un’auto che stava riparando in
officina; alcuni fananesi mi hanno precisato invece che Carlo stava
riparando una ruota di un camion in piazza Vittoria, davanti al negozio di Lancellotti e che il mezzo non frenato, si mosse, uccidendolo.
Una curiosità: nel 1945 con altri due fananesi fummo investiti dallo scoppio di un ordigno bellico, rimanendo feriti gravemente: una
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scheggia, tra le altre, mi trapassò il polpaccio della gamba destra e
una piccola parte deviò, fermandosi nel muscolo, quasi a fior di pelle;
ebbene questo residuo, l’anno scorso, dopo la bellezza di 67 anni è
voluto uscire, con l’aiuto della dottoressa Latini, semplice disinfezione e cerottino! (il 25 prossimo è l’anniversario).
Una foto direi “storica” da pubblicare: inaugurazione del rifugio degli
Accompagnatori di Montagna a Serralta di Fellicarolo il giorno 24
settembre 1989 alla presenza del celebre alpinista ed esploratore, di
recente scomparso, Walter Bonatti con Graziano Guerrini della Forestale, il presidente della Comunità Montana del Frignano Giorgio
Gianaroli e Giuliano Passini, assessore comunale.
Il nostro socio e collaboratore architetto Giovanni Capucci, che tiene
una rubrica fissa sul Resto del Carlino di Modena riguardante arte, architettura, urbanistica e ambiente, ci ha trasmesso, per conoscenza, il testo
di un suo articolo pubblicato il 21 gennaio 2014.
Ben volentieri lo riproduciamo sulla presente rivista e ci associamo
all’amico Capucci nel richiedere agli enti di competenza e, in particolare,
ai nuovi amministratori del Comune, che il problema che egli propone,
fortemente sentito da tutti i fananesi, sia finalmente affrontato e risolto
nel modo migliore.
Da tempo parliamo di rigenerazione urbana e riqualificazione, riferite
alla città, ma tali discorsi riguardano pure la nostra montagna. Pensiamo ai centri marginali e agli insediamenti tradizionali delle terre
fananesi, quasi completamente in disuso, ma anche all’organismo
stesso di Fanano. Pure questo importante paese dell’Appennino modenese paga il malessere, in ragione di antichi interventi, del successivo allentamento della cultura del territorio, di una sorta di lento
declino. Lo si avverte attraversando lo spazio costruito, osservando
finiture e dettagli degli edifici “ritoccati”, entrando all’interno di altri,
di cui si intuiscono il valore architettonico originario e le insite articolazioni fra il loro dentro e il fuori, scoprendo purtuttavia luoghi o
fabbricati chiusi.
Di qui l’auspicio che simile organismo possa ritornare ad essere un
piccolo gioiello urbano, funzionale e ancora di più comunitario. Oltre
la piazza della centenaria fontana, a levante della Chiesa di San
Silvestro, sorgono interessanti fabbricati, tra cui notevole la cinquesettecentesca Villa Monari/Burchi (con splendido giardino retrostan-
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te) e un palazzotto di tre piani, di forma quadra, tutto in pietra anche
se intonacato e colorato in un rosso sbiadito.
Pure questo edificio è legato al nome dei Monari, storica casata locale, nello specifico, alla figura del notaio Monari, scomparso decenni
fa. Da tanto è abbandonato, finito, sembra, tra i beni immobiliari della
Cassa Nazionale del Notariato, che forse non ne conosce le caratteristiche e lo stato attuale.
Non sarebbe un gesto urbano eclatante se, nel nome della nota
famiglia o comunque della stessa categoria notarile, tale immobile
fosse a disposizione della comunità, recuperandolo a funzioni pubbliche, diciamo, come biblioteca, museo d’arte o museo etnografico
di un territorio tanto ricco di storia, di tradizioni, di apparati artistici e
di artigianato?
Sarebbe una occasione eccezionale per mettere in moto quella auspicabile pratica della rigenerazione urbana e del riuso. Queste terre
hanno una identità millenaria e meritano di entrare nel futuro, rinnovandole nelle loro intrinseche potenzialità.
Da due nostri soci, i coniugi Cristina Salice e Franco Benfenati, riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente Ricordo dell’amico Lando
Seghi di cui anche noi abbiamo sempre apprezzato il carattere gioviale,
buono, leale e generoso.
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Caro Lando, il 22 giugno 2014 saranno già dieci anni da quando te
ne sei andato, lasciando un vuoto incolmabile nei nostri cuori.
La nostra amicizia risaliva ai primi anni ottanta. Con la nostra bambina di sei-sette anni trascorrevamo le nostre ferie estive a Fanano
nella casa dei miei genitori a San Francesco.
Tu facevi parte del gruppo degli “Amici della montagna”, con punto di
ritrovo presso la barberia di Remo Turchi in piazza Corsini, dove ora
c’è l’edicola dei giornali. Nelle notti di plenilunio organizzavate delle
gite notturne fino al lago Scaffaiolo, aperte a tutti. La cosa accese la
nostra fantasia e decidemmo di parteciparvi. Fu così che imparammo a conoscerti e, insieme a te, tanti altri amici provenienti chi da
Milano, chi da Modena, da Carpi, da Ravenna, da Bologna coi quali
si è stretto un così forte legame di amicizia che dura tuttora.
Poi fu la volta delle gite di giorno, dapprima sul nostro crinale dal
Monte Cimone al Corno alle Scale, poi via via sull’Alpe Tre Potenze,
all’Abetone, sul Giovo al lago Santo, sulle Apuane, ecc.
Il gruppo era sempre numeroso: i bambini davanti (tanti allora!), poi
noi genitori e per ultimo tu a chiudere la fila e a rincuorare i più affaticati, dettando i tempi della marcia; né poteva mancare il simpa-
Gran Sasso, Giugno 1997
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ticissimo Barbone, il cane di Poffy che correva instancabile avanti e
indietro percorrendo chissà quanti chilometri.
Nel tuo inseparabile zaino rosso c’era sempre tutto quanto poteva
servire in caso di necessità: guanti antivipera, fischietto da segnalazioni, un cordino, una cannuccia, un pacchetto di biscotti e per finire
l’immancabile bottiglietta da birra da ¾, riempita però di “Cabernet”
al quale tu non avresti mai saputo rinunciare.
Per la tua giovialità, la tua semplicità, il tuo saper dimostrare amicizia
e affetto, per noi tutti eri diventato molto presto “BABBO LANDO”,
anche per chi aveva più anni di te. Noi lo dicevamo con convinzione
e tu lo accettavi sorridendo. A tutt’oggi quando parliamo di te parliamo di babbo Lando e non sai quanto ci manchi!
Non amavi il mare ma una volta ti convincemmo a partecipare ad
una gita organizzata che, partendo da Portofino, si sarebbe conclusa
a Camogli dopo aver attraversato il promontorio. Attrezzati di tutto
punto arrivammo in pullman a Portofino e ci imbarcammo su un piccolo battello per arrivare a San Fruttuoso. Tutta la breve traversata la
facesti abbracciato ad un salvagente, ricordi? Poi scendemmo sulla
spiaggetta popolata di giovani e ragazze in bikini mentre noi indossavamo zaini e scarponi per la scalata al promontorio per arrivare a
Camogli via terra dove ci attendeva il pullman. Ci guardavano tutti
come fossimo dei marziani!
Ormai il ghiaccio era rotto e l’anno successivo decidemmo di fare tu,
tua moglie Loredana e noi, una vacanza al mare. La meta prescelta
fu Alba Adriatica, ma nel cofano della macchina, oltre ai costumi,
bocce e retini, c’erano gli immancabili zaini e gli scarponi da montagna! Sì, perchè la nostra vera meta era il Gran Sasso! Così, una
bella mattina partimmo all’alba e raggiungemmo i Prati di Tivo.
Sorpresa! Le funivie erano chiuse nella stagione estiva. Che si fa?
Ovvio: si parte!
Fu una scalata bellissima anche se lunga e faticosa. Ricordi come
incitavi Cristina? “Dai, mammulella. Vedi quel puntino lassù fra le rocce? È il rifugio, forza che ce la faremo!” E ce l’abbiamo fatta! In vetta,
nei pressi del rifugio, attraversammo con mille attenzioni un piccolo
nevaio e ci affacciammo sull’altro versante: che spettacolo! Sembrava
che tutta l’Italia si stendesse sotto di noi. Non ti ringrazieremo mai abbastanza per averci fatto provare una simile emozione.
Al rifugio ci aspettava una zuppa calda preparata solo per noi e mai
zuppa fu più buona. Fu allora che ripetesti una della tue celebri frasi:
”Ed anche il Gran Sasso ce lo siamo messo sotto i piedi!”
L’anno successivo tentammo di ripetere l’esperimento: campo base
a Vasto e meta la Maiella.
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Il giorno stabilito per la gita si preannunciava bello ma sul Blockaus
ci colse la nebbia e dovemmo rinunciare. Ti ricordi come canzonavi
bonariamente Cristina, che era sempre la nostra musa ispiratrice?
“Mammulella, che idee balzane ti vengono!” E via a escogitare qualcosa di nuovo.
Ci piace ricordare ancora le girate a funghi, fatte spesso con gli amici
Maurizio e Francesco. In quanti posti ci hai portato con alterna fortuna!
Quando la sorte ci era amica al ritorno mettevamo tutto in comune e
poi tu dividevi in parti pressocchè uguali e ciascuno di noi ne prendeva
una, non prima di aver immortalato il tutto con una bella foto.
In autunno o in inverno noi quattro di Bologna ci trovavamo spesso
per trascorrere qualche ora insieme: si finiva poi a casa tua dove
Loredana ci preparava delle gustosissime focaccine.
L’ultima vacanza estiva che trascorremmo insieme prima che il male
cominciasse a minarti fu nell’isola di Krk (l’antica Veglia, attualmente
in Croazia N.d.R.). Fedele al tuo stile, quando in battello ci recammo
a Lusinj (l’antica Lussino N.d.R.) ti sedesti sul ponte con la camicia
a scacchi, il fazzoletto al collo ed il cappello in testa. Con gli occhi
socchiusi forse sonnecchiavi, ma ti tradiva un sorriso vagamente
sarcastico.
Ogni fine anno si riuniva tutta la compagnia degli amici, di solito in
palazzo Lardi, per festeggiare insieme l’arrivo dell’anno nuovo; ma il
capodanno 2004, e fu l’ultimo, lo trascorremmo solo noi quattro a Bologna. Nonostante le tue condizioni rimanesti sempre sereno, sorridente, affabile; nessun segno di ciò che certamente ti straziava dentro.
Ed è così che continueremo a ricordarti, con tanto affetto e tanta nostalgia, soprattutto quando ripercorreremo, se Dio lo vorrà, i sentieri delle
nostre montagne che hai tanto amato e che ci hai insegnato ad amare.
La nostra socia Giannarosa Perfetti, vedova del caro amico ingegner
Piergiorgio Monari, ha chiesto ospitalità alla nostra rivista per effettuare
il seguente pubblico ringraziamento:
Questa estate, avendo scoperto la presenza di un nido di vespe nel
muro esterno di casa (la villa Monari-Severi-Burchi, N.d.R.), cosa
che mi preoccupava non poco, mi sono rivolta ai pompieri di Fanano,
che sono intervenuti con sollecitudine. Vorrei sottolineare non solo
la professionalità con cui hanno operato, ma anche la cortesia e la
partecipazione al mio problema. Grazie ancora a tutti.
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Mentre stavamo andando in stampa abbiamo ricevuto il testo, pubblicato qui di seguito, da parte di Josè Bonucci, il figlio dell’indimenticata “Peppina” Bonucci e nipote del celebre “Stoppa” (“al secolo” Antonio
Bonucci), gestori per decenni dello storico “Caffè del Commercio” che,
proprio in questi giorni, ha malinconicamente chiuso i battenti in modo
definitivo. Che tristezza!
Ai redattori della rivista Fanano fra storia e poesia
Una bella frase letta nell’articolo di Stefano Pedroni – “Tam tam tam
crodano le castagne” nel n. 22 della rivista – mi ha trasmesso l’impulso, il brivido e, testualmente, l’incipit indispensabile a dar corpo
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e ritmo a questa idea poetica che, devo dire, essiccava da tempo,
da troppo tempo, sul “graticcio” interiore della coscienza; sebbene
una simile intuizione non escludo di averla già più volte espressa, in
maniera surrettizia, occulta dentro altre stanze e luoghi – smemorati, distanti, o, per amore di un primo irripetibile attimo, volutamente
cancellati – della mia poesia; mai però affidandola, ne sono certo,
alla cura preziosa di questi concretissimi simboli – metato castagne
farina eccetera – che tanto interamente ci riguardano: noi orgogliosi,
testardi, tenaci – paganamente devoti – montanari.
P.S. La frase in merito di Stefano Pedroni (che ovviamente ringrazio)
è la seguente: «Il metato, scrigno di un fuoco lento, basso, quasi
soffocato, eterna brace a trasformare il frutto».
Per questa semplice ma non indifferente ragione, con gratitudine ve
la dono; a voi, ostinati artefici di questa poliedrica, utile e, non di
rado, sapiente rivista, fatene ciò che volete: l’uso o il non uso, poco
importa. Una sola cosa vi chiedo: se decidete di pubblicare la poesia,
dovete farla precedere da questa “premessa” e dal P.S, data la loro
inscindibilità da lei.
A Gottardo e al mitico perduto Tralè,
così vivo e assoluto nella mia memoria
Templi di montagna
Metato, custode di un fuoco denso ampio lento…sapientemente
tarpato e governato, che sprigioni via via potenti braci
che il frutto del castagno, per secoli, in dolce farina
e Altro han trasmutato. Un epiteto antico, per omaggiarti:
“Il frutto di Dio” l’ha battezzato; poiché da te sorgono
tali prelibatezze che, oltre a saziare i corpi, fanno gustare il Tutto
la fragranza del Tutto.
E così intere generazioni di bambini e di uomini
con intenso calore, metato, ti ringraziano.
Fosti per loro assai più di una casa o un palazzo
e anche più di una “meta” e di un “tato”. Fosti
– e sarai sempre per noi, benché rudere ormai – fosti
il Tempio più sacro: ciò che sfama, oltre i muscoli,
l’Anima!
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IN RICORDO DI ALMO
di Raimondo Rossi Ercolani
«Con Almo Pasquali se ne è andata una parte di Fanano». Con queste
parole ha iniziato la propria omelia don Michele Felice durante la messa
funebre celebrata il 22 febbraio scorso per il carissimo amico Almo. Non
avrebbe potuto scegliere un’espressione più efficace il nostro parroco che,
benché presente a Fanano da appena un anno o poco più, si è già inserito
in modo perfetto nel nostro paese: veramente con Almo se ne è andata
una grande parte di Fanano, ma anche – direi – una gran parte di noi
stessi, tanto forti erano con lui i nostri legami di affetto, di amicizia, di
stima e di riconoscenza.
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I funerali, ai quali hanno partecipato tante, tantissime persone,
si sono svolti nella nostra splendida chiesa di San Giuseppe: cioè
proprio nella chiesa – così strettamente legata alla storia di Fanano – che Almo amava più di ogni
altra e per la quale si era sempre
prodigato con straordinario impegno, arrivando perfino a salire
personalmente sul tetto con l’amico Gottardo Turchi, per “togliere le
gocce”. Ed è la stessa chiesa in cui
il 27 luglio dell’anno scorso aveva
presentato il suo ultimo libro, l’autobiografico Ultime ore di Gondar
italiana: Memorie di guerra e di
prigionia, riscuotendo in proposito
uno straordinario successo personale: alle parole con cui Almo volle pubblicamente ricordare i suoi
compagni caduti in Africa durante
la guerra seguì un applauso così
caloroso che sembrava non dovesL’ultimo saluto ad Almo nella chiesa
se finire mai.
di San Giuseppe (Foto di Walter Bellisi)
Ma, in realtà, si può dire che
anche gli altri libri da lui pubblicati in precedenza1 abbiano tutti un carattere autobiografico; con la differenza che per essi si dovrebbe più correttamente parlare di autobiografia
di Fanano: attraverso le parole di Almo – in perfetto italiano o in altrettanto perfetto dialetto fananese – è il nostro paese, infatti, che racconta se
1
E pôver Pantalùn (Raccolta di norme e vocaboli dialettali corredati da storie, racconti,
favole, detti della Terra di Fanano) - 1999
Voci del passato (Storie, Tradizioni e Costumi della Terra di Fanano raccontate attraverso
testimonianze e documentazioni fotografiche - La banda di Fanano - La Confraternita della Beata Vergine del Rosario - La Triennale del Venerdì Santo - La tessitura - Le sculture
della Scaffa) - 2001
Minghin de Faber (Personaggi, vicende, curiosità della terra del Cimone) - 2006
Vitòri ‘d Panchòt: dop e lamp e ven e trun (Storie e vicende Fananesi e dell’Appennino
Modenese imperniate su personalità di particolare rilievo, corredate da osservazioni e
commenti) - 2011
FANANO
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stesso, con la propria storia e le proprie tradizioni, tanto forte è la capacità di Almo nell’immedesimarsi nelle cose di cui scrive.
In questo senso, per tutti noi che a vario titolo ci interessiamo di storia
locale, per noi redattori della presente rivista, per noi soci dell’Associazione culturale della Valle del Leo “Ottonello Ottonelli” (di cui egli fu uno
dei fondatori) Almo è stato il primo maestro, ma anche qualcosa di più e
di diverso: una sorta di fratello maggiore che, con la propria passione e
con la propria esperienza, ci ha indicato il fine da perseguire e il percorso
migliore per raggiungerlo.
Mi sia consentito ricordare come la mia famiglia, che fino ad allora
non aveva avuto alcun rapporto con Fanano e con i fananesi, ebbe l’occasione di conoscere Almo.
Si era negli anni ’50 del secolo scorso ed io probabilmente portavo ancora i calzoni corti, come si usava allora a quell’età, ma ricordo bene che
in quel tempo mio padre era alla ricerca di una coperta, tessuta a mano
“come si faceva una volta”, con la quale sostituire quella, ormai completamente disfatta, che aveva ereditato da una sua nonna. Per caso capitò
alla Fiera di Modena e lì si imbatté nello stand di un certo Almo Pasquali
che – come poi venne a sapere – aveva con molto coraggio “resuscitato”
I rappresentanti delle Confraternite aprono il corteo che accompagna Almo
al cimitero di San Francesco (Foto di Walter Bellisi)
FANANO
fra storia e poesia
20
un’antica tradizione fananese di tessitura con telai a mano e per la quale
aveva ottenuto anche diversi riconoscimenti (ad esempio, una medaglia
d’oro alla Mostra dell’Artigianato di Firenze). Inutile dire che l’acquisto
della coperta andò subito a buon fine. Ma, soprattutto, in quell’occasione
mio padre, che era persona schietta e di poche parole, acquistò una solidissima e generosa amicizia con Almo, basata su reciproca stima, che poi
trasmise a me e, successivamente, a mia moglie e ai miei figli. Da allora
poi mio padre divenne sempre più “fananese”: tanto che nel 1964 comprò la nostra attuale casa di via Sabbatini e, prima di morire (nel 1978),
espresse la volontà di essere sepolto nel cimitero di San Francesco, dove
tuttora riposa assieme a mia madre e a mia sorella.
Quanto a me, i periodi sempre più lunghi che dal 1964 trascorsi a Fanano mi permisero non solo di conoscere ancora meglio la grande forza di
carattere di Almo, la sua generosità e l’immenso amore per il proprio paese, ma anche di vederlo “in azione” nelle sue battaglie in difesa di Fanano
e delle sue tradizioni, a cominciare da quelle combattute negli anni ’70 per
salvare le Confraternite e il Venerdì Santo dagli attacchi di alcuni preti, probabilmente più “sessantottini” che “postconciliari”: battaglie sorrette sempre da un grande coraggio, da una lineare coerenza e da una determinazione ferrea, in tutto degna erede di quella sana “cocciutaggine montanara”
che aveva permesso, quattro secoli prima, al fananese Ottonello Ottonelli di
realizzare quelle “impossibili imprese” che tutti conosciamo.
Ed è pensando soprattutto alle tante battaglie sostenute da Almo
nella sua lunga e laboriosissima vita che la nostra associazione ha voluto
affiggere nelle piazze di Fanano questo manifesto di partecipazione:
L’Associazione Culturale
della Valle del Leo
“Ottonello Ottonelli”
con infinita riconoscenza
porge l’ultimo affettuoso saluto
al socio fondatore
Almo Pasquali
che, con gli scritti
e con l’esempio di un’intera vita,
ha tenacemente custodito,
difeso e trasmesso
le tradizioni, la storia e la cultura
del nostro paese.
FANANO
fra storia e poesia
21
Popolazione e famiglie
di Serrazzone
di Gaetano Lodovisi
La Storia
Serrazzone dista circa tre chilometri dal capoluogo ed è situata a 630
metri d’altitudine. Confina ad Est con Trentino, Trignano e con la provincia di Bologna, a Sud con Montese, con il territorio bolognese e toscano,
ad Ovest con Sestola ed Ospitale e tramite il torrente Leo a Nord con Fanano.
Il Tiraboschi ricorda che era nominato negli atti di dedizione a Modena del 1197 e 1276 con il nome latino Serrazzonum o Serrazzona1.
1
G. Tiraboschi, Dizionario topografico-storico degli stati Estensi, Modena 1825.
FANANO
fra storia e poesia
22
Antico fortilizio, verso la metà del XIII secolo, fu ceduto al comune di
Modena, dai capitani del Frignano, i nobili Gualandelli; venne coinvolto
nelle lotte fra le famiglie Corvoli-Montecuccoli, e Gualandelli; verso la fine
del XIII secolo il castello di Serrazzone fu occupato dai bolognesi. Viene
citato infatti nel lodo del 1299, con il quale Bonifacio VIII stabiliva che i
bolognesi restituissero ai modenesi i loro castelli. Nel 1320 era un comune
autonomo, poiché doveva pagare la tassa di 19 fumanti, ed era ancora
autonomo quando passò ai Montecuccoli, famiglia alla quale rimase fino
al 1424, anno in cui, Gasparo da Montecuccolo, ottenuto il consenso da
Niccolò III, vendette
“per 600 fiorini d’oro la villa di Serrazzone co’ suoi boschi e i
suoi pascoli alla comunità di Fanano”2.
Nel 1684 gli uomini di Serrazzone, vessati dagli aggravi del comune
di Fanano, domandarono di poter costituire una comunità autonoma, ma
l’istanza non fu accolta.
Serrazzone rimase legato a questo comune fino al 1779, anno in cui
fu concesso in feudo al conte Domenico Spaggiari; poi tornò al comune di
Fanano.
Le chiese
Nel 1602, fu iniziata la costruzione della chiesa dedicata alla Natività
di Maria Santissima.
“Fu situata la Chiesa suddetta vicino la Strada Pubblica in mezzo
ai castagneti come si vede, alla quale è contigua la canonica”3.
La chiesa terminata nel 1603 fu eretta parrocchia nel 1621. Don Martinelli scrisse che un tempo esistevano altre tre chiese:
“la chiesa di Monteluzzo, dedicata a s. Senesio conserva ancora
qualche vestigia e che era in piedi nel 1558. Oltre a quella di
2
D. Pantanelli-V. Santi, Itinerari, in L’Appennino Modenese, p. 1107, Rocca S. Casciano
1895 (ristampa del 1972).
3
A.P.Fanano, Appunti dattiloscritti di don Ricci su Serrazzone; A.P.Serrazzone, Anno Domini
1725 - Libro Campione della Chiesa di S.Maria di Serrazzone fatto dal Rett. Don Antonio
Martinelli da Fanano.
FANANO
fra storia e poesia
23
La Castellaccia. Attualmente l’edificio è di proprietà dei coniugi Franco Silvestre e
Loretta Biagini di Carpi, che ringraziamo vivamente per la disponibilità dimostrata
Monteluzzo, un’altra chiesa era stata costruita nel recinto del
Castello degli Azzoni, oggi detto “Castellaccia”, dedicato a S. Nicola da Tolentino, della quale esistevano resti ancora nel 1725.
Una terza chiesa, pure molto antica, era stata eretta nel centro
del paese, dedicata alla B.V., a S. Agostino e S. Nicola. Oggi quel
luogo viene chiamato “Chiesa vecchia” e di essa sono ancora in
piedi ruderi e pezzi di muro. In quella chiesa celebravano i sacerdoti inviati da Fanano”4.
Sul finire degli anni cinquanta la vecchia chiesa, dedicata alla Natività
di Maria Santissima, prossima ad andare in rovina, fu demolita e ricostruita in stile moderno dall’arciprete don Paolo Foli, mentre il campanile
rimase quello costruito agli inizi del Novecento.
4
Ibidem
FANANO
fra storia e poesia
24
Inaugurazione della chiesa
I Rettori di Serrazzone
dal 1621 al 1648 don Marco Antonio Rota di Fanano
(1580c.-1648)
dal 1648 al 1649 don Giovanni Albinelli
di Serrazzone (1612-1698)
dal 1650 al 1685 don Bartolomeo Tonini
di Serrazzone (1628-1689)
dal 1685 al 1713 don Domenico Dino Guanelli
dal 1713 al 1720 don Pellegrino Torricelli di Serrazzone (1664-1737)
dal 1721 al 1738 don Antonio Martinelli di Fanano
(1686c.-1738)
dal 1738 al 1788 don Carlo Tonini di Serrazzone (1714-1788c.)
dal 1789 al 1795 don Lorenzo Nanni di Trentino
dal 1795 al 1837 don Giovanni Battista Foli di Serrazzone (1756-1843)
dal 1837 al 1877 don Pietro Bonucci di Serrazzone (1807–1877)
dal 1878 al 1892 don Domenico Solignani di Serpiano
dal 1893 al 1914 don Bartolomeo Monzali di Rosola
dal 1914 al 1942 don Leopoldo Sandri di Rocchetta Sandri
dal 1942 al 1946 sacerdote extradiocesi
don Emilio Bazzani di Fanano (1901-1957)
FANANO
fra storia e poesia
25
dal 1947 al 1951 don Igino Baldini di Torre Maina (1922-2009)
dal 1952 al 2002 don Paolo Foli di Fanano
(1926-2002)5
dal 2002 ad oggi la parrocchia è stata retta dal parroco di Fanano.
Dal 1724 al 1781 vi sono 7 distinti Stati d’Anime6 con relativo riassunto;
Fuochi o famiglie, abitanti e persone da Comunione con una media che
può essere così sintetizzata: famiglie circa 80, abitanti battezzati 364.
Nel 1738 lo storico Lodovico Ricci riportò 375 abitanti.
Nel 1854 si contarono 95 famiglie e 535 persone7.
Nel 1866 le famiglie erano 114 e 616 abitanti8.
Nel 1874 le famiglie erano 133 e 706 persone9.
Nel 1895 a parere degli storici Santi e Pantanelli la popolazione era di 679
persone.
Nel 1897 le famiglie erano 151 con ben 926 abitanti10.
Nel 1991 censimento del comune di Fanano: 104 abitanti.
Nel 2002 censimento del comune di Fanano: 92 abitanti.
Dai registri dei battesimi della parrocchia di Serrazzone dall’anno
1621 e, fissando sempre come inizio questa data, ho trascritto i cognomi
delle venti famiglie con un numero maggiore di nascite nei periodi che
vanno sino al 1690 e al 1723.
(1621-1690) Muzzarelli
Lolli Bonucci
Tonini
Benassi
Bonfiglioli
169
64
60
46
40
31
(1621-1723)
Muzzarelli
Lolli Bonucci
Benassi
Tonini Bonfiglioli
210
110
84
65
59
37
5
A.P.Fanano - A.P.Serrazzone, i dati sono stati desunti da un’attenta ricerca dei registri parrocchiali.
6
Gli Status Animarum o stati delle anime erano dei registri che, in seguito al Concilio di
Trento (1545-1563), i parroci erano tenuti a compilare regolarmente: in esso erano registrati dati anagrafici e religiosi dei parrocchiani, pertanto possono essere considerati un
censimento della popolazione.
7
A.P.Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1854.
8
A.P.Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1866.
9
A.P.Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1874.
10
A.P. Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1897.
FANANO
fra storia e poesia
26
Rossi Baroncini
Bacci Albinelli
Munarini
Zampieri
Piccinotti
Tassoni
Cattinari
Foli Valentini
Curradi
Berti
Torricelli
Curradi
19
18
18
16
15
14
13
11
11
10
9
9
7
7
9
Rossi Piccinotti
Baroncini
Bacci Zampieri
Tassoni
Munarini
Albinelli
Torricelli
Foli Cattinari
Ventura
Pattarozzi
Valentini
23
18
18
18
18
17
16
16
13
12
11
11
9
9
Dallo stato delle anime dell’anno 1724 abbiamo il seguente numero
di famiglie:
16 Muzzarelli
10 Lolli
8 Benassi
7 Bonucci
5 Tonini
2 Munarini, Torricelli Rossi, Bonfilioli, Pigati
1 Tassoni, Cassai, Poli, Manfredini, Corradini, Pattarozzi, Gherardini,
Zampieri, Foli, Cattinari
Origine delle famiglie
GLI ALBINELLI
Il cognome Albini e il suo derivato Albinelli muovono dal personale
latino Albinus, un soprannome derivato da albus “bianco, chiaro di pelle,
di capelli”11. Antica e notevole famiglia di Sestola, molti rappresentanti
di quest’importante casata di Sestola esercitarono, sin dal ‘400, la nobile
11
E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, Milano 1978, p.49.
FANANO
fra storia e poesia
27
arte del notaio12. Si ramificarono nel Cinquecento nella
vicina Lotta ove, sino al 1650, furono la famiglia con il
maggior numero di nati13. Salustio Albinelli di Baldassarre, nato a Sestola14 nel 153215 venne ad abitare a
Serrazzone verso la metà del XVI secolo. Da Salustio e
Caterina, nascono i figli Alberto, Antonio, GiovanPaolo
e Simone.
Alberto Albinelli del fu Salustio figura tra i rappresentanti degli uomini di Serrazzone che domandarono ed ottennero che la
chiesa costruita nel 1603 e dedicata alla Natività fosse eretta in parrocchia
nel 162116. Presenti a Serrazzone sino alla fine del Seicento, si ramificarono nella vicina Ospitale per mezzo di Antonio che sposò Caterina17 e si
trasferì ad Ospitale dove dai figli Ludovico, Bartolomeo e Giovan Battista,
continuerà il rigoglioso albero degli Albinelli d’Ospitale.
GLI AMIDEI
È la cognominizzazione del nome Amadèo e Amedèo, Amidèo, formatosi nell’alto Medio Evo e documentato dall’XI secolo nelle forme latinizzate Amadeus, Amedeus, Amideus. È quindi uno dei tanti nomi augurali e
di devozione cristiana formati con Dio e Deo, cioè “ama Dio”18.
I fratelli Maria Alessandra, Gio.Battista e Bartolomeo nati a Fiumalbo
da Giovanni Amidei e Maria Antonia Lenzini si stabilirono a Serrazzone verso il 181519. Giovanni Battista sposò Maria Antonia Poli e Bartolomeo sposò
Maria Muzzarelli, entrambi abitarono a “Casa Roganti”. Dai discendenti,
delle due coppie, proseguirà la genealogia degli Amidei di Serrazzone.
12
A. Sorbelli, Regesti del notaio Giovanni Albinelli, Bologna 1903, p.16.
13
G. Lodovisi, Popolazione e famiglie di Lotta, in Fanano fra storia e poesia, n.12 (2004), pp.
43-44.
14
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali, Pavullo, notaio Magnanino Magnanini di Fanano, atto
del 12 febbraio 1581: “Salustius f. q. Baldassaris Albinelli di Sextula di presenti habitatori Serrazzoni…”.
15
A.P.F., I Libro dei morti, dal 1565 al 1687. Data di nascita desunta dall’atto di morte del
03/09/1592 in cui è annotata l’età di Salustio da Serrazzone, anni 60
16
A.P.Serrazzone, Anno Domini 1725 - Libro Campione della Chiesa di S.Maria di Serrazzone fatto dal Rett. Don Antonio Martinelli da Fanano.
17
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto di matrimonio, dell’ottobre del 1586, Antonio figlio di Salustio Albinelli da Sestola sposa Caterina f. di Domenico.
18
E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, p.53, Vicenza 1978.
19
A.P.Serrazzone, Stato delle anime 1815.
FANANO
fra storia e poesia
28
I BACCI
Cognome frequente soprattutto in Toscana dove appare già nel 720 a
Lucca come Bacciulus, e poi comune nei documenti del Duecento; ha alla
base l’ipocoristico, abbreviato, di vari nome personali come Bartolaccio,
Brunaccio, Baccelliere etc 20. Antica famiglia di Serrazzone, nel Cinquecento era già presente anche a Fanano. Nella pace, ratificata nella fortezza di
Sestola il 9 febbraio 1531, tra i capi della fazione ghibellina – detta parte
di dentro – figurano Rogante del fu Giovanni e Domenico detto “Bigio”
Bacci. La casata Bacci aveva una sua sepoltura nella chiesa di Serrazzone:
agli inizi del Settecento risultava estinta ogni linea e pertanto il Cardinale
Tanara giudicò la sepoltura a favore della chiesa21.
I BENASSI
Il cognome Benassi deriva da una forma augurale che si dava quando nasceva un bimbo Be(ne)nasci22. La genealogia di questa famiglia ha
origine da quel Benasio che abbiamo trovato tra gli uomini di Vaglio radunatisi nel 1437 per stabilire i confini con Valdalbero23. I Benassi abitavano
al Monticello di Vaglio dove ancora oggi sono presenti. Un ramo di questa
famiglia proveniente da Vaglio di Lama Mocogno si trasferì poco oltre il
1500 a Serrazzone.
Nel testamento di Accursio Muzzarelli, rogato dal notaio Magnanino
Magnanini il 18 ottobre 1582, è citato tra i confinanti “Ioannem Marcum
Benassium de Valio habitantem Fanani”24, quale proprietario di un pezzo
di terra prativa, denominato “il Monticello”, luogo posto nelle vicinanze
delle Caselle di Serrazzone.
I rappresentanti della famiglia Benassi nei registri parrocchiali delle
chiese di Fanano, Serrazzone ed Ospitale in principio erano indicati con
il nome seguito dal paese di provenienza “da Vaio” (Vaglio). Tra il 1566
e il 1620 si contano più di 50 nati provenienti da Vaglio: Giovan Marco
20
E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, p.65, Vicenza 1978.
21
A.P.Serrazzone, Anno Domini 1725 - Libro Campione della Chiesa di S.Maria di Serrazzone fatto dal Rett. Don Antonio Martinelli da Fanano.
22
F. Violi, Cognomi a Modena e nel modenese, Modena 1996, p. 33.
23
A. Mazzieri, Vaglio un’antica comunità, Modena 1987, p. 91.
24
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali, Pavullo, notaio Magnanino Magnanini.
FANANO
fra storia e poesia
29
“da Vaio”, Antonio “da Vaio”, Segnarino “da Vaio” e Valdisserra “da Vaio”
sono i capostipiti di questa famiglia. I discendenti di GiovanMarco, nato
presumibilmente intorno al 1530, abitavano alle “Caselle” di Serrazzone
e nel medesimo borgo e sullo stesso podere si sono succeduti di generazione in generazione sino al repentino abbandono dovuto al movimento
franoso del 195225.
Nella Storia di Fanano, il Pedrocchi illustra il ramo dei Benassi generato da Cristoforo; questo ceppo diede notevole lustro a questa casata, ma
si estinse nel XVIII secolo.
Cristoforo è il capostipite. Il 20 settembre1606 GiovanGiacomo Benassi sposa, nella chiesa di San Silvestro di Fanano, Domenica, figlia d’Ortensio Cima di Fanano. Questa unione fu propizia a questa famiglia e a
GiovanGiacomo che, fatto Alfiere della Compagnia di Fanano, il 24 luglio
del 1628 rese questa testimonianza relativa all’anno 1624 o 1625:
“Io mi raccordo benissimo come Alfiere dell’Insegna di Fanano
dhavere ricevuto ordine, che tengo tuttavia presso di me, dal signor Governatore e signor Colonello di Sestola di andare personalmente con una truppa dè miei soldati, cioè della mia insegna,
à guardare il passo della Croce, per il quale si passa à venire di
Toscana diquà via, et anche la via ò strada di Valdigorgo, per la
quale pure si camina, con occasione della fiera di San Bartolomeo, che si fà in Pavulle, et questo accioche i malandrini, che andavano facendo dei robbamenti in Valdigorgo, non infiltrassero
quel territorio di Fanano, et di Sua Altezza Serenissima si come
vi andai, e condussi meco, il sargenti Giovann Antilio Cima, (suo
cognato) uno de’ sargenti di questa insegna, et tenendo io con
una pattuglia d’Huomini il passo della Croce, et mandandolo lui
con un’altra patuglia al passo di Valdigorgo, et questo è publico,
e notorio, e ci stassimo otto giorni continui, et sinche parve à i
padroni sudetti, che abbandonassimo i posti, che fù dopo, che la
soldatesca di pavulle hebbe abbandonata la fiera, e così salvassimo, che non fù robbato alcuno passaggiero”26.
La testimonianza continua con il racconto di un fatto curioso accaduto
nel 1626 di cui si rese partecipe l’Alfiere GiovanGiacomo il quale riferisce
25
“La Gazzetta di Modena”, 27 dicembre 1952, Natale tragico dei profughi di Caselle, articolo di Almo Pasquali.
26
A.S.Mo., Confini dello Stato, busta 61/a: “1628, Processus Criminalis in Causa Valdigurghi, Territorii Fanani, Status immediatis”.
FANANO
fra storia e poesia
30
che, sempre su ordine del signor Governatore di Sestola e del Colonnello,
insieme ad altri si trovarono
“à spalleggiare il Bargello di Sestola, et sua corte, vestiti da pastore, e da donna ch’erano al detto Valdigorgo andando innanzi,
et indietro per due, ò tre giorni continui, acciò che quei malandrini pensandoli pastori, et femine venissero à robbarli, ch’essi
all’hora li volevano prendere, et fare alle archibugiate, et ad
ogni buon fine, e loro bisogno essere aiutati da noi soldati”27.
GiovanGiacomo, poco oltre il 1630, si trasferì con la famiglia a Modena al servizio del principe Obizzo d’Este (1611-1644), Vescovo di Modena.
Nominato Colonnello di Formigine lo servì con dedizione sino alla morte.
In seguito, grazie alle ottime referenze di Obizzo, passò agli ordini del fratello, il Duca di Modena Francesco I, e continuò a dar prova di gran valore
militare e umano. Rimasto ferito in Alessandria, fu nominato in seguito
sopraintendente della Ducale Scuderia28.
Nel 1640 la famiglia Benassi di Fanano ottenne la cittadinanza onoraria di Modena29. Il colonnello GiovanGiacomo morì in età avanzata e fu
sepolto a Modena nella chiesa dei PP. Scalzi nella Cappella di S. Giuseppe.
Suo figlio Cristoforo nato a Fanano il 27 settembre 161830, studiò a Modena e Bologna dove divenne dottore in legge.
Ricoprì le cariche di Podestà di Reggio, giudice di Modena, Luogotenente nel governo di Reggio, seguendo il Duca Francesco I (1610-1658),
alleato dei francesi, nella guerra dei Trent’anni combattuta in alt’Italia,
con l’incarico d’auditore generale di tutto l’esercito. Successivamente fu
dichiarato Commissario e Auditore generale di tutte le milizie dello Stato
di Modena. Morì all’età di 47 anni (1665c.) e fu sepolto in Modena nella
Chiesa della SS. Nunziata.
Dal matrimonio con la signora Ersilia Bergomozzi, nobile Modenese
ebbe tre figli; Cesare, GiovanGiacomo chiamato poi nella cresima Antonio
e Maria Caterina. Cesare (1655c-1730) studiò e si laureò dottore in legge
civile e canonica nel collegio di Bologna. Sposò Caterina Ciardi (1664c.1729) e, dopo aver esercitato varie giudicature nel ducato estense come
Toano, Monfestino, Semese, Cerreto delle Alpi, tornò alla sua amata Fa-
27
Ibidem
28
N. Pedrocchi, Storia di Fanano, Fanano 1927, pp. 331-333.
29
B.E. Mo., Fondo Sorbelli, busta 1135.
30
Erroneamente il Dizionario biografico frignanese scrive viv. nel 1800.
FANANO
fra storia e poesia
31
nano dove tra il 1688 e il 1690 ricoprì anche la carica di Sindaco31. La
madre, signora Ersilia, morì il 2 aprile 1693 e fu sepolta nella chiesa di s.
Silvestro di Fanano32. Il dottor Cesare Benassi morì a Fanano il 31 marzo
173033. Don Antonio (1660c.-1738), fratello di Cesare, seguì la vocazione religiosa e divenne Sacerdote, professando in Fanano. Il 5 novembre
1693, da Cesare e Caterina nacque Cristoforo (1693-1749), ultimo rappresentante maschile di questa discendenza.
Dal terzo libro dello stato delle anime, della Parrocchia di S. Maria
di Serrazzone, iniziato nel 1854, si rileva che a Serrazzone vivevano 535
persone distribuite in 95 famiglie. I diciotto capifamiglia Benassi esercitavano le seguenti professioni: undici pastori, quattro possidenti, un medico, un bracciante ed un falegname.
Dal quarto libro dello stato delle anime (1874-1897), si nota come i
Benassi di Serrazzone avevano la netta predominanza nel borgo di “Casa
Bonucci”, in uno dei vari elenchi, si contavano in totale ben 23 famiglie
che dimoravano nelle seguenti borgate:
15 famiglie, composte da 107 persone, abitavano a “Casa Bonucci”.
2 famiglie, con 24 persone annotate, dimoravano alle “Caselle”
2 famiglie, con 17 persone segnate, abitavano a “Pian della Farnia”.
1 famiglia, formata da 14 persone, abitava “al Rio”.
1 famiglia di 7 persone abitava alla “Teggia”.
1 famiglia di 4 persone abitava in “Valfredda”.
1 famiglia di 3 persone abitava al “Fosso”.
(le famiglie in realtà erano di più poiché spesso il capofamiglia viveva con
le famiglie dei figli).
Il Capitano Biagio di “Casa Bonucci”
Il Capitano Biagio Benassi, nato il 20/02/1778 da GiovanBattista e
Maria Giovanna Zucchi, entrò nel 1803 come soldato nella fanteria. Nel
1804 fu al blocco di Venezia contro gli Austriaci e nel 1806 a quello di
Maratea contro gli insorgenti calabresi, sostenuti dai Borboni di Sicilia
e dagli Inglesi. Nel 1807 fu all’assedio di Gaeta contro gli insorgenti del
31
A.S.Mo., Archivi Privati, Fondo Jacoli, b. 82. “Atti del Consiglio Comunale di Fanano
1687/1692”.
32
A.P.F., II Libro dei morti, dal 1690 al 1794.
33
Ibidem
FANANO
fra storia e poesia
32
Casa Bonucci
napoletano e, negli anni 1808-09-10 alla spedizione Francese nelle isole
Ionie da dove rientrò nel regno italico nel 1811. Nel 1812 partecipò con la
Grande Armata alla campagna di Russia34. La Grande Armata aveva oltre
600.000 uomini: 370.000 morirono in battaglia, di malattia o di freddo.
200.000 furono fatti prigionieri dai russi e almeno metà di essi perirono35.
Nei combattimenti a Malojaroslavetz Biagio Benassi si distinse e fu
promosso sul campo al grado di capitano dallo stesso Napoleone Bonaparte36. Era il 24 ottobre: le avanguardie dei due eserciti si scontrarono. I russi
persero 7000 uomini, i francesi 4000, ma i Russi potevano rimpiazzare
le loro perdite, i francesi no37. In questa battaglia si racconta che durante
l’attacco della cavalleria cosacca gli fu ucciso il cavallo, era ormai notte, il
34
A.Sorbelli-A.Rabetti, Dizionario biografico frignanese, Pievepelago 1952, p.279.
35
www.genie.it, Napoleone: La campagna di Russia.
36
Erroneamente il Dizionario biografico frignanese indica come luogo dello scontro Malowslawer.
37
www.genie.it, Napoleone: La campagna di Russia.
FANANO
fra storia e poesia
33
freddo terribile, accertata l’impossibilità di passare sull’altra sponda del
fiume, per potersi mettere in salvo, mancando qualsiasi riparo, aprì il ventre del cavallo appena ucciso e v’infilò le gambe evitando il congelamento.
Il giorno dopo guadò il fiume e riuscì poi a rientrare in Italia38. Napoleone I,
imperatore dei Francesi, dopo la sua incoronazione a re d’Italia avvenuta
il 26 maggio del 1805, creò il successivo cinque giugno, l’Ordine cavalleresco della Corona Ferrea per ricompensare i valorosi, gli scienziati ed altri
dichiarati degni. Biagio Benassi fu insignito di quest’alta onorificenza. Una
lapide, murata nel palazzo del Municipio di Fanano recitava
“A Biagio Benassi - Capitano e cavaliere della Corona Ferrea.
Dal 1804 a tutto il 1814 - nelle battaglie Napoleoniche - in Russia e nella memorabile ritirata - valoroso sempre - i figli superstiti Pompeo, Galgano, Dottor Annibale e Battista Benassi a perenne e benemerito ricordo- posero l’anno 1891 nel municipale
palazzo di Fanano”39.
Biagio sposò Pasqua Torricelli, nata il 18-07-1794, dalla quale ebbe
diversi figli; tra questi si mise particolarmente in luce Annibale che, nato il
24 febbraio 1818, studiò nell’università di Pisa, si arruolò nel Battaglione
Universitario e combatté fra i paesi di Curtatone e Montanara nel 1848,
dove fu scritta una delle più belle pagine del Risorgimento italiano40.
Il 29 maggio 1848, contro il corpo di spedizione austriaco, al comando del Maresciallo Johann Joseph Radetzky, si distinsero con atti eroici,
dettati in ugual misura dall’amor patrio e dall’incoscienza giovanile, gli
studenti del Battaglione Universitario.
Annibale si laureò in medicina, tornò ad abitare a Serrazzone, sposò Possidonia Torricelli, ed iniziò ad esercitare la professione di medico
in Fanano. Dai fratelli di Annibale, Pompeo, Odoardo, Galgano, Quinto
e GiovanBattista continuerà il florido albero dei Benassi discendenti del
capitano Biagio.
I BONDI
È il nome proprio medievale Bonadies, Bondie, Bondi, cioè “buon dì”,
che si dava ai neonati come augurio per il loro ingresso nella vita. Un
38
A.Pasquali, La maestà del capitano, in Fanano fra storia e poesia n.3 (1997), pp.25-26.
39
B.E. Mo., Fondo Sorbelli, cit.
40
A. Sorbelli-A. Rabetti, Dizionario biografico frignanese, cit.
FANANO
fra storia e poesia
34
“Bondi de Porcile” è nominato in una carta modenese del 1190. Non è da
escludere che, all’origine di taluni Bondi, sia anche una forma afeterica
del nome tardo latino (A)bundius, da cui Sant’Abbondio41. I fratelli Giovanni Pellegrino e Domenico figli del fu Giuseppe, entrambi nati a Fanano,
si stabilirono a Serrazzone verso il 1720 42.
I BONFIGLIOLI
Cognome augurale, cioè “(che sia un) buon figlio o figliolo”43. Martino
nato nel 157444 è il capostipite della casata dei Bonfiglioli di Serrazzone.
Nell’atto di morte del 10 aprile 1648 si legge:
Martinus Bonus Filius etatis sue 74 in comunioni...45.
Il cognome mutò nel Seicento da Bonfilio a Bonfiglioli.
I BONUCCI
La famiglia Bonucci proveniente da Roncoscaglia di Sestola venne ad
abitare a Serrazzone nella borgata di Val di Fredda, poco dopo la metà
del 1500. Bonuccio Bonucci, padre di Michele e Antonio fu il capostipite
di questa casata46.
Michele di Bonuccio Bonucci figura tra i rappresentanti degli uomini
della Villa di Serrazzone che nel 1621 incontrarono il Vicario Generale di
Nonantola e chiesero l’erezione in Parrocchia della chiesa di Serrazzone47. Nel 1639, Lorenzo di Michele Bonucci venne chiamato come testi-
41
F. Violi, Cognomi a Modena e nel Modenese, p.42, Aedes Muratoriana, Modena 1996.
42
A.P.Serrazzone, Stato delle anime 1815.
43
E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, p.83, Vicenza 1978.
44
La data è stata desunta dall’atto di morte.
45
A.P.Serrazzone, I Libro dei morti 1621-1720.
46
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto di matrimonio del giugno 1577, Antonio
figlio di Buonucio da Ronchodeschiaia sposa Chamila fiola di GioGiacomo d’Andrea Mucciarello.
47
A.P.Serrazzone, A.D. 1725 Libro Campione della Chiesa di S. Maria di Serrazzone fatto dal
Rett. D. Antonio Martinelli da Fanano.
FANANO
fra storia e poesia
35
Casa Bonucci
mone per le controversie relative ai confini tra Fanano e Rocca Corneta.
Lorenzo dichiarò:
“Io sono nato, et allevato in Vaifredda, mio padre nacque a Roncodiscaglia Giurisdizione di Sestola, è ben vero che da putto
andò a habitare in Vaifredda, et continuamente v’habitò, com’ho
fatto e faccio anch’io” 48.
Questa famiglia dette anche il nome al borgo di “Casa Bonucci”, posto
a Serrazzone alto. Il cognome deriva dal nome di persona Bono, abbastanza diffuso nel Medio Evo, ed è collegato all’aggettivo buono da cui il
soprannome Bonuccio ad indicare una persona “di buon carattere”49. Il
nome Bonuccio appare a Roncoscaglia in un rogito del 2 marzo 1459 del
notaio Giovanni Albinelli.
“Bonuccio di Pietro di Roncoscaglia nomina suo procuratore Domenico detto Menegozzo fu Giovanni dello stesso luogo, per ritirare denaro”50.
48
A.S.Mo., Confini dello Stato, busta 61/b.
49
E. De Felice, Dizionario dei cognomi italiani, p.83, Vicenza 1978.
50
A. Sorbelli, Regesti del notaio Giovanni Albinelli, estratto dagli “Atti e Memorie della R.
Deputazione di Storia Patria per la Romagna”, s. III, v. XXI, Bologna 1903.
FANANO
fra storia e poesia
36
I CASSAI
Il cognome deriva dal mestiere di “cassettari” o “cassai”, cioè coloro
che producono casse, travi, assi, doghe e vari utensili col legno degli abeti,
faggi e larici reperibili sul posto. La famiglia Cassai venne a vivere a Serrazzone proveniente nel 1680 da Pievepelago, quando Domenico, figlio di
Stefano Cassai, sposò Maria Benassi di Serrazzone51.
I FANTINI
La famiglia Fantini proveniente da Vesale di Sestola venne ad abitare
a Serrazzone nella località detta “ai Lagacci” verso il 1830. Successivamente il borgo costituito da una casa padronale, da una casa colonica con
stalla e fienile e dall’oratorio prese il nome di “Casa Fantini”. Nel registro
per la numerazione di tutte le case, del comune e sezione di Fanano, datato 1811, “Casa Fantini” viene denominata “la Fabrica del Giardino”.
L’oratorio era certamente privato della famiglia Fantini. Il dottore Giovanni Domenico Fantini probabilmente lo fece costruire per comodo proprio
e dei propri familiari, in quanto aveva un figlio sacerdote che così poteva
disporre di un vicino luogo di culto ove poter dire messa. Giovanni Dome-
51
A.P.Serrazone, I Libro dei matrimoni 1623-1722. Atto del 6 Agosto 1680.
FANANO
fra storia e poesia
37
nico proveniente da Vesale si trasferì a
Serrazzone con la moglie Rosa Landi e
i tre figli Giorgio, il sacerdote don Giovanni e Eugenio52.
L’oratorio è ricordato nel verbale
della visita pastorale del 10 aprile 1832
come di recente costruzione, sotto il titolo di Auxilium Christianorum53. Dopo
la metà dell’Ottocento anche l’oratorio
di San Colombano di Fanano divenne
proprietà dei Fantini di Serrazzone e in
seguito della famiglia Bondi di Serrazzone54. La famiglia Bondi di Casa Picchiotto si era imparentata con i Fantini
tramite il matrimonio del dottore Angelo e del fratello Domenico Antonio,
figli di Francesco, rispettivamente con
le sorelle Edvige e Carolina figlie del signor Giorgio Fantini55.
I FOLI-VALENTINI
Antica famiglia di Fanano, presente con certezza agli inizi del Quattrocento. In un atto notarile di Giovanni Albinelli del 27 ottobre 1436 si
legge che
“Carlo fu Guglielmo “Perachii” di Fanano vende a Francesco Foli
pure di Fanano “unam tegetem muratam usque ad primum tasellum” posta in Fanano Al ponte da la pieve, per lire 15”.
Probabilmente da Fanano questa famiglia si diramò anche a Serrazzone. Il ramo di Serrazzone ebbe come punto fisso il borgo “Le Coste”.
52
A.P.Serrazone, Stato delle Anime dell’anno 1854.
53
A. Silvestri, Fanano Sacra: Cielo e Terra d’Appennino, Centro Studi Storici Nonantolani,
p.264, Livorno 2005.
54
A.P.Fanano, Manoscritto “Cronistoria degli Arcipreti Battistini-Monari”, capo VII – Restauro della Chiesa di San Colombano.
55
A.P.Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1854.
FANANO
fra storia e poesia
38
Uno dei nomi che ricorreva spesso in questo ceppo era Valentino, dal quale alcuni rappresentanti di questa famiglia presero il cognome Valentini. Il
cognome Foli trae origine dal nome del capostipite Folo o forse dal luogo
detto “Follo” situato a Fanano e citato nel 161456.
I Foli, nei documenti del Cinquecento e Seicento, vengono citati anche
con il cognome Fuoli e Folli. Del ramo più importante di quest’antica famiglia fananese disegniamo l’albero genealogico diretto del celebre Cecilio
Foli:
Folo
Silvestro
Barducco
+ il 6/8/1579
SilvestroBattista Bartolomeo
Biagio
1554 + 10/10/1614 + il 6/8/1579
BarduccoGiambattista
Ercole
1581 1585 c.+1654 1592+1616 c. Cecilio
1615+1682
Giulia
1587
Questo ramo fu coinvolto profondamente nei combattimenti fratricidi
tra le fazioni e nelle liti e delitti che caratterizzarono il Cinquecento e il
Seicento di Fanano. Barducco Foli ed il figlio Biagio morirono nell’Agosto
del 1579 colpiti da alcune archibugiate in piazza a Fanano. A sparare
furono Giovanni Muccini, Francesco Neruzzi e Nicolo Lucietto, infrangen-
56
B.E.Mo., Fondo Sorbelli, busta 873 (II). Bartolomeo Fuoli e Cornelia Ciardi, rimasti vedovi, si unirono in matrimonio il 20 settembre 1594 e la donna, affidati i figli ai parenti
di Antonio Ottonelli, andò ad abitare in casa di Bartolomeo. Dopo circa venti anni, i due
si separarono. Dalle lettere scritte al principe di Modena da Orazio Livizzani prima e poi
da Geminiano Ronchi, entrambi governatori del Frignano, si evince che nel gennaio del
1614 Cornelia abbandona il marito e, a sua insaputa, andò ad abitare con il figlio Rogante
Ottonelli. Nel mese di luglio, durante il periodo della mietitura, Cornelia, con l’intervento
anche di persone forestiere, fece tagliare un campo di grano nel luogo detto “Follo” -proprietà di Bartolomeo- e comandò che il raccolto venisse trasportato a casa del figlio.
FANANO
fra storia e poesia
39
do la pace tra le due fazioni e la parola data al duca estense57. Il notaio Bartolomeo Foli, figlio di Barducco, il 10 ottobre 1614, fu ucciso con
un’archibugiata mentre parlava con una persona all’uscita della messa.
A sparare fu Guido di Matteo Baruffi di Montalto su ordine di Rogante
Ottonelli58. Quest’ultimo venne condannato al bando capitale dallo Stato
e alla confisca dei beni. Giambattista e Ercole, figli di Bartolomeo non si
accontentarono della condanna inflitta dalla giustizia ed il 3 dicembre
del 1615 insieme ad altri complici uccisero il capitano Pietro Ottonelli e
ferirono il fratello Ascanio59. Banditi perpetuamente dallo Stato estense
se ne andarono a Venezia, dove si arruolarono nell’esercito della Serenissima impegnato nella guerra del Friuli, (1616-1617) contro gli Asburgo
d’Austria: Ercole come capitano e Giambattista come medico al servizio
degli ufficiali. Ercole morì valorosamente sul campo di battaglia, mentre
Giambattista conseguì grandi meriti, esercitando in seguito il prestigioso
incarico di Protomedico della Serenissima. Giambattista prese sotto la sua
tutela Cecilio, orfano del fratello Ercole. Cecilio studiò nell’università di
Padova, ove ottenne la laurea in filosofia e medicina. Nel 1650 prese il
posto dello zio nell’incarico di Protomedico della Serenissima, diresse il
Nuovo Teatro Anatomico di Venezia, pubblicò diverse opere illustrando le
sue importanti scoperte in campo medico60.
LOLLI
I fratelli Andrea e Lolo, figli dell’Appollonia di Monterastello di Verica,
vengono ad abitare a Pian della Farnia di Serrazzone verso la metà del Cinquecento. Il nome Lolo genera il cognome Lolli mentre il nome Andrea dà
vita al cognome Andreoni, famiglia che in seguito si trasferirà ad Ospitale.
Sui registri parrocchiali sono indicati come Andrea e Lolo “della Polonia”61.
I Lolli ebbero come punto fermo il borgo di Pian della Farnia di Serrazzone.
57
B.E.Mo, Compendio breve abbozzato del Hystoria de’ miei tempi, delle cose più notabili
accadute A FANANO…. del dr. Benedetto Rinaldi.
58
B.E.Mo., Fondo Sorbelli, busta 873 (II).
59
Ibidem.
60
G.Lodovisi, Le cause dell’odio tra Ottonelli e Foli, la guerra del Friuli, i capitani della
famiglia Ottonelli, pp.63-70, in Fanano fra storia e poesia nr.23; R. Rossi Ercolani, L’avvincente storia della cappella Foli, pp.103-110, in Fanano fra storia e poesia nr.13; M.
Bresadola, Da Fanano alla Serenissima – Cecilio Foli e la medicina d’età moderna, pp.
57-68, in Fanano fra storia e poesia nr.22.
61
A.P.F., I Libro dei battesimi, 1565-1624.
FANANO
fra storia e poesia
40
La fondazione del Convento delle suore Cappuccine avvenne sul finire
del Seicento nella villa di Ospitale per volere di don Giovanni Battista Lolli,
rettore della chiesa di San Giacomo dall’agosto 1679 al 1707.
“Uomo intelligente, attivo, pieno di spirito, lavorò molto per il
bene della parrocchia particolarmente dal lato spirituale; fondò
una piccola comunità di suore del terzo ordine francescano e la
corredò anche di una piccola chiesetta che poi finì col servire da
parrocchiale quando per ordine del cardinale De Angelis, Abate
di Nonantola, la vera parrocchiale nel 1688 venne sospesa perché pericolante”62.
Nel 1707 fu trasferito Arciprete a Fanano. Egli
“vedendo di non poter prestare al nuovo Conservatorio quell’assistenza che aveagli prestata sino allora colla sua vicinanza e
presenza, pensò di trasferire le religiose nella terra medesima
di Fanano, ove avrebbe avuto maggior comodo di provvedersi
del bisognevole per il proprio sostentamento, nelle infermità più
assistenza de’ medici e per il loro profitto spirituale direttori più
scelti e qualificati”63.
62
A.P.O., Don Giovanni Ricci, appunti dattiloscritti sulla parrocchia di Ospitale.
63
N. Pedrocchi, Storia di Fanano, Fanano 1927, p. 178.
FANANO
fra storia e poesia
41
Il cardinale abate Sebastiano Tanari accolse la sua domanda e don
Lolli preparò un edificio vicino alla chiesa parrocchiale, nel luogo detto di
“Sambuco”. Don Giovanni Battista Lolli era figlio del dottor Andrea Lolli,
nato a Serrazzone il 17 agosto 1622, e di Pellegrina, figlia del capitano
Battista Muzzarelli. Il dottor Andrea Lolli, dopo il matrimonio avvenuto il
9 ottobre 1646, esercitò la professione di medico a Fanano; ammalatosi,
morì nella canonica d’Ospitale il 26 aprile 1686 e fu sepolto in quella chiesa. L’oratorio di San Rocco fu fondato dalla famiglia Lolli. “Il verbale della
visita pastorale del 1828 risulta l’unica fonte certa per risalire alle origini
di questa istituzione religiosa. Tra vari documenti, infatti, è presentato un
atto di fondazione, datato 4 settembre 1712, in cui si specifica che, dietro
istanza degli uomini di Serrazzone in occasione della pestilenza, si diede
inizio ai lavori di costruzione, con la dotazione di 600 scudi modenesi, il
reddito dei quali doveva essere impegnato nel mantenimento della fabbrica, delle sacre suppellettili e per la celebrazione delle messe: tre nel
giorno di San Rocco e due in quello di San Sebastiano. Col rimanente della
somma si doveva provvedere alla celebrazione delle messe per i benefattori vivi e defunti. Poiché i 600 scudi furono sborsati dai fratelli Carlo,
Marco e Giovanni Lolli, se ne deduce che l’oratorio fu fondato in quei tempi dalla famiglia Lolli di Pian della Farnia di Serrazzone, che ne deteneva
il giuspatronato e che destinò vari beni in beneficio dello stesso”64.
64
A. Silvestri, Fanano Sacra: Cielo e Terra d’Appennino, Centro Studi Storici Nonantolani,
pp. 263-264, Livorno 2005.
FANANO
fra storia e poesia
42
I MONTERASTELLI
Antica famiglia d’Ospitale proveniente da Monterastello di Verica, località dalla quale trassero il nome. Vennero ad Ospitale nella prima metà
del Cinquecento, Bartolomeo è il capostipite di questa casata. I rappresentanti della famiglia Monterastelli nei registri parrocchiali delle chiese di
Fanano ed Ospitale in principio spesso erano indicati con il nome seguito
dal paese di provenienza “da monte Rastello” (Monterastello). Biagio, figlio di Bartolomeo, si unisce in matrimonio con Maria. Da Biagio e Maria,
nascono Bartolomeo, Elisabetta, Caterina, Domenica e Giulia. Bartolomeo
ha come figlio Sabatino:
“Adì 12 di settembre 1589 fu battezzato un figliuolo di Bartolomeo di Biagio Monterastelli dall’Ospitaletto e di Antonia sua
mogliera, il compare fu Alberto f° di Luca Ballocco, comare Domenica di Tonno di Giuntarino e sigli pose nome Sabbatino”.
Il borgo di Montemezzano
fu un punto fermo per i Monterastelli. Sabatino (1589-1671)
con certezza vive in questa borgata, si sposa con Domenica
da cui ha numerosa prole. Dai
figli Biagio (n.1629), Giovanni
(n.1634) e Bartolomeo (n.1638)
proseguirà la discendenza dei
Monterastelli d’Ospitale.
Un ramo di questa casata
venne ad abitare a Serrazzone
verso la metà del Settecento.
Giuseppe, figlio del fu Domenico, dopo aver sposato il 14 settembre 1756 Lucia Muzzarelli65,
si stabilì alle Caselle; rimasto
vedovo, sposò in seconde nozze
il 29 aprile 1762 Maria Antonia
Benassi66.
65
A.P. Serrazzone, II Libro dei matrimoni, 1721-1779.
66
Ibidem.
FANANO
fra storia e poesia
43
I MUZZARELLI - BARONCINI - LOMBARDI
Il cognome trae origine dai nomi proprio latini Mucius e Mutius, cioè
Muzio col doppio suff.-ario+ello”67. In un rogito del 5 luglio 1377, col quale
il consiglio ed arengo del comune e uomini di Fanano nominano Francesco fu Nicolai di Fanano sindaco e procuratore con l’abate di Nonantola
per l’investitura delle alpi, tra gli uomini di Fanano figurano Joanis Baroncino (famiglia Muzzarelli) e Michele Octoneli-Bondi eius fratri (famiglia Ottonelli)68. La casata Muzzarelli, spesso riportata col cognome Mucciarelli, è senza ombra una delle più antiche di Fanano: si ramificò sin
dal Quattrocento nella vicina Serrazzone, dove è la maggiore per numero
di nascite. Nella chiesa di Serrazzone aveva un suo sepolcro, “detto de’
Muzzarelli antichi”, che nel Settecento serviva sei rami di questa famiglia:
eredi di Giò. Muzzarelli detto il Sordino, eredi di Niccolò Muzzarelli, eredi di Sabbatino Muzzarelli, eredi e discendenti de’
Muzzarelli detti li Lombardi, eredi del fu Antonio Muzzarelli da
cà di Picchiotto e gli eredi del fu Alessandro Muzzarelli.
Il Pedrocchi scrive
“come attesta il Padre Franchini nella sua Bibliosofia, sono creduti del medesimo sangue co’ conti Mucciarelli di Bologna e Ferraresi d’oggi” 69.
Una ipotesi a mio parere opinabile. Lo storico fananese cita poi erroneamente come uomini illustri del ramo di Fanano Giacopo, figlio di Lodovico,
Canonico di S. Pietro di Bologna nel 1429 e poi Chierico della Reverenda
Camera di Roma, città dove morì nel 1476 e Gasparo di Vincenzo Muzzarelli, Vicario Generale dell’Arcivescovo di Pisa nell’anno 1593. In realtà
Giacomo di Lodovico e Gaspare di Vincenzo appartenevano al ramo nobile
di Bologna70. In un atto notarile, rogato a Fanano l’undici gennaio 1458 dal
notaio Giovanni Albinelli, sono indicati Corso e Baroncino di Muzzarello
del fu Giovanni di Baroncino i quali assieme ad altri uomini di Fanano,
promettono di pagare lire 50 ad Andrea fu Contro e a mastro Antonio Zana-
67
F. Violi, Cognomi a Modena e nel modenese, p.110. Modena 1996.
68
A.S.Mo., Archivi Privati, Raccolta Jacoli.
69
N. Pedrocchi, Storia di Fanano, p.287. Fanano 1927.
70
G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori Bolognesi raccolte da Giovanni Fantuzzi, Tomo Sesto,
1788 Bologna.
FANANO
fra storia e poesia
44
rello di Fanano. Baroncino è il capostipite della casata dei Muzzarelli, nato
presumibilmente agli inizi del Trecento. Muzzarello ha due figli: Baroncino
e Corso (Accursio) dai quali si dirameranno i rami più importanti di questa
casata. Giovanni figlio di Baroncino nato nel 1470 divenne un medico celebre, fu chiamato al servizio di Massimiliano, re d’Ungheria, poi imperatore.
Giovanni nel 1519 ottenne l’aggregazione alla cittadinanza di Modena; nello stesso privilegio vennero nominati e compresi i cinque figli di Antonio,
suo fratello: Sabbatino, Domenico, Bartolomeo (detto Bertoia), Giovanni
Francesco e Barone. In molti atti notarili ed anche nei libri battesimali della
chiesa di Fanano e successivamente di Serrazzone, molti rappresentanti
del ramo di Baroncino assunsero il cognome Baroncini. Nel I libro dei battesimi della chiesa di Serrazzone (1621-1690) alcuni membri della famiglia
Muzzarelli generarono anche il cognome Lombardi.
Corso (Accursio) fratello di Baroncino ebbe come figli Giacomo detto Rocca, Domenico detto Menno e Sabbatino. Giacomo detto Rocca ebbe come
figlio il notaio Accursio Muzzarelli.
Accursio ebbe quattro figli maschi: il dottor Lodovico, medico stimato in Lombardia e Toscana, il capitano Giovanni Paolo, Ruggero e il capitano Giovanni.
Domenico detto Menno non ebbe figli.
Sabbatino ebbe un figlio, Giovanni Nicola. Quest’ultimo ebbe come figli Giovanni Battista – sposato con Emilia Rinaldi, il famoso capitano Sabbatino
sposato con Ippolita Zanelli, Domenica – sposata con Giovanni Domenico
Ottonelli, capitano della montagna e colonnello del Frignano e Santa sposata con il dottor Benedetto Rinaldi, podestà di Modena e infine di Ferrara.
Molti altri uomini illustri nella religione, nelle armi, nelle scienze e
nelle lettere ha avuto questa famiglia, alla quale dedicherò un articolo
approfondito in un prossimo numero della rivista.
GLI ORLANDINI
La casata Orlandini, presente nel Seicento a Lotta, si diramò a Fanano
nel Settecento e successivamente a Serrazzone. Angelo, figlio di Giuseppe
Orlandini, verso il 1830, dopo aver sposato Pasqua Muzzarelli, andò ad
abitare in località “al Rio” di Serrazzone. Quest’ultimo era nato a Fanano
l’11 agosto 1807 ed esercitava la professione di muratore71.
71
A.P.Serrazzone, Stato delle Anime dell’anno 1854.
FANANO
fra storia e poesia
45
I POLI
La famiglia Poli venne a vivere a Serrazzone proveniente da Trignano. Domenico, figlio del fu Geminiano Poli, dopo aver sposato nel 1679
Antonia Muzzarelli, si stabilì a Serrazzone72. Geminiano, padre di Domenico, morì il 13 Settembre 1662 a Trignano. Nell’atto di morte si legge
“Geminianus di Polis ad pns Trignani habitator etatis An.55” 73.
Da questo si evince che Geminiano abitava a Trignano da poco tempo. È ipotizzabile, anche se non documentato, che questa famiglia fosse
originaria del comune di Lizzano, ove questo cognome è presente principalmente a Chiesina e a Monte Acuto.
I ROSSI
Giovanni Rossi detto il Cridone è il capostipite di questa casata, una
delle più antiche di Serrazzone. In un atto notarile del 22 ottobre 1581,
Bartolomeo figlio del fu Giovanni Rossi detto il Cridone di Fanano vende a
Giovanni Maria, figlio del fu Francesco di Rivo, un pezzo di terra prativa
posta nella curia di Fanano nel luogo detto i Lagacci. Nell’atto sono nominati anche i fratelli Domenico e Cristofano (Cristoforo) Rossi74. Nell’atto
di matrimonio, celebrato il 4 novembre 1590, tra Giacomo Rossi e Silvia
Pasquini, Giacomo viene annotato come figlio di Cristofano (Cristoforo)
Rosso da Serrazzone75. Nel Cinquecento e nel Seicento i rappresentanti
di questa famiglia venivano spesso trascritti col cognome in latino Rubei,
cioè Rosso, originato da un soprannome formato, in relazione al colore
dei capelli, o anche dalla barba.
I TASSONI
La famiglia Tassoni, originaria di Gavinana, venne ad abitare a Serrazzone nel Seicento. Andrea, figlio di Lorenzo Andrei di Gavinana diocesi
72
A.P.Serrazzone, I Libro dei matrimoni, 1622-1723. Atto del 14 Ottobre 1679.
73
A.P.Trignano, I Libro dei morti, 1626-1752.
74
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b.21, n.294-295, notaio Magnanino Magnanini. Atto del 22 ottobre 1581.
75
A.P.Fanano, I Libro dei matrimoni, 1567-1687.
FANANO
fra storia e poesia
46
pistoiese, sposa, nella chiesa di s.Giacomo d’Ospitale, Maria figlia di Taddeo Lardi del Serretto76. Si trasferisce poi a Serrazzone, ove dal figlio Luca
e Caterina Rossi nasce Andrea, come testimonia l’atto di nascita del 13
agosto 1678, ove si legge che il rettore Bartolomeo Tonini di Serrazzone
battezza
“infantem ex Luca fil. Andreas de Cavinana, Caterina q. fil. Joannis Rubei, cui fuit impositu’ nomen Andreas…”.
Nello stato d’anime della chiesa di S. Maria di Serrazzone dell’anno
1724 tra le famiglie è annotata quella di “Andreas Tassonius” figlio di Luca.
I TONINI
Cognome originato da Tonino forma abbreviata del nome Antonio. Il
25 febbraio 1590, Antonio figlio di Giacomo di Tonino sposò Domenica
figlia di Apollonio di Andreone dal Pian della Farnia77. Tonino è il capostipite di quest’antica famiglia di Serrazzone. Nel 1639 Giovanni Francesco
Tonini, chiamato come testimone nelle annose controversie della Riva,
dichiarò di essere nato in Valfredda e di avervi sempre abitato, come i
suoi vecchi e antenati78.
76
A.P.O., I Libro dei matrimoni, 1614-1639. Atto di matrimonio del 10 settembre 1628.
77
A.P.Fanano, I Libro dei matrimoni, 1567-1687.
78
A.S.Mo., Confini dello Stato, busta 61/b.
FANANO
fra storia e poesia
47
I TORRICELLI
Antica famiglia fananese presente già agli inizi del Cinquecento. In
principio erano annotati nei registri parrocchiali e negli atti notarili con il
cognome Turricella. In un atto notarile del 24 giugno 1556,
Caesar q Gianini Turricella di Fanano vendiderit a D. Domenica
q Antony alias signori
una casa nel castello di Fanano alla piazzetta79. Questa famiglia era
già presente a Serrazzone nel Cinquecento come si evince dall’atto di matrimonio del 29 ottobre 1595,
ove Domenico di Giovanni dalla Pieve sposa Caterina figlia fu
d’Andrea Torricella da Serrazzone80.
Il cognome è assente nei registri parrocchiali di Serrazzone, iniziati
nell’anno 1621, sino al 1654, anno nel quale Bartolomeo Torricelli sposò
Maria Munarini81. Dai discendenti di Bartolomeo continuerà la genealogia
dei Torricelli di Serrazzone.
I TURCHI
Cognome derivato dal soprannome Turco con cui s’indicava una persona feroce, crudele. La famiglia Turchi si trasferì a Fanano, proveniente
da San Marcello Pistoiese, agli inizi del Cinquecento. In un atto notarile
del 19 maggio 1509 - Frate Silvestro del fu Filippo Silvestro di Fanano,
guardiano del convento di San Francesco … vende una casa a Bartolomeo, detto il turco, del fu Bartolomeo Pellegrino di San Marcello, abitante
a Fanano. La casa è sita
in castello fanani in loco dicto campo del fiore82.
79
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 20, n. 36-37, notaio Battista Magnanini.
80
A.P.Fanano, I Libro dei matrimoni, 1567-1687.
81
A.P.Serrazzone, I Libro dei matrimoni, 1622-1723. Atto di matrimonio del 24 ottobre 1654.
82
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 7, notaio Giovanni Battista Albinelli, atto
del 19 maggio 1509.
FANANO
fra storia e poesia
48
Bartolomeo detto il Turco ebbe tre figli: Mignano (Geminiano), Lippo
(Filippo) e Geppo (Iseppo) che resero florida la genealogia dei Turchi di
Fanano. A Serrazzone i Turchi erano già presenti nel Seicento; vari rami,
in diversi periodi, ma specialmente nell’Ottocento s’insediarono alla Castellaccia, in Valfredda ed in altri borghi spesso provenienti da Fanano.
VENTURA
Pellegrino, detto dalla Ventura, è il capostipite di questa famiglia; verso la metà del Cinquecento proveniente da Lotta, venne ad abitare in Valfredda. Nel 1639 suo figlio Francesco, pastore di Pian della Farnia, venne
chiamato come testimone nelle antiche controversie di Fanano con Rocca
Corneta sulla giurisdizione della Riva. Francesco dichiarò di avere 100
anni, di essere nato in Valfredda e di avervi sempre abitato. Testimoniò
inoltre che suo padre, sebbene fosse nato a Lotta, da piccolo si trasferì in
Valfredda abitandovi per tutta la sua vita83.
83
A.S.Mo., Confini dello Stato, busta 61/b.
FANANO
fra storia e poesia
49
Nello “Stato delle anime” dell’anno 1854 sono riportate le varie località della parrocchia, le famiglie che le abitavano e in molti casi la professione del capofamiglia:
LOCALITÀ
NOME DEL CAPO FAMIGLIA
CHE L’ABITAVA PROFESSIONE
A casa de Roganti Al Serrino In Valle Fredda Alle Pianchette Alle Pianchette Alle Pianchette Alla Canonica Alla Chiesa Vecchia Alle Caselle A casa di Picchiotto A casa di Picchiotto A casa de Bonucci A casa de Bonucci Amidei Bartolomeo Amidei Clemente Bonucci Gregorio Bonucci Domenico Maria Bonucci Giovanni Bonucci Giacomo Francesco Bonucci D. Pietro Battista Bonucci Pellegrina Bondi Francesco Bondi Signor D. Giacomo Bondi Francesco Benassi Antonio Maria Benassi Giuseppe possidente
possidente
possidente
possidente
non scritta
possidente
rettore
filatrice
pastore
sacerdote
possidente
pastore
pastore
Il Serrino
FANANO
fra storia e poesia
50
Ca’ Picchiotto
A casa de Bonucci Al Piano della Farnia In Valle Fredda A casa de Bonucci Alle Caselle Alle Caselle A casa de Bonucci A casa de Bonucci A casa di Picchiotto A casa de Bonucci Al Rio Alle Caselle Alle Caselle Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Alla Caselle Alla casa Nuova Al Preda Alla Chiesa Vecchia Alla Chiesa Vecchia Alla Chiesa Vecchia Alla Chiesa Vecchia A casa de Fuochi Ai Lagacci Benassi Antonio Maria Benassi Pasquale Benassi Francesco Benassi Giovanni Benassi Domenico Benassi Giacomo Benassi Domenico Antonio Benassi Pompeo Benassi Dr. Annibale Benassi Francesco Benassi Battista Benassi Giuseppe Benassi Andrea Bonfiglioli Alessandro Bonfiglioli Pasquale Bonfiglioli Pasqua Bonfiglioli Felice Chiesi Giovanni Chelucci Giuseppe Cialdini Michele Foli Giuseppe Foli Ferdinando Foli Sante Francesco Foli Battista Foli Paolo Fantini S.r. Giorgio FANANO
fra storia e poesia
51
bracciante
pastore
pastore
pastore
non scritta
possidente
pastore
pastore
medico
possidente
pastore
pastore
possidente
non scritta
non scritta
non scritta
non scritta
bracciante
non scritta
non scritta
bracciante
non scritta
muratore
muratore
pastore
non scritta
Al Piano della Farnia A casa de Bonucci A casa de Bonucci A casa de Bonucci Alla Chiesa Vecchia Al Piano della Farnia Al Fosso Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Al Piano della Farnia Alle case di sotto Alle case di sotto Ferrari Benedetto Ghirardini Domenico Ghirardini Giuseppe Ghirardini Francesco Ghirardini Giorgio Lolli Pietro Lolli Marco Lolli Giovanni Lolli Andrea Lolli Michele Lolli Simone Lolli Marco Lolli Domenico Lolli Pellegrino Lolli Giovanni Antonio Lolli Simone Lolli Marco Lolli Domenico Lolli Felice Muzzarelli Domenico Antonio Muzzarelli Battista La Preda
FANANO
fra storia e poesia
52
pastore
possidente
bracciante
possidente
contadino
non scritta
possidente
non scritta
pastore
pastore
bracciante
muratore
pastore
pastore
pastore
pastore
pastore
pastore
pastore
possidente
possidente
Alle Pianchette A cà di Golo ……………….. Alla Castellaccia A casa di Picchiotto A casa di Magagna Alla casa Nuova A casa di Chiarinna Alla Castellaccia Alla Teggia Alla Teggia A casa de Bonucci Alle Caselle Alle Caselle Alle Caselle Al Piano della Farnia Alle Caselle Alle Caselle Alle Caselle Al Rio Al Serino Muzzarelli Francesco Muzzarelli Pietro Muzzarelli Clemente Muzzarelli Battista Muzzarelli Giuseppe Muzzarelli Giovachino Muzzarelli Battista Muzzarelli Pasquale di Battista Muzzarelli Pasquale di Nicolò
Muzzarelli Giovanni Muzzarelli Marco Muzzarelli Giovanni Monterastelli Giovanni Monterastelli Giuseppe Monterastelli Pietro Monterastelli Battista Monterastelli Cesare Monterastelli Giuseppe Monterastelli Pasquale Orlandini Angelo Poli Domenico Casa Fuochi
FANANO
fra storia e poesia
53
possidente
possidente
non scritta
possidente
possidente
possidente
non scritta
bottaio
possidente
pastore
pastore
pastore
pastore
pastore
possidente
pastore
pastore
pastore
non scritta
muratore
non scritta
In Valle Fredda In Valle Fredda In Valle Fredda In Valle Fredda Alla Teggia Al Rio In Valle Fredda Alla Piaggia InValle Fredda Alla Castellaccia Alle Coste Alla Castellaccia Alla Castellaccia ………………. Poli Giovanni Antonio pastore
Torricelli Pasquale pastore
Torricelli Pellegrino non scritta
Torricelli Alessio non scritta
Turchi Giovanni non scritta
Turchi Maddalena non scritta
Turchi Antonio bottaio
Turchi Giovanni non scritta
Turchi Domenico non scritta
Turchi Innocente non scritta
Celeste vedova Tassoni Gio.Antonio non scritta
Tassoni Luigi non scritta
Tonini Giuseppe calzolaio
Serafini Serrafino calzolaio
proveniente da Sestola
Ca’ Golo
FANANO
fra storia e poesia
54
Uomini e pecore
da Serrazzone e da Fanano
alla pianura romagnola e al delta del Po
di Fausto Renzi
Testo della conferenza tenuta il 30 luglio 2009 nella chiesa di San Giuseppe di Fanano
dal professor Fausto Renzi dell’Università per gli adulti “Bosi Maramotti” di Ravenna
Nel 1651, l’arcivescovo di Ravenna Torreggiani, in visita alla parrocchia di Lavezzola, ordinava di scavare una fossa attorno al cimitero,
all’epoca sulla pubblica via, per impedire alle greggi di profanare il sacro
recinto dei defunti. Da un altro documento, sappiamo che il parroco di Codigoro, una località sul Po di Volano non lontana dall’abbazia di Pomposa,
il 17 gennaio 1707 stilava l’atto di sepoltura di Domenico Monari, originario della “Terra Fanani Status Mutine”, e certamente un pastore come si
evince dal cognome e dalla provenienza. Nel 1755 il parroco di San Biagio
d’Argenta, don Pellegrino Monti, rispondendo ad un questionario diocesano, informava il suo vescovo della presenza in paese di sette pastori
“che annualmente arrivano a novembre e partono a maggio,
adempiendo in questa parrocchia al precetto della Pasqua”.
17 gennaio 1707. Atto di sepoltura di Domenico Monari
(Archivio parrocchiale di Codigoro)
FANANO
fra storia e poesia
55
Ancora: il 14 aprile 1772, a Campotto, un insediamento di quattro
capanne circondato da una vasta palude, don Guido Ferri, sacerdote di
San Nicolò di Argenta, teneva a battesimo Maria Diana Fiocchi, di Pietro
e Caterina Bernardi coniugi di Rocca Corneta. Di nuovo a Lavezzola, il 20
ottobre 1799, il parroco don Michele Azzaroli registrava l’atto di sepoltura
di un giovane e anonimo pastore di Fanano, del quale
“non è comparso peranco il padre vivente a dare il nome e cognome del defunto”.
La presenza di allevatori itineranti con il loro seguito di armenti nelle
pianure ferraresi e ravennati è con ogni probabilità certamente più antica
di quanto certificano queste testimonianze.
La transumanza dal Frignano verso il delta padano risale almeno al
medioevo ma conobbe un certo sviluppo soltanto dopo il Quattrocento, favorita sia dai disboscamenti dell’Appennino che dalle concessioni ai pastori, da parte degli Estensi, di agevolazioni (esenzioni da dazi e gabelle) per
consentire alle greggi di svernare nel Ferrarese. Peraltro, notizie simili a
quelle Sei-Settecentesche, poco fa riportate, si infittiscono nel secolo successivo e sembrano rivelare un incremento del fenomeno della transumanza.
Il 31 agosto 1841 Pasquale Bonfilioli, un pastore proveniente da Serrazzone, una borgata del comune di Fanano, giungeva a Conselice, un
paese della bassa pianura romagnola all’epoca appartenente alla legazione di Ferrara. Dopo quasi due settimane di viaggio, con alcuni garzoni
al seguito, il pastore fananese aveva percorso circa 150 chilometri, conducendo un gregge di mille pecore, insieme a 15 cavalli e 4 asini. Arrivato
ai confini del territorio conselicese dovette però vedersela con le guardie
campestri e il veterinario del posto, preposti al controllo degli animali forestieri a scopo di tutela sanitaria del patrimonio zootecnico locale. Erano
infatti assai diffuse e temutissime all’epoca epidemie come le afte epizootiche e altre infezioni contagiose che non di rado falcidiavano il bestiame
autoctono, all’epoca una risorsa di assoluto rilevo vitale per la collettività.
Egli consegnava dunque ai pubblici ufficiali una fede di sanità, rilasciata dal comune di provenienza. Quel documento, che portava la data
del 17 agosto, il timbro del comune di Fanano e la firma del sindaco, certificava che il pastore
“parte da questo capoluogo per trasferirsi nel ferrarese onde
governare il sottocitato bestiame, scevro da qualunque morbo
epidemico e segnatamente dalla cosiddetta epizozia”.
Indispensabile passaporto per far transitare il gregge da un territorio
comunale all’altro, una volta pagata una tassa di soggiorno, quel docu-
FANANO
fra storia e poesia
56
mento sarebbe stato restituito al pastore prima della partenza da Conselice. Quel “passaporto”, insieme a numerosi altri, è stato ritrovato fra i
carteggi amministrativi dell’archivio storico di Conselice e Pasquale Bonfilioli forse non avrebbe mai immaginato che quel pezzo di carta si sarebbe
trasformato in una preziosa testimonianza storica e che ora siamo qui a
parlare di lui.
Sempre da quelle carte, sappiamo oltretutto che il pastore fananese
sarebbe ripassato da Conselice nel settembre del 1843 con 834 capi ovini,
e poi ancora nel 1844 con 650 capi ovini, 9 cavalli e 5 asini, e di nuovo un
anno dopo ancora con 700 pecore, 20 agnelli, 20 cavalli e un asino.
Naturalmente il nostro pastore era uno dei tanti: il suo caso è emblematico per chi intende studiare la transumanza nella regione emiliano
romagnola nella prima metà dell’Ottocento, quella di cui disponiamo di
fonti abbastanza ricche, e segnatamente le 44 fedi di sanità, redatte tra il
1808 e il 1846, conservate presso l‘Archivio storico comunale di Conselice. Si tratta di un corpus di testimonianze scritte che consentono di ricostruire aspetti importanti delle transumanze tra l’alto Frignano e la vasta
regione del delta padano. Conselice, insieme alla vicina Argenta, era la
porta d’ingresso verso quella grande area della bassa pianura ravennate
e ferrarese, tra il Po e il basso corso del Reno, un fiume che qualche decennio prima grandi opere di bonifica avevano immesso nello stesso alveo
dell’antico Po di Primaro.
Le fedi sanitarie, pur nella loro scarna e telegrafica brevità, forniscono preziose informazioni su alcuni aspetti della transumanza, come
a) la provenienza dei pastori e la loro identità anagrafica; b) il periodo di
permanenza a Conselice; c) le loro successive destinazioni; d) la composizione e la consistenza degli armenti.
Per cominciare, il quadro che risulta suddividendo le 44 fedi di sanità in base alla provenienza, mostra la seguente ripartizione: Serrazzone
13 (Benassi, Bondi, Bonfilioli), Fanano 8 (Bellettini, Benassi, Lolli, Pedroni, Ranieri), Lizzano in Belvedere 7 (Bernardini, Dagl’Antoni, Marcucci,
Farneti, Fiocchi, Polmonari), Rocca Corneta 5 (Castelli, Fondaroli, Vighi),
Gaggio Montano 4 (Cioni, Filipalli, Margelli), Granaglione 2 (Macionselli,
Tombelli), Vidiciatico 2 (Cioni), Ospitale 1, Sestola 1 (Danesi), Sant’Anna
Pelago 1 (Ori). Questa serie di località delinea con una certa precisione
un’area, ovvero l’alto appennino bolognese e modenese, e segnatamente
l’areale tra il monte Cimone e del Corno alle Scale, ovvero quella porzione
di appennino tosco-emiliano che raggiunge la massima altitudine, superando i 2000 m slm (una fascia altimetrica oltre la linea dei faggeti, ricca
di pascoli estivi). Da quei paesi, peraltro, le transumanze annuali prendevano non una ma due direzioni: di fatto, se tutti gli armenti in arrivo a
Conselice provenivano dal Frignano (e dal Bolognese), non tutti i pastori
FANANO
fra storia e poesia
57
di quelle zone si trasferivano nella pianura romagnola, poiché, come è
noto, non pochi di loro conducevano le loro greggi a svernare lungo il versante tirrenico, nella Maremma. Dall’autunno alla primavera, il soggiorno
dei pastori in pianura durava circa 8 mesi, un arco di tempo, anch’esso
“itinerante”, e dunque trascorso in varie località.
A Conselice la permanenza oscillava da un massimo di 5 mesi, ovvero
da agosto a gennaio, a un minimo di 2, limitandosi ai mesi di settembre e ottobre. Ma vi capitavano greggi anche tra marzo e aprile, quelle
che provenienti dal ravennate e dal ferrarese facevano tappa a Conselice
durante il ritorno verso i pascoli estivi del Frignano. La permanenza in
una data località era del resto spesso legata alla scadenza di permessi e
a regolamenti comunali volti a tutelare le preziose risorse prative da uno
sfruttamento indiscriminato.
Questo aspetto emerge in particolare – come attestano le carte ritrovate in un altro archivio storico, quello del comune di Bagnacavallo – dalle
richieste al gonfaloniere, nel 1842, dei pastori Durindo e Antonio Monari,
Pasquale Cantelli, Luigi e Giovanni Corsini di prorogare le scadenze di
permanenza di qualche giorno, oltre il termine ultimo del 25 marzo.
9 agosto 1840. Fede di sanità di Domenico Benassi di Serrazzone
(Archivio storico comunale di Conselice).
FANANO
fra storia e poesia
58
Ad ogni modo, il vantaggio che le comunità o i proprietari fondiari
ottenevano nell’ospitare le greggi transumanti consisteva essenzialmente
nella possibilità di “stabbiare”, “mandriare”, ovvero concimare i prati e
altre colture con le deiezioni animali, come ad esempio i canapai, e ripulire i terreni dalla vegetazione indesiderabile. Inoltre, per i proprietari
di terreni incolti e semiallagati, ricchi di prati naturali, era abbastanza
conveniente dopotutto, affidarli a quei pastori in cambio di un canone
in denaro o in natura. Era questo del resto il caso di Conselice, dove,
diversamente dall’alta pianura romagnola più densamente popolata e appoderata, i prati vallivi e le paludi occupavano circa la metà del territorio
comunale, una caratteristica ambientale, retaggio del passato, particolarmente adatta agli armenti transumanti.
Riguardo invece alle destinazioni successive dei transumanti – tranne
qualcuno che si trattenne a Conselice piuttosto a lungo, e precisamente
nei fondi della prebenda parrocchiale di San Martino a “mandriare” i canapai dell’Arciprete Tarlazzi – quasi tutte le oltre 40 fedi di sanità indicano le mete ulteriori dei pastori una volta terminato il soggiorno nel conselicese: parte di loro si sarebbero diretti verso il cuore del delta padano, ad
Ariano Polesine, a Santa Maria Codifiume e nel comune di Ferrara, mentre altri si sarebbero spostati lungo il fiume Reno, fino alla zona costiera
delle pinete ravennati. Di norma, i conduttori di un armento erano legati
da vincoli parentali e succedeva spesso che giunti in pianura, una parte
del gregge seguisse un itinerario diverso, per poi ricongiungersi all’altra
qualche tempo dopo, prima di ripartire per la montagna. In pianura, lo
spostamento di quelle greggi doveva poi seguire percorsi consueti, piste
preferenziali, tanto che l’attuale toponomastica stradale ne conserva ancora le tracce: ne sono esempi il “Passo pecore” nel comune di Medicina,
“via della Pecora” a San Biagio d’Argenta, “via Pastorella”, a Voltana, nel-
Via Pecora, San Biagio d’Argenta (FE)
FANANO
fra storia e poesia
59
la bassa lughese. Anche nella toponomastica fondiaria sono ravvisabili
tracce come nel caso di “Schiappette” (da ‘schiappo’, ossia gregge), un sito
della campagna conselicese.
Nelle fonti qui considerate, restano poi significativi i dati relativi alla
consistenza delle greggi. Quello di mille capi condotti da Pasquale Bonfilioli nel 1841 era il più numeroso, un caso unico fra quelli segnalati nelle
carte dell’archivio conselicese. Le cifre riportate dalle fedi di sanità evidenziano una crescente consistenza numerica delle greggi: dai 70 capi di
Giovanni Danesi nel 1822 si passava ai 300 di Giovanni Cioni nel 1825,
ai 390 di Domenico Benassi nel 1829, ai 450 di Giovanni Polmonari nel
1835, ai 500, ancora dei Benassi nel 1840, ai 650 di Cipriano Tombelli
da Granaglione nel 1839, infine, agli 843 capi del Bonfilioli nel 1843. I
certificati sanitari precisano inoltre la tipologia del bestiame, annotando
in primo luogo il numero degli agnelli, presenti in 15 casi su 44 e quello
dei cavalli, presenti soprattutto al seguito delle greggi più consistenti. Non
mancano gli asini, ma solo aggregati agli armenti più modesti. Sporadica
resta invece la presenza dei montoni. Riguardo alle capre, infine, l’unico
caso è quello dei fratelli Ranieri di Fanano che nel 1819 guidano un armento di 50 capi.
Della transumanza durante il periodo qui considerato, le carte d’archivio nulla ci dicono invece sull’itinerario seguito dai pastori dal monte al
piano. Per colmare, almeno in parte, questa lacuna è dunque necessario
ricorrere alle testimonianze orali.
Almo Pasquali, studioso di storia e di tradizioni fananesi, molti anni
fa ha raccolto la memoria di Fabio Benassi (poi pubblicata nel 1999 in
E pôver Pantalùn), un pastore di Serrazzone negli anni Venti del secolo
scorso. Stando a questa ricostruzione, gli oltre 150 km della discesa al
piano si coprivano in 6 giorni e toccavano le seguenti località: Fanano,
Canevaro-Montespecchio, Pradole, Rivabello, Tretorri, Corticella, Sabbiuno, Altedo, San Gabriele, Santa Maria Codifiume, Argenta. Il viaggio
avveniva in buona parte nella provincia bolognese, lungo la direttrice del
fiume Reno – e possiamo immaginare un viaggio non molto dissimile per
i pastori che giungevano a Conselice nel primo Ottocento – anche se non
sono da escludere in tempi più remoti piste erbose alternative (mulattiere,
torrenti, fiumi, argini, golene) o itinerari più spostati verso est, lungo la direttrice della via San Vitale. Tra una tappa e l’altra i pastori trovavano una
sistemazione presso proprietari del luogo, che fornivano il pernottamento
in cambio di latte e formaggio. Prodotti caseari, agnelli e lana venivano
poi barattati o venduti nei mercati settimanali dei paesi di pianura per
ottenere grano, granoturco e sale, dando luogo ad un vero e proprio scambio alimentare tra pianura e montagna: nel 1764 il “Formaggio di monte
secco” era in vendita nelle pizzicherie della terra di Conselice; nel 1810, il
FANANO
fra storia e poesia
60
pizzicagnolo di Lavezzola offriva analoghe specialità casearie provenienti
dall’appennino: “formaggio di monte”, “forma dura da pastore”, “forma
passa da pastore”.
L’abbondanza di fonti del primo Ottocento (le fedi di sanità), almeno
per Conselice, viene drasticamente meno nei decenni successivi mentre in
quelle bagnacavallesi non è raro imbattersi in carte di pastori fananesi che
chiedevano di prolungare la loro permanenza nelle praterie di quel comune. Per Conselice l’unica notizia è contenuta nella relazione sull’inchiesta
agraria del 1879 (la celebre inchiesta Jacini) che parla di circa 5000 pecore
transumanti oggi anno, un numero di capi di gran lunga superiore agli
ovini autoctoni, ad allevamento stanziale, che, stando ai censimenti del
bestiame postunitari, a Conselice non superavano le 500 unità.
Riguardo alla pastorizia non c’è dunque dubbio che le differenze tra
pianura e montagna restassero assai nette. Basti pensare che nel 1875,
a Fanano, 150 chilometri più a monte, il patrimonio delle greggi transumanti ammontava a 33 mila capi; e che, nello stesso periodo, la piccola
parrocchia montana di Fellicarolo contava 40 famiglie di pastori equivalenti ad oltre un quinto della popolazione, mentre a Conselice i pastori di
professione si contavano a mala pena sulle dita di una mano.
Eppure, in pianura le premesse del lento declino della transumanza erano già in atto, dopo l’unità d’Italia. La risicoltura, che a Conselice
toccava il suo apice negli anni postunitari, sottraeva di fatto molte aree
pascolive alle greggi transumanti; un analogo effetto ebbero inoltre le bonifiche avviate sistematicamente un po’ ovunque nel XX secolo. Con lo
sviluppo dell’agricoltura in zone da secoli occupate dagli incolti, e l’affermarsi di moderi sistemi di fertilizzazione, la presenza di greggi forestiere
poteva del resto apparire incompatibile, anche se il fenomeno sopravvisse
fino al secondo dopoguerra, grazie ai sia pure sempre più esili residui
prativi. Si può dunque affermare che il fenomeno della transumanza sia
cessato con la progressiva scomparsa delle condizioni ambientali che per
secoli lo hanno reso possibile.
Resta comunque il fatto che i viaggi di Pasquale Bonfilioli e dei suoi
conterranei allevatori di pecore, incarnando una pratica zootecnica antica di secoli, hanno rappresentato il principale interscambio fra le genti
di pianura e quelle di montagna, un aspetto rilevante della nostra storia
regionale degno di essere indagato e raccontato.
Fonti
Archivio storico comunale di Conselice
Archivio storico comunale di Bagnacavallo
Archivio parrocchiale di Codigoro
Archivio parrocchiale di Lavezzola
Archivio Diocesano di Ravenna
Archivio parrocchiale di Fanano
FANANO
fra storia e poesia
61
Nota aggiuntiva
di Alda Poli
A Serrazzone c’è una località chiamata “I Salaroli” e non tutti sanno
da dove deriva questo nome. La mia nonna, vissuta tra il 1884 e il 1971
mi ha sempre raccontato la seguente storia.
Fino a 60-70 anni fa, a Serrazzone Alto c’erano molti pastori che in
settembre emigravano in pianura a piedi, con il loro gregge, per ritornare
in montagna a maggio, con l’arrivo della bella stagione. Percorrevano la
strada che si chiama ancora oggi Via dei Pastori. Il viaggio era lungo e
faticoso, secondo le abitudini. Ebbene, lungo la strada che oggi da Serrazzone va a Trignano, a un certo puto c’era una “masèra” (termine dialettale
che significa mucchio di sassi) con delle grosse pietre che si prestavano
molto bene per dare il sale alle pecore, le quali potevano leccarlo fino
all’ultimo granellino senza sprecare nemmeno un grammo. In quel luogo
i pastori di Serrazzone Alto si fermavano appunto per riposarsi un po’
e gratificare, con il sale, il loro gregge. Le pecore, infatti, sono ghiotte di
sale e dopo averlo leccato avvertono una gran sete, così poi bevono molta
acqua e fanno più latte. Da sale è derivato poi il nome “I Salaroli” che
significa luogo in cui si dava il sale alle pecore. Nello stesso luogo, di recente, è stata costruita una “Maestà” dedicata alla madonna e denominata
Madonna dei Salaroli.
Oggi la “masèra” e le grosse pietre sono scomparse e delle pecore in
giro non se ne vedono più, anche perché con l’arrivo dei lupi non potrebbero sopravvivere.
FANANO
fra storia e poesia
62
CapPel Buso E DINTORNI
di Alfonso Pasquali
Anni fa e precisamente negli anni ‘70, ‘80 e oltre del secolo scorso,
in un gruppo di “giovani” fananesi compivamo escursioni nelle nostre
montagne, in inverno con gli sci in prevalenza sui crinali, e nella buona
stagione, a piedi, naturalmente, sul medio Appennino, approfittando delle
vacanze per festività civili e religiose, (San Giuseppe, Lunedì di Pasqua,
anniversario della Repubblica, ecc.).
Delle escursioni invernali ho già scritto in altre occasioni1, e in questa
parlerò di una “gita” degli anni ‘70 sui monti di Trignano e Serrazzone.
Appassionato e cultore degli avvenimenti bellici degli anni 1944/45
che interessarono direttamente il nostro Fanano, proposi il percorso che
da Trignano porta al Pizzo di Campiano, Monte Cappel Buso, Monte Serrasiccia, Pratignana, in breve “La Riva”, e per gli storici della Linea Gotica,
Linea Verde o “Riva Ridge”. Chiarisco subito che parlerò anche di assalti,
contrattacchi, cannonate, morti, feriti e prigionieri, ecc. ma in prevalenza
di località, boschi, metati, mulattiere e sentieri e “viandare”.
Era un due giugno degli anni ‘70, festa della Repubblica, come detto
all’inizio: ci ritrovammo in piazza di sotto, io, Almo Pasquali, Ezio Sargenti, Gottardo Turchi e Mario Dinelli, da me sollecitato a partecipare perchè partigiano che aveva combattuto in quei luoghi. Mezzo di trasporto,
la Fiat 1100 di Almo, ove facemmo posto anche a Fero, cane da lepre di
Almo cacciatore: destinazione la Chiesa di Trignano.
All’arrivo, dopo una panoramica sul percorso che avremmo dovuto
affrontare ed un saluto ad alcuni conoscenti abitanti del luogo, zaino in
spalla e bastoni alla mano, scendemmo al metato del prete, percorremmo
la mulattiera che attraversa il castagneto ancora ben tenuto raggiungendo
il metato dei Castelli, con a lato il “rusco”, la pula delle castagne dell’anno
precedente; più avanti, all’inizio della lunga e impegnativa salita al Pizzo,
i Due Metati.
Coraggio e passo da montanari! Dopo un certo tratto si incontra un
bivio: sentiero a sinistra che porta alle miniere e metati di Rocca Corneta
con dopo un breve tratto la nota sorgente “desmozz”, di cui non si riesce
1
Si veda, ad esempio, su questa stessa rivista, l’articolo “Lunedì di Pasqua”
FANANO
fra storia e poesia
63
a individuare l’origine del nome e che meriterebbe uno studio idro-geologico particolare; noi seguiamo il percorso di destra in forte salita attraversando castagneti, raggiungendo il metato “ed Giurgiun” o “d l’Albina”
ancora in discrete condizioni ed anche qua con il “rusco” di lavorazione
delle castagne essiccate. Più avanti raggiungiamo un pianello dove si intravvede tra le piante il metato “dei Muzzarelli”, anche questo in discrete
condizioni: il sentiero si biforca e a sinistra si va nel bolognese e precisamente al castagneto e metato “ed Birun”. Noi avanti per l’ultimo tratto in
aspra salita, fiancheggiato sulla destra da strati di roccia, sfruttati dalle
truppe tedesche come rifugi a riparo dei tiri dell’artiglieria alleata: eccoci
in cima al Pizzo di Campiano (per i bolognesi di Campovecchio).
Il vasto panorama ci compensa della fatica: il bosco allora era ancora
rado e parte delle piante non avevano le foglie e così ci mostrava la valle
del Dardagna, dal Corno al Belvedere, in tutta la sua ampiezza. Il Pizzo di
Campiano fu teatro di sanguinosi combattimenti tra tedeschi e americani
con attacchi e contrattacchi con molti morti e feriti da entrambe le parti,
causati anche dal “tiro amico” dell’artiglieria, soprattutto di quella alleata
che disponeva di pezzi e proiettili in abbondanza; leggevo che anche il
comandante del 1044° Rgt. Tedesco, tenente colonnello, partecipò ai contrattacchi con i suoi soldati; comunque dopo alcuni giorni restò nelle salde
mani dei soldati USA.
Nel dopo guerra e precisamente nel 1949, si procedette all’esumazione dei caduti tedeschi e in zona ne furono recuperati una quarantina. Gli americani, i loro, li portavano via subito appena lo consentivano
Dal Pratignano: Cima Tauffi, Monte Lancio e, sullo sfondo, il Monte Cimone
FANANO
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le operazioni. Vi ho detto del panorama, i tedeschi da questi osservatori
individuavano i nemici e con la loro artiglieria molestavano in modo ormai intollerabile, la vita e le attività, anche in vista dell’attacco finale di
primavera, degli alleati. Erano ancora evidenti i resti delle postazioni, i
camminamenti, i rifugi, dei fanti tedeschi.
Dopo una buona sosta con relativi commenti e considerazioni che non
riguardavano solo la guerra, ma anche il tipo di vegetazione, i castagneti
e i metati ormai abbandonati, affrontiamo la salita per Cappel Buso, nota
cima non solo per la guerra, ma anche per la strada che collegava, e collega ancora, Serrazzone-Trignano ai Pianacci, Farnè ed altre importanti
borgate della Riva bolognese: anche qua sosta con commenti. Il nome di
questa cima, sembra derivi, come affermava l’Avv. Giorgio Filippi, Massaro del Rugletto dei Belvederiani, da un antico castello o torre, abbandonata e diruta, con qualche finestra o feritoia rimasta e quindi castello bucato
o buso; permettemi che abbia qualche dubbio! E poiché avevamo con noi
Mario che fu partigiano combattente e decorato e che nel 1944/45 si era
trovato in zona, egli ci descrisse alcuni avvenimenti cui partecipò insieme
ai commilitoni di Fanano. Andammo a visitare i resti di un “bunker”, rifugio dei tedeschi, sui rovesci della linea, collegato alle postazioni di crinale,
da camminamenti a quel tempo certamente coperti, che permettevano di
accorrere nella trincea su allarme, con sicurezza.
Sempre camminando e sostando ogni tanto ad osservare il panorama
ad est e ovest, ricordavamo che queste zone erano sfruttate come pascolo
per le greggi, numerose anche a Serrazzone, che davano un reddito sufficiente per vivere, con le castagne, agli abitanti di questa frazione.
Raggiungemmo il luogo chiamato “Maestà del Capitano”, notissima
“posta” dei cacciatori di lepri e conosciuta direi in tutto il Comune e non
solo. Accennerò brevemente alla storia di questa maestà realizzata non
secondo i modelli nostrani, ma una cappelletta vera e propria per dare
riparo al viandante, al pastore, al boscaiolo. Me la raccontava qualche
anno fa, Fabio Benassi, discendente del Capitano Benassi, ex ufficiale
dell’Armata francese di Napoleone (L’Armée) che aveva partecipato tra
le altre alla campagna di Russia e che, seppur marginalmente, era stato
interessato con un gruppo di fananesi, alla congiura contro Francesco IV
del 1831. Mi raccontava appunto Fabio che questo suo antenato per ringraziare la Madonna di aver avuto salva la vita nella lunga e pericolosa
carriera militare, costruì nella parte alta di Serrazzone a ridosso della
Riva una cappelletta a forma rettangolare, coperta a piagne, con sul fondo
la nicchia in cornici di sasso lavorate e, al suo interno, l’immagine sacra
e a ridosso dei muri laterali dei sedili per riposare, pregare e conversare.
Dopo la morte del Capitano, si cominciò a sospettare che sotto il piccolo
fabbricato sacro, fosse stato nascosto un tesoro (allora i sospetti di tesori
FANANO
fra storia e poesia
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nascosti, le pignatte, si riferivano a diversi luoghi) essendo nota la ricchezza posseduta dall’interessato. E così si cominciò a scavare intorno,
poi all’interno, sempre con esiti negativi; e allora, successivamente, si
tolse qualche pietra della muratura e via......... fino a quando della cappelletta o maestà del Capitano, rimase una “mascera” cioè un mucchio
disordinato di pietre. E ciò fin dai primi anni del 1900! Vi dirò infine che
dietro mia insistenza, un giorno di bel tempo, l’amico Fabio ci portò sul
posto, io e Almo, a “toccare con mano” la tanto nominata “maestà”. E così
conversando e commentando si parlò anche del “Manganello”, ubicato a
valle, vasto prato con casello, nel quale saliva nella buona stagione Guglielmo Muzzarelli e la moglie Umiltà (una Corsini della Poscione di Fellicarolo), coltivato in parte a patate e grano “marzuolo”. Allora, al tempo
della nostra gita, un bel prato, pulito e senza cespugli di alcun genere, con
il casello circondato da alcune piante di conifere.
Ma torniamo alla nostra escursione: anche questa zona fu teatro di
aspri e sanguinosi combattimenti, con conquista e perdita, anche più volte
della posizione. Dal verbale di recupero dei caduti tedeschi, ne risultano
esumati sei, proprio intorno alla “mascera” della maestà”. Ancora ben evidenti i resti delle postazioni e dei rifugi sui rovesci della linea, che dopo
essere stati conquistati dagli americani, furono rivoltati con fronte da est a
ovest. I tedeschi raccontano che avendo all’inizio del contrattacco sorpreso
i difensori avversari costringendoli a ritirarsi, trovarono le postazioni rifornite abbondantemente, oltre che di munizioni e bombe a mano, di viveri
come scatolette, cioccolata, sigarette, fornelletti a benzina da trincea, ecc.
portandoli via almeno in parte dopo il ritorno offensivo avversario.
Ma a chi, in questa gita, avranno teso l’agguato gli amici Alfonso (Pasquali),
Gottardo (Turchi), Almo (Pasquali) ed Ezio (Sargenti)?
FANANO
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Dopo una sosta per rifocillarci sotto “l’ombrello” di un pino silvestre,
affrontiamo l’ultima salita per il Monte Serrasiccia, cima aspramente contesa per la sua importanza. Da qua, a quel tempo, si intravvedevano ad est
al di sotto della cima, ancora i resti della borgata, disabitata, facente parte
del territorio belvederiano, che aveva dato il nome alla cima (o viceversa):
nessun resto di apprestamenti difensivi, perché? Perchè gli esperti difensori, le postazioni le costruivano in posti defilati, ai fianchi, per sfuggire
ai tiri dell’artiglieria. In anni successivi vi furono installati ripetitori telefonici, successivamente spostati a valle; e ultimamente, un monumento in
struttura metallica, a ricordo dei soldati brasiliani, cui, dopo la conquista
americana, fu assegnato il presidio e la difesa unitamente ai partigiani
italiani di “Armando”. In questa occasione Mario ci parlò di questi commilitoni, simpatici e generosi, che si comportavano da veri camerati “comrades”. Dopo aver sostato sulla cima più alta della nostra gita, con scatto di
foto e ammirato ancora una volta, il vasto panorama, imbocchiamo il sentiero, all’inizio non molto agevole, che ci conduce in Pratignana e al lago.
Altra sosta prolungata con consumazione dei resti del contenuto degli
zaini, compreso il vino, naturalmente, e c’è chi “schiaccia” anche un pisolino. Il lago è in buone condizioni per il recente scioglimento dei nevai nella prateria a sud, canne e altri vegetali non erano così invadenti come oggi
e si commentano eventuali iniziative per sfruttare turisticamente questa
interessante zona anche in campo naturalistico.
Si riparte per la lunga discesa percorrendo le vecchie mulattiere ancora in buone condizioni, fino alla chiesa di Serrazzone dove troviamo chi
ci porterà a Fanano e, Almo a Trignano a recuperare la sua auto.
Il lago Pratignano, qualche decennio fa, quando era ancora un lago e non una
(più o meno prossima) torbiera
FANANO
fra storia e poesia
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Qualcosa di Serrazzone
di Giovanni Capucci
su appunti di Alfonso Bossetti
Nel numero 7 di Fanano fra storia e poesia (luglio 2000) fu pubblicato un bell’articolo
dal titolo Alfonso Bossetti: “piangian” modenese venuto dal “futuro” nell’antica
terra di Fanano. In poche pagine si accennava alla complessa personalità di questo
protagonista della cultura modenese fra le due guerre (soprattutto nell’ambiente
futurista) che poi,“ufficialmente il 4 settembre 1979”, divenne “montanaro” a
tempo pieno (in particolare, fellicarolese). A conclusione dell’articolo, l’autore,
l’architetto Giovanni Capucci – strettamente legato al Bossetti da vincoli culturali,
di amicizia e di parentela – prometteva di continuare a studiare le tantissime
carte del Bossetti in suo possesso, per recuperare in particolare tutto quanto da
lui dedicato al suo paese di adozione (Fanano). Da questo studio è così nato un
sostanzioso articolo che l’amico (e nostro socio) Giovanni Capucci ci ha gentilmente
proposto per la nostra rivista; poiché, tuttavia, in queste ricerche erano emersi
anche degli scheletrici appunti di Alfonso Bossetti per un proprio articolo su
Serrazzone (mai poi scritto, a quanto pare), dietro nostra richiesta, Giovanni si è
rimesso al lavoro e, da ottimo architetto qual è, da quelle poche basi ha “costruito”
l’articolo che il Bossetti non ha mai avuto modo di redigere. Lo pubblichiamo qui
di seguito, ringraziando l’autore (o coautore) Capucci e scusandoci se, a questo
punto, siamo costretti a rinviare al prossimo numero della rivista la pubblicazione
dell’altro articolo che ci era stato proposto e che, come si legge nelle prime righe
qui riprodotte, avrebbe logicamente dovuto precedere quello di Serrazzone.
Premessa
Concludendo il profilo di Alfonso Bossetti (il modenese che si era fatto
montanaro) abbiamo finito per affermare che forse è stato davvero un segno del destino il ritrovamento di alcuni appunti scovati tra le sue carte
e riguardanti la frazione di Serrazzone.
Forse era destino che qualcun altro, il sottoscritto, anche lui modenese
(in verità solo d’adozione, perché di sangue romagnolo e toscano per nascita, in un paesino del versante pistoiese, non lontano dal crinale fananese), anche lui definitivamente tornato sui monti per avvicinarsi al cielo,
scoprisse quegli spunti, come una sorte di benedizione quasi paterna,
anche per l’ultima scelta di vita.
Di qui il pensiero di chiudere il contributo ad memoriam, con la trascrizione di quegli spunti di cinquant’anni fa, forse neppure troppo rivelatori
del mondo di allora nella frazione in questione.
FANANO
fra storia e poesia
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Abbiamo finito invece per considerarli come il passaggio del testimone,
nel viaggio che entrambi (tra l’altro legati da un vincolo di parentela,
essendo egli zio della citata nipote Maria Silvia, che ho avuto la ventura
di prendere in moglie) abbiamo intrapreso, con aspetti reciprocamente
similari, ovvero la passione per la poesia e la scrittura (anche giornalistica, visto che negli anni ho scritto ed anche ora continuo a scrivere
sui giornali, per la precisione, di argomenti di architettura e dintorni,
comunque molto spesso collegati a situazioni specifiche della montagna
modenese e di quel benedetto paese che si chiama Fellicarolo) e l’amore
per gli stessi luoghi montani.
È a quei pochi appunti che cercheremo di rifarci per tracciare “qualcosa
di Serrazzone”.
Giovanni Capucci
Quanto si vede oggi arrivando a Serrazzone, a dire il vero, non crediamo sia proprio quello che forse aveva incontrato, probabilmente sul finire
del 1955, Alfonso Bossetti.
L’abitato attuale appare sfrangiato e oggettivamente non sembra resti
molto di significativo della storia passata ; l’impressione è che, almeno nel
nucleo centrale, si tratti di un agglomerato di case senza grandi caratteristiche.
Eppure, come annota Alfonso Bossetti, la frazione, al pari di quella
di Trignano, è una località antica, anch’essa sulla via Romea: tutte e due
quindi erano importanti perché successive alla fondazione del monastero
di Fanano, ad opera di S.Anselmo, nel 749, e si incontravano salendo dai
luoghi di pianura nonantolani e dalle colline tagliate dal fiume Panaro,
oltre che provenendo dal versante di Lizzano in Belvedere.
Forse anche esse, affacciate sul torrente Leo, erano postazioni di
frontiera, come la bolognese Rocca Corneta, a loro modo fortificate e a
guardia delle alture circostanti.
Certamente in queste zone c’erano dei feudatari. Per Trignano ricorre
il nome del casato dei Magnani, quello dei Paggiari per Sarrazona, sicuramente uno dei nomi nel tempo passato di Serrazzone. Da dove viene il
toponimo? “Serra” è parola che, come le derivazioni quali serretta o serretto (di luoghi cosi denominati ce ne sono diversi nel nostro territorio),
dovrebbe indicare un posto riparato, un poggio o uno sperone, da cui si
dominano aree poste più in basso da tenere sotto controllo.
FANANO
fra storia e poesia
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In ogni caso queste frazioni fananesi erano raggiungibili facilmente,
perché qui, avendo alle spalle, in particolare Serrazzone, pendii di una
certa altezza, siamo poco al di sopra dei 600 metri, quindi esse non erano
così isolate rispetto alle frazioni alte come Ospitale o Fellicarolo e, conseguentemente, avevano una economia aperta agli scambi con il retroterra
circostante e con le zone pedemontane, caratterizzata da attività collegate
all’allevamento e al seminativo, ossia alla coltivazione del frumento, alla
preparazione del fieno,...
Percorrendo l’attuale strada che, dai Ponti, porta a Serrazzone e, proseguendo, a Trignano, mentre, girando sulla destra dopo la Chiesa, si
sfiorano alcune località e si sale verso il Lago di Pratignano, guardandosi
attorno si intuisce che le costruzioni erano, quasi sicuramente sino agli
anni del dopoguerra, quelle tradizionali in pietra o sassi di fiume, accorpate in piccoli complessi abitativi e di servizio, alcune non lontane dalla
chiesa, altre sparpagliate lungo i tracciati principali.
A proposito della Chiesa, nel foglietto di Alfonso Bossetti, non c’è cenno, né di quando fosse né delle caratteristiche esterne o interne né della
sua dedicazione alla Natività di Maria S.S. Il piccolo edificio attuale a noi
sembra databile indicativamente attorno agli anni ‘60, per via della sua
forma, della tipologia dei materiali (blocchi di pietra squadrati e legno)
e di alcuni dettagli (come le asole vetrate tra muro in elevazione e il piano inclinato del tetto a due falde) riscontrabili in altri edifici ecclesiali
analoghi della nostra montagna appenninica. Sicuramente è stato impostato sull’impianto della chiesa preesistente, altrettanto semplice nella
sua struttura e con caratteri non dissimili da quelli che si vedono nella
piazzetta di Trignano, con la chiesa legata al fabbricato contiguo corrispondente alla canonica e con, affiancato, il massiccio campanile a base
quadrata concluso dalla cuspide poligonale.
Queste sono state le prime considerazioni scaturite da una nostra
recente visita a Serrazzone. In seguito, per la gentile disponibilità della
signora Giovanna Rocchi, che ultimamente si occupa del riordino degli
archivi parrocchiali di Fanano e delle sue frazioni, siamo riusciti a trovare
qualche notizia. Ci sono atti originali datati 1616-1621, con la registrazione del dono di terre da parte di abitanti di Serrazzone e del raggruppamento di altri che chiedono la costituzione di Serrazzone in parrocchia,
divenuto tale i primi giorni di luglio del 1621, primo Rettore Don Marcantonio Rota.
In effetti la chiesa era stata edificata agli inizi del ’600. Della chiesa,
abbiamo trovato una semplice pianta in un capitolo della Storia della Parrocchia della Natività B.V. manoscritta dal Rettore Don Antonio Martinelli
fananese (1725), tra l’altro ricca di diversi capitoli, una dozzina e forse
più, che trattano dei Confini della Parrocchia, dell’obbligo che hanno i
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fra storia e poesia
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parrocchiani per il mantenimento della Chiesa, della canonica, delle Sepolture, Sedili, Banchi, Altari e Reliquie di questa chiesa, di altro ancora.
Si tratta certamente di un documento molto importante, utilissimo agli
studiosi di storia locale a ricostruire lo stato delle cose. Nella pianta, ad
esempio, sono indicati l’altare, in corrispondenza dell’abside semicircolare, gli sfondi delle pareti laterali dedicati, da una parte, a S.Carlo e a
S.Antonio, dall’altra, al Rosario, alla Cintura, al Battesimale, le sepolture
sparse sotto il piano calpestabile e riferite agli appartenenti di una dozzina di famiglie del luogo (Bonfiglioli, Lolli, Bacci, Muzzarelli, Bonucci,
Tonini, Rossi, Munarini, ...).
Riferendoci al complesso parrocchiale nel suo insieme, aggiungiamo
che la prima memoria legata alla Torre Campanaria sembra risalire allo
stesso periodo dell’edificazione della chiesa. Per quanto riguarda la Torre
(come del resto per la stessa Canonica), sappiamo che nelle ottocentesche
memorie di Don Pietro Antonio Bonucci si racconta che nell’arco di tempo
compreso fra il 1838 e il 1877, lo stato di quegli edifici non era dei migliori, sicché si dovette provvedere al rifacimento. Gli esiti, sempre in merito
alla Torre, non furono certamente straordinari, se, come si legge nel Breve cenno di Serrazzone di Don Bartolomeo Monzali, rettore sino al 1914,
nel 1894, su progetto dell’ingegnere Mazzetti di Montese, si dette inizio
alla realizzazione di un nuovo campanile, che fu concluso nel 1903. Si
tratta quindi del campanile che vediamo oggi, ripristinato completamente
dopo il progetto di restauro conservativo e di consolidamento effettuato a
cavallo della metà del primo decennio 2000. Altre notizie riguardanti la
struttura parrocchiale e tutta la comunità si ritrovano anche nella breve
storia di Serrazzone manoscritta di Don Baldini, corrispondente al quinquennio successivo al dopoguerra: scopriamo che a Serrazzone Alto (Val
di Fredda), attorno all’Oratorio di S.Rocco (che, non dobbiamo dimenticare, è un edificio costruito nel XVII secolo), vivevano ben quaranta famiglie,
che nel 1948 fu acquistato un armonium, che si mise mano alla strada
nel tratto dai Ponti alla Chiesa di Serrazzone e a Monteluzzo. Tornando
alla Chiesa nuova, cui accennavamo precedentemente, abbiamo trovato
conferma della sua edificazione, inizi anni ‘60, anche da un quaderno in
cui sono registrate le offerte del 1960-63, per la costruzione della stessa.
Per inciso, da tutto ciò si evince quante notizie sono reperibili negli
archivi parrocchiali, dallo stato dei beni della Chiesa a quello delle anime,
ma anche le le più disparate. Confessiamo la nostra tentazione di mettere il
naso, uno di questi giorni, in una cartella che sul dorso per titolo ha “Poesie
contro l’opera di Napoleone Bonaparte 1813 ...”. Significa davvero che il
vento della storia era passato anche quassù.
Nei pressi della chiesa ora si stacca la carrabile asfaltata che porta
al Lago di Pratignano, distante una dozzina di chilometri. Certamente,
FANANO
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in origine, partiva proprio di lì il percorso che, affrontando un versante
piuttosto ripido, sfiorava località come Monteluzzo, Val di Fredda, Pian
della Farnia, per poi raggiungere Pratignano. Questa è certamente la più
particolare emergenza ambientale e naturale del territorio, nota per la
presenza nel suo habitat di una rara pianta carnivora (Alfonso, cui interessavano molto il mondo delle piante erboree ed officinali, l’avrebbe
citata di acchito con il nome scientifico di Drosera Rotundifolia), ma ultimamente anche (lo aggiungiamo noi, come piccola notizia di cronaca) per
una frana avvenuta nel corso del 2013.
Vuoi vedere che anche la presenza di quella pianta, in un modo o
nell’altro, ha finito per generare qualcuna delle storie fantasiose che circolano nelle valli e sui monti nostri? Alfonso Bossetti di ciò fa un cenno,
appuntando che a Fellicarolo si raccontava di fate, che, lungo il sentiero che scende alla Madonna del Ponte da Vasbedolla, c’è una roccia con
“l’orma del diavolo”, che in uno stradello di Ospitale c’è una stele riferita
ad un muratore, che tornando a casa ubriaco, vedeva strane figure che lo
circondavano. Quanto al lago Scaffaiolo (il cui nome avrà pure una radice
originaria longobarda come altri luoghi di quassù, per indicare una sorta
di pianoro), pare che per i vecchi montanari fosse un sito che rimandava
a possibili pericoli o alla paura, tanto è vero che per loro lì si aggirava un
grande “zione”, che poi non era altro che una figura minacciosa.
Se le cose stavano così, non ci si stupisce che anche nelle terre di
Serrazzone ci fossero dicerie strane, ovvero che, vicino ai pozzi isolati e
sparsi qua e là, esistevano (e magari vi si riparavano, tanto grandi erano
quei pozzi) figure leggendarie, pare dei giganti.
Proprio questi ultimi sono gli appunti conclusivi del foglietto manoscritto di Alfonso Bossetti, chiaro segno di un interesse che andava oltre
la pura e semplice ricognizione fisica del luogo, come se per lui quello che
chiamiamo “genius loci” non fosse costituito solo dalle vecchie case di
pietra, dai primi castagni della valle, dalle acque che scendono dall’alto,
dagli animali nascosti nel bosco, ma proprio dalle atmosfere, più o meno
misteriose, che si percepivano sfiorare i rami degli alberi o provenire dai
cespugli o dai punti più remoti.
In effetti, attraversando queste zone, anche ora e a prima vista, si
percepisce nettamente la piacevolezza intrinseca del paesaggio, in alcuni
punti ancora naturale e senza tempo, ma pure una sua atmosfera silente,
lontana, a suo modo effettivamente misteriosa.
Se questo pezzo, o articolo che dir si voglia, fosse stato redatto davvero cinquanta e passa anni fa, gli appunti di partenza sarebbero stati legati
tra loro da Alfonso Bossetti, con la sua scrittura scorrevole, curiosa e mossa dallo stupore per le cose, per le persone, per i luoghi; forse sarebbero
stati sviluppati con una maggiore precisione circa le caratteristiche del
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territorio, dei sentieri o percorsi che lo segnavano (Alfonso era, tra l’altro,
un camminatore instancabile e di ciò c’è traccia, come detto altrove, nei
suoi articoli, oltre che negli scatti fotografici che ha lasciato), degli insediamenti abitativi più datati e ancora mantenuti in condizioni di vivibilità.
Letto oggi, quel resoconto probabilmente avrebbe consentito di percepire
lo stato delle cose in quel decennio del dopo-guerra e, a noi, cioè al cronista di oggi, di valutare eventualmente i successivi cambiamenti avvenuti.
Noi confessiamo di esserci limitati in un certo senso al compito di
scrivani, cercando di mettere in fila, nel modo più semplice e misurato
possibile, le annotazioni ritrovate e, sulla base di queste e con l’aggiunta
di qualche notizia, dando forma ad un racconto che i lettori, soprattutto
quelli che vivono nella frazione, prenderanno come un modesto tentativo
di rappresentazione del loro luogo di appartenenza e come traccia da collegare alla propria memoria del luogo.
Se questa ricostruzione di “qualcosa di Serrazzone” è servita, ne siamo naturalmente felici, nel ricordo di un uomo (modenese) che si era fatto
montanaro.
FONTANA DI CASA DEL VENTO
di Corrado Ferrari
Ho sentito la tua voce
nelle mie mani,
fontana di Casa del Vento,
che togli in eterno
la polvere dalle labbra.
Nuota verdissimo
come un bimbo
nella gioia di vivere
il lucido crescione,
mentre danza nel profumo
del finocchio selvatico
il fantasma di un pittore.
Cadono intanto
dagli angeli
che ti danno l’ombra
le prime foglie.
Anche in Paradiso si muore.
FANANO
fra storia e poesia
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La vecchia chiesa
e il parroco di Serrazzone
di Alda Poli
La chiesa nuova di Serrazzone è sicuramente bella, luminosa, spaziosa, il suo stile “alpino” si inserisce bene nell’ambiente di montagna,
però... quella vecchia era ancora più bella. Pare che fosse del ‘500.
A documentare com’era esternamente c’è qualche bella storica foto,
ma per quanto riguarda l’interno ho dovuto cercare a fondo nella memoria per riuscire a ricordare almeno i particolari più significativi, alcuni
dei quali documentati, solo in parte, da vecchie sfuocate foto, scattate in
occasione di qualche cerimonia religiosa.
Vi era un’unica navata, con ai lati due file di banchi, gli stessi che
oggi sono nella chiesa nuova. L’altare era piuttosto imponente, di marmo
chiaro e ai suoi lati vi erano due bellissime colonne, pure di marmo. Due
archi mettevano in comunicazione la navata della chiesa con lo spazio che si
trovava dietro all’altare ed erano chiusi da pesanti tendaggi di colore rosso
scuro, ornati tutti intorno da decorazioni in stoffa e pizzi dorati. A destra
dell’altare c’era la porta per accedere alla sacrestia. Una bellissima ba-
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laustra in ferro battuto delimitava la zona dell’altare. Davanti, a destra,
c’erano l’organo e il fonte battesimale e a sinistra un grande quadro con
l’immagine della Madonna, tutto circondato da una ghirlanda di fiori di
carta colorata, come si usava allora e arricchito anche da qualche oggettino d’oro, come ex voto. In fondo a sinistra c’era il confessionale, lo stesso
che esiste ancora oggi. Il pavimento era fatto di mattonelle a forma di
rombo, di due colori alternati: grigio chiaro e rosso scuro.
Appoggiate ai muri della chiesa c’erano anche alcune decorazioni,
come pannelli ondulati, in rilievo, forse realizzati in cartongesso, che però
da lontano sembravano di marmo. Di fianco alla porta principale della chiesa, a sinistra, c’era un’altra porticina che dava in una stanzetta dove si
conservavano gli stendardi ed altri oggetti che servivano per le processioni.
Nella facciata principale sono ben visibili, in una foto, una finestrella
quadrata e, sopra, un minuscolo finestrino rotondo. C’era poi un’altra
porta laterale, proprio di fronte al vecchio ingresso della canonica che
allora era staccata dalla chiesa ed era chiamata “l’uscio degli uomini”
perché da lì entravano gli uomini, secondo una vecchia abitudine.
Come si intravede dalle foto, davanti alla chiesa c’era uno spazio abbastanza vasto e pianeggiante, molto amato dai bambini, perché lì, prima
e dopo la scuola, prima e dopo la messa, potevano correre, saltare e gio-
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care liberamente: lo chiamavano il Pianello, anche se si poteva definire un
castagneto, in quanto c’erano dei bellissimi castagni alcuni certamente secolari, altri caratteristici, storti e contorti a causa dei venti che li avevano
sferzati per tanti anni. Nei giorni di festa, dopo la funzione pomeridiana,
a volte si ballava nel Pianello.
Il campanile era una vera opera d’arte, ma alla fine del secolo scorso
era veramente mal ridotto. Da tempo se ne programmava il restauro e finalmente negli anni 2004-2005 fu riportato agli antichi splendori. È emozionante per i Serrazzonesi sentire di nuovo suonare le campane, anche
se purtroppo accade poche volte all’anno.
***
Non si può parlare della chiesa di Serrazzone senza ricordare Don Paolo Foli, anche se chi
l’ha conosciuto, sicuramente non potrà dimenticarlo. La Parrocchia della Natività di Maria Santissima di Serrazzone è Parrocchia autonoma dal
1443 ed ha sempre avuto un Parroco residente.
Nel 1913, circa 100 anni fa, gli abitanti di
Serrazzone erano 753. La mancanza di servizi
e di infrastrutture essenziali hanno determinato,
dopo la seconda guerra mondiale, un vero esodo
dalla zona. Solo nel 1954 la strada carrozzabile
ha raggiunto il centro della frazione e solo tra gli anni 60-70, per l’operosità dei residenti, costituitisi in consorzi volontari, si realizzarono acquedotti, elettrodotti e strade interpoderali per raggiungere le zone più
disagiate. Fu costruita la nuova chiesa parrocchiale, ebbe inizio la ristrutturazione della canonica e fu progettato il restauro del campanile.
Don Paolo fu Parroco di Serrazzone per ben 50 anni: dal 1952 al
25-10-2002 quando scomparse improvvisamente, lasciando un gran vuoto. Collaborò in tutti i modi alla realizzazione delle opere sopra elencate.
Ricordo in particolare che nel 1960, quando stavano costruendo i bacini dell’acquedotto, Don Paolo era sempre presente: dirigeva, consigliava,
zappava, “sbadilava”, trasportava cemento e materiale vario con la sua
storica giardinetta di colore rosso scuro, targata MO 2 – 6716 e la sera
tornava a casa infangato dalla testa ai piedi. Alla fine della messa e delle
funzioni, la gente non aveva fretta di andarsene, ma aspettava di vederlo
comparire sorridente sul sagrato della chiesa e lui si intratteneva col suo
gregge. Per tutti aveva una parola buona, una battuta scherzosa, e per i
bambini un complimento e una carezza.
Caro Don Paolo, quanto ci manchi!
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RICORDI DA SERRAZZONE
Pubblichiamo di seguito tre brevi contributi di “vita vissuta” a Serrazzone, la
frazione di Fanano a cui è dedicata buona parte della presente rivista. Da nessuno
di essi il lettore si aspetti testi di particolare valore letterario o di approfondimento
storico (al quale è comunque dedicato ampio spazio in altre parti della rivista).
Confidiamo, piuttosto, che egli apprezzi la loro spontanea genuinità e il loro
fortissimo intento di trasmettere – con l’inevitabile nostalgia che da sempre
accompagna questi ricordi – qualcosa che, al di là delle semplici vicende raccontate,
rimanda a un mondo che in gran parte non c’è più, ma del quale è bello (e, secondo
noi, anche doveroso) conservare qualche memoria.
RICORDI DI UN FANCIULLO
di Gioacchino Orlandini
Vorrei provare a descrivere la frazione di Serrazzone, il luogo dove
sono nato e per diverso tempo ho vissuto, rinnovando e liberando sensazioni e ricordi di fanciullo, cercando di tratteggiare persone e luoghi di 60-70
anni fa, ricordi che rimarranno indelebili nella mia mente e nel mio cuore.
Ricorderò per primi i miei genitori che mi hanno voluto e generato
in una modesta casa di campagna, dove mi hanno cresciuto con amore e
orgoglio assieme a mio fratello, in una famiglia numerosa e patriarcale.
La casa, denominata “La Piaggiola” vicino al fosso dei Gamberi, il fiume
Leo e la via Porrettana, è situata in un vasto territorio incontaminato.
Qui ho conosciuto la felicità e la gioia di essere amato, ma ho sperimentato anche l’ansia inconscia della guerra.
Cresco un po’ e comincio ad andare a scuola. Giorno dopo giorno, impegni e difficoltà, lungo percorso, strada impervia ed accidentata: quante
volte la raccomandazione «Stai attento ad attraversare il fosso del Re! Non
avvicinarti ai dirupi del Cinghio!».
Percorrevo la strada sempre da solo in quanto mio fratello più piccolo
frequentava la scuola in un altro turno, diverso dal mio. La scuola era stata ricavata in una ex-falegnameria, tuttavia era grande e ben illuminata:
nell’ampia sala che costituiva la nostra aula troneggiava una grande stufa
che riscaldava l’ambiente. Qui ho incontrato la maestra Pasqua Bondi,
quasi arrivata al termine della sua missione di insegnante. Con enfasi
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posso ben dire “la mia maestra”, che non avrà fatto la storia di Serrazzone, ma che certamente ha insegnato la storia e che mi ha insegnato con
amore oltre la storia. Per lei ci sarà sempre un sentito ricordo e un fiore
commemorativo.
Non posso non ricordare Don Paolo Foli, uomo e sacerdote, grande
impegno per la sua gente, grande esempio di spiritualità. Lo ricordo oltre
la mia fanciullezza: mi ha protetto, mi ha diretto, mi ha sposato. Pace a
te, Don Paolo!
Ora cercherò di tratteggiare alcuni luoghi per me significativi. Ricordo
con affetto il borgo della Castellaccia, dove è nata la mia mamma e dove
andavo a raccogliere le castagne con i miei nonni. Ripenso alla magia del
mulino: portavamo castagne secche e ne usciva farina bianca! Lungo il
fosso del Re allora erano in funzione tre mulini.
Altro borgo che ricordo è Val di Fredda. Ci andavo da bambino con
mia nonna. Oggi, ci ritorno ogni anno il 16 agosto per la festa di San Rocco: ripercorro il grazioso borgo e sosto in preghiera nell’oratorio, recentemente ristrutturato.
Vorrei ricordare anche Pratignana, con il suo splendido lago di allora
...ora per salvare un po’ di natura il lago sta morendo, forse sarà il mistero della Tana delle fate...
Da ultimo, il Pianello, nelle vicinanze della scuola e davanti alla chiesa, al campanile maestoso e alla canonica. Qui si completava la spiritualità delle persone e la gioia dei ragazzi. Il tutto era completato ed attutito
da grandi castagni secolari dove i bambini giocavano a nascondino e la
gente si raccontava gli eventi delle varie borgate. Era anche il luogo in
cui, in due precisi periodi dell’anno, maggio e ottobre, si poteva vedere la
transumanza. Le greggi si fermavano a riposare, i pastori con cura sorvegliavano il proprio gregge e con preoccupazione proteggevano anche noi
ragazzi curiosi da qualche ariete bizzarro.
Ora tutto è cambiato, anche se per me rimane sempre come allora.
Ora su quella piazza, su cui si affaccia sempre la chiesa e il campanile completamente ristrutturati, non ci sono più tanti fanciulli e persone.
Eppure, l’impulso e l’intuito religioso del nuovo parroco Don Michele ha
prodotto quasi un miracolo in occasione della festa della Natività di Maria,
patrona della frazione, l’8 settembre del 2013: tanta gente e in particolare
tanti bambini presentati alla protezione di Maria Bambina.
In quel momento, ho provato una profonda emozione e commozione:
ho cercato di immaginare come potrebbero essere ora i volti dei miei
giovani amici di quando io ero bambino, perché pochi sono quelli che ora
riesco saltuariamente ad incontrare.
Ma per quanto mi sia sforzato di immaginarli, ho rivisto soltanto i
loro visi di fanciulli.
FANANO
fra storia e poesia
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GLI “ZUCCHERINI” DELLA NONNA SEVERINA
DI SERRAZZONE
di Alberto Orlandini
La nonna era un’ottima cuoca: tutti i suoi piatti erano cucinati con
semplicità. Primi, secondi e dolci di nonna Severina erano delizia per il
palato, e noi piccoli eravamo felicissimi quando potevamo pranzare da lei;
ci piaceva molto anche poterla aiutare in cucina quando, finiti i lavori nei
campi, si dedicava a prepararci qualche buona cosina...
La specialità della nonna erano i dolci, in particolare gli “zuccherini”,
dolci montanari semplici e gustosi, indicati per tutte le feste, e soprattutto
rigorosamente presenti sulle tavole dei commensali in tutti i matrimoni.
Un dolce povero, che faceva sempre tanta gioia ritrovare alla fine di un
pranzo, bianco come le spose, simbolo di abbondanza, di fertilità, di dolcezza e di antichi e ancestrali sapori.
La lavorazione, tutta manuale, iniziava dall’impasto di ingredienti
molto comuni: zucchero, uova, farina... in quantità che l’occhio esperto
della nonna dosava sempre bene; poi si passava a trasformare l’impasto
in tanti anelli di giuste dimensioni, che poi entravano nel forno per la
cottura.
Anche quando noi nipoti la aiutavamo, la nonna era sempre presente
a tutte le fasi dello svolgimento del lavoro, in particolar modo alla cottura
e alla glassatura finale, operazione molto complicata che da noi veniva
detta “canditura”.
A quei tempi non esistevano termometri per il forno che veniva rigorosamente riscaldato con le fascine di legna: il momento giusto per infornare
e cuocere gli anelli di pasta dolce era dato dal colore bianco intenso dei
mattoni refrattari. Oggi sembra molto complicato, allora era così normale!
E per la canditura la nonna metteva in un recipiente di rame (caldrin) sempre lucido e splendente, una certa quantità di acqua, zucchero,
un po’ di liquore dolce, bucce di arancia o di limone e faceva bollire, e
bollire... Al momento giusto versava nel caldrin tutti gli anelli di pasta
precedentemente cotti e li faceva ruotare nella glassa con vera maestria,
senza romperli, servendosi solo di un mestolo di legno: la glassa aderiva
in modo uniforme alla pasta grezza e gli zuccherini erano pronti: bianchi,
profumati e gustosi al palato.
Quanta bravura e professionalità, la nonna! E quanta nostalgia nel
ricordo di quei momenti felici della mia giovinezza! Ciao nonna!
FANANO
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UN CUORE PIENO DI RICORDI
di Maurizio Poli
Sono nato e cresciuto nella piccola frazione di Serrazzone circa mezzo secolo fa e le cose in questi anni sono parecchio cambiate; solo una
cosa non è cambiata e non cambierà mai: il ricordo che mi hanno lasciato
alcuni abitanti che ora purtroppo non sono più tra noi.
Sono sposato e ho due figlie alle quali mi piace molto raccontare fatti
ed eventi accaduti in passato per far capire loro come è cambiato il modo
di vivere e soprattutto per arricchire il loro bagaglio culturale. Ma se oggi
mi trovo qui a scrivere è perché voglio che anche voi lettori di Fanano fra
storia e poesia siate a conoscenza di questi avvenimenti del passato; vi
racconterò quindi alcune piccole storie che rimarranno sempre nel mio
cuore.
Qui vicino a casa mia abitava mio zio Enzo, un uomo distinto e apprezzato da tutti; finita la quinta elementare si mise a fare il falegname,
ma le uniche cosa che gli riuscivano bene erano le casse da morto. Mi raccontava che ne teneva sempre una pronta e che, quando veniva a sapere
che il prete era andato a dare l’estrema unzione ad un anziano, si metteva
al lavoro per prepararne un’altra. Quando i parenti del defunto si recavano da lui, mostrava loro i due tipi di casse: uno più brutto ed economico
(che era quella ancora da finire) e un altro che lui definiva più lussuoso
(che era sempre la stessa ma terminata); e ovviamente loro sceglievano
sempre il secondo tipo.
Nella borgata di Casa Pichiotti viveva Viterbo, un signore che non ho
mai visto lavorare. Lui raccontava sempre del periodo passato in Francia
dove si era fidanzato con Joséphine Baker, insieme alla quale aveva fatto
una vita da vero signore: tutti i giorni pranzo e cena al ristorante e sempre
in giro al volante di una Isotta Fraschini 8 cilindri, da noi mai vista tranne
che in foto.
Quando tornò ad abitare qui, si fece notare subito sia per l’abbigliamento molto elegante e sia per il suo originale modo di pranzare, che potremmo definire “al contrario”: ora vi spiego... Un giorno, con tre cravatte,
andò a mangiare al ristorante “Frignano” (l’attuale “Firenze”) e ordinò
come prima cosa un caffè, poi un dolce e così via, terminando con un
piatto di tortellini: disse che così era di moda in Francia.
FANANO
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Al ponte sul “fosso del Re” vivevano due mugnai, marito e moglie, entrambi molto gentili, ma in una cosa molto diversi tra loro: lui era piccolo
piccolo, lei invece molto grande. Quando si passava da lì, o per necessità
o semplicemente per fare un giretto, loro offrivano sempre dei biscotti
buonissimi che conservavano in un vaso di vetro con il coperchio in alluminio, posto sopra una mensola dell’ingresso. Quel piccolo gesto allora
era molto apprezzato.
Ma il ricordo più bello riguarda il primo dell’anno. Io e mio fratello
gemello alla mattina ci svegliavamo presto, partivamo a piedi e facevamo
il giro di tutte le case. Suonavamo il campanello e, quando ci aprivano,
facevamo gli auguri di un felice anno nuovo con la frase «Bun dì e bun
ann». Soprattutto gli anziani erano molto contenti di questa “tradizione”;
si rimaneva un po’ in loro compagnia, si scherzava e si rideva. Loro ci
ripagavano con caramelle e cioccolatini, piccole cose in apparenza, ma in
realtà piccole non lo erano affatto: per noi era un tesoro immenso.
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Da
Rime spontanee di un emigrante
di Francesco Benassi
Francesco (Franck) Benassi nacque alle “Caselle” (borgata di Serrazzone) il 14 aprile 1883 da Andrea e Rosa Seghi. Emigrato negli Stati Uniti,
lavorò inizialmente nelle miniere di carbone dell’Illinois, diventando poi
un apprezzatissimo esperto di giardinaggio; morì il 9 gennaio 1979 ad
Highwood (Illinois). Non dimenticò mai il proprio paese natale a cui dedicò molte delle sue poesie, raccolte in un volumetto (Rime spontanee di un
emigrante) stampato a Modena nel 1961.
Oltre all’autobiografico sonetto L’emigrante, pubblichiamo due sue
poesie dedicate a Monteluzzo di Serrazzone e alla natia borgata delle Caselle, che fu completamente abbandonata a seguito della frana che la colpì
nel dicembre 1952.
L’emigrante
Ai nostri tempi col progresso attese;
quantunque avesse avuto poca scuola,
praticamente pur presto comprese
non esservi per lui che una via sola.
Di abbandonare il natìo paese
verso gli Stati Uniti il pensier vola;
per procurarsi il pane, e far le spese
sol la speranza è in sé che lo consola.
Partì; qui venne, e fu ben ospitato
su questo lido da lui sconosciuto,
oggi contento d’esser qui arrivato.
Lavorò tanto e fu riconosciuto
dal nuovo mondo che l’ha migliorato,
dove gran libertà sempre ha goduto.
FANANO
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Monteluzzo
(Dove vi fu il Castello e la prima Chiesa di Serrazzone)
Da chiamarlo bella vista,
l’occhio effettua una conquista,
panorama grande e bello
pare un quadro d’acquerello.
Poi più in là Cucol paese
che si specchia con Montese,
Ranocchio, Salto e San Martin
Vi si ammira in chiar mattin.
Fanan guarda in addizione:
ben si vede ogni frazione,
che son sette e le fan ronda
come un cerchio che circonda.
Verso il termin della meta
vedi un po’ Rocca Corneta
e più in su con ver piacere
scorgo il monte Belvedere.
Da ovest giro a levante:
di vedute ce n’è tante,
v’è Gaià con Montespecchio
il cui nome è molto vecchio.
FANANO
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La Rovina delle Caselle
Questa è una cosa triste
mai da nessun pensata
per cui più non esiste
la misera borgata.
Fra gli altri un mal ridotto
per fare almen le spese,
portava il suo fagotto
entro Trignan paese.
Fenomen molto strano
improvvida natura,
tu che portasti un vano
travolto in sventura.
Chi in America è andato
per questa circostanza
permesso gli fu dato
d’entrar nell’abbondanza.
Qualche vecchio abitante
per indizzi temeva,
da crepature tante
un guaio si prevedeva.
Da tutti abbandonato
quel posto di rovina,
altro luogo han trovato
da star meglio di prima.
Or, chi è andato a Trentino
e chi è andato in Toscana
ove c’è del buon vino
per far scordar la frana.
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Iniziative Culturali dell'Estate 2014
Domenica 6 luglio, h. 10,30 - Chiesa di San Giacomo di Ospitale
Conferenza del prof. Renzo Zagnoni:
“L’Ospitale in Val di Lamola in epoca medievale”
Giovedì 17 luglio, h. 16,30 - Chiesa di San Giuseppe
Conferenza della prof.ssa Stefania Roncroffi
“Antichi suoni da rare carte fananesi”1
Giovedì 24 luglio, h. 16,30 - Chiesa di San Giuseppe
Presentazione del libro
“Storie di confine: Appunti e ricerche su un territorio montano
(Frignano, secoli VIII-XXI)”
e, in particolare, del saggio
“Ascanio Magnanini e Giovanni Gherardini magistri fananesi”
prof. Matteo Al Kalak e prof.ssa Sonia Cavicchioli2
Giovedì 31 luglio, h. 16,30 - Centro Bortolotti
Presentazione del libro
“Di là dal ponte (storie, personaggi, poesie, ricette… da un paese
chiamato Fellicarolo)”
da parte dell’arch. Giovanni Capucci
e del n. 24 della rivista “Fanano fra storia e poesia”2
Giovedì 7 agosto, h. 16,30 - Centro Bortolotti
Conferenza del prof. Giancarlo Montanari:
“Confini montani agitati del primo Seicento: la seconda guerra di
Garfagnana (1613)”
Giovedì 14 agosto, h. 16,30 - Centro Bortolotti
Presentazione del libro
“Recuperanti e riciclanti delle due guerre mondiali”
del dott. Jean Pascal Marcacci
1
Si veda in proposito l’articolo pubblicato a pag. 125 della presente rivista
2
Una breve recensione del libro è pubblicata nella rubrica Scaffale fananese della presente
rivista
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Nell’ambito della III Rassegna Musicale “ArmoniosaMente”, l’Associazione collaborerà inoltre all’organizzazione dei seguenti concerti :
Venerdì 8 agosto, h.21 - Chiesa di San Lorenzo a Trentino
(Festa del patrono San Lorenzo)
All’organo Margherita Sciddurlo
Lunedì 25 agosto, h. 21 - Chiesa di San Giuseppe Sposo di Maria a Fanano
(Giorno di San Giuseppe Calasanzio)
Maria Teresa Casciaro (soprano) e Renato Negri (organo)
Venerdì 5 settembre, h. 21 - Oratorio della Madonna del Ponte a Fanano
(Festa triennale degli Emigranti)
All’organo Irene De Ruvo
***
La biblioteca “Rossi - Di Bella” dal 15 di giugno al 15 di settembre sarà
aperta anche in due pomeriggi alla settimana, il giovedì e il venerdì, dalle 15 alle 18.
Essa sarà affidata ad Andrea Ballocchi, che è anche il segretario della
nostra Associazione Culturale della Valle del Leo “Ottonello Ottonelli”:
pertanto ci si potrà rivolgere a lui anche per tutto quanto riguarda l’Associazione stessa.
FANANO
fra storia e poesia
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E’ TUTTA DA RISCRIVERE LA STORIA
DEGLI OTTONELLI, DEI TANARI E DEI BAROZZI?
di Raimondo Rossi Ercolani
In questi ultimi tempi gli studiosi di storia locale e i ricercatori di
archivio hanno scoperto molti interessanti documenti sulle famiglie degli
Ottonelli di Fanano, dei Tanari di Gaggio Montano e dei Barozzi di Vignola. Eppure, recentemente abbiamo conosciuto un documento il quale
– una volta che sia accertata con chiarezza la sua provenienza – dovrebbe
indurre a rivedere in gran parte quanto è stato scritto finora sulle origini
di queste tre importanti famiglie del nostro territorio.
In realtà non è un vero e proprio documento: si tratta infatti della fotocopia della pagina di un libro nella quale, con riferimento a documenti
dell’Archivio Teodosiano di Ravenna, si parla soprattutto della famiglia
Barozzi, ma anche delle altre due. Si tratta di una pagina che è giunta dalle nostre parti in modo insolito, un po’ rocambolesco: brevemente questa
è la sua storia.
Nell’estate del 2009 uno studioso di Vignola, il professor Gianfranco
Gibellini, trovandosi in vacanza nella bella isola greca di Naxos (Nasso:
la stessa della mitica Arianna), ebbe modo di conoscere un gentilissimo
signore che, parlando un ottimo italiano, gli fece visitare la propria casa
avita, un tempo di proprietà dei nobili veneziani Barozzi, e successivamente trasformata nel Museo Veneziano Domus Della Rocca-Barozzi;
quando poi conobbe la provenienza vignolese del professor Gibellini, egli
fu ben lieto di mostrargli la fotocopia cui si è accennato e che, per intenderci, d’ora in poi chiameremo la “pagina di Naxos”.
Ebbene, assai raramente è capitato agli studiosi di storia locale di
imbattersi in un testo che, in uno spazio così ristretto (poche decine di
righe), fornisse tante e così importanti notizie storiche! Di conseguenza
si cercò in tutti i modi possibili di riprendere i contatti con il gentilissimo
signore greco per venire a conoscenza del titolo e dell’autore del libro da
cui era stata fotocopiata una pagina di tale interesse, ma fu tutto inutile:
telefonate, fax e lettere da Vignola a Naxos rimasero sempre senza risposta. Neppure un secondo viaggio a Naxos compiuto appositamente dal
professor Gibellini nell’estate successiva portò a risultati concreti.
Da un attento esame della “pagina di Naxos” si può comunque dedurre quanto segue: 1) in base alle caratteristiche tipografiche, allo stile e al
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linguaggio utilizzati nel brano, il libro da cui esso è tratto dovrebbe essere stato scritto verso la fine dell’‘800 o, al massimo, agli inizi del secolo
successivo; 2) considerando l’abbondanza e la precisione dei particolari
(date, nomi e luoghi), la sostanziale non contraddizione con i dati in nostro
possesso, il continuo riferimento a documenti di archivio e la presenza di
un albero genealogico, esso non può essere stato scritto da un dilettante
più o meno fantasioso; deve essere invece opera di uno storico italiano
serio e ben documentato che bisognerà assolutamente individuare. Come
tutti gli storici, anch’egli può essere caduto in qualche inesattezza, più o
meno grave; ma liquidare il documento come inattendibile solo perché di
autore (per ora) ignoto, oppure perché – peggio – in parziale contrasto con
le ricostruzioni storiche attualmente più accreditate, ci sembra un grave
errore che nessuno storico dovrebbe commettere.
Anche alcune sue espressioni di gusto apparentemente forse un po’
“letterario” che hanno fatto storcere il naso a qualche studioso (Fra stenti
di ogni sorta... in una notte di tormenta e di neve...) si possono ben giustificare tenendo conto del periodo in cui il brano pare sia stato scritto. Non
dimentichiamo infatti che l’ ‘800 fu in tutta Europa il grande secolo del
romanzo e, in particolare, del romanzo storico (da Victor Hugo a Walter
Scott, dal Manzoni a Tolstoj): pertanto è più che comprensibile che in quel
periodo gli storici abbiano talvolta risentito dello stile dei loro colleghi “di
lettere”, così come questi ultimi avevano abbondantemente attinto alle
loro ricerche storiche.
Ma veniamo finalmente al contenuto di questa “pagina di Naxos”.
Come si diceva, essa riguarda soprattutto la famiglia Barozzi, ma con degli addentellati che hanno suscitato enorme interesse in noi fananesi (per
quanto riguarda gli Ottonelli) e, in seconda battuta, anche nei nostri amici
“di là dall’acqua”: nei bolognesi di Gaggio Montano (per i Tanari).
Per gli Ottonelli, il maggiore storico fananese, Niccolò Pedrocchi
(1681-1749), afferma nella sua Storia di Fanano che la famiglia Ottonelli
(“o Tonelli come anticamente dicevasi”) fu cacciata da Bologna – sembra
nel 1509 – perché di parte “guelfa” e si divise in due rami: uno con nuova
1
Del problema relativo agli Ottonelli e al loro arrivo a Fanano mi sono occupato anch’io nella
seconda edizione del mio libro fananese (San Giuseppe di Fanano, la “Chiesa dei Padri”), nel
quale ben due capitoli (su sette) sono in gran parte dedicati proprio agli Ottonelli. In particolare, nella nota 12 del II capitolo ho citato tutti i documenti scoperti in proposito da Gaetano
Lodovisi e da altri. Non vi ho invece citato l’importante “pagina di Naxos”, non potendone
indicare la fonte; ho però provveduto a citarla a parte, in un segnalibro, appositamente stampato e allegato al volume, con l’invito al lettore ad aiutarci a scoprirne l’origine. Di questo
segnalibro si parla anche a pag. 182 di questa rivista (nella quale è anche riprodotto).
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residenza a Fermo (nelle Marche) e l’altro a Fanano, con Battista, il nonno
del nostro Ottonello Ottonelli. Ma in realtà, nonostante l’autorevolezza del
Pedrocchi, gli storici locali non sono mai stati del tutto convinti di questa
versione degli avvenimenti. Ad esempio è sempre sembrato piuttosto improbabile che proprio Battista, se davvero arrivato da pochi anni a Fanano, risultasse già in grado (nel 1521) di guidare una schiera di fananesi
alla riconquista del castello di Sestola, allora controllato dai funzionari del
papa Leone X, (secondo quanto riferisce il nostro Pedrocchi); ed è ancora
più improbabile che lo stesso Battista “del quondam Domenico Tonelli”
(Ottonelli) potesse rappresentare già nel 1514 il Comune di Fanano in una
complessa controversia con la comunità di Trignano, come risulta da un
documento scovato all’Archivio di Stato di Modena dal nostro infaticabile
Gaetano Lodovisi.
Lo stesso Gaetano Lodovisi ha dedicato all’argomento un importante
saggio che è stato pubblicato sul n.15 di Fanano fra storia e poesia (“Nel
Quattrocento gli Ottonelli risiedevano già a Fanano”); in esso vengono citati diversi documenti che attestano la presenza degli Ottonelli a Fanano
nei secoli precedenti al XVI: ad esempio nel più antico di essi (un rogito
del 1331, pubblicato per la prima volta da Albano
Sorbelli) un certo Ottonello di Domenico di Trignano, allora residente a Bologna, lasciava in eredità
alcune sue proprietà site nella stessa Trignano.
Rispetto però a questi documenti – importantissimi, ma “isolati” uno dall’altro, e di non sempre
facile interpretazione – la “pagina di Naxos” ci dice
molto, ma molto di più: stando ad essa, infatti, risulterebbe che nel 1319 quella degli Ottonelli fosse
già da tempo una delle più potenti famiglie fananesi, strettamente legata agli Estensi (come fu poi
anche nei secoli successivi) e ad altre importanti
famiglie del territorio, in grado di ospitare per un
mese dei profughi politici braccati dai “segugi” della loro patria e di donare loro “una piccola terra in
quel di Spilamberto”.1
E le sorprese non mancano neppure per i Tanari di Gaggio Montano: anche per essi, infatti,
non si avevano notizie documentate di una loro
significativa presenza in una data così antica nel
paese di Gaggio, dove, secondo le fonti attualmente
note, diventarono potenti – prima economicamente e poi anche politicamente – soltanto nei secoli
Stemmi degli Ottonelli
successivi.
e dei Tanari
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Ma forse la sorpresa più clamorosa è quella riguardante i Barozzi.
Discutendo delle origini della famiglia dell’architetto Jacopo Barozzi (il
Vignola, 1507-1573) gli storici locali non propongono certezze, ma avanzano alcune ipotesi: in base alle fonti storiche (scarsissime), parlano di
una possibile provenienza dal Milanese fra la fine del secolo XV e l’inizio
del successivo, oppure di un’origine autoctona risalente “quantomeno agli
inizi del XV secolo”; imboccata poi la strada archivistica (“colma per altro di trabocchetti e assai difficoltosa”) essi concludono propendendo per
una provenienza dalla zona di Orta, nel Novarese, allora appartenente al
Ducato di Milano. Ebbene, di fronte a queste ipotesi, la “pagina di Naxos”
prospetta una situazione ben diversa: non soltanto l’arrivo dei Barozzi
a Vignola verrebbe anticipato di più di un secolo, ma – secondo l’albero
genealogico della “pagina” – ad essi andrebbe attribuita non un’oscura
origine lombarda, ma una nobile ascendenza veneziana!
E non si tratterebbe di una nobiltà qualunque. Per rendercene pienamente conto bisogna ricordare che la Repubblica Veneta era una repubblica aristocratica e che il suo massimo organo politico (il Maggior Consiglio)
era costituito dai patrizi iscritti nel Libro d’Oro della nobiltà veneziana.
Nel tempo, tuttavia, questo Libro d’Oro fu ampliato includendovi nuovi nobili; si poterono così distinguere: le case vecchie, quelle più antiche, considerate nobili già da prima del IX secolo (fra le quali, le dodici apostoliche:
famiglie che si vantavano di avere eletto il primo Doge di Venezia); le case
nuove, riconosciute nobili dal X secolo fino alla Serrata del 1297; le case
Venezia, Palazzo Barozzi sul Canal Grande
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nuovissime, iscritte nel Libro d’Oro nel 1380 per benemerenze militari e,
infine, le case fatte per soldo, quelle ammesse al Maggior Consiglio dopo
il 1646, quando Venezia, dissanguata dalla guerra contro i Turchi, si era
trovata in gravi difficoltà economiche.
Ebbene, la famiglia veneziana dei Barozzi era proprio una delle più
antiche in assoluto, appartenendo al ristretto numero delle famiglie apostoliche. Essi possedevano un bellissimo palazzo gotico sul Canal Grande,
nella parrocchia di San Moisè, (che esiste ancora, ma completamente trasformato nei secoli successivi); dal 1207 al 1335 governarono le isole greche di Santorini e Thirassia che furono poi inglobate nel Ducato di Naxos,
conquistato successivamente dai Turchi, nel 1566. Quasi certamente risale
a quel periodo la costruzione di quella che è ora la Domus Della RoccaBarozzi dalla quale proviene la nostra interessantissima “pagina di Naxos”.
Ma, tornando alle famiglie del Maggior Consiglio, è noto che fra di
esse non mancarono nel tempo contrasti anche piuttosto forti. Nel 1310
due delle più importanti di esse (Querini e Tiepolo), godendo di un certo
favore popolare, organizzarono addirittura una congiura contro il doge
Pietro Gradenigo, da loro considerato poco meno che un usurpatore. A
causa di un tradimento la congiura fallì e i congiurati sopravvissuti agli
scontri si rifugiarono negli stati vicini, braccati dai “segugi della Serenissima”: fra costoro, i nobili Bartolomeo e Giovanni Barozzi, i quali, secondo
la ormai ben nota “pagina di Naxos”, si rifugiarono prima a Ravenna, poi
(nel 1319) a Gaggio Montano presso i Tanari, quindi a Fanano presso i
nostri Ottonelli e, infine, “nella piccola terra in quel di Spilamberto” dove
“c’è ancora la casa dove nacque il Vignola, a pochi passi dal confine con il
Comune di Spilamberto”.
Venezia, Chiesa di San Francesco della Vigna, Lastra tombale della famiglia Barozzi
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L’autore dell’articolo nel Campiello Barozzi di Venezia
(con Sotteportego verso la Corte Barozzi)
Concludiamo con una nota curiosa. Alla congiura “Querini-Tiepolo” si
ispirarono, soprattutto nel XIX secolo, alcuni romanzieri e musicisti (attenzione ai titoli!). Fra i primi, va ricordato il veronese Giulio Pullè, con
il romanzo storico Alba Barozzi ovvero una congiura sotto il Doge Pietro
Gradenigo (Venezia, 1846); quanto alla musica, fu composta addirittura
un’opera (Alba Barozzi, dramma lirico in quattro atti) che stranamente non
è ancora stata rappresentata in teatro, nonostante la fama del librettista
(Antonio Ghislanzoni, lo stesso dell’Aida di Giuseppe Verdi) e del musicista
Paolo Giorza (1832-1914), autore di molta musica da ballo di grande successo e di musica popolare di successo ancora maggiore (La bella Gigogin).
Chissà se quest’anno, a un secolo esatto dalla morte del suo autore, riusciremo ad assistere alla prima esecuzione assoluta della sua Alba Barozzi!
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Niccolò Pedrocchi, Storia di Fanano, Fanano, 1927
Raimondo Rossi Ercolani, San Giuseppe di Fanano, la “Chiesa dei Padri”, Livorno, 2013
Gaetano Lodovisi, Nel Quattrocento gli Ottonelli risiedevano già a Fanano, Fanano, 2007
Stefano Santagata, La famiglia Tanari (in:
Gaggio Montano, Storia di un territorio e
della sua gente), Gaggio Montano, 2008
D. Dameri, A. Lodovisi, G. Trenti, Il Palazzo di
Hercole il Vecchio, Secolo XVI, Vignola, 2002
Giuseppe Tassini, Curiosità veneziane, Venezia, 1863
Alvise Zorzi, I palazzi veneziani, Udine, 1989
FANANO
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Segni sacri comuni
fra il Belvedere e il Fananese
di Alessandra Biagi
Nel numero precedente della presente rivista è stato parzialmente pubblicato
un documentatissimo saggio della nostra socia Alessandra Biagi riguardante
I segni del sacro nelle case, tratto da una sua importante pubblicazione alla quale
rimandiamo il lettore interessato ad approfondire l’argomento. Ben sapendo che
l’amica Alessandra ha un piede ben piantato di qua dall’acqua (nel fananese) e
l’altro al di là (nel Belvedere), le abbiamo chiesto di completare il discorso con
specifico riferimento ai segni comuni fra i nostri territori, lizzanesi e fananesi (con
particolare riguardo a quelli più vicini al “confine”: Serrazzone e Trignano).
I territori del Belvedere e del Fananese hanno sempre avuto qualcosa
in comune, pur divisi dal crinale dei monti della Riva. Nelle mie scorribande tra questi due territori che amo in ugual misura (mia madre è di
Fanano), ho avuto modo di notare che i tratti comuni sono riferibili in special modo all’architettura e alla religiosità. Questo mio breve intervento
riguarderà perciò questi “segni
comuni”.
Gli oratori sparsi sui nostri
monti sono una commovente e
forte testimonianza della fede
dei nostri antenati. Di solito erano costruiti per volere di una famiglia o di una piccola comunità, e attualmente il loro stato di
conservazione è affidato molto
al buon cuore dei residenti nelle piccole frazioni in cui essi si
trovano. Non tutti, purtroppo,
hanno avuto la medesima buona
sorte, tanto che sono stati trasformati in magazzini, pollai o
semplicemente demoliti.
Un bell’oratorio è quello di
Casa Fantini di Serrazzone, che
purtroppo ho potuto vedere solo
Oratorio di Casa Fantini
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all’esterno; ha la stessa struttura di quello di Valdifredda e, nel Belvedere,
di quello di Casa Gabrielli.
Un altro oratorio che a me piace molto è quello di San Rocco di Valdifredda, recentemente restaurato con attenzione e competenza. L’interno
è semplice, “more montano”, ma allo stesso tempo mostra una certa cura
costruttiva: sull’altare maggiore il tetto è a volta, mentre il resto della
copertura è a capanna. Nel restauro è stato lasciato in evidenza l’arco di
piccole pietre che divide la zona dell’altare maggiore dal resto dell’interno
dell’oratorio; sono ben visibili le due catene in ferro che tengono unite le
pareti dell’edificio.
La statua del Santo è bella e significativa, con gli elementi iconografici
che connotano il Santo, cioè il cane con il pane in bocca, la piaga sulla
gamba e il bordone del pellegrino. L’esterno è anch’esso estremamente
semplice: il bel portale in arenaria (pietra regina delle nostre zone) è sormontato da una finestra quadrangolare destinata a dare luce all’interno (a
sua volta sormontato da un minuscolo finestrino rotondo), e fiancheggiato
da due piccoli finestrini quadrangolari che servivano a vedere l’interno
anche quando l’oratorio era chiuso; questo era particolarmente importan-
L’interno dell’oratorio di San Rocco di Valdifredda
FANANO
fra storia e poesia
96
La facciata dell’oratorio di San Rocco di Valdifredda
te per i viandanti, che potevano trovare un conforto nella preghiera pur
non entrando materialmente nell’edificio (una situazione simile è quella
dell’oratorio di San Rocco di Vidiciatico).
Sul lato sinistro dell’edificio il restauro ha lasciato in evidenza una
piccola bozza di arenaria con croce latina incisa abbastanza profondamente nella pietra, quindi un segno sul segno.
Valdifredda è un luogo dove molti sono i segni: uno dei più singolari è
una macina da mulino murata in alto sulla parete di un bel edificio antico
recentemente restaurato. Il foro centrale è certo troppo piccolo da fungere
da finestra, ma del resto i nostri avi erano maestri nel reimpiego di manufatti e le macine erano spesso riutilizzate dopo che avevano terminato la
funzione per la quale erano state costruite: le troviamo reimpiegate come
finestrini, come tavolini, come gradini di scale, come parapetti per i “bottacci” (vasche di raccolta dell’acqua nei mulini)…
Un altro elemento caratteristico è costituito dai finestrini monolitici
(ricavati cioè da un’unica pietra), che peraltro sono anche indizio di antichità, in quanto si trovano di solito in edifici non posteriori al XVIII secolo.
A Trignano ce n’è uno minuscolo, in alto, su una vecchia stalla datata, se
non ricordo male, al 1535. Anche nel Belvedere ce ne sono vari esempi,
come quello bellissimo del Palazzo di Rocca Corneta.
Una delle consuetudini più radicate in questo nostro territorio montano era quella di porre un’immagine sacra sulla casa: poteva essere una
FANANO
fra storia e poesia
97
maestà, una croce, un IHS, una testina di
cherubino. Anche le abitazioni più povere
cercavano di avere uno di questi segni, che
spesso venivano posti anche sugli edifici produttivi come stalle e fienili, perché è noto che
in un’economia a base agricolo-pastorale
come era quella delle nostre zone il bestiame era più importante di qualsiasi cosa. Non
erano segni messi a caso, ma avevano un significato preciso: Sant’Antonio Abate vedeva
la sua giusta collocazione sulla porta della
stalla o del metato (che qui nel Belvedere si
chiama “casóne”), mentre una Madonna, forse per l’immagine materna e protettiva che
rappresenta, si colloca meglio sulla porta di
Serrazzone, Casa Altada.
casa. Certo, la discrezionalità personale poSant’ Antonio Abate
teva portare a collocazioni diverse da quelle
considerate “canoniche” senza che ciò comportasse alcun problema: l’importante era avere il segno, avere qualcosa
che rendesse sacro uno spazio proprio.
Tra le molte nicchie con targhe devozionali che ho visto girando in
lungo e in largo, ne ricorderò qui solo alcune, anche perché il territorio di Fanano è stato molto ben analizzato dal professor Silvestri in un
libro di qualche anno fa, che raccoglieva tutti i segni del sacro (Fanano
sacra: cielo e terra d’Appennino). Le nicchie che ospitano le immagini
sacre sono spesso molto belle, decorate con motivi floreali, girali di foglie,
croci, motivi architettonici a falsa porta o a
falso tempio, ovali, cornici a denti di lupo,
oltre ad essere completate dalle iniziali del
proprietario e dello scalpellino e dall’indicazione della data.
Le targhe devozionali all’interno delle
nicchie e delle maestà erano spesso acquistate in occasione di pellegrinaggi o di fiere; quelle delle nostre montagne sono quasi
tutte di provenienza romagnola. Il santo di
gran lunga più diffuso è Sant’Antonio, seguito dalla Madonna (nel Belvedere quelle
di San Luca è assolutamente preponderante,
mentre così non è nel Fananese) e da San
Giuseppe, il Santo fananese per eccellenza,
Borgo di San Rocco in Val di
ben poco presente invece nel Belvedere.
Fredda. Madonna di San Luca
FANANO
fra storia e poesia
98
Gli esempi sono tanti: qui mi limiterò a segnalarne alcuni che mi sono
sembrati singolari, come per esempio la minuscola nicchia a tutto sesto
(in realtà poco più di un buco nel muro) visibile a Fanano ai Marcedrini,
circondata da una spessa cornice di arenaria purtroppo dipinta di bianco.
La nicchia è chiusa da un bel cancelletto in ferro battuto formato dalla lettere A(ve) e M(aria) sovrapposte, cancelletto che non ha impedito il furto
della targa originaria.
Un altro esemplare molto bello è quello di Valdifredda, una nicchia
quasi monumentale, con frontale a falso tempio con tanto di frontone; le
iniziali del proprietario e la data 1868 sono scolpite in una lastra rettangolare sotto la nicchia, che ospita all’interno una bella targa devozionale
in terracotta invetriata e dipinta, di forma ovale con cornice a rilievo, che
reca l’immagine di una Madonna velata a mezzo busto, un’iconografia
poco consueta perciò tanto più apprezzabile, presente peraltro anche a
Canevare. Sempre a Valdifredda
c’è la targa più particolare che io
abbia visto sulle nostre montagne:
si tratta di una piccola targa rettangolare acroma e senza rivestimento in maiolica, che reca quello
che a me sembra un Sant’Antonio
Abate e dico “sembra” sia perché
è accompagnato da un animale
che potrebbe essere un maiale, sia
perché anche il Santo è raffigurato inconsuetamente, con il corpo di
profilo e il volto girato verso l’osservatore, con la testa sormontata
da una grande aureola. Il Santo ha
FANANO
fra storia e poesia
99
un braccio sollevato e regge quella che dovrebbe essere una campanella,
uno dei Suoi attributi tipici. Data la particolarità di questo manufatto, non
ho proprio idea di una sua possibile officina di provenienza, e d’altra
parte mi sembra che non si possa dire che si tratti di un’opera di un’autodidatta; non so che pensare, se non che si tratta di un oggetto certamente
da tutelare.
Altro elemento che spesso si rinviene è la croce. La collocazione forse più importante della croce è sulla bocca del forno, a simboleggiare la
sacralità del cibo: infatti la croce veniva tracciata anche su ogni pezzo di
pane da cuocere, e al momento dell’infornata si tracciava la croce anche
sulla bocca annerita del forno, anche se era già presente la croce scolpita nella pietra. Il pane era veramente inteso come Corpo di Cristo, così
come era sacro anche il grano da cui esso proveniva: la consuetudine di
porre le Croci di Maggio nei campi seminati e negli orti, per scongiurare
le tempeste, prosegue ancor oggi sull’Appennino, in occasione della festa
del ritrovamento della Santa Croce il 3 maggio. Le Croci di Maggio sono
realizzate con due sottili bastoni (di solito, nelle aree oggetto di questo
studio, di legno di pioppo), che recano nel punto di giunzione una foglia di
ulivo benedetto e un frammento di candela benedetta il giorno della Candelora. La croce doveva proteggere il raccolto nella fase finale prima della
mietitura, e in alcune zone del centro Italia si poneva anche alle finestre,
per proteggere la casa dalle intemperie e dalle avversità.
Nel cimitero di Trignano c’è una croce monumentale sulla tomba di
Luigi Dinelli, decorata da fiori e da una grande colomba. È di marmo, materiale inconsueto per le nostre zone, ma che
ha una valenza simbolica particolare, poiché è
considerata la pietra degli eroi e dei martiri, e
in effetti questo Luigi Dinelli è morto in giovane
età. Sempre a Trignano c’è una piccola croce
latina incisa poco profondamente e poco accuratamente al centro dell’architrave della porta
d’ingresso di un edificio agricolo da tempo in
stato di abbandono. La croce si trova tra le ultime due cifre che compongono la data 1554,
anch’essa scolpita poco profondamente e con
il 4 parzialmente coricato. In tempi recenti è
stata aggiunta una croce, dipinta con vernice
acrilica rossa su quella antica, forse nell’intento di metterla in evidenza e di rimarcare la necessità della protezione divina sull’edificio; si
tratta comunque di un altro esempio di persistenza di un simbolo e di ciò che esso significa.
FANANO
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100
Il trigramma del nome di Gesù è un simbolo notissimo e molto diffuso in
tutto il mondo cristiano. Si tratta, com’è noto, dell’abbreviazione del nome
di Gesù in greco, usata fin dal VI secolo, con la S che a volte è resa mediante
una C. Dal IX secolo cominciò ad essere inciso sulle monete dell’impero bizantino, ma è con san Bernardino da Siena, nel XV secolo, che questo segno
conobbe una vastissima diffusione, con l’introduzione della sua adorazione,
fatto che costò al Santo tre processi per eresia nei quali fu assolto.
San Bernardino, che predicò a lungo nell’Italia centro-settentrionale
(per esempio, visse a Carpi tra 1423 e 1428, divenendone il patrono nel
1631), era solito mostrare, durante i suoi sermoni, il nome di Gesù scritto
su una tavoletta, nella forma abbreviata IHS; una riproduzione della tavoletta di San Bernardino era raffigurata anche su sottili lamine metalliche
che i sacerdoti lasciavano nelle case in occasione delle benedizioni pasquali
(fino agli anni ’20 del Novecento), lamine destinate ad essere appese sulla
porta d’ingresso a protezione della casa. L’immagine era completata dalla
preghiera più diffusa tra le genti delle campagne, «Gesù mio misericordia».
Attualmente questi oggetti sono divenuti una rarità da devoti collezionisti.
Il segno del nome di Gesù fu attributo anche di sant’Ansano (anch’egli
senese), martire sotto Diocleziano nel 303; lo si trova raffigurato, dal Medioevo, con il vessillo della Resurrezione e con un cuore recante il trigramma IHS1. Nel corso dei secoli la lettura di questo segno ha subito diverse
varianti; la più comune e diffusa fu Iesus Hominum Salvator, peraltro più
immediatamente percepibile da parte dei fedeli. Nel XVI secolo fu adottato come insegna dell’ordine della Compagnia di Gesù di Sant’Ignazio di
Loyola, e in tale contesto fu letto come Iesus Habemus Socium, (Abbiamo
Gesù come compagno). Un’altra lettura è In Hoc Salus (In ciò la salvezza),
anche questa funzionale alla devozione popolare, data la sua immediatezza. Forse furono letture di questo tipo che fecero di questo segno uno dei più potenti segni di
protezione, secondo la convinzione che bastasse il nome per evocare il nominato, secondo un
noto processo di devozione “simpatica”.
Dal punto di vista quantitativo è certamente uno dei segni più diffusi sulle case dell’Appennino: lo si trova scolpito nelle nicchie, nelle
maestà, sugli architravi delle porte più antiche
o isolato sulla parete principale dell’abitazione
dove si trova la porta d’ingresso, e perfino sui
comignoli. Anche per ciò che riguarda l’aspetto
1
Trigramma di Caselle
Hall, cit., pag. 47.
FANANO
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101
“artistico”, il trigramma è il segno più bello da vedere tra quelli censiti,
quello che presenta le varianti più interessanti. Questo segno può essere
raffigurato in un tondo, circondato da fiamme o raggi solari o dalla corona
di spine (motivo, questo, che si diffonde nell’arte europea a partire dalla
seconda metà del XIII secolo, quando Luigi IX di Francia tornò da una crociata portando con sé la reliquia). I raggi solari sarebbero un’evoluzione
della prima forma figurata di questo segno, nell’ambito di uno sviluppo di
una mistica nel nome di Gesù soprattutto presso gli spirituali francescani,
in particolare Ubertino da Casale, che iscrisse queste lettere al centro delle
fronde spiegate di un albero, poi trasformate da Bernardino in raggi di
sole. La sua natura propria di trigramma, poiché in effetti si tratta di tre
lettere, si ritrova anche in esemplari formati da una sola lettera, solitamente la H e meno frequentemente la S. In realtà, si parla di monogramma di
San Bernardino data la stretta connessione delle tre lettere che lo compongono, connessione a volte anche visivamente evidente, dato lo stretto
intreccio delle lettere tra loro in un viluppo di nastri, viticci e quant’altro.
Lo si trova quasi sempre associato ai tre chiodi della crocifissione e alla
croce, che si alza al centro della H. Le associazioni più frequenti sono con
la croce e con il monogramma mariano, ma vi sono anche esempi di associazioni a elementi fitomorfi, anch’essi quasi sempre in ambito mariano.
A Fanano si trova in un caso la croce associata al monogramma bernardiniano IHS, nella chiave di volta dell’edificio signorile denominato
Palazzo Coppi in Via Pedrocchi, datata 1852. La croce sorge dal tratto
orizzontale della H e la singolarità è data dai festoni che si staccano a metà
del braccio verticale; il tutto è completato dai tre chiodi della Crocefissione visibili al di sotto del monogramma. La ghirlanda pendente ai due lati
dello stipes, ghirlanda che parte dall’incrocio dei due bracci, si unisce a
un sottile arco dalla concavità poco accennata.
Questo tipo di simbolo è solitamente da riferirsi
a una confraternita, e a Fanano erano almeno
quattro quelle importanti; oppure potrebbe essere in relazione alle celebrazioni cristocentriche
della Settimana Santa, un riferimento al sudario
di Cristo o al sepolcro velato: Fanano infatti è
nota ben oltre i suoi confini per una grandiosa
Festa Triennale che si tiene, da secoli, in occasione della Settimana Santa.
Per concludere questo breve percorso nei
segni, si può dire che essi sono spesso sopravvissuti nei secoli, resistendo all’arrivo di “nuovi”
segni, resistendo alla rifunzionalizzazione, resiFanano, trigramma
stendo al disinteresse umano.
di Palazzo Coppi
FANANO
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102
Movimenti migratori da Fanano
verso la Maremma Toscana e Laziale
di Gaetano Lodovisi
Già a partire dal Trecento le zone della Maremma venivano progressivamente abbandonate causa le guerre, la malaria, la fame. Lo stato senese dopo la metà del Quattrocento adottò alcune politiche per ripopolare
queste aree. Diversi documenti notarili e atti dei registri parrocchiali del
XVI e XVII secolo attestano che diverse famiglie fananesi si stabilirono in
Toscana e nel Lazio e più precisamente nell’Amiatino a Santa Fiora, Castel del Piano, Arcidosso, Piancastagnaio e nell’alta Tuscia a Viterbo, Onano, Piansano e Valentano. I fananesi contribuirono così al ripopolamento
di quelle campagne, incrocio e fusione di popoli e genti, giunte attraverso
le vie della transumanza appenninico-maremmana.
Il primo caso d’immigrazione di frignanesi nella Maremma di cui si
abbia notizia è quello della comunità di Lotta di Fanano, che nel 1473
tornò a ridare vita al paese di Samprugnano – oggi Semproniano – situato
nel Grossetano meridionale. A causa della crisi demografica del XIV secolo e della guerra tra la potente famiglia degli Orsini di Pitigliano e Siena,
a cui si aggiunse la peste, il paese, a quei tempi sotto il dominio senese,
era infatti decaduto fino al completo spopolamento. Poco oltre la metà del
Quattrocento Siena aveva ordinato di demolirne i resti delle fortificazioni
affinché Samprugnano, che era ormai un paese fantasma, non servisse da
base per le incursioni delle milizie degli Orsini.
Nel dicembre del 1473 l’occasione di rinascita del paese venne prospettata da parte degli uomini di Lotta che abitualmente svernavano nelle
maremme senesi. In cambio di alloggi e terreni, i pastori di Lotta si impegnarono a insediarsi con almeno 40 famiglie1.
1
G.Cecchini, Una colonia Frignanese in Maremma, in Rassegna Frignanese, VII-VIII, 1959-60,
pp.11-18. “Essendo venuti a noi Giovanni del Forte e Antonio di Gabrino del comune di
Lota del contado di Modena, et havendo offerto per loro et per quaranta famiglie con più
di cento o cento vinti huomini voler venire a stare et habitare perpetuamente sotto l’onbra
et governo del magnifico comune di Siena, et che saranno poi ad venire homini dugento o
più in quanto lo fusse conceduto uno luogo conveniente a lloro et nominatamente havendo
domandato di gratia dovere essere alloggiati nel castello guasto di Sancto Prugnano per
loro uso et la cortesia d’esso castello…”
FANANO
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103
Uno scorcio caratteristico di Semproniano
Il 30 aprile 1474 il patto veniva concluso con interesse da entrambe
le parti. La colonizzazione all’inizio ottiene esito positivo, ma ben presto
venne funestata come riportato da Emanuele Repetti:
“Nuovi e più terribili guasti forono fatti al castello di Samprognano e a quello suo vicino delle Rocchette da un esercito spagnuolo nel 1536 quando quelle truppe posero a sacco e barbaramente devastarono entrambi cotesti paesi in maniera che non
poterono insorgere mai più da tanto esterminio”2.
Santa Fiora, sita ai piedi dell’Amiata e confinante con Semproniano,
ha avuto antiche relazioni con Fanano, come provano diversi atti notarili
del Cinquecento e un documento datato 10 gennaio 1650 in cui l’Arciprete
di Fanano, Giovanni Parigi, riceve un diploma di dottorato da Paolo dei
conti Sforza, dei conti di Santa Fiora. Tali collegamenti vengono confermati dallo studioso Lidiano Balocchi il quale, esaminando scrupolosamente l’archivio parrocchiale di Selva (frazione di Santa Fiora), ha dimostrato
2
E.Repetti, Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana, volume V, Firenze 1843.
FANANO
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Parte del diploma di dottorato rilasciato all’arciprete di Fanano
le antiche radici ospitalesi della sua famiglia attraverso una ricerca incrociata con i documenti parrocchiali di Ospitale di Fanano. Domenico e Giovanni Ballocchi di Ospitale di Fanano infatti si trasferirono a Santa Fiora
nel 1719, originando l’albero genealogico dei Ballocchi di Santa Fiora.
In Toscana i Ballocchi a causa di un errore di trascrizione del cognome persero una “l” diventando Balocchi. Altra famiglia oriunda di Ospitale che emigrò a Santa Fiora nel 1737 è quella dei Sega, che muterà il
cognome in Seghi. La ricerca ha rivelato inoltre che 50 persone di Selva
provenivano dall’Emilia Romagna: 20 di queste dal Ducato di Modena,
principalmente da Fanano nel XVII e XVIII secolo, 22 dal ducato di Parma
e 5 dal bolognese3.
3
L. Balocchi, E. Balocchi, La mia gente Selva di Santa Fiora 1598-2007.
FANANO
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105
Antonio Mattei, direttore responsabile e fondatore della rivista “La
Loggetta”4, ha riferito e documentato il sorprendente legame esistente tra
Fanano e i comuni di Piansano e Valentano, situati nell’alta Tuscia laziale,
in provincia di Viterbo.
La storia di Piansano, comune che si trova a pochi chilometri dalla
sponda occidentale del lago di Bolsena, tra Valentano e Tuscania, è analoga per certi versi a quella di Semproniano. Il paese,
“dopo alterne vicende e fiere battaglie tra i signorotti del luogo
rimase semi-abbandonato a seguito della distruzione del castello ad opera di un certo Bertoldo Farnese (1396). Piansano rinacque a nuova vita soltanto nel 1560, quando, inserito nel Ducato
4
La Loggetta - notiziario di Piansano e la Tuscia -. Una rivista trimestrale, giunta al numero
97, che raccoglie e registra i particolari aspetti sociali, storici e artistici di circa 30 comuni
del viterbese e di alcuni altri delle province limitrofe.
FANANO
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106
di Castro istituito da papa Paolo III nel 1537, fu fatto ripopolare
dal cardinale Alessandro Farnese (nipote omonimo dello stesso papa), che appunto mise in atto una previdente politica di
recupero di vaste zone abbandonate e boscose. Di Piansano, in
particolare, favorì la colonizzazione con un contingente di famiglie provenienti dal Casentino: momento cruciale, nella vita
di questo paese, perché fu quella colonizzazione a segnarne la
definitiva rinascita e a fissare i tratti caratteristici della popolazione”. 5
Ebbene, dallo studio degli atti di battesimo del periodo 1564-1579 dei
134 bambini, provenienti dal Castello di Piansano, battezzati nella parrocchia di S. Giovanni Battista di Valentano compaiono 15 bambini nati
da genitori fananesi e modenesi. Tra i nominativi, alcuni indicati come
“mastro”, vale a dire artigiani, occupazione particolarmente utile in quella
prima fase di ricostruzione del paese.
Da un successivo studio incrociato dell’Index generalis omnium Baptizatorum e dei registri della parrocchia di San Giovanni Battista di Valentano, si è accertato che tra gli abitanti di Valentano, oltre agli autoctoni,
alla componente etnica proveniente dalla Toscana e quella umbro-mar5
Notizie scritte dal dott. Antonio Mattei.
FANANO
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Joannes Bartolomeus filius Joannis di Fanano...
... compater Stefanus Johannis Modanensis...
Andrea Francesco figliolo di Bartolomeo modanese
habitante nel Castello di Pianzano...
... et fu compater m° Gioanni murator figliolo di m° Pollonio Albinello
da Lotta in Lombardia [Lotta frazione di Fanano]...
... et comater Piera de Giovantonio fananese...
... et fu compater Pietro de Sabatino modonese...
... et comare donna Francescha moglie di Biascio romagniolo
habitante al detto castello.
Pietro Domenico figliolo di Antonio di Matteio modonese
habitante al Castello di Pianzano...
... et fu compare Rinaldo di m° Francescho modonese...
... et fu compare Ventura di Gianino da Fanano...
... et comare donna Lucia figliola de Andrea modonese
... et fu compare Giovanni di Domenico da Fanano...
Atti di battesimo del periodo 1564-1579, relativi ai figli, padrini e madrine fananesi
e modenesi abitanti al Castello di Piansano
chigiana, tra il 1558 e il 1641, un centinaio di neonati risultano essere di
origine emiliana: figli di modenesi, fananesi, romagnoli o bolognesi. Fra
gli emiliani romagnoli che presenziarono al sacramento, compresi padrini
e madrine, i modenesi ricorrono più o meno nel 40% dei casi e i fananesi
all’incirca nel 35%, costituendo in assoluto la presenza di gran lunga più
numerosa. Dai dati disponibili si ha l’impressione che la presenza modenese nel valentanese sia più tarda e maggiormente concentrata negli
ultimi anni del Cinquecento e nei primi del Seicento, rispetto a quella
piansanese dei decenni 1560-15706.
6
A. Mattei, Pellegrino da Fanano “Modonesi” nel Castrense tra ‘5 e’600, in la Loggetta
n.97, pp.5-10, Anno XVIII n.4, Ottobre/Dicembre 2013; Habitatores Planzani. I primi nati
nella “terra promessa” dopo la colonizzazione del 1560, in la Loggetta n.96, pp. 4-9, Anno
XVIII n.3, Luglio/Settembre 2013.
FANANO
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FANANO
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Atto di battesimo del 6 febbraio 1575 dove è nominato mastro Giovanni Albinelli
L’ipotesi più plausibile è quella che modenesi e fananesi siano arrivati
a Valentano richiamati dai primi giunti a Piansano impegnati con varie
maestranze ed operai nella ricostruzione del castello. Questa tesi è avvalorata dal fatto che mastro Giovanni muratore, figlio di mastro Apollonio
Albinelli da Lotta, come dimostra un atto battesimale del 6 febbraio 1575,
era a Piansano:
“…et fu Compater m° Gioanni murator figliolo di m° Pollonio
Albinello da Lotta in Lombardia..”7.
7
Spesso genericamente i mastri o capomastri arrivati dal Nord venivano detti lombardi.
FANANO
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Il suo trasferimento in terra piansanese è provvisorio, collegato ai
lavori di riedificazione. Mastro Giovanni, ultimata la sua opera, ritorna
a vivere a Lotta di Fanano, come si evince da vari documenti8. Questa
migrazione temporanea, probabilmente, fu comune alla maggioranza dei
fananesi, che tornati a casa promossero il centro di Valentano, più grande
e con maggiori possibilità lavorative rispetto al vicino castello di Piansano.
Dai rogiti di Magnanino Magnanini e Antonio Giacomelli
L’emigrazione di diverse famiglie fananesi verso la Maremma e l’alta
Tuscia è confermata da vari atti notarili rogati dal notaio Magnanino Magnanini tra il Cinquecento e il Seicento:
Donna Clarice Bacci, figlia del fu Rogante Bacci, era sposata con Lattanzio
di Viterbo9;
Santino, figlio del fu Giacomo Pellegrino Foli di Fanano, abitava a Viterbo10;
Donna Marsilia, figlia del fu Francesco Giovanni di Trignano, abitava a
Piancastagnaio di Siena11;
Antonio, figlio del fu Giovanni Belli di Fanano, abitava a Santa Fiora12;
Dano figlio del fu Antonio Dani e la moglie Domenica Giunta - entrambi di
Fanano - abitavano a Santa Fiora nel luogo detto la Trinità13;
Donna Clara, figlia del fu Bertoia Valentini di Fanano e moglie di Giovanni
Antonio Zannoni, anch’egli di Fanano, abitavano a Arcidosso. Il fratello di
Clara abitava a Santa Fiora di Grosseto14.
Donna Maria, figlia del fu Pietro, detto di Baldina, e il marito Giovanni
Giacomo Bianchini - entrambi di Fanano - abitavano a Santa Fiora15.
8
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b.21 notaio Magnanino Magnanini atto n.
277 del 21 Settembre 1581. Donna Antonia figlia del fu Battista Ciardi di Pianorso abitante a Fanano vende a Mastro Giovanni figlio di mastro Apollonio Albinelli di Lotta un pezzo
di castagneto posto, nella curia di Fanano, in luogo detto Monte.
9
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 21 notaio Magnanino Magnanini, atto n.
230 del 1 Dicembre 1580.
10
Ibidem, atto n.445 del 20 Agosto 1583.
11
Ibidem, atto s.n. del 2 Settembre 1584.
12
Ibidem, atto n.364 del 12 Agosto 1582. Contratto di matrimonio con donna Elisabetta
Parisini di Fanano, lo sposo promette di abitare in una casa in località Santafiora.
13
Ibidem, atto n.448 del 28 Agosto 1583.
14
Ibidem, atto s.n. del 20 Giugno 1586.
15
Ibidem, atto s.n. del 13 Settembre 1586.
FANANO
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Uno scorcio panoramico di Santa Fiora
Borso, figlio del fu Antonio, altrimenti detto Borso Fardilli di Fanano
abitava al castello di Castel del Piano di Grosseto16.
Pietro, figlio del fu Matteo Pedroni, di Trignano abitava al castello di
Onano in provincia di Viterbo, “in castro Onani ducato degli Sforza di
Santa Flora”17.
Dagli archivi parrocchiali di Ospitale, Serrazzone e Trignano
Gli abitanti di Ospitale e Serrazzone hanno vissuto per secoli grazie al
bracciantato e soprattutto alla pastorizia, migrando con le loro greggi da
fine settembre sino a tarda primavera in Toscana, nell’alta Tuscia laziale
e nel ferrarese.
In una nota separata riportata nel primo registro dei morti della parrocchia di San Giacomo di Ospitale sono trascritte le morti avvenute fuori
16
Ibidem, atto n. 906 del 8 Settembre 1592.
17
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b.77 notaio Antonio Giacomelli, atto n. 16
del 9 Settembre 1598.
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dal paese. In questa memoria tra il 1639 e il 1680 sono registrate 85
scomparse e due nel 1699. Le morti, come attestano gli atti, avvenivano
principalmente in Maremma:
9 a Campiglia di Livorno
8 a Castagneto di Grosseto (oggi Castagneto Carducci)
8 a Grosseto (7 indicano come luogo di morte l’ospedale ed una la campagna)
7 a Suvereto di Livorno
4 a Montepescali di Grosseto
3 a Scarlino di Grosseto
3 all’ospedale di Siena
3 registrano “in Maremma”
3 all’ospedale di Ravenna
3 a Bologna
2 a Arcidosso di Grosseto
2 a Buriano comune di Castiglione della Pescaia di Grosseto
2 a Alberese di Grosseto
2 annotano genericamente “nelle campagne di Roma”
2 a Cutigliano di Pistoia
seguono altre località della Toscana e dell’Emilia.
FANANO
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113
Nel primo registro dei morti (1621-1720) della chiesa di Serrazzone
le prime morti avvenute in Maremma sono registrate dall’anno 1689. Nel
periodo tra il 1689 e il 1720 sono registrati 25 decessi, quasi tutti avvenuti
nel grossetano: 4 a Santa Fiora, 4 a Grosseto, 2 a Scansano, una a Montemerano di Manciano, a Magliano, a Buriano di Castiglione della Pescaia,
a Pereta di Magliano, a Sasseto e una indicata genericamente “in Maremma”. Fuori dalla provincia di Grosseto sono indicate le località di Suvereto di Livorno, Siena, Roma e Bassano Romano in provincia di Viterbo,
Sant’Agata Bolognese e San Matteo della Decima in provincia di Bologna.
Il primo “Stato delle Anime18” della parrocchia di Trignano del 1752
riporta che tra il 1751 e il 1817 furono registrati 13 decessi di abitanti
di Trignano in Maremma, mentre vi si accasarono la famiglia Giovanni
Dinelli di Lorenzo di Casa Grigio e quella di Giuseppe Dinelli di Giovanni
Pellegrino, che abitava alle Teggie.
Nel Cinquecento molte famiglie arrivarono a Fanano
In un interessante atto notarile, del 10 agosto 1537, rogato dal notaio Accursio di Giacomo Muzzarelli alias Rocha di Fanano19, la comunità
di Fanano, riunita in un consiglio generale o arengo, si pronuncia sulla
18
Gli Status Animarum o stati delle anime erano dei registri che, in seguito al Concilio di
Trento (1545-1563), i parroci erano tenuti a compilare regolarmente: in esso erano registrati dati anagrafici e religiosi dei parrocchiani, pertanto possono essere considerati un
censimento della popolazione.
19
A.S.Mo., Archivi Privati, Raccolta Jacoli.
FANANO
fra storia e poesia
114
domanda di “comitatinanza”20 compiuta da alcuni forestieri abitanti a Fanano. I quali, infatti, non avevano gli stessi privilegi e vantaggi riservati ai
terrieri; il capitolo XXV degli statuti di Fanano titolato
“Come i Forestieri possono essere fatti terrieri” recitava “Ordiniamo, et deliberiamo che niun Forestiero di qualsivoglia grado, et
preminenza, et niun suo discendente possa essere uomo del Commune di Fanano, ne ha verun modo godere alcuni honori, utilità,
et entrate di esso Commune, se prima insieme adunati il Massaro,
i Consiglieri, et i Sindici et l’Università, egli non sia accettato per
huomo del Commune dalle due parti almeno delle tre di essi”.
Quasi tutti i cognomi si formano dopo il Concilio di Trento del 1564 ove
si sancisce l’obbligo per i parroci di gestire un registro dei battesimi con
nome e cognome, al fine di evitare matrimoni tra consanguinei. I cognomi,
in questo documento dell’anno1537, non erano ancora formati e i forestieri
sono indicati nell’atto con il nome seguito dal patronimico, dalla professione svolta, dal luogo d’origine o dal soprannome. Tra questi figurano:
Alessandro figlio del fu Giovanni, detto da Gaiato. In seguito i membri
di questa famiglia assunsero il cognome GAIATI, originato dal luogo di
provenienza.
Pietrino del fu Bernabeo Mucino. Antonio Mucino, padre di Bernabeo, sul
finire del Quattrocento venne ad abitare a Fanano proveniente da Vesale
di Sestola. Il cognome MUCCINI, dato ai discendenti, in questo caso è originato dal nome del capostipite.
Il magister Gregorio detto “balugano”, figlio del fu Bertoni, mugnaio di
Torre Pietrabuona (munarii di turi petri boni), località di Pescia (PT). Il
soprannome balugano darà vita al cognome BALLUGANI21.
GHERARDINI; gli appartenenti a questa casata sono indicati con il nome
seguito dal paese di origine: Apollonio del fu Corradino di vexallo (di Vesale). I figli di Apollonio verranno indicati col cognome originario.
20
La comitatinanza status politico e giuridico spettante agli abitanti del territorio extraurbano (comitatus) soggetto alla città dominante. In questo caso la differenza dei diritti civili è
tra gli uomini del comune di Fanano che tramite una istanza soggetta a successiva votazione dei componenti l’assemblea generale degli uomini del comune potevano chiedere di
essere accettati come terrieri. Una volta concessa la “cittadinanza”, questa era trasmissibile per sempre ai propri discendenti.
21
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, busta 22, atto n. 901 del 1 Agosto 1594,
notaio Magnanino Magnanini. Da questo atto si evince che Camilla e Polissena, sorelle e
figlie del fu Antonio Ballugani di Fanano, andarono a vivere in Toscana. Antonio Ballugani
era figlio di Gregorio detto “Balugano”.
FANANO
fra storia e poesia
115
I “magistri” Giacomo del fu Guglielmo di valle San Martino (M.r Iac. q. guie di
valli s.ti martini) e Antonio del fu Guglielmo scalpellino di Firenze (M.r Ant.
q. guielmi scarpelini di florintia). Guglielmo, figlio di quest’ultimo, si sposerà,
poco oltre la metà del Cinquecento, con Giovanna Ballocchi e si trasferirà
ad Ospitale dove si stabilirà definitivamente. Si può ipotizzare che Giacomo
e Antonio fossero fratelli, considerato che la provenienza del primo (valle
S.Martino) è l’equivalente dell’odierna S. Martino a Mensola, località di Firenze. Il mestiere di scalpellino che aveva caratterizzato fino a quel momento
tutti i componenti di questa famiglia genererà il cognome SCARPELLINI.
Mastro Simone del fu Pietro da Rota in Val d’Imagna in provincia di Bergamo e il fratello mastro Antonio, detto il bravo. I discendenti di Pietro
assumeranno il cognome ROTA dal paese di origine del capostipite.
Andrea del fu Guido di Monterastello di Verica, per sé ed in nome di Giobbe e Lolo suoi fratelli chiese di poter diventare fananese. I fratelli Andrea e
Lolo, figli del fu Guido e dell’Apollonia, si trasferiranno a Pian della Farnia
di Serrazzone ed in seguito si dirameranno nella vicina Ospitale. Il nome
Andrea darà vita al cognome ANDREONI, mentre il nome Lolo genererà il
cognome LOLLI. Nei registri parrocchiali vengono indicati come Andrea e
Lolo “della Polonia”.
Alessandro detto il fra, figlio del fu Giacomino da Digano di Montecreto
per sé e suo fratello Picinotto. Questa famiglia in seguito assumerà il cognome PICCINOTTI e abiterà a Serrazzone.
La formazione dei cognomi è stata comprovata dalla ricostruzione
degli alberi genealogici avvalendoci dei documenti dell’Archivio di Stato di
Modena e dell’Archivio Parrocchiale di Fanano. Nell’elenco dei forestieri
abitanti a Fanano figurano anche Giovanni detto “comastro” del fu Cristoforo da Marchirolo di Varese e Giovanni Maria del fu Simone di Montebaranzone, comune di Prignano sulla Secchia. Per questi non si è arrivati a
determinare il cognome.
Nel Cinquecento a Fanano la presenza di famiglie provenienti da altri
comuni del Frignano, dal Ducato Estense e da paesi esteri come il Ducato
di Milano, la Toscana e il bolognese, è rilevante, stimabile con buona approssimazione attorno al 45% della popolazione complessiva22. Oltre alle
famiglie precedentemente illustrate: Andreoni, Ballugani, Gaiati, Gherardini (ramo di Fanano), Lolli, Muccini, Piccinotti, Rota e Scarpellini nel XV
e XVI secolo si trasferirono nel territorio fananese molte altre casate.
22
P. Mucci, “Movimenti migratori verso l’alto Frignano all’inizio dell’età moderna”, pubblicato
in Migranti dall’Appennino. Atti delle giornate di studio (Capugnano, 7 settembre 2002), a
cura di Paola Foschi e Renzo Zagnoni, Porretta Terme - Pistoia, 2004, pp. 103-112
FANANO
fra storia e poesia
116
Notizie di alcune famiglie venute a Fanano nel XV e XVI secolo
Famiglia
luogo
secolo
luogo primo
di provenienzatrasferimento
Gli Albinelli
I Bastagli
I Bazzani
I Benassi
I Benedelli
I Bonucci
I Borri
I Boselli
Sestola
Roncoscaglia di Sestola
Coscogno di Pavullo
Vaglio di Lama Mocogno Benedello di Pavullo
Roncoscaglia di Sestola
Milano
Sestola
XVI (1559)23 Serrazzone
XVI (1603)24Fellicarolo
XVI (1509)25Trentino
XVI (1582)26Serrazzone
XVI (1576)27Fanano
XVI (1577)28Serrazzone
XVI (1590)29Fanano
XVI (1598)30Lotta
23
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 20, n.105, notaio Battista Magnanini.
Atto del 24 gennaio 1559, “Salustius del fu Baldassaris Albinelli de Sextula ad pns habitator in Curia fanani a Serazoni”.
24
A.P.F., I Libro dei battesimi, 1565-1624, atto di nascita, del 18 marzo 1603, è stata battezzata
Caterina figliola di Giovanni Bastaio da Roncodiscaglia e di Fiore sua moglie. Il cognome Bastagli
deriva del mestiere svolto dal capostipite il bastaio. Il bastaio era un artigiano che costruiva i basti, specie di grossa e rozza sella di legno, che si metteva sul dorso delle bestie da
soma per il trasporto di ceste od altro carico. Giovanni Bastaio da Roncoscaglia di Sestola
verso la fine del Cinquecento con certezza abitava a Fellicarolo
25
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 7, notaio Giovanni Battista Albinelli, atto
del 14 aprile 1509, Andreas filius iacobi dei Bazanis di coscogno habitator trentiny. L’atto
oltre che rivelarci la provenienza di questa casata è interessante perché tra i presenti
figura il rettore della chiesa di Trentino don Giacomo Tarolo di Reggio Emilia.
26
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 21, n.392, notaio Magnanino Magnanini,
Nel testamento di Accursio Muzzarelli redatto il 18 ottobre 1582, tra i confinanti è citato
“Ioannem Marcum Benassium de Valio habitantem Fanani”
27
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 20, n.216, notaio Battista Magnanini.
Atto del 31 agosto 1561 – Ruggero figlio del fu Gio.Battista Alberghini di Fanano vende
al Magnifico Signore Antonio Benedelli fisico e habitator fanani una casa nel luogo detto
“alla casa del bastaio”. Questa importante casata era originaria di Benedello di Pavullo.
28
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto di matrimonio del 16 Giugno 1577, Antonio
figlio di Buonucio da Ronchodeschiaia sposa Chamila fiola di GioGiacomo d’Andrea Mucciarello
29
A.P.F., I registro dei battesimi 1565-1624, atto di nascita del 29 Settembre 1590, “fu battezzato un figliolo di Bartolomeo fu di Ambrogio fabro milanese e di Elisea sua moglie si
le pose il nome Ambrogio”.
30
A.P.Lotta, I Libro dei matrimoni, 1594-1762. Atto di matrimonio del 10 Aprile 1598, Lazarum de Bosellis Parochie Sti Nicolai de Sextula et Luciam filiam Petri de Mengonis.
FANANO
fra storia e poesia
117
Gli Stemmi delle famiglie fananesi riprodotti sono stati tratti da un libretto del 1915
opera di Ettore Lardi per le biografie delle famiglie e di Guglielmo Lardi per i disegni.
I Brani
I Cameroni
I Cattinari
I Cavoli
I Contri
I Contughi
S. Martino a Mensola (FI) Montecenere di Lama M.
Bergamo
Cavola di Reggio Emilia
Castello di Riolunato
Bologna
XV (1496)31Fanano
XVI (1531)32Fanano
XV (1480)33Lotta-Fanano
XV (1461)34Trignano
XVI (1591)35Lotta
XVI (1530)36Fanano
31
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 4, n. 167. Notaio Giacomo Albinelli, atto
dell’undici Aprile 1496. Donazione di beni al convento di San Francesco presso Fanano,
tra i testimoni figurano il maestro scultore Masio (o Tommaso) del fu Papino di Firenze ed
il maestro muratore Guglielmo del fu Mariano di Val di Lugano, entrambi dimoranti nella
terra di Fanano. Il ramo di Giovanni Battista, nipote di Masio, assumerà il cognome Brani.
32
B.E.Mo., Fondo Campori, n.262, Notizie di Fanano, origine d’alcune Famiglie, dove si
legge “Li Cameroni da Montecenre instrom.pacis”. Il riferimento è al documento del 9
febbraio 1531, rogato da Pellegrino Orio, relativo alle condizioni della pace conclusa fra
le parti di Fanano, dette la parte di fuora e la parte di dentro. Tra i rappresentanti della
parte di fuori figura “Sanctus Cambroni de monticinere”. In principio il cognome usato nei
vari atti era Camberoni che muterà verso la fine del Cinquecento in Cameroni.
33
Ibidem., I Cattinari vennero ad abitare a Lotta e Fanano sul finire del Quattrocento come
attesta un atto del notaio Tommaso Bellettini del 25 luglio 1480 Michelli quondam Catinari de Bergamo; A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, notaio Giovanni Battista
Albinelli, b.7, atto del 28 ottobre 1507, “Magistro Michaeli Catinario q. magistri Joanis
di bergamo habitatory fanani”. Il cognome trae origine dalla professione di “catinarius”
ossia fabbricante di catini, di vasi, di mastelli e secchi.
34
A.S.Mo., Confini dello Stato, busta 61/b. Nell’atto di unione tra Fanano e Trignano del 15
maggio 1461, figura Silvestro del fu Giovanni di Cavola abitante a Trignano.
35
A.P.F., I registro dei battezzatti, atto di nascita del 18 aprile 1591 “fu battezzata una figliuola di mastro Mariano da Castello….”
36
B.E.Mo., Fondo Campori, n.262, Notizie di Fanano, origine d’alcune Famiglie. Li Contughi
da Bologna. Pellegrino Rinaldi 1530. li 19 giugno presens Francescum quondam Christopori Contughi da Bononia Fanani habitator.
FANANO
fra storia e poesia
118
Da sinistra,
gli stemmi
delle Famiglie
Contri, Gherardini
e Perfetti
I Gambaiani
I Gherardini
I Fogliani
Gli Iacoli
I Lardi
I Livaldi
I Monari
Vesale
Vesale
Montalbano di Zocca
Missano di Zocca
Riva di Montese
Benedello di Pavullo
Roncoscaglia di Sestola
XVI (1595)37Lotta
XVI (1575)38 Trentino
XVI (1569)39Fanano
XVI (1583)40Fanano
XVI (1584)41Fanano
XVI (1555)42Fanano
XVI (1573)43Fellicarolo
37
A.P.Lotta, Maria primogenita d’Apollonio nacque a Lotta il 24 novembre 1595. “…..baptizzavi
infantem natam die antedicto ex Apolonio Gambaiano et Matthea coiugibus de Vexalo….”.
38
Archivi notarili provinciali di Pavullo, notaio Donino Gherardini di Vesale, atto del 21
gennaio 1575: rinnovazione del livello da parte di don Antonio, rettore della chiesa di
Trentino, a Giovanni e GiovanGiacomo, suoi fratelli e figli del fu Donino Gherardini.
39
A.P.F., I registro dei battesimi, atto di nascita del 18 dicembre 1569, fu battezzata Giacoma
di Michele Tessitore e Margherita. Michele Tessitore da Montalbano ha quattro figli maschi:
Agramante, nato il 3 Gennaio 1582; Baldisserra (Baldassarre) nato il 9 Settembre 1579; I
registro dei matrimoni, Aquilante di Michele di Antonio Fogliani sposa, il 22 luglio 1592,
Caterina del fu Guidetto; Antonio, figlio di mastro Michele Tessitore sposa, il 2 Febbraio
1593, Anastasia di Alessandro; Mastro Michele, figlio di Antonio, svolgeva la professione di
tessitore. Il cognome Fogliani nei registri parrocchiali si rafforzerà agli inizi del Seicento.
40
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto di matrimonio del 13 ottobre 1583, Geminiano figlio di Leonello Thaquila (Iacoli) da Misano e Violante figlia del fu capitano
Sabadino Mucciarello.
41
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b.21,s.n., notaio Magnanino Magnanini. Atto del
14 ottobre 1584, testamento di Bona figlia di Matteo dei Lardi di Ripa (Riva), abitante a Fanano, questa nomina erede universale di tutti i suoi beni il fratello Giacomo con il patto che essi
cadano poi in successione a Ripa (Riva) figlio del medesimo Giacomo nipote della testatrice.
42
B.E.Mo., Fondo Campori, n.262, Notizie di Fanano, origine d’alcune Famiglie. I Livaldi
vennero da Benedello nel 1555 esercitavano l’arte del fabbro.
43
A.P.F., I Libro dei morti, dal 1565 al 1687, atto di morte del 9 giugno 1573, è morto Batista
da Roncho di Scaia, Munaro di M. Batistino Ottonelli. La casata Monari, proveniente da
Roncoscaglia, verso la metà del Cinquecento abitava a Fellicarolo. Battista da Roncoscaglia di Sestola è il capostipite, esercitava la professione di molinaro ed era mezzadro di
Battista Ottonelli. Monari è una variante del cognome Molinari derivato dal mestiere di
molinaro “proprietario, gestore di un mulino”. Il cognome Monari, trae origine da monaro
o munaro, munèr, forma dialettale usata nell’Emilia Romagna.
FANANO
fra storia e poesia
119
I Monterastelli Monterastello di Verica
XVI (1589)44Ospitale
I Palazzini
ducato di Milano
XVI (1585)45Ospitale
I Perfetti
Lama Mocogno
XV (1458)46Lotta
I Ranieri
S.Dalmazio Serramazzoni XVI (1529)47Fanano
I Rossi
Varana di Serramazzoni
XVI (1507)48Lotta
Gli ScaramucciaS.Vittore Olona/Legnano(MI) XVI (1580)49Fanano
I Turchi
S. Marcello Pistoiese (PT) XVI (1509)50Fanano
Gli Zanarini
Roncoscaglia di Sestola
XVI (1577)51Fellicarolo
44
A.P.F., I rappresentanti della famiglia Monterastelli nei registri parrocchiali delle chiese
di Fanano ed Ospitale in principio, spesso erano indicati con il nome seguito dal paese di
provenienza “da monte Rastello” (Monterastello). Biagio, figlio di Bartolomeo, si unisce
in matrimonio con Maria. Da Biagio e Maria, nascono Bartolomeo, Elisabetta, Caterina,
Domenica e Giulia. Bartolomeo ha come figlio Sabatino: “Adì 12 di settembre 1589 fu
battezzato un figliuolo di Bartolomeo di Biagio Monterastelli dall’Ospitaletto e di Antonia
sua mogliera”.
45
A.P.F., I Libro dei battesimi, 1565-1624. Nel battesimo di Maria Sabbatini avvenuto il 24
aprile 1585, la testimone annotata è “Maria fu figlia di Mro Pedro Palazzino Milanese
habitante a Fanano”
46
A. Sorbelli, Regesti del notaio Giovanni Albinelli, Bologna 1903, p.89. Atto del 29 marzo
1458 redatto a Sestola si legge “Burnato fu Antonio di Lotta vende a Perfetto fu Bondì di
Mocogno un prato posto nella curia di Sestola e Lotta detto Le Panigaie per lire 27, con
diritto di ricupera entro 4 anni”.
47
B.E.Mo., Fondo Campori, n.262, Notizie di Fanano, origine d’alcune Famiglie.“Li Ranieri da S. Almasio. Pellegrino Rinaldi 1529. li 10. giugno. Iacobo tutor de Raineriis de
S.Almasio Fanani habitator”
48
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 7, notaio Giovanni Battista Albinelli, atto
del 15 marzo 1507, Joanes antonius q. marci de rubey de Varana habitator Lotte.
49
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto del 17 Aprile 1580, “Si e contrato il sposalitio fra gio.batista Milanese et Maria fiola fu di posente bianchino in presentia di Mastro
Scaramucia Magnano Milanese et giovane di lando lazaroni”.
50
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 7, notaio Giovanni Battista Albinelli, atto
del 19 maggio 1509 - Frate Silvestro del fu Filippo Silvestro di Fanano, guardiano del convento di San Francesco … vende una casa a Bartolomeo, detto il turco, del fu Bartolomeo
Pellegrino di San Marcello, abitante a Fanano. La casa è sita in castello fanani in loco
dicto campo del fiore.
51
A.P.F, I Libro dei morti, 1565-1687. La genealogia dei Zanarini di Fellicarolo ha origine da
Agostino di Roncoscaglia, mezzadro del signor Gio.Domenico Ottonelli. Agostino, muore il
9 ottobre 1577, a quasi settanta anni.
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 21, atto di vendita del 17 giugno 1583,
rogato da Magnanino Magnanini, ove si legge che i figli di Agostino: Giovanni detto Zanarino e Domenico “habitatores di presenti curia Fanani in villa vulgariter nuncupata il
Fellicarolo”.
FANANO
fra storia e poesia
120
Maestri artigiani calzolai, scalpellini e muratori
Nel Cinquecento Fanano era uno centri più ricchi del Frignano; basti
pensare che sulle duecentonovantatre famiglie del territorio del Frignano
che possedevano beni non inferiori ai 500 scudi, ben novanta vivevano a
Fanano. Un paese florido, relativamente alla nostra montagna, ove diverse maestranze vi giungevano per lavorare e successivamente ne richiedevano la comitatinanza. Un mestiere assai diffuso e di cui troviamo numerose testimonianze nei documenti del Quattrocento ed anche del secolo
successivo è quello del calzolaio
“e lo comprendiamo facilmente se pensiamo ai freddi, ai ghiacci,
alla condizione dei sentieri e delle vie piene di sassi e irte di
punte aguzze e al conseguente notevole bisogno e facile logoramento delle scarpe o dei calzari”.52
Nel Cinquecento risultano molti calzolai attivi a Fanano di provenienza
esogena: mastro Giacomo da Siena53, mastro Giovanni da Porretta Terme54,
mastro Michele del fu Felice da Iddiano di Pavullo55, mastro Luca del fu
52
A. Sorbelli, Il Comune rurale dell’Appennino emiliano nei secoli XIV e XV, Bologna 1910,
pp.318-319.
53
A.P.F., I Libro dei matrimoni, 1567-1687. Atto di matrimonio del 6 settembre 1569, Mastro Cristoforo Scarpellino sposa Cassandra figlia di Mastro Giacomo calzolaio da Siena.
54
Ibidem., Atto di matrimonio dell’otto luglio 1568, Mastro Giovanni dal Bagno sposa Lorenza figlia di Cassandra di Iona da Fanano.
55
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, notaio Magnanino Magnanini. Atto di vendita del 30 maggio 1574, Mastro Michele calzolaio di Iddiano, abitante a Fanano, compra
da Matteo figlio di Giacomo Sabbatini un pezzo di castagneto a Fanano nel luogo volgarmente detto le Roncadelle.
FANANO
fra storia e poesia
121
Fabiano da Samone di Guiglia56, mastro Giovanni Antonio del fu Geminiano da Porretta Terme57, Mastro Luca da Miceno58. Tra i calzolai troviamo
anche un mastro Battista calegaro, ossia un artigiano che fabbricava le
calzature, i sandali e provvedeva anche alla loro riparazione. Battista,
sposato con Polissena Lardi, in alcuni atti veniva anche definito scandolaio, o “del scandolaio”, in quanto anche il padre Andrea esercitava questa
professione, che consisteva nel lavorare il legno e fabbricare le scandole,
che erano delle assicelle che venivano utilizzate per la copertura dei tetti.
Arrivano anche molti “magistri” bravi architetti, costruttori o scultori della pietra, questi ultimi chiamati modestamente: tagliapietra, scalpellini o
lapicidi. I maestri scultori fiorentini, originari di San Martino a Mensola,
vicino a Settignano di Firenze, discendenti del maestro scarpellino Masio
del fu Papino e da suo fratello Antonio59. Giovanni Battista, nipote di Masio, assumerà il cognome Brani60, un altro ramo di questa famiglia avrà il
cognome Scarpellini. I maestri scalpellini Contri provenienti da Castello di
Riolunato che si stabilirono a Lotta61.
I Lardi provenienti dalla Riva di Maserno di Montese, alcuni di loro appellati col titolo di “mastro scalpellino”. I Gambaiani provenienti da Vesale
con mastro Apollonio scalpellino-muratore. Gli Albinelli provenienti da Sestola con mastro Giovanni muratore di Lotta. Gian della famiglia Perfetti di
Lotta, altrimenti detto “GiovanMaria comastro”. Alcuni sono maestri della
zona, altri sono muratori-scalpellini forse eredi dei maestri comacini, dei
laghi lombardi. Questi ultimi sono già presenti a Fanano nel Quattrocento e
continuano ad arrivare anche nel Cinquecento come attestano: Giovannni
56
A.P.F., I Libro dei battesimi, 1565-1624. Atto di nascita, dell’otto aprile 1582, Fabiano
figlio di Luca calzolaio da Samone.
57
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 21, notaio Magnanino Magnanini. Atto del
23 aprile 1581, Magistri Io.Ant. q. Geminiani di Balneo Porectar habit. Fanani. Atto del 6 novembre 1580, Mastro Luca del fu Fabiano di Samone abitante a Fanano riceve la dote di sua
moglie Cassandra figlia di Mastro Giovanni Antonio calciolarij di Balneo habitatoris Fanani.
58
A.P.F., I registro dei morti, 1565 al 1687, atto di morte del 27 marzo 1585, “e morta chamila madre di Mastro Luca calzolaro da mozeno”.
59
P. Mucci, Maestri scultori fiorentini attivi a Sestola e Fanano nel Cinquecento, E’ Scamadul
n.5/2003; Fanano fra storia e poesia n.15/2007. In questo interessante articolo il professore
Paolo Mucci illustra con dati e documenti la storia e le opere di questa famiglia di scultori.
60
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 22, atto n. 1118 del 3 Luglio 1596 “olim
m° Dionisio f.q. m° Jo.Baptista di Brani”. A.P.F., I registro dei battezzati, atto di nascita del
10 ottobre 1600 “fu battezzato un figliolo di Francesco Brani e di Domenica sua moglie.
Francesco è figlio di Dionisio di Giovanni Battista Brani...”.
61
A.P.F., I registro dei battezzatti, atto di nascita del 18 aprile 1591 “fu battezzata una figliuola di mastro Mariano da Castello…”.
FANANO
fra storia e poesia
122
Maria, mastro muratore di Ferrera di Varese62, Pietro capostipite della famiglia Palazzini, costruttore di palazzi, venuto dal Ducato di Milano63, mastro Giovanni detto “comastro” del fu Cristoforo da Marchirolo di Varese64.
Curiosità
Per alcuni storici la casata Lardi discendeva da Rivo, aristocratico notaio di Ferrara inviato dagli estensi a Fanano verso la fine del Cinquecento,
con l’incarico di commissario, ciò non corrisponde a verità; in realtà tra il
1597 ed il 1602, era attivo a Fanano un notaio Riva Lardi fananese, non
blasonato e con una storia singolare. Mastro Riva svolgeva infatti la professione di scalpellino: diventato notaio, per motivi a noi ignoti dopo circa
5 anni torna ad esercitare il suo primo lavoro. Questa ricostruzione è stata
possibile grazie al rinvenimento di un documento inviato dal governatore
di Sestola al duca di Modena, il 21 febbraio 1606, in occasione del delitto
del notaio Domitio Lardi. Nella deposizione di un testimone si legge:
“m. Riva Lardi chi per mezo di ser Alberto di scarpelino diventò
notaro, e non gli parve vero honorato volsi farsi per piazza Gentilhuomo di Fanano ni havendo potuto è tornato scarpelino”. 65
Bartolomeo Borri scalpellino
Dal primo registro dei matrimoni è evidente la propensione a sposarsi
tra figli di maestri artigiani. Il 27 gennaio 1587, mastro Bartolomeo, figlio
di mastro Ambrogio Borri – fabbro milanese, sposò Elisea, figlia di Ma-
62
A.P.F., Giovanni Maria, mastro muratore da Ferrera di Varese, il 21 gennaio 1591, nell’oratorio di Fellicarolo, sposò Maria Maddalena Guidarini.
63
Nel battesimo di Maria Sabbatini avvenuto il 24 aprile 1585, la testimone annotata è “Maria fu figlia di Mro Pedro Palazzino Milanese habitante a Fanano”. Bernardino, figlio di
Pietro, continuerà la professione del padre, sposandosi a Fellicarolo, l’otto giugno 1578,
con Orsina figlia di Michele di Biaso da Risicciola” ed in seconde nozze il 4 ottobre 1579,
con Rosina sorella d’Orsina. La coppia andrà a vivere ad Ospitale, dove dai figli Pietro e
Fanano detto Fananino proseguirà la genealogia dei Palazzini di Ospitale
64
A.S.Mo., Archivio privato Iacoli, mazzoII/1, “Copia del secolo XVI di due atti, il primo del
9 febbraio 1531, rogato in Sestola dal notaio Pellegrino Orio, e l’altro del giorno ultimo di
febbraio rogato in Sestola dal notaio Stefano Magnani, relativi alle condizioni della pace
conclusa fra le parti di Fanano, dette la parte di fuora e la parte di dentro”. Tra i fautori
della parte di fuori figura il “Magr. Johanes q. xphori de marchirolo”.
65
A.S.Mo., Rettori dello Stato - Frignano, busta 9, governatore Puglia Flaminio 1605-1609.
FANANO
fra storia e poesia
123
Incontro a Fanano tra Antonio Mattei, con la moglie, Gaetano Lodovisi
e Raimondo Rossi Ercolani
stro Dionisio Brani, scalpellino discendente dei maestri di San Martino a
Mensola (FI). Curiosamente Bartolomeo diversamente da quanto era solito accadere nel periodo, non seguì l’arte del padre ma si applicò nell’arte di scalpellino insegnatagli dal suocero Dionisio. Betta, sorella di mastro
Bartolomeo, sposò il milanese mastro Scaramuccia, figlio del fu Domenico
Chiappi, definito in vari atti “magnano milanese”, cioè un fabbro di chiavi,
serramenti, toppe, gangheri ecc.66 I discendenti di Domenico Chiappi di San
Vittore presso Legnano a Fanano assumeranno il cognome Scaramuccia.
Il prof. Paolo Mucci, nel suo saggio “Movimenti migratori verso l’alto
Frignano all’inizio dell’età moderna”, aveva chiuso l’articolo augurandosi
che la ricerca su questo tema diventasse oggetto di approfonditi studi multilaterali. Ho cercato di contribuire all’avverarsi dell’autorevole auspicio
con questa ricerca sui movimenti migratori da e per Fanano attingendo
anche dagli studi in materia condotti da Antonio Mattei di Piansano (VT) e
Lidiano Ballocchi di Santa Fiora (GR), che colgo l’occasione di ringraziare.
Si tratta di piccole microstorie che mi auguro si rivelino utili alla ricostruzione di parte del passato delle nostre amate terre.
66
A.S.Mo., Archivi notarili provinciali di Pavullo, b. 22, notaio Magnanino Magnanini, atto n.
875 del 6 Novembre 1591. “Honesta mulier D. Bettha f.q. Ambrosy di m.ri Jacobini Borri
di Fanano uxorem m.ri Scaramutia f.q. Dom.ci di Chiappis Ducato Mediolanensis ad pns
habitator Fanani”. Da questo atto è evidente che i Borri erano già stati accettati come
“cittadini” di Fanano, mentre gli Scaramuccia erano ancora considerati forestieri.
FANANO
fra storia e poesia
124
Antichi suoni da rare carte fananesi
1
di Stefania Roncroffi
(Immagini pubblicate per gentile concessione dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Modena)
Nell’archivio storico parrocchiale di Fanano sono conservati due registri rilegati con quattro fogli che provengono da un antico codice scritto
in notazione nonantolana. Si tratta di un tipo di scrittura musicale molto
importante e particolare, diffusa soprattutto tra la fine del secolo X e la
prima metà del XII in un’area geografica ristretta che trova il suo centro
principale in Nonantola.
I fogli provengono probabilmente da uno stesso manoscritto smembrato e sono databili fra i secoli XI e XII. Rilegano due libri della parrocchia di Lotta: il volume dei matrimoni celebrati tra il 1594 e il 1782
e quello delle cresime impartite tra il 1611 e il 1772. Se si suppone che
i registri siano stati confezionati in concomitanza con le prime registrazioni degli atti, fu probabilmente il parroco don Camillo Stacchini (morto
nel 1620),2 ad aver avuto in mano il codice completo, da tempo caduto in
disuso, o forse alcune delle sue robuste carte pergamenacee, molto adatte
all’impiego come coperta dei più delicati registri cartacei. C’è da chiedersi
come ne sia venuto in possesso per cercare di ricostruire la storia di questi
rari documenti.
Frammenti così antichi conservati a Fanano inducono a pensare alla
storica abbazia benedettina fondata nel 749 dal monaco Anselmo, cognato del re longobardo Astolfo. Le carte potrebbero verosimilmente aver
fatto parte di un libro liturgico in uso in questo illustre cenobio, di cui
costituirebbero prova di vita e attività nei secoli XI e XII. Tuttavia, l’assen-
1
Ringrazio il prof. Cesarino Ruini e il dottor Milo Spaggiari che mi hanno segnalato la presenza del primo registro, indizio che mi ha permesso di rinvenire poi il secondo; il parroco
di Fanano don Michele Felice, la prof.ssa Giovanna Pasini Rocchi e Andrea Ballocchi per
la disponibilità nella consultazione dei registri; la dottoressa Silvia Battistini per i suggerimenti sulla datazione; don Riccardo Fangarezzi, il professor Raimondo Rossi Ercolani e
il dottor Giovanni Varelli per le preziose indicazioni bibliografiche; mons. Adriano Tollari,
direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali della Diocesi di Modena, che mi ha concesso di
effettuare le riproduzioni fotografiche.
2
Cfr. Alfredo Silvestri, Sulle frazioni. Lotta, “Fanano fra storia e poesia”, XII, 2004, pp. 1333: 26.
FANANO
fra storia e poesia
125
Fanano, Archivio storico parrocchiale, Libro dei matrimoni (1594 -1782)
za totale di documentazione in merito alla storia dell’abbazia in questo
periodo porta a considerare l’ipotesi che i frammenti provengano da un
volume prodotto per Nonantola, da cui peraltro il monastero di Fanano
dipendeva.3 Forse il parroco di Lotta, trovandosi a dover rilegare i primi registri dei sacramenti, ha impiegato carte provenienti da un codice
nonantolano smembrato poiché caduto in disuso. Già dal secolo XV nella biblioteca di Nonantola viene documentata una dispersione di volumi,
soprattutto libri liturgici, sostituiti perché non più aggiornati, le cui carte
vennero in parte riutilizzate nelle rilegature dei codici amministrativi cinquecenteschi e seicenteschi.4
3
La bibliografia più datata sulla storia del monastero è stata esaminata da Raimondo Rossi
Ercolani che fa chiarezza sulle posizioni dei vari storici e le sintetizza in Raimondo Rossi
Ercolani, La chiesa e il convento di San Giuseppe nella storia di Fanano, Livorno, Debatte
Editore, 2002, p. 10 e a p.12 della nuova edizione della stessa opera, rivista, corretta e
largamente ampliata, pubblicata nel 2012 dallo stesso editore con il titolo San Giuseppe
di Fanano, la “Chiesa dei Padri”
4
Cfr. Mariapia Branchi, Lo scriptorium e la biblioteca di Nonantola, Modena, Artestampa,
2011, p. 114.
FANANO
fra storia e poesia
126
Fanano, Archivio storico parrocchiale, Libro dei cresimati (1611 -1772)
I frammenti rinvenuti constano di quattro fogli di due carte ciascuno e
costituiscono la coperta anteriore e posteriore dei due registri. Sono stati
adattati in modo da essere consoni al nuovo formato: ne è stato dunque
modificato l’orientamento, per cui è stata assunta la base orizzontale originale come lato verticale. Il primo foglio, passante per il dorso, è stato
cucito sul secondo e ne copre parte del contenuto. I bordi sono ripiegati
all’interno e sopra ad essi sono incollati fogli cartacei. Dieci sono le linee
di testo e musica visibili, anche se probabilmente nelle pagine del codice
originario ne erano presenti dodici. Le carte presentano scrittura carolina
in inchiostro nero, iniziali e rubriche in rosso e la tipica notazione nonantolana.
La notazione musicale comincia ad apparire nei manoscritti tra i secoli VIII e IX, nel periodo di formazione del canto gregoriano. Era basata
su neumi (segni), posti sopra al testo, che indicavano l’andamento della
melodia, ed erano un ausilio mnemonico per i cantori. Si svilupparono in
tutta Europa numerose grafie neumatiche, diverse a seconda delle aree
geografiche e dei centri di produzione. Una svolta si ebbe con l’opera di
Guido d’Arezzo nel secolo XI, che promosse l’introduzione di un sistema
FANANO
fra storia e poesia
127
di linee in modo che i neumi, posti su righi e spazi, venissero a determinare l’altezza precisa dei suoni.5 Tra le diverse famiglie neumatiche si annovera anche quella nonantolana, una tipologia di scrittura rara e diffusa
in un’area circoscritta, che presenta come peculiare caratteristica un’asta
verticale che, partendo dal testo - solitamente la vocale di riferimento - si
estende verso l’alto fino a raggiungere l’altezza della nota corrispondente.
Le carte di Fanano presentano questa notazione nella sua fase più tarda
di sviluppo: i neumi sono posizionati su un sistema di righi con una linea
rossa per il Fa e una gialla per il Do. Nonostante le difficoltà di lettura,
per il naturale deterioramento dei fogli, tutti i canti sono stati identificati e
fanno parte del vasto repertorio del canto gregoriano conosciuto e censito
in un fondamentale repertorio di riferimento, il Corpus Antiphonalium
Officii.6
Il canto gregoriano era la preghiera del periodo medievale, in lingua
latina, generalmente monodico (a una sola voce) per solisti e coro, senza
accompagnamento strumentale, cantato nelle comunità monastiche sia
maschili che femminili durante la Messa e la Liturgia delle Ore, cioè quei
diversi momenti del giorno e della notte in cui nelle comunità monastiche
ci si ritrovava per la preghiera corale.
Le otto carte di Fanano contengono canti dell’Ufficio delle Ore, in particolare responsori e antifone per le feste dei santi Cecilia (22 novembre),
Clemente (23 novembre) e Andrea (30 novembre), e altri previsti invece per la liturgia del Proprio del tempo, con testi tratti dai libri biblici
di Tobia, Ester, Giuditta e i Profeti, eseguiti solitamente dopo la fine di
settembre prima dell’Avvento. I canti appartengono a festività vicine nel
calendario liturgico e i fogli provengono a due a due dallo stesso fascicolo;
anzi i due fascicoli potevano anche essere contigui all’interno del codice
originario che era dunque un antifonario, il libro liturgico destinato ai
canti dell’Ufficio delle Ore.
L’analisi dettagliata dei testi e le particolarità delle varianti rilevate
mostrano le caratteristiche della liturgia benedettina unitamente ad una
commistione di antiche tradizioni: il modello cluniacense è evidente nelle
5
Sulla storia della notazione neumatica cfr. Mauro Casadei Turroni Monti, La nascita della
scrittura musicale in Atlante storico della musica nel Medioevo, a cura di Vera Minazzi e
Cesarino Ruini, Milano, Jaca Book, 2011, pp. 50-53.
6
Cfr. René-Jean Hesbert, Corpus Antiphonalium Officii, 6 voll., Roma, Herder, 1963-1979
(Rerum Ecclesiaticarum Documenta Cura Pontifici Athenaei Sancti Anselmi de Urbe Edita
- Series maior: Fontes, VII-XII): voll. III: Invitatoria et antiphonae, Roma, Herder, 1968, e
IV: Responsoria, versus, hymni et varia, Roma, Herder, 1970.
FANANO
fra storia e poesia
128
feste dei santi Clemente e Andrea, mentre per il Proprio del tempo sono
prevalenti le tradizioni italiche, soprattutto beneventane.7
Oltre che per lo studio delle tradizioni liturgiche e per la rarità della
notazione, le carte rinvenute a Fanano sono molto importanti perché sono
fonti relative ai canti dell’Ufficio delle ore, abbastanza rare all’interno dei
codici e frammenti in nonantolana attualmente conosciuti riguardanti
principalmente la liturgia della messa. Le informazioni gentilmente fornite da Giovanni Varelli, che sta studiando il corpus dei testimoni in notazione nonantolana rinvenuti, consentono di affermare che costituiscono
le uniche fonti per i canti che tramandano, non presenti in altri frammenti o antifonari noti. Aggiungono inoltre un tassello alla mappatura delle
zone di diffusione di questo particolare tipo di notazione che, praticata
soprattutto nell’abbazia Nonantola, è stata ampiamente impiegata anche
a Verona. Altre attestazioni si trovano in vari manoscritti, alcuni d’origine
incerta, ma soprattutto di area lombarda (Mantova, zona del bergamasco,
vari i frammenti conservati a Monza ma dubbia la provenienza)8 che inducono a ipotizzarne una diffusione nella zona compresa tra l’Emilia settentrionale e la Lombardia, di cui Fanano, insieme a Bombiana,9 verrebbe
a costituire uno dei centri più a Sud.10
7
Per una descrizione delle carte con il dettaglio dei contenuti e delle varianti riscontrate cfr.
Stefania Roncroffi, Frammenti in notazione nonantolana nell’archivio storico parrocchiale
di Fanano in Celesti sirene, Musica e monachesimo dal Medioevo all’Ottocento, Atti del secondo seminario internazionale di studi svoltosi a San Severo di Puglia dall’ 11 al 13 ottobre
2013, a cura di Annamaria Bonsante e Roberto Matteo Pasquandrea, in corso di stampa.
8
Sui frammenti monzesi cfr i due studi di Kitty Messina, La tradizione liturgica nonantolana nei frammenti monzesi, “Rivista Internazionale di Musica Sacra”, XXIII, 2002,
pp. 149-169 e I neumi nonantolani nel patrimonio frammentario monzese, “Studi Gregoriani”, XX, 2004, pp. 85-125. Per il codice di probabile provenienza bergamasca cfr.
Gionata Brusa, La notazione nonantolana a Vercelli, “Rivista Internazionale di Musica Sacra”, XXX, 2009, pp.119-140.
9
Anche a Bombiana, sull’Appennino bolognese, in una situazione storico-geografica simile
a quella di Fanano, è stato ritrovato un frammento in notazione nonatolana che rilega un
registro parrocchiale. Cfr. Giacomo Baroffio, I frammenti liturgico-musicali italiani nell’archivio storico abbaziale di Nonantola, in Sant’Anselmo di Nonantola e i santi Fondatori
nella tradizione monastica tra Oriente e Occidente, Atti della giornata di Studio, Nonantola 12 aprile 2003, a cura di Riccardo Fangarezzi, Paolo Golinelli e Alba Maria Orselli,
Roma, Viella, 2006, pp. 321-334: 333-334.
10
Dopo gli studi di Ave Moderini che, nel 1970, segnalava 22 testimoni in notazione nonantolana (La notazione neumatica di Nonantola, I: Testo, Cremona, Athenaeum Cremonense,
1970, pp. 52-81), Giacomo Baroffio nel 2011 fa il punto della situazione sulle fonti conosciute e le elenca alla nota 38 p. 112 del suo saggio Music Writing Styles in Medieval
Italy, in John Haines (ed), The Calligraphy of Medieval Music, Turnhout, Brepols, 2011,
(Musicalia Medii Aevi, I), pp. 101-124. Si attende la pubblicazione degli studi di Giovanni
Varelli che potrà aggiornare i dati fin qui raccolti.
FANANO
fra storia e poesia
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LE SEI STAMPE ANTICHE DELLA SAGRESTIA
DELLA CHIESA DI SAN GIUSEPPE
de Il Bibliotecario
Quando – nel 1998 – assunsi l’impegno di ordinare, inventariare e,
successivamente, incrementare la biblioteca che il professor Luigi Di Bella aveva istituito e donato dieci anni prima al Comune di Fanano, la sua
collocazione fu individuata nella sagrestia della chiesa di San Giuseppe:
infatti la chiesa era chiusa al pubblico in attesa dei restauri che sarebbero
iniziati nel 2000 e, quindi, la sagrestia era del tutto inutilizzata. O, per meglio dire, era da tempo inutilizzata come sagrestia, ma in compenso aveva
generosamente svolto un improprio ruolo di ampio ripostiglio: si trovava
pertanto in un pittoresco e polveroso stato di disordine generale, con candelabri, cartegloria, libri antichi e moderni, quadri e quadretti ammassati
sugli scaffali, sui mobili e sul pavimento.
Nel (quasi disperato) tentativo di creare nell’ambiente un minimo di
ordine, fui colpito da sei stampe antiche, in cattivo stato di conservazione,
attorniate da sgangherati listelli di legno che forse un tempo avevano avuto la velleità di funzionare da cornici.
L’attento studio di queste stampe, compiuto anche con l’aiuto del sempre gentilissimo professor Alfonso Garuti, ha portato a risultati di estremo
interesse. Iniziamo dai soggetti in esse rappresentati e dalla tecnica utilizzata; passeremo poi ai loro autori.
Nelle prime quattro sono raffigurati i grandi dottori della Chiesa,
accompagnati da uno o più angeli o angioletti: San Girolamo, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Gregorio; un’altra è dedicata al “padrone di
casa”, San Giuseppe col Bambino; nella sesta, la più malandata, è infine
rappresentata la liberazione di San Pietro dal carcere.
Per quanto riguarda la tecnica usata, tutte le sei stampe sono state ricavate da lastre di rame, ma non secondo il classico procedimento “a bulino”,
che si era rivelato poco adatto alla riproduzione di dipinti: fu utilizzata infatti una tecnica più moderna, detta “mezzatinta” (o “maniera nera”), inventata nel 1642 da Ludwig von Siegen di Utrecht. Senza entrare in particolari
tecnici (per i quali rimandiamo a testi specifici), si può senz’altro affermare
che, fra i vari metodi di incisione, questo è quello che si avvicina di più alla
pittura nella resa del chiaroscuro: pertanto fu ampiamente utilizzato fino ai
primi decenni del XIX secolo per stampare riproduzione di quadri.
FANANO
fra storia e poesia
130
Sagrestia della Chiesa di San Giuseppe, San Girolamo, San Gregorio,
Sant’Agostino e Sant’Ambrogio
FANANO
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131
Sagrestia della Chiesa di San Giuseppe, San Pietro liberato
Ed è proprio il caso delle stampe fananesi, che sono infatti riproduzioni di opere pittoriche. Di quali autori? A parte l’ultima citata (San Pietro), che fu tratta da un dipinto del francese Antoine Coypel (1661-1722),
tutte le altre portano l’indicazione (“pingebat” o “pinxit”) di Alessandro
Marchesini (1664-1738).
La vicenda artistica di questo pittore veronese, dotato di uno stile tendenzialmente eclettico, ma assai gradevole e apprezzato dai contemporanei, è piuttosto singolare. Allievo, prima del veneto Biagio Falcieri e poi
del bolognese Carlo Cignani, lavorò nella propria città natale e quindi a
Padova e a Venezia, dove si trasferì verso la fine del secolo. Dei molti quadri da lui dipinti ne restano relativamente pochi, conservati soprattutto in
Veneto e in Germania, dove il Marchesini ebbe uno straordinario successo. Successo confermato e amplificato dalle moltissime riproduzioni (per
lo più nella “maniera nera”) di suoi dipinti uscite dalle famose stamperie
della città di Augusta.
FANANO
fra storia e poesia
132
In proposito così si è espresso uno storico d’arte1:
«Abituati come siamo a considerare il numero delle riproduzioni come un parametro per misurare la fama e il successo di un
pittore, dovremmo dedurre che nella prima metà del Settecento Alessandro Marchesini fosse di gran lunga il più ammirato
fra i pittori veneti di figura… Esponente della pittura bolognesizzante che caratterizza tanta parte della pittura veronese,
il Marchesini seppe creare un repertorio di immagini ‘facili’ e
piacevoli, composizioni equilibrate, disegno accurato e nitido,
volti e figure pieni di nobiltà e di grazia, miriadi di bimbi e puttini teneri…, qualche concessione al sentimentale e all’ idilliaco,
senza mai cadere nel patetico o nel drammatico».
E, in conclusione, a conferma del suo successo,
«Si può dire che nei primi decenni del Settecento fra i pittori
italiani contemporanei [il Marchesini] sia il più riprodotto dagli
incisori augustani».
Non è un caso, infatti, che gli incisori delle stampe fananesi (indicati
come “sculptores” e/o come “excudentes”) siano proprio tutti di Augusta,
la città che in quel periodo era considerata una delle capitali dell’incisione
a livello mondiale. Ad essa, infatti, arrivavano commissioni, pubbliche e
private, da tutti i paesi europei, compresi quelli cattolici: cosa piuttosto
singolare in tempo di controriforma, considerando che quasi tutte le famiglie degli stampatori di Augusta erano di fede protestante. Una di queste
famiglie, fra le più importanti nei secoli XVII-XIX fu quella dei Rugendas,
e il suo maggiore rappresentante fu Georg Philipp I (Augusta, 1666-1742).
Ebbene, delle sei stampe di Fanano, una (San Giuseppe col Bambino) fu
incisa dal noto Georg Kilian (1683-1745); tutte le altre sono opera proprio
del citato Georg Philipp Rugendas.
Quando il bibliotecario si rese conto del valore storico e artistico delle
sei stampe, si attivò perché esse fossero salvate, restaurate e valorizzate:
1
Le frasi riportate fra virgolette sono state desunte dal catalogo della mostra “Ex Universa
Philosophia: Stampe barocche con le Tesi dei Gesuiti di Gorizia” a cura di Maddalena
Malni Pascoletti, che il professor Alfonso Garuti ha fatto gentilmente conoscere all’autore
del presente articolo
Fra i testi di storia fananese, l’unico (a quanto ci risulta) in cui si parla delle stampe della
sagrestia della chiesa di San Giuseppe è: San Giuseppe di Fanano, la “Chiesa dei Padri”
di Raimondo Rossi Ercolani.
FANANO
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133
ma la cosa non fu facile da concretizzare. Poiché l’ente proprietario – il
Comune di Fanano – non aveva fondi disponibili per l’operazione, il bibliotecario propose che ad essa fosse destinata la somma che in quell’anno il Comune aveva stanziato per acquisti a favore della biblioteca; la proposta, inizialmente respinta, («diversi capitoli di bilancio»), fu poi – dopo
reiterate insistenze – benevolmente accolta. E così il restauro delle sei
stampe fu finalmente affidato al laboratorio “Il Segnacolo” di Cristina Agù,
con una delibera comunale del 13/11/2002, nella quale veniva impegnata
la somma di 1324,80 euro nel bilancio relativo a “Prestazioni di servizio
per biblioteche”.
Quando, infine, le sei stampe, perfettamente restaurate, tornarono
nella sagrestia della chiesa di San Giuseppe, sorse il problema di una loro
adeguata sistemazione. Tale problema fu risolto soltanto alcuni anni più
tardi, quando la nostra Associazione Culturale della Valle del Leo “Ottonello Ottonelli” commissionò all’amico e socio Gottardo Turchi la costruzione di sei belle cornici, che consentirono di appendere le stampe alle
pareti della sagrestia della chiesa di San Giuseppe, dove erano state per
secoli e dove ora sono finalmente tornate.
Sagrestia della Chiesa di San Giuseppe, San Giuseppe col Bambino
FANANO
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134
Le antiche incisioni del Frignano
Nuove scoperte e nuove interpretazioni
di Adolfo Zavaroni
Lo scenario in cui occorre inquadrare il ritrovamento di quelle che in
un primo momento avevo chiamato “iscrizioni nordumbre” oggi è decisamente meglio definibile rispetto a quello che si poteva prospettare quando pubblicai Le iscrizioni nord-umbre antiromane della valle di Ospitale
(Appennino Modenese) [BAR International Series 2250 (Oxford 2011)]
contenente tutte le iscrizioni reperite fino al maggio 2011. Fino a quel
mese le iscrizioni erano state scoperte solo nelle due località La Sega e La
Tana della valle di Ospitale.
Poi nell’agosto 2011 visitai il Ponte d’Ercole, distante da Ospitale oltre
40 km. per le strade attuali: ebbi la fortuna di scoprire anche lì iscrizioni
in scrittura e lingua friniate (fig. 1). Il Ponte d’Ercole, localmente noto anche come Ponte del Diavolo, si trova presso il punto d’incontro dei territori
di tre comuni dell’Appennino modenese: Polinago, Pavullo e Lama Moco-
Fig. 1. Ponte d’Ercole. Antiche scritte sul fianco occidentale (Testata Sud).
FANANO
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135
gno. Esso appare come una roccia di arenaria, lunga 41 e larga al massimo 2,9 metri, sagomata a forma di ponte. Un’analisi delle superfici e del
suolo sottostante mi induce ad affermare che la forma di ponte è dovuta in
gran parte all’opera umana e non alla natura, come si è sempre creduto.
I lavori tendenti a modellare la roccia in quella forma furono certamente
eseguiti prima – forse qualche secolo prima – della fine delle guerre che
i Romani combatterono contro i Friniati, dato che varie iscrizioni sono
chiaramente antiromane. Tali lavori avevano lo scopo di trasformare la
roccia in un santuario di forma singolare. Infatti nella testata settentrionale del Ponte fu scavata una cella in cui fu incisa una complessa figurazione
con due dèi sovrapposti. In base alla ricostruzione di questa e di altre
figure divine, suppongo che un dio, maturo o anziano, avesse insieme le
personalità degli dèi latini Vulcano, Silvano, Saturno e l’altro, bambino e
giovanile, fosse assimilabile a Marte, Apollo, Bacco.
Trovai poi altre iscrizioni nella Tana delle Fate presso il Lago Pratignano. Oggi quasi del tutto interrato, esso si trova ad un’altezza di circa
1300 metri s.l.m. in uno stretto pianoro che sovrasta la valle di Ospitale
e in particolare La Sega (circa 850 metri s.l.m.), cioè la località con le pareti rocciose più densamente iscritte. Nella vicina piccola grotta chiamata
Tana delle Fate vi sono alcune iscrizioni antiche con caratteristiche legature e combinazioni di segni di tipo friniate (fig. 2) oltre a numerosi graffiti
moderni. Degna di nota è la presenza di un e del tipo II presente anche in
iscrizioni latine dell’Italia settentrionale almeno dal I secolo a.C.
A San Michele di Pievepèlago due pietre iscritte sono incastonate nella parete di una vecchia casa non lontana dall’antica pieve di San Michele,
presso l’imbocco del sentiero che porta ad un altro Ponte del Diavolo,
quello presso Fiumalbo. Le lettere su queste due pietre sono certamente
friniati, dato che esistono anche delle legature, ma la loro lettura è difficile e non porta a risultati sicuri. A poche centinaia di metri, sullo stesso
sentiero, una scritta friniate fu incisa su una roccia: qui la lettura è problematica a causa della sottigliezza dei solchi, alcuni dei quali sono quasi
svaniti. Pochi metri più in là, dietro una colonna eretta in onore della Madonna, sorge un’altra roccia in cui sono incisi dei segni, fra cui , , : in
grafìa friniate essi sarebbero legature denotanti ti “trafiggi, uccidi” (dalla
radice indoeuropea *(s)teig- con normale caduta di g: nella lingua friniate
questo suono non esisteva). Un’altra legatura è , che potrebbe denotare
tit “egli trafigge”. Una sequenza sarebbe leggibile come tiio “io trafiggo”;
un’altra come ui iti (o ui ii?) “con la forza procedi” (le lettere sottolineate
fanno parte di legature).
Ho poi scoperto iscrizioni friniati in due siti dell’Appennino reggiano.
Almeno una parte delle montagne reggiane era abitata da Friniates. Da
un passo dello storico latino Tito Livio (41.18) si deduce che il territorio
FANANO
fra storia e poesia
136
Fig. 2. Iscrizioni friniati nella Tana delle Fate presso il Lago Pratignano.
dei Friniati si estendeva dal crinale appenninico fino al fiume Audena.
Mi sembra possibile che Audena fosse il nome friniate del corso montano dell’attuale Secchia, che scorre tra le montagne reggiane prima di
diventare il confine tra le province di Modena e Reggio. Il nome del suo
affluente Òzola, nell’alto Appennino reggiano, può riflettere soltanto un
antico *Audiola, diminutivo di *Audia ≈ Audena, dalla radice indoeuropea *awe-d- “bagnare, fluire”. Ma a prescindere dal problema del confine nord-occidentale dei Friniati, il fatto è che sul Monte Valestra, dove i
reperti archeologici evidenziano una frequentazione già nella tarda Età
del Bronzo, alcune iscrizioni di tipo friniate – che ora sono in fase di studio – sono incise dentro una piccola grotta che si trova dietro la cappella di
Santa Maddalena, mentre altre due brevi scritte sono incise su una roccia
che sta davanti alla cappella ed è prospicente all’impressionante dirupo
che strapiomba dal crinale del monte sul lato verso la valle del Secchia.
Ho trovato un’iscrizione nordumbra anche sotto la grande rupe chiamata Pietra di Bismantova, su una delle innumerevoli rocce che sovrastano il Campo Pianelli, noto per i reperti della tarda Età del Bronzo e
FANANO
fra storia e poesia
137
del periodo etrusco. Questa iscrizione (fig. 3) è abbastanza ben leggibile
nonostante le incrostazioni e la corrosione subìta dalla roccia arenaria
che a Bismantova è di scarsa compattezza. Leggo bustros ica. In alcune
scritte di Ospitale e del Ponte d’Ercole bustros indica il dio Picchiatore,
Colpitore. Non si può stabilire se ica sia un imperativo (2a persona sing.)
o un indicativo senza t finale. Siccome la base *ic-, presente in latino
oltreché ben attestata nelle scritte friniati, denota ‘colpire’, bustros ica
è facilmente interpretabile come “(Oh, dio) Picchiatore, colpisci!” oppure
come “il (dio) Picchiatore colpisce”.
Ancora più importanti sono i ritrovamenti nel vecchio piccolo borgo,
ora in rovina, di Rovinamala (comune di Montecreto), distante circa 30
km. da Ospitale. A Rovinamala Carlo Beneventi ha scoperto più di trenta
pietre con iscrizioni friniati, il cui contenuto è simile a quello delle iscrizioni di Ospitale e del Ponte d’Ercole. Alcune, poi, contengono raffigurazioni
di grande importanza per la conoscenza della religione friniate.
Infine, pure in un altro antico borgo abbandonato, dominante la media valle di Ospitale, su tre pietre riutilizzate in vecchie case ci sono incisioni attribuibili agli antichi Friniati. La pietra più importante è un architrave con scritte e figure di carattere religioso. Il suo rinvenimento si deve
ad Ivan Tintorri.
Fig. 3. Pietra di Bismantova: scritta friniate su una delle rocce sovrastanti
il Campo Pianelli.
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fra storia e poesia
138
Ora si può con certezza affermare che tutte queste iscrizioni, aventi in
comune il lessico ed un sistema scrittorio basato su un frequentissimo uso
di legature, furono incise da Friniates che, come risulta da varie iscrizioni
d’Ospitale e del Ponte d’Ercole, chiamavano se stessi Ombri, Umbri. Quel
che nei miei primi studi definii come “nord-umbro” appare ora come la
lingua parlata e scritta dagli antichi Friniati. Oltre al sistema scrittorio, le
iscrizioni hanno in comune lessico e grammatica, da cui si può dedurre
che la lingua delle iscrizioni è un dialetto italico. Tale dialetto mostra affinità con umbro, osco, sudpiceno e latino e rivela contatti linguistici con
Etruschi e Galli. Inoltre, per lessemi assenti in latino e negli altri dialetti
italici, esso ammette comparazioni lessicali con il germanico più di quanto la posizione geografica del Frignano potesse far pensare. Tali termini
furono certamente in uso prima delle guerre con Roma e quindi aprono
interessanti interrogativi sulle origini dei Friniati, che comunque sono indoeuropee.
Sarebbe, dunque, erroneo considerare i Friniates come Ligures sulla
base della menzione di Tito Livio? In un passo Livio (39, 2) parla di Ligures Friniates; ma nell’unico codice del XLI Libro si ha Briniates (41, 19):
trans Apenninum Briniates fuerant, intra Audenam amnem. Il riferimento geografico è certamente al territorio del Frignano. In altri capitoli dei
libri XXXIX e XL, Livio parla semplicemente di Ligures, ma i nomi dei
monti Letum, Suismontium e Balista e del fiume Scultenna indicano che
si tratta di Friniates.
La lingua dei Friniates è palesemente italica, mentre sulla lingua dei
Liguri qualsiasi ipotesi non mi sembra poggiare su solide basi. Le rare
iscrizioni antiche trovate in territorio ligure sono redatte in alfabeto etrusco e nella maggior parte di esse ci sono dei nomi etruschi. Le ipotesi sulla
natura della lingua ligure si basano essenzialmente sull’analisi dei nomi
dei popoli liguri, dei toponimi ed antroponimi. Devo ammettere il mio
generale scetticismo su molte etimologie di toponimi la cui radice indoeuropea non sia evidente.1 Francisco Villar in un passo scrive che “in epoca
romana la Liguria ha per lo meno i seguenti strati ben identificati: latino,
gallico, lepontico, europeo antico e ligure”; in un altro passo egli osserva
che “è impossibile chiarire la precisa appartenenza del materiale toponomastico ai diversi strati”, sicché è impossibile “sapere se i Liguri erano
o no indouropei”.2 Ciò riflette bene l’incertezza relativa all’antico ligure.
1
Tra gli studiosi che considerano il ligure un ramo particolare del gruppo celtico si veda B.
Sergent, Les Indo-Européens. Histoire, langues, mythes, Paris, 1995, p. 69-77.
2
F. Villar, Los indoeuropeos y los orígines de Europa. Lenguaje e historia, Madrid. 19962,
p. 469-470.
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139
Per Plinio (Nat. Hist. III, 47-48), che registra le regioni secondo l’organizzazione amministrativa voluta da Augusto, i Liguri più ad Oriente
erano i Veleiates, il cui territorio non si estendeva ad Est dell’attuale provincia di Parma. Quindi il territorio dell’attuale Frignano ufficialmente
non era abitato da Liguri.
Nelle iscrizioni del Frignano i principali elementi grafo-fonologici degni di rilievo sono: 1. la mancanza delle gutturali sonore [g], [gh]; 2. la
presenza del grafo
(che trascrivo per affinità visiva con б), denotante
presumibilmente il suono aspirato [bh] (da ie. [bh] e a volte [dh]) a cui corrispondono umbro e latino [f].
Parecchie attestazioni, però, mostrano che all’epoca delle iscrizioni
era in atto la tendenza alla deaspirazione [bh] > [b]. Per un verso tale fenomeno può essere considerato una prova che non poteva denotare [f].
D’altra parte si può supporre che la deaspirazione fosse dovuta al contatto
con parlate galliche e, appunto, liguri.
Dunque, la mancanza di f rende problematico lo stesso etnico Friniates di Livio (39, 2); e però un passaggio [b-] > [f-] in età medievale per
giustificare l’esistenza del moderno toponimo Frignano, sarebbe ancora
più problematico. Come tanti altri nomi in -ates, Friniates indica degli
abitanti, cioè “gli abitanti della *Frinia”.
L’ipotesi etimologica più semplice – a mio avviso la più convincente – è che *Frīnia (*bhregh-y- > *frei- > 1. *frī-, 2. *frē-) fosse lo sviluppo
di un antico *Frighinia o *Freghinia “montagnosa”, nome derivante dalla
nota radice indeuropea *bh(e)regh- “altura, monte”. L’etimo qui proposto è
avvalorato dall’esistenza del nome di monte Frignone (< *Frīnion-) nella
vicina alta Garfagnana, non lontano dal Monte Alto e dal Monte Umbriano
(che ovviamente richiama Ombri, Umbri). C’è poi un Monte Frena fra il
Mugello e il confine tosco-imolese ed un sito Fregnanello nelle colline a
sud di Faenza. I due ultimi toponimi sono in un territorio che certamente
era abitato dagli Umbri settentrionali.
Date l’assenza di f e la numerosa sostituzione di con b, dovremmo
forse supporre che b indicasse nelle iscrizioni tarde sia [b] sia [f] ? Ciò mi
pare francamente dubbio e comunque indimostrabile. Rimane tuttavia il
fatto che l’etnico Friniates = Briniates, essendo attestato solo da un autore
latino, non è decisivo per stabilire se i Friniates fossero Umbri o Liguri.
Supponendo che nelle scritture Briniates e Friniates non ci sia un errore
di trascrizione, l’ipotesi meno contraddittoria è che entrambi i nomi fossero usati: il primo con pronuncia ligure o celtizzante, l’altro con pronuncia
umbra o latinizzante. Tale variazione poteva riflettere una commistione
etnica degli abitanti dell’antico Frignano. Una tale commistione, però,
non è testimoniata dalle iscrizioni finora trovate: in esse l’unico etnico che
appare è Umbri, Ombri.
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Tabella 1. L’alfabeto usato dagli Umbri dell’antico Frignano
Tabella 2. Alcuni esempi di legature semplici
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Fig. 4. Sovrapposizioni di scritte friniati alla Sega di Ospitale (settore SeP1S4).
Avevo supposto3 che le iscrizioni della valle d’Ospitale fossero state
incise durante il bellum sociale del 91-89 a.C. Non solo è frequente l’appello alla rivolta, ma in un passaggio del blocco di scritte SeP1S4 avevo
ritenuto che fossero menzionati gli Osci, la lega degli Italici e il generale
romano Pompeo Strabone (Osp. 2011, p. 44). Ora, il ritrovamento di iscrizioni in altri luoghi del Frignano e la doverosa attribuzione ai Friniates mi
inducono a dilatare anche lo spazio temporale entro cui le scritte potrebbero essere state incise. L’ostilità verso i Romani durò certamente qualche
secolo e non cessò immediatamente con la fine del bellum sociale. Ritengo
ancora valida l’ipotesi che in SeP1S4 si menzionino gli Osci e Pompeo, ma
una rilettura dell’iscrizione di macrofoto eseguite con luce artificiale radente mi induce a ricusare parte delle precedenti letture e interpretazioni.
I termini uscum uemбom “degli Osci la lega” furono soprascritti sopra seitom umua “all’alleanza unisciti”. Probabilmente la modifica fu
contestuale al cambiamento della riga che sta sopra dove la frase ilaut
vilumбut tot “tanti si sono rivoltati, si sono alleati” fu trasformata in ilaut
vitelius tot “si sono rivoltati tanti federati” (fig. 4). Forse si volle adeguare
3
A. Zavaroni, Iscrizioni nord-umbre nella Valle di Ospitale. Seconda raccolta, op. cit. (n. 11),
p. 208
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il lessico ad un nuovo evento: la costituzione ufficiale della Lega Italica,
nella quale erano in netta maggioranza i popoli di lingua osca.
La Riga 10 è leggibile come ueni pompeiom. L’ipotesi più semplice
è che pompeiom indichi Gneo Pompeo Strabone, padre del più famoso
Gneo Pompeo avversario di Giulio Cesare. Come sappiamo dallo storico
greco Appiano, Gneo Pompeo Strabone comandava un esercito romano
che operava contro i rivoltosi del territorio piceno. In un primo tempo il
suo esercito fu sconfitto dagli insorti guidati da C. Vidacilio, T. Lafrenio e
P. Ventidio che avevano unito le loro forze presso il monte Falerino. Gneo
Pompeo dovette rifugiarsi a Fermo in attesa di rinforzi. (Appiano Bello
Civ. 47).
BIBLIOGRAFIA
C. Beneventi, Lo strano mistero dei graffiti di
Rovinamala, in Il Frignano 3, 2011, p.185-200.
Dario e Mario Brugioni, Incisioni rupestri nel
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Ospitale, in Il Frignano, n.3 (dicembre 2011)
Giancarlo Sani, Iscrizioni pre-romane in valle di Ospitale, in Fanano fra storia e poesia,
n. 18 (dicembre 2008).
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di Ospitale: seconda raccolta, in Indogermanische Forschungen 113, 2008, p. 207-270.
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sociale nella valle di Ospitale: terza raccolta
(Sega Parete 3 Settore 3), in Indogermanische Forschungen 114, 2009, p. 173-239.
A. Zavaroni, Le iscrizioni nord-umbre antiromane della valle di Ospitale (Appennino
Modenese). BAR International Series 2250
(Oxford 2011).
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di termini indoeuropei ed etruschi, in Indogermanische Forschungen 116, 2011, p.
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A. Zavaroni, Il sacro Ponte d’Ercole (Ponte del
Diavolo). Iscrizioni religiose e antiromane
degli antichi abitanti del Frignano (Pavullo
2012).
A. Zavaroni - G. Sani, Iscrizioni nord-umbre
del bellum sociale nella Valle di Ospitale:
prime indicazioni, in Klio 91/1, 2009, p. 69103.
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DOMENICA 23 marzo 2014
Salvarono famiglia ebrea
Gli Andreoni tra i Giusti
Fanano. Per i coniugi di Ospitale avanzata richiesta
alla commissione israeliana.
Evitarono la deportazione ai concertisti Valabrega.
La nomina di Giusti tra le nazioni che lo Stato di Israele ha attribuito ai coniugi Luigi Succi e Maria
Pini di Verica, che per quasi due
anni nascosero in casa una famiglia
ebrea di Bologna, sarà iscritta nel
Viale dei Giusti allo Yad Vashem,
museo memoriale della Shoah a
Gerusalemme. I Giusti modenesi,
non ebrei che durante la Shoah
rischiarono la propria vita per salvare ebrei dalla persecuzione, arrivano così dieci. E potrebbero non
essere gli ultimi. È infatti stata inoltrata la richiesta alla Commissione
competente in Israele per attribuire
l›onoreficienza a Gildo Andreoni e
la sua famiglia. Gli Andreoni, che vivevano a Casa Gioiello nella vallata
di Ospitale a Fanano, nascosero per
più di un anno Casare Valabrega e
la moglie Carla, famosi concertisti
di Bologna da cui fuggirono insieme
alle figlie Benedetta ed Emma. Consigliati da amici, gli stessi che ne
avevano caldeggiato la fuga dopo
la promulgazione nel 1938 delle
legge razziali, arrivarono a Sestola dove erano sfollate molte altre
famiglie ebree. I Valabrega soggiornarono per alcuni mesi presso
un’abitazione presa in affitto, poi
la calma apparente venne ben presto interrotta quando i soliti amici
si fecero di nuovo vivi consigliando
di cambiare aria. Il parroco di Sestola li mandò a Ospitale, da dove
il curato della parrocchia Don Ricci
li accompagnò a casa di Gildo Andreoni. Questa la testimonianza di
Emma Valabrega, la figlia più piccola che oggi vive in Israele, su quei
lunghi giorni a Casa Gioiello. «Non
solo la famiglia Andreoni mise a repentaglio la propria sicurezza, condividendo con noi tutto quello che
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aveva, ma anche l’intera popolazione seppe mantenere il segreto della nostra presenza-ha spiegato. Un
esempio tale di solidarietà umana
si trova solo nei romanzi». Emma
Valabrega ricorda poi un episodio
particolare. «Un brutto giorno vennero i repubblichini a catturare Gildo-racconta- che era rientrato dalla
Russia ma non era più tornato al
corpo ed era considerato un disertore. Io e la mia famiglia eravamo
rinchiusi in camera terrorizzati, ma
per fortuna o miracolo la casa non
venne perquisita. Tempo dopo Gildo tornò a casa Gioiello, ma per noi
i pericoli erano diventati troppi e
decidemmo di passare il fronte che
era vicinissimo. E così ci salvammo». La richiesta alla Commissione
dei Giusti, è stata inviata una volta
verificate e depositate le testimonianze dal notaio. Fra i testimoni
anche Gioiello Andreoni, il figlio di
Gildo che all’epoca non era ancora
nato ma ha assorbito dai racconti
del genitore moltissimi dettagli della vicenda. Dalla storia delle famiglie Valabrega e Andreoni e con il
coordinamento della professoressa
Caterina Muzzarelli, le terze classi
della scuola media di Fanano han-
no tratto uno spettacolo teatrale al
quale hanno preso parte 24 alunni. Alla rappresentazione, che si è
tenuta nel Giorno della Memoria,
ha assistito il nipote di Cesare Valabrega, Marco, noto violinista che ha
eseguito un concerto. Tanta commozione e ringraziamenti all’ottimo lavoro svolto dai ragazzi sono
giunti, oltre che dalla famiglia Valabrega, anche dalle tante persone
intervenute per assistere allo spettacolo. La rappresentazione, che ha
registrato infatti un grande successo di pubblico, potrebbe nei prossimi mesi essere replicata a Roma. E
intanto, Gioiello Andreoni attende
buone notizie da Israele.
Da destra:
Cesare Valabrega, sua figlia
Benedetta, con in braccio
un piccolo e molto sorridente
Gioiello Andreoni,
e il fratellino Riccardo.
Alle loro spalle, i monti
della Valle di Ospitale
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A completamento di quest’articolo, preparato dall’amico Francesco
Seghedoni per la Gazzetta di Modena, pubblichiamo il testo del messaggio pervenutoci alla fine del mese di maggio da parte di Marco Valabrega,
nel quale si fa riferimento proprio alla rappresentazione teatrale prevista
a Roma e di cui si è letto nelle ultime righe dell’articolo. Ci ripromettiamo
comunque di riprendere ampiamente l’argomento nei prossimi numeri
della nostra rivista.
Cari amici, domenica 8 giugno al Centro Ebraico Italiano “Pitigliani”
di Roma, alle ore 16.30, si terrà un evento molto singolare.
Per questo vorrei che tutti voi vi partecipaste!
Si tratta della rappresentazione della storia della mia famiglia: Cesare Valabrega, sua moglie Carla e le due figlie bambine tra le quali mia
madre... che, perseguitati dalle leggi razziali, in fuga tra le montagne
degli Appennini, vennero messi in salvo da coraggiosi antifascisti.
La singolarità dell’avvenimento sta nel fatto che oggi a far rivivere
quei momenti e quegli esseri umani a me così cari sia una classe di scuola media del piccolo paese in cui i miei vennero accolti e
nascosti. Ragazzini che riscrivono e interpretano con passione ed
emozione un capitolo significativo della storia italiana. Ragazzini che
rievocano il coraggio di quel piccolo paese, Fanano, che mantenne
un grande segreto, mettendo a rischio se stesso, la propria vita, per
salvare quella di una famiglia di artisti ebrei.
Con l’occasione sarà ricordata la figura di mio nonno appunto, l’artista e musicologo Cesare Valabrega, autore della storia della musica
italiana e di numerosi saggi e monografie di famosi compositori italiani e stranieri! Seguirà un piccolo concerto di ringraziamento dedicato
a tutti coloro, donne e uomini, che hanno contribuito a salvare degli
esseri umani. Sarà un regalo per me condividere questo momento
con voi, vi aspetto.
Marco Valabrega
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Lunedi’ di Pasqua
di Alfonso Pasquali
Cosa vorrà raccontarci questa volta l’amico Alfonso del Lunedì di
Pasqua? Del tradizionale “coccetto” delle uova colorate, in piazza della
fontana, come da tempo immemorabile? No, voglio raccontarvi di gite in
montagna e di escursioni sci alpinistiche che anni fa compivamo in un
gruppo di “baldi giovani” (si fa per dire) sul crinale del nostro Appennino:
escursioni impegnative e faticose, non prive di pericoli, ma ricche di grandi soddisfazioni, che andavano dal Lago Scaffaiolo a Cima Tauffi, Monte
Lancio, Fellicarolo, ecc. In questa occasione ne descriverò una, forse la
meglio riuscita, sia per il numero di partecipanti che per il finale al Casello del Pizzo ai Pianacci di Fellicarolo, ove erano ad accoglierci all’incirca
altrettante persone, addette alla preparazione del “rancio”.
Era quello un anno di ottimo innevamento e quindi era assicurato
un “fuori pista” piacevole su neve dura ma non troppo, che ripagava la
faticosa e lunga salita. Con l’occasione ricordo che in passato le escursioni
le facevamo per la festa di San Giuseppe, il 19 marzo; poi, quando fu soppressa, passammo al Lunedì di Pasqua con cadenza variabile. Quando la
meta era il Casello del Pizzo, qualcuno e anche più di uno, dopo un buon
pasto e il riposo, annotava e descriveva l’escursione con in calce la firma
dei partecipanti, nel “diario” del rifugio.
E così, quando mi sono ripromesso di scrivere queste righe, ho pensato di consultare i diari. Ed ecco il primo problema: dove saranno?
Nell’armadio-archivio dove metto quelli di casa non c’erano; pensa e ripensa: dove vanno a finire le cose meno importanti di casa? Nelle soffitte!
E così infatti, eccoli, ben legati da una cordicella (sei volumi-agende) con
un foglio bianco con scritto “Diari del Casello del Pizzo”. E ho cominciato
a sfogliarli: ah, quanti ricordi caduti nel dimenticatoio, quanti nomi di
persone, anche parenti, che non ci sono più, come quello del fratello Gioachino, medico condotto di Canazei, che venne al Pizzo durante un’estate,
e descrisse i malori o incidenti che potevano capitare in montagna e i
rimedi da applicare nell’urgenza e lontano da presidi sanitari! (era stato e
non ricordo se lo era ancora, capo stazione del Soccorso Alpino dell’Alta
Val di Fassa).
Ma vediamo di scegliere tra tante descrizioni, quella più interessante
e completa, e così sono andato al 23 aprile 1984 (trent’anni fa).
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Innanzitutto mi recavo in barberia in piazza Corsini da Remo Turchi a
prospettare la gita perché diffondesse la notizia ai soliti amici e non solo;
quindi si sceglievano gli “atleti” validi per l’escursione con gli sci e le persone che sarebbero andate da Fellicarolo ad aprire il casello, accendere
i fuochi, preparare i tavoli, ecc. e soprattutto a cucinare il “rancio” per
tutti. C’era sempre abbondanza di cibi e di bevande più o meno alcooliche
(immaginarsi!).
Venivano “prenotate” almeno due auto per il trasporto degli sciatori a
Capanna Tassoni, con sci e zaini, mentre gli altri concordavano tra di loro
il viaggio a Fellicarolo (Casa Baroni o il Poggio).
E così, il mattino alle otto, appuntamento in piazza Corsini (non mancava mai qualche ritardatario!) e via, fino alla Capanna che allora dai
“foresti” era chiamata Tassone (lasciando da parte le polemiche).
E da qui, sci e zaini in spalla, con entusiasmo e allegria, si iniziava la
lunga salita per il Passo di Croce Arcana, percorrendo in parte la carrozzabile, ma in prevalenza le antiche mulattiere, ancora coperte da un alto
strato di neve, ma con traccia di precedenti escursionisti: voglio ricordare
che qualche volta, sopra la Capanna, i pali della recinzione dei daini (m.
1,50) erano coperti dalla neve!
Da sinistra: Gottardo Turchi, Almo Pasquali, Leonardo Perfetti, Ezio Sargenti,
presso il Monumento agli Alpini, al Passo della Croce Arcana
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La Croce al Passo della Croce Arcana
Dopo un po’ si cominciava ad alleggerire l’abbigliamento per attenuare il sudore, qualche breve sosta per riprendere fiato: ma non avevamo
problemi, allenati come eravamo quasi tutti. Al Butale (“é Biudal”) ora c’è
una fontanella, ma allora la sorgente sgorgava direttamente dalla terra e
si intravedeva in fondo all’alto strato di neve e non era attingibile. Eccoci
fuori dal bosco e sul crinale, una volta segnato dalla “palonata” (importante e vitale segnaletica, quando c’era la nebbia o imperversava la tormenta,
e ripristinata di recente) che portava al Passo, dominato dalla croce in
ferro a ricordo dell’Anno Santo 1933 (restaurata dagli Alpini nel 1972)
dopo un’ora buona di impegnativa salita, compensata dal vasto e affascinante panorama del nostro Appennino: riposo e visita al Monumento
degli Alpini.
Dopo l’arrivo di qualche ritardatario ed esserci riuniti e rifocillati, si affronta il crinale spartiacque tra Emilia e Toscana – Modena e Pistoia – (una
volta dopo la confinazione della seconda metà del 1700, tra il Ducato di
Modena ed il Granducato di Toscana), come dai ben evidenti cippi confinari. Qualcuno inforca gli sci, allora con gli attacchi kandahar, e altri no,
per un certo tratto (non usavamo le racchette da neve o ciaspole o scarabattole in dialetto fananese): la neve reggeva bene e c’erano tracce di altri
escursionisti.
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Allora avanti: si sale in quota, si marcia agevolmente, eccoci alla Vista
del Paradiso (m 1706), in discesa al Colle della Piaggiacalda, e dopo una
breve sosta per riunire la comitiva, si affronta la lunga e non difficile salita
ai Balzoni.
A questo proposito mi ritorna in mente il “beverone” (“é bevrun”) che
preparava Almo per le escursioni e che diede luogo a qualche “inconveniente”, ma che racconterò in un’altra occasione.
La lunga salita viene superata bene, salvo un caso di cui dirò più
avanti: anche dai Balzoni il panorama è splendido: Toscana ed Emilia
sono ai nostri piedi, nebbie in pianura, nubi lontane a nord verso le Alpi
e a sud verso la Maremma; magnifica discesa sul Colle dell’Acquamarcia
(m. 1632), valico antico e una volta molto frequentato, tra la parte ovest di
Ospitale e il Melo, frazione alpestre di Cutigliano.
A questo punto mi raggiunge (se ben ricordo) Franco Querciagrossa
e mi riferisce che Gianni Ascari è fermo ai Balzoni e non intende proseguire perché stanco: a gesti e a voce lo invito a scendere e, non riuscendo
nell’intento, decido di risalire e parlargli; che dura salita! Mostrandogli il
percorso ormai vicino alla Cima, dopo la breve salita dal passo, constato
che è ben deciso a ritornare indietro; allora lo avverto che non lo lascerò
andare solo e anch’io abbandonerò la “compagnia”... La mia decisione lo
convince e così scendiamo al Colle.
Dopo la bella discesa si sentì rinfrancato (è sempre stato un buon
discesista) e così insieme affrontammo, con gli sci in spalla, la dura salita che nella parte finale necessita anche dell’uso delle mani. Finalmente
l’ultimo tratto di crinale con qualche saliscendi, col versante nord che precipita sulla Piana del Bravo, (testata del Rio Gambolino-Fosso della Mirandola) coperto da un’alta cornice di neve (che ogni tanto precipita a valle
travolgendo le piante di conifere e ostacolandone da sempre la crescita).
Eccoci a Cima Tauffi, sudata conquista coi suoi 1798 m: da qua una
lunga discesa, non sempre agevole, per la presenza di bosco e zone rocciose, ma si sa che in discesa tutti i santi aiutano. Una lunga sosta per
riunirci e rifocillarci, al caldo sole e con una fresca brezza, con cambio di
indumenti (qualcuno), fotografie e visione del superbo panorama da sud
a nord e da est a ovest: è una delle soddisfazioni degli alpinisti e degli
escursionisti e comunque di chi sale sulle montagne! Come detto, è il momento di affrontare la lunga discesa che ci porterà al Casello del Pizzo ai
Pianacci di Fellicarolo, la nostra meta. Percorrendo il versante ovest della
lunga gobba con neve solida e veloce si raggiunge la Scaffa delle Rose: da
qua per un tratto consistente, si deve percorrere il sentiero interrotto da
modesti salti di roccia e dal fitto bosco di faggio e così fino alla Rondanara.
Ritengo di segnalare un infortunio capitato a un nostro compagno
proprio alla Scaffa delle Rose: Franco cade e con un braccio finisce in una
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frattura della roccia nascosta dalla neve, e dobbiamo accorrere per aiutarlo a togliersi dalla dolorosa posizione: niente di grave ma per diverso
tempo ne risentirà. Anche Gottardo, che non è mai stato un grande sciatore, spesso cadeva, ma con grande costanza, riprendeva, senza demoralizzarsi, destando l’ammirazione di tutti noi della compagnia.
Dalla Rondanara a Monte Lancio una buona discesa, con qualche faggio e soprattutto pini mughi che cominciavano a infestare la zona. Da
Monte Lancio, poi fino a poco sopra le Capanne qualche difficoltà per
scarsità di neve a causa dell’esposizione a sud est. Da qua in avanti si
percorreva la larga via dei pastori, con neve alternata a erba e cespugli,
ma in qualche modo, adattandoci, si raggiungevano le Serre, la Buca di
Rocco e si arrivava a poche decine di metri dal Casello, con gli sci ai piedi.
E qui c’era la calda accoglienza degli amici... Lando della Sega in prima
fila col suo largo sorriso ci offriva il tè che era invece un bianco delle colline bolognesi, Giancarlo Franchini con la sua voce inconfondibile, il caffè,
le donne, i giovani e giovanissimi, con grida di gioia e di benvenuto; pian
piano arrivavano tutti con in retroguardia Gottardo, per il suo sciare a singhiozzo: ma tutti eravamo felici e soddisfatti di quella impresa. Da notare
che il tempo impiegato da Capanna Tassoni al Casello era di 6 ore, più o
meno, quindi una escursione sci alpinistica di tutto rispetto.
Proprio in questa escursione del 1984 (quasi trent’anni passati...)
ebbi un caso di disidratazione che mi riguarda personalmente: come ho
detto all’arrivo Lando mi venne incontro offrendomi un bicchiere di “tè”,
ma constatai che non potevo gradire alcun tipo di bevanda; andai subito
in casa a distendermi sul lettino; venne Giancarlo a sentire cosa volevo,
ma niente andava; mi resi conto allora che ero disidratato (a quei tempi
si consigliava di non bere durante le camminate... immaginarsi, per un
esperto!); ritornò Giancarlo con un caffè corretto e dopo insistenza lo portai alla bocca e riuscii a trangugiarlo, subito passato l’inconveniente!
E così tornai di sotto con la compagnia, mentre si preparava la tavolata, si stappavano bottiglie di vini i più svariati, formaggi, salumi, ecc., fu
servito un abbondante piatto di pastasciutta ben condita e poi, e poi... una
giornata indimenticabile che vi ho descritto un po’ sommariamente, con
riferimento non a una sola gita.
Chi c’era? Vediamo le firme del diario e non solo: Maurizio, Giancarlo, Don Andrea, M. Grazia, Gianni, Giordano, Lando, Gottardo, Remo con
la Tina, Ezio con la Lella, Leonardo, Pierluigi con Brunella, Lorenzo, Almo
con le figlie e altri...
Per alcuni anni continuammo con le “sci alpinistiche”, fino a quando, e purtroppo per diverso tempo, l’innevamento risultò scarso o quasi
assente; andavamo allora al Casello a piedi, ma non era più accettabile e,
così, tutto finì!
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Rievocando questa escursione, ho pensato di dedicarla a quelle persone che non ci sono più, che sono andate avanti, come diciamo noi alpini:
Lando della Sega, amico da una vita, sempre disponibile con la sua contagiosa allegria, la Brunella, giovane sposa, la Lella di Ezio sempre presente
a riaprire e segnare i sentieri, Leonardo esperto sciatore e alpinista, Remo
il barbiere, il nostro riferimento nell’organizzazione, e il carissimo fratello
Almo, che ci ha lasciato proprio pochi mesi fa.
Una bella foto di Amarcord fananese, scattata al Casello del Pizzo nei primi anni ‘80.
Da sin.: Pierluigi Perfetti con la moglie Brunella Bellettini, Raoul Corsini, Tina
(moglie di Remo Turchi), Leonardo Perfetti con la moglie, Lando Seghi, Almo Pasquali
con le figlie Nora e Paola, Michela (figlia di Licurgo Pasquali), Massimo Turchi, Anna
Pasquali; davanti: Alfonso Pasquali, Ezio Sargenti, Remo Turchi e Gottardo Turchi
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I racconti del veterinario di Fanano
di Marco Turchi
Il giustiziere
«La metta a pancia in su sostenendola con tutte e due le mani, anzi
l’appoggi direttamente sul tappetino chirurgico tenendole le zampe estese
e le blocchi con l’altra mano la testa: questa è una posizione che tende
come ad ipnotizzarla e con poca anestesia locale riuscirò a darle i punti;
la ferita è molto ampia ma altrettanto superficiale e dovremmo…»
«Ah!, mi sono affacciato alla finestra e quel maledetto se l’era presa
proprio con lei... ma guarda un po’ se si devono vedere cose del genere!
Ma è sicuro che non senta male? Mi raccomando! Proprio non lo sopporto
quel vecchio dittatore! Già un’altra volta l’aveva ferita facendola sanguinare, ma stavolta ha proprio esagerato»
«La tenga con un po’ più di forza per favore, non abbia paura di farle
male, del resto è meglio che senta ‘’qualcosina’’ così da evitare l’anestesia
totale sempre più rischiosa»
«Ah…, ma gliel’ho fatta pagare sa….; l’avevo già visto varie volte
darle fastidio: gli sono volato addosso e quando l’ho avuto tra le mani...
È sicuro che non senta niente eh..., mi raccomando..., ma ha chiuso gli
occhi, respira? Non sarà mica morta? Ah, ma gliel’ho fatta pagare! Quel
vecchio rimbambito non farà più del male a nessuno..., ma si deve vedere... Lui grande e grosso, lei piccolina e mingherlina, ah... ma gliel’ho
fatta pagare!»
«Ecco questo è l’ultimo punto, adesso delicatamente la rimetta a
“pancia in giù”»
«L’avevo già avvisato: prima o poi se continui così finirai male, e così
è stato. Ma si deve vedere una cosa del genere: questa volta l’ha pagata
per tutte le altre, e gli sta proprio bene»
Avete capito con quale strano animale avevo a che fare? E quello che
lo spazientito proprietario aveva fatto passare a miglior vita? Si trattava
di un gallo “seviziatore” e di una gallina troppo sottomessa.
Esasperato dalle sue continue violenze non ne poteva proprio più e
ha pensato di metter fine a quella brutta storia, nel modo più sbrigativo:
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tirandogli letteralmente il collo. Fra l’altro questa era una persona che
conoscevo da tempo, sempre calma, riservata, forse un po’ timida e di
pochissime parole.
Quel giorno invece raccontandomi ciò che era accaduto, si era profondamente trasformato diventando estremamente loquace ed esprimendo in tono molto colorito e decisamente rabbioso, le disavventure della
sua amata gallina.
Le parole gli uscivano dalla bocca come lava da un vulcano: ripeteva
ossessivamente alcune frasi, mettendo sempre in evidenza la gratuita violenza del burbero assalitore, contrapposta all’estrema sudditanza e mitezza della cara “cocca Marietta”. Sì, perché lui le sue galline le chiamava tutte per nome: Marietta, Giovannina, Lisetta...; non ne aveva mai mangiata
una e morivano tutte di vecchiaia. Ai galli invece era destinata una ben
altra “sorte” e se si fossero comportati male questa sarebbe sopraggiunta
anche molto prima della scadenza naturale.
«Fin da giovane quella bestiaccia aveva qualcosa di strano addosso:
era sempre a petto in fuori, spadroneggiando nel pollaio e per un non nulla beccava furiosamente tutte le galline; ma io con i violenti non ho nulla
a che spartire e ha avuto la fine che si meritava; quando devo tornare per
togliere i punti?»
FANANO
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«Tra 8-9 giorni e sarà necessaria anche un terapia antibiotica, le sa
fare le iniezioni?»
«Come... le iniezioni alle galline?»
«Certo è molto più comodo ed efficace che somministrare il farmaco
per bocca!»
«Ma in che punto si fanno?»
Presa una dose di antibiotico la iniettai allontanando le penne nella
coscia carnosa e rosea, dell’ancora imbambolata Marietta.
«Ecco come si fa, è più facile a farsi che a dirsi»
«Bene, bene, penso proprio di farcela, tutt’al più mi darà una mano
mia moglie»
Rimessa con molta attenzione la gallina nello scatolone con pareti
bucherellate, ci salutammo; chiusi la porta dell’ambulatorio e dalla finestra ancora aperta: «Ma guarda un po’ quel vigliacco di un bastardo di
un gallo! Per dispetto non lo mangerò nemmeno: finirà direttamente nel
letamaio a far grasso concime per le piante».
Le veglie nelle stalle,
un po’ di psicologia e tante riflessioni
Si pensa come si vive
Demostene, Olintiche
Indottrinati come siamo al super consumismo, abituati, vorrei dire
obbligati, all’usa e getta, “costretti” anche se a volte con grandi sacrifici,
a mantenere un tenore di vita che va oltre le nostre possibilità; piacevolmente abituati a vacanze al mare e in montagna, a divertimenti di ogni
tipo, quasi addormentati dal caldo innaturale delle nostre case.
Il pensare che solo fino agli anni cinquanta la gente di campagna
usasse per economizzare la legna, scaldarsi al “caldo animale” delle stalle, sembra veramente incredibile.
Se consideriamo che la temperatura normale di una vacca è di 38-39°,
la cessione di calore che ne deriva all’ambiente è molto elevata e se poi
la moltiplichiamo per il numero di animali presenti, ci spieghiamo il per-
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ché di tanto riscaldamento per lo più completamente gratuito. Fra l’altro
le stalle di una volta essendo molto basse e con un perfetto isolamento
termico (muri in sasso, pavimento e pareti coperte spesso da mucchi di
paglia e fieno), mantenevano costante la temperatura creando un microclima interno molto gradevole.
I bambini giocavano, gli uomini parlavano di aratura, di semina, di
malattie degli animali, della futura mietitura estiva, augurandosi un abbondante raccolto.
Le donne facevano le loro “chiacchiere”:
«Lo sai che la figlia di Antonio si sposa con il figlio della Giuseppa?
Speriamo che vadano d’accordo..., ma se ti devo dire la verità lui mi
sembra un po’ troppo giovane e poi …pensa più ad andare all’osteria che
a lavorare; bah..., speriamo in bene! Anche la sua famiglia… dicono che
non abbia tutti i venerdì a posto».
E gli uomini più vicini ai problemi che quotidianamente dovevano
essere risolti:
«Quest’anno le “mestiti” (in italiano mastiti), sembra ce l’abbiano con
me, su cinque vacche che ho, tre sono malate, hanno le mammelle grosse
e gonfie e il latte è diminuito della metà. I man det ed fag d’impac cun
La mungitura
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l’acqua dal taiadlen …, ma e n’è servè a nient; e go anc mes d’la pumada,
ma nient! E veterinari l’a det...».
(Mi hanno detto di fare degli impacchi con l’acqua delle tagliatelline,
ma non è servito a niente, ho messo anche della pomata ma niente, il
veterinario mi ha detto ...).
Molte volte i rimedi popolari alle malattie hanno effetti benefici. Lo
sperare però di guarire un’infiammazione di una mammella con l’acqua
delle tagliatelline, anche se fatta in casa, è davvero troppo.
Le donne portavano con sé il lavoro di cucito e spesse volte l’ago
cadeva loro di mano scomparendo nella paglia, che spesso copriva l’acciottolato della stalla. Ritrovarlo era proprio come “cercare un ago in un
pagliaio”.
Questa all’apparenza innocua disattenzione si trasformava però come
vedremo, in un grosso problema per la salute dell’animale che accidentalmente lo avesse ingerito.
Infatti l’ago una volta presa la via del tubo digerente, arrivato nel
reticolo (uno scomparto gastrico dei ruminanti), ne fuoriesce forandolo
e cominciando il suo micidiale “vagabondare” nel corpo del malcapitato.
Se va bene si va ad infilare da qualche parte formando un grosso
ascesso che lo delimita e può anche non dare più problemi.
Fra piccoli ci si intende sempre molto bene
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Altre volte, nelle situazioni ancor più fortunate, fuoriesce letteralmente dalla cute. Spesso però, e questa è l’evenienza peggiore, prende la
strada che conduce al cuore generando una pericardite con conseguente scadimento generale dell’animale che dimagrisce di giorno in giorno
emettendo a tratti un caratteristico rumore di gola (ehmmm….), tradotto
in dialetto: «la vacca la gnecca» (la vacca si lamenta), che è l’espressione
del dolore provocato dall’ago che si sposta al suo interno. Questa patologia definita scientificamente “sindrome da corpo estraneo”, è ben conosciuta dagli allevatori che per definirla usano l’espressione: «la vacca l’è
inguchià», ovvero sia la vacca ha mangiato la “gocchia” (l’ago).
Lo stare insieme, unito al quasi obbligo di colloquiare, (non c’erano
né televisori, né radio, né tantomeno cd da ascoltare), induceva le persone
a comunicare i propri sentimenti, i propri dubbi, le proprie perplessità.
Si chiedevano consigli, si facevano partecipi anche gli altri dei propri
problemi, si giungeva, di comune accordo, a soluzioni di cui tutti avrebbero beneficiato. Era una vera e propria moderna “terapia di gruppo”.
Il parlare di un problema che si ha dentro comunicandolo ad altre
persone già alleggerisce di molto il proprio travaglio interno. Non per
niente il verbo condividere significa: dividere con, metà a me metà a te, il
peso si sopporta in due.
Come spesso accade quando nasce una nuova teoria in campo scientifico, mi riferisco alla moderna e già citata “terapia di gruppo”, ci si accorge, ad un attento esame, di quanto non abbia veramente niente di nuovo;
ma che sia soltanto una rielaborazione o una riscoperta di un qualcosa
che esisteva già, di un qualcosa di preesistente, ben sperimentato e codificato, ma al quale non avevamo prestato la dovuta attenzione.
Nel nostro caso la convivialità delle veglie e diciamo pure la sua intrinseca necessità (vantaggio puramente materiale cioè, riscaldarsi), serviva forse all’insaputa degli ignari partecipanti, a farli star meglio anche
psicologicamente.
Aggiungerei che la semplicità di ragionamento, l’ingenuità con cui
si affrontano determinate situazioni, l’essere benignamente all’oscuro di
tante teorie pseudoscientifiche più o meno veritiere, li portava fondamentalmente da un “riposo mentale”, ad una “cessazione di stimoli”, il più
delle volte nocivi. Tutto questo essere un po’ “meno complicati”, a lungo
andare, ha sicuramente un tangibile effetto benefico sulla nostra psiche.
Spesso il segreto per non avere troppi problemi, è semplicemente quello
di non porseli.
Una volta parlai con un vecchio medico che mi raccontò un simpatico
aneddoto pieno di significato.
«C’era una volta un anziano signore che aveva una lunga e fluente
barba bianca, era molto orgoglioso di portarla e non gli arrecava nes-
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sun fastidio. Una volta incontrò un suo conoscente che gli disse: “Ma tu,
quando vai a letto, la barba la tieni sopra o sotto le coperte?” Il vecchio
non aveva mai pensato a questo e cominciò a porsi ossessivamente questa
domanda, fino ad arrivare al punto di non riuscire più a prender sonno».
Tante volte mi sono chiesto: «Si può soffrire d’ansia, non sapendo
cosa questa sia, non conoscendo la sua esistenza?».
In questa situazione di “non conoscenza”, avvertiremo ugualmente
dei disagi fisici riconducibili a tensioni nervose, ma questi tenderanno
sicuramente ad ingigantirsi se ne conoscessimo l’intima esistenza e i meccanismi alla base della loro genesi. Interviene un’ “auto induzione dello
stress” che va a peggiorare il nostro già precario equilibrio psichico.
Anche la troppa divulgazione e informazione medico-scientifica, può
essere deleteria se non viene offerta e recepita in modi più che appropriati. Ci sono persone che effettivamente ne traggono un vantaggio, mettendo
in pratica tutti i consigli finalizzati alla prevenzione. Altri invece, sapendo
che quel determinato sintomo potrebbe in qualche modo essere messo in
relazione con una patologia molto seria (si tratta spesso di persone potenzialmente ansiose), non fanno altro che incrementare il loro livello di apprensività già presente, peggiorando sensibilmente il loro stato di salute.
Tutto questo per dire che alle volte la famosa “beata ignoranza”, nel
senso proprio del termine di (ignorare, non essere a conoscenza), ci renderebbe la vita molto meno complicata.
Mi sto accorgendo di allargarmi un po’ troppo su argomenti che meriterebbero sicuramente ben altre competenze e altre sedi. Però il bello
dello scrivere è proprio questo. Scrivendo puoi dire, pensare, esporre,
divulgare le tue idee e convinzioni (personalmente ne ho veramente poche
di saldamente radicate), facendo un benefico e importantissimo esercizio
di ragionamento mentale.
L’essere liberi di divagare, poter saltare da argomenti ad altri senza
nessun vincolo se non quello indispensabile di un “susseguirsi logico”, mi
porta adesso ad indagare sul significato della scrittura e sulle sue motivazioni. Per cui, anche se partito da argomenti completamente differenti, mi
lascio piacevolmente coinvolgere da questo anche per me, nuovo stimolo.
Se devo esporre un concetto, sono costretto a pensare, a ragionare. Il
pensiero o meglio l’intuizione che lo precede, deve poi essere trasformata
in scrittura e nuovamente elaborata, ripensata, alle volte modificata, al
fine di trovare le parole più adatte a esprimere un determinato concetto.
Quindi esiste una doppia griglia filtrante che si evolve e modifica ulteriormente nell’atto dello scrivere.
Ci potremmo trovare paradossalmente a scrivere esattamente il contrario di quello che avevamo inizialmente pensato. Facendo questa continua ginnastica mentale, scopriremo un mondo a noi sconosciuto, fatto di
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sensazioni purtroppo dimenticate o stancamente assopite. Risveglieremo
ricordi più o meno piacevoli, ci soffermeremo riflettendo e ragionando sui
vari aspetti del vivere quotidiano, traendone grandi benefici. Impareremo
soprattutto a fare nostro un atteggiamento mentale, ritenuto da me importantissimo: cioè l’arte di osservare.
Solo con l’attenta osservazione riusciremo a percepire fino in fondo la
realtà, sia questa rappresentata dalle armoniose movenze di un cavallo in
corsa, dal viso rugoso e pensieroso di un vecchio o dallo sguardo aperto
alla vita di un bambino.
Come spesso accade nella storia della scienza (gravità Newton, penicillina Fleming), il saper osservare con occhio esperto e abituato a captare
le modificazioni indotte da determinati fenomeni fisici, ha permesso che
si giungesse alla futura scoperta scientifica, così anche la sensibilizzazione e iniziazione allo scrivere prevede un cammino fatto di osservazioni
ottenute da acquisizione di sensibilità, da evidenziazione di particolari,
cercando di diventare anche un po’ più curiosi nell’atto della conoscenza.
Riusciremo così, se già predisposti, a percepire e fare nostre sensazioni e sentimenti di cui non conoscevamo l’esistenza, essendo questi
come assopiti sotto il troppo impegno mentale rivolto alle troppe preoccupazioni del vivere quotidiano.
Ognuno di noi ha qualcosa da dire, da comunicare. Per farlo bisogna
solo aspettare quella che viene definita genericamente “ispirazione” o
con significato più profondamente religioso: “vocazione”.
Questi due benefici stati mentali (vocazione e ispirazione), in fondo in
fondo, non sono altro che la materializzazione dello sforzo fatto in precedenza, mirato ad acuire e dare forza all’osservazione, lasciandoci compenetrare apertamente e senza nessuna difesa da tutte quelle sfumature e
ricchezze di particolari di cui è ricchissima la realtà.
Chiusa questa parentesi, di come mi piace chiamarlo “benefico ragionamento”, concluderei questo capitolo consigliando a tutti coloro che
per caso stessero leggendo queste righe, di provare loro stessi a scrivere.
Ritrovarsi a tu per tu con i propri pensieri, le proprie emozioni, non
soffermandosi ad un’osservazione superficiale, ci farà ritrovare anche noi
stessi.
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Il Fusano
«Pronto chi parla?»
«Eh sun me» (sono io)
«Ho detto chi parla?»
«Eh sun me!»
Già l’essere svegliato nel cuore della notte non è sensazione molto
piacevole, ma non capire nemmeno chi stia parlando è davvero troppo.
Dopo vari: «Pronto…chi parla?» Seguiti da altrettanti: «Eh sun me»,
riuscii a capire di chi fosse la misteriosa voce dall’altra parte del filo telefonico.
Il mio riservato interlocutore credeva forse di essere il mio solo cliente (e per fortuna si sbagliava!) e aveva pensato di presentarsi in quel modo
a dir poco sbrigativo.
«Ho la pecora che sta male…venga subito a visitarla! Sta per morire...!»
Sembrava veramente un caso di assoluta urgenza.
Mia moglie, svegliata dallo squillo del telefono, decise di accompagnarmi. «Vengo anch’io perché sono più tranquilla…. c’è la strada gelata… poi intanto non dormirei ugualmente fino al tuo ritorno, tanto vale
andare in due».
Col tempo questa sua apprensione diminuì gradatamente, ma ancora
oggi – sono passati più di vent’anni – le mie uscite notturne, soprattutto
col brutto tempo, non la fanno dormire tranquilla.
Quella notte la temperatura era di molto sotto lo zero. La pioggia
caduta fino a poco prima aveva lasciato il posto a una sottile lastra di
ghiaccio. Ci vestimmo velocemente e uscimmo di casa dirigendoci verso il
Fusano (località posta a 1350 metri ai piedi del monte Cimone).
La nottata era limpidissima tanto che guardando il crinale innevato e
illuminato dalla luna, sembrava poterlo toccare. L’atmosfera quasi irreale
di quella notte lasciò però subito il posto alla “dura realtà”: la macchina
era completamente coperta di ghiaccio.
«Vai a prendere un po’ di acqua tiepida che sgeliamo le serrature e i
vetri, le chiavi non entrano!»
Una volta effettuata la “manovra di scongelamento” partimmo verso
la nostra destinazione. Sebbene avessi la trazione integrale e i pneumatici
da neve, alle prime curve mi accorsi dell’estrema scivolosità e pericolosità
del fondo stradale. Quello che mi impensieriva di più, però, non era tanto
la salita, ma la conseguente e inevitabile discesa.
In montagna si sa: si sale e poi si scende!
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«Rallenta! Non senti che stiamo sbandando? Stai più sul centro della
strada!»
Questi continui suggerimenti mi accompagnarono incessanti fino
all’arrivo al Fusano. Ad aspettarci c’era Franco.
«Signor, dottore, veterinario! Si dice così…, è vero?»
Non avevo mai ricevuto tanti titoli accademici contemporaneamente.
«La pecora sembra stare un po’ meglio, ma se l’avesse vista prima,
sembrava proprio che volesse morire! Non si voleva alzare e aveva degli
strani occhi… Ad ogni modo, ormai che è qui, andiamo pure a visitarla…».
Entrai nella stalla e la pecora che poco prima, a detta dell’apprensivo
proprietario,era in procinto di tirare le cuoia, mi venne incontro tutta baldanzosa, quasi a voler mettere in ridicolo l’eccessivo zelo del suo padrone.
«Ma guarda un po’ come possono cambiare le cose in poco tempo…
Ma sa…, la vedevo così male! Meglio chiamare per niente che per qualcosa! E poi ho pensato: è tanto una bella nottata che al dottore farà sicuramente piacere fare un giretto in montagna!»
Queste parole furono dette con una così profonda convinzione e accompagnate da un’espressione talmente serafica che non mi fu possibile
controbatterle in nessun modo.
Visitai ugualmente l’animale e lo trovai in buona salute; salutai Franco e ripresi la via del ritorno.
Quando scendemmo però l’estrema pericolosità della strada e i continui e assillanti consigli sul “come guidare” di Simonetta, mi fecero ritornare col pensiero alle parole di Franco: «È una così bella serata…».
Avrei voluto dirgliene bonariamente quattro, ma ormai, e sinceramente non mi dispiacque, era già troppo tardi.
Al Fusano c’ero già stato parecchie volte e in ogni occasione l’accoglienza era sempre stata sentita e calorosa, come quella volta che mi
chiamarono per un parto molto difficoltoso.
Come al solito era notte, d’inverno e c’era la neve.
Statisticamente è stato osservato che le vacche partoriscono di preferenza durante le ore notturne.
La causa di tutto questo potrebbe essere ricondotta al fatto che il drastico calo nel sangue degli ormoni che inducono il parto, avvenga soprattutto di notte, seguendo i cicli Circadiani luce-buio.
Anche la tranquillità e il silenzio, rotto soltanto dal caratteristico e
rassicurante rumore emesso dalle vacche durante la ruminazione o dallo
zampettare frettoloso di un grosso topo campagnolo in cerca di cibo, contribuiscono a rilassare tutti gli animali. In particolare quelli che devono
partorire risentono positivamente di questa atmosfera, iniziando così il
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loro travaglio. Molti contadini sono persino convinti che riescano a “trattenere il parto”, fino a quando siano loro stessi a decidere di iniziarlo.
Fatto sta, che anche questa volta il mio intervento era richiesto di notte.
Arrivai al Fusano verso le tre del mattino. Tutta la famiglia, moglie,
marito, fratello e l’anziana mamma, erano già tutti in piedi pronti a dare
una mano in caso di bisogno.
Il grande camino, acceso da tempo, emanava quel buon “caldo a
fiamma” che solo il fuoco sa diffondere.
La casa era percorsa da un via vai incredibile come se fosse stato
pieno giorno. C’era chi si infilava gli stivali e la tuta da lavoro, chi scaldava l’acqua, chi prendeva lo strutto che avrebbe poi avuto una duplice
funzione: quella di lubrificare al bisogno il canale del parto e quella ben
più gradita di friggere delle profumatissime paste fritte a lavoro ultimato.
A proposito del termine “vacca”, questo risulta essere ai non addetti
ai lavori, un po’ volgare, quasi dispregiativo, ricordando il suo significato
meno edificante.
Niente di più sbagliato! In quasi tutti gli allevamenti viene praticata la
fecondazione artificiale (una fredda cannula di metallo, guidata dal veterinario in modo asettico depone il seme in utero): figuratevi quindi che gran
godimento per lo sfortunato animale!
Pensandoci bene però è l’unico vocabolo che in italiano riesca a definire correttamente l’animale di cui stiamo parlando. Il termine “mucca” è
un vocabolo più gentile, meno “violento”, ma come diceva il prof di anatomia: «Ricordate: in medicina veterinaria esiste solo il termine “vacca”!
Non si studia l’anatomia della “mucca”... ma quella della “vacca”. L’altro
termine, se proprio volete, indica la “mucca Carolina”». Per chi non lo
ricordasse questo era un simpatico e conosciutissimo personaggio pubblicitario di una casa produttrice di formaggi: “L‘Invernizzi”
«Dai…., andiamo in stalla! Mio fratello Natale sta aspettando!»
Indossai il classico camice di plastica, i lunghi guanti ostetrici e mi
diressi verso la partoriente
«Deh ragaz, cuma vala?» (Dì, ragazzo, come va?)
Natale, fratello di Franco, mi salutava e saluta tutt’oggi sempre in
quel modo gioioso e quasi paterno.
Essendo un uomo di corporatura massiccia, alto e imponente, vede
tutti gli altri, me compreso che non sono certamente piccolo, come se fossero ancora bambini, come se dovessero ancora crescere.
Oltre questo, c’era nel suo tono una componente affettiva nei miei
confronti, che lo faceva esprimere in quel modo.
Si dice che fosse, e forse lo è ancora oggi, il più forte di Canevare. Lo
vidi più volte sollevare disinvoltamente bidoni del latte da cinquanta chili
o portarne due contemporaneamente.
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Una volta stavo visitandogli un cavallo particolarmente irrequieto. Gli
chiesi allora se avesse un torcinaso (strumento costituito da un robusto
bastone di circa cinquanta centimetri alla cui estremità viene legato un
pezzo di altrettanto robusto e resistente cordino, che va a formare una
specie di anella, in modo da poter legare con questa il naso del cavallo
stringendolo fino al punto di fargli male e costringendolo quindi a stare
fermo). Un po’ “drastico” come metodo di contenzione! Alle volte però con
animali altamente eccitati è veramente indispensabile.
Natale mi guardò un po’ negli occhi poi mi disse con voce stentorea:
«È turcinas è gl’o me in tal man! Sta a veder» (Il torcinaso l’ho io nelle
mani! Sta a vedere).
Si avvicinò all’imponente animale che già aveva “tirato” le orecchie
all’indietro in atteggiamento di difesa, subodorando quello che gli sarebbe accaduto. Gli infilò l’indice e il pollice della mano destra nelle narici e
torse violentemente il naso. Inizialmente il cavallo accennò a un timido
atteggiamento di ribellione, ma sentendo che la presa si faceva sempre
più serrata, si ammansì e potei così visitarlo tranquillamente.
Franco “del Fusano” e i suoi cavalli
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Ma torniamo al nostro parto.
Dopo una veloce esplorazione vaginale mi resi subito conto di quale
fosse il problema:
«Il vitello ha il collo torto da un lato e un arto flesso; così messo non
potrà mai passare! Bisogna metterlo in posizione fisiologica (arti all’avanti
e muso appoggiato su di questi), quindi cominciare a fare trazione».
La vacca cercava in tutti i modi di liberarsi “da quell’ingombro” ma
sebbene spingesse energicamente proprio non ce la faceva. Il “passaggio”
era troppo stretto e angusto, soprattutto per un vitello messo in quella
posizione anomala.
Mi “rinfilai” dentro la vacca e con la mano destra col dorso appoggiata alla parete dell’utero cercavo di ricondurre il vitello in giusta posizione.
«Spingono sempre quando non è necessario! Però sento che la testa
si sta muovendo; ancora una piccola spinta ed è fatta. Dopo penseremo
a raddrizzare l’arto flesso. Ecco... la testa è a posto! Dammi un laccio da
ballino che cerco di legare l’unghione incastrato!»
Dopo aver messo una mano sotto lo zampino a protezione dell’utero,
con l’altra feci forza sull’articolazione del gomito e contemporaneamente
ordinai a Natale, che teneva le estremità dei lacci, di tirare: «Conto fino a
tre! Al tre tira…! Mi raccomando non troppo forte!»
Presi lo strutto che avevo a portata di mano e lo spalmai ben bene
sulla testa del vitello. «Uno, due, tre!»
Come d’incanto lo zampino si raddrizzò e il vitello con una lieve trazione fu all’esterno.
Franco, che intanto aveva assistito quasi passivamente a tutta l’operazione, appena visto il nascituro leggermente assopito, disse: «Bisogna
subito fargli una di quelle iniezioni che lo fanno respirare meglio e che lo
“tirano su”. Poi un bel po’ di aceto nelle orecchie e vedrà che cambiamento!»
In effetti il vitello non aveva assolutamente bisogno di niente: tutt’al più
gli sarebbe servito un energico massaggio con del fieno, ma data l’insistenza di Franco: «Male sicuramente non gli fa!» e la frase di rito: «Meglio per
niente che per qualcosa!», dovetti iniettare una piccola dose di analettico
cardiorespiratorio che in realtà male non gli avrebbe sicuramente fatto.
È usanza comune quando nasce un vitello, a prescindere che stia
male o bene, versagli dell’aceto nelle orecchie. Questa sostanza che funzionerebbe da “stimolante olfattivo” viene invece usata in modo improprio: l’animale sbatte ripetutamente la testa per liberarsi dal liquido che
gli scorre nel canale uditivo e questo, dicono in campagna, “lo sveglia”.
L’aceto semmai funziona come i famosi “Sali” che si davano da annusare
una volta alle persone che avessero accusato un malore, nella speranza
di farle rinvenire.
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Dopo questo trattamento, e visto il benefico effetto, Franco aggiunse:
«Se n’è lighen, è scappa foeura di’la stalla!» (Se non lo leghiamo scappa
fuori dalla stalla! Ha visto come s’è ripreso!)
Il vitello aveva già la testa dritta e cercava in tutti i modi di alzarsi.
«Adessa è metten sotta la vacca, che è lecca ben ameud, po’ egh daren eh coloster» (Adesso lo mettiamo sotto alla vacca che lo lecca ben
bene, poi gli daremo il colostro).
L’animale fu messo alla portata della lingua della vacca che subito
cominciò a leccarlo da tutte le parti. Questo comportamento materno
(leccare il neonato) è tipico di molti animali. Serve per favorire il circolo sanguigno, libera le narici da eventuale muco, elimina completamente
gli invogli fetali che avvolgono il neonato. È un comportamento naturale,
istintivo. Alle volte però qualcosa non funziona anche nella meticolosa e
quasi perfetta programmazione ereditaria.
Ho visto e mi è stato riferito più volte di vacche che “prese dal troppo
entusiasmo” con cui accudivano il vitello e, soprattutto se questo aveva il
cordone ombelicale sanguinante, gli hanno provocato, leccandolo, vere e
proprie lacerazioni sull’addome tanto da farlo morire. Anche cani e gatti
alcune volte passano dal semplice leccamento dei neonati a vero e proprio
cannibalismo.
Franco “del Fusano” nella sua stalla
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Intanto il profumo delle paste fritte aleggiava nell’aria insinuandosi
da tutte le parti, riuscendo anche a sovrastare quello pur forte della stalla.
«Venite finché sono ancora calde!»
Chi parlava era l’Ermentina, moglie di Natale, purtroppo prematuramente scomparsa. Lei, vera donna di campagna, sempre attenta a tutto e
a tutti, infaticabile, cordiale e ottima cuoca.
Specifico che erano le quattro del mattino! Ma in campagna si sa: i ritmi sonno-veglia sono completamente diversi da quelli a cui siamo adesso
abituati. Si va a letto presto e ci si alza prima dell’alba.
Una volta giunsi a casa di un allevatore che erano le sei del mattino;
era il mese di maggio.
«Car eh me duttur, eh sul è sé bel alvà da un pez» (Caro il mio dottore
il sole si è già alzato da molto)
Con queste parole mi accolse un arzillo vecchietto ultra ottantenne che
alzatosi alle quattro aveva già lavorato due ore nella stalla. Secondo i suoi
ritmi le sei di mattina erano da considerarsi un orario già troppo tardivo.
«Si sente bene che le avete fritte nello strutto... hanno quella fragranza che nessun olio riesce a dargli, poi mangiate calde con questo ottimo
parmigiano sono veramente insuperabili»
Tra un bicchiere e l’altro parlammo della loro gioventù trascorsa a
“badar greggi” a quei tempi molto numerosi. Alla fine dell’ottocento si
contavano parecchie migliaia di ovini pascolare nelle nostre zone.
Avevo di fronte a me persone che da bambini avevano vissuto l’esperienza fantastica e avventurosa della transumanza:
“Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.”
(Gabriele D’Annunzio, I Pastori).
Al Fusano sono particolarmente legato perché vi ero già stato parecchie volte con mio padre e lui mi raccontava di quando da bambino,
accompagnato a sua volta da suo padre, vi si recasse per contrattare l’acquisto di una mezzena di maiale.
Mi piace immaginare i loro discorsi, mi piace ripercorrere gli stessi
sentieri, calpestare gli stessi sassi, toccare gli stessi alberi, fermarmi ad
ammirare gli stessi paesaggi e leggere le iscrizioni delle stesse maestà: “O
passeggero fermati a salutar Maria…”.
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Purtroppo il tempo passa, le generazioni si avvicendano, la vita lascia
il posto alla morte, ma fortunatamente anche la morte lascia il posto a una
nuova vita. Certe cose però sembrano non cambiare.
La dura pietra della maestà, il centenario ciocco di castagno, l’acciottolato ben levigato del sentiero, sembrano avere un’anima immortale che
pare innescare sentimenti ed entusiasmanti sensazioni che si trasmettono
immutate e inalterate nel tempo, stimolando e generando gli stessi pensieri e gli stessi stati d’animo che furono propri di chi, prima di noi, aveva
attraversato quei luoghi.
Entrare a far parte di quest’“anima immanente” è un modo quanto
mai naturale di essere più vicini alle care persone scomparse.
FANANO
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Quando mia nonna fumava
di Bruno Turchi
«Su Bruno! È ora di alzarsi!»
A fatica emergo dal sonno ed apro, dubbioso, un occhio ancora gravido di sonno. Il volto sorridente di mia madre è chino sul letto, mentre con
una mano mi scuote dolcemente.
«Avanti pigrone! Non vuoi venire alla Superchina?»
Un lampo squarcia la mia sonnolenza: accidenti! Mi ero dimenticato!
Oggi è martedì! La mamma vuole andare a rivedere il posto dove siamo
stati sfollati in tempo di guerra!
Sotto il suo sguardo divertito, mi siedo sul letto, mettendo i piedi sul
pavimento alla ricerca delle ciabatte. Alzandomi, fatico a mantenere l’equilibrio e annaspo nell’aria; un braccio mi sorregge.
«Piano! Piano! C’è tutto il tempo! Adesso lavati e scendi per la colazione»
Ormai sono del tutto sveglio e mi affretto. Verso l’acqua della brocca
nel catino e tuffando entrambe le mani mi detergo rapido il viso. Afferro
l’asciugamano e mi sfrego energicamente il viso. Mi guardo nello specchio
mentre un raggio di sole, penetrando dagli scuretti accostati, taglia lo spazio con una lama dorata, nella quale ondeggia un pulviscolo di polvere e
mi colpisce gli occhi. Mi perdo nella contemplazione di quelle particelle
FANANO
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brillanti mentre un profumo di pane fresco si sparge nella stanza, proveniente dal camino del forno di Dionigi.
Un colpo di tosse, proveniente dal piano terra mi riporta alla realtà.
Indosso rapido, gli indumenti, lasciati in bella mostra da mia madre
sulla sedia e scendo le ripide scale con precauzione, memore delle scivolate passate.
Attraverso la sala in punta di piedi per non svegliare il villeggiante
dell’albergo Roma che dorme sul divano letto protetto dal paravento. L’albergo ha meno camere dei villeggianti che ospita in estate e nei momenti
di ressa, ne affitta nelle vicinanze e anche posti letto.
In cucina ci sono mia madre, mia zia e la nonna che stanno preparando la tavola. Sulla stufa economica si sta scaldando il bricco del latte
mentre nella caffettiera napoletana scende la miscela di orzo e surrogato
Leone. La zia mi porge una tazza di latte fumante, versa la miscela e mi
allunga un piattino con dei cubetti di pane.
Mentre inzuppo il pane osservo mia madre che toglie dal fuoco un
tegamino con delle patate lesse, cotte nel burro e le accompagna alla sua
colazione. È una usanza svizzera, di quando sono emigrati a Bulle nel
Canton Friburgo. Mio nonno faceva il livellatore di strade mentre la nonna
lavorava in una fabbrica di cioccolata. Mia zia, che è più grande di mia
mamma, ha fatto le scuola là e nella sua camera custodisce ancora i libri
di scuola in francese. Anche mia nonna a volte ricorda nel parlare quella lingua; infatti quando deve dire “partire” lei dice sempre “sortire”. A
me non piacciono le patate col latte, mentre invece sono molto ghiotto di
un’altra usanza svizzera e cioè accompagnare il caffè-latte con una bella
fetta di formaggio tenero.
«E il formaggio?» protesto. Vengo subito accontentato e mi riempio la
bocca di pane, latte e formaggio.
La nonna mi osserva severa.
«Non ingozzarti come un’oca! Sembra che sia una settimana che non
mangi! Di su, hai detto le preghiere?»
Perbacco mi sono dimenticato! Divento rosso e non so cosa rispondere. Fortunatamente interviene mia madre
«Mamma, lascialo stare! Avrà tempo di rimediare quando saremo alla
maestà del cimitero…vero Bruno?»
La nonna si lamenta della interruzione.
«Difendilo pure quel birbante. Vedrai quando sarà grande…»
Innervosita dall’osservazione, la nonna infila una mano nel grembiule e cerca nervosamente qualcosa.
«Chi mi ha nascosto le sigarette?» protesta lamentosa. E sì! Sembra
impossibile, ma la nonna fuma! Una abitudine riprovevole che penso abbia contratto quando era in Svizzera, dove, fumare, per le donne, era una
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forma di emancipazione. Non so se il nonno era d’accordo o meno. Sta di
fatto che ora che è rimasta vedova, una sigaretta al giorno, dopo pranzo
la fuma e sembra proprio che la gusti.
«Sono le sette di mattina mamma!» protesta la zia «Adesso vado a
vedere in camera tua dove le hai lasciate ma fino a dopopranzo niente.
Hai capito!»
All’improvviso la stanza cade in una totale oscurità. La cucina, infatti,
prende aria da un finestrone molto piccolo, situato in alto, e di luce ne
scende pochina. Infatti tutto il giorno l’ambiente è illuminato dal lampadario
«Accidenti! È saltata di nuovo la valvola!» brontola mia zia e si lascia
sfuggire un grido di dolore: ha evidentemente urtato contro una sedia.
«Hai pagato la bolletta?» infierisce la nonna.
«Mamma!» esclama esasperata la zia.
«Quante volte vi dico che ci vuole un filo più grosso nella valvola! –
continua la nonna – quando lo facevo io questo non succedeva…»
«Mamma per favore non ricominciamo! E adesso dove sono le candele?»
«Io lo so! – intervengo – le ho viste nel cassetto di bottega»
«In bottega? – mormora la zia – comode da trovare al buio!»
Io però sono già sgattaiolato fuori dalla stanza e alla tenue luce proveniente dalla vetrata della bottega ho trovato subito le candele e i fiammiferi.
«Eccole!» grido, pregustando già gli sviluppi della situazione. E infatti… Appena la zia ha acceso la candela che io tengo ben diritta nella sua
bugia di latta ecco la domanda angosciosa
«Dov’è il filo di rame?» chiese la zia. Siamo alle solite: il filo di rame è
introvabile (specialmente nella semioscurità che ci circonda) per cui dopo
un tumultuoso aprire e chiudere dei vari cassetti della credenza la zia si
lascia cadere affranta sulla sedia.
«Quante volte vi dico…» comincia allora la nonna.
«Mamma!» gridano all’unisono la zia e mia mamma. È il mio momento! Infilo una mano nelle tasche dei miei calzoni e trovo un pezzetto di filo
che tengo sempre di riserva.
«L’ho trovato! L’ho trovato!» grido tutto festante. La mamma mi abbraccia e mi bacia.
«Bravo il mio Bruno!»
Si può così procedere nelle operazioni. La mamma, che è più disinvolta nei lavori artigianali sale sulla sedia, stacca la piastrina della valvola
e sostituisce il filo.
«Stai attenta!» le raccomanda la zia. Ed ecco che la luce illumina la
bottega! È finita: possiamo partire per la Superchina.
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Il buon pescatore DI FELLICAROLO
di Romelio Bellettini
Molti lettori sanno che sono nato a Fellicarolo. Vivo però a Gaggio
Montano da tanti anni: qui ho famiglia, il mio lavoro e tantissimi amici.
Ma immancabilmente, ogni settimana, salgo almeno una volta al mio paese per vedere mia madre, mio fratello, le mie sorelle e tutta la famiglia.
E anche i miei compaesani. Eppoi perché mi piace non perdere contatto
con il mio paese.
Durante una delle visite ho incontrato una vecchia conoscenza: Alfeo
Corsini detto Alfio, classe 1946, nativo di Fellicarolo. Suo padre era Giovanni detto Gianin ed Zigarin, di mestiere mugnaio. Alfeo Corsini emigrò
in Francia nel 1975 dove si impiegò come autista alla Renault.
«Romelio ho qualcosa da darti e da raccontarti. Ho saputo della morte di tuo padre Giovanni; non ho potuto partecipare, come avrei voluto, al
suo funerale. Mi e tanto dispiaciuto perché ho un grande debito nei suoi
confronti».
Non ero a conoscenza di niente, fui sorpreso e chiesi ad Alfeo che
teneva sotto il braccio un oggetto avvolto in fogli di giornale: «Ma di cosa
si tratta?».
«Era il 1951, d’estate, avevo cinque anni e il mio parco giochi era
quello del greto del torrente Fellicarolo, a pochi passi dal mulino di Nerichino dove vivevo con la mia famiglia. I miei giochi preferiti erano quelli
semplici dei bambini di quei tempi: scegliere i sassi rotondi con le loro
varietà di forme, gettare nell’acqua dei rametti immaginando che la corrente li avrebbe portati, come piccoli vascelli, verso il mare; un altro divertimento era quello di battere i sassi per aprirli per scovare se dentro
ci fosse un tesoro.
Quel giorno avevo trovato, in mezzo ai sassi, un oggetto ovale di un
vago colore marrone. Era completamente incrostato. Che sasso buffo,
pensai. Lo raccolsi e con un’altra pietra cominciai a batterlo per spezzarlo
e per vedere che sorpresa ci fosse all’interno.
A qualche decina di metri un uomo stava pescando tranquillamente.
Lo avevo già visto, ma come capita ai bambini il nome sfugge, ma non
quel viso che mi era familiare. Improvvisamente l’uomo che sembrava
solo intento alla pesca di trote, ma non mi aveva perso d’occhio, mi urlò:
“Fermati, aspetta!”. Con pochi balzi mi raggiunse, prese la bomba a mano
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che stavo percuotendo e la gettò lontano, nell’acqua. L’ordigno esplose
fragorosamente. Capii, anche se ero un bambino di soli cinque anni, che
ero scampato ad una disgrazia sconvolgente.
Il pescatore mi disse che quell’episodio doveva restare un segreto fra
noi due. “Non parlarne con nessuno”. “Sì, sì” dissi, tutto tremante.
Ora te lo posso confessare: quell’uomo era tuo padre. A lui devo la vita
e non l’ho mai dimenticato. Quando lo incontravo non c’era bisogno di ricordare quel fatto: bastavano i nostri sguardi per assicurarci, a vicenda,
che avremmo mantenuto l’impegno di non rivelare il nostro “segreto”».
Alfeo aprì il pacchetto: dentro c’era una statuetta di metallo: un pescatore con lenza e tutta l’attrezzatura necessaria.
«Romelio, l’ho portata e ti chiedo il permesso di metterla, quando
sarà pronta la lapide, sulla tomba di tuo padre».
Alfeo mi ha fatto due grandi regali: la storia che mi ha confermato la
generosità d’animo di mio padre Giovanni e questa statuetta che gli terrà
compagnia al camposanto.
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SERA NELLA VALLE DI OSPITALE
(Sull’aia di Ca’ di Cecchino)
L’ombra
si è ormai distesa
su tutte le pietre dell’aia.
Ed ora, lenta, sale sui tronchi
dei frassini e dei faggi
che si fanno sempre più scuri
nella sera che li avvolge.
Si spegnerà fra poco
anche quell’ultima luce
che, incerta, ancora brilla
sulle foglie
del frassino più alto.
Ma poi scenderà la notte,
la luna salirà sui nostri monti,
e di nuovo saremo immersi
nel silenzioso incanto
della nostra valle.
FANANO
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QUELLA MESSA SULLO SPIGOLINO
di Vanni Tagliani
«Bravo… dai… ormai sei in cima...».
Gli incitamenti che la testa trasmetteva mi davano sollievo e quella
convinzione che era venuta meno al momento di partire dal paese.
Già. Non mi sentivo a posto per cui la voglia di salire allo Spigolino
era ben poca. Sarà per un altro anno, pensavo, ma per fortuna l’imput
decisivo arrivò a prevalere sui miei dubbi e mi sospinse in auto alla volta
della Croce Arcana. Proprio “per fortuna” perché quella sera, venerdì 7
agosto del 2009, non potevo sapere che sarebbe stata l’ultima volta che
– a meno di attuali eventi miracolosi di ardua previsione – avrei potuto
essere presente alla seducente Messa sulla montagna.
In vetta, alla severa quota di 1827 metri, ci arrivai con una confortante ascesa e relativo fiatone finale, permettendomi però, con sorpresa,
di sopravanzare svariate persone, anche più giovani del malandato sottoscritto.
Lassù, con il giorno che lancia gli ultimi bagliori lasciando posto alle
avvolgenti tenebre, ti aspetta un altare di spessa pietra e una robusta croce di legno che rincuorano l’escursionista e che attendono pazienti, tutto
un anno, per rivedere i fedeli salire le pendici del monte per il sacro rito
dell’eucarestia.
Ed è una sera davvero speciale dove il ritrovarsi, anno dopo anno, diviene quanto mai bello e gratificante. Gruppetti di persone che si salutano,
si abbracciano, si rivedono, magari anche dopo tanto tempo proprio sullo
Spigolino, proprio a quella Messa straordinaria.
Così si aspettano gli ultimi arrivi mentre dalla parte opposta una sequela di luci avanza nel sentiero dello Scaffaiolo tale da dare l’impressione di un presepe vivente, coi pastori che salgono verso Gesù. Ma sono,
invece, gli amici di Lizzano e Vidiciatico che pure si sentono partecipi
all’evento del vecchio Folgorino.
Oramai si può iniziare la speciale liturgia, sono tutti in vetta (in genere, col tempo buono, circa 70/80 fedeli, arrivando, a volte, al centinaio). I
grappini, qua e là, hanno fatto la loro utile comparsa insieme a particolari
attrezzi fotografici per riprendere un ambiente davvero unico.
Se poi, come spesso avviene, la giornata (si attende, in genere, la
luna piena dell’ultima decade di luglio) è propizia, allora, lassù in vetta,
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col vento assente e l’aria tiepida, la luna a schiarire le catene dei monti e
le miriadi di stelle che paiono affacciarsi per godersi la cerimonia, l’atmosfera ovattata e quel silenzio strano ma corposo, appena rotto dal bisbiglio
delle preghiere, ti danno la sensazione dell’irreale.
Come irreale ti appare il suggestivo paesaggio che si adagia verso la
Toscana a sud, contrapposto a quello dell’Emilia a nord, con scenari unici
e visuali che spaziano dalla pianura padana sino all’alto Tirreno.
Ma ecco finalmente il sacerdote dare inizio alla Messa, ora nelle vesti
di don Giacomo di Vidiciatico, di don Andrea, don Paolo, don Francesco e don Michele di Fanano che si sono succeduti dal 1988, quando, su
iniziativa di alcuni “Amici della Montagna” di Fanano stesso e la pronta
adesione dell’allora parroco don Gianelli – a fronte dei ripetuti scellerati
atti ai danni di precedenti croci erette sullo Spigolino – si decise di andarci
a dire Messa, per esorcizzare e “ripulire” la vetta dai sacrilegi compiuti
(croci abbattute e gettate nel dirupo).
Intanto la Funzione ha preso avvio, la gente è tutta sparsa attorno
all’altare illuminato dalle luci delle pile. La concentrazione è totale, vera,
intensa tanto che il rito scivola via veloce attraverso le orazioni a ricordare
chi non c’è più, le riflessioni personali, i tenui canti che sembrano sorgere
Il celebrante don Francesco di Fanano, dietro sulla sinistra don Giacomo di Vidiciatico.
(Foto di Claudio Andreoni)
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da terra per innalzarsi verso il cielo, la breve omelia che non può non armonizzarsi col luogo inconsueto teatro dell’avvenimento, con l’ambiente
che ti circonda e ti fa sentire davvero più vicino a chi tutto ciò ha creato.
Poi la comunione, la benedizione ed il rituale motivo del “Signore delle Cime”, bellissima preghiera alpina che canti con gusto e a “pelle d’oca”,
perché lassù tutto ha un sapore diverso, un sapore vero.
E giunge l’ora del ritorno con le comitive a gruppetti che si salutano
con calore iniziando a scendere chi verso la Croce Arcana e chi in direzione dello Scaffaiolo, tutti alla luce delle torce elettriche, nel chiarore di una
notte estiva di luna piena.
Uno sguardo ancora all’amato Spigolino, un arrivederci all’anno
prossimo, un grazie a quella montagna che conserva gelosamente sulla
sua cima il simbolo della cristianità e che regala serate indimenticabili che
restano nel cuore e nella mente.
www.park hotel fanano.com info:053669350
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Scaffale Fananese
a cura della Redazione
A proposito di un libro di storia fananese
Sul libro San Giuseppe di Fanano, la “Chiesa dei Padri” di Raimondo
Rossi Ercolani, edito nell’estate scorsa su iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (con un contributo della nostra Associazione e
del Comune di Fanano), sono state pubblicate diverse recensioni, in quotidiani locali (Gazzetta di Modena, Il Resto del Carlino, Prima pagina) e in
periodici della provincia (Nostro Tempo, settimanale cattolico modenese,
e Notizie, giornale laico modenese).
Pur con accentuazioni diverse, in tutte viene sottolineato come sia la
parte storica, concentrata nei primi capitoli del libro, che quella artistica
(nei successivi) contribuiscano nell’insieme a ricostruire – in modo scorrevole ma sempre ben documentato – la storia della chiesa e dell’importantissimo complesso scolopico fananese, inserendola nella più ampia storia
del nostro paese e del suo territorio. Rispetto poi all’edizione precedente,
del 2002 (La Chiesa e il Convento di San Giuseppe nella storia di Fanano), viene messo in rilievo il completo rifacimento della parte fotografica,
molto più ricca in quantità e in qualità, e la revisione di tutto il testo, con
il dettagliato resoconto dei lunghi e ben riusciti lavori di restauro, delle
notevoli scoperte effettuate in tale occasione, della nuova solenne inaugurazione del 19/3/2008 e dei risultati delle ricerche storico- artistiche svolte in questi ultimi dieci anni soprattutto dall’autore e dal suo validissimo
collaboratore Gaetano Lodovisi.
Tuttavia, piuttosto che queste recensioni, la redazione di Fanano fra
storia e poesia ha preferito riprodurne un’altra, quella che sarà pubblicata su Archivum Scholarum Piarum da parte del professor Goffredo Cianfrocca, lo storico dell’ Ordine Calasanziano che i fananesi già conoscono
per averlo ascoltato nel Convegno su Padre Odoardo Corsini del 4-5 ottobre 2002. La scelta di questa recensione rispetto alle altre è motivata
sia dall’autorevolezza dell’autore che dal prestigio (internazionale) della
rivista, ma anche dal fatto che in essa il professor Cianfrocca amplia il discorso al di là del libro in oggetto, ripercorrendo con forte partecipazione i
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rapporti che hanno indissolubilmente legato il paese di Fanano all’ Ordine
dei Padri Scolopi: dai tempi di Ottonello Ottonelli fino ai nostri (ad esempio
con il citato Convegno del 2002).
San Giuseppe di Fanano,
la “Chiesa dei Padri”
di Raimondo Rossi Ercolani
Debatte Editore, Livorno 2013
Qui si tratta di Fanano, una gentile e linda cittadina
in quel di Modena. Situata sul confine tosco-emiliano,
ai margini della Toscana e dell’Emilia, è un grazioso
centro agricolo- turistico, visitato frequentemente dalla
storia generale, specie nei tempi andati.
Nei tempi pre-moderni vi transitavano i pellegrini che dalla pianura
salivano in Appennino per poi scendere in Toscana e quindi a Roma, lungo
la via che sarà denominata “Romea-Nonantolana”. Era, per i Longobardi,
un valico strategicamente importantissimo che consentiva i collegamenti
fra i loro territori a Nord e a Sud dell’Appennino onde presidiare i loro
confini orientali nei confronti del vicino Esarcato di Ravenna. Oltre che
tanti eserciti, vi passarono molti personaggi, provenienti dalla Toscana o
ad essa diretti, come San Bernardino da Siena, Cosimo de’ Medici, papa
Eugenio IV e tanti altri.
Rimasta terra di confine fino all’unità d’Italia, nei tempi moderni vi si
svolgevano tribolatissime contese per la definizione dei confini orientali,
verso il bolognese. Insomma, qui è passata la storia, e pure la grande storia.
Purtroppo non vi sono passati i grandi storici.
Per fortuna, gli storici – diciamoli minori – non l’hanno sdegnata, ne
curano anzi la memoria e la tramandano – si direbbe – con quasi devozione alle nuove generazioni.
È successo qui quello che s’è verificato in tanti altri centri periferici.
Persone letterate, aliene dal cercare la propria fama ma intese a qualificare
l’identità della propria terra, hanno guardato con rispetto e con ammirazione alle vestigia degli eventi passati, conservate nella memoria viva della
popolazione tutta e talvolta anche segnate nelle denominazioni stradali e
rionali antiche, oltre che scolpite da monumenti eretti a rappresentare momenti e personaggi di un passato di cui la comunità pregia onorarsi.
A supporto di queste rimembranze, tali studiosi hanno ricercato testimonianze scritte dei tempi trascorsi. Hanno trovato e non cessano di
trovare carte, cronache, resoconti, notizie, fissate sulla carta o in immagi-
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ni e dipinti, e conservate con tutt’altro intento di quello che i nostri autori
poi ne hanno fatto. Quando sono così diventati autentici documenti di
storia sulle scrivanie di qualche letterato locale, fosse talvolta un professore laico in pensione, un insegnante di seminario a riposo, tal’altra un
qualche familiare di un casato nobile oppure un dipendente sfaccendato
delle magistrature locali.
Una simile avventura è toccata anche a Fanano, e ve n’è ben donde.
Merito di chi pose nel passato i fondamenti di una storia imperitura
per la comunità e di chi ne illustra oggi la memoria splendida non ancora
spenta.
Su questi soggetti ci informa abbondantemente il saggio di Raimondo
Rossi Ercolani che ne è l’autore. Praticando la Biblioteca Comunale “Rossi-Di Bella”, è un cultore assiduo della storia di Fanano da alcuni decenni,
che ha già illustrato in varie pubblicazioni.
Quest’ultima sua pubblicazione si presenta veramente magnifica per
la veste tipografica, corredata di ben 40 riproduzioni a colori di dipinti, di
esterni-interni delle strutture architettoniche e degli arredamenti, oltre 120
riproduzioni in bianco e nero comprendenti numerosi documenti originali.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, assieme al Comune di
Fanano e alla locale Associazione Culturale della Valle del Leo “Ottonello
Ottonelli”, ha patrocinato la pubblicazione in occasione del completamento
dei lavori di restauro del sacro edificio, dedicato a San Giuseppe, che però
la gente usa denominare “La Chiesa dei Padri”. I quali sono i Padri Scolopi.
La chiesa infatti risale agli anni Venti del ‘600, quando gli Scolopi la
costruirono e la vollero attigua al proprio convento e alle aule scolastiche.
Erano stati invitati a impiantare anche a Fanano quelle scuole pie che il
Calasanzio aveva appena istituite in Roma e che tanto successo stavano
conseguendo soprattutto nei piccoli centri in forza della loro gratuità e in
virtù della povertà dei religiosi insegnanti.
Tuttavia, a dirla tutta, non fu il Calasanzio a scegliere Fanano, ma fu
Fanano a scegliere il Calasanzio, prete spagnolo che, ispirato dalla carità
e dalla cultura da diffondere nelle masse, s’era trovato a fondare un Ordine religioso di insegnanti.
In effetti fu proprio un fananese a scoprirlo di persona a Roma, ne
divenne subito collaboratore (1617), e portò le scuole a Fanano (1621).
Perseguiva l’obiettivo di dotare finalmente la sua patria di scuole pubbliche e aperte a tutti. Si chiamava Ottonello Ottonelli, di una famiglia nobile
che si interessava della città e della cultura.
Avvenne allora una cosa singolare: egli ebbe le sue scuole, ma il Calasanzio guadagnò un “operaio” (Così chiamava i suoi collaboratori) fra i più
attivi e produttivi nella sua istituzione. Tanto da venire nominato rettore
della Comunità fananese, e poi eletto Assistente Generale dell’Ordine.
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Padre Ottonelli divenne così il primo di una lunga e scelta schiera di
scolopi fananesi che diedero lustro all’Ordine calasanziano e alla loro città.
Ne ricordiamo alcuni fra i più insigni: il filologo Odoardo Corsini dell’Ateneo pisano, che fu addirittura Superiore Generale dell’Ordine, Giuliano Sabbatini, fatto vescovo di Modena, l’esimio teologo padre Balestri, lo
storico della prima ora Niccolò Pedrocchi, padre Giovan Battista Rosani,
fatto vescovo e vicario della Basilica Vaticana. Tanto per dire dei più noti,
ma senza dimenticare la folta schiera degli scolopi ignoti che fino al 1810
continuarono assiduamente il magistero quotidiano, avviando alla pietà
e al sapere (e alla vita civile e pubblica) innumerevoli scolari di Fanano e
degli altri luoghi circonvicini. “Insomma bisogna confessare – dichiarava
il Muratori in una lettera a Odoardo Corsini – che Fanano è privilegiato
da Dio in materia d’ingegni”.
Ma riprendiamo il saggio del prof. Rossi Ercolani. In sette capitoli, in
forma lucida e ordinata, egli svolge la narrazione dell’argomento prediletto, sempre attento alle fonti, tanto da arrivare ad aggiungere, con un cartoncino sciolto e inserito nella pubblicazione già avvenuta, un breve brano
di un documento scoperto ultimissimamente, “a testimonianza della più
antica presenza della famiglia Ottonelli a Fanano, della sua importanza già all’inizio del XIV secolo e della sua antica fedeltà agli Estensi”.
Mi pare di dover concludere che
il saggio di Raimondo Rossi Ercolani
è veramente pregevole. Per la continua contestualizzazione degli accadimenti narrati interessa soprattutto i Fananesi e gli studiosi di quelle
zone rimaste in penombra nelle storie generali d’Italia, ma interessa
in particolare gli Scolopi che hanno
molto care le origini straordinarie
della propria Istituzione. La presente opera del nostro autore si aggiunge con onore alla già lunga serie di
studi – il che si rileva dall’abbondante bibliografia – che nel corso del
tempo sono stati via via dedicati a
questo centro di qualche migliaio di
abitanti. A cominciare dai notevoli
studi condotti e pubblicati da autorevoli Scolopi, e che il nostro auto-
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re conosce assai bene, per aver frequentato l’Archivio
delle Scuole Pie fiorentine e quello della Casa Madre
di Roma in San Pantaleo. Che egli si fregi di essere un
sincero cultore dell’istituzione calasanziana risulta in
particolare dall’aver promosso nel 2002 il Convegno
partecipatissimo su Padre Odoardo Corsini, un fananese del XVIII secolo al servizio della scuola, della cultura e della fede, dall’averne curato la pubblicazione
degli Atti, e – non da ultimo – dall’aver ospitato con
l’Amministrazione Comunale un bel gruppo di Scolopi,
in rappresentanza del Superiore Generale dell’Ordine e in funzione di relatori al Convegno stesso.
Perciò trova giustamente posto una menzione speciale del saggio del
prof. Rossi Ercolani in questo Archivum, che, essendo la principale rivista
dell’Ordine calasanziano, accoglie sempre con piacere le collaborazioni
che si segnalano nell’ambito della storia dell’Ordine.
Fanano: gli anni della nostra storia…
di Valerio Tagliani
Noi redattori di Fanano fra storia e poesia eravamo sinceramente convinti che l’amico Valerio Tagliani
avesse esaurito tutte le proprie doti di pazienza e di
costanza nel compilare, assieme a “Grival” (“al secolo” Giuliano Felicini), gli indici relativi ai primi venti
numeri della nostra rivista. E invece siamo stati clamorosamente smentiti: infatti il lavoro che l’ha impegnato ultimamente ha richiesto, in pazienza e costanza, un impegno ancora
maggiore, e di molto. Vediamo, in breve, di cosa si tratta.
In circa 540 pagine Valerio ha raccolto tutte le notizie – elencate in
ordine cronologico – riguardanti la storia di Fanano, dalla sua fondazione
ai giorni nostri, attingendo a tutte le fonti disponibili (nella bibliografia
sono citati più di 200 testi presi in esame!).
Per la precisione è bene chiarire che non si tratta di un libro di storia
in senso stretto, che avrebbe richiesto un taglio diverso, con una valutazione critica delle fonti, una loro scelta (e quindi anche un peso diverso
a seconda della loro importanza) e una narrazione continuativa che collegasse le une alle altre. Questo sarebbe stato possibile soltanto a uno
storico professionista: e Valerio non lo è, né tanto meno vuole atteggiarsi
a tale (come invece è purtroppo successo ad altri). Piuttosto, egli si è acco-
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183
stato alla storia di Fanano con grande umiltà (oltre che con straordinaria
tenacia), mettendo in fila un’incredibile quantità di dati e di date: sarà
poi il lettore, anche in base ai propri interessi, a valutarne, caso per caso,
l’importanza nell’ambito della più ampia storia del paese.
In secondo luogo si può osservare che i risultati di questo impegnativo lavoro sono tanto più efficaci quanto più nella cronistoria fananese ci
si avvicina ai nostri tempi, anche a causa della maggiore abbondanza e
del più facile controllo delle fonti: e, infatti, non è un caso che circa metà
dell’opera sia dedicata al solo secolo XX e agli inizi del successivo (con più
di 70 pagine per il periodo della seconda guerra mondiale). Molto positiva
poi la scelta delle immagini (fotografie, piantine, etc.), numerose e sempre
aderenti al testo.
In conclusione si tratta di un libro che risulterà particolarmente utile
a tutti coloro (storici o persone comunque interessate a Fanano) che vogliano studiare, o anche solo conoscere meglio, un determinato periodo
storico del nostro paese, attraverso i grandi, ma anche i piccoli avvenimenti.
Chi desidera averne una copia (28 euro) si rivolga direttamente a Valerio Tagliani (334.7591907 - [email protected]): per evitare inutili
spese, verranno infatti stampate soltanto le copie prenotate.
(R.R.E.)
Storie di confine
Appunti e ricerche su un territorio montano
(Frignano, secoli VIII-XXI)
a cura di Matteo Al Kalak
L’agile volumetto (188 pagine), pubblicato nel 2013
dalla casa editrice Viella di Roma, raccoglie una varia
e numerosa serie di saggi (per l’esattezza: nove) che
hanno in comune l’appassionata attenzione e l’approfondito studio del nostro territorio frignanese. Il curatore e coordinatore
dell’opera, il professor Matteo Al Kalak, nell’introduzione prende spunto da un brano nel quale “Riflettendo sulla varietà come principio della
bellezza e sull’inarrivabile sapienza di Dio, Ludovico Antonio Muratori
invitava i suoi lettori a non liquidare troppo sbrigativamente l’asperità
delle montagne, da cui tanto si poteva imparare”.
Ai tempi del nostro grande storico, infatti, la montagna era guardata
ancora con una certa diffidenza, come un luogo spesso chiuso in se stesso
e poco interessato alle (e dalle) grandi vicende storiche; eppure gli studi
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successivi (e il libro in oggetto ne è un ottimo esempio) hanno ampiamente
ridimensionato questa visione piuttosto riduttiva della storia frignanese,
arrivando anche a rivalutare elementi che la storiografia precedente aveva considerato come del tutto negativi (ad esempio, l’apparente “chiusura
al nuovo” ha avuto come contrappeso la conservazione di importanti tradizioni).
Non potendo elencare i titoli e gli autori di tutti i saggi contenuti nel
libro, richiamiamo l’attenzione dei nostri lettori in particolare sugli ultimi
due, di argomento strettamente fananese.
Nel primo di questi (Un’antica carta della montagna: la mappa della
Croce Arcana di Federica Badiali) viene presentata una rarissima carta
antica della seconda metà del XV secolo, conservata nell’Archivio di Stato
di Modena (“Mappario Estense”) nella quale è descritto in modo particolareggiato, ma anche artistico, il territorio fra il Corno alle Scale e il Monte
Cimone, lungo le vallate dei torrenti Dardagna e Ospitale. Nel secondo,
la professoressa Sonia Cavicchioli amplia e approfondisce gli studi che
– come ispettore e storico d’arte della Soprintendenza di Modena – aveva
effettuato su importanti artisti fananesi: Ascanio Magnanini e (soprattutto) Giovanni Gherardini; si veda, in proposito, anche quanto è stato riportato in altra parte della presente rivista (“Posta in redazione”, pagg. 6-7).
Di là dal ponte
Storie, personaggi, poesie, ricette…
da un paese chiamato Fellicarolo
(Storie raccontate da Graziella Effroi,
con testi poetici e letterari di Giovanni Capucci,
Rosaluna Capucci e Roberta De Piccoli;
zirudella di Romelio Bellettini)
Elis Colombini editore in Modena; luglio 2013
Fellicarolo è una frazione "alta" di Fanano: ciò vuol dire che la vita in
questo paese è proprio vita di montagna, tanta neve d'inverno e freddo.
Solo un ponte collega la valle di Fellicarolo con il resto del mondo. Ecco
quindi la scelta del titolo; quasi che, passato il ponte, un'altra dimensione
di vita, un altro ritmo nello svolgersi degli avvenimenti, un altro universo
di rapporti e modi di essere fossero possibili. Ed è proprio questa l’impressione che vuol trasmettere il libro, scritto in corsivo come un diario,
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compilato giorno dopo giorno da una bambina che passa lì dai nonni, "di
là dal ponte", tanta parte della sua infanzia: veramente felice, e raffinata,
questa scelta tipografica che dà un’impressione anche visiva di intimità
famigliare a tutta la narrazione. Nessuna fiaba: solo dura vita di tutti i
giorni, con lo sferruzzare le calze di pesante lana per i pastori e il profumo
di incenso nella chiesa fredda e buia, il suono delle campane per la valle
a cui rispondono quelle di Canevare; persone reali, con limiti o difetti e
tanto buon senso (di quello che c'era una volta), ma visti con gli occhi di
una bambina attenta e felice in questo piccolo mondo.
L'atmosfera che si respira è quella della comunità in cui ciascuno
ha un ruolo e un posto ben definito, in cui non ci si sente mai persi, ma
sempre ben accolti, come le Agnesine, con la loro fiabesca piccola casa
a misura di bambina, o la Marchesa con la casa gelida. Un libro che si
legge facilmente e si gode dall'inizio alla fine, dove sono raccolte ricette
(molto interessanti quelle coi funghi, potevano mancare?), raccontini (di
cui i castagneti e i funghi sono i veri protagonisti), poesie, zirudelle, detti
e proverbi. Bella sorpresa, infine, l’elegante inserto “floreale” allegato al
volume!
(G. F.)
DI LA’ DAL PONTE
(Notturno)
di Giovanni Capucci
Al rientro notturno, dopo la sera calda
di canzoni, parole di memoria e poesia,
dentro la corte antica cinta di pietra,
là dove lega il ponte al paese del monte
e s’ apre appena la valle dal torrente tagliata,
ci accolse la luna piena, ridente fuori
del nero denso delle alberature, chiara
in un brandello di cielo puntinato di stelle.
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Leggende del Frignano
di Franca Ascari Scanabissi
e Liliana Benatti Spennato
Il nostro bravo Adelmo Iaccheri, “Editore in Pavullo”, ha aggiunto una nuova, bella pubblicazione al suo
ricco catalogo, tutto meritevolmente dedicato alla conoscenza del Frignano e alla valorizzazione del suo ricco
patrimonio di arte, di storia e di tradizioni.
Le due autrici, entrambe residenti a Pavullo, hanno
già collaborato fra loro in modo proficuo scrivendo diverse opere nelle
quali hanno rievocato molte delle nostre tradizioni, spesso minacciate di
sparizione a causa di un malinteso senso del progresso. Questa volta si
sono cimentate in un’impresa tutt’altro che facile e che, a quanto mi risulta, non era mai stata tentata prima in modo così organico: in 288 pagine
hanno infatti raccolto quasi duecento leggende della nostra montagna,
raggruppandole in dieci sezioni (Streghe e fate, Il Diavolo, Esseri mostruosi, Santi, Cavalieri e dame, Tesori, Gente del popolo, Luoghi, Piante
e fiori, Animali); ognuna di esse è preceduta da una breve, ma sempre interessante introduzione di carattere generale e tutte sono accompagnate
dalle simpatiche e appropriate illustrazioni di Dario Brugioni.
Le leggende provengono un po’ da tutto il nostro Appennino: ma,
mentre alcune di esse sono strettamente legate al paese di provenienza
(almeno una decina quelle fananesi), altre sono senza luogo e senza tempo: alla loro base c’è però sempre la grande fantasia dei nostri antenati e
il loro ancora più grande amore per la propria terra.
(R.R.E.)
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Racconti
Poesie
Guido Cavani
Guido Cavani
Incontri editrice
Sassuolo,
marzo 2014
Elis Colombini
editore in Modena,
maggio 2014
Guido Cavani, nato a Modena nel 1897 e qui scomparso nel 1967,
è stato certamente uno dei più importanti scrittori e poeti presenti sulla
scena culturale modenese del ‘900.
La circostanza che fosse nato da una famiglia originaria di una località compresa fra Pazzano di Serramazzoni e Monfestino è certamente uno
dei motivi del suo legame con il territorio montano (nel 1956, divenne anche socio effettivo nella Società dello Scoltenna). Del resto, nella sua opera
e nelle ambientazioni locali collegate al mondo contadino e popolare della
pianura e dell’Appennino, tale legame è permeato dai temi di una umanità costituita da uomini e donne umili e dai loro sentimenti primordiali,
propri di un mondo che sino agli inizi della seconda metà del ‘900 era
ancora quello del passato.
Il nome di Guido Cavani è collegato soprattutto a Zebio Còtal, il romanzo di ambientazione contadina o “rustica” (come disse Pier Paolo Pasolini), pubblicato nel 1961 da Feltrinelli, dopo la prima uscita, tre anni
prima, presso il tipografo Ferraguti di Modena.
Nel corso della sua vita Cavani fu autore anche di diversi racconti, di
cui la raccolta in questione presenta una selezione, a oltre quarant’anni
dalla pubblicazione del volume Racconti in penombra, uscito a Modena,
nel 1967, un mese dopo la sua morte. Il nuovo volume di Racconti, che in
copertina propone uno splendido particolare tratto da La Mietitura di Pieter Bruegel il Vecchio, a confermare le atmosfere narrative a cui Cavani era
sensibile, è costituito da nove storie (l’ultima, Il tramonto, viene proposta
per la prima volta, come una sorta di breve e intenso apologo dell’esistenza
umana), con il corredo di una estremamente misurata e puntuale introduzione di Fabio Marri. Proprio l’ultimo racconto e soprattutto quello iniziale de Il vitello (dove non cambierebbe un bel nulla se al posto dei nomi
di Pieve e di Cadagnolo, ci fossero quelli di Fanano e Fellicarolo), proprio
per le atmosfere e i personaggi rappresentati, rimandano perfettamente a
quel mondo di un tempo, proprio anche delle terre fananesi.
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Questo quanto al versante narrativo: purtuttavia Cavani si sentiva in
particolare poeta, tanto è vero che, a partire dagli Anni Venti e sino a inizi
Sessanta, pubblicò diversi volumi in versi.
Anche nei testi poetici, inizialmente attenenendosi ai canoni metrici
tradizionali, poi, nelle opere più mature componendo in versi liberi, i suoi
temi prediletti sono la visione della natura e il rapporto con essa e con il
mondo antropologico espresso dagli esseri umani, dai loro sentimenti,
dalla vita quotidiana, dalla miseria, dalla morte, dalla speranza e dalla
volontà di resistere e di esistere.
A poca distanza dall’uscita del libro di cui sopra, è stato pubblicato il
corposo volume di Poesie, curato da Patrizia Belloi ed Elis Colombini. Si
tratta davvero di una “opera completa” della poesia edita di Guido Cavani,
dal momento che il tomo riunisce la bellezza di quasi 800 composizioni. Il
volume contiene inoltre la biografia di Cavani con informazioni inedite, la
bibliografia delle opere e degli studi sull’autore e un apparato fotografico
in parte inedito. In pratica troviamo i testi degli 8 volumi singoli usciti a
partire dal 1923 e sino al 1960, Cavani ancora in vita; quelli di 2 volumi
postumi (pubblicati, il primo da Rebellato, nel 1968, l’anno successivo alla
sua scomparsa; l’altro da F.R.Levi, nel 1976), oltre che “altri componimenti in versi” e “poesie in dialetto” (anche in questi due ultimi casi si tratta
di materiali editi in varie pubblicazioni, anche al di di fuori delle raccolte
ufficiali). Siamo di fronte quindi alla riedizione della elaborazione poetica
di Cavani, la quale cosa ovviamente ha comportato un nuovo lavoro di organizzazione dei materiali, oltre che il confronto tra le varie edizioni degli
stessi, sui quali l’autore apportò revisioni e modifiche. In realtà, pare che,
come conferma Fabio Marri, tra la documentazione poetica manoscritta
dello scrittore, presente, insieme ad una serie di immagini fotografiche,
nell’archivio tra l’altro da tempo nelle sue mani, ci siano ancora centinaia
di poesie (molte sono tracce e abbozzi), in gran parte inedite. In attesa del
nuovo. non si può perciò che essere soddisfatti che, con questi due volumi,
sia stata riproposta la presenza di una figura come Guido Cavani, davvero
importante nel panorama letterario modenese (e nazionale), al pari di
quella di Antonio Delfini. Non si può che essere orgogliosi di tutto ciò.
(G.C.)
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POPOLAZIONE RESIDENTE A FANANO
a cura di Valerio Tagliani
Al 1° gennaio 2013: n. 3010 di cui n. 1462 maschi e n. 1548 femmine *
Nati: n. 17;
n. 12 maschi e n. 5 femmine
Morti: n. 38;
n. 17 maschi e n. 21 femmine
Differenza fra nati e morti: n. -21;
n. -5 maschi e n. -16 femmine
Immigrati
n. 101; n. 67 da altri Comuni (n. 35 maschi e n. 32 femmine),
e n. 21 dall’estero (n. 1 maschi e n. 20 femmine)
più n. 13 iscritti per altri motivi (n.11 maschi e n.2 femmine)
Emigrati
n. 76 per altri Comuni (n. 37 maschi e n. 39 femmine),
e n. 7 per estero (n. 3 maschi e n. 4 femmine)
più n. 2 cancellati per irreperibilità (n. 1 maschi e n. 1 femmine)
n. 85;
Matrimoni
n. 10; n. 5 civili e n. 5 religiosi
Popolazione residente al 31.12.2013:
n. 3005 di cui 1463 maschi e n. 1542 femmine.
FANANO
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Immigrati n. 101
Emigrati n. 85
più
n. 16
Nati n. 17
Morti n. 38
meno n. 21
al 01.01.2013
al 31.12.2013
meno
n. 3010
n. 3005
n.
5
*Le differenze della popolazione iniziale rispetto a quella finale
dello scorso anno (n.3037) sono dovute alla conclusione delle operazioni
di confronto dati censimento anagrafe.
Chi fosse interessato a confrontare i dati dell’anno scorso
può controllare la nostra rivista n. 23.
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Finito di stampare
nel mese di Luglio 2014
presso Debatte Editore
Livorno
Luglio 2014
fra storia e poesia
Che cosa è il sorriso
di Don Giovanni Monari
È un raggio di luce che spunta
dal fondo dell’anima umana,
e sale a fiorir sulle gote,
sugli occhi, sul labbro, sul volto.
24
Poi lene svanisce e dilegua
senza lasciar di sé traccia,
come una stella che sorge,
che brilla nel cielo e scompare.
E
0
,0
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